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Sommario del 24/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: portare "la luce gentile della fede" nei social network, non sono mondi paralleli
  • Mons. Celli: il Papa sui social network corre il rischio del dialogo con tutti
  • Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Glemp: difensore della dignità dell'uomo in tempi difficili
  • Dieci anni fa la scomparsa di Gianni Agnelli. Il Papa: si impose per le sue notevoli qualità di imprenditore
  • Messaggio del card. Turkson per la Giornata di intercessione per la pace in Terra Santa
  • Padre Lombardi: strage elefanti e commercio avorio gravi, ma Vaticano che c'entra?
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Cameron a Davos: referendum su permanenza in Ue non significa voltare spalle a Europa
  • Mali: guerra silenziata ai media, continuano gli scontri tra francesi e islamisti
  • Campagna di Fao e Onu per ridurre gli sprechi alimentari
  • Il cardinale Scola e il rabbino Laras in dialogo a Milano
  • Presentato il libro " Banca e impresa". L'autore: profitto non schiacci la gente
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Mali: appello alla preghiera e alla solidarietà dei vescovi oggi ricevuti dal capo dello Stato
  • Appello delle Caritas del Sahel per un intervento immediato e prolungato
  • Mali: il conflitto armato aggrava il già precario sistema educativo
  • Paesi in via di sviluppo: solo il 50% delle bambine conclude le scuole primarie
  • Sudan. 350 associazioni civili africane: stop alla guerra nel Kordofan e Nilo blu
  • Nigeria: il vescovo di Kano condanna il fondamentalismo per l’attentato all’emiro musulmano
  • Voto in Israele: per padre Pizzaballa la questione palestinese è marginale
  • Vietnam: critiche del card. Pham Minh Man a nuovo decreto governativo su credenze religiose
  • Canada: la Chiesa contro la legalizzazione dell'eutanasia in Québec
  • Riunione dei vescovi croati e bosniaci sul rientro dei profughi cattolici in Bosnia
  • Messico: nella Settimana per l'Unità mons. Cabrera López chiede l'unione contro la violenza
  • Cile: un migliaio di giovani al primo Congresso della gioventù cattolica
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: portare "la luce gentile della fede" nei social network, non sono mondi paralleli

    ◊   I social media hanno bisogno dell’impegno di tutti i credenti. E’ l’esortazione di Benedetto XVI nel Messaggio per la 47.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali incentrato sul tema “Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione”. Nel documento, pubblicato oggi, il Papa sottolinea dunque che bisogna portare il Vangelo nei social network. Le reti sociali, scrive, non sono mondi paralleli e possono essere strumento di evangelizzazione e fattore di sviluppo umano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    I social network sono alimentati “da aspirazioni radicate nel cuore dell’uomo”. Benedetto XVI parte da questa constatazione per sviluppare il suo pensiero sull’importanza delle reti sociali per i cristiani. Questi spazi, osserva, “quando sono valorizzati bene e con equilibrio”, “possono rafforzare i legami di unità tra le persone e promuovere efficacemente l’armonia della famiglia umana”. E avverte che le persone che vi partecipano “devono sforzarsi di essere autentiche”, perché in questi spazi “in ultima istanza si comunica se stessi”. Al contempo, annota il Papa, la cultura dei social network pone “sfide impegnative a coloro che vogliono parlare di verità e di valori”. Il Papa non nasconde che a volte, “la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni” e non trova l’attenzione di chi invece si esprime “in maniera più suadente”. Ma proprio per questo, i social media hanno bisogno dell’impegno di tutti coloro che “sono consapevoli del valore del dialogo, del dibattito ragionato”. Anche perché, scrive, “dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre”.

    Il Papa rivolge dunque il pensiero proprio all’impegno dei credenti nelle reti sociali. E indica nell’essere inclusivi, la versa sfida dei social network. I credenti, è la riflessione del Papa, “avvertono sempre più” che se il Vangelo non è fatto conoscere “anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante”. E ribadisce: “L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale”, ma è “parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani”. Il Papa soggiunge che l’uso dei social network è richiesto “non tanto per essere al passo coi tempi, ma proprio per permettere” al Vangelo di “raggiungere le menti e i cuori di tutti”. Evidenzia quindi che l’autenticità dei credenti nelle reti sociali “è messa in evidenza dalla condivisione della sorgente della loro speranza e della loro gioia: la fede”. Una condivisione che deve consistere nella testimonianza del Vangelo, perché è la persona di Gesù Cristo a rispondere alle domande più radicali dell’uomo. Anche nell’ambiente digitale, “dove è facile che si levino voci dai toni troppo accesi e conflittuali” e a volte prevale il sensazionalismo – è il suo monito – “siamo chiamati a un attento discernimento”.

    I cristiani sono dunque chiamati a portare nei social network la “luce gentile della fede”, come diceva il Beato Newman. I social network, prosegue, “oltre che strumento di evangelizzazione, possono essere un fattore di sviluppo umano”. E constata che le reti “facilitano la condivisione delle risorse spirituali e liturgiche” e, anzi, possono “anche aprire ad altre dimensioni della fede”. Molte persone, infatti, scoprono on line esperienze di fede, di comunità o anche di pellegrinaggio. E così, rendendo il Vangelo “presente nell’ambiente digitale” si possono invitare le persone a vivere incontri di preghiera e celebrazioni in luoghi concreti, come chiese e cappelle. Il Papa conclude il suo messaggio con un’esortazione ai fedeli affinché non ci sia “mancanza di coerenza o di unità nell’espressione” e testimonianza del Vangelo sia nella realtà fisica che in quella digitale.

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    Mons. Celli: il Papa sui social network corre il rischio del dialogo con tutti

    ◊   Nella conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Papa per la 47.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni, mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, ha ribadito la necessità per Benedetto XVI di “abitare” i social network ed in particolare Twitter, nonostante alcune critiche ricevute su Internet. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    L’invito è uno e forte: ritwittare i messaggi del Papa che oggi – ha detto mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali – il 7% dei follower già rilancia. Una percentuale destinata ad aumentare. E’ dunque Twitter l’ambiente “istituzionale” nel quale essere nonostante nel passato ci siano state offese e commenti negativi all’indirizzo di Benedetto XVI:

    "Non siamo stati colti di sorpresa. Quando si entra in questo ambiente, innegabilmente si ritrova di tutto. Abbiamo avuto da un lato messaggi splendidi e dall’altro offese, formule che ironizzavano su certe cose. Provavamo dispiacere e disagio di fronte ad un fenomeno del genere, però ci dicevamo: “Se vogliamo scendere ad un dialogo con l’uomo di oggi e in questo ambiente, questo è il rischio che dobbiamo correre”. Quindi, oggi è il rischio che corriamo. Io preferisco però essere più presente che evitare una presenza per evitare un rischio".

    Un rischio, dunque, prevedibile e da correre ma si è cercato di arginare il fenomeno, ha detto mons. Claudio Maria Celli. Twitter è “una realtà laica”, alcune riflessioni sono state accolte altre no ma non c’è stata mai l’idea di un eventuale passo indietro:

    "Questo è il senso dell’Incarnazione. Il mio Signore, proprio nel momento supremo della Sua donazione di amore agli uomini, veniva deriso ed umiliato. E Lui è rimasto. Io credo che sia proprio questa dimensione di una presenza che il Papa garantisce. In certi momenti di deserto anche una goccia di rugiada fa bene al cuore".

    Al momento i follower sono più di due milioni e mezzo l’importante – ha ribadito il presule – non sono solo i numeri ma vedere in che misura gli amici del Papa ritwittano i suoi messaggi. Altra nota di particolare sorpresa: sono oltre diecimila i follower di Benedetto XVI, nell'account in latino. Esclusa infine una presenza del Papa in Facebook, come spiega mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali:

    "Ogni tweet è approvato dal Papa. Non sarebbe possibile garantire quel livello di autenticità con un sito personale del Papa; sarebbe troppo esigente".

    Nell’intervento che ha preceduto le domande dei giornalisti, mons. Celli ha anche illustrato i risultati di un’indagine del 2012 condotta dalla Georgetown University di Washington ed ha reso noto una ricerca di dati relativi a 21 Paesi dei 5 continenti. In entrambe è stato analizzato il modo in cui, in base alle fasce di età, si fruisce di Internet; interessante poi il dato su quanto si discute di religione sui social network. “In Paesi di ispirazione musulmana e con tendenze fondamentaliste – ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano – si discute molto di religione: il 53% in Turchia, il 63% in Egitto". Riprendendo poi i concetti espressi dal Papa nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mons. Celli ha definito i social media come “un ambiente esistenziale strutturato come rete” nel quale ascoltare in un atteggiamento non aggressivo, ma nel modo indicato da Benedetto XVI attraverso “un cammino più ricco, vero e umano”.

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    Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Glemp: difensore della dignità dell'uomo in tempi difficili

    ◊   Si è spento ieri, in un ospedale di Varsavia, il cardinale Jozef Glemp: operato nel marzo scorso per un tumore al polmone, aveva 83 anni. Il Papa ha espresso il suo cordoglio in un lungo messaggio in cui ha definito il porporato un difensore della dignità di ogni uomo in un'epoca difficile. I funerali dell’arcivescovo emerito di Varsavia si svolgeranno lunedì prossimo alle 11.00 nella Cattedrale della capitale polacca. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il Papa, in un telegramma al cardinale Kazirnierz Nycz, arcivescovo metropolita di Varsavia, esprime il proprio dolore per la morte del porporato, unendosi alla Chiesa in Polonia “nella preghiera di ringraziamento per la vita e l'impegno pastorale di questo benemerito Ministro del Vangelo”. “Caritati in iustitia – per la carità nella giustizia – questo motto episcopale – sottolinea Benedetto XVI - lo ha accompagnato durante tutta l’esistenza ed ha indirizzato il suo modo di pensare, di valutare, di fare le scelte, di prendere le decisioni e di offrire le linee dell’azione pastorale. Era un uomo ‘giusto’, nello spirito di san Giuseppe suo Patrono e di coloro che nella tradizione biblica hanno saputo ascoltare la voce della chiamata di Dio indirizzata non solo personalmente a loro, ma anche alle comunità, alle quali erano inviati. Tale giustizia – scrive il Papa - ricca dell’umile adesione alla volontà di Dio, è stata la base del suo profondo amore per Dio e per l’uomo, che era la luce, l’ispirazione e la forza nel difficile ministero di guida della Chiesa in un’epoca, in cui significative trasformazioni sociali e politiche interessarono la Polonia e l’Europa”. Il Santo Padre ricorda, poi, che “l’amore di Dio e della Chiesa, la premura per la vita e la dignità di ogni uomo, hanno fatto di Lui un apostolo dell’unità contro la divisione, della concordia davanti allo scontro, della comune costruzione di un futuro felice sulla base delle passate, gioiose e dolorose esperienze della Chiesa e del popolo”. E continuando l’opera del cardinale Wyszynski, in costante comunione e legame spirituale con Giovanni Paolo II, “con grande prudenza, risolveva tante questioni e problemi nella vita politica, sociale e religiosa dei Polacchi. Fidandosi della Provvidenza Divina – nota Benedetto XVI - guardava con ottimismo verso il nuovo millennio, nel quale gli è stato dato di introdurre la comunità dei credenti in Polonia”. “Nell’ultima tappa della sua vita ricorda - era provato dalla sofferenza che sopportava con serenità di spirito. Anche in questa prova è rimasto testimone dell’affidamento alla bontà e all’amore di Dio onnipotente”. “Personalmente – conclude il Papa - ho sempre apprezzato la sua sincera bontà, la semplicità, l’apertura e la cordiale dedizione alla causa della Chiesa in Polonia e nel mondo. Così rimarrà nella mia memoria e nella preghiera. Che il Signore lo accolga nella sua gloria!”.

    Il cardinale Glemp è stato un protagonista nella vita ecclesiale e civile della Polonia. Di umili origini, nasce il 18 dicembre 1929 da una famiglia di minatori di sale. Costretto a lavorare in campagna durante l’occupazione nazista, entra successivamente in seminario: sacerdote a 26 anni, diventa uno dei più stretti collaboratori del cardinale Stefan Wyszyński, grande testimone della fede durante la persecuzione comunista. Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Warmia nel 1979. Nel 1981 diventa arcivescovo di Gniezno-Varsavia e primate di Polonia, titolo che conserverà fino al 2009. Due anni più tardi diventa cardinale. Durante i momenti più difficili della dittatura, in particolare quando il generale Jaruzelsky impone la legge marziale per reprimere il sindacato Solidarnosc, esorta i polacchi ad evitare le lotte fratricide. Il cardinale Glemp svolge così un delicato ruolo di mediatore con i rappresentanti del potere comunista, appoggiando nel 1989 la Tavola rotonda tra regime e opposizione democratica che segna la svolta democratica in Polonia, gestendo infine il ritorno della Chiesa polacca alla vita pubblica, con la firma del nuovo concordato fra Stato e Santa Sede nel 1993.

    Un uomo di grande saggezza che ha aiutato la Polonia a passare dalla dittatura alla democrazia senza spargimenti di sangue: così ricorda il cardinale Glemp, l’arcivescovo di Cracovia Stanislaw Dziwisz. Un opinione condivisa dall’arcivescovo di Przemyśl, Józef Michalik, attuale presidente della Conferenza Episcopale Polacca:

    R. – Era un uomo molto stimato, di una sapienza pastorale, che aveva imparato a fianco del servo di Dio, cardinale Wyszyński. Un uomo di una fede profonda, un pastore disponibile, che dedicava la sua vita alla Chiesa. Era anche molto umile nei contatti con la gente. La collaborazione con lui era veramente un piacere. Era una lezione di modestia, nella ricerca di conclusioni soddisfacenti per tutti, che non era sempre facile. Era un uomo che irradiava pace. Provato dalla malattia, accettava pienamente la volontà del Signore ed era pieno di speranza.

    D. – Del cardinale Glemp si ricorda in particolare la delicata mediazione nel passaggio in Polonia dalla dittatura comunista alla democrazia...

    R. – Sì, si è trovato a dover entrare in una situazione molto delicata. Era un uomo di dialogo e pure un uomo di capacità, in grado di aiutare a trovare soluzioni positive. La sua apertura, quindi, si è mostrata anche in quel momento.

    Riascoltiamo la voce del cardinale Glemp. Intervistato dalla Radio Vaticana alla vigilia della visita di Benedetto XVI in Polonia, nel maggio del 2006, descriveva la realtà del suo Paese:

    R. – Siamo consapevoli che nonostante la fede, la fede viva dei polacchi, ci sono anche delle debolezze, delle mancanze in campo sociale come in campo socio-morale. Questa è la nostra preoccupazione come cristiani. Non sempre diamo vere testimonianze di fede. Cresce per esempio la crisi della famiglia. Sicuramente il Santo Padre rafforzerà la nostra fede, dando una spinta all’apostolato.

    D. – Cosa attendono i giovani polacchi dal Papa?

    R. – I giovani polacchi conoscono il Papa già da prima, quando era cardinale. In tantissimi hanno partecipato a Colonia, quando c’è stato l’incontro con la gioventù di tutto il mondo. Quindi, Benedetto XVI è ben conosciuto fra i nostri giovani, che lo amano. Lo attendono veramente con amicizia, sapendo che anche lui è amico dei giovani, perché segue la linea di Papa Giovanni Paolo II. Credo che i giovani siano veramente in prima linea per questo incontro con il Santo Padre, per esprimere la nostra fede e il nostro amore.

    D. – Qual è il significato della visita del Santo Padre ad Auschwitz?

    R. – Questo è un luogo dove la stessa umanità è stata messa alla prova. E’ un luogo dove è stato commesso un grande peccato. Quindi, il Santo Padre vuole stare con la sua preghiera in questi luoghi tanto significativi per il male che è stato compiuto.

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    Dieci anni fa la scomparsa di Gianni Agnelli. Il Papa: si impose per le sue notevoli qualità di imprenditore

    ◊   In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, Benedetto XVI esprime la “sua sentita partecipazione e la sua preghiera” nel decimo anniversario della morte del senatore Giovanni Agnelli. L’Italia lo ricorda con una Messa solenne, questa mattina, nel Duomo di Torino, presieduta dall’arcivescovo Cesare Nosiglia. Presenti alla celebrazione, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, familiari, politici, esponenti della Fiat e della Juventus e tanta gente che ha potuto seguirla attraverso un maxi-schermo montato all’esterno della Cattedrale. Il servizio di Debora Donnini:

    “Una personalità che, per oltre mezzo secolo, si impose all’attenzione nazionale e internazionale per le sue notevoli qualità di imprenditore”. Così il Papa in un telegramma ricorda l’avvocato Giovanni Agnelli, a dieci anni dalla sua scomparsa. Richiamando “la sua fede che ne ha coronato la lunga e feconda esistenza”, Benedetto XVI affida la sua anima alla materna intercessione della Vergine, aggiungendo il suo “personale orante ricordo”. Una folla commossa ha riempito la Cattedrale di Torino, adornata con fiori bianchi e gonfaloni delle istituzioni locali, della Fiat, della Juventus. Nell’omelia mons. Nosiglia ha affermato che Giovanni Agnelli “ha speso la parte conclusiva della propria vita a lottare, con tutte le sue forze e la sua intelligenza, per difendere non solo la sua fabbrica, ma tutto quanto essa rappresentava per Torino e per l’Italia”. L’avvocato aveva la consapevolezza che, in un mondo globalizzato, “non si trattava solamente di custodire una bandiera” – prosegue l’arcivescovo – ma di salvaguardare il fitto patrimonio di attività accumulato nei decenni.

    Ad attendere il capo dello Stato sul sagrato della Cattedrale, il presidente della Fiat, John Elkan con la moglie Lavinia e Lapo Elkan. Oltre alla vedova di Gianni Agnelli, Marella, a prendere parte alla celebrazione esponenti dell’azienda e del mondo imprenditoriale, a cominciare dall’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, politici, tre ministri – Elsa Fornero, Francesco Profumo e Vittorio Grilli -, rappresentanti della “sua” Juventus come il capitano Gigi Buffon e i ragazzi della primavera della squadra bianconera.

    E’ importante manifestare anche pubblicamente “sentimenti di riconoscenza” per i frutti del suo impegno, sottolinea ancora l’arcivescovo. Anche per aver creato sul territorio nuove opportunità di lavoro. “È questo oggi un richiamo - afferma mons. Nosiglia - per tutti coloro che possiedono questo ‘talento’, fatto di risorse e opportunità e sono chiamati a metterlo a disposizione per il bene di tutti, ricercando vie innovative e coraggiose” per riportare speranza nel futuro “di cui non solo la nostra Città, ma l’intero Paese ha bisogno”. E la fede è uno di quei talenti per costruire un futuro di progresso. In un messaggio, l’arcivescovo emerito di Torino, il cardinale Severino Poletto, sottolinea che riguardo alla Fiat di oggi, Agnelli saprebbe trovare il coraggio “di osare strade e scelte innovative” per superare la stagnazione lavorativa e soprattutto “per garantire il radicamento a Torino di questa azienda” molto ridimensionata rispetto ai suoi tempi, ma che deve continuare nella responsabilità di sentirsi chiamata “a rimanere un riferimento importante”.

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    Messaggio del card. Turkson per la Giornata di intercessione per la pace in Terra Santa

    ◊   “Opera la pace chi ama e serve la vita nella sua integralità”: è questo il titolo del messaggio che il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha diffuso in occasione della quinta “Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa”. L’iniziativa di preghiera, che si terrà domenica prossima, 27 gennaio, nasce con il patrocinio dal dicastero vaticano e dalla volontà di alcune associazioni cattoliche giovanili. Per l’edizione 2013, si prevede il coinvolgimento di circa tremila città del mondo, unite alle comunità dei luoghi del Signore nella condivisione e nel sostegno delle loro necessità.

    “L’aspirazione alla pace – scrive il cardinale Turkson – coincide con il desiderio dello sviluppo integrale di tutti e di ciascuno”. Il porporato prende quindi spunto dal Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2013, intitolato “Beati gli operatori di pace”, per ribadire che la pace e il bene comune si realizzano attraverso il rispetto e la promozione della vita umana “a cominciare dal suo sorgere, dal suo svilupparsi e sino alla sua fine naturale”. Centrale, in questo senso, il legame che il cardinale Turkson evidenzia tra l’educazione alla pace e la nuova evangelizzazione, poiché è dall’incontro con Dio e dalla comunione con Lui che “derivano una nuova visione dei rapporti tra persone e istituzioni, una nuova morale, nuove culture, nuove scale di beni-valori, nuove scelte, nuovi atteggiamenti e stili di vita, novi umanesimi”. Quindi, il porporato rimarca come “in un contesto che tende ad emarginare Dio e ad essere indifferente nei suoi confronti”, una comunione più profonda con Lui rende gli uomini capaci di “farsi portatori di un nuovo modello di sviluppo e di un concetto di bene comune più completo e più aperto alla trascendenza”.

    Di qui, l’esortazione del cardinale Turkson a essere “operatori di pace a trecentosessanta gradi, tutelando ed implementando tutti i diritti ed i doveri dell’uomo e delle comunità”, poiché “la pace ed il bene comune si perseguono comunitariamente, realizzando il bene pieno di ogni essere umano, di ogni popolo”. Infine, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace esorta i fedeli a dare il proprio contributo, attraverso la preghiera, “a quella delicata porzione di Chiesa in Medio Oriente” e, in particolare, invita i giovani a “forgiare la vita sul Vangelo”, nella sequela di Cristo che ci chiede sempre di essere “operatori di pace”. (I.P.)

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    Padre Lombardi: strage elefanti e commercio avorio gravi, ma Vaticano che c'entra?

    ◊   La Chiesa non ha mai incoraggiato l’uso dell’avorio per gli oggetti devozionali e in Vaticano non vi è alcun negozio che li venda. Lo afferma padre Federico Lombardi in una lettera di risposta alla rivista “National Geographic”, che ha dedicato un’inchiesta sul tema del commercio illegale dell’avorio, chiamando in causa il Vaticano. Al contrario, replica padre Lombardi, tutto il magistero della Chiesa esprime una “condanna morale generale” per chi danneggia l’ambiente, la flora e la fauna. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La strage degli elefanti “è un fatto gravissimo” e il commercio illegale dell’avorio un fenomeno “grave”. Su questo il Vaticano non ha alcun dubbio. Del resto, dai Papi e della Chiesa arriva un insegnamento generale che non può essere equivocato e padre Lombardi lo ribadisce all’inizio della sua lettera: la “creazione – si afferma – è affidata alle persone umane per essere coltivata e custodita come un dono prezioso ricevuto dal Creatore, e quindi non distrutta, né trattata con violenza e sfruttamento, ma trattata con grande responsabilità verso le creature stesse e verso le future generazioni umane che devono poter continuare a godere di beni essenziali e meravigliosi”. Da ciò, prosegue, si evince una “condanna morale generale delle azioni umane che portano danno all’ambiente, alla flora e alla fauna”.

    Stabilito ciò, con la citazione di vari documenti magisteriali, padre Lombardi passa all’altro punto spinoso sollevato dall’inchiesta del “National Geographic”, quello del presunto coinvolgimento del Vaticano, da cui il profluvio di messaggi ed email che, riferisce, hanno affollato il suo ufficio negli ultimi tempi e non sempre con toni “gentili”. Ebbene, tanto l’inchiesta (“Ivory Worship”) quanto i messaggi contengono inesattezze bisognose di chiarimenti. Anzitutto, scrive padre Lombardi, in 70 anni di vita nella Chiesa “non ho mai sentito o letto neppure una parola che incoraggiasse l’uso dell’avorio per gli oggetti devozionali”, né – prosegue – “vi è mai stato un incoraggiamento da parte della Chiesa ad usare l’avorio piuttosto che qualsiasi altro materiale” per realizzarli. Anche perché – soggiunge – “non vi è mai stato nessun motivo per pensare che il valore di una devozione religiosa sia collegato alla preziosità del materiale delle immagini che utilizza”. “Tanto meno vi è alcuna organizzazione promossa o incoraggiata dalle autorità della Chiesa cattolica per commerciare o importare avorio”. Quanto al supposto commercio “dentro” il Vaticano, padre Lombardi afferma che nel piccolissimo Stato governato dalla Chiesa cattolica “non vi è alcun negozio che venda oggetti in avorio ai fedeli o ai pellegrini”. Per ciò che riguarda il negozio “Savelli” nei pressi di Piazza S. Pietro, chiarisce, “appartiene a privati” e quindi il Vaticano non ha in merito “alcuna responsabilità o controllo da esercitare”. Come non ne ha nei riguardi del prete nelle Filippine indiziato di commercio illegale di avorio. Anche in questo caso, il Vaticano “non ne sa nulla e non ha niente a che fare con lui”, dichiara padre Lombardi, che precisa: “La responsabilità di quello che fa un prete nelle Filippine è anzitutto sua, e le autorità civili delle Filippine possono e devono punirlo se fa traffici illeciti”, così come in ogni autorità nel resto del mondo.

    L’articolo del National Geographic chiama in causa anche il costume di fare doni in avorio da parte dei Pontefici. In anni di attività vaticana seguita da vicino, riferisce padre Lombardi, “personalmente non ho mai visto un dono in avorio fatto dal Papa ai suoi visitatori” e quello che, secondo la rivista, Giovanni Paolo II avrebbe fatto oltre 25 anni fa al presidente Reagan sarebbe, “se vero”, “un’eccezione”. Talvolta capita il contrario, e cioè che qualcuno faccia dei doni in avorio al Papa. Ma, per fare un esempio recente, la scacchiera realizzata in quel materiale e donata lo scorso novembre dal presidente della Costa d’Avorio a Benedetto XVI era realizzata, assicura padre Lombardi, con “avorio legale”.

    Considerando di “nessun rilievo concreto” un’eventuale adesione del Vaticano alla Convenzione per la protezione della flora e della fauna (Cites) – poiché, spiega, “non c’è alcuna istituzione della Città del Vaticano o della Santa Sede che abbia a che fare con il commercio di specie vegetali o animali a rischio” – padre Lombardi indica in tre punti il miglior contributo che potrebbe venire da un impegno da parte vaticana per contrastare questo grave fenomeno, e cioè mettere in campo un’opera di “informazione e responsabilizzazione” attraverso i suoi organismi. Primo, coinvolgendo il dicastero di Giustizia e Pace – che è più direttamente connesso con le tematiche della tutela ambientale – l’approfondimento giornalistico offerto dalla Radio Vaticana e una maggiore diffusione degli studi della Pontificia Accademia delle Scienze “sui temi ambientali e la biodiversità”. “Non fermeremo con questo la strage degli elefanti – conclude padre Lombardi – ma almeno avremo collaborato a cercare concretamente delle soluzioni per fermarla con le nostre possibilità informative e formative”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Autenticità e verità nella cultura dei social network: nel messaggio per le comunicazioni sociali il Papa indica i valori di riferimento per il popolo del mondo digitale. In cultura, sulla giornata mondiale un articolo di José Maria Gil Tamayo dal titolo "Uno sguardo all'essenziale" e un articolo di José Gabriel Vera sulla consegna dei nove riconoscimenti del Premio Bravo 2013, organizzato dalla Commissione episcopale dei mezzi di comunicazione sociale spagnola.

    Una verità che deve essere annunciata, costi quel che costi: anticipazione dell'intervento del cardinale segretario di Stato in occasione della presentazione, oggi pomeriggio, del libro "La porta stretta", che raccoglie le prolusioni che il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo metropolita di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, ha tenuto nel corso delle assemblee episcopali e delle riunioni del consiglio permanente della Cei.

    Nell'informazione internazionale, la sfida della Corea del Nord agli Stati Uniti: annunciato un nuovo test nucleare.

    In cultura, un articolo di Antonio Paolucci dal titolo "Davanti alla scala della fede": il primo febbraio si avvia il restauro dei dipinti murali del santuario della Scala Santa.

    Impegno comune per il rinnovamento: nell'informazione religiosa, Matthias Turk, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sul dialogo con la Federazione luterana mondiale e la Conferenza dei vescovi veterocattolici dell'Unione di Utrecht.

    La morte del cardinale Jozef Glemp, protagonista della Polonia in un'epoca di grandi trasformazioni sociali e politiche.

    Il talento al servizio del bene comune: alla presenza del presidente della Repubblica italiana, la messa - celebrata dall'arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia - per i dieci anni dalla morte di Giovanni Agnelli; telegramma del cardinale segretario di Stato.

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    Oggi in Primo Piano



    Cameron a Davos: referendum su permanenza in Ue non significa voltare spalle a Europa

    ◊   E’ teso il dibattito politico in Europa dopo l’ipotesi del premier britannico Cameron di indire un refendum, dopo il 2015, in cui i cittadini di “sua maestà” potranno scegliere, con chiarezza, se rimanere o meno nell'Unione Europea. Intervenendo oggi al “World Economic Forum” di Davos, Cameron è tornato sull’argomento sottolineando che la sua proposta “non significa voler voltare le spalle all'Europa, ma rendere l'Unione più competitiva, aperta a flessibile". Ma quali sarebbero le conseguenze di un’uscita di Londra dall’Ue? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista Giovanni Marseguerra:

    R. - Le conseguenze di un’uscita di Londra dall’Unione Europea sono difficili da valutare con precisione. Esistono dei precedenti storici diversi. Certamente, dietro la decisione di Cameron c’è la complessa partita della revisione dei Trattati a livello comunitario. È opportuno che questo momento fondamentale per il futuro dell’Europa sia vissuto da tutti i partecipanti come un momento di maggiore solidarietà, coesione e partecipazione. Il rischio che ciascuno guardi soltanto ai propri interessi è un rischio concreto, ed è quindi necessario che questo venga ridotto al minimo con comportamenti - appunto - solidali.

    D. - Germania e Francia hanno reagito molto duramente dicendo che l’Europa non può essere decisa "à la carte". I rapporti tra Londra, Berlino e Parigi, secondo lei, potrebbero peggiorare davvero in seguito a questa vicenda?

    R. - Se Londra pensa di subordinare la sua accettazione della revisione dei Trattati - che sono necessari per salvare l’Eurozona, e crede di subordinare questa concessione a una maggiore concessione di poteri alla Gran Bretagna - credo rischi di scardinare la costruzione europea, quindi di non andare nella direzione, che lo stesso Cameron peraltro auspica, di un’Europa più forte.

    D. - Non bisogna dimenticare che la "City" è la piazza più importante dal punto di vista finanziario che abbiamo in Europa…

    R. - Certamente. Infatti, abbiamo avuto una chiara indicazione di questo. Se lei pensa soltanto all’opposizione che ha fatto Londra relativamente all’accordo sulla vigilanza bancaria e ad una serie di norme di riforma del sistema finanziario... D’altro canto, Londra è un partner dell’Europa formidabile: se noi consideriamo l’Eurozona, nel 2011 in termini di interscambio, l’Eurozona nel commercio con il Regno Unito ha 213 miliardi di euro di export e 166 di import. Quindi, questo dice che in termini di commercio internazionale c’è una fortissima integrazione.

    D. - Secondo le previsioni da qui al 2015, data oltre la quale si dovrebbe tenere questo referendum, l’Europa dovrebbe essersi lasciata alle spalle la crisi… In tal caso, secondo lei, Londra potrebbe fare un passo indietro?

    R. - Il discorso di Cameron è subordinato a una serie di condizioni: prima di tutto i conservatori dovrebbero vincere le elezioni del 2015 e poi successivamente fare il referendum. Quindi, è subordinato a molti se. Io credo che dietro, come ho già accennato in precedenza, c’è la partita della revisione dei Trattati in cui temo che la Gran Bretagna voglia strappare delle concessioni. Credo, inoltre, che la crisi dovrebbe invece consigliare un atteggiamento diverso: non tanto guardare ai propri interessi quanto alla solidarietà comune.

    D. - All’inizio, lei ha parlato di altri casi che si sono verificati in passato, credo si riferisse alla Grecia, che ha più volte minacciato di voler uscire dall’Europa… In quel caso, però, si tratterebbe di un Paese appartenente all’Eurozona. Al di là del peso economico di un membro Ue, sarebbe più destabilizzante l’uscita di Londra o di Atene?

    R. - Certamente, il peso della Gran Bretagna nell’Unione Europea è maggiore di quello della Grecia nell’Eurozona per una serie di motivi che fanno riferimento a rapporti commerciali, scambi, tecnologia… Dunque, certamente l’uscita di Londra non avrebbe conseguenze solamente economiche, ma credo avrebbe anche conseguenze politiche in termini di tenute dell’area dell’Unione Europea, perché credo che risveglierebbe i nazionalismi sopiti in parte, ma non del tutto, che ci sono in ogni Stato. Anche noi, in Italia vediamo tante volte riemergere un anti-europeismo che non ci appartiene, ma che spesso viene rinfocolato da affermazioni come questa di Cameron.

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    Mali: guerra silenziata ai media, continuano gli scontri tra francesi e islamisti

    ◊   Proseguono le operazioni di guerra in Mali, dove all’offensiva dei ribelli islamisti che occupano le regioni del Nord, si oppongono le truppe francesi scese in campo accanto all’esercito governativo, senza ancora un mandato dell’Onu, mentre il primo contingente della Forza africana di sostegno a Bamako è diretto verso il centro del Paese. E, stamane, la notizia della spaccatura in seno ai ribelli da parte dei moderati dell’Azawad, pronti a trattare con la Francia. Il servizio di Roberta Gisotti:

    13 giorni di intervento armato in Mali sono costati finora alla Francia 30 milioni di euro, ha dichiarato il ministro delle Difesa francese Jean-Yves Le Drian. Difficile invece valutare i costi umani di questa guerra che già registra violazioni dei diritti umani, come esecuzioni sommarie e altre atrocità, tanto che Human Rights Watch ha chiesto l’invio di osservatori. Fabio Bucciarelli, fotoreporter in Mali, ci conferma la preoccupazione per una guerra ‘silenziata’ ai media:

    R. - Sono a Segoù dove fanno base i giornalisti. Nei giorni scorsi sono stato a Niono, attendendo la liberazione di Jabali da parte delle truppe francesi. Siamo andati a Jabali, dopo quattro giorni di attesa e abbiamo trovato una città distrutta dai bombardamenti degli elicotteri francesi. Una cosa che ci tengo a precisare è che in questo momento c'è un forte blackout sui media. I francesi non fanno accedere alle front-line e, come dicevo, prima di arrivare a Jabali, che era la città contesa nella zona ovest del Paese, abbiamo atteso quattro giorni. Nel momento che siamo arrivati non abbiamo visto né feriti, né morti, né combattimenti. E' la guerra più surreale che abbia coperto. I francesi non vogliono fare accedere ai campi di battaglia. Quello che i giornalisti internazionali stanno facendo è seguire le truppe francesi, una volta che le zone sono state liberate. L'altro ieri sono andato sul fronte Nord, a Mopti, a Sevaré; in quel caso sono arrivato a 25 km da Sevaré e i checkpoint delle truppe del Mali non ci hanno fatto passare e siamo dovuti tornare indietro.

    D. - Quindi è molto diffcile fare valutazioni? Ad esempio, le agenzie ci dicono che il primo contingente della Forza africana autorizzata all'intevento in Mali ha iniziato ieri a muoversi verso il centro del Paese?

    R. - Un po' dappertutto ci sono militari e checkpoint sparsi tra diverse città però non fanno avvicinare alle zone di combattimento, quindi notizie di prima mano sul fronte non ci sono.

    Intanto, dalle Caritas della regione del Sahel giunge un appello per un intervento immediato a sostegno della popolazione civile del Mali. E’ urgente quindi l’apertura di corridoi umanitari per fornire beni di prima necessità ed anche aiuto psicologico. Da gennaio, altri 9 mila profughi si sono aggiunti ai 400 mila già presenti tra sfollati interni al Mali e rifugiati nei Paesi limitrofi.

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    Campagna di Fao e Onu per ridurre gli sprechi alimentari

    ◊   Pensa, mangia e risparmia. E’ il tema della campagna mondiale contro gli sprechi alimentari lanciata dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), dalla Fao e da altri partner. Ogni anno, secondi dati della Fao, è perduto o sprecato circa un terzo di tutto il cibo prodotto a livello mondiale. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Ogni anno, si sprecano oltre 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Le fasi più delicate sono quelle della produzione, del raccolto e della distribuzione. Nei Paesi in via di sviluppo, si riscontrano soprattutto limiti nelle tecniche di raccolto e nelle strutture per l’immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati, si perdono grosse quantità di cibo a causa di errori dovuti alla confusione sulle etichette di scadenza e per standard di qualità che danno troppa importanza all’apparenza dei prodotti. A destare preoccupazione sono anche lo smodato consumo di terra, acqua e fertilizzanti. Diversi i programmi, a livello internazionale, per rispondere a queste criticità. Camelia Bucatariu, esperta per lo sviluppo delle politiche collegate alla prevenzione e alla riduzione degli sprechi e delle perdite agroalimentari nell’ambito di “Save Food”, iniziativa gestita dalla Fao:

    “Quello su cui noi stiamo lavorando sono gli studi che verranno compiuti direttamente nei Paesi, sul campo, e che cercheranno il collegamento tra le perdite e gli sprechi e poi il collegamento tra le perdite e gli sprechi delle risorse naturali. Allo stesso tempo, valutiamo la possibilità di utilizzare questi dati per decidere quale misura intraprendere, quale possa essere la misura più coerente dal punto di vista economico, sociale e anche ambientale”.

    Rilevante anche il comportamento di molti consumatori incide sugli sprechi alimentari. Quantità eccessive di cibo acquistate, tecniche di conservazione inappropriate e pasti troppo abbondanti sono alcune delle malsane consuetudini, ravvisabili soprattutto nei Paesi industrializzati. Ancora Camelia Bucatariu:

    “Tutti siamo consumatori. Tutti noi abbiamo un contributo da dare alla riduzione degli sprechi alimentari. Come consumatori dobbiamo prima di tutto essere consapevoli dei nostri comportamenti: quanto cibo compriamo? Consumiamo davvero tutto quello che compriamo? Una volta che avremo comprato il cibo, avremo cura di preservarlo nelle condizioni indicate per i prodotti acquistati? Possiamo contribuire direttamente a ridurre il nostro spreco semplicemente essendo consapevoli di quello che consumiamo. Di certo, l’impatto economico per quello che riguarda lo spreco alimentare è molto alto: non consumiamo e non sprechiamo soltanto risorse naturali, ma sprechiamo anche risorse economiche che ci riguardano direttamente, come lo spreco delle risorse naturali”.

    Per promuovere una cultura mondiale alimentare sostenibile il sito della campagna www.thinkeatsave.org offre preziosi suggerimenti. E’ necessario che siano coinvolti tutti e in particolare famiglie, supermercati, catene alberghiere, scuole, associazioni, sindaci e leader mondiali.

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    Il cardinale Scola e il rabbino Laras in dialogo a Milano

    ◊   La Bibbia dimora condivisa per ebrei e cristiani. Nei sacri testi si realizza quell’incontro che da quindici anni unisce a Milano ebrei e cattolici, che si confrontano nel corso dei “Dialoghi a due voci”. L’iniziativa, avviata dal Centro San Fedele e la Fondazione Maimonide, ha visto ieri uno di fronte a l’altro due personalità d’eccezione. Ce ne parla Fabio Brenna:

    Protagonisti di questo rinnovato Dialogo, il cardinale Angelo Scola e il rav Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del centro-nord Italia. Ribadendo la centralità della Bibbia, il Rav Laras ha indicato la necessità di andare oltre il considerarla solo come fonte dottrinale:

    “Questa straordinaria fonte di vita, che è la Torah e che sono i testi sacri, ha influito nel corso del tempo sull’umanità ma non troppo, per cui bisognerebbe cercare di fare in modo che la lettera, i contenuti e lo spirito dei testi sacri, influissero maggiormente”.

    Il cardinale Scola, fornendo alcune piste di sviluppo per il dialogo, ha posto la sfida di allargarlo al mondo dell’islam, che pure si fonda sull’obbedienza al Dio unico:

    “Questo rapporto, secondo me, può dare un contributo sostanziale alla vita buona di tutti i Paesi del mondo, pur nelle loro diversità istituzionali, costituzionali, di cultura, di storia e di tradizione. Bisogna che le religioni mostrino questo fatto, perché c’è talora la tentazione di pensare che le religioni dividano e, invece, quando sono autenticamente vissute, non è così”.

    Il cardinale Scola ha poi evidenziato come positivo per lo sviluppo del dialogo, il fatto che stia diventando una pratica di popolo, e che decisivi saranno i matrimoni misti e le altre esperienze concrete di condivisione di culture differenti. La lunga amicizia fra il cardinale Martini e il popolo d’Israele si materializzerà in una foresta, dedicata proprio all’arcivescovo scomparso nell’agosto scorso, e che, in suo onore, sorgerà nei pressi di Tiberiade, in Galilea, su iniziativa del Fondo Nazionale Ebraico (KKL), la fondazione Maimonide, i Padri gesuiti e la Cei.

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    Presentato il libro " Banca e impresa". L'autore: profitto non schiacci la gente

    ◊   Riscoprire una rete di relazioni più solide e dense di fiducia tra il sistema bancario e il tessuto industriale. Questo l’obiettivo del libro “Banca e impresa – Un nuovo rapporto per nuove sfide”, scritto da Giovanni Morzenti, amministratore economico del Centro di orientamento pastorale ed edito da Tangram edizioni. Il volume è stato presentato a Roma in questi giorni, dall’Associazione culturale GreenAccord Onlus. Marina Tomarro ha intervistato l’autore e il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, autore della postfazione del testo:

    R. – La banca è depositaria di utili, magari delle imprese, e dall’altra parte deve finanziare le imprese. In questo momento, però, si presentano delle difficoltà enormi e le imprese non hanno credito. Si tratta di avere una visione di una banca sull’industria un po’ più familiare, un po’ più vicina, con un contatto un po’ più diretto, per far avere una risposta, che potrebbe essere anche negativa, ma che deve essere immediata, deve essere pronta e avere una ricaduta anche sul sociale, per l’occupazione. Questa è una delle situazioni fondamentali.

    D. – Perché le piccole banche del territorio hanno un ruolo così importante, per questo nuovo rapporto tra le banche e le imprese?

    R. – La banca del territorio è la più conosciuta, il direttore della banca conosce il direttore dell’azienda e, quindi, c’è uno scambio di informazioni che consentono di avere il quadro più preciso dell’impresa che deve essere finanziata. Vale anche, però, per la famiglia, perché la famiglia è conosciuta e se devono dargli un mutuo ipotecario sanno benissimo che, se per caso non riuscirà a pagare una rata, la pagherà dopo, con un interesse giusto ed equilibrato, perché il contatto è più diretto.

    D. – In che modo le banche possono maggiormente dare fiducia alle imprese e quindi favorire anche una ripartenza dell’economia italiana?

    R. – Il ragionamento è che la banca presta i soldi a chi li può restituire. Se la persona non li può restituire in sei mesi, deve consentire che li possa restituire in cinque anni. Quindi, bisogna allungare la parte del finanziamento. In un momento di crisi, magari gli immobili valgono meno, la redditività è un po’ più bassa e quindi bisogna rimodulare tutto questo. Hanno chiuso 100 mila imprese in Italia. La domanda è molto semplice: se le avessero aiutate un po’, almeno 15-20 mila non le avrebbero salvate? Quindi quante aziende avremmo salvato e quanti posti di lavoro? Magari questo costo sociale sarebbe stato spalmato su tanti e quindi con un maggior risultato.

    Ma in che modo il sistema bancario può riscoprire un’economia più umana, che vada ad aiutare anche le imprese? Ascoltiamo al riguardo il cardinale Francesco Coccopalmerio:

    "Anche le piccole imprese possono essere in qualche modo paragonate alla persona. Credo, quindi, che il sistema bancario dovrebbe veramente promuovere la persona umana e la piccola impresa. Il sistema bancario dovrebbe essere molto ramificato sul territorio, con tante filiali, dove ci siano funzionari: per esempio il direttore è una persona concreta, che si rapporta con persone concrete, quelle che vengono a chiedere aiuto o credito. Penso che fra persone concrete ci si possa intendere. Questo potrebbe essere di grande vantaggio, non soltanto per chi chiede aiuto, chi chiede un credito, ma anche per la stessa banca che deve fare profitto, ma profitto nel senso buono della parola, che cioè innanzitutto metta davanti a sé il servizio. Io credo che una banca che si preoccupa innanzitutto del servizio, del bene, della persona che chiede aiuto, ne avrà poi a sua volta un vantaggio".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Mali: appello alla preghiera e alla solidarietà dei vescovi oggi ricevuti dal capo dello Stato

    ◊   “Da oltre un anno il nostro Paese si trova in una crisi profonda. All’inizio del nuovo anno questa crisi è entrata in una fase cruciale” affermano i vescovi del Mali in una lettera indirizzata alla comunità cattolica locale e a tutti i maliani. Il documento - riferisce l’agenzia Fides - è stato pubblicato al termine della sessione ordinaria della Conferenza episcopale che si è tenuta nei giorni scorsi a Bamako. In occasione della loro riunione, come riporta a Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali, i vescovi hanno visitato i feriti dei combattimenti ricoverati nel più grande ospedale di Bamako. Nella loro lettera i vescovi invitano tutti alla preghiera, alla solidarietà, all’unità ed alla vigilanza. I presuli in particolare lanciano un appello alla solidarietà nei confronti “dei nostri compatrioti direttamente toccati dal conflitto: gli sfollati e i rifugiati, le famiglie in lutto, le forze armate e di sicurezza”. La Conferenza episcopale ha inoltre deciso in occasione della Quaresima, che inizia il 13 febbraio, di lanciare una mobilitazione nazionale per raccogliere “risorse finanziarie e materiale per aiutare” le vittime del conflitto. I vescovi verranno ricevuti oggi, dal Presidente Dioncouda Traoré. (R.P.)

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    Appello delle Caritas del Sahel per un intervento immediato e prolungato

    ◊   Caritas Italiana intensifica il sostegno alla Caritas del Mali e a tutte le Caritas dell’area del Sahel. Quest’ultime a loro volta chiedono un intervento con immediati aiuti umanitari, ma in una prospettiva di impegno a medio e lungo termine per continuare a sostenere le popolazione del Sahel anche quando i riflettori mediatici si sposteranno altrove. Tra enormi difficoltà la Caritas del Mali e le Caritas di Burkina Faso, Niger, Mauritania, proseguono gli sforzi per portare aiuto alle popolazioni in fuga. Il piano di intervento Caritas - precisa in un comunicato l'organismo caritativo - prevede al momento di distribuire a oltre 45.000 persone: 1900 tonnellate di beni alimentari per 3 mesi, 350 tende, 30.000 teli, 15.000 coperte e 1.000 Kit igienico sanitari, nonché un sostegno psicologico volto a favorire la coesione e la pace tra la popolazione sconvolta e divisa dal conflitto. Con il protrarsi dei combattimenti, la situazione umanitaria si aggrava di giorno in giorno. Da gennaio 2013 sono ormai oltre 9.000 i nuovi profughi, in aggiunta ai 400.000 già presenti tra sfollati interni e rifugiati nei Paesi limitrofi. Le ultime stime parlano di possibili ulteriori 300.000 sfollati interni e di altri 400.000 nuovi rifugiati. I bisogni di acqua, cibo, materiale per l’igiene, tende e coperte, medicinali, sono enormi, mentre permangono difficoltà di accesso in molte delle zone a causa del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza in tutto il Paese. L’Osservatorio delle situazioni di sfollamento interno (Idmc) ha lanciato l’allarme per “gli spostamenti di migliaia di maliani in fuga continua dalle zone di combattimento, in pieno deserto e in zone ostili, prive di strutture sanitarie e con un accesso sempre più limitato a cibo e acqua”. Situazione aggravata dalla chiusura del confine algerino a nord e dai controlli sempre più serrati sul lato mauritano. È urgente dunque l’apertura di corridoi umanitari per consentire la fornitura di aiuti essenziali alla popolazione civile che ancora una volta è la principale vittima del conflitto. (R.P.)

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    Mali: il conflitto armato aggrava il già precario sistema educativo

    ◊   I conflitti armati attualmente in corso in Mali continuano ad aggravare il già precario sistema educativo dei bambini e, per far fronte a questa emergenza, l’Ong spagnola Intervida è impegnata nell’istruzione di 738 piccoli sfollati oltre a che nell’assistenza di 20mila minori vittime della povertà. Questo stato di insicurezza e violenza mette a grave rischio soprattutto l’infanzia. Si calcola che circa 300 mila studenti non siano potuti rientrare a scuola da quando è scoppiata la guerra e che l’80% dei minori rifugiati in età scolare non frequenti le lezioni. Già prima del conflitto il sistema educativo in Mali era molto precario, con oltre 800mila bambini esclusi dal diritto all’istruzione. Secondo le ultime stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur), la crisi esplosa nel nord del Mali all’inizio dell’anno ha provocato lo sfollamento interno di 200mila persone verso Mopti, Ségou e Bamako, mentre 145mila persone hanno cercato riparo negli Stati limitrofi come Mauritania, Burkina Faso, Niger, Algeria, Togo e Guinea. Intervida lavora nella regione di Ségou dal 2002, a favore dei diritti dell’infanzia, e ha integrato nei suoi progetti i bambini sfollati a causa del conflitto, offrendo loro assistenza medica e accesso all’istruzione. (R.P.)

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    Paesi in via di sviluppo: solo il 50% delle bambine conclude le scuole primarie

    ◊   Solo il 50% delle bambine nei Paesi in via sviluppo conclude la scuola primaria, a una bambina su 5 e' negato il diritto a frequentare la scuola secondaria, il 90% delle ragazze tra i 12 e i 17 anni deve rinunciare all'istruzione per aiutare la famiglia: sono alcuni dei dati del rapporto 2012 "La condizione delle ragazze nel mondo" presentato ieri, a Roma, da Plan Italia nell'ambito della Campagna internazionale a favore delle bambine private dei loro diritti e di un'istruzione di qualita'. La ricerca della organizzazione - riferisce l'agenzia Ansa - evidenzia che, rispetto ai maschi, le bambine hanno maggiori possibilita' di abbandonare gli studi: il punto di non ritorno e' rappresentato dal raggiungimento della puberta' che le conduce spesso a matrimoni e gravidanze precoci, violenze e abusi sessuali. Attualmente, una bambina su 7 nei Paesi in via di sviluppo e' costretta a sposarsi prima dei 15 anni, alcune addirittura a 5 anni. I matrimoni precoci le espongono al rischio di contrarre malattie come l'hiv e di avere gravidanze precoci, principale causa di morte per le ragazze tra 15 e 19 anni (ogni minuto una ragazza muore partorendo). Ancora, una su 4 ha subito violenze psicologiche e sessuali prima dei 18 anni, anche a scuola, e tutto cio' riduce la probabilita' che continui a studiare. Ad aggravare la situazione delle bambine, sottolinea ancora il rapporto, le mutilazioni genitali femminili (Mgf) che continuano ad allontanare migliaia di ragazze dalla scuola ogni anno, a causa di problemi alla salute dovuti all'intervento e soprattutto perche', dopo la mutilazione, sono pronte per essere date in sposa. Nel mondo, oltre 140 milioni di bambine e donne vivono le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili, praticate senza il loro permesso e spesso contro la loro volonta'. Dopo la risoluzione Onu che ha messo al bando la mutilazione, molti Paesi l'hanno dichiarata illegale, altri l'hanno inserita nel codice penale ma in molti non e' prevista alcuna pena. (R.P.)

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    Sudan. 350 associazioni civili africane: stop alla guerra nel Kordofan e Nilo blu

    ◊   Stop alla guerra tra l’esercito sudanese e l’Splm-n (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord) nel Sud Kordofan e nel Nilo Blu. È l’appello lanciato da 350 gruppi della società civile africana alla vigilia del summit dell’Unione Africana dedicato al Sudan che si apre domani ad Addis Abeba, in Etiopia. Nel suo appello - riferisce l'agenzia Fides - la coalizione della società civile ricorda che da più di 18 mesi oltre 700mila civili, in gran parte donne, bambini e anziani, vivono in condizioni precarie nei territori in mano ai ribelli del Sud Kordofan e del Nilo Blu, sottoposti ai bombardamenti dell’aviazione sudanese. La coalizione invita i leader africani ad un'azione decisa e ferma per porre fine alle violenze e evitare di perdere nella guerra un’intera generazione di bambini. I firmatari chiedono la cessazione delle ostilità, la possibilità di portare assistenza umanitaria senza vincoli a tutti i civili che ne hanno bisogno, e colloqui diretti tra le due parti, per risolvere pacificamente le loro controversie. Il conflitto nel Sud Kordofan e nel Nilo Blu è una delle guerre dimenticate dell’Africa e del mondo. Lo scorso novembre mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, in un’intervista a Fides aveva lanciato un drammatico appello per ricordare le vittime civili dei Monti Nubi, che fanno parte del Sud Kordofan. (R.P.)

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    Nigeria: il vescovo di Kano condanna il fondamentalismo per l’attentato all’emiro musulmano

    ◊   I gruppi ribelli armati proseguono l’opera di destabilizzazione della Nigeria, colpendo indistintamente tutti coloro che si oppongono ai loro obiettivi, a partire dai rappresentanti religiosi, minando alle fondamenta la pacifica convivenza e il dialogo tra le comunità religiose. È l’analisi che emerge da un intervento del vescovo di Kano, mons. John Namaza Niyiring, pubblicato dall’agenzia Misna e ripreso dall’Osservatore Romano. Tra i bersagli degli attacchi dei gruppi fondamentalisti legati alla setta Boko Haram, che si battono per l’applicazione della legge islamica in tutto il Paese, vi è stato l’emirato di Kano, il cui rappresentante si è finora particolarmente distinto per essere un “moderato”. L’emiro di Kano, Alhaji Ado Bayero, — che nei giorni scorsi si è salvato da un attentato — spiega il presule «è solo l’ultimo dei rappresentanti della comunità musulmana e dei capi tradizionali finiti nel mirino dei gruppi armati che operano nel nord della Nigeria». L’emiro di Kano è un’importante figura nella gerarchia musulmana in Nigeria, seconda solo al sultano di Sokoto. «Sin dalla morte del suo precedessore nel 1963 — ricorda mons. Niyiring — l’emiro Alhaji Ado Bayero si è distinto per l’impegno a favore del dialogo tra le fedi e della convivenza pacifica tra musulmani e cristiani». Secondo fonti locali, l’emirato di Kano sarebbe da tempo al centro di attacchi proprio per la sua tradizione di rispetto del dialogo tra le comunità religiose. Per il vescovo Namaza Niyiring l’attentato nei confronti dell’emiro rappresenta un’ulteriore dimostrazione della volontà degli estremisti di colpire indistintamente le persone a prescindere dalla loro fede: «I violenti — sottolinea mons. Niyiring — colpiscono chiunque non sia d’accordo con loro, senza alcun rispetto per il ruolo che occupa, e l’agguato all’emiro è solo l’ennesima conferma». Nell’agosto 2012, alcuni rappresentanti della setta Boko Haram avevano minacciato di compiere incursioni e attentati anche a Sokoto, la città della Nigeria nord-occidentale nella quale risiede il sultano Alhaji Muhammed Sa’ad Abubakar III, massima autorità spirituale per circa 80 milioni di fedeli musulmani. (L.Z.)

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    Voto in Israele: per padre Pizzaballa la questione palestinese è marginale

    ◊   “Sorpresi dalla striminzita vittoria di Netanyahu e timorosi che nell’agenda del prossimo Governo la questione palestinese rivesta un’importanza marginale”: il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, commenta così all'agenzia Sir il risultato del voto in Israele che ha visto la coalizione conservatrice non ottenere la maggioranza fermandosi a 60 seggi su 120 alla Knesset. Una situazione di stallo che, per il Custode, profondo conoscitore della realtà israeliana, “potrebbe portare alla formazione di un governo di unità nazionale. I giochi sono aperti, bisognerà vedere se entreranno i religiosi o il partito di Lapid. Credo, ad ogni modo, che sarà un governo di compromessi che non avrà come priorità la questione palestinese, come si è visto in campagna elettorale. Spero di sbagliare ma ritengo sarà così”. Quello che si prospetta, aggiunge padre Pizzaballa, “sarà probabilmente un governo più moderato, anche nelle posizioni internazionali e meno isolato di adesso”. Circa i rapporti con le Chiese locali, il religioso non vede “molti cambiamenti, i rapporti continueranno ad essere corretti e cordiali come in passato”. (R.P.)

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    Vietnam: critiche del card. Pham Minh Man a nuovo decreto governativo su credenze religiose

    ◊   Il 24 dicembre, l’arcivescovo di Ho Chi Minh Ville, cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Man, ha declinato un invito delle autorità vietnamite a partecipare a una manifestazione ufficiale per l’entrata in vigore di un nuovo decreto governativo sulle credenze religiose. Lo ha reso noto martedì scorso l’agenzia delle Missioni Estere di Parigi Eglises d’Asie (Eda). Il card. Pham Minh Man ha giustificato il rifiuto con i suoi impegni pastorali per le festività natalizie, ritenendo “inutile” la partecipazione dei rappresentanti dell’arcidiocesi dal momento che essa aveva espresso rilievi critici al provvedimento alle autorità competenti. Il decreto in questione, varato a novembre e entrato in vigore il 1° gennaio, sostituisce il precedente decreto attuativo della Legge sulle credenze religiose introdotto nel 2004, già oggetto di forti riserve da parte dell’episcopato vietnamita in quanto giudicata peggiorativa rispetto alla legge sulla religione del 1955 (mai entrata in vigore). La legge, tra l’altro, ha introdotto una nuova controversa distinzione tra “religioni” (per definizione universali e transnazionali) e “credenze”, qualificate dall’ideologia ufficiale come “nazionali”, “regionali” o “popolari”, distinzione alla quale corrisponde un diverso trattamento giuridico. Articolato in 5 capitoli e 46 articoli, il nuovo decreto attuativo introduce un elenco meticoloso di ulteriori restrizioni. I punti più controversi sono contenuti nel terzo e quarto capitolo: una dettagliata serie di prescrizioni burocratiche imposte alle organizzazioni religiose per ottenere la “registrazione” e per potere svolgere le loro attività. L’impressione e il timore diffuso della Chiesa vietnamita è che esse rappresentino un ulteriore giro di vite sulla libertà religiosa. Riserve già espresse dal card. Pham Minh Man che in una lettera indirizzata nel maggio 2011 alle autorità vietnamite, a nome dell’arcidiocesi, aveva parlato di un provvedimento discriminatorio. (L.Z.)

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    Canada: la Chiesa contro la legalizzazione dell'eutanasia in Québec

    ◊   L’Organismo cattolico canadese per la vita e la famiglia (Ocvf) critica le conclusioni di un recente rapporto commissionato dal Governo del Québec a un comitato di esperti sul “diritto a morire con dignità”. Il “Rapporto Ménard” è stato reso pubblico il 15 gennaio dal Ministro per gli affari sociali Véronique Hivon in vista della presentazione di un disegno di legge che in pratica legalizzerebbe l’eutanasia o il suicidio assistito facendoli passare come “cure appropriate”. In una nota l’Ocvf respinge con forza l’ipotesi di una legalizzazione dell’“aiuto medico a morire” ed esprime preoccupazione per le “conseguenze giuridiche, etiche e sociali di una tale pratica”. Essa si dice invece favorevole alla proposta di rendere accessibili a tutti le cure palliative che, afferma, “costituiscono la sola risposta autenticamente umana e rispettosa dei bisogni delle persone in fin di vita e dei loro familiari”. “Il Rapporto Ménard – ammonisce l’Ocvf - travisa ancora una volta la realtà giocando con le parole e generando confusione, in quanto il cosiddetto aiuto medico a morire è e resta un sinonimo di eutanasia, una pratica mortifera al pari del suicidio assistito: qui si parla di uccidere volontariamente, mettendo fine alla vita di una persona. In nome di una concezione limitata dell’autonomia dell’individuo – aggiunge la nota - esso apre chiaramente le porte all’eutanasia”. L’organismo dei vescovi canadesi cita in proposito l’esempio del Belgio dove l’eutanasia è legale dal 2002 e l’esperienza ha dimostrato che queste pratiche diventano ingestibili, malgrado la messa in atto di controlli e di bilanciamenti. L’Ocvf smentisce poi i sostenitori dell’aiuto medico a morire che parlano di un ampio consenso attorno a questa legge: in realtà il 60% delle persone e dei gruppi ascoltati dalla della Commissione speciale sulla morte con dignità si è detta contraria. Di qui il pressante appello a chiunque abbia a cuore i diritti fondamentali della persona umana a fare sentire la propria voce prima che il disegno di legge venga presentato in Parlamento. L’Ocvf segnala in proposito tre network attivamente impegnati su questo fronte: il Collettivo dei medici per il rifiuto dell’eutanasia; la rete “Vivre dans la Dignité e la “Euthanasia Prevention Coalition”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Riunione dei vescovi croati e bosniaci sul rientro dei profughi cattolici in Bosnia

    ◊   L’irrisolta questione del rientro dei profughi cattolici croati fuggiti dalla Bosnia-Erzegovina durante la guerra negli Anni 90; il punto sulle attività pastorali delle parrocchie e missioni croate nel mondo e un rapporto della speciale Commissione per la stesura di un martirologio croato. Questi i temi salienti della 15ma sessione congiunta annuale delle Conferenze episcopali della Croazia e della Bosnia-Erzegovina svoltasi a Zagabria il 21 gennaio scorso. In primo piano nei lavori, introdotti dai rispettivi presidenti, mons. Želimir Puljić arcivescovo di Zara e mons. Franjo Komarica vescovo di Banja Luka, l’annosa questione dei profughi cattolici croati che a distanza di più di 15 anni dalla fine della guerra non hanno ancora potuto fare rientro nelle proprie case in Bosnia-Erzegovina. I vescovi ne hanno parlato al nunzio apostolico in Croazia mons. Alessandro D'Errico che ha ricordato in proposito il messaggio inviato l’anno scorso dal cardinale Tarcisio Bertone in cui esprimeva le preoccupazioni del Santo Padre Benedetto XVI e della Santa Sede per il futuro della Chiesa in Bosnia-Erzegovina a causa dello scarso sostegno per un rientro ordinato di questi profughi nel Paese. Nella lettera il Segretario di Stato aveva sottolineato anche l’importanza di promuovere campagne di solidarietà congiunte tra le due Chiese come la “Settimana di Solidarietà” ed aveva informato i presuli dei suoi incontri con le autorità croate per una soluzione del problema. Durante la sessione – riporta l’agenzia Ika - i vescovi della Bosnia-Erzegovina hanno ringraziato tutti coloro che hanno partecipato alle iniziative di solidarietà con i cattolici di Bosnia e che hanno dimostrato comprensione per la loro difficile situazione, in particolare nell’enclave serba della Republika Srpska. Inoltre hanno espresso il loro sostegno all’impegno dei vescovi croati per tenere viva la tradizione e i valori cattolici in Croazia. I presuli croati e bosniaci hanno inoltre discusso un rapporto sulle attività pastorali delle 197 parrocchie e missioni croate nel mondo e un rapporto dalla Commissione per la liturgia della Conferenza episcopale croata riguardante una nuova traduzione del Messale. All’ordine del giorno anche il punto del lavoro della Commissione congiunta incaricata della stesura di un martirologio croato e il rapporto annuale sul lavoro della Commissione per il Collegio croato a Roma. (L.Z.)

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    Messico: nella Settimana per l'Unità mons. Cabrera López chiede l'unione contro la violenza

    ◊   Dinanzi alla violenza che si registra nel paese, l'arcivescovo di Monterrey chiama a promuovere l'unità, in modo speciale in questi giorni, in cui la Chiesa celebra la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Mons. Rogelio Cabrera López, arcivescovo di Monterrey, ha invitato infatti credenti e gruppi sociali ad agire in unione, nonostante le differenze ideologiche che ci possono essere, al fine di ripristinare la pace e di impegnarsi per un miglioramento della qualità della vita. L’arcivescovo, secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, ha sottolineato che la religione non può essere motivo di divisione e ancor meno di intolleranza. Pur essendoci grosse differenze tra i due settori (sociale e religioso), ciò non deve fermare l'impegno a lavorare insieme per il bene della società. "In questi momenti in cui c’è violenza, in cui si vedono di più le differenze tra i gruppi sociali, qual è il contributo che le comunità cristiane possono dare? Soprattutto nell'impegno per la carità e nella promozione della giustizia, questo è il punto importante" ha detto mons. Cabrera López, sottolineando che dinanzi alla violenza in Nuevo Leon, l'amore è una delle soluzioni. (R.P.)

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    Cile: un migliaio di giovani al primo Congresso della gioventù cattolica

    ◊   Giovani cattolici di tutto il Cile sono arrivati a Concepcion per partecipare al Primo Congresso nazionale della gioventù cattolica, dal 23 al 27 gennaio. Dalle 6 del mattino di ieri, il Palasport del comune di Concepcion ha accolto le delegazioni dei giovani, dopo un viaggio di diverse ore, provenienti da Temuco, Valdivia, Los Angeles, Antofagasta, Valparaiso, La Serena, San Felipe, Iquique, Punta Arenas, Calama, Rancagua, Osorno e Villarrica, tra gli altri. Insieme a loro i rappresentanti dei movimenti apostolici, i delegati pastorali dell'istruzione superiore e delle Commissioni pastorali delle diverse realtà ecclesiali. "Nella storia della Pastorale giovanile del Cile non c'è un evento precedente che abbia radunato tanti giovani (circa un migliaio) per condividere, ascoltare insieme e formulare i percorsi per il futuro della Chiesa incarnata nella testimonianza della gioventù cattolica" si legge nella nota inviata dalla Conferenza episcopale del Cile all’agenzia Fides, che riporta le prime impressioni dei membri della “Vicaria de la Esperanza Joven”, uno dei gruppi chiamati ad organizzare l’evento. “Ciò che conta nel Congresso nazionale dei giovani cattolici, con circa un migliaio di delegati che rappresentano molti altri giovani, non sono i numeri, quanto il cuore dell'identità cattolica su cui viene stampato l'amore del Padre, dato a tutti, senza distinzione” afferma la nota, che poi conclude: "Dal cuore di Aparecida, vivremo una grande opportunità per rinnovare noi stessi come Chiesa e come discepoli missionari. Per fare questo vedremo la realtà giovanile come un dono e dovremo rispondere alla sfida che propone lo slogan che ha guidato i passi della Missione Giovani: ‘Perché i giovani, in Gesù, abbiamo vita in abbondanza’.” (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no.24

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