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Sommario del 27/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’Angelus: mai più l’orrore dell’Olocausto, si superi ogni forma di odio e razzismo
  • I giovani dell'Azione Cattolica assieme al Papa per dire sì alla pace
  • Oggi in Primo Piano

  • Mali: truppe francesi avanzano fino alle porte di Timbuctu
  • Giornata per la pace in Terra Santa. Mons. Twal: fondamentale la solidarietà spirituale
  • Giornata della memoria. Alberto Sed: parlare ai ragazzi, la mia rivincita sul male
  • Giornata mondiale contro la lebbra. Un medico indiano: l'amore vince la discriminazione
  • Una suora comboniana al fianco dei profughi del Sinai
  • Somalia: la guerra non ferma l'impegno per l'infanzia di Sos Villaggi dei Bambini
  • Lettera del cardinale Caffarra alla neonata trovata in un cassonetto di Bologna
  • Convegno a Roma rilancia il diritto all'obiezione di coscienza, in difesa della pace e della vita
  • Convegno a "Civiltà Cattolica" sul Concilio Vaticano II nei diari del cardinale Tucci
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Brasile: almeno 245 morti per un incendio in una discoteca
  • Egitto: salito a 42 morti il bilancio degli ultimi scontri
  • Siria: operativi missili della Nato in Turchia
  • Il card. Scola all'inaugurazione del Memoriale della Shoah a Milano
  • Myanmar: la società civile vuole la pace con la minoranza kachin
  • Corea del Nord: nuove minacce dopo rafforzamento sanzioni Onu
  • Giordania: missionarie in prima linea per i profughi siriani
  • Roma: due clochard morti carbonizzati in un sottopasso
  • Gianni Bottalico è il nuovo presidente delle Acli
  • Spagna: l’attività dei missionari spiegata ai ragazzi con un video
  • Namibia: l'impegno dei frati cappuccini per l'alfabetizzazione
  • Angola: aumentano spese sociali, ma restano alte quelle militari
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’Angelus: mai più l’orrore dell’Olocausto, si superi ogni forma di odio e razzismo

    ◊   All’Angelus, in Piazza San Pietro, il pensiero di Benedetto XVI va alla Giornata della Memoria, in ricordo delle vittime dell'Olocausto. La memoria di questa “immane tragedia”, ha detto il Papa, rappresenti un monito “affinché non si ripetano gli orrori del passato” e si superi ogni forma di razzismo. Il Papa non ha poi mancato di ricordare la Giornata mondiale dei malati di lebbra e la Giornata per la Pace in Terra Santa, esprimendo vicinanza ai lebbrosi e agli operatori di pace. Al momento dei saluti ai pellegrini, assieme a due bambini dell’Azione Cattolica Ragazzi, il Pontefice ha liberato due colombe in occasione della “Carovana della Pace” in Piazza San Pietro. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Mai più l’Olocausto. All’Angelus, in Piazza San Pietro, si leva alta la voce del Papa contro ogni forma di odio e razzismo. Benedetto XVI ricorda, con parole commosse, la “Giornata della Memoria” che commemora tutte le vittime del nazismo:

    “La memoria di questa immane tragedia, che colpì così duramente soprattutto il popolo ebraico, deve rappresentare per tutti un monito costante affinché non si ripetano gli orrori del passato, si superi ogni forma di odio e di razzismo e si promuovano il rispetto e la dignità della persona umana”.

    Prima delle parole sull’Olocausto, il Papa si era soffermato sul Vangelo domenicale. Gesù – ha affermato – è “l’oggi della salvezza nella storia, perché porta a compimento la pienezza della redenzione”. Ha quindi rivolto il pensiero al modo in cui i cristiani dovrebbero vivere la domenica. Tema a cui ha dedicato anche un suo tweet, poco dopo l’Angelus. Questo, ha detto, è il "giorno del riposo e della famiglia, ma prima ancora" è "giorno da dedicare al Signore, partecipando all’Eucaristia". E’ “prima di tutto un giorno per Lui”:

    “Nel nostro tempo dispersivo e distratto, questo Vangelo ci invita ad interrogarci sulla nostra capacità di ascolto. Prima di poter parlare di Dio e con Dio, occorre ascoltarlo, e la liturgia della Chiesa è la scuola di questo ascolto del Signore che ci parla”.

    Per il cristiano, ha aggiunto, “ogni momento può diventare un oggi propizio per la nostra conversione”. Questo, ha osservato, è il senso cristiano del carpe diem: “cogli l’oggi in cui Dio ti chiama per donarti la salvezza”. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rammentato la Giornata mondiale dei malati di lebbra, giunta alla 60.ma edizione:

    “Esprimo la mia vicinanza alle persone che soffrono per questo male e incoraggio i ricercatori e gli operatori sanitari e i volontari, in particolare quanti fanno parte di organizzazioni cattoliche e dell’Associazione Amici di Raoul Follereau”.

    Per tutti ha invocato il sostegno di San Damiano de Veuster e di Santa Marianna Cope, che hanno "dato la vita per i malati di lebbra". Ancora, il Papa ha ringraziato quanti in diverse parti del mondo hanno promosso una Giornata speciale di intercessione per la pace in Terra Santa. E, parlando in polacco, si è unito alla Chiesa in Polonia nella preghiera per il cardinale Jozef Glemp, scomparso nei giorni scorsi. Al termine dell’Angelus, Benedetto XVI ha rivolto un saluto particolare ai bambini e ragazzi dell’Acr, l'Azione cattolica ragazzi, di Roma impegnati in un’iniziativa di pace:

    “Cari ragazzi, la vostra ‘Carovana della Pace’ è una bella testimonianza! Sia segno anche del vostro impegno quotidiano per costruire la pace là dove vivete”

    Una di loro ha quindi letto un messaggio al Papa:

    “Caro Papa… stiamo sperimentando se siamo veramente capaci di pace, ovvero di essere collaboratori della pace che viene da Dio… e ricordati, caro Papa: l’Acr di Roma non smette mai di volerti bene!

    Infine, il Papa - aiutato da due bambini - ha liberato due colombe, “simbolo dello Spirito di Dio, che dona la pace a quanti accolgono il suo amore”.

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    I giovani dell'Azione Cattolica assieme al Papa per dire sì alla pace

    ◊   Questa mattina, in Piazza San Pietro, si respirava un clima di grande festa, grazie alla presenza gioiosa di oltre 3000 ragazzi dell’Azione Cattolica di Roma, accompagnati dal cardinale vicario Agostino Vallini, convenuti in occasione della 35.ma edizione della "Carovana della Pace". Ma cosa li ha spinti a partecipare a questa ormai tradizionale manifestazione? Ascoltiamo alcune voci raccolte stamani da Marina Tomarro:

    R. – Per manifestare la pace al mondo!

    R. – Per far capire che la guerra non vale niente.

    R. - Perché sono tanti anni che veniamo qui - sono tre anni che facciamo parte di Acr (Azione Cattolica Ragazzi ndr) - e crediamo che la pace si costruisca insieme ai ragazzi e che il cuore dei ragazzi sia il modo migliore per esprimere un mondo di pace.

    D. – Che cosa vuol dire essere capaci di costruire la pace?

    R. – Creare relazioni sane, belle, partendo dal cuore e donando agli altri un po’ di se stessi. Sicuramente è il modo migliore.

    R. – Per esempio a scuola, quando ci sono le risse, mettendomi in mezzo per separare oppure vivendo in pace con i miei fratelli, senza litigare!

    R. – Vuol dire essere costruttori di pace tutti i giorni. Quello che noi cerchiamo di insegnare ai bambini è che la pace non vuol dire fare per forza cose grandi e distanti da noi.

    D. – E secondo te invece?

    R. – Bisogna essere costruttori di pace nelle piccole cose. Quindi cerchiamo di insegnare loro ad essere piccoli costruttori di pace tra i compagni e in famiglia.

    E alla "Carovana della Pace", era presente anche Benedetto Coccia, presidente dell’Azione Cattolica di Roma. Ecco un suo commento:

    R. - Quest’anno, per il 35.mo anno, si svolge la "Carovana della Pace" dell’Acr, che è in realtà un momento conclusivo di un mese dedicato alla riflessione, alla preghiera e all’impegno a favore della pace. Alla fine di questo mese, svolto in parrocchia, i ragazzi vogliono dire alla città di Roma la loro voglia e il loro impegno a favore della pace.

    D. – In che modo si educano le giovani generazioni proprio a diventare costruttori della pace?

    R. – Innanzitutto, aiutandoli a capire che i protagonisti della loro vita sono proprio loro e poi aiutandoli a capire che la pace non è un qualcosa che riguarda i "potenti della Terra" o i capi di Stato e delle nazioni, ma riguarda ciascuno di noi, che nel proprio ambiente, nella propria famiglia, nella propria scuola, tra i propri amici, può essere operatore di pace.

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    Oggi in Primo Piano



    Mali: truppe francesi avanzano fino alle porte di Timbuctu

    ◊   Prosegue l’avanzata delle truppe francesi nel Nord del Mali che, insieme all’esercito governativo maliano, sono arrivate in prossimità di Timbuctu. Secondo alcuni fonti i ribelli islamisti in queste ore avrebbero lasciato la città senza opporre resistenza. Il servizio di Marco Guerra:

    Nell’ambito dell’offensiva contro i ribelli islamisti nel Nord del Mali, le truppe francesi affiancate da quelle maliane sono avanzate fino alle porte di Timbuctu. Secondo fonti Reuters, la coalizione sta elaborando una strategia per entrare in città - un labirinto di antichi monumenti e case di fango - e scovare l’eventuale resistenza dei guerriglieri integralisti nascosti ancora all’interno. Nelle operazioni odierne si segnala anche il bombardamento dell’aviazione francese sulle posizioni islamiste a Kidal, nell'estremo Nord del Paese, che ha distrutto completamente l'abitazione del capo del gruppo armato "Ansar Dine". Ieri, francesi e maliani hanno intanto riconquistato Gao, la più grande città nelle mani dei ribelli da circa un anno. E la situazione in Mali è al centro del vertice dell’Unione africana in corso ad Addis Abeba. Aprendo l’incontro, il presidente uscente Boni Yayi ha ringraziato la Francia e si è rammaricato per il fatto che l'organizzazione panafricana non abbia reagito prima per “difendere” uno dei suoi Paesi membri. Intanto, sale a quasi 6.000 il numero di militari che i Paesi dell'Africa occidentale si apprestano a mettere a disposizione per rafforzare il contingente, mentre dal conto loro gli Stati Uniti annunciano la fornitura di aerei cisterna.

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    Giornata per la pace in Terra Santa. Mons. Twal: fondamentale la solidarietà spirituale

    ◊   Ricorre oggi la quinta “Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa”, con il patrocinio del Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace. Aderiscono all’evento circa 3000 città del mondo, unite alle comunità dei luoghi della Terra Santa, nella condivisione e nel sostegno delle loro necessità. Sull’importanza di questa giornata, Manuella Affejee ha intervistato il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Fouad Twal:

    R. – Siamo molto grati per questo senso di solidarietà, per questa Giornata di preghiera per la Terra Santa che è la Terra Santa di tutti e questo mi fa piacere, perché sento che tutti sono coscienti e hanno un senso di appartenenza a questa terra. Sono tutti consapevoli di questa nostra non facile situazione, e per questo pregano per noi. E’ bello sapere che la solidarietà nei riguardi della Terra Santa non si concretizza solo in azioni materiali e finanziarie, ma anche spirituali. Noi abbiamo tanto bisogno di questa dimensione spirituale. La nostra reazione a queste manifestazioni di solidarietà è fare del nostro meglio per essere all’altezza di questa fiducia, di questa amicizia con la Terra Santa e per far bene la nostra missione qui: noi siamo un ponte di dialogo e di carità nelle nostre situazioni. Di nuovo, anche nella Settimana per l’unità dei cristiani, con tutti gli amici che pregano per la Terra Santa, siamo più uniti che mai, anche nella preghiera.

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    Giornata della memoria. Alberto Sed: parlare ai ragazzi, la mia rivincita sul male

    ◊   Per anni ha taciuto sull’orrore vissuto ad Auschwitz, perché quel ricordo era insopportabile. Poi, incoraggiato da un giornalista ha deciso di raccontare nel libro “Sono stato un numero” il dolore della perdita della madre e delle sorelle, barbaramente uccise dai nazisti e le torture patite nei campi di concentramento. E’ la storia di Alberto Sed, 84 anni, ebreo romano. Oggi spende tutte le energie nel trasmettere ai ragazzi nelle scuole quanto da lui vissuto. In occasione dell'odierna Giornata della memoria, Paolo Ondarza lo ha incontrato per raccogliere la sua straordinaria testimonianza:

    R. – Per tanti anni sono stato in un silenzio assoluto e non ho parlato con nessuno: non ho parlato con mia figlia, non ho parlato con mia moglie. Tutto quello che avevo passato l’ho tenuto per me.

    D. – Lei, ad un certo punto, sollecitato dall’invito di un giornalista, direttore della rivista “Il Carabiniere”, ha deciso di raccontare l’orrore che ha vissuto in un libro, a partire dal suo ingresso nel campo della morte di Birkenau, insieme a sua madre e alle sue sorelle...

    R. – Quando sono arrivato lì mi hanno diviso da mia sorella, mi hanno tagliato i capelli, mi hanno spogliato di tutto e mi hanno dato un numero al braccio: 5491.

    D. – Quando ha realizzato realmente dov’era finito?

    R. – La mattina, quando sono andato a lavorare, non capivo. Dicevo: “Ci hanno portato in Germania per lavorare?”. Sentendo, però, due francesi che parlavano, ho chiesto loro: “Che si fa qui?” E loro: “Sei venuto ieri? Sei venuto da solo?” Ed io: “No, sono venuto con mia madre e mia sorella”; “Sono in grado di lavorare?”. “Lavorare? Bisogna vedere di che lavoro si tratta… Mia madre è una brava cuoca e mia sorella è specializzata nel ricamo”, e loro: “Sì, abbiamo capito, ma vedi quel fuoco lì? Sai cos’è?” “Certo, che lo so – rispondo io - sono i camini che riscaldano le baracche, perché fa freddo”. “Hai indovinato, ma sai con cosa le hanno riscaldate? Con tua madre e tua sorella. Qui devi pensare solo a te stesso, perché anche volendo amare gli altri non lo potrai fare, non te lo permetteranno, se lo farai ti riempiranno di botte e ammazzeranno prima te e poi loro. Adesso ti diciamo cosa succede qui dentro. Vedi quelli con le fasce sul braccio? Sono i capi. Qualunque cosa ti dicano, fallo senza reclamare, perché se dici ‘no’ ti riempiranno di botte e, non potendo più lavorare, andrai a finire subito nei forni crematori. Hai visto i cani? Soprattutto la domenica li vedrai più spesso, perché scommettono su chi è più veloce ad uccidere le persone. In cinque minuti ti fanno a pezzi. Non passare vicino ai reticolati dell’alta tensione, perché i nazisti lanciano i cani contro di te, per vedere chi è più veloce nello spingerti contro i reticolati e farti morire. Inoltre non guardare mai i nazisti in faccia, perché pensano che tu li voglia sfidare. Devi evitare di prendere le botte, perché come prendi le botte sei finito”.

    D. – Perché chi veniva pestato era messo nelle condizioni di non poter più lavorare?

    R. – Certo, non ci riusciva più. Te ne davano tante e tutti i giorni era così. Quella era la selezione quotidiana. Viene il tedesco che guarda chi è in grado di lavorare e chi può andare ai forni crematori. Ti dà una spinta: se barcolli e vai per terra, vai a finire nei forni crematori.

    D. – Nel campo lei ha poi saputo della tragica fine di sua madre e sua sorella: nei forni crematori; ha anche saputo di un’altra sorella sbranata dai cani sotto gli occhi divertiti dei nazisti e di un’altra ancora: sopravvissuta ai crudeli esperimenti dei nazisti. Per quanto riguarda lei, nel lager sopportò tanto dolore tra faticosi lavori e mansioni terribili come alloggiare i bambini che arrivavano al campo sui carretti che li avrebbero condotti nei forni crematori...

    R. – Quando mi hanno mandato ai trasporti, ero addetto a selezionare le persone. Dovevo togliere i bambini dalle braccia delle loro madri: tutti i bambini che non sapevano camminare, e portarli sul carrettino. Tutti insieme finivano poi nei forni crematori dove venivano uccisi. Ad un mio compagno di prigionia addetto alla stessa mansione che si trovava in fila davanti a me, un nazista con una pistola in mano ha chiesto di tirare in aria un bambino. Lui inizialmente si è rifiutato, poi il soldato gli ha intimato: “Hai capito quello che ti ho detto? Ti ho detto di tirarlo in aria; se non lo vuoi fare tu, lo farà il compagno dietro di te”. Lui ha preso il bambino, l’ha lanciato per aria, e i soldati hanno fatto il tiro a segno con la pistola contro quell’innocente. Mi è rimasto talmente impresso che quando è nata mia figlia e mia moglie mi diceva: “vieni prendila in braccio” e io inventavo sempre qualche scusa per non prenderla, perché ero ossessionato da quel ricordo.

    D. – Il sadismo dei nazisti vi costringeva a partecipare alla morte di vittime innocenti...

    R. – Un tedesco a una madre che aveva un bambino in braccio che piangeva ha detto: “Fate stare zitto questo ragazzino: mi dà fastidio!” La donna non sapeva nemmeno cosa le stesse dicendo. Chissà di che nazionalità era: ungherese, polacca...? Non so. Il bambino le fu ucciso in braccio con un cazzotto in viso.

    D. – Lei era di costituzione robusta, questo l’ha salvata. Per avere più cibo – e stiamo parlando di qualche buccia di patate o di mele, ma la fame era insopportabile – lei accettò anche di fare il pugile negli incontri domenicali tra i prigionieri del lager, che servivano ad intrattenere gli aguzzini, ad intrattenere i gerarchi...

    R. – Scommettevano denaro. Venivano gli addetti ai trasporti, che erano robusti, erano grossi di costituzione e scommettevano soldi su chi potesse vincere negli incontri di pugilato.

    D. – Insomma eravate costretti anche ad intrattenerli i nazisti...

    R. – Eravamo obbligati e non potevamo mettere bocca su niente. Ho visto per esempio un prete, finito nel campo per aver fatto scappare dei partigiani. Un giorno, non so come, si mise la veste per celebrare la Messa. I tedeschi se ne accorsero e gli dissero: “Vuoi dire la Messa? Vieni con noi a dire la Messa!” Avevano una specie di piscina e ce lo buttarono dentro, dopo averlo riempito di calci. Lui cercava di aggrapparsi al bordo della vasca, disperato, per salvarsi. Loro lo rispingevano dentro: lo abbiamo visto morire, con la disperazione in volto. Non lo dimenticherò mai quel viso: sa quando sono riuscito ad entrare in una piscina? Dopo 20-25 anni, per giocare con una mia nipotina. Per tanti anni, però, non appena pensavo alla sola idea di piscina, ero terrorizzato.

    D. – Come si riesce a tornare a vivere, dopo essere passati per questo inferno?

    R. – Io ho avuto una grande soddisfazione dal mio libro e dall’incontro con i ragazzi nelle scuole. Per me era inimmaginabile che, trascorsi tanti anni fuori da Auschwitz, tutti questi ragazzi mi facessero vivere una "rivincita" su Auschwitz. Questa per me è una bellissima rivincita sul male. Sono quattro o cinque anni che sono affascinato, innamorato di tutti questi ragazzi, per le lettere che mi scrivono. I ragazzi recepiscono. Ho capito che attraverso il mio racconto di grande sofferenza per loro la vita è cambiata. Molti di loro, abituati a litigare per un telefonino – perché ne vorrebbero uno da cento invece che uno da cinquanta euro - si sono resi conto del valore della vita e che non è possibile litigare per delle sciocchezze.

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    Giornata mondiale contro la lebbra. Un medico indiano: l'amore vince la discriminazione

    ◊   Nel solo anno 2011, duecentomila persone hanno contratto il morbo di Hansen, meglio conosciuto come lebbra. Oggi si celebra la 60.ma Giornata mondiale della lotta a questa malattia e l’Aifo – Associazione Italiana Amici di Raoul Follerau – come ogni anno sarà nelle piazze italiane a distribuire il “miele della solidarietà”. Dal canto suo, riferisce l'agenzia Fides, la Chiesa gestisce nel mondo 547 lebbrosari. Benedetta Capelli ha intervistato il medico indiano Sunil Deepak, responsabile Aifo per l'attività scientifica:

    R. - La lebbra è una malattia antica, da una parte è conosciuta da tutti e dall’altra quasi tutti pensano che sia una malattia del passato. Oggi abbiamo più o meno 220-230 mila nuovi malati ogni anno, ma di sicuro ce ne sono altrettanti che sono "nascosti" perché è una malattia che ancora incute molta paura. Invece, non dovrebbe essere così, perché esistono le medicine e si può guarire senza che vi sia alcun segno della malattia sul corpo.

    D. - Quali sono i Paesi nei quali questa malattia è più diffusa?

    R. - Il mio Paese - l’India - che da solo ha più o meno il 60% di tutti i malati di lebbra del mondo. L’India ha fatto grandi progressi perché, fino a sei anni fa, avevamo più o meno mezzo milione di nuovi malati; oggi ne abbiamo intorno ai 120 mila, ovvero un quarto di quelli che c’erano prima. Questo vuol dire che c’è stato un cambiamento ma purtroppo i numeri sono ancora molto alti. Dopo l’India, il secondo Paese più importante è il Brasile e secondo me sono proprio questi due estremi del mondo - uno all’Est e l’altro all’Ovest - ad essere i più colpiti perché sono due Paesi con forti diseguaglianze. Sono anche Paesi ricchi dove c'è stato un grande sviluppo, ma la lebbra è la malattia della povertà e colpisce chi ha meno difese immunitarie. E questo dipende da cosa mangi, dove vivi, se si vive in condizioni di sovraffollamento, se non si hanno servizi igienici…

    D. - Lei è un medico indiano, la sua esperienza come è nata? Come mai è venuto in Italia e si è dedicato alle persone che hanno avuto questa malattia?

    R. - Sono un po’ le circostanze che ti portano a lavorare in un certo modo ed io mi sono trovato a lavorare con la lebbra sin dall’inizio. L'Aifo mi ha chiesto di venire a lavorare qui, perché è molto difficile trovare persone che possono viaggiare in tanti Paesi ed è difficile trovare medici che accettino di lavorare nei lebbrosari. Sono sempre posti isolati, fuori dalle città, lontani, senza scuole, senza altri servizi ed il personale sanitario, se ha altre possibilità, preferisce non restare lì. Per questo motivo, i missionari sono stati i primi a curare la lebbra. C’è però anche un grande bisogno di formazione. È stata una grande fortuna lavorare nei lebbrosari; da una parte fa incontrare la miseria perché tante persone che hanno avuto la lebbra raccontano sempre la stessa storia: l’essere cacciati via dal villaggio, l’essere cacciati via dalla famiglia, aver fatto una vita di esclusione. Una storia sempre uguale in qualsiasi cultura ed in qualsiasi Paese. Dall’altra parte, lavorare in questo campo è un’opportunità per incontrare le persone più buone del mondo. E’ una cosa continua quella di incontrare questo concentrato di umanità, la più buona che c’è!

    D. - Lei ha parlato di missionari, persone che hanno dato tanto alla lotta per questa malattia. Oggi com’è la situazione?

    R. - Mi piacerebbe utilizzare proprio questa opportunità, qui a Radio Vaticana, per fare un appello a tutti i missionari: “Se potete, aprite le porte anche ai malati di lebbra che hanno bisogno e che delle volte bisogna andare a cercare, perché non sempre vengono da soli”. Sono persone con grandi sensi di colpa, persone che sentono in qualche modo di aver meritato questa punizione. Per secoli è stata solo la Chiesa ad essere in prima linea, ad occuparsene e nessun altro. I governi dei Paesi dove la lebbra è una malattia endemica, si sono impegnati soprattutto negli ultimi 20 anni, ma prima nessun altro che se ne occupava. Oggi i medici, infermieri e fisioterapisti più bravi sono spesso missionari.

    D. - Cosa sperare negli anni a venire?

    R. - L’unico modo per bloccare l’infezione sarebbe migliorare le condizioni socio economiche e rendere il mondo più giusto, ma non so se l’umanità sarà capace di fare questo.

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    Una suora comboniana al fianco dei profughi del Sinai

    ◊   Al fianco dei profughi del Sinai, senza risparmio di forze. E' la missione che sta portando avanti in Israele, suor Azezet Kidane, religiosa comboniana. Un impegno che è stato al centro di un convegno, tenutosi nei giorni scorsi, all'Università di Betlemme. Il servizio di Andrea Avveduto, del "Franciscan Media Center" di Gerusalemme:

    Suor Azezet Kidane lavora in una clinica a Jaffa e si prende cura dei profughi africani che tentano di raggiungere Israele. I più cercano di fuggire dalla desolazione del proprio Paese e arrivano nella Terra Promessa per cercare lavoro. Ma le difficoltà, per chi non gode di nessuno stato giuridico, sono tante. Suor Azezet le ha raccontate durante i lavori della "Holy Land Coordination", all’Università di Betlemme. La religiosa, che recentemente ha ricevuto il riconoscimento di eroe del Dipartimento Usa contro il traffico di persone, si è soffermata molto sulle violenze che subiscono i rifugiati eritrei nel Sinai, dove le donne vengono abusate e gli uomini torturati. In gran parte sono cristiani:

    “I cristiani sono circa 45.000. I rifugiati sono cristiani: pochi sono musulmani darfouriani, gli altri sono tutti cristiani. In questo campo delle donne vado tre volte alla settimana, però al telefono le sento sempre, di notte e di giorno. Anche adesso, durante la conferenza, ho avuto 3-4 chiamate di persone che hanno bisogno".

    Storie di sofferenza e soprusi, ma anche episodi di speranza e di fede viva. Sono anche queste le persone che suor Azezet ha preso a cuore. Tristi, ma mai disperati. Testimonianze da cui Azezet ha imparato tanto:

    “Ti impressionano per la loro fede. Nonostante tutta la sofferenza che hanno passato, tutta la disperazione e la vergogna che hanno vissuto, gli abusi sessuali, loro dicono ‘il Signore era con me’, e la fede li accompagna”.

    Tra questi ci sono storie che hanno dello straordinario e che commuovono. Storie che testimonia questa piccola suora comboniana, che ogni giorno si dà un gran daffare per aiutare tutti quegli sventurati, che arrivano alla sua clinica:

    “Una donna è stata abusata, si chiama Gennet. Ha avuto un bambino e l’ha chiamato Emanuele, perché dice: “Questo me l’ha dato il Signore”. Invece di arrabbiarsi con il bambino, l’ha preso come dono di Dio per lei. Questo per me è un cammino di fede”.

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    Somalia: la guerra non ferma l'impegno per l'infanzia di Sos Villaggi dei Bambini

    ◊   Nella Somalia, travolta dalla guerra civile, opera senza risparmio di energie Sos Villaggi dei Bambini. L'associazione per la difesa dell'infanzia è tornata nella capitale Mogadiscio dopo l’evacuazione del 2011. Massimiliano Menichetti ha raccolto la testimonianza della responsabile comunicazione della Onlus, Elena Cranchi:

    R. – Siamo testimoni di un’anarchia, continui scontri, e una natura non clemente. Il direttore del Villaggio Sos di Mogadiscio dice: “La situazione è sempre molto difficile, siamo usciti da una situazione di carestia, ma la malnutrizione resta uno dei problemi principali. Fortunatamente i nostri bambini stanno bene”.

    D. - La questione Al Shabaab e governo: in questo momento la situazione si è allentata per quanto riguarda la capitale Mogadiscio?

    R. – Sì, per quanto ci riguarda abbiamo potuto ritrasferire all’interno del Villaggio SOS di Mogadiscio i bambini che vivevano in una zona di sicurezza chiamata il “km13” perché le truppe di al Shabaab si sono ritirate. Quindi, abbiamo avuto la possibilità di riaccogliere nuovamente i bambini e abbiamo fortunatamente potuto riaprire l’ospedale e ristrutturare 10 delle 12 case famiglia.

    D. - Nel 2011 siete stati costretti a prendere le distanze da Mogadiscio, che cosa è successo?

    R. – A settembre e ottobre del 2011, accanto alla carestia che ha messo in ginocchio la Somalia e anche parte del Kenya e dell’Etiopia, c’erano gli scontri tra Al Shabaab e il governo centrale. Nel momento in cui le truppe sono arrivate a Mogadiscio per mettere al sicuro i bambini abbiamo dovuto allontanarli dal villaggio Sos di Mogadiscio, ma a pochi chilometri. La cosa in realtà grave è stata la chiusura dell’ospedale di Mogadiscio che era il nostro ospedale!

    D. – Qual è la vostra realtà operativa con i diversi gruppi che sono presenti in un’area di così forte crisi?

    R. – Abbiamo attivato tutta una serie di servizi per aiutare la popolazione, come centri medici e servizi ambulatoriali. I beneficiari del nostro aiuto sono stimati essere circa 120 mila persone. Noi abbiamo sempre avuto, nonostante tutto, proprio per l’attività che svolgiamo, ottimi rapporti con tutti. Siamo in Somalia dal 1984 e Sos Villaggi dei Bambini è sempre riuscita ad avere l’appoggio sia dei governi che di parti contrarie. Questo ci ha sempre, fortunatamente, permesso di poter continuare ad operare sul campo. E’ la stessa cosa che è accaduta e sta accadendo in Siria.

    D. – Qual è il vostro auspicio per quanto riguarda la situazione somala?

    R. – Che i diritti dei bambini vengano sempre garantiti perché sono inalienabili, che ci sia un rispetto di un’infanzia che rappresenta il futuro di quei Paesi e che deve essere assolutamente messo al primo posto. E’ chiaro che sarebbe il nostro desiderio che la situazione politica si risolvesse nel migliore dei modi, quindi pacificamente, in modo da poter garantire una vita normale.

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    Lettera del cardinale Caffarra alla neonata trovata in un cassonetto di Bologna

    ◊   Nel cuore di Bologna, sotto le finestre dell’arcivescovado. Lì è stata ritrovata una settimana fa la piccola Maria Grazia, una neonata gettata in un bidone della spazzatura. Il salvataggio in extremis da parte di due passanti, che hanno sentito il suo flebile pianto, le ha salvato la vita. Il cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, scosso per la vicenda, come tutta la città, ha voluto scrivergli una lettera aperta. Da Bologna, Luca Tentori:

    “Il cassone dell’immondizia posto sotto la mia finestra fu guardato con occhi pieni di amore da Dio stesso, perché in esso c’era la sua immagine”. E’ un passaggio forte della lettera che il cardinale Caffarra ha voluto scrivere alla piccola Maria Grazia e affidata questa mattina alle colonne del settimanale diocesano di Avvenire Bologna 7. “Cara Maria Grazia, sei stata buttata nei rifiuti sotto la mia finestra, vicino alla mia casa", ha scritto l’arcivescovo di Bologna. "Eri diventata qualcosa di troppo; un di più di cui bisognava disfarsi. Non sei stata guardata con gli occhi dell’amore, forse resi ciechi da un indicibile dramma. Il tuo vagito vale più di tutti i nostri calcoli egoistici, perché ha gridato che nessuna persona può essere rifiutata. Ci ha ricordato che l’intero universo è meno prezioso di te. Il tuo vagito entri nella coscienza di ciascuno di noi fino in fondo, e dentro la nostra città”. “Grazie, piccola – ha aggiunto il cardinale Caffarra rivolgendosi alla bambina, che ora è in buone condizioni in ospedale - perché ascoltando il tuo pianto ho imparato ancora più intimamente cosa significhi essere padre: prendersi cura di ciascuno perché nessuno sia più sfigurato”. “Che la nostra città, guidata dal tuo vagito, percorra l’intero cammino che porta dalla solitudine all’amore – ha concluso l’arcivescovo di Bologna - Grazie, piccola madre di noi tutti”.

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    Convegno a Roma rilancia il diritto all'obiezione di coscienza, in difesa della pace e della vita

    ◊   A 40 anni dal riconoscimento giuridico del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia, la Commissione Episcopale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, insieme con Caritas Italiana e Pax Christi Italia, ha promosso ieri a Roma un convegno sul tema “Dall’obiezione di coscienza alla coscienza dell’obiezione”: un’occasione per ribadire la centralità dei valori della pace, la giustizia, e la solidarietà per il bene comune. Ma quanto è attuale oggi questa tematica? Claudia Di Lorenzi ne ha parlato con mons. Giuseppe Merisi, presidente di Caritas Italiana, tra i relatori del convegno:

    R. – E’ un tema che per due motivi almeno è sempre attuale. Uno, perché all’obiezione di coscienza si è collegato il tema del servizio civile, e quindi Caritas Italiana, che in questi anni ha accolto, educato, accompagnato, aiutato molti giovani nel servizio civile, è molto interessata a ciò che questo impegno delle istituzioni pubbliche possa continuare. L’altro elemento è legato al tema della educazione: di proporre percorsi, strumenti anche educativi perché i giovani sentano l’appello che parte in positivo dalla giustizia, dalla libertà, dalla pace, dal bene comune e poi diventa impegno, in negativo, contro ogni violenza di ogni tipo e quindi, ultimamente, contro la guerra.

    D. – Qual è il contributo dato dai cattolici in difesa del diritto all’obiezione di coscienza?

    R. – Io credo che sia sempre quello dei valori da mettere in gioco. Noi sappiamo che ciò che ci viene proposto dal Vangelo e dalla mediazione della Dottrina sociale della Chiesa e dal Magistero e dal Papa in particolare, ci invita a collocare la nostra vita in un contesto che dica di sì al tema della vita, al tema dell’amore, della giustizia, della pace …

    D. – Come ricordava, molti obiettori di coscienza, in questi 40 anni, hanno potuto offrire il loro contributo nell’ambito dei servizi proposti dalla Caritas …

    R. – Dicevamo del servizio civile: ma c'è anche ogni altra realtà in cui la Caritas offre la propria competenza, la propria tradizione, la propria disponibilità a raccordare, a coordinare... Penso ai terremoti, penso alle emergenze, penso alle alluvioni, penso ai teatri internazionali – i "caschi bianchi", anche – in cui offriamo competenza per aiutare giovani e meno giovani a rendere un servizio di coerenza a quei valori di cui dicevamo.

    D. - Che cosa può fare lo Stato per favorire la diffusione di una cultura contraria alla violenza?

    R. – Citavamo il servizio civile: ma anche attraverso la scuola, l’università, la cultura aiutare la conoscenza dei drammi che la guerra ha portato con sé; i valori che vengono dal Vangelo, dalla tradizione della Chiesa sono anche per larga parte presenti nella Costituzione della Repubblica, nelle tavole fondative dell’Europa, dell’Onu … Dare ambiti di partecipazione alla gente che sono sempre utili, perché quei valori si traducono nel concreto della realtà di ogni giorno.

    D. – In fondo, è una svolta culturale: il cosiddetto disarmo delle coscienze. Di cosa si tratta?

    R. – L’impegno educativo per il bene contro il male, per l’amore contro la violenza. Dobbiamo aiutare la gente – i giovani, ma non solo i giovani – a sentire questa responsabilità del bene e della solidarietà in tutti i campi: la scuola, lo sport, il rapporto quotidiano con la gente, con gli amici, gli ambiti della partecipazione, del lavoro e della solidarietà …

    D. – Il “no” alla violenza è anche, per estensione, un “sì” alla vita, contro tutte quelle pratiche che la calpestano e ne offendono la dignità, in particolare in ambito medico-sanitario …

    R. – Siamo qui al convegno sul tema dell’obiezione di coscienza al servizio militare, ma questi ragionamenti si possono e si devono applicare anche alle altre occasioni di doverosità dell'obiezione di coscienza, come quella in campo sanitario, in particolare sul tema della vita e contro l’aborto. Il magistero recente ci ricorda che è difficile impegnarsi in un campo, in un settore se non c’è un punto di partenza, nel campo poi della vita, che sottolinei l’esigenza di difenderla dall’inizio alla fine.

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    Convegno a "Civiltà Cattolica" sul Concilio Vaticano II nei diari del cardinale Tucci

    ◊   “La preparazione del Concilio nei diari del cardinale Tucci” è stato l’argomento, ieri, di una conferenza a Roma, presso la sede de “La Civiltà Cattolica”. Il padre gesuita Francesco Occhetta, lo storico Alberto Melloni e l’ex presidente del Consiglio italiano, Giuliano Amato, hanno affrontato, nel dibattito, il tema del valore storico di questi documenti, recentemente editi a cura di padre Giovanni Sale. Il servizio di Davide Maggiore:

    Durante i lavori del Concilio, padre Roberto Tucci – creato cardinale nel 2001 dal Beato Giovanni Paolo II – diede un contributo sia nella fase preparatoria, come componente della Commissione sull’Apostolato dei Laici, sia nella redazione del Decreto sullo stesso argomento, e della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno. I suoi diari, però, illuminano un aspetto in qualche modo inedito degli anni precedenti il Vaticano II. Lo spiega padre Francesco Occhetta, ‘scrittore’ della rivista “La Civiltà Cattolica”:

    “Emerge il livello pastorale di come Giovanni XXIII abbia accompagnato il Concilio. I diari di padre Tucci sono, praticamente, su come è iniziato il Concilio e come è stato preparato, per cui viene spiegato tutto. E’ una prospettiva nuova, perché qui parla a viva voce il Papa e negli altri studi no. Qui c’è una inufficialità e una familiarità di tratto, che non emerge da nessun’altra parte: quindi come padre Tucci veniva accolto dal Papa, come veniva congedato, quali erano le confidenze che gli faceva.”

    I diari sono un documento prezioso non solo dal punto di vista teologico, ma anche perché forniscono una testimonianza – oltre che sul loro autore – anche sulla persona di Giovanni XXIII. In questo senso, prosegue padre Occhetta, rappresentano.

    “…un unicum, nel senso che padre Tucci, appena veniva chiamato all’udienza, annotava tutto. Il Papa scriveva a livello spirituale e invece padre Tucci scriveva a livello di diario storico. Qui, allora, abbiamo una voce viva del Papa, che commenta alcune cose, racconta qualche aneddoto…”.

    Durante quegli anni, padre Tucci - futuro direttore generale della Radio Vaticana e organizzatore delle visite all’estero di Papa Giovanni Paolo II - dirigeva “La Civiltà Cattolica”. Dai diari emerge anche il ruolo informativo svolto dalla rivista dei Gesuiti durante il Concilio. Lo illustra ancora padre Occhetta:

    “Nel 1962, il cardinale Tucci fu chiamato dal Papa e il Papa gli chiese di trattare il Concilio Vaticano II come la Civiltà Cattolica aveva fatto con il Concilio Vaticano I, cioè di seguire tutte le cronache. Pertanto, tutte le cronache di Civiltà Cattolica venivano scritte da padre Caprile e riviste dal cardinal Tucci”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Brasile: almeno 245 morti per un incendio in una discoteca

    ◊   Almeno 245 persone hanno perso la vita a seguito di un incendio divampato in una discoteca di Santa Maria, nel Sud del Brasile, durante uno spettacolo pirotecnico. Al momento dell'incendio nel locale c'erano 2000 persone. Stando alle prime ricostruzioni riportate dalla stampa locale, una densa nube di fumo si sarebbe sviluppata quando l'isolante acustico che ricopriva le pareti del locale ha preso fuoco. Secondo i vigili del fuoco il bilancio delle vittime è ancora provvisorio. (M.G.)

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    Egitto: salito a 42 morti il bilancio degli ultimi scontri

    ◊   E' salito a 42 morti il bilancio, fornito da fonti mediche, degli scontri avvenuti in varie località dell'Egitto da venerdì scorso, a seguito della sentenza di condanna a morte per gli autori del massacro di un anno fa nello stadio di Port Said. Al momento nella cittadina egiziana regna la calma, in attesa di oggi pomeriggio quando si svolgeranno i funerali delle vittime degli scontri dei giorni scorsi davanti alla prigione cittadina. Al Cairo tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine sono ripresi in mattinata nella zona di piazza Tahrir, mentre l’ambasciata statunitense ha deciso di non aprire al pubblico. La strage al centro del caso giudiziario e delle tensioni di questi giorni avvenne dopo una partita vinta dalla squadra locale contro un prestigioso club cairota. All'invasione di campo, seguì una sparatoria:i morti furono 74. (M.G.)

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    Siria: operativi missili della Nato in Turchia

    ◊   Sono operative, da ieri, le prime batterie di missili Patriot schierate dalla Nato in Turchia, al confine con la Siria. L’iniziativa dell’Alleanza Atlantica ha suscitato già nelle scorse settimane forti critiche da Mosca e Teheran, e quest’ultima ieri ha lanciato un duro monito affermando che ogni attacco alla Siria sarà considerato come “un attacco all'Iran”. Intanto gli attivisti dell'opposizione segnalano nuovi bombardamenti governativi in sobborghi di Damasco, ad Aleppo, a Homs e nella provincia meridionale di Daraa, in una controffensiva delle forze lealiste che cercano di riguadagnare il terreno perduto. Il bilancio delle ultime 24 ore, fornito dai comitati locali, è di almeno 96 persone uccise, fra cui diversi bambini. Sempre l’opposizione ha aggiornato a 50 mila unità il numero complessivo delle vittime dall’inizio della guerra nel marzo 2011. (M.G.)


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    Il card. Scola all'inaugurazione del Memoriale della Shoah a Milano

    ◊   Il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha partecipato stamani all'inaugurazione, nel capoluogo lombardo, del Memoriale della Shoah. Si tratta di una struttura allestita al binario 21 della stazione centrale, da dove partivano i vagoni ferrati con i deportati per i campi di concentramento. Il cardinale Scola, nell’occasione, ha detto che ''non sfuggono le responsabilità storiche di taluni figli della Chiesa di fronte alle tragiche ingiustizie compiute contro i membri del popolo ebraico''. Alla cerimonia, hanno partecipato, tra gli altri, il rabbino capo Alfonso Arbib, il rabbino emerito Giuseppe Laras, il presidente del Consiglio italiano Mario Monti con il ministro Andrea Riccardi, e Ferruccio de Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano. La struttura ospiterà un percorso tematico: dalla “Sala delle testimonianze”, dedicata alle voci dei sopravvissuti, al “Cannocchiale della Discriminazione”, spazio multimediale di proiezioni in movimento, per arrivare al “Binario della Destinazione Ignota” e al “Muro dei Nomi”, dove sono ricordati i nomi di tutte le persone deportate dal Binario 21. Su 605 deportati quel 30 gennaio ne tornarono solo ventidue. (A.G.)

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    Myanmar: la società civile vuole la pace con la minoranza kachin

    ◊   In Myanmar, urge ripartire dalla pace: è l’appello lanciato dall’organizzazione Birmania Democratic Concern alle autorità del Paese, in merito al conflitto con la minoranza kachin che dura da 19 mesi ma si è intensificato nell'ultimo mese e del quale fanno le spese soprattutto bambini e anziani. Il messaggio, giunto anche all’agenzia Fides, è chiaro: “Non si può raggiungere la pace con la guerra”. L’appello, raccolto anche dalla società civile, si rivolge indiscriminatamente a entrambe le parti in lotta: sia al governo che ai ribelli, ma anche alla comunità internazionale, affinché vengano fatti tutti gli sforzi necessari per raggiungere l’obiettivo di una convivenza pacifica tra le diverse etnie che compongono il Paese e che ne costituiscono la ricchezza interna. “Crediamo nell’uguaglianza e promuoviamo l’armonia tra le diversità – si legge – crediamo nella pacifica coesistenza tra persone con idee, credenze, lingua, religione e costumi diversi”. Tra le richieste concrete, anche l’immediata cessazione delle ostilità militari e l’avvio di un tavolo di negoziato, e l’istituzione di un’unione federale che tuteli le minoranze. (R.B.)

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    Corea del Nord: nuove minacce dopo rafforzamento sanzioni Onu

    ◊   Il leader nordcoreano Kim Jong-Un continua a mostrare i muscoli alla comunità internazionale, annunciando l’arrivo di “sostanziali e importanti misure statali di alto livello”. Le parole, pronunciate durante un incontro con i vertici della sicurezza nazionale, sono state riportate dai media di Stato. Da quando, martedì scorso, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rafforzato le sanzioni nei confronti di Pyongyang in risposta al lancio del razzo nel dicembre scorso, la Corea del Nord ha lanciato una serie di moniti. Prima ha minacciato gli Usa indicandoli come obiettivo di “un test nucleare ad alto livello”, poi ha promesso “contromisure fisiche” nei confronti della Corea del Sud per aver sostenuto le sanzioni decise al Palazzo di vetro. (M.G.)

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    Giordania: missionarie in prima linea per i profughi siriani

    ◊   Drammatica testimonianza giunta all'agenzia Misna da una missionaria comboniana che lavora nell’ospedale di Karak, nel sud della Giordania, dove vengono accolti i profughi provenienti dalla Siria. “La nostra è una zona decentrata che non riceve aiuti né dal governo giordano né dalle Ong – racconta Alessandra Fumagalli – ma assistiamo soprattutto donne e bambini che hanno perso familiari e mariti e sono venuti in Giordania perché hanno dei parenti”. Quaggiù, infatti, sono stati indirizzati i circa diecimila profughi che non hanno trovato posto nei campi allestiti nel Nord, al confine con la Siria, già stracolmi. “Qui almeno sono vicini ai centri urbani, ma d’inverno fa molto freddo”, dichiara ancora la missionaria che assieme a cinque consorelle e una settantina di dipendenti gestisce l’ospedale, fondato nel 1939, l’unico nel raggio di 300 km, che ha la capacità di 40 posti letto. Secondo le stime dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Acnur), nel primo mese del 2013 sono già 30 mila i siriani che hanno passato la frontiera con la Giordania. (R.B.)

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    Roma: due clochard morti carbonizzati in un sottopasso

    ◊   Tragedia della solitudine a Roma: i corpi carbonizzati di due clochard sono stati ritrovati, stamani, dai Vigili del Fuoco nel sottopasso di Corso Italia, a due passi dalla centrale via Veneto. L’ipotesi degli inquirenti è quella di un incidente. Le fiamme sarebbero divampate intorno alle 4.30 di notte, provocate da qualcosa utilizzata dai due senza-tetto per scaldarsi dal freddo. Si cerca, comunque, di escludere qualsiasi altra ipotesi, compresa quella dell'atto doloso. Ancora ignote anche le identità delle vittime su cui si stanno eseguendo i rilievi della polizia scientifica. (M.G.)

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    Gianni Bottalico è il nuovo presidente delle Acli

    ◊   Gianni Bottalico, 56 anni, di origini pugliesi, è il nuovo presidente nazionale delle Acli, il tredicesimo nei quasi 70 anni di storia delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Eletto ieri, a Roma, dal Consiglio nazionale delle Acli, succede ad Andrea Olivero, dimessosi lo scorso 19 dicembre in ragione del suo impegno politico diretto. Nato a Bari, Bottalico è stato presidente delle Acli provinciali di Milano, Monza e Brianza dal 2004 al 2012. Ha collaborato in particolare con il cardinale Dionigi Tettamanzi per il progetto del Fondo diocesano di solidarietà per le famiglie colpite dalla crisi e della disoccupazione. Nel maggio del 2012, in occasione dell’ultimo Congresso nazionale delle Acli, era stato eletto vicepresidente nazionale, con delega alla Comunicazione. (A.G.)

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    Spagna: l’attività dei missionari spiegata ai ragazzi con un video

    ◊   Un giovane esce da un centro commerciale pieno di pacchetti, incontra per strada diversi poveri, ma non ci fa caso finché non approda davanti alla mensa parrocchiale: qui dà tutto quello che ha e inizia a volare; dal cielo vede un villaggio africano e capisce che è lì che vuole andare, per aiutare gli altri e portare la Buona Novella. È la trama del cartone animato intitolato “Quello che dà il missionario”, on line dal 21 gennaio scorso, che le Pontificie Opere Missionarie (Pom) della Spagna hanno promosso in occasione della Giornata dell’Infanzia missionaria nazionale, per spiegare ai bambini cosa significa partire per una missione. Questo l’obiettivo del progetto, spiegato all'agenzia Fides dal direttore nazionale delle Pom, don Anastasio Gil: “Far vedere come l’amore per i bisognosi sia l’occasione per scoprire la vocazione missionaria e la fonte della felicità e trasmetterla così agli altri”. Il video sarà trasmesso anche dalla tv spagnola "La2", mentre oggi, per celebrare la Giornata, sarà celebrata una Messa presso la Scuola Santissimo Sacramento di Madrid. (R.B.)

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    Namibia: l'impegno dei frati cappuccini per l'alfabetizzazione

    ◊   Dovrebbe concludersi entro il 20 febbraio prossimo, la distribuzione di testi e materiale scolastico che il Ministero dell’istruzione della Namibia ha avviato nel giugno dello scorso anno e che si poneva come obiettivo un milione e 700 mila libri per raggiungere tutte le scuole dello Stato. All'agenzia Misna è arrivata in merito la testimonianza di un cappuccino missionario che vive nel Paese da anni, padre Varghese Pulikkiyl: “Sono arrivati grembiuli, matite e sussidiari – ha detto – e anche 990 mila libri affinché nelle classi elementari ogni bambino abbia il proprio testo”. I cappuccini in Namibia, in cui l’analfabetismo si attesta al 12% della popolazione, gestiscono due scuole nella regione settentrionale di Caprivi, in località Bukalo. Nel frattempo, in Somalia, ha aperto la prima fabbrica di carta del Paese, interamente ecologica e in grado di produrre circa 700 mila quaderni in 16 ore. La fabbrica si trova a Hargeisa, nella regione settentrionale del Somaliland. Il materiale prodotto è destinato alla vendita al pubblico, ma si produrranno anche quaderni per gli esercizi degli studenti e libri di testo. (R.B.)

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    Angola: aumentano spese sociali, ma restano alte quelle militari

    ◊   In Angola, un terzo del budget statale è destinato a sanità, istruzione, costruzione di alloggi per i più poveri, protezione ambientale e cure sociali. Il governo dell’Angola investe nelle spese sociali, ma non rinuncia ai massicci fondi destinati al settore militare e alla sicurezza interna. Come denunciato dal giornale nazionale “Makaangola”, l’81% delle spese destinate alla presidenza serviranno a pagare l’apparato di sicurezza del presidente. L’agenzia Fides riporta inoltre che, nonostante i fondi ricevuti, l’esercito nazionale non riesce a garantire condizioni di vita tollerabili ai propri soldati, che spesso si ammalano di tubercolosi durante la permanenza nelle caserme fatiscenti, così come i poliziotti. La legge finanziaria prevede per il 2013 una spesa di circa 69 miliardi di dollari con un aumento del 50% rispetto allo scorso anno. L’Angola è noto per la sua ricchezza di risorse naturali e per il suo enorme potenziale agricolo, ma rimane un Paese con enormi difficoltà, relegato al 148.mo posto nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. (L.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 27

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.