Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 15/01/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Vescovi d'Abruzzo e Molise dal Papa. Mons. Valentinetti: dal sisma emersi feriti ma più solidali
  • Rinuncia e nomina episcopale in Tanzania
  • Il card. Bertone inaugura i locali ristrutturati della Libreria Editrice Vaticana
  • 20 anni del Catechismo: il ruolo dei fedeli nella trasmissione della fede
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi Maliana. In arrivo 2500 soldati francesi, bombardata Diabaly
  • Siria: strage all'Università di Aleppo. Lettera all’Onu per fermare i reati contro l’umanità
  • Usa a rischio "default". Fitch minaccia di tagliare il rating
  • Pakistan: Corte suprema ordina arresto del premier per corruzione. La situazione dei cristiani
  • Le candidature provenienti dalla società civile: fenomeno nuovo nel panorama politico italiano
  • Dossetti, l'uomo che nella politica leggeva la storia
  • "Gmg, siamo pronti": intervista con padre Queiroz, responsabile della comunicazione di Rio 2013
  • La “Vergine dei Poveri” luce per gli umili: 80 anni fa l’apparizione della Madonna a Banneux
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Mali: Msf chiede di proteggere i civili. La Chiesa aiuta gli sfollati
  • Mauritania: preoccupante aumento della malnutrizione tra i profughi del Mali
  • Giordania: mons. Twal invita ad andare a votare alle prossime parlamentari
  • Pakistan: il caso di Rimsha Masih approda alla Corte Suprema
  • Vietnam: la diaspora chiede libertà per i giovani cattolici ingiustamente condannati
  • Ecuador: i vescovi per le presidenziali invitano a votare alla luce della fede
  • Messaggio dei vescovi italiani per la 17.ma Giornata mondiale della vita consacrata
  • Messico: appello di mons. Vera Lopez dopo la morte di uno studente
  • Messico: tre milioni di bambini lavoratori vivono in situazioni estreme di schiavitù
  • Irlanda: nuovo intervento dei vescovi nel dibattito sull’aborto
  • Germania. Il cardinale Lehmann: "Niente da nascondere su casi di abuso"
  • Spagna: Messaggio dei vescovi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
  • Sri Lanka: le alluvioni colpiscono più di 500 mila persone. Almeno 52 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Vescovi d'Abruzzo e Molise dal Papa. Mons. Valentinetti: dal sisma emersi feriti ma più solidali

    ◊   Giovedì prossimo il Papa incontrerà il secondo gruppo di presuli della Ceam, la Conferenza episcopale di Abruzzo e Molise. A colloquio con Benedetto XVI sarà anche mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne e presidente della Ceam. Isabella Piro lo ha intervistato:

    R. - Al Papa presenteremo il quadro regionale di una regione che ha bisogno, ancora una volta, di camminare sulle vie della fede e sulle vie di una nuova evangelizzazione. In particolare, presenteremo i bisogni delle famiglie che, in qualche modo, si sono indebolite nel loro “tessuto connettivo” del mantenimento della fede. Soprattutto, ci interessa moltissimo la pastorale familiare, in modo tale da poter dire al Papa quanto è importante che si lavori su questo settore. Ma siamo anche preoccupati per la situazione che stanno vivendo molte famiglie dal punto di vista sociale ed economico, in quanto le circostanze sono veramente complesse e difficili, in questo periodo. Siamo molto preoccupati per questo e stiamo cercando, attraverso le nostre Caritas diocesane e anche attraverso il “Prestito della speranza”, messo in atto dalla Conferenza episcopale italiana, di far fronte alle difficoltà e alle necessità che si presentano.

    D. - Dopo il terremoto del 2009, a che punto è la ricostruzione e qual è il contributo e l’impegno della Chiesa locale?

    R. - La ricostruzione, purtroppo, ha ancora un cammino lungo da fare, specialmente per quanto riguarda gli edifici di culto, i quali sono stati feriti in maniera piuttosto grave, soprattutto nella diocesi de L’Aquila, che vive una situazione molto particolare e molto difficile. Sicuramente, dovremo pensare di più a questa realtà, anche se noi siamo stati molto solidali: sin dai primissimi momenti, dalle primissime ore del terremoto, si è respirato veramente un impegno di Chiesa che ha vissuto davvero la fraternità, la fratellanza dell’essere un’unica comunità cristiana, impegnata nel riportare serenità e speranza, soprattutto a coloro che avevano perso ogni cosa.

    D. - Recentemente, la Chiesa di Abruzzo e Molise si è schierata contro alcuni progetti relativi all’estrazione petrolifera in territori agricoli della zona, ribadendo la necessità di salvaguardare il Creato. Vogliamo fare un accenno a questa questione?

    R. - Sì, sicuramente ci siamo impegnati e ci vogliamo impegnare ancora di più, perché la regione d’Abruzzo, dalla regione “verde d’Europa”, non diventi regione “nera d’Europa”. Infatti, ci sono molti progetti di estrazione petrolifera sia in mare che nel territorio interno. La vocazione dell’Abruzzo è una vocazione altamente agricola e altamente turistica, per cui vogliamo dire sinceramente ai responsabili di rivedere attentamente questi progetti di estrazione che porterebbero sicuramente l’inquinamento nella realtà del territorio. La Regione sarebbe sicuramente ferita da queste trivellazioni e da queste ricerche petrolifere che, in qualche modo, si stanno già facendo.

    D. - Nell’ambito dell’Anno della Fede e della nuova evangelizzazione, avete in programma iniziative particolari?

    R. - Abbiamo in programma, sicuramente, le iniziative che il Papa ci ha suggerito nella lettera apostolica Porta fidei e cercheremo di metterle in pratica tutte quante, secondo la logica del documento stesso, rispettando anche quanto la Congregazione per la Dottrina della Fede ha aggiunto al Motu Proprio del Papa. Ma ogni diocesi si sta organizzando, sta cercando di vivere intensamente quest’Anno della Fede con varie iniziative di catechesi, soprattutto, e di attenzione alla professione della vera fede da parte dei credenti. Le diocesi guardano anche molto alla trasmissione della fede: siamo pronti a ripetere che crediamo, che vogliamo credere, che vogliamo essere confermati nella fede. La visita ad Limina dal Papa sarà anche un sentirsi confermati nella fede per quel che riguarda le nostre singole Chiese diocesane. Ma vogliamo anche essere protagonisti di una trasmissione della fede che sia, per il mondo d’oggi, un segno di speranza, un segno veramente di amore da parte del Signore e della Trinità Santa.

    D. - Benedetto XVI ha visitato la Regione Abruzzo tre volte: nel 2006 Manoppello, nel 2009 L’Aquila e nel 2010 Sulmona. Quale insegnamento avete tratto dagli incontri con il Santo Padre?

    R. - L’insegnamento del Santo Padre è stato quello di una vicinanza bella e profonda alla nostra vita regionale. Abbiamo visto il Papa commuoversi di fronte alle rovine del terremoto; abbiamo visto il Papa che si è commosso e ha pregato lungamente davanti al Volto Santo di Manoppello; abbiamo visto il Papa attento alla figura di Celestino V, quando è venuto a Sulmona ed ha vissuto con noi l’esperienza di preghiera nella celebrazione eucaristica. Siamo stati molto felici di tutto questo, perché il Papa ci ha detto, ancora una volta, tutta la sua passione per la preghiera, per l’interiorità, per vivere la fede in maniera personale. Soprattutto vivere una fede cristallina, portata avanti senza compromessi, una fede pronta a dare una grande testimonianza.

    inizio pagina

    Rinuncia e nomina episcopale in Tanzania

    ◊   In Tanzania, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Bukoba, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Nestorius Timanywa. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Desiderius M. Rwoma, trasferendolo dalla diocesi di Singida. Lo stesso presule è stato nominato amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Singida. Mons. Desiderius M. Rwoma è nato l’8 maggio 1947 ad Ilogero, diocesi di Bukoba. Ha studiato al Seminario preparatorio di Rutabo (1962-1963) e al Seminario minore di Rubya (1964-1967). Successivamente ha compiuto gli studi filosofici al Seminario maggiore di Ntugamo, Bukoba (1968-1969) e quelli teologici al Seminario maggiore di Kipalapala (1970-1974). È stato ordinato sacerdote il 28 luglio 1974 per la diocesi di Bukoba. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario cooperatore di Hashambya (1974-1975); Insegnante al Seminario minore di Rubya (1975-1976); Studente presso il Centro Pastorale Gaba, Eldoret, Kenya (1977); Insegnante al Seminario minore di Rubya (1978-1980); Vice Rettore dello stesso centro di formazione (1980-1984); Cappellano delle Teresian Sisters di Bukoba (1984-1987); Rettore del Seminario minore di Rubya (1987-1997). Dal 1997 al 1999 è stato Vicario Generale di Bukoba. Eletto Vescovo di Singida il 19 aprile 1999, ha ricevuto la consacrazione episcopale l’11 luglio dello stesso anno.

    inizio pagina

    Il card. Bertone inaugura i locali ristrutturati della Libreria Editrice Vaticana

    ◊   “La Santa Sede porta avanti il suo tradizionale sostegno alle iniziative culturali, oggi nella prospettiva della nuova evangelizzazione”. Sono parole del cardinale Tarcisio Bertone che ha inaugurato i locali ristrutturati della vecchia sede della Libreria Editrice Vaticana, portando la benedizione del Papa. A margine della cerimonia, interpellato dai giornalisti sulla presenza di cattolici nei vari schieramenti, il segretario di Stato ha affermato che “ognuno deve farsi portatore dei valori fondamentali che sostengono ogni società, compresa la società italiana”. Si è poi detto “molto contento” dell’impegno emerso dalla manifestazione in Francia nel difendere “con forza e con intelligenza i principi fondanti della famiglia”. Dell’inaugurazione dei nuovi locali della Libreria Editrice Vaticana, ci riferisce Fausta Speranza:

    Il rinnovo dei locali si inserisce nel dinamismo della Libreria Editrice Vaticana che – sottolinea il cardinale Bertone – da almeno dieci anni segna “un bilancio in crescita e dà segni di vitalità”. E il porporato ricorda l’allargamento “oltre i settori del Magistero e della Liturgia, al vasto ambito della cultura cattolica italiana e internazionale”:

    “Pubblicare libri significa divulgare idee e modi di vivere. Farlo a servizio della missione ecclesiale vuol dire aprirsi ad una prospettiva ampia e universale, che porta il messaggio cristiano, con la sua novità e originalità, all’interno del mondo culturale e delle sue tendenze.”

    “Il Santo Padre, e anch’io personalmente – afferma il cardinale Bertone – incoraggiamo questo sforzo della Libreria Editrice Vaticana e ne apprezziamo le fatiche”. E tra le “fatiche”, il cardinale cita l’attenzione al libro elettronico sottolineando la “consapevolezza che il libro cartaceo ha ancora molto da offrire”. Poi un auspicio: “Ogni trasformazione strutturale e organizzativa non vada mai a scapito della persona umana, anzi, possa valorizzarla sempre meglio e favorirne i più alti ideali”:

    “I libri possono giovare al progresso della famiglia umana nella verità e nella libertà. Lo sviluppo rettamente inteso dell’editoria favorisce il contatto tra gli uomini di diverse lingue e culture, per una convivenza più giusta e fraterna, conforme al disegno di Dio”.

    In particolare, gli ambienti ristrutturati ospiteranno l’archivio, il settore commerciale e l’ufficio stampa. Dell’attività della Libreria Editrice Vaticana e del nuovo impegno parliamo con il direttore, don Giuseppe Costa:

    R. – La Libreria Editrice Vaticana come ogni attività editoriale è una realtà in costante e continuo movimento. Guai se un’editrice non fosse capace di seguire i desideri del mercato, guai se non riuscisse a servire giorno dopo giorno quanto viene predisposto dai responsabili e dalla stessa missione che ha ogni editrice. La Lev ha come missione il sostegno e la diffusione del magistero del Santo Padre, della Santa Sede e il sostegno alla cultura cattolica. Questi nuovi uffici sono il risultato dell’attenzione della stessa Santa Sede all’editoria e alla cultura e, al tempo stesso, sono il risultato dell’attenzione alla crescita che la Libreria Editrice Vaticana ha avuto.

    D. – Nuovi spazi e nuovi progetti, dunque?

    R. – I progetti sono nella produzione stessa della Libreria Editrice Vaticana, che ha visto crescere la sua produzione in quantità e in qualità. Questo comporta una ristrutturazione, una crescita in razionalità dell’intera organizzazione editoriale. La cultura per crescere ha bisogno di strutture, non è un qualcosa di astratto. Ha bisogno di piedi per camminare, ha bisogno di strumenti per poterla far fruire alla gente. Abbiamo prima sistemato la sede centrale dell’editrice, dove abbiamo la direzione, l’amministrazione e l’attività editoriale redazionale. In questi nuovi uffici, sistemiamo l’area commerciale per poter dare alla dimensione commerciale una maggiore disponibilità al servizio e al tempo stesso una maggiore grinta nella ricerca di nuovi mercati. A fianco del commerciale, c’è l’ufficio stampa e anche l’archivio, che andava sistemato. La Libreria Editrice Vaticana è un’editrice che risale a secoli passati, anche se il nome è piuttosto recente e risale al 1926.

    D. – Solo una parola sui contenuti...

    R. – I contenuti dei libri della Lev sono i contenuti dello stesso magistero della Santa Sede. Più diffusione del magistero significa più attenzione, più crescita delle singole comunità dei credenti. E’ su questi contenuti che siamo impegnati a tempo pieno.

    inizio pagina

    20 anni del Catechismo: il ruolo dei fedeli nella trasmissione della fede

    ◊   Decima puntata del nostro ciclo di riflessioni dedicate al Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, a 20 anni dalla pubblicazione. Oggi, padre Dariusz Kowalczyk, si occupa in particolare del ruolo dei fedeli nella comprensione e nella trasmissione della verità della fede, come sviluppato nel Catechismo:

    L’ufficio di interpretare la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione è stato affidato al Magistero della Chiesa, cioè ai vescovi che sono in comunione con il Successore di Pietro. Il Magistero non agisce però al di fuori del Popolo di Dio, ma è uno strumento, voluto da Dio, per comprendere bene l’operato dello Spirito Santo nei confronti di tutta la Chiesa. Non è solo il Magistero però a interpretare la fede. Il Catechismo al numero 91 afferma: “Tutti i fedeli sono partecipi della comprensione e della trasmissione della verità rivelata. Hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo che insegna loro ogni cosa…”. Tutto il popolo credente (dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici) possiede il dono che chiamiamo senso soprannaturale della fede. Grazie a quel senso della fede, suscitato dallo Spirito di verità, il popolo di Dio aderisce alla fede in maniera più profonda, applicandola nella vita nel modo più pieno (cfr. CCC 93). Il Catechismo ricorda il famoso numero 8 della costituzione “Dei Verbum” dove si legge che la Chiesa progredisce nell’intelligenza della fede e anche nella contemplazione e nello studio dei credenti che hanno un’esperienza profonda delle cose spirituali. Così lo Spirito Santo introduce i credenti, ovviamente non senza la guida del Magistero, alla verità intera. Un esempio di sviluppo dell’intelligenza della fede del Popolo di Dio è la verità dell’Immacolata Concezione affermata come dogma di fede nel 1854. La comprensione più profonda del mistero rivelato di Maria non sarebbe stata possibile senza l’esperienza e la riflessione dei fedeli, e cioè senza il loro senso di fede. Ciascuno di noi credenti, si deve sentire quindi soggetto di comprensione e trasmissione della fede rivelata in Gesù.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale a firma di James F. Puglisi, ministro generale dei frati francescani dell’Atonement, dal titolo “La forza di una candela nel buio: Paul Wattson ideò la Settimana per l'unità dei cristiani”.

    Al servizio della nuova evangelizzazione: il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, all’inaugurazione dei nuovi locali della Libreria Editrice Vaticana.

    Nel servizio internazionale, in rilievo l’economia giapponese: Tokyo sfida la crisi con una nuova politica monetaria.

    La malinconia della storia: Giovanni Maddalena sul tema del destino.

    Una tac per la mummia: Alessia Amenta sulle moderne tecniche biomediche in aiuto degli studiosi.

    Non padroni ma custodi: stralci dall’intervento di François Jankowiak al seminario di studio «Il sovrano pontefice e il suo Governo nel XIX secolo», tenutosi presso la Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma.

    Salesiani d’Africa: Grazia Loparco su cento anni di memorie, testimonianze e documenti d’archivio.

    La radice e i rami selvatici: stralci dalla prefazione di Walter Kasper, cardinale presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, al volume Gesù Cristo e il popolo ebraico.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Crisi Maliana. In arrivo 2500 soldati francesi, bombardata Diabaly

    ◊   In Mali, quinto giorno di bombardamenti francesi contro i gruppi jihadisti nel Nord del Paese. Gli islamisti si sono ritirati dalle principali città che occupavano, incluse Timbuctu, Gao e Douentza, per l'avanzata delle truppe di Parigi. Intanto la Francia conferma che i soldati, nel Paese africano, oggi 750, cresceranno progressivamente. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Diventeranno, in breve tempo, 2500 i soldati francesi in Mali impegnati nella lotta contro i gruppi jihadisti, che controllano il Nord del Paese. La conferma, da fonti del ministero della Difesa, nel giorno in cui il presidente Hollande, in visita egli Emirati Arabi Uniti, ha precisato che il contingente attuale, impegnato nel Paese africano, “conta 750 uomini e crescerà gradualmente”. Intanto, il quinto giorno vede i bombardamenti francesi che si stanno concentrando prevalentemente sulla città di Diabaly, in mano ai ribelli, a 400km dalla capitale Bamako. Gli islamisti avrebbero abbandonato gli insediamenti più a nord per riorganizzare l’offensiva. L’Algeria in questo scenario ha chiuso le frontiere, e mentre l’Onu appoggia l’intervento francese, rimane critico l’Egitto. Il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, ribadisce che le operazioni militari sono cruciali per impedire ad al Qaeda di stabilire basi da cui lanciare attacchi contro Europa e Stati Uniti. Drammatica la situazione umanitaria: secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari sarebbero 150 mila i rifugiati e oltre 230 mila gli sfollati. I maliani finora avrebbero trovato riparo nel Sud del Paese, in Mauritania, Niger, Burkina Faso e Algeria

    Sulle cause di questo conflitto, Massimiliano Menichetti ha raccolto l’analisi di Arrigo Pallotti, docente di Storia e istituzioni politiche dell’Africa contemporanea dell’Università di Bologna e coautore del libro "L’Africa subsahariana nella politica internazionale":
    R. – Questo scenario in Mali è una delle conseguenze della caduta del regime di Gheddafi in Libia. In un contesto storico di forti tensioni tra il Nord e il Sud del Paese, nel momento in cui gruppi armati di Tuareg, che avevano lavorato al soldo di Gheddafi, lasciano la Libia e tornano in Mali, si scatena un conflitto. Il conflitto inizialmente ha rivendicazioni indipendentiste, ma poi reti legate al terrorismo internazionale penetrano questa ribellione e, di fatto, l’intero movimento assume toni molto più radicali, quindi anche legati al terrorismo internazionale.

    D. – Proprio su questo aspetto del terrorismo internazionale, il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, ha ribadito che queste operazioni sono cruciali, per impedire che Al Qaeda riesca a stabilire basi da cui poter lanciare attacchi contro l’Europa e gli Stati Uniti…

    R. – Questa è la lettura prevalente in tutti gli ambienti diplomatici, non solo in Mali, ma anche in altre parti dell’Africa – penso alla Somalia, al Corno d'Africa – dove si annidano verosimilmente basi e attività del terrorismo internazionale. Il problema di fondo, però, è capire come questo genere di attività potranno essere bloccate, non semplicemente con un’azione militare, ma con una ricostruzione di più lungo periodo, con lo sviluppo in queste regioni.

    D. – La presenza militare francese aumenterà nel Paese fino ad arrivare a 2500 unità. Come giudicare questo intervento, peraltro ben salutato dall’Onu?

    R. – C’è un consenso piuttosto ampio a livello internazionale sul fatto che, a questo punto, fosse necessario intervenire militarmente. C’è stata un’offensiva dei ribelli contro il governo, che quindi si è trovato davvero davanti alla possibilità di cadere ed essere spazzato via. Non dimentichiamoci però che la Francia è l’ex potenza coloniale di gran parte dell’Africa occidentale e che quindi ha un interesse cocente a non lasciare che la situazione precipiti oltre una certa misura, in uno dei Paesi del suo vecchio impero coloniale. Il problema, però, che alcuni sollevano dal punto di vista africano è che un intervento militare, da una parte, potrà stabilizzare la situazione, ma non risolverla. Non dimentichiamoci che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con cui è stato legittimato questo intervento chiedeva anche che venisse sostenuto il dialogo politico in Mali - e, dall’altra, alcuni osservatori africani mettono in luce il fatto che si rafforza una visione strumentale dell’Africa. Ovvero il pensiero è che si intervenga in Africa, perché l’Occidente si sente minacciato e non perché ci sono preoccupazioni legate alla democrazia, alla lotta alla povertà in questo continente. Devo dire che mi auguro davvero che le Nazioni Unite riescano a riallacciare un dialogo politico in Mali, coinvolgendo appunto la diplomazia africana e la diplomazia regionale. Pensare di risolvere la questione con bombardamenti, temo sia una visione piuttosto miope.

    D. – Qual è lo scenario, dunque, che si profila a breve, partendo dal presupposto che chiaramente è in corso un intervento militare?

    R. – La mia impressione è che un’opzione militare, in questa regione, rischi di scatenare a catena un’altra serie di conflitti, non solo a livello regionale. Pensiamo alla posizione dell’Algeria, molto critica rispetto a questo intervento, rispetto invece a Paesi come la Nigeria, molto più decisi riguardo all’opzione militare. Il problema è che questi interventi cominciano, ma non si sa quando finiscono.

    inizio pagina

    Siria: strage all'Università di Aleppo. Lettera all’Onu per fermare i reati contro l’umanità

    ◊   Nuovo attentato oggi in Siria all’Università di Aleppo, nel nord del Paese. Le prime fonti ufficiali riferiscono di 15 morti. Fonti locali di attivisti hanno riferito intanto di almeno 50 persone rimaste senza vita tra la notte scorsa e stamani, soprattutto a causa di pesanti bombardamenti governativi su Hula nella provincia di Homs. E intanto si levano voci contro le violazioni dei diritti umani da parte di Damasco: senza un’azione contro l’impunità, non ci sarà pace duratura in Siria. Per questo, 57 Paesi, capeggiati dalla Svizzera, hanno inviato ieri una lettera al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per chiedere l’intervento della Corte penale internazionale (Cpi). Un provvedimento sollecitato da Amnesty International dall’aprile del 2011, un mese dopo lo scoppio delle ostilità tra il governo di Assad e le opposizioni. Roberta Gisotti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce dell’organizzazione umanitaria:

    D. – Che cosa si spera di ottenere con questa lettera?

    R. – Di superare una paralisi che ormai va avanti da quasi due anni all’interno del Consiglio di sicurezza. Non soltanto comitati internazionali per i diritti umani e organizzazioni non governative chiedono che si faccia qualcosa per porre fine all’impunità e ai crimini contro l’umanità, ai crimini di guerra commessi in Siria: il fatto che ci siano ora 57 Stati membri dell’Onu è un segnale importante. Potrebbe essere quello decisivo per avviare finalmente un’indagine da parte del procuratore della Corte penale internazionale.

    D. – Intanto, la gente continua a morire in Siria. Un nuovo Rapporto, in questi giorni, dell’organizzazione umanitaria Irc, "International Rescue Committee", denuncia non solo l’uccisione di tanti minori, ma anche lo stupro sistematico di donne. Vi risulta questo terribile fenomeno?

    R. – Risulta difficile dire quanto sia pianificato, sistematico e possa essere in qualche modo analogo ad altri casi drammatici del genere, come accaduto in Bosnia e in Rwanda. Non credo siano a quei livelli. E’ certo che anche nelle ricerche effettuate da Amnesty International ci sono stati casi - in particolare nel contesto delle torture, all’interno delle carceri, e durante i raid a terra compiuti dopo i bombardamenti aerei - di violenza e stupro nei confronti di civili, in particolare donne, che sono stati confermati dai nostri ricercatori.

    D. – Nella prassi che cosa si può fare?

    R. – Intanto, il Consiglio di icurezza dovrebbe togliere quell’ombra di sospetto, un po’ più di un sospetto, che non abbia interesse o abbia perso la volontà, semmai ce l’abbia avuta, di proteggere i civili in Siria. Amnesty International continua a chiedere che ci sia il deferimento alla Corte penale internazionale della Siria rispetto a tutte le parti sospettate di aver commesso i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. Occorre che i Paesi, gli Stati membri delle Nazioni Unite, esercitino la giurisdizione universale nei confronti di chiunque sia sospettato di avere commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che si trovi nei loro Paesi. E certamente, se c’è ancora un margine per una soluzione che non contempli il ricorso alle armi, questa soluzione va esplorata fino in fondo. Resta comunque il problema enorme di chi può sedersi intorno ad un tavolo, riconoscendo nell’altro un interlocutore in un negoziato di pace, su questo potrebbe essere purtroppo troppo tardi. Qualunque cosa accada, c’è una questione che Amnesty International ritiene fondamentale: interrompere l’impunità. Non è possibile per il futuro della Siria che quell’eredità di decenni di repressione vada avanti in maniera impunita.

    D. – Nel gruppo di Paesi firmatari è l’Italia, non ci sono Stati Uniti, Russia e Cina. Come valutare queste assenze?

    R. – E’ come se ci fosse un’altra stanza, un altro luogo all’interno delle Nazioni Unite, in cui i grandi si riuniscono per fare qualcosa che non è nient’altro che inconcludente retorica fino a oggi. Noi siamo passati in questi due anni quasi dal "cento" – che era quello di minacciare la guerra, ogni volta peraltro spostando in avanti la linea rossa, da non oltrepassare – allo "zero", che è il veto posto da Russia e Cina, in particolare su ogni tentativo significativo di fare una risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza, che avesse a che fare con i diritti umani. Quindi, l’idea che ci siano degli Stati membri che pungolano le grandi potenze, le maggiori responsabili di questa retorica inconcludente, è un fatto positivo. Preoccupa certo che poi risultino quasi i destinatari, come se ci fossero due Nazioni Unite, di chi spinge per un intervento della Corte penale internazionale e chi riceve questo invito.

    inizio pagina

    Usa a rischio "default". Fitch minaccia di tagliare il rating

    ◊   Stati Uniti a rischio default tra poche settimane, a causa del mancato innalzamento del tetto del debito. E’ intervenuto il presidente Obama, il capo della Fed Bernanke e poco fa è giunta la dura presa di posizione di una delle più importanti agenzie di rating, che minaccia il taglio della "tripla A" per la più importante economia del pianeta. Il servizio di Salvatore Sabatino:

    "In caso di fallimento della trattativa sull'aumento del debito degli Stati Uniti", l’agenzia Fitch “avvierà un esame formale del rating” del Paese, con un possibile taglio della tripla A. L’annuncio arriva come una doccia fredda, a poche ore da una conferenza stampa – l’ultima del suo primo mandato – in cui Obama ha bacchettato i repubblicani, sottolineando che “il Congresso dovrà autorizzare l'innalzamento del tetto del debito, altrimenti le conseguenze saranno disastrose, per l'economia e sui mercati”. Quello del capo della Casa Bianca è stato un vero e proprio monito per gli avversari politici, accusati di “tenere in ostaggio un intero Paese”. Il debito ha già sforato il limite legale dei 16.400 miliardi di dollari e le risorse disponibili coprirebbero le spese dello Stato solo fino alla fine di febbraio. Dopo di che, ci sarebbe il baratro, quello vero, che porterebbe la prima economia del pianeta in recessione, con un effetto domino dalle conseguenze disastrose per tutti i cinque continenti. Nelle stesse ore, pure il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha lanciato un appello al Congresso perché agisca davvero in fretta.

    "O il Congresso autorizzerà l'innalzamento del tetto del debito o le conseguenze saranno disastrose, per l'economia e sui mercati". E’ chiaro, insomma, Barack Obama nel lanciare l’allarme default. Ma quali sono i pericoli che gli Usa stanno effettivamente correndo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Stefano Manzocchi, docente di Economia Internazionale presso l’Università Luiss di Roma:

    R. – Il pericolo è quello di un blocco pressoché assoluto da inizio marzo dei pagamenti della pubblica amministrazione americana: stipendi, forniture, dalla difesa alla pubblica amministrazione, welfare, pensioni e quant’altro. Questo riporterebbe la crisi finanziaria alla recessione nel giro di poco tempo.

    D. – Tra l’altro, Fitch ha minacciato il taglio della tripla A per l’economia stelle e strisce. Conta davvero così tanto la posizione delle agenzie di rating in questo momento?

    R. – Io non credo che conti tantissimo, nel senso che è vero che gli Stati Uniti sono sotto esame perché hanno una dinamica elevata di lungo e di medio termine del debito. Il problema in questo momento, però, è proprio scongiurare nel brevissimo periodo il rischio di un blocco dell’economia. Il taglio del rating e l’aggiustamento del debito, con il giusto mix di imposte e di riduzione di spesa, è quello che riporterà l’America a posto nel tempo. Credo che Obama si sia dato questi quattro anni per rimettere il debito in una situazione migliore, ma adesso bisogna evitare questo pericolo enorme.

    D. – Obama apre il suo secondo mandato con la mannaia della crisi. Non crede sia stata un po’ dimenticata durante la campagna elettorale?

    R. - E’ stata dimenticata perché Obama aveva tutto l’interesse a sottolineare i vantaggi e anche i successi della sua amministrazione. Il problema vero, come sappiamo, è nel partito repubblicano, dove una nuova classe dirigente, soprattutto alla Camera dei deputati, sta usando questa battaglia non solo contro il presidente ma, se vogliamo, contro i vecchi signori del partito repubblicano. E’ come se nel partito ci fosse una generazione di "rottamatori" che sta usando questa battaglia per far fuori i vecchi leader. Il problema è che per fare questo il rischio è di mettere davvero in pericolo l'attuale momento dell’economia americana, dove qualche segnale di ripresa si stava cominciando a vedere.

    D. - E si metterebbe in pericolo anche l’economia mondiale, visto che l’Europa guarda con preoccupazione a quanto sta succedendo a Washington. Quali conseguenze si avrebbero sui mercati del Vecchio continente?

    R. – Le conseguenze, naturalmente, sarebbero mondiali. I primi, ad esempio, a essere scandalizzati e senz’altro molto disturbati da questa vicenda sono i cinesi, che in cassaforte hanno un terzo del debito americano, quindi oltre cinquemila miliardi di dollari di debito americano. Per l’Europa, le conseguenze sarebbero terribili perché l’unico motore, per quanto debole, dell’economia europea in questi anni sono state le esportazioni e il mercato americano era tornato molto promettente, fino alla discesa della disoccupazione - prospettive di una crescita sopra il 2% quest’anno. Se questo si interrompe, per l’Europa si tornerà definitivamente in recessione.

    inizio pagina

    Pakistan: Corte suprema ordina arresto del premier per corruzione. La situazione dei cristiani

    ◊   La Corte Suprema del Pakistan ha ordinato l’arresto del primo ministro Raja Pervez Ashraf e altre 15 persone, sulla base di accuse per corruzione. Ashraf è sospettato di aver accettato denaro quando, in qualità di ministro per l’acqua e l’energia nel 2010, ha approvato una serie di progetti nel settore energetico. La notizia - riferisce l'agenzia Misna - ha scalato in breve le prime pagine dei quotidiani e siti internet del continente asiatico anche se – concordano gli osservatori – è improbabile che la decisione dell’Alta corte porti alle sue dimissioni da capo del governo in tempi brevi. La vicenda si inserisce in un clima di rinnovate tensioni a Islamabad, teatro di massicce manifestazioni di piazza da parte di attivisti che chiedono la caduta dell’esecutivo. Migliaia di persone sono scese in strada negli ultimi giorni, sotto la guida dell’imam Tahirul Qadri, critico del governo di cui denuncia inettitudine e corruzione. Sono invece terminate le proteste della comunità sciita, colpita la settimana scorsa da un attentato che ha provocato oltre 90 morti. Davide Maggiore ha chiesto a Peter Jacob, direttore esecutivo della commissione "Giustizia e pace" della Conferenza episcopale pakistana, qual è in questo contesto la condizione dei cristiani:

    R. – The scale of violence threatens everybody, but at the same time…
    L’aumento della violenza è una minaccia per tutti, ma al tempo stesso la gente in Pakistan è molto resistente. Non è disposta ad accettare compromessi per quanto riguarda i suoi diritti e così ogni giorno ci sono manifestazioni di strada, proteste, dimostrazioni di solidarietà con le vittime. In particolare per la comunità sciita, i cristiani si sono uniti alla protesta e hanno chiesto pace insieme al rafforzamento di legge e ordine.

    D. – I cristiani pakistani hanno la sensazione di essere a rischio nella stessa misura in cui lo sono altre categorie di pakistani…

    R. – That’s right. First of all, the country is passing through very critical...
    E’ esatto. In primo luogo, il Paese sta vivendo una condizione molto critica a causa dell’instabilità politica. E’ in atto un’altra “lunga marcia” di cui non si parla molto, ma che è indicativa dello scontento tra la gente e che potrebbe essere usata per fini politici, giacché tra due mesi ci saranno le elezioni. Quindi, attualmente il clima è molto incerto e per questo è difficile anche organizzare campagne nella società civile a causa della minaccia dell’estremismo. La situazione è difficile. D’altro canto, i partiti politici, le organizzazioni professionali come gli avvocati ed i giornalisti, si stanno organizzando. Speriamo che il Paese possa riprendersi, che possano essere ristabiliti la legge e l’ordine.

    D. – Quali sono le maggiori necessità dei cristiani del Pakistan?

    R. – There is an issue concerning protection and security…
    C’è un aspetto che riguarda la protezione e la sicurezza, poi c’è l’aspetto dell’emarginazione economica. La partecipazione politica è stata assicurata, deve essere assolutamente risolta la questione della discriminazione: la discriminazione e il settarismo sono alcuni dei fattori che ci hanno portato a questo punto. La situazione è quella che è, a causa della discriminazione che regna nel Paese.

    D. – Cosa fa la Chiesa per confortare i fedeli e per incoraggiare il dialogo, al fine di risolvere questo aspetto della discriminazione?

    R. – The Church is helping the common people, the poor…
    La Chiesa aiuta la gente comune, i poveri, con programmi di sviluppo. Prende posizione sulle questioni che riguardano la giustizia e la pace. La Chiesa è anche impegnata ad aiutare il Paese, chiedendo ai cristiani di condurre uno stile di vita pacifico: così la Chiesa aiuta il Paese e la comunità cristiana.

    inizio pagina

    Le candidature provenienti dalla società civile: fenomeno nuovo nel panorama politico italiano

    ◊   Esponenti di associazioni civili e d’ispirazione ecclesiale, magistrati, direttori di giornali e giornalisti, imprenditori e lavoratori: mai in Italia si erano visti tanti candidati provenienti dalla società civile come in occasione di questa campagna elettorale. Solo ieri si lamentava un pericoloso distacco e una forte disaffezione dei cittadini nei riguardi della politica e dei politici definiti un “casta”. Con l’impegno da parte di tanti cittadini, possiamo pensare ora che quel sentimento sia stato superato? Adriana Masotti lo ha chiesto al politologo, Paolo Franchi:

    R. – Intanto, dobbiamo un pochino aspettare, perché ci sono due processi di tipo diverso: forse si incontreranno, ma non è detto. Il primo riguarda i milioni di elettori italiani e i loro comportamenti elettorali, cioè quelli che nei sondaggi preelettorali vengono dati come presumibili astenuti, come indecisi se votare o meno. Se questo fatto del moltiplicarsi delle candidature della società civile contraddica o no l’ampiezza di questo fenomeno, onestamente non sono in grado di dirlo. Io credo che il fenomeno permanga e sia solo parzialmente contraddetto per quanto riguarda le candidature da parte della società civile. Questa è una novità che però, non a caso, rispetto ai due partiti fin qui principali, Pdl e Pd, si manifesta un po’ meno. La grande novità che invece si determina è quella relativa a un’offerta politica comunque nuova, che è quella che si sta attrezzando attorno a Monti e che vedremo poi alla fine con quale risultato elettorale.

    D. - Forse, anche il fatto che ci sia stato un anno di governo tecnico può avere richiamato le forze non prettamente politiche - membri di associazioni, imprenditori, giornalisti - che sembra abbiano sentito questa vocazione a contribuire al futuro...

    R. - Quello che rende la cosa interessante, e solo all’apparenza paradossale, è che si tratta di un’attività - quella del parlamentare - fin qui ampiamente spregiata. In particolare, mentre venti anni fa avere la qualifica di onorevole era una cosa che dava prestigio sociale - a parte i vantaggi economici che ne derivavano - oggi molti di coloro che si candidano vengono da settori che nei confronti del mondo parlamentare, o anche più in generale dell’attività politica professionale, hanno spesso perlomeno manifestato distacco e fastidio. Quindi, qualcosa di nuovo è capitato: una voglia di esserci e di fare parte di un progetto.

    D. - Tutte queste novità potranno portare a una politica più vicina ai cittadini? Possiamo almeno auspicarlo?

    R. - Auspicarlo è quasi doveroso. In realtà, per quello che riguarda i parlamentari, noi ci muoviamo sempre in un ambito pessimo che è quello dell’attuale legge elettorale, secondo la quale i parlamentari non sono eletti di fatto, ma sono nominati. Già questo rende difficile il ravvivarsi di un rapporto forte e di maggiore vicinanza ai cittadini. Poi, secondo me, ci sono dei problemi che riguardano anche i meccanismi. Il lavoro parlamentare che è stato un lavoro molto serio per molti decenni, negli ultimi anni si è molto svilito, sia sicuramente per la qualità dei parlamentari, sia anche per quello che è un effettivo svuotamento del ruolo del lavoro delle Camere che c’è stato e che ha fatto sì che la produzione legislativa fosse molto modesta e che praticamente si trattasse di alcune centinaia di persone che stavano lì a votare sì o a votare no, insomma a premere un bottone. Quindi, credo ci sia anche un problema di riforme. Una riforma dell’attività parlamentare in generale credo sia una cosa che favorirebbe moltissimo la possibilità di un rinnovamento e di un cambiamento nella politica. La questione che il lavoro politico come professione, secondo la classica definizione di Max Weber, sia tendenzialmente da rigettare - e che quindi il problema sia togliere di mezzo in assoluto la figura del politico di professione per sostituirla con rappresentati della società civile che siano lì per una legislatura, per due, e poi tornino al loro lavoro - è un discorso che oggi viene dato molto per scontato, ma praticamente solo in Italia.

    inizio pagina

    Dossetti, l'uomo che nella politica leggeva la storia

    ◊   Quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita di Giuseppe Dossetti, tra i padri della Costituzione italiana, morto nel 1996. Una vita dedicata alla politica - nel 1945 fu vicesegretario della Dc - ma anche alla Chiesa, all'interno della quale dette vita alla comunità monastica "La piccola famiglia dell’Annunziata". Insomma, un esempio di coerenza. Ma cosa rimane oggi del suo pensiero? Alessandro Guarasci lo ha chiesto allo storico Paolo Pombeni, che su Dossetti ha scritto un libro edito da Il Mulino:

    R. – Rimane senz’altro la grande questione che lui ha posto: non si può fare politica senza essere capaci di leggere la storia che ci scorre davanti. Purtroppo, oggi la politica tende ad evitare questo sforzo, tende a rispondere a stimoli abbastanza superficiali…

    D. – Insomma, una politica fatta di forti ideali. Lei pensa che Dossetti abbia in qualche modo fondato la sinistra democristiana?

    R. – Guardi, io credo che più che aver fondato la sinistra democristiana, Dossetti abbia fondato più in generale un modo importante di fare politica che in Italia non aveva una grandissima tradizione. Infatti, al di là del millenarismo socialista, la tradizione dell’altra grande forza politica, che era il liberalismo, era una tradizione un po’ debole dal punto di vista del confronto con i grandi temi del momento. In questo senso, è una lezione che va al di là della sinistra democristiana, anche se la sinistra democristiana per lunghi anni è stata il recettore più vivace e più ardito di questo modo di impostare l’azione politica.

    D. – Possiamo dire che Dossetti sia passato per la politica, pur non essendo questa la sua meta?

    R. – Certamente. Dossetti ritenne che questa fosse una delle tante cose che un uomo consacrato – come lui si considerava fin dal suo ingresso nell’età adulta – potesse fare. Era quello che gli richiedevano le circostanze e solo nella misura in cui, dal suo punto di vista, le circostanze avessero avuto veramente bisogno di lui. Nel momento in cui riteneva che questo non fosse necessario, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Quindi, da questo punto di vista Dossetti passa per la politica, per delle contingenze, ma non disprezzando questo tipo di lavoro, bensì considerandolo una chiamata, una missione. Solo che non è una missione definitiva, ma è una missione temporanea che si raccorda con gli altri tipi di missione ai quali lui riteneva di essere chiamato.

    D. – Le cronache ci hanno parlato di un rapporto piuttosto conflittuale con De Gasperi. Possibile che non ci furono punti di contatto?

    R. – Dossetti era, appunto, un uomo consacrato il cui fine fondamentale era quello di dare testimonianza di quella che lui riteneva essere la verità e la chiamata, a prescindere da tutto il resto. De Gasperi, che era una persona egualmente di fede profonda sul piano personale, riteneva però di essere un professionista politico – nel senso alto del termine, naturalmente – al quale la fede chiedeva di fare politica nel modo migliore possibile. Il che voleva dire anche raggiungendo i risultati concreti migliori che fossero possibili, anche se forse non erano i risultati più eccelsi. Dossetti subordinava tutto ad una visione di lunghissimo periodo, mentre De Gasperi organizzava la sua azione attorno a una visione storicamente più concentrata su ciò che era possibile all’interno di un certo limitato numero di anni.


    inizio pagina

    "Gmg, siamo pronti": intervista con padre Queiroz, responsabile della comunicazione di Rio 2013

    ◊   “Siamo ormai pronti all’accoglienza dei giovani”. L’assicurazione viene da padre Marcio Queiroz, direttore della Comunicazione della Giornata mondiale della Gioventù di Rio 2013, in questi giorni a Roma per una serie di incontri organizzativi relativi al grande raduno del prossimo luglio. Padre Queiroz è stato intervistato dal collega della redazione brasiliana della nostra emittente, Silvonei Protz:

    R. – La preparazione per accogliere i giovani è a posto e assicuriamo tutte le condizioni per riceverli.

    D. – Dove saranno ospitati i giovani che verranno da tutto il Brasile, dall’America Latina, ma anche da tutto il mondo?

    R. – Ci saranno alloggi nelle famiglie, nelle scuole, e in altri posti. Appena saranno terminate le iscrizioni, avremo già la possibilità di segnalare dove saranno ospitati.

    D. – La questione della sicurezza?

    R. – Possiamo dare tutte le garanzie che la città è una città sicura. Nonostante sia una questione più attinente al governo, noi come organizzazione siamo certi che la città sia veramente sicura e siamo pronti a ricevere i giovani della Gmg.

    R. – In che modo il Brasile e i giovani brasiliani aspettano il Santo Padre, con che spirano?

    R. – Sono veramente molto contenti e attendono con grande speranza l’arrivo del Santo Padre. Loro si sentono parte di questa Chiesa e con il Santo Padre hanno questo amore, questa vicinanza e quindi lo aspettano con un’attesa direi spettacolare.

    D. – Quanti giovani sono attesi dall’Italia?

    R. – Credo non meno di 10 mila.

    D. – Che cosa i giovani che andranno alla Gmg riporteranno a casa dicendo: questo l’ho preso a Rio?

    R. – I giovani ce lo diranno. Noi faremo di tutto perché loro possano portare anzitutto il desiderio di evangelizzare, di essere veramente testimoni della Parola del Signore in tutto il mondo, secondo il tema della Giornata.

    D. – Lei è responsabile del settore delle comunicazioni. Quanti giornalisti di tutto il mondo pensa che arriveranno a Rio?

    R. – Come idiomi ufficiali abbiamo sette lingue per comunicare tramite il sito web. Però, con le reti sociali contiamo oltre 21 idiomi. Parliamo veramente con tutto il mondo e questo ci fa veramente molto piacere, perché sentiamo in ogni parte del mondo i giovani che vogliono sentire la voce della Gmg, la voce del Papa, nella loro lingua. Abbiamo al momento più di 80 volontari internazionali che fanno questo lavoro. Per i giornalisti, l’accredito sarà entro il 20 febbraio e ne attendiamo oltre cinquemila. Ci stiamo preparando per questo.

    inizio pagina

    La “Vergine dei Poveri” luce per gli umili: 80 anni fa l’apparizione della Madonna a Banneux

    ◊   Il 15 gennaio di 80 anni fa, la Vergine appariva alla piccola Mariette nel paesino belga di Banneux. Un evento straordinario che si ripeterà altre sette volte. Significativamente la Madonna si presenta alla bambina come la “Vergine dei Poveri” e proprio così viene venerata ancora oggi in tutto il mondo. Nel 1985 anche Giovanni Paolo II si recò come pellegrino a Banneux. Tante le celebrazioni previste oggi, in particolare nel Santuario mariano, dove stamani è stata celebrata una Messa, presieduta dal nunzio in Belgio, mons. Giacinto Berloco. In Italia, la devozione è particolarmente forte a Milano dove, nella parrocchia a Lei dedicata, ha sede il “Movimento Madonna dei Poveri”. Alessandro Gisotti ha chiesto al responsabile del Movimento, padre Mario Zani, di soffermarsi sulla figura e il messaggio della Vergine di Banneux:

    R. – Guardando sia l’aspetto geografico che quello sociale, la Vergine appare in un luogo che è quasi in periferia tra Germania e Francia, dove si era già svolto uno scontro militare tremendo, durante la Prima Guerra Mondiale, e ci sarà poi il secondo dopo pochi anni, purtroppo. Poi, c’è l’aspetto sociale: la Vergine appare in un paesino, in un villaggio, e per di più a una bambina povera, di famiglia povera, povera anche di fede. Quindi, la vedo come una presenza di Maria che dice che Lei viene in spirito evangelico, viene proprio per essere portatrice di Colui che vince la nostra povertà attraverso la sua ricchezza, Suo Figlio Gesù. Tutto, a Banneux, parla di semplicità, di umiltà. Non ci sono grandi chiese, grandi costruzioni. Mi sembra che anche questi aspetti continuino a denotare ed evidenziare il tema della povertà, della semplicità, della debolezza, della fragilità umana, dove però Maria dice: sono qui, sono presente e presento a voi Gesù Cristo.

    D. - Una cosa che colpisce è proprio questa. Bambini, povertà, Lourdes, Fatima, ma anche Apareçida, per non parlare di tanti altri santuari mariani: c’è sempre questa presenza di Maria tra gli ultimi…

    R. – Certamente. E’ proprio Lei che si è detta povera e umile davanti a Dio. Direi che l’altro aspetto importante è Maria che si fa guida perché queste povertà vengano illuminate, cambiate da Gesù Cristo suo Figlio. Guida questa bambina quando l’accompagna alla sorgente e lì le dice: immergi le mani nella sorgente, in quest’acqua. Questa immersione altro non è che immergersi in Gesù, sorgente di vita eterna. E’ un simbolo molto bello. Intanto, è un richiamo al Battesimo: ci immergiamo in Cristo Gesù, veniamo purificati e rigenerati. E poi è sempre un simbolo che fa capire come chi si avvicina alla sorgente della vita avrà in se stesso una sorgente d’acqua viva. Specialmente in quest’Anno della Fede questo è molto importante, il fidarsi e l’affidarsi al Signore Gesù.

    D. – Il Belgio dove Banneux si trova è oggi uno dei Paesi più secolarizzati dell’Occidente eppure questo Santuario mariano resta una luce che irradia la fede. Anche questo è un segno di contraddizione, se vogliamo, proprio evangelico…

    R. – Certo, sì, è vero. Anche pensando ad allora, l’ambiente in cui la Vergine appare e si rende presente è un ambiente di poca fede, sia nella bambina, sia nella famiglia, sia nei dubbi profondi che aveva l’abbé Jamin, che era il parroco del paesino. Questo sacerdote aveva dubbi suoi particolari, era un po’ in crisi di fede. Infatti, alla quinta apparizione, la bimba, a nome dell’abbé Jamin chiede alla Madonna: “Bella Signora, il cappellano chiede un segno”. E lei risponde: “Credete in me, io crederò in voi”. Un po’, con il Vangelo, che dice: questa generazione chiede sempre i segni…

    D. - Ottanta anni dopo le apparizioni, anche grazie e attraverso il vostro Movimento, la devozione alla Vergine di Banneux è molto diffusa un po’ in tutto il mondo…

    R. - E’ diffusa molto, specialmente attraverso la rivista “La Madonna dei poveri” che arriva anche, per esempio, in Canton Ticino - dove è molto diffusa - e anche attraverso le varie collocazioni di statue, statuine, che si sono fatte dal 1947 in avanti, nelle case singole, nelle cappelline, nei giardini. C’è stata una presenza continua, capillare, quindi un messaggio che si è diffuso. Noi Oblati di San Giuseppe abbiamo questo grande dono, questa grande grazia, di aver avuto la chiamata dal cardinale Schuster, nel 1945, a creare in questa zona molto povera, una parrocchia sotto il nome di “Madonna dei poveri”. E’ veramente una chiamata a credere nell’umiltà, nella semplicità, e che Dio, in Gesù Cristo, ci salva veramente tutti.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Mali: Msf chiede di proteggere i civili. La Chiesa aiuta gli sfollati

    ◊   L’organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere chiede “a tutte le parti coinvolte in conflitto in Mali di rispettare la sicurezza dei civili e di risparmiare le strutture sanitarie”, a seguito dei violenti scontri a Konna e dei bombardamenti a Lere e poi a Douentza e Gao da parte delle truppe francesi contro i ribelli jihadisti. A Douentza, una città a nord-est di Mopti, i bombardamenti sono ripresi domenica mattina. Un’équipe medica di Msf - afferma l'agenzia Sir - sta attualmente lavorando nell’ospedale della città. “A causa dei bombardamenti e dei combattimenti, nessuno si muove per le strade di Douentza e i feriti non riescono a raggiungere l‘ospedale", spiega Rosa Crestani, coordinatrice di Msf per l’emergenza. "Siamo preoccupati per le persone che vivono vicino alle zone di combattimento e chiediamo a tutte le parti in conflitto di rispettare la sicurezza dei civili e di lasciare intatte le strutture mediche". Durante la notte tra il 10 e l‘11 gennaio, Msf ha ricevuto "diverse telefonate che ci avvertivano di numerosi morti e feriti a Konna, compresi civili ", aggiunge Mego Terzian, medico di Msf. L’organizzazione ha già inviato due camion di materiale medico e farmaci nella zona di Mopti. Sembra che molti residenti di quest’area siano fuggiti dai combattimenti. Msf sta facendo tutto il possibile per rintracciare gli sfollati, per attivare cliniche mobili e fornire assistenza medica. Come conseguenza dei bombardamenti a Lere, più a nord, diverse centinaia di persone hanno attraversato il confine con la Mauritania. Anche qui sono stati avviati alcuni progetti di emergenza. "Sono già 200 i rifugiati arrivati in auto o camion nel campo Fassala, in Mauritania", dichiara Karl Nawezi, responsabile dei programmi di Msf in Mauritania. "Gli ultimi arrivati ci hanno detto che ci sono molti più rifugiati che, non avendo trovato un veicolo, stanno fuggendo a piedi verso il confine". Msf lavora anche nelle regioni di Timbuktu e di Gao. Nell’ospedale principale di Timbuktu sono arrivati una dozzina di feriti dalla zona dei combattimenti. Ci sono stati bombardamenti durante il fine settimana anche nelle città di Gao e Ansongo, nella regione di Gao. All’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali afferma che “i civili di Sévaré e di Konna hanno cercato di fuggire dalla zona dei combattimenti, ma solo pochi sono riusciti a farlo. La Chiesa nella zona di Mopti (il più importante centro vicino all’area dei combattimenti) sta cercando di aiutare gli sfollati. La prossima settimana - afferma don Dembele - ci sarà una riunione della Conferenza episcopale nel corso della quale verranno prese delle decisioni per coordinare al meglio gli sforzi umanitari della Chiesa”. (R.P.)

    inizio pagina

    Mauritania: preoccupante aumento della malnutrizione tra i profughi del Mali

    ◊   Nel campo profughi di Mbéra, nella Mauritania orientale, si trovano 55 mila rifugiati del Mali, tra questi un bambino su 5 è malnutrito e il 4.6% soffre di malnutrizione severa. Secondo le ultime stime fatte da Medici Senza Frontiere, i piccoli con meno di 5 anni di età stanno morendo prevalentemente per la combinazione di varie patologie come malnutrizione e malaria, infezioni respiratorie e diarrea. La situazione è preoccupante - riferisce l'agenzia Fides - anche perché solo il 70% dei minori in questa fascia di età sono stati vaccinati contro il morbillo, che collegato con la malnutrizione diventa letale. I tassi di mortalità infantile sono alti anche perché le mamme portano i propri figli nei Centri sanitari del campo solo quando sono in fin di vita. Inoltre i profughi hanno difficoltà ad adattarsi ad una dieta alimentare a base di cereali completamente diversa dalla loro che è prevalentemente di latte e carne. Molte famiglie vendono parte dei loro viveri per cercare di procurarsi un pò di latte o di carne per i propri figli. La situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente se non si interviene immediatamente. (R.P.)

    inizio pagina

    Giordania: mons. Twal invita ad andare a votare alle prossime parlamentari

    ◊   Il patriarca latino di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, ha rivolto un messaggio ai “cari figli” della Giordania in vista delle imminenti elezioni parlamentari, in programma il 23 gennaio. Nel messaggio, pervenuto all'agenzia Fides, il patriarca ringrazia Re Abdallah II per aver garantito a tutti i cittadini la possibilità di esercitare i diritti elettorali sanciti dalla Costituzione, e ricorda le parole rivolte da Re Abdallah a Benedetto XVI nel maggio 2009, durante la visita papale in Giordania: “I figli del nostro popolo, musulmani e cristiani, sono cittadini uguali di fronte alla legge, e tutti sono coinvolti nella costruzione del futuro del nostro Paese”. Il patriarca definisce poi le elezioni parlamentari come “una occasione preziosa” offerta ai cittadini giordani per esercitare i propri diritti e doveri nell'ambito della propria “amata Patria”. Quella Patria che, dopo l'adorazione dovuta all'unico Dio, occupa una posizione di primo rilievo, in quanto – nota il patriarca – la dedizione verso il proprio Paese precede e garantisce la legittima tutela degli interessi individuali o di gruppo. Rivolgendosi ai cristiani, mons. Twal ricorda che Cristo stesso ha invitato i propri discepoli a essere “nel mondo” come sale, luce e lievito. “Non c'è contraddizione” afferma il Patriarca latino di Gerusalemme “tra il culto reso a Dio e l'appartenenza alla propria Patria”. Mons. Fouad Twal auspica che le elezioni portino in Parlamento “persone rette davanti a Dio e alla propria coscienza”, in modo che l'Assemblea parlamentare possa assumersi le proprie responsabilità anche rispetto alla stagione di instabilità vissuta dall'area mediorientale. Riguardo ai candidati cristiani, il patriarca li invita a servire il bene comune e i propri fratelli “prima che se stessi”, fuggendo da logiche settarie o claniche. Da loro ci si attende che agiscano con il senso di responsabilità e con l'amore “raccomandato ai seguaci di Cristo”, che rappresenta il segno distintivo della vita cristiana “in ogni tempo e in ogni luogo”. Nel sua messaggio, mons. Twal cita anche un intervento del 1993 del suo predecessore Michel Sabbah, insieme a un passaggio del documento di lavoro per il Sinodo sul Medio Oriente (tenutosi in Vaticano nell'ottobre 2010) in cui si fa riferimento al contributo positivo che i cristiani sono sempre chiamati ad offrire a vantaggio delle società in cui vivono. Chiudendo il suo appello – che porta la data del 12 gennaio - il patriarca cita la prima Lettera di San Paolo a Timoteo, con l'invito a pregare “per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla, con tutta pietà e dignità”. Mons. Twal eleva a Dio la sua preghiera affinché protegga “l'amato regno” di Giordania, e rivolge di nuovo ai cittadini giordani l'invito a prendere parte alle prossime elezioni. L'intervento del Patriarca Twal – che è nato a Madaba e appartiene a una famiglia beduina di antica tradizione cristiana - rappresenta un significativo attestato pubblico della legittimazione democratica dell'imminente appuntamento elettorale, boicottato dalle forze islamiste. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: il caso di Rimsha Masih approda alla Corte Suprema

    ◊   Non è finito il calvario per Rimsha Masih, la ragazza cristiana disabile mentale accusata di blasfemia, arrestata e poi assolta dall’Alta Corte di Islamabad. L’iter giudiziario del suo caso, infatti, non è concluso: gli avvocati dell’accusa, come avevano preannunciato, hanno presentato un ricorso alla Corte Suprema di Islamabad, terzo e definitivo grado di giudizio, e oggi si terrà la prima udienza. Come riferisce all’agenzia Fides l’Ong di ispirazione cristiana “Lead” (“Legal Evangelical Association Development”), nella famiglia di Rimsha, tuttora nascosta, in un luogo sicuro, e fra la comunità cristiana “è rinata una sensazione di paura”. Intanto, proprio per la mancanza di sicurezza, decine di famiglie cristiane, molto povere, del quartiere di Mehrabadi, a Islamabad, dove viveva la famiglia di Rimsha, non sono ancora ritornate nelle loro case. Le famiglie erano state costrette all’esodo per le minacce di estremisti, proprio legate al caso di Rimsha. Dopo la sollevazione internazionale e dopo che il tribunale aveva appurato le false accuse che avevano incastrato RImsha, il caso della ragazza cristiana era parso esemplare per mostrare all’opinione pubblica l’abuso della legge di blasfemia e aveva visto, in quest’opera, il contributo di molti leader e intellettuali musulmani. Secondo fonti di Fides, il ricorso alla Corte Suprema potrebbe essere stato presentato per motivi puramente politici, su pressione di gruppi fondamentalisti, mentre si avvicinano le elezioni parlamentari del prossimo marzo. Padre Mario Rodrigues, direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, spiega all’agenzia Fides: “Da un lato c’è la strumentalizzazione politica del caso di Rimsha; dall’altro ci sono alcuni mullah che insistono e d’altronde esiste il diritto a presentare un appello. Confidiamo nella giustizia in Pakistan: sono sicuro che anche la Corte Suprema confermerà l’assoluzione di Rimsha”. Padre Rodrigues nota che “gli abusi della legge sulla blasfemia, come quello avvenuto nel caso di Rimsha, continuano a perpetrarsi, mentre il Paese è attraversato da una preoccupante spirale di violenza”. (R.P.)

    inizio pagina

    Vietnam: la diaspora chiede libertà per i giovani cattolici ingiustamente condannati

    ◊   Rilasciare immediatamente i giovani cattolici e protestanti ingiustamente arrestati e processati; porre fine alla persecuzione contro la Chiesa cattolica e le altre religioni; rispettare e garantire la sicurezza dei luoghi di culto di tutte le religioni; rispettare le leggi promulgate dal governo; rispettare totalmente i diritti di libertà religiosa e di parola affermati dalla Carta delle Nazioni Unite. Queste le richieste centrali della protesta elevata a Melbourne, in Australia, dalla Federazioni dei media cattolici vietnamiti - riferisce l'agtenzia AsiaNews - all'indomani del processo che ha visto 14 attivisti accusati di "sovversione" contro lo Stato e condannati a pene fino a 13 anni di prigione dal Tribunale del popolo di Nghe An, nel Vietnam centrale. "Questi arresti - afferma il documento - contraddicono sia le norme internazionali che la Costituzione e leggi del Vietnam". La Federazione dei media cattolici vietnamiti sottolinea come "numerose organizzazioni internazionali hanno inviato petizioni, comprese Human Rights Watch, la Southeast Asian Press Alliance, Protection group for the press-east Asia, Vietnam Human Rights League, Centre for the Vietnamese writers in exile, la Association of Catholic in Action to Abolish Torture, la Media Legal Defence Initiative, e la Electronic Frontier Foundation". "Tutti hanno chiesto l'immediato rilascio delle 14 persone che hanno confermato di essere attivisti sociali e il ritiro di tutte le accuse nei loro confronti. Le petizioni affermano che 'Queste persone stanno semplicemente esercitando i loro diritti di libertà di pensiero, parola, riunione e associazione garantiti dalle norme internazionali". La Federazione attira poi l'attenzione sulla Lettera dell'arcivescovo di Hanoi, mons. Peter Nguyen Van Nhon al Primo ministro vietnamita Nguyễn Tấn Dũng per protestare contro il tentativo delle autorità di impossessarsi del convento delle carmelitane. "L'arcivescovo di Hanoi dichiara che la Chiesa non ha mai 'trasferito' o 'donato' al governo alcuno dei suoi 95 beni attualmente utilizzati dalle autorità". Il documento, infine, parla di "tentativi in corso da parte del governo comunista vietnamita di limitare la libertà religiosa con un decreto entrato in vigore all'inizio di quest'anno. Esso fornisce al governo "strumenti per rafforzare il suo controllo sulle religioni. Questo segna un'epoca difficile per tutte le religioni", "un passo indietro per l'attuazione della politica in materia di libertà religiosa". In conclusione, affermata la propria "comunione" con la Chiesa in patria, la Federazioni dei media cattolici vietnamiti chiede a "congressi, governi, parti politiche di tutte le nazioni, organizzazioni per i diritti umani, Amnesty International, organizzazioni che si occupano della libertà e dei diritti umani in Vietnam" di "essere uniti a noi in questa lotta per i diritti umani e la libertà religiosa in Vietnam". (R.P.)

    inizio pagina

    Ecuador: i vescovi per le presidenziali invitano a votare alla luce della fede

    ◊   In vista delle elezioni presidenziali del 17 febbraio, la Conferenza episcopale dell’Ecuador ha pubblicato un documento, diviso in tre parti, che si intitola "Elezioni, uno spazio per la democrazia", di cui è pervenuta copia all’agenzia Fides. Al primo punto (“Autonomia della politica e responsabilità della Chiesa”) si descrive il compito dei Pastori: "Come Pastori della Chiesa cattolica, noi riconosciamo e rispettiamo la legittima autonomia dell'ordine politico. Non ci compete esprimere preferenze politiche, ma valutare i programmi politici e le implicazioni etiche e religiose". Quindi i vescovi trattano della libertà religiosa: "L'Ecuador, stato laico, riconosce e protegge ‘il diritto di esercitare, mantenere, modificare, professare in pubblico o in privato, la religione o le convinzioni personali, e diffondere individualmente e collettivamente tali credenze, con le limitazioni imposte dal rispetto dei diritti. Questo ci permette di vivere in modo pacifico e rispettoso, tra credenti e non credenti, evitando fanatismo, sia religioso che antireligioso". Nel secondo punto, sulla missione dei laici, i vescovi scrivono: “I laici cattolici, appartenenti o meno a vari partiti e movimenti politici, hanno l'obbligo morale di discernere se ciò che ispira il pensiero e le proposte di questi sia compatibile con la fede e la morale della vita cristiana. Per questo motivo, si deve valutare se le loro proposte siano coerenti o meno con i principi morali radicati nella natura umana stessa e presenti in tutte le dimensioni personali e sociali. Il cristiano, dunque, non dovrebbe aderire, senza contraddirsi, a sistemi ideologici che si oppongono alla fede che professa". Il messaggio dei vescovi propone quindi di incentrare l’azione della comunità nel rispetto dei diritti umani (fondati nella dignità della persona) e nella democrazia (è il popolo che delega il potere ai governanti). Perciò "il voto è uno strumento importante per garantire una vera democrazia. Il cittadino, per esercitare questo diritto-dovere, è chiamato ad incoraggiare le scelte politiche e legislative che non siano in contrasto con i valori fondamentali e con i principi etici". Il terzo punto infine, ribadisce quanto affermato anche nel Messaggio finale del Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione: “Ai politici cristiani che vivono il comandamento della carità, si chiede una testimonianza chiara e trasparente nell’esercizio della loro responsabilità” (n.10). (R.P.)

    inizio pagina

    Messaggio dei vescovi italiani per la 17.ma Giornata mondiale della vita consacrata

    ◊   “I contesti che viviamo sono segnati spesso da problemi relazionali, solitudini, divisioni, lacerazioni, sul piano familiare e sociale; essi attendono presenze amorevoli, segni di fiducia nei rapporti umani, inviti concreti alla speranza che la comunione è possibile”. È l’invito che emerge dal messaggio della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata per la 17ª Giornata mondiale della vita consacrata (2 febbraio), diffuso oggi e ripreso dall'agenzia Sir. Titolo del messaggio è “Testimoni e annunciatori della fede” e il documento afferma in apertura di volersi rivolgere non soltanto ai religiosi e religiose, ma di voler “raggiungere anche tutti i cristiani, nel desiderio di promuovere sempre più, in tutti, la comprensione, l’apprezzamento e la riconoscenza a Dio per la vita consacrata”. Dopo aver richiamato l’Anno della fede indetto dal Papa e il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione celebrato nell’autunno scorso, il testo ricorda i principali ambiti d’impegno dei consacrati: catechesi e formazione cristiana; ambienti educativi a servizio delle famiglie, nella scuola, in centri giovanili, in centri di formazione professionale, a favore dell’integrazione degli emigrati, in luoghi di emarginazione; nel servizio della carità; “sul piano sociale e della cultura, con iniziative che promuovono la giustizia, la pace, l’integrazione degli immigrati, il senso della solidarietà e della ricerca di Dio”. A proposito della difficoltà odierna a stabilire relazioni umane profonde e costruttive, il documento dei vescovi prosegue esortando i consacrati a farsi promotori di un umanesimo accogliente. Scrivono i vescovi: “Una proposta credibile del Vangelo esige una particolare cura dei processi relazionali e ha bisogno di appoggiarsi a segni di vera comunione. La vostra carità apostolica sia animata da vero spirito di servizio dal desiderio di suscitare la fede. Il vostro apostolato ha una sua specificità nella missione della Chiesa: sa partire dalla persona, dal malato, dal povero, dal più debole, tante volte dal più lontano dall’esperienza ecclesiale”. Il testo afferma poi che i consacrati sono “chiamati a essere segno dell’amore e della grazia di Dio sin dal primo contatto con le persone che incontrate. Siete chiamati - soprattutto coloro che operano coi giovani e nell’educazione - a integrare profondamente e dinamicamente la preoccupazione evangelizzatrice e la preoccupazione educativa. Il servizio all’uomo ha sostegno e garanzia nella fedeltà a Dio e nel tener sempre vivo lo sguardo e il cuore sul Regno di Dio”. Tra le esortazioni più forti ai consacrati c’è la seguente: “Vivete le situazioni umane, sociali, culturali, nelle quali operate, facendovi segno dell’agire di Dio e siate sempre presenza profetica di vera umanità anche quando ciò esige di andare controcorrente”. (R.P.)

    inizio pagina

    Messico: appello di mons. Vera Lopez dopo la morte di uno studente

    ◊   Il vescovo messicano di Saltillo, Coahuila, mons. Raúl Vera López, ha denunciato che, a causa del numero dei morti causati della violenza, un vero scandalo del Paese, è necessario che le forze di sicurezza correggano le loro strategie per evitare ulteriori assassini di persone innocenti. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, il vescovo ha sottolineato la necessità di una maggiore preparazione delle forze di polizia, dopo la morte dello studente Adrián González Villarreal, 20 anni, ferito gravemente dalla polizia municipale dello Stato di Nuevo Leon, a quanto pare per un errore, sabato scorso. Secondo la stampa locale infatti, due uomini della polizia municipale erano stati chiamati per intervenire in uno scontro a fuoco. Arrivati al posto segnalato, hanno però confuso l’automobile dei delinquenti con quella dello studente, che era fermo e in compagnia della fidanzata. I poliziotti hanno quindi sparato, ferendo lo studente, che è poi morto all’ospedale, e la fidanzata, ancora ricoverata. Le autorità hanno aperto un’indagine interna. Mons. Vera López critica anche la facilità con cui le forze dell’ordine usano le armi, cosa che sta causando uno scandalo internazionale in questa guerra contro i delinquenti in Messico. Nello Stato di Nuevo Leon almeno 12 studenti sono rimasti uccisi negli ultimi tre anni in vari atti di violenza, bersaglio di criminali o colpiti da pallottole vaganti. (R.P.)

    inizio pagina

    Messico: tre milioni di bambini lavoratori vivono in situazioni estreme di schiavitù

    ◊   In Messico circa tre milioni di bambini sono sfruttati nelle peggiori forme di lavoro minorile, e non si tratta di tutte, ma solo delle “peggiori”. Si trovano a vivere situazioni estreme di schiavitù e pratiche come traffico di minori, sfruttamento sessuale e commerciale o vengono utilizzati per attività illecite. Nel Paese latinoamericano - riporta l'agenzia Fides - 20 milioni di persone (su una popolazione di oltre 100 milioni di abitanti) fanno lavori domestici e per almeno 2 milioni di loro, la metà sono bambine, questa attività nasconde lo sfruttamento. Tre milioni lavorano in condizioni del tutto inadeguate. Il 33% è impegnato oltre 35 ore alla settimana, mentre il 10% non ha orario fisso, anche se le vittime hanno meno di 13 anni di età. Recentemente le autorità di Panama, Ecuador, Bolivia, Messico o Argentina stanno elaborando leggi per perseguire questo crimine. (R.P.)

    inizio pagina

    Irlanda: nuovo intervento dei vescovi nel dibattito sull’aborto

    ◊   La vita della madre e del suo bambino sono entrambe sacre: è quanto ribadito dai vescovi irlandesi, in merito al dibattito in corso nel Paese sulla ridefinizione della legge sull’aborto. La Costituzione irlandese vieta l’interruzione volontaria della gravidanza ma, a seguito di una decisione della Corte Suprema del 1992, essa è stata autorizzata in caso di grave pericolo per la vita della madre. Come si ricorderà, polemiche sono tuttavia sorte in questi mesi dopo la vicenda di Savita Halappanavar, la donna morta a ottobre in un ospedale per setticemia, dopo che i dottori le avevano negato un’interruzione di gravidanza. Sulla vicenda sono poi state avviate alcune inchieste giudiziarie e il Governo è stato sollecitato a riaprire il dibattito per promuovere una nuova normativa, anche alla luce del richiamo da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’aborto deve essere consentito per legge in caso di rischi per la vita della madre. A un’audizione sulla questione alla Commissione salute del Parlamento irlandese, il responsabile del Consiglio episcopale per il matrimonio e la famiglia, mons. Christopher Jones, ha ricordato che l’aborto, inteso come “diretta e intenzionale distruzione di un bambino non nato non è mai moralmente accettabile” e che tale pratica va distinta invece “dagli interventi medici volti a salvare la vita della mamma dove non esiste altra possibilità e che non cercano in maniera diretta e intenzionale di porre fine alla vita di un bambino non nato”. Pertanto, ha aggiunto, “ogni sforzo deve essere compiuto per preservare sia la vita della mamma che quella del bambino”. Mons. Jones, citato dall’Osservatore Romano, ha sottolineato che al centro di ogni discussione devono essere posti la compassione, la comprensione e il rispetto per la donna. Secondo il presule poi l’argomento addotto da alcuni per i quali le donne in gravidanza in Irlanda sono più a rischio a causa del divieto all’aborto è una “completa distorsione della verità”, perché le statistiche dicono l’esatto contrario. Mons. Jones, ha quindi suggerito la convocazione di un referendum sulla questione. Anche se vieta l’aborto, la legge irlandese non punisce quelle donne che interrompono la gravidanza all’estero. Secondo diverse fonti citate dall’agenzia Apic sarebbero circa 4mila le donne irlandesi che ogni anno si recano nel Regno Unito o in altri Paesi europei per abortire.
    (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    Germania. Il cardinale Lehmann: "Niente da nascondere su casi di abuso"

    ◊   Diversi vescovi tedeschi hanno ribadito l’intenzione della Chiesa di fare luce sui casi di abuso sessuale verificatisi al suo interno, respingendo le accuse di mancata trasparenza diffuse nei giorni scorsi. “La diocesi di Magonza intende comunicare tutti i casi”, ha affermato il vescovo, cardinale Karl Lehmann, in occasione di una cerimonia di inizio anno a Magonza. Il cardinale Lehmann - riferisce l'agenzia Sir - ha fatto riferimento alla recente polemica scaturita dalla revoca dell’incarico da parte della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) al criminologo Christian Pfeiffer per uno studio sui casi di abuso all’interno della Chiesa cattolica. Il criminologo ha accusato i vertici della Chiesa tedesca di “censura”, critica confermata anche nel fine settimana e respinta dalla Dbk che ha ribadito la “perdita di fiducia” verificatasi tra le parti quale causa della fine della collaborazione. “Noi non abbiamo niente da nascondere”, ha detto il cardinale Lehmann, sottolineando che la sua diocesi ha dato accesso agli atti esistenti con riferimento agli anni dal 1945 in poi. Anche il vescovo di Münster, mons. Felix Genn, ha respinto al mittente le accuse di censura: “È vero il contrario”, ha affermato, rilevando che a causa dei recenti avvenimenti “è stata nuovamente distrutta buona parte della fiducia nella Chiesa cattolica”. (R.P.)

    inizio pagina

    Spagna: Messaggio dei vescovi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

    ◊   Vicinanza e preghiere per tutti i cristiani che, nel mondo, patiscono discriminazioni e persecuzioni a causa della fede: è quanto esprime la Conferenza episcopale spagnola in un messaggio per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in programma dal 18 al 25 gennaio. Nel testo, redatto dalla Commissione episcopale per le relazioni interconfessionali, si ricordano in particolare “i tristi atti di violenza contro comunità cristiane di vari Paesi a maggioranza musulmana, come Pakistan, Nigeria, Egitto, Sudan” e si chiede “a tutti gli uomini di buona volontà” di pregare affinché “cessino tali violenze che vanno contro la dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e contro la libertà religiosa, diritto fondamentale dell’essere umano”. Il messaggio dei vescovi iberici ricorda, poi, che quest’anno la preparazione dei testi per l’edizione 2013 della Settimana è stato affidato ai cristiani dell’India, i quali hanno scelto il tema dei dalit, i cosiddetti “fuori casta” sia nel contesto della società indiana, sia all’interno delle comunità cristiane. Essenziale, dunque, in quest’ottica, non solo “l’unità visibile” dei cristiani, ma anche “la solidarietà con la sofferenza che tanti fratelli nella fede patiscono e con il loro anelito di libertà e di giustizia”. “Alla luce dell’esperienza della Chiesa e delle comunità cristiane in India – si legge ancora nel messaggio – comprendiamo più chiaramente come la ricerca dell’unità visibile di tutti i cristiani non può distaccarsi dall’impegno per la giustizia ed il superamento delle ferite del passato, ovvero dalla purificazione della memoria”. La Chiesa spagnola ribadisce, perciò, l’importanza dell’ecumenismo “spirituale”, che “nasce dalla preghiera perseverante e dalla conversione”, e dell’ecumenismo “diaconale”, che si sviluppa “nel campo dell’educazione e della carità ed ha implicazioni sulla verità dell’essere umano, della giustizia, della pace e della famiglia”. Guardando, inoltre, ai prossimi mesi, i presuli iberici ricordano la decima Assemblea del Consiglio mondiale delle Chiese, che avrà luogo a Busan, in Corea, nel mese di ottobre, suo tema “Dio della vita, conducici alla giustizia e alla pace”. E ancora: nel contesto dell’Anno della fede, indetto dal Papa per celebrare i 50 anni del Concilio Vaticano II, la Chiesa di Madrid ribadisce l’importanza di alcuni documenti conciliari dedicati all’ecumenismo ed al dialogo interreligioso, tra cui la Lumen gentium, la Unitatis redintegratio, la Dignitatis humanae e la Nostra aetate. Infine, il messaggio dei presuli spagnoli si sofferma sull’attuale crisi economica del Paese ed invita tutti i credenti a “cambiare stile di vita”, ponendo al centro dell’economia “una visione integrale, e non parziale, dell’uomo e della sua dignità, creando le condizioni perché nasca un nuovo tipo di relazione con il denaro, la produzione ed il consumo”. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Sri Lanka: le alluvioni colpiscono più di 500 mila persone. Almeno 52 morti

    ◊   Almeno 503.406 persone, provenienti da 137.019 famiglie, sono state colpite da alluvioni, frane e smottamenti in tutto lo Sri Lanka, a causa dei monsoni che da oltre un mese colpiscono l'isola. Secondo dati del Meteorology Department and Disaster Management Centre (Dmc), più di 5.370 case sono andate distrutte, mentre 33.571 sono danneggiate in modo parziale. Per il momento, il bilancio delle vittime si ferma a 52 morti e otto dispersi. Finora il governo ha allestito 71 campi profughi, che accolgono almeno 7.409 persone (1.970 famiglie in totale). Per aiutare gli sfollati, Chiesa, ong locali e associazioni distribuiscono senza sosta razioni alimentari secche e pasti cotti. La situazione più grave è quella della Eastern Province, che con 404.930 persone (109.632 famiglie in totale) è l'area più esposta alle piogge torrenziali. Qui sono sorti 10 campi profughi. Nella Northern Province, più di 83.080 persone, appartenenti a 23.122 famiglie, sono state colpite dai monsoni. Molte di loro hanno trovato rifugio nei 12 centri di evacuazione allestiti dal governo. Secondo il Dmc, nei prossimi giorni le alluvioni potrebbero colpire anche la Central e la Southern Province. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 15

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.