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Sommario del 23/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale e in un tweet: chi ha fede non teme di andare controcorrente
  • Appello del Papa per le popolazioni di Giakarta colpite dalle alluvioni
  • Papa saluta organizzatori Gmg. L'arcivescovo di Rio: giovani vogliono un mondo migliore
  • Dal Papa un secondo gruppo di vescovi calabresi in visita "ad Limina"
  • Il Papa nomina mons. Gioia presidente della "Peregrinatio ad Petri Sedem"
  • Settimana dell'unità: incontro alla Radio Vaticana sul Patriarca Maxim
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Elezioni in Israele: ascesa dei centristi. Mons. Shomali: ci aspettiamo un vero cambiamento
  • Elezioni in Giordania: boicottaggio delle opposizioni
  • Mali: truppe di Bamako accusate di violazione dei diritti umani
  • Via libera alla Tobin tax in 11 Paesi europei. Cameron annuncia referendum su Ue
  • Al via il Forum economico di Davos. Zamagni: un danno l'assenza del Terzo settore
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Turchia: condannato a 15 anni di carcere l'assassino di mons. Padovese
  • Centrafrica: il governo accusa i ribelli di aver ripreso le ostilità
  • Mozambico: per le alluvioni nel sud a rischio decine di migliaia di persone
  • Iraq. Appello dell'arcivescovo Sako: “Quale futuro per i cristiani in Medio Oriente?”
  • Giordania: suore comboniane soccorrono 10 mila profughi siriani nel deserto
  • Indonesia: a East Java tolto l’obbligo alle scuole cattoliche di insegnare l’islam
  • Colombia: al processo di pace le Farc propongono un "fondo delle terre"
  • Colombia: appello di mons. Jaramillo contro i rapimenti
  • Hong Kong: "La Fede cresce nell'Amore" tema della Campagna Quaresimale
  • Repubblica Ceca: aperta la plenaria dei vescovi su Gmg e Giubileo dei SS.Cirillo e Metodio
  • Ultimo saluto a Riccardo Garrone. Messaggio di cordoglio del cardinale Bertone
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale e in un tweet: chi ha fede non teme di andare controcorrente

    ◊   Affermare di “credere in Dio” significa non aver paura di andare controcorrente rispetto alle società in cui Dio è il grande assente”. Lo ha affermato questa mattina Benedetto XVI durante dell’udienza generale in Aula Paolo VI. Il Papa ha dato avvio a una serie di catechesi attorno al “Credo”, la preghiera cardine della fede cristiana, concludendo con una preghiera per l’unità dei cristiani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Per capire la "misura" di un atto di fede in Dio, bisogna andare con la mente ad Abramo, il “padre” di tutti coloro che credono. Bisogna andare, ha spiegato Benedetto XVI, al “paradossale cammino” che, per fede, Dio chiede ad Abramo di percorrere e che Abramo, per fede, accetta di compiere. Al Patriarca, ha affermato il Papa, viene promesso un grande popolo, ma sua moglie Sara è sterile. Viene “condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero”. Abramo “accetta questa chiamata” e il mistero che la sottende, perché in quel mistero c’è Dio. E noi, si è chiesto il Papa, come avremmo reagito?

    “Si tratta, infatti, di una partenza al buio, senza sapere dove Dio lo condurrà; è un cammino che chiede un’obbedienza e una fiducia radicali, a cui solo la fede consente di accedere. Ma il buio dell’ignoto – dove Abramo deve andare – è rischiarato dalla luce di una promessa; Dio aggiunge al comando una parola rassicurante che apre davanti ad Abramo un futuro di vita in pienezza: ‘Farò di te una grande nazione’”.

    In quella terra che Dio dona ad Abramo, ma che ad Abramo “non appartiene” c’è, in simbolo, un insegnamento universale:

    “Non avere mire di possesso, sentire sempre la propria povertà, vedere tutto come dono. Questa è anche la condizione spirituale di chi accetta di seguire il Signore, di chi decide di partire accogliendo la sua chiamata, sotto il segno della sua invisibile ma potente benedizione”.

    Dunque, si è chiesto Benedetto XVI, cosa significa pronunciare “io credo in Dio”, “un’affermazione – ha notato – fondamentale, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma che apre all’infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero”?:

    “Dire ‘Io credo in Dio’ significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso (…) ‘Credo’, perché è la mia esistenza personale che deve ricevere una svolta con il dono della fede, è la mia esistenza che deve cambiare, convertirsi.

    Credere in Dio, ha affermato il Papa – ribadendo in modo analogo questo concetto in un tweet – ci rende allora “portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare”:

    “Il cristiano non deve avere timore di andare ‘controcorrente’ per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di ‘uniformarsi’. In tante nostre società Dio è diventato il ‘grande assente’ e al suo posto vi sono molti idoli, diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’‘io’ autonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica hanno indotto nell’uomo un’illusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri all’interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali”.

    Dopo le sintesi della catechesi e i saluti nelle varie lingue, Benedetto XVI ha concluso con un auspicio all’insegna dell’ecumenismo, al centro in questi giorni di numerose celebrazioni:

    “La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani stimoli in ogni comunità l’impegno a chiedere con insistenza al Signore il dono dell’unità e a vivere la comunione fraterna”.

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    Appello del Papa per le popolazioni di Giakarta colpite dalle alluvioni

    ◊   Particolare “preoccupazione” ha espresso stamane Benedetto XVI - al termine dell’udienza generale - per le notizie allarmanti che giungono dall’Indonesia, dove “una grande alluvione ha devastato la capitale Giakarta provocando vittime, migliaia di sfollati e ingenti danni”. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Proseguono incessanti le piogge alluvionali, che la scorsa settimana hanno devastato Giakarta, allagata per oltre metà del suo territorio, causando una ventina di morti e migliaia di senzatetto: oltre 40 mila le persone evacuate. Grande l’apprensione di Benedetto XVI per le sorti degli abitanti - oltre 10 milioni - di questa megalopoli:

    “Desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni colpite da questa calamità naturale, assicurando la mia preghiera e incoraggiando alla solidarietà affinché a nessuno manchi il necessario soccorso”.

    Ad aggravare la situazione nel Paese asiatico ieri si è registrato un terremoto nell’isola di Sumatra, che ha ucciso una bimba di 8 anni e ferito altre 7 persone. Da Giakarta, padre Silvano Laurenzi, missionario Saveriano, fornisce le ultime notizie:

    R. – La situazione è ancora molto grave perché continua a piovere, anche se ci sono stati due giorni in cui è piovuto un po’ meno. Ci sono zone in cui le persone ancora non possono rientrare. C’è oltre un metro d’acqua, in alcuni punti anche due. Anzi, c’è una zona del nord della città, un quartiere d'élite, che è ancora sott’acqua, non si sa se oltre cinque metri sott’acqua … Non si sa cosa si possa fare per questa povera gente. Qui a Giakarta sfociano 13 fiumi: quindi anche se magari non piove, però arriva l’acqua da lassù...

    D. – Sappiamo che le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza fino al 27 gennaio...

    R. – Hanno fissato questa data perché hanno detto che il 26 e il 27 saranno i due giorni più gravi, perché il mare avrà l’alta marea. Quindi, oltre all’inondazione per le piogge l’acqua arriverà anche dal mare.

    D. – Quindi, si tratta di predisporre misure perché non ci siano altri morti?

    R. – Certamente. Però, anche il governo cosa può fare? Stanno correndo di qua e di là, dove chiamano dai cellulari chiedendo aiuto, specie con i bambini piccoli, e già incominciano le epidemie. E’ un’emergenza! Lunedì prossimo noi tutti sacerdoti abbiamo un incontro con il vescovo: si parlerà certamente anche di questo.

    D. – Ma gli aiuti dall’esterno, arrivano?

    R. – Gli aiuti – il cibo e le medicine – arrivano. Ci sono molti medici nei centri di aiuto, dove sono state montate tende d’emergenza: la gente sta lì, al freddo… Povera Indonesia! O tsunami, o terremoti, o alluvioni, c’è sempre qualcosa. E qui a pagare è sempre la povera gente, anche se stavolta l’acqua è arrivata fin nelle zone agiate, al Palazzo presidenziale.

    D. – C’è da stare ancora molto in apprensione, forse bisogna pregare…

    R. – Certamente sì: la preghiera, la fede, la forza, la speranza. Vediamo cosa succederà.

    D. – Quindi, è importante comunque che la comunità internazionale non dimentichi questa povera gente, anche dopo la grande emergenza…

    R. – Io due, tre giorni fa, parlavo tramite "Skype" con le mie sorelle, che vivono a San Benedetto del Tronto. Mi hanno detto che la televisione italiana ha parlato solo una volta di questa alluvione: pensa un po’! Se non viene sensibilizzata un po’ la gente per queste disgrazie così gravi... Tutti stiamo soffrendo.

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    Papa saluta organizzatori Gmg. L'arcivescovo di Rio: giovani vogliono un mondo migliore

    ◊   Benedetto XVI, al termine dell’udienza generale, ha salutato il comitato organizzatore della prossima Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio di quest’anno. Il Papa ha ricordato che solo se si è uniti si è in grado di realizzare gli obiettivi prefissati. Al breve incontro era presente anche l’arcivescovo della città brasiliana mons. Orani João Tempesta. Silvonei Protz lo ha intervistato:

    R. – Io ho detto al Santo Padre che i giovani di tutto il mondo saranno felici di accoglierlo a Rio per la Gmg; il Santo Padre ha detto che è suo desiderio andare e ha dato la sua benedizione per tutti i lavori che stiamo facendo a Rio de Janeiro. Ho anche detto al Santo Padre che il luogo dove celebrerà la Messa finale e la Veglia del sabato della Gmg noi lo abbiamo chiamiamo il campus fidei. Poi ho presentato al Santo Padre tutto il comitato organizzatore locale della Gmg che è qui, rappresentato dai suoi responsabili per la liturgia e l’organizzazione logistica e anche dai rappresentanti del governo federale brasiliano e dell’omonimo Stato di Rio de Janeiro. Questi ultimi sono qui a Roma per discutere anche della sicurezza, per capire come preparare da questo punto di vista la visita del Santo Padre.

    D. – Quali sono i risultati degli incontri che lei ha avuto a Roma, in questi giorni, con il Pontificio Consiglio per i Laici e altri dicasteri vaticani?

    R. – E’ stato confermato tutto quello che abbiamo previsto finora e in più sono state aggiunte nuove idee che il Comitato aveva proposto al Pontificio Consiglio per i Laici e alla Congregazione per il Culto divino, idee che hanno arricchito il programma.

    D. – Quali giovani Benedetto XVI troverà nelle giornate di Rio?

    R. – Troverà i giovani di tutto il mondo, che vogliono costruire un mondo migliore per oggi e per domani. Sappiamo che molti arriveranno a Rio de Janeiro nonostante grandi difficoltà, ma saranno felici di esserci nella grande speranza di contribuire a costruire un mondo migliore di quello attuale, senza tutta questa violenza e con più giustizia e carità.

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    Dal Papa un secondo gruppo di vescovi calabresi in visita "ad Limina"

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza un secondo gruppo di presuli della Conferenza episcopale di Calabria in visita ad Limina.

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    Il Papa nomina mons. Gioia presidente della "Peregrinatio ad Petri Sedem"

    ◊   Benedetto XVI ha nominato per un triennio presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem mons. Francesco Gioia, arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche, delegato Pontificio per la Basilica di Sant’Antonio in Padova.

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    Settimana dell'unità: incontro alla Radio Vaticana sul Patriarca Maxim

    ◊   “Il Mio ministero” è il titolo del film biografico sulla vita del Patriarca ortodosso bulgaro Maxim, scomparso lo scorso novembre a 98 anni. Realizzata dal giornalista Goran Blagoev, la pellicola con sottotitoli in italiano è stata presentata ieri presso la nostra emittente nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e proposta dall’Ambasciata di Bulgaria presso la Santa Sede. Presenti esponenti della Chiesa cattolica e di quella ortodossa bulgara. Il servizio di Debora Donnini:

    Un uomo che ha portato avanti la Chiesa ortodossa bulgara per 41 anni, passando attraverso il difficile periodo dell’ateismo comunista e la divisione interna alla stessa Chiesa ortodossa bulgara. Nel film documentario è la stessa voce del Patriarca Maxim a riportare alla memoria gli eventi forti della sua vita. Al vescovo ausiliare per l’Europa centrale e occidentale della Chiesa ortodossa bulgara, Antonio, abbiamo chiesto quale aspetto della vita del Patriarca Maxim, tratteggiato nel film, l’abbia più colpito:

    “Mi ha colpito molto soprattutto quando Sua Santità ha parlato dei momenti più difficili durante il comunismo ateo in Bulgaria, ma soprattutto mi hanno colpito le sue parole. Forse ha fatto alcuni sbagli come persona, come essere umano, ma non ha mai fatto compromessi con la sua Chiesa e con il suo ministero. Grazie alla sua visione lungimirante, alla sua umiltà, alla sua pazienza è riuscito a conservare la Chiesa nel modo in cui è adesso e noi possiamo esserne suoi membri. Il nostro Patriarca ha scelto proprio quella piccola strada attraverso la quale parla Gesù Cristo. Ha fatto la sua Via Crucis, perché, come lui giustamente ha detto, era facile perdere la vita in quel tempo, però lui, come vero seguace di Gesù Cristo, ha percorso quella strada e ha portato la sua croce”.

    Un momento importante è stata la proiezione di questo film nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, come conferma ancora il vescovo della Chiesa ortodossa bulgara, Antonio:

    “Certamente, soprattutto in questo momento, senza dubbio. Quando celebriamo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, quando i cristiani sono riuniti nel nome dell’amore di Dio, come in questa occasione, in questa sala della Radio vaticana, dove sono insieme i rappresentanti sia della Chiesa cattolica che della Chiesa ortodossa, questa è già una testimonianza che il Signore sta in mezzo a noi”.

    Ad intervenire sulla figura del Patriarca Maxim vissuto in anni non facili, anche il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi:

    “Una testimonianza semplice, una testimonianza lineare, di servizio alla Chiesa in tempi in cui non c’era certamente una libertà e condizioni favorevoli per lo sviluppo del servizio della Chiesa. Ma si vede che lui, con grande fedeltà e anche con grande realismo e capacità di misurarsi con la situazione qual era, è riuscito a conservare una linea di coerenza e di fedeltà ai valori della Chiesa, facendola traghettare al tempo più oscuro e difficile del totalitarismo”.

    Centrale nei rapporti con la Chiesa cattolica l’incontro fra lo stesso Patriarca Maxim e Giovanni Paolo II, come ricorda ancora padre Federico Lombardi:

    “Naturalmente per noi cattolici quello è il ricordo che abbiamo del patriarca Maxim, perché è stato il momento culminante dei rapporti ecumenici tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa bulgara, l’incontro tra il Papa e il Patriarca nella sede del Patriarcato di Sofia. Momento estremamente emozionante e significativo, una tappa storica, indietro alla quale non si torna più ma si guarda in avanti. Il Papa dopo questo incontro diede in uso una chiesa qui a Roma per la comunità ortodossa bulgara e questo fu anche un segno di vicinanza. Noi dobbiamo continuare a coltivare questi rapporti nel modo migliore. Quindi, Maxim per noi è il Patriarca dell’incontro, il Patriarca con cui l’ecumenismo e il rapporto di amore fra le due Chiese sorelle ha potuto fare un passo avanti storico”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Cristiani controcorrente: all’udienza generale il Papa inizia una riflessione sul “Credo”.

    In prima pagina, un editoriale di Ritanna Armeni dal titolo “Due biciclette”: esce in Francia il film “Il était une foi” di Pierre Barnerias.

    Dentro o fuori: in rilievo, nell’informazione internazionale, l’atteso discorso del premier David Cameron che si è impegnato a tenere un referendum in cui i britannici sceglieranno se rimanere nell’Unione Europea.

    In cultura, Gaetano Zito sulle più antiche testimonianze su Sant’Agata: un brano della “Passio sanctae Agathae” identificato in una pergamena del XII secolo.

    Arte e cultura tra le sponde del Mediterraneo: Rossella Fabiani recensisce la mostra a Palazzo Madama, a Torino, sui tesori del patrimonio albanese, con articoli di Andi Pinari, dell’Università statale di Tirana, e Massimo Gaiani, ambasciatore d’Italia presso la Repubblica di Albania, contenuti nel numero speciale che la rivista “Il Veltro” dedica al centernario dell’indipendenza dell’Albania.

    Chi impedisce al pensiero di diventare dialogo: Silvia Guidi sulla replica di Ernesto Galli della Loggia, nel “Corriere della Sera”, a Luigi Manconi nell’ambito del dibattito sui matrimoni gay.

    Con lo sguardo fisso sul Mistero: José Maria Serrano Ruiz sul ruolo del diritto canonico nella vita del credente e nella sua percezione della fede.

    Il giogo della Torah non può essere portato da soli: nell’informazione religiosa, anticipazione della lectio magistralis del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul ruolo della sacra Scrittura nell’attuale dialogo tra ebrei e cristiani.

    Ecumenismo al servizio della pace: Milan Zust, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sulle esperienze di riconciliazione tra cattolici e ortodossi in alcuni Paesi slavi.

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    Oggi in Primo Piano



    Elezioni in Israele: ascesa dei centristi. Mons. Shomali: ci aspettiamo un vero cambiamento

    ◊   Elezioni politiche in Israele. Il risultato uscito dalle urne fa segnare un pareggio nella distribuzione dei seggi alla Knesset; secondo i dati diffusi dalla Commissione Elettorale Centrale, con il 99,5 per cento delle schede scrutinate tanto i partiti di destra - guidati dalla coalizione Likud-Beiteinu facente capo al premier uscente Benjamin Netanyahu - quanto quelli di centro-sinistra - formazioni arabe comprese - hanno conquistato nel complesso sessanta seggi sui centoventi in palio. Dal punto di vista numerico, il Likud resta, insieme ad Israel Beitenu, il primo partito con 31 seggi, mentre al secondo posto, la vera sorpresa del voto è il centrista Yair Lapid di “Yesh Atid” con 19 deputati. I risultati definitivi verranno comunicati nei prossimi giorni, dopo lo spoglio delle schede degli israeliani residenti all'estero. Salvatore Sabatino ha chiesto di commentare il risultato elettorale a mons. William Hanna Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme:

    R. – C’è un vero cambiamento nell’elettorato israeliano: si sta muovendo verso il centro. I risultati di stamattina ci hanno sorpreso: 60 seggi per la sinistra e 60 per la destra. Con la sinistra ci sono anche i partiti arabi. Questo rende più difficile formare un governo e anche se Nethanyau ha avuto 31 seggi in Parlamento, nella Knesset, avrà difficoltà a fare una larga coalizione con altri partiti, specialmente quelli di centro-sinistra, perché deve essere pronto a cambiare qualcosa della sua politica. Non può continuare come quando si coalizzava con partiti solo di destra. Ora ci aspettiamo un vero cambiamento.

    D. – Possiamo dire che è definitivamente messa da parte la linea dura di Lieberman, a questo punto?

    R. – Senz’altro. Lieberman esce se Yair Lapid entra al suo posto. Yair è meno fondamentalista, meno estremista, più moderato, ed è per questo che i giovani lo hanno eletto: per le sue idee su come migliorare l’economia, come obbligare gli ortodossi ad entrare nell’esercito, a fare il servizio militare, come agevolare il processo di pace. Le idee, dunque, di Lapid saranno veramente moderate, se entra nella coalizione. Sappiamo già che la prima telefonata che Nethanyau ha fatto stamani è stata per lui; per fargli gli auguri ed invitarlo ad entrare con lui in una larga coalizione. Questo è promettente.

    R. – Quindi, questa vittoria dei centristi, secondo lei, può aiutare concretamente a riprendere il processo di pace, dopo che per anni abbiamo vissuto una vera e propria stasi?

    R. – La spinta al riavvio del processo di pace non giunge solo da parte dei vari componenti del governo israeliano. Tutto dipende anche dalla pressione esercitata dagli Stati Uniti sul nuovo esecutivo. Washington ha detto che non cambierà politica, che vuole la soluzione di due Stati, e che gli insediamenti impediscono la soluzione di questi due Stati. Per questo una pressione americana aiuterebbe tanto anche i partiti moderati in Israele.

    D. – Tra l’altro, Obama nel suo discorso, dopo il giuramento del secondo mandato, ha detto: “E’ finita un’era di guerra e ci impegneremo per la pace in Africa e soprattutto in Medio Oriente”. Questo è un segnale, ovviamente, importante per voi...

    R. – Per me sì. Molti, comunque, fanno pressione su Obama per dare una priorità al conflitto israelo-arabo, perché questo conflitto continua a far perdere tante energie e anche ad avvelenare l’atmosfera del Medio Oriente. Allora vuole – e penso sia sincero – contribuire ad una pace in Terra Santa. C’è bisogno di una bella collaborazione fra lui e il governo israeliano. Noi possiamo solo pregare per una bella intesa fra di loro per il futuro della pace.

    D. – Questo voto uscito dalle urne, com’è stato commentato dai palestinesi?

    R. – Io ho sentito solo Saeb Erekat, grande negoziatore dei palestinesi, che ha detto: “Questo è un affare interno agli israeliani; rispettiamo la loro decisione e vogliamo continuare a lavorare per la pace, ma vogliamo che si fermi la costruzione degli insediamenti, perché sono un vero ostacolo a riprendere i negoziati”. E questa è la prima reazione venuta da una persona autorevole.

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    Elezioni in Giordania: boicottaggio delle opposizioni

    ◊   Elezioni legislative anticipate oggi in Giordania. La tornata elettorale è stata boicottata con forza dall’opposizione che sta chiedendo radicali riforme in chiave democratica. In particolare, i Fratelli Musulmani fino a pochi giorni fa hanno manifestato, esortando re Abdallah ad annullare il voto. Bassa finora l'affluenza alle urne. Decisiva sul voto l’influenza delle vicende siriane, che stanno provocando un notevole flusso di profughi verso il territorio giordano. Su queste consultazioni Giancarlo La Vella ha intervistato Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di Medio Oriente:

    R. – E’ un voto dove conterà moltissimo vedere quanti saranno a recarsi concretamente ai seggi; ma è un voto che conta soprattutto perché arriva dopo che nel Paese sono tornate a riempirsi le piazze, nel mese di novembre, per una serie di manifestazioni contro l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità - in particolare i carburanti - e questo ha un grosso peso nella vita della popolazione. La situazione è molto tesa e per questo è un voto da guardare con grande attenzione.

    D. – E’ una tensione, che in Giordania ha assunto proporzioni molto moderate...

    R. – Sì, diciamo che il ruolo specifico giocato nella situazione giordana è la presenza del re. Il re ha avuto sempre nella storia della Giordania un ruolo di guida, praticamente incontrastata. Il fatto nuovo, però, di queste ultime settimane è che per la prima volta, anche in Giordania, nelle manifestazioni di piazza, s’inizia a mettere in discussione lo stesso ruolo del re. Per questo le elezioni sono la cartina di tornasole, perché il re le ha convocate, sciogliendo anticipatamente il Parlamento, promettendo le riforme politiche nel Paese e una democrazia più compiuta. Bisognerà vedere quanti giordani si riconoscono ancora in questa strada, che è la strada della moderazione per eccellenza, e quanti invece seguiranno piuttosto il richiamo che viene dalle forze islamiste, che anche in Giordania si avvantaggiano di quella che è stata l’ondata della primavaera araba che in altri Paesi ha visto la vittoria dei Fratelli Musulmani.

    D. – Quanto sta influendo nelle vicende giordane la crisi siriana. Ricordiamo che nel Paese sono stati accolti gran parte dei profughi in fuga all'estero dalle violenze...

    R. – Sta influendo molto, anche perché i numeri sono davvero molto rilevanti: si parla di 200 mila profughi, che sono un livello assolutamente insostenibile. Quindi questo è un tema che si fa sentire molto. Tra l’altro, in un Paese dove la questione dei profughi è storicamente una questione calda, perché non dimentichiamo che la Giordania è uno dei Paesi dove è più forte la presenza di rifugiati palestinesi da tanti anni, che in un passato recente ha accolto decine di migliaia di profughi iracheni; è un Paese che si ritrova a fare i conti con equilibri precari a causa di quanto sta succedendo intorno. Per cui, il modo in cui verrà affrontata la crisi siriana, soprattutto l’eventualità che la Giordania non venga lasciata sola ad affrontare questo carico, è un tema che conterà moltissimo nel futuro prossimo del Paese.

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    Mali: truppe di Bamako accusate di violazione dei diritti umani

    ◊   Sono 2300 i soldati francesi finora dispiegati in Mali, nell’ambito dell’operazione “Serval”, giunta al suo 12.mo giorno. Le forze di Parigi continueranno a consolidare il loro sbarramento per impedire che l’offensiva degli islamisti si estenda al sud del Paese. I raid aerei si susseguono quotidianamente, di ieri sera quello su Timbuctu che ha distrutto la residenza costruita per Gheddafi e divenuta in seguito un quartier generale delle milizie islamiche locali. Di oggi, invece, la pesante accusa formulata da un gruppo a tutela dei diritti umani, l'"International Federation of Human Rights Leagues", contro i soldati di Bamako, che si sarebbero resi responsabili di una serie di esecuzioni sommarie e altri abusi dei diritti umani, nel corso dell'operazione militare condotta al fianco delle truppe francesi. Il Giappone ha intanto deciso di chiudere la propria ambasciata a Bamako per motivi di sicurezza, a seguito anche dell’attacco terroristico in Algeria. Sempre ieri sera, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, aveva definito coraggioso l’intervento della Francia in Mali, sottolineando però i timori per le conseguenze dell’operazione sui civili e sul rispetto dei diritti dell’uomo. Francesca Sabatinelli ha intervistato il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo e analista geopolitico:

    R. - Il Mali è importante perché ci sono gli interessi europei, quasi esclusivamente quelli della Francia, però attenzione: se si destabilizza il Mali, le truppe o le forze jihadiste o qaediste cominciano a destabilizzare anche l’Algeria, come sembra già stia avvenendo. L’Algeria è praticamente Europa, oltre che essere praticamente Francia. Quindi, l’Europa può essere preoccupata per questa situazione e mi sembra legittimo.

    D. - Quindi, lei ritiene che un intervento ci debba essere in Mali?

    R. - L’intervento ci doveva essere. Ma un intervento di carattere internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. La Francia, intervenendo direttamente e chiedendo sostegno a tutti i Paesi, soprattutto quelli europei, e accettando i Paesi di intervenire a fianco della Francia, in pratica ha messo in crisi la stessa risoluzione delle Nazioni Unite (la risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza Onu nell’ottobre scorso ha aperto la strada a un intervento militare delle organizzazioni sovranazionali africane in Mali, e quindi Unione Africana e Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale N.d.R.). Oggi, questo intervento militare diretto dalla Francia non è avallato dalle Nazioni Unite. L’intervento militare ha spiazzato l’Onu e l’intervento degli altri Paesi, come Italia e Germania, è un intervento di sostegno prima di tutto politico, poi di carattere logistico, perché quando si parla di due o tre aeroplani da trasporto si parla di un ruolo minore, come partecipazione e come presenza.

    D. – La comunità internazionale mira a evitare che il Mali precipiti in condizioni peggiori della Somalia e dell’Afghanistan: è possibile che questo accada?

    R. – E’ possibile ed è già adesso una situazione, non dico peggiore della Somalia – perché peggio della Somalia non c’è niente – ma è quasi peggiore dell’Afghanistan. La prospettiva è ancora peggiore, nel senso che l’accostamento della situazione del Mali alla situazione dell’Afghanistan, che qualcuno ha fatto, ha diversi punti in comune, pur essendo due aree completamente diverse. I jihadisti non sono i talebani, probabilmente sono peggio, è veramente una situazione sull’orlo del precipizio. Il fatto fondamentale è questo: dal precipizio la gente si salva da sola o ci vogliono interventi esterni? Soprattutto delle potenze ex-coloniali che sono guidate dai loro interessi coloniali e che non hanno interessi umanitari? La missione delle Nazioni Unite avrebbe dovuto avere uno scopo esclusivamente umanitario e politico, diplomatico, perché le comunità in Mali si rimettessero d’accordo. Quando poi intervengono le potenze esterne, con i soldati, o con i soldati camuffati da assistenti, o con gli aerei militari camuffati da aerei da trasporto, allora è tutta un’altra storia.

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    Via libera alla Tobin tax in 11 Paesi europei. Cameron annuncia referendum su Ue

    ◊   L'Europa introdurrà, in undici Paesi tra cui l'Italia, la "Tobin Tax", la tassa che pagheranno le banche per ogni transazione finanziaria effettuata. La Tobin tax prende il nome dal Premio Nobel che la suggeriva negli anni Settanta e dovrebbe generare un "tesoretto" di circa 35 miliardi di euro. Contraria da sempre la Gran Bretagna e proprio oggi il premier britannico Cameron ha promesso un referendum in cui i britannici potranno scegliere se rimanere "dentro o fuori" l'Unione Europea. In ogni caso, la Tobin Tax, dopo tanti sacrifici chiesti ai cittadini per la crisi economica, rappresenta un modo per far contribuire anche le banche. Nell’intervista di Fausta Speranza, la riflessione dell’economista Giuseppe Di Taranto dell’Università Luiss:

    R. – Assolutamente. Questo è un grande passo avanti, un passo avanti importante. Farei presente solo un eventuale – voglio sottolinearlo due volte – eventuale pericolo: che in un mercato internazionale globalizzato, dove sostanzialmente c’è libertà di movimento dei capitali, questo potrebbe spingere a trasferire le transazioni finanziarie su Borse come quella di Londra dove, di fatto, la Tobin Tax non viene applicata. Però, mi permetta di dire che questa volta l’Unione Europea ha introdotto una tassazione che non è elevata e quindi probabilmente questo pericolo sarà scongiurato, almeno per quello che riguarda i trasferimenti di capitali non eccessivamente elevati.

    D. – Certo, questa non è una misura per risolvere la crisi economica in Europa, ma è una misura per riequilibrare chi paga: fino adesso hanno pagato i cittadini, adesso contribuiscono anche le banche…

    R. – Certamente. E se l’Europa avesse avuto una volontà comune, sicuramente le banche avrebbero pagato molto di più. Chi sta traendo i vantaggi dell’unione monetaria europea sono di fatto le banche. Tutti sappiamo, ma forse è opportuno ricordarlo, che ci sono state due operazioni di prestito della Banca centrale europea che hanno dato alle banche europee oltre mille miliardi al tasso ddell'1%, mentre di fatto imprese e famiglie – e non solo in Italia – non riescono ad avere ossigeno, cioè avere credito per andare avanti. E sono doppiamente penalizzate: perché, contemporaneamente, non riescono a ricevere il denaro anticipato relativamente alle vendite fatte alle pubbliche amministrazioni. Se a questo si aggiunge un cuneo fiscale elevatissimo e soprattutto una pressione fiscale – il "total tax rate", come si chiama – che è arrivata al 67%, credo che ci vogliano altri provvedimenti da parte dell’Unione Europea non più rinviabili.

    D. – Da sempre, Gran Bretagna, Irlanda e Svezia in particolare sono contrarie alla questione della tassazione. A questo punto, Cameron addirittura annuncia un referendum per l’eventuale uscita dall’Unione Europea…

    R. – E’ evidente che la City, il mercato finanziario più importante d’Europa, vuole restare tale. E quindi vede anche in una piccola tassazione – perché tale è la Tobin Tax – comunque un pericolo di non essere più al primo posto nella transazione dei capitali a livello internazionale. Ma il problema andrebbe visto all’origine, e cioè c’è da chiedersi: come mai i Paesi importantissimi di cui stavamo parlando sono nell’Unione Europea ma non nell’Unione monetaria europea? Forse, degli errori sono stati fatti all’origine. Ci sono delle contraddizioni in termini e vanno oggi poste sul tappeto e sulle quali bisognerebbe riflettere.

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    Al via il Forum economico di Davos. Zamagni: un danno l'assenza del Terzo settore

    ◊   Al via oggi a Davos, in Svizzera, il 43.mo Forum Economico Mondiale. Al centro dei lavori, l’instabilità dei mercati internazionali, la crescente disoccupazione, l’irresponsabilità della finanza ma anche le crisi in Mali, Siria e Algeria. Ad animare i lavori del meeting, capi di Stato e di governo, alti esponenti delle Nazioni Unite, manager delle multinazionali. Grandi assenti, le organizzazioni non governative e del terzo settore, come denuncia l’economista Stefano Zamagni al microfono di Federico Piana:

    R. – In un forum del genere, il mondo dell’associazionismo è completamente dimenticato: pensiamo alle Ong, le organizzazioni non governative; il mondo del volontariato pure è totalmente assente. Inoltre, in ambito specificamente economico, tutta la variegata galassia di imprese sociali, cooperative sociali, fondazioni di comunità che sono la vera ricchezza di una società, sono completamente abbandonate. Allora mi chiedo: qual è lo sguardo che a Davos viene utilizzato per leggere le res novae di questa fase storica? Se io indosso un certo tipo di occhiale, è chiaro che vedrò la realtà in una certa luce. Una riunione di questo tipo, che ha un impatto notevole non solo a livello culturale ma anche sui chi prende le decisioni politiche, possibile che trascuri almeno oltre la metà di quel che avviene nelle nostre società? Quindi, c’è questa idea secondo cui il mondo dell’impresa debba essere rappresentato solo da coloro che hanno come funzione obiettiva la massimizzazione del profitto, come se fare impresa volesse dire questo.

    D. – Uscirà qualcosa di concreto da questo Forum?

    R. – Se devo applicare i canoni della razionalità, vedendo come la pensano quelli che vi partecipano, conoscendo i loro background culturale e soprattutto la loro agenda, cioè a dire il sistema di interessi, dico ‘no’. Ovviamente, ci sarà sempre la ciliegina sulla torta per cercare di accontentare i media …

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Turchia: condannato a 15 anni di carcere l'assassino di mons. Padovese

    ◊   Murat Altun, il giovane che ha ucciso mons. Luigi Padovese il 3 giugno del 2010, è stato condannato a 15 anni di carcere. La sentenza - riporta l'agenzia AsiaNews - è stata emessa ieri verso le 13 ora locale. Secondo esperti di legge, poiché il condannato è in prigione già da tre anni, dovrà scontare solo 12 anni, ma in caso di buona condotta, potrà uscire dopo 6 anni e 5 mesi. Murat Altun, che al momento dell'uccisione aveva 26 anni, alla fine del processo ha detto di essere "pentito per aver ucciso mons. Luigi", "l'ultima persona che nella vita mi poteva fare del male. Ma in quel momento non ero padrone di me stesso!". Fin dal suo arresto, Altun ha sempre messo in luce diversi motivi contraddittori che lo hanno spinto ad uccidere e sgozzare il mons. Padovese: la sua insanità di mente; un rituale islamico; un rapporto morboso e omosessuale. In modo analogo a quanto accaduto nel caso dell'assassinio di padre Andrea Santoro nel 2006 a Trabzon, i legali di Altun hanno da subito tentato di sostenere la linea dell'infermità mentale, procurandosi da alcuni dottori certificati che ne accertavano l'incapacità di intendere e di volere. Tuttavia, nel giugno 2011 una commissione di medici di Istanbul ha stabilito la sua sanità mentale, facendo così partire il processo. Le udienze sono durate sempre molto poco, con grande frustrazione dei pochi presenti. Per molto tempo, diversi prelati hanno chiesto al governo turco la verità sull'assassinio. (R.P.)

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    Centrafrica: il governo accusa i ribelli di aver ripreso le ostilità

    ◊   “Malgrado gli accordi di Libreville dell’11 gennaio, la coalizione Seleka continua la sua avanzata” afferma un comunicato del Ministero della Difesa del Centrafrica, che accusa i gruppi ribelli di aver conquistato la città di Kembé (centro sud), nell’area diamantifera. Dopo aver conquistato la città i ribelli, secondo le autorità di Bangui, si sarebbero dati ad atti di saccheggio e di aggressione contro i civili. Gli accordi di Libreville, in Gabon, firmati dal Presidente Bozizé e dai rappresentanti di Seleka, una coalizione di diversi gruppi di guerriglia, prevedono il cessate il fuoco e la creazione di un governo di unione nazionale. Nel Paese continuano ad essere presenti diversi contingenti militari stranieri. Mentre la Francia ha annunciato che intende ridurre le proprie truppe dispiegate a Bangui (verranno portate da 600 uomini a circa 200), in Centrafrica ci sono anche le Forze Africane di Interposizione (Fomac, che passeranno da 780 a 900 militari), quelle sudafricane (circa 250 soldati dispiegati nella capitale) e ugandesi, che danno la caccia nel sud-est del Paese, con il supporto di consiglieri militari statunitensi, ai guerriglieri dell’Lra (Esercito di Resistenza del Signore). Il 18 gennaio nella zona orientale della Repubblica Centrafricana, vicino al confine con il Sud Sudan, i militari ugandesi hanno ucciso la principale guardia del corpo di Joseph Kony, il leader dell’Lra. (R.P.)

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    Mozambico: per le alluvioni nel sud a rischio decine di migliaia di persone

    ◊   “Nei quartieri bassi di Maputo, quelli più poveri, sono crollate diverse case”: lo dice all'agenzia Misna padre Gabriele Casadei, un missionario della Consolata, raccontando di un’emergenza alluvioni che sta mettendo a rischio decine di migliaia di persone nel sud del Mozambico. Secondo padre Gabriele, a essere colpiti sono stati solo alcuni quartieri di Maputo ma non il centro, situato più in alto. La situazione è più difficile nelle regioni attraversate dall’Incomáti, dal Limpopo, dal Save, dal Púnguè e dallo Zambesi, i grandi fiumi che attraversano il Mozambico centrale e meridionale. Riguarda queste aree l’allarme rosso del governo e il suo appello alla popolazione affinché si allontani il più possibile dai corsi d’acqua. In Sudafrica e in altri Paesi dell’Africa australe le piogge quest’anno sono state più abbondanti del solito. L’aumento del livello dei fiumi è anche dovuto alla decisione di aprire alcune dighe, in particolare lungo il corso del Limpopo e dell’Incomáti. Secondo stime diffuse dalla stampa del Mozambico, da ottobre le alluvioni hanno causato 35 vittime. Solo a gennaio hanno perso la vita 13 persone. (R.P.)

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    Iraq. Appello dell'arcivescovo Sako: “Quale futuro per i cristiani in Medio Oriente?”

    ◊   La situazione in Medio Oriente “è preoccupante, così come lo sono certi discorsi sulla primavera araba che si sentono da parte di certi dirigenti”. Con queste parole inizia l'appello sul futuro dei cristiani mediorientali lanciato oggi dall'arcivescovo caldeo di Kirkuk, Louis Sako. Il messaggio, pubblicato in esclusiva dall'agenzia Fides, auspica un'iniziativa della Santa Sede e della Chiesa universale per mobilitare la comunità internazionale a sostegno dei cristiani in Medio Oriente. Secondo mons. Sako, Il “miscuglio di etnie, religioni e lingue” presenti nell'area mediorientale comporta fatalmente tensioni e conflitti, poiché in quella regione del mondo “non si è mai affermato un criterio di cittadinanza in grado di integrare tutti, a qualsiasi religione o etnia appartengano”. I processi disgregativi oggi in atto in Iraq – e che in futuro potrebbero colpire anche la Siria – secondo l'arcivescovo “peggiorano la situazione”, perchè nei vuoti di potere istituzionale la sicurezza non viene più garantita e si aprono spazi all'azione dei gruppi criminali e estremisti. In questo contesto, per i cristiani in Medio Oriente l'incertezza si trasforma facilmente in inquietudine e paura. “Ci chiediamo se è ancora possibile pensare a una convivenza armoniosa e degna del suo nome” scrive l'arcivescovo caldeo, accennando alle discriminazioni subite da chi non segue quella che lui definisce la “religione di Stato”. Una condizione che, secondo mons. Sako, viene aggravata dalle strategie mediorientali messe in campo dai diversi soggetti geopolitici: “La comunità internazionale” osserva l'arcivescovo, con evidente riferimento al conflitto siriano “crede che si possa migliorare la situazione sostenendo un incerto programma per arrivare alla democrazia attraverso le armi! Il risultato è lo scontro tra una opposizione armata e un regime che distrugge tutto”. La speranza manifestata da mons. Sako è che il soccorso della Chiesa ai cristiani del Medio Oriente si manifesti in forme sempre più concrete. “Si dice che qui è fiorito il cristianesimo e che la nostra presenza è importante” nota l'arcivescovo di Kirkuk, “ma non si dice mai cosa rende possibile perseverare nella speranza”. Secondo il presule iracheno, “queste Chiese di origine apostolica meritano un sostegno adeguato da parte della Chiesa universale nella loro missione di comunione e testimonianza”. Un “sostegno internazionale, favorito dalla Chiesa universale, sarebbe un grande aiuto per provare a garantire una vita degna per tutti”. In particolare, alla Santa Sede viene riconosciuto dall'arcivescovo di rito orientale un “ruolo cruciale” per “garantire ai cristiani la possibilità di vivere nel proprio Paese e rimanere al proprio posto”. Ma vengono chiamate in causa anche le responsabilità dei cristiani autoctoni, così come quelle dei musulmani. Secondo mons. Sako, i cristiani mediorientali devono sottrarsi alla “trappola del nazionalismo” e riproporre sempre a tutti “le forme dell'amore vissute e predicate nel Nuovo Testamento”. Mentre i musulmani “devono aggiornare l'applicazione dell'insegnamento del Corano”. La formula ideale riproposta da mons. Sako è quella della "laicità positiva" che “rispetta la religione e può esprimere uno sguardo più adeguato sulla persona”. Uno sguardo – affiorato ad esempio nella Dichiarazione sulla libertà religiosa promulgata dal Concilio Vaticano II – per il quale “i diritti umani non rimangano sospesi in aria, separati dalle persone concrete che dovrebbero poterli esercitare”. (R.P.)

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    Giordania: suore comboniane soccorrono 10 mila profughi siriani nel deserto

    ◊   "Migliaia di donne siriane incinte e madri con figli molto piccoli rischiano di morire di fame, sete e ustioni nell'area desertica a sud della Giordania. In fuga dalla Siria esse non hanno trovato posto nei campi regolari allestiti nel nord del Paese. Insieme ai loro figli, esse hanno attraversato a piedi il deserto". È il drammatico racconto di suor Alessandra Fumagalli, religiosa comboniana e direttrice dell'Ospedale italiano di Karak (circa 150 km dalla capitale), da mesi impegnata nell'assistenza a questi profughi dimenticati. Secondo la religiosa i rifugiati siriani nella regione di Karak sono oltre 10mila e hanno come unico punto di riferimento il poli-ambulatorio gestito dalle suore. "L'area in cui si sono stanziati - afferma la religiosa all'agenzia AsiaNews - è troppo decentrata per usufruire degli aiuti di organizzazioni internazionali e del governo giordano, che coprono solo la parte nord del Paese. L'ospedale attrezzato più vicino è ad Amman. Per avere anche banali cure mediche alcuni dovrebbero percorrere oltre 300 km nel deserto. Per questa ragione si rivolgono al nostro Centro, che però essendo un ente no-profit, ha bisogno di continue donazioni per far fronte a questa emergenza". "Noi - aggiunge la suora - vogliamo far sapere al mondo della loro esistenza che rischia di passare inosservata". Molte delle donne che si rivolgono all'ospedale sono gravide e desiderano un luogo sicuro dover far nascere i loro bambini. Tuttavia, a causa della lunga traversata dalla Siria, la gran parte di esse ha problemi, anche gravi di salute. "Alcune sono costrette a partorire nel deserto - spiega suor Alessandra - e giungono da noi per curare e riabilitare questi bimbi, ma a volte è troppo tardi ed essi muoiono per disidratazione, denutrizione e ustioni provocate dal sole rovente del deserto". Per evitare queste situazioni il personale ospedaliero deve intervenire in modo tempestivo, recandosi a volte sul posto. Ma le risorse non sono sufficienti. Fondato dal 1939, l'Ospedale italiano di Karak è l'unica clinica attrezzata della regione e dispone di circa 40 posti letto. Esso è sostenuto dalla Catholic Near East Welfare Association (Cnewa), la speciale agenzia vaticana per l'aiuto alle Chiese cattoliche e alle genti del Medio Oriente. Nell'ospedale lavorano sei suore comboniane e 80 dipendenti. Il 90% di essi è di religione musulmana. "I rifugiati sono tutti di religione musulmana - racconta la religiosa - la zona di Karak, non è Amman, ma è abitata soprattutto da tribù di beduini, è inospitale e per questa gente, anche per i nostri dipendenti non è immediato aiutare in modo disinteressato chi soffre". In questi anni l'ospedale ha fatto diversi corsi di formazione per il personale, soprattutto sul piano etico e di assistenza al malato. "I nostri infermieri e medici hanno imparato che ogni vita vale - continua - per questa ragione la nostra clinica è divenuta uno dei punti di riferimento anche per la popolazione locale. Noi accogliamo chiunque ne faccia richiesta, senza alcuna distinzione. Qui la gente si sente accettata". In una anno, circa 300mila siriani hanno varcato il confine con la Giordania. Il Paese ha risposto creando campi profughi attrezzati, sufficienti però per meno della metà delle persone. Secondo dati del governo, almeno 2mila profughi hanno attraversato la frontiera nelle ultime settimane. (R.P.)

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    Indonesia: a East Java tolto l’obbligo alle scuole cattoliche di insegnare l’islam

    ◊   Le sei scuole cattoliche di Blitar, città della provincia di East Java, finite nel mirino delle autorità locali perché non prevedevano lezioni di islam e Corano per gli studenti musulmani non verranno chiuse e non saranno costrette ad organizzare corsi ad hoc. È quanto assicura all'agenzia AsiaNews B. Djokodwihatmono, segretario esecutivo della Commissione per l'educazione della Conferenza episcopale indonesiana (Kwi). Egli riferisce che, al termine di "tre giorni di discussioni approfondite" fra i funzionari amministrativi e i membri della John Gabriel Foundation, in rappresentanza della diocesi di Surabaya, le tensioni "si sono stemperate" e si è giunti al "lieto fine" della vicenda. Le sei scuole cattoliche di Blitar a rischio chiusura erano: il Catholic Diponegoro High School, la Catholic Vocational Training High School, la Saint Mary KG, la Saint Mary Elementary School, lo Yos Sudarso Catholic Elementary e lo Yos Sudarso Catholic Junior High School. Esse hanno ricevuto un'ingiunzione dell'amministrazione comunale negli ultimi giorni del 2012, in base alla quale "entro il 19 gennaio" avrebbero dovuto ottemperare alla normativa regionale. Il dispositivo prevede che tutti gli alunni di fede musulmana devono poter ricevere l'insegnamento dell'islam in classe (come previsto dalla Legge sull'educazione nazionale). La minaccia di chiusura delle autorità di Blitar ha incontrato la ferma reazione dei vertici scolastici, i quali ricordano che, al momento dell'iscrizione, genitori e alunni sono consapevoli che "negli istituti viene insegnata solo la religione cristiana". Le famiglie musulmane accettano di buon grado il regolamento interno, perché le scuole cattoliche sono un punto di riferimento per il valore educativo e il livello di istruzione impartito agli allievi. La vicenda si era intricata nei giorni scorsi: alcuni media in lingua inglese di Jakarta hanno riferito che le scuole cattoliche erano disponibili a organizzare al loro interno corsi di religione islamica. Alla base dell'informazione fuorviante e scorretta, le dichiarazioni di un funzionario della John Gabriel Foundation, nemmeno autorizzato a rilasciare commenti, secondo cui gli istituti erano pronti ad accettare l'ultimatum. Una voce che ha scatenato reazioni polemiche e infuriate in seno alla comunità cristiana indonesiana. Grazie alla mediazione dei vertici cattolici, fra i quali il vescovo di Surabaya mons. Vincentius Sutikno Wisaksono, la vicenda si è conclusa in modo positivo. "Sono fermamente convinto - dichiara B. Djokodwihatmono - che il capo dell'autorità di Blitar ha revocato in via ufficiale" l'ingiunzione. Fonti dell'amministrazione locale, anonime perché non autorizzate a rilasciare dichiarazioni, precisano inoltre che dietro la scelta vi sarebbero anche le "pressioni" del partito nazionalista Indonesian Democracy Party Struggle (Pdip), che ha sostenuto la candidatura alle urne dell'attuale leadership cittadina. (R.P.)

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    Colombia: al processo di pace le Farc propongono un "fondo delle terre"

    ◊   Creare un “fondo delle terre”, partendo da lotti lasciati improduttivi o sequestrati ai gruppi armati, per destinarlo alla riforma agraria: è una delle proposte sul punto 1 dell’agenda del processo di pace colombiano avanzate dalla guerriglia alla ripresa, questa settimana, dei colloqui con il governo ospitati da novembre a Cuba al Palacio de Convenciones dell’Avana. “Si propone la creazione di un ‘Fondo delle Terre’, formato da terre provenienti da latifondi, terreni improduttivi o sfruttati non adeguatamente, terre inattive o sterili, acquisite mediante l’uso della violenza e l’espropriazione e confiscate al narcotraffico” si legge in un comunicato diffuso dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) dalla capitale cubana. Tali terre potranno poi essere assegnate a “contadini senza terra e alle donne, in modo prioritario”. Le Farc - riporta l'agenzia Misna - hanno anche sottolineato la necessità di un “ordinamento sociale e ambientale” che garantisca il diritto all’approvvigionamento di acqua e all’effettivo utilizzo delle terre da parte dei beneficiari. Agli incontri al Palacio de Convenciones ha partecipato anche l’ambasciatore venezuelano presso l’Organizzazione degli Stati americani (Osa), Roy Chaderton. Secondo Radio Caracol, Chaderton è venuto a Cuba per unirsi al negoziato in rappresentanza del suo Paese che, insieme al Cile, è formalmente un “accompagnatore” del processo di pace. Il suo arrivo ha sorpreso i giornalisti: secondo alcune fonti di stampa è più che probabile che l’ambasciatore coglierà l’occasione per visitare il presidente Hugo Chávez, ricoverato in un ospedale ‘top secret’ dell’Avana dall’11 dicembre. Venezuela e Cile. (R.P.)

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    Colombia: appello di mons. Jaramillo contro i rapimenti

    ◊   L'amministratore apostolico della diocesi di Magangué, in Colombia, mons. Hernán Giraldo Jaramillo (vescovo emerito di Buga), ha lanciato un appello chiedendo che sia rispettata la vita e siano rimesse in libertà le cinque persone rapite venerdì 18 gennaio nel comune di Norosi, nella zona meridionale di Bolivar, sempre in Colombia, dal gruppo "Dario Castro", appartenente all’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln). Il presule, rivolgendosi ai rapitori, ha detto che “ci sono altri modi per reclamare ciò che essi considerano loro diritto, senza coinvolgere altre persone. Il rapimento è la cosa peggiore che si possa fare”. In questo contesto, ha poi aggiunto: “tutti dobbiamo aspirare alla libertà. È un elemento essenziale, caratteristica fondamentale della dignità umana”. Nell'ambito dei colloqui per la pace nel Paese, il vescovo ha definito queste azioni come “contraddittorie”, in quanto riescono solo a screditare la posizione dei gruppi sovversivi. Nella nota inviata dalla Conferenza episcopale all'agenzia Fides, si legge inoltre: “Se vogliono avere autorità, devono rispettare la dignità umana, e non pretendere qualcosa mettendo a rischio la vita degli altri”. Mons. Giraldo Jaramillo ha infine ricordato alle famiglie degli ostaggi che la preghiera è la forza più grande in questo momento, e che il Signore ci ascolta sempre quando siamo in pericolo. I cinque rapiti sono due ingegneri peruviani, un canadese e due colombiani, tutti della Società mineraria Geo Explorer. L'Eln ha così motivato il rapimento: "il governo ha dato il 99% dei Titoli Minerari dell'estrazione della Serrania de San Lucas alle compagnie straniere, lasciando solo l'1% alle comunità che abitano questo territorio". Il gruppo di ribelli, nella sua richiesta, rivendica la difesa delle risorse naturali come bene comune. Le autorità intanto continuano le operazioni di ricerca degli ostaggi. (R.P.)

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    Hong Kong: "La Fede cresce nell'Amore" tema della Campagna Quaresimale

    ◊   “Faith grows in Love”, la Fede cresce nell’Amore, è il tema della Campagna Quaresimale 2013 della diocesi di Hong Kong. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, la Commissione preparatoria ha indicato un tema specifico per ogni settimana della Quaresima: “Cercare la giustificazione attraverso la Fede”; “Avere fede nelle promesse di Dio”; “Pentirsi e tornare alla bontà”; “Preoccupati di costruire la solidarietà”; “Perseguire una vita virtuosa”. Come ogni anno, la Commissione terrà una conferenza stampa per la presentazione della Campagna, rivolta agli insegnanti delle scuole cattoliche, ai volontari, agli operatori pastorali. Inoltre la Commissione metterà a disposizione il materiale quaresimale (manifesti, stampati, buste per la raccolta delle offerte…) per l’animazione nelle parrocchie, nelle scuole, nei Centri di servizio sociale. Secondo quanto riporta il Kung Kao Po, il notiziario settimanale della diocesi di Hong Kong, la Commissione per la Campagna Quaresimale della Chiesa cattolica ha pubblicato il resoconto delle offerte raccolte l’anno scorso, quando il tema era stato “Servizio: segno della Carità”: un totale di 6.560.000 $HK, il 2% in più dell’anno precedente. Queste offerte sono state distribuite a 17 parrocchie, a 34 scuole cattoliche, alle 6 associazioni caritative, all’Associazione Studentesca per diffondere lo spirito quaresimale. Inoltre una parte delle offerte è stata destinata alle emergenze locali ed estere, e per i viaggi e l’alloggio dei sacerdoti del continente che vanno a studiare ad Hong Kong. (R.P.)

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    Repubblica Ceca: aperta la plenaria dei vescovi su Gmg e Giubileo dei SS.Cirillo e Metodio

    ◊   La conciliazione tra Stato e Chiesa, la celebrazione del Giubileo dei santi Cirillo e Metodio e i preparativi per la Giornata Mondiale della Gioventù 2013 a Rio de Janeiro saranno i temi al centro della XCII Assemblea plenaria della Conferenza episcopale ceca che è iniziata ieri a Praga. L’incontro – riporta l’agenzia Sir - si è aperto in serata con un'assise ecumenica in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, presieduta dal presidente del Consiglio ecumenico delle chiese, Joel Ruml. L’assemblea dei vescovi cattolici si concluderà oggi. Il programma prevede l’inaugurazione di una mostra intitolata “Madre Vojtecha, Serva di Dio: coraggiosa testimone della fede”, dedicata a Vojtecha Hasmandová, superiora della Congregazione delle Suore della Misericordia di San Carlo Borromeo, la cui causa di beatificazione è attualmente in corso in Vaticano. I prelati discuteranno inoltre del programma del prossimo Pellegrinaggio nazionale dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi in programma per il mese di aprile di quest’anno; dei progetti di catechesi per il 2013; e di una serie di eventi organizzati per l’Anno giubilare dei santi Cirillo e Metodio che 1150 anni fa evangelizzarono le nazioni slave. L’Assemblea culminerà questa sera con una messa presieduta dal card. Dominik Duka, arcivescovo di Praga. (R.P.)

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    Ultimo saluto a Riccardo Garrone. Messaggio di cordoglio del cardinale Bertone

    ◊   Migliaia di persone hanno dato l’ultimo saluto nella chiesa del Gesù, a Genova, a Riccardo Garrone, presidente onorario di Erg e Sampdoria, deceduto lunedì scorso all’età di 76 anni. I funerali sono stati presieduti dall'arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco. All’uscita, il feretro è stato portato dai giocatori della Sampdoria. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, ha inviato un messaggio di cordoglio. “Ricordo il suo impegno – sottolinea il porporato - per il lavoro, la cultura e lo sport e la sua passione educativa nell'aiutare i ragazzi a crescere con forti valori. Lo affido al Signore - prosegue il cardinale Tarcisio Bertone - per un grande premio e assicuro a tutti i familiari, amici, colleghi e sportivi che lo hanno amato e stimato, la mia preghiera e il mio benedicente saluto”. Oggi Riccardo Garrone, nato a Genova il 23 gennaio del 1936, avrebbe compiuto 77 anni. La sua storia imprenditoriale inizia con la morte improvvisa nel 1963 del padre, Edoardo Garrone, fondatore dell’azienda petrolifera Erg. Affida subito la gestione operativa del gruppo ad un management capace, destina cospicui investimenti per la distribuzione della benzina e nel 1971 decide di partecipare alla realizzazione della raffineria Isab di Priolo, in Sicilia. Nel 1997 si apre per Erg un nuovo importante capitolo con la quotazione in Borsa. Nel 2002 Riccardo Garrone, padre di 6 figli, lascia gli incarichi operativi in azienda e il primogenito, Edoardo Garrone, assume la presidenza. Sempre nel 2002, rileva la Sampdoria dalla famiglia Mantovani e ne scongiura il fallimento. Diventa presidente della società genovese quando la squadra è in serie B. Ma dopo la promozione in serie A ed il rilancio in Europa, arriva anche lo storico traguardo dei preliminari di Champions League. Come presidente della Fondazione Edoardo Garrone - impegnata nel favorire la condivisione, la fruizione e la diffusione dell'arte, della scienza e delle loro più significative forme di espressione - ha dato notevole impulso anche al panorama culturale. (A cura di Amedeo Lomonaco)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 23

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.