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Sommario del 26/02/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il card. Vallini: "Roma vuole bene al Papa, domani folla a S. Pietro"
  • Briefing, padre Lombardi: Benedetto XVI sarà Papa emerito
  • Il Papa e la preghiera, "arte" che apre a Dio il cuore dell'uomo
  • Il Papa nomina mons. Giuliodori assistente ecclesiastico della Cattolica
  • Lettera del card. Sandri sulla colletta del Venerdì Santo pro Terra Santa
  • Il card. Vegliò agli impreditori cristiani: "Nessuno è straniero nella Chiesa"
  • 20.mo Catechismo: la Trinità, mistero dell'"amore perfetto"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Italia: Camera e Senato al centrosinistra ma senza maggioranza. Grillo primo partito a Montecitorio
  • Italia, voto preoccupa le cancellerie e la stampa straniere
  • Nuove stragi in Siria, Usa e Gran Bretagna sostengono l'opposizione
  • Darfur, 10 anni fa lo scoppio del conflitto che ha diviso i due Sudan
  • Medici senza frontiere: per le minoranze del Myanmar è emergenza umanitaria
  • Sri Lanka: appello delle comunità cristiane per i diritti dei Tamil
  • Un libro sul Beato Brandsma, carmelitano olandese martire della Shoah
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • La visita in Russia del patriarca cattolico maronita il card. Boutros Rai
  • Elezioni in Italia. Il cardinale Bagnasco: grande messaggio per il mondo politico
  • Germania: i vescovi chiedono di proteggere l'istituto giuridico del matrimonio
  • Eurostat: il 27% dei minori a rischio povertà, record in Bulgaria
  • Mali. Prosegue l’intervento francese: nell’Ifhogas il covo dei terroristi
  • Centrafrica: i ribelli minacciano di riprendere le armi
  • Bangladesh: in migliaia contro l’uso politico della religione
  • Cambogia: religioni unite per fare memoria del genocidio dei Khmer rossi
  • Guatemala: Lettera pastorale dei vescovi denuncia la violenza
  • Zanzibar. La denuncia del vescovo: preti e fedeli nel mirino di estremisti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il card. Vallini: "Roma vuole bene al Papa, domani folla a S. Pietro"

    ◊   Alla vigilia dell’ultima udienza di Benedetto XVI, mentre la città di Roma organizza un piano straordinario per la mobilità e l'adozione di speciali misure di sicurezza, i fedeli si accingono a recarsi in piazza per testimoniare al Papa il proprio affetto, mobilitati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Nell’intervista di Luca Collodi, il porporato spiega come la diocesi si stia preparando all’evento:

    R. - Non potevamo fare diversamente, è un’esigenza del cuore e della fede. Non dimentichiamo che il Santo Padre è il vescovo di questa diocesi. Roma, peraltro, vuole molto bene al Papa, sente verso di lui un trasporto particolare così che, certo, all’ultimo atto pubblico non poteva mancare. Io credo che domani in piazza San Pietro ci sarà tanta gente di Roma e del mondo.

    D. – Come vi state organizzando con le parrocchie?

    R. - L’organizzazione è molto semplice, è lasciata l’iniziativa a ogni parrocchia. Sento anche da parte di parroci numeri molto elevati di persone: non dimentichiamo che è giornata lavorativa ma molti saranno presenti lo stesso.

    D. – La rinuncia del Papa al Pontificato è un atto di fede, ma anche un atto di governo della Chiesa…

    R. - È un atto al quale abbiamo assistito all’inizio un po’ sgomenti. Io ricordo la reazione immediata quando ho ascoltato il discorso del Santo Padre, l’11 febbraio, ma poi riflettendo a distanza anche di poche ore, si è capita la grande portata di questa scelta, dettata certo dalla rettitudine e dalla grande fede di Papa Benedetto che, con il crescere dell’età e guardando alle esigenze della Chiesa, ha ritenuto di prendere una decisione assolutamente nuova. Lui, però, non va via dalla Chiesa, lui rimane prega e continua d esercitare la sua funzione di Pastore orante.

    D. – Tra l’altro, dobbiamo dire che la diocesi di Roma avrà un vescovo emerito molto importante…

    R. – Certo e a cui siamo molto legati, a cui vogliamo molto bene, a cui siamo anche molto grati perché le visite che il Santo Padre ha fatto in questi anni nelle parrocchie sono state visite che hanno sempre lasciato il segno. La presenza del Papa ha ravvivato il cammino spirituale e anche gli aspetti talvolta aggregativi dei quartieri. Si sono adoperati tutti, dalle istituzioni locali, le parrocchie, i movimenti, le associazioni, ed era veramente un tripudio di gioia accogliere il Santo Padre che poi, con tanta benevolenza, seguiva e benediceva.

    D. - Per concludere, quale è stato il legame di Papa Benedetto con Roma?

    R. – Un legame intenso, espresso esteriormente con occasioni un po’ tradizionali, ma anche in alcune nuove. Posso dire anche un piccolo aneddoto: quando avevo il privilegio di andare in udienza, mi diceva: “Sono contento stamattina, così posso fare più direttamente il vescovo di Roma”. Questo certo mostrava tutta la sua passione, il suo interesse di Pastore per la nostra Chiesa. E poi tutte le linee pastorali che il Papa ci ha dato: lui introduceva i convegni con un discorso - convegni diocesani annuali - incontrava i sacerdoti il giovedì dopo le Ceneri, poi i seminaristi, la celebrazione del Giovedì Santo, la processione del Corpus Domini… Il rapporto del Papa con Roma, se quantitativamente non era quotidiano perché aveva da attendere al governo della Chiesa universale, era però molto intenso ed era da lui molto seguito.

    D. – Cardinale Vallini, il suo umano atteggiamento nei confronti di questo momento storico per la vita della Chiesa?

    R. – Io l’ho vissuto innanzitutto con grande partecipazione emotiva, poi con grande gratitudine per tutto quello che anche personalmente ho ricevuto da lui e certo l’insegnamento, la testimonianza, di Papa Benedetto è profondamente presente nel mio cuore e lo sarà ancora.

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    Briefing, padre Lombardi: Benedetto XVI sarà Papa emerito

    ◊   Benedetto XVI si potrà chiamare “Papa emerito o Romano Pontefice emerito”. Lo ha precisato oggi padre Federico Lombardi nel briefing con i giornalisti in Sala Stampa Vaticana. Sottolineato che il Santo Padre sta ricevendo moltissimi messaggi di auguri, gratitudine e vicinanza, da tutto il mondo. Attese in Piazza San Pietro domani, per l’udienza generale, oltre 50 mila persone. Massimiliano Menichetti:

    Joseph Ratzinger continuerà ad essere “Sua Santità Benedetto XVI” e si potrà chiamare “Papa emerito o Romano Pontefice emerito”. Così, oggi il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi ha fugato le ricorrenti domande dei giornalisti su come rivolgersi al Pontefice dopo il 28 febbraio. Decisione, quella sul nome, presa in accordo con lo stesso Pontefice che vestirà "l’abito talare bianco semplice", “l’anello del pescatore sarà annullato”, “non porterà più le scarpe rosse”. Sul punto, un sorridente padre Lombardi ha precisato che il Papa possiede un paio di scarpe marroni “molto apprezzate dallo stesso Benedetto XVI”, dono di artigiani di Leon, avuto nel recente viaggio in Messico e che molto probabilmente userà quelle.

    Parlando dei tanti pellegrini che domani saranno in Piazza San Pietro, per l’udienza generale, l’ultima con Benedetto XVI, padre Lombardi ha spiegato che “sono stati distribuiti oltre 50 mila biglietti”, ma le attese sono superiori. “La papamobile compierà un ampio giro sulla piazza”, come ad abbracciare, ricambiare il tanto calore e le preghiere dei fedeli. Il Papa terrà poi la catechesi mentre “non ci sarà il baciamano”, che di norma si tiene in coda all’udienza, “non per motivi di sicurezza – è stato spiegato – ma semplicemente perché tutti avrebbero voluto salutarlo in questo modo e quindi si è scelta una linea di semplicità per non dare preferenze”:

    “Dopo l’udienza, nella Sala Clementina ci sarà il baciamano di alcune autorità, che hanno il rango di capi di Stato, non sono molti. Ci si aspetta il presidente della Slovacchia - che è qui con il pellegrinaggio slovacco - i capitani reggenti di San Marino, il presidente della Baviera, il principe di Andorra".

    Giovedì mattina, alle ore 11, ci sarà il saluto personale dei cardinali che saranno già a Roma. Alle ore 16.55, Benedetto XVI dal Cortile di San Damaso si recherà fino all’eliporto, dove lo saluterà il cardinale decano. Venti minuti dopo, è previsto l’arrivo a Castel Gandolfo dove sarà accolto, tra gli altri, dal cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, dal vescovo di Albano, Marcello Semeraro, dal sindaco e il parroco di Castel Gandolfo. Alle ore 17.30 circa, il Papa si affaccerà dalla loggia centrale del Palazzo apostolico per “l’ultimo atto pubblico”. Alle ore 20, quando inizierà la Sede Vacante, la “Guardia svizzera cesserà il suo servizio a Castel Gandolfo”, anche se la Gendarmeria continuerà a garantire la sicurezza del Papa:

    “Alle ore 20, la Guardia Svizzera - che fa la guardia alla porta del palazzo di Castel Gandolfo - termina il suo servizio. La Guardia Svizzera effettua il servizio per il Santo Padre e dalle ore 20, terminando il ministero del Santo Padre come Papa, verosimilmente chiuderà la porta di Castel Gandolfo, concludendo anche il suo servizio di guardia”.

    Il cardinale decano invierà il primo di marzo, a sede vacante iniziata, le lettere di convocazioni per le Congregazioni dei cardinali. E “probabilmente – ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana – la convocazione non avverrà prima di lunedì 4 marzo”, e sarà presso l’Aula nuova del Sinodo. Precisato, poi, che i cardinali abiteranno nella residenza Sanctae Marthae solo “in prossimità” del Conclave e che le stanze saranno sorteggiate come previsto dalla Costituzione.

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    Il Papa e la preghiera, "arte" che apre a Dio il cuore dell'uomo

    ◊   Tra due giorni, dunque, Benedetto XVI porrà fine al suo Pontificato per ritirarsi a una vita di preghiera. E proprio alla preghiera, il Papa ha dedicato tra il 2011 e il 2012 una vera e propria “scuola”, in particolare sviluppando una serie di catechesi alle udienze generali del mercoledì. Alessandro De Carolis ricorda alcune riflessioni del Pontefice sull’argomento:

    Un atto sempre meno praticato, in misura direttamente proporzionale con l’eclissi del senso di Dio e la perdita di senso del sacro. Pregare è diventato un fatto raro, anche tra i cristiani. E praticare l’indifferenza aumenta la lontananza, perché – ha spiegato una volta Benedetto XVI – l’ardore della preghiera non è un fuoco che si può far ardere a comando e al bisogno, quanto piuttosto è una fiamma che brucia, cresce e scalda solo se alimentata con costanza. E da questa “regola” non sfugge nessuno:

    “Sappiamo bene, infatti, che la preghiera non va data per scontata: occorre imparare a pregare, quasi acquisendo sempre di nuovo quest’arte; anche coloro che sono molto avanzati nella vita spirituale sentono sempre il bisogno di mettersi alla scuola di Gesù per apprendere a pregare con autenticità”. (Udienza generale 4 maggio 2011)

    In settimane e mesi di riflessione, spaziando dai Salmi ai pensatori cristiani, il Papa ha fornito una serie di risposte di base alle domande consapevoli di chi cerca un contatto con Dio, e pure a quelle inconsapevoli di chi non pensa a Dio ma prima o poi percepirà che non tutti i bisogni del suo cuore, e anche del corpo, possono ricevere soddisfazione dal mondo del tangibile. Dalla sua creazione, esiste nell’uomo una insopprimibile voce che cerca risposte oltre il confine del sensibile. È quella che Benedetto XVI chiama “nostalgia di eternità”:

    “L’uomo di tutti i tempi prega perché non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno sul mondo. La vita umana è un intreccio di bene e male, di sofferenza immeritata e di gioia e bellezza, che spontaneamente e irresistibilmente ci spinge a chiedere a Dio quella luce e quella forza interiori che ci soccorrano sulla terra e dischiudano una speranza che vada oltre i confini della morte”. (Udienza generale 4 maggio 2011)

    E tutto questo vale anche per l’uomo contemporaneo, molto spesso tentato – ha affermato in una occasione il Papa – di “eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti”? La risposta è sì:

    “L’uomo ‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena. Del resto, la vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità, alla quale tutti tendiamo, è proiettata spontaneamente verso il futuro, in un domani ancora da compiersi”. (Udienza generale 11 maggio 2011)

    Stabilito che l’orizzonte interiore di un essere umano non è dato dalla somma dei suoi sensi – e la sua felicità dalla quantità dei bisogni appagati – ma da quel “desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità che lo spingono verso l’Assoluto”, Benedetto XVI compie un passo ulteriore rispondendo alla domanda: “Qual è lo scopo primario della preghiera?”:

    “Lo scopo primario della preghiera è la conversione: il fuoco di Dio che trasforma il nostro cuore e ci fa capaci di vedere Dio e così di vivere secondo Dio e di vivere per l’altro”(…) “All’assoluto di Dio, il credente deve rispondere con un amore assoluto, totale, che impegni tutta la sua vita, le sue forze, il suo cuore”. (Udienza generale 15 giugno 2011)

    Questa, in estrema e incompleta sintesi, è la preghiera per Benedetto XVI. L’uomo che tra 48 ore si eclisserà dal mondo per essere solo un cuore orante per la Chiesa, giunta a un nuovo capoverso della sua lunghissima storia. Solo un ultimo insegnamento arriva da Joseph Ratzinger Benedetto XVI, quasi impercettibile nella sua semplicità, ma in perfetta linea con la sua anima e il suo stile e in perfetta antitesi col bisogno di protagonismo spesso arrogante che si nota oggi attorno. Quando pregate, ricorda a tutti, fatelo come il pubblicano in fondo alla chiesa, a capo chino. Riscoprite, dice, la bellezza di mettervi in ginocchio:

    “E’ un gesto che porta in sé una radicale ambivalenza: infatti, posso essere costretto a mettermi in ginocchio – condizione di indigenza e di schiavitù – ma posso anche inginocchiarmi spontaneamente, dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro”. (Udienza generale 11 maggio 2011)

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    Il Papa nomina mons. Giuliodori assistente ecclesiastico della Cattolica

    ◊   In Italia, Benedetto XVI ha nominato assistente ecclesiastico generale della Università Cattolica del Sacro Cuore mons. Claudio Giuliodori, finora vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia. Mons. Giuliodori è nato a Osimo, in provincia di Ancona, il 7 gennaio 1958. Ha compiuto gli studi medi e liceali presso il Seminario Minore di Osimo e poi gli studi filosofico-teologici presso il Seminario Maggiore Regionale di Fano. Si è successivamente iscritto al Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi su matrimonio e famiglia, conseguendo la licenza ed il dottorato. È stato ordinato Presbitero il 16 aprile 1983 per la diocesi di Osimo che, dal 30 settembre 1986, è stata unita con quella di Ancona. Tra i significativi incarichi svolti nel campo della pastorale vi sono: Vicerettore del Seminario interdiocesano di Osimo e Vice Assistente Diocesano dell’Azione Cattolica per il settore giovanile. Dal 1985 al 1988 ha esercitato il ministero, come Vicario parrocchiale, nella parrocchia di S. Marco di Osimo. Trasferitosi a Roma ha lavorato come Aiutante di studio presso la Segreteria Generale della CEI dal 1988 al 1991. Rientrato in diocesi, è stato nominato Direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale familiare (1991-1998) e Direttore del Consultorio Familiare. Ha, inoltre, assunto l’insegnamento di Teologia Morale e poi l’incarico di Vice-Preside dell’Istituto Teologico Marchigiano di Ancona (1993-1998). Nel 1994 è stato nominato Direttore del “Centro diocesano di pastorale e di spiritualità” di Colle Ameno (AN). Dal 1996 al 2007 è stato anche Professore Incaricato di Teologia Pastorale presso il Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi su Matrimonio e Famiglia. È stato nominato Cappellano di Sua Santità nel 2002 e dall’ottobre 2006 al febbraio 2007 è stato Consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Eletto alla sede vescovile di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia il 22 febbraio 2007, è stato consacrato Vescovo il 31 marzo dello stesso anno. Attualmente il Presule è Membro del Consiglio Permanente della Cei, è Delegato della Conferenza Episcopale Marchigiana per la Cultura e le Comunicazioni, è Presidente della Commissione Episcopale della Cei per la Cultura e le Comunicazioni Sociali e Consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

    Il Papa ha nominato relatore della Congregazione delle Cause dei Santi mons. Claudio Iovine, finora aiutante di Studio del suddetto Dicastero.


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    Lettera del card. Sandri sulla colletta del Venerdì Santo pro Terra Santa

    ◊   La colletta del Venerdì Santo per la Terra Santa è a beneficio dei “fratelli e sorelle che nei Luoghi della Redenzione, con i loro pastori, vivono il mistero di Cristo, il Crocifisso, che è Risorto per la salvezza dell’umanità”. Lo ha scritto in una lettera di ringraziamento ai Pastori della Chiesa universale il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Leonardo Sandri, precisando che delle origini cristiane la Terra Santa è “testimone silenziosa e custode vivente”, ma è “testimone, nel contempo, di come popoli interi, affamati di dignità e giustizia, abbiano dato ali al sogno di una primavera della quale volevamo subito vedere i frutti, quasi che la grande trasformazione auspicata fosse possibile senza un rinnovamento dei cuori e la responsabilità verso i poveri del mondo condivisa da tutti noi”.

    Il porporato ha poi ricordato con affetto le comunità latine presenti nella diocesi Patriarcale di Gerusalemme e della Custodia Francescana - quella Melchita, Maronita, Sira, Armena, Caldea e Copta - e ha ripercorso il Magistero della Chiesa che più tocca le Chiese Orientali, dall’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, che “in quest’Anno della Fede suscita una pressante invocazione di pace, specialmente per la Siria”, all’Enciclica Popolorum progressio di Paolo VI che, a fronte della denuncia delle “carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale e le carenze materiali di coloro che sono mutilati dall’egoismo”, suggeriva non solo “l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune e la volontà di pace”, ma anche “il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi di Dio, che ne è la sorgente e il termine”.

    Fu proprio Paolo VI il primo Pontefice a recarsi in viaggio nella Terra di Gesù nel 1964 e sulle sue orme si mise Giovanni Paolo II nel 2000, definendo il suo viaggio apostolico un “momento di pace e fraternità”. Papa Benedetto, poi, ha compiuto una visita pastorale in Libano invitando, inoltre, due giovani libanesi a scrivere i testi della prossima Via Crucis, ha scritto l’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente ed espresso l’intenzione di preghiera universale “affinché le comunità cristiane del Medio Oriente, spesso discriminate, ricevano dallo Spirito Santo la forza della fedeltà e della perseveranza”. “I cristiani che vivono in Israele e Palestina, Cipro, Libano, Giordania, Siria ed Egitto devono trovare in noi lo stesso sguardo di fede”, ha aggiunto il porporato, ricordando in proposito l’impegno di queste comunità nel mantenimento dei Luoghi Santi, ma anche nel “salvare la vita che viene rifiutata, venendo incontro ad anziani, malati, disabili, a chi è senza lavoro, ai giovani in cerca di futuro, sempre operando in difesa dei diritti umani, compresa la libertà religiosa”, cui si somma, poi, “l’encomiabile sforzo ecumenico e interreligioso per contenere l’incessante esodo dei fedeli”. (A cura di Roberta Barbi)

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    Il card. Vegliò agli impreditori cristiani: "Nessuno è straniero nella Chiesa"

    ◊   “Nessuno è straniero nella Chiesa”: lo ha ricordato stamane il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenuto in un incontro dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid), ospitato nella sede de "La Civiltà Cattolica" a Roma. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Il mondo globalizzato, i flussi migratori e la formazione di una famiglia umana universale”: ne ha parlato il cardinale Vegliò, indicando agli imprenditori cattolici la via da intraprendere nell’accogliere i migranti, specie quelli più in difficoltà, con cordialità e fraternità “in una società caratterizzata sempre più da multietnicità e multiculturalismo”. “Esiste infatti – ha sottolineato il porporato – una sola famiglia umana”, che la Chiesa "è chiamata a servire”, “una sola comunità del genere umano”, poiché “tutti gli uomini hanno un’unica origine e causa” e un’unica meta definitiva e finale: Dio stesso”. E se oggi – ha osservato il presidente del Dicastero vaticano dedicato ai migranti e gli itineranti – il mondo è “più interconnesso che mai”, pure “la mobilità delle persone va incontro a barriere che la restringono”. E se abbiamo “flussi finanziari e commerciali tanto liberi” e “scambi in tempo reale”, pure le migrazioni sono escluse dagli ideali di una globalizzazione di interessi comuni dei popoli.

    “Il libero movimento delle persone tra nazioni – ha stigmatizzato il cardinale Vegliò – è oggetto di accese discussioni e di negoziati internazionali, spesso volti a consentire soltanto movimenti temporanei di persone aventi qualifiche direttamente connesse con gli affari o i servizi”. Inoltre, la persistenza di tali ostacoli al libero flusso di persone non scoraggia l’emigrazione in aumento nel mondo; e ancora più sono in crescita gli itineranti, persone in costante movimento che non entrano nelle statistiche migratorie. Queste politiche restrittive favoriscono piuttosto la clandestinità dei migranti e i traffici illegali di esseri umani. Oltre al diritto di migrare – ha ribadito infine il porporato – va riaffermato prima ancora e difeso “il diritto a non emigrare”, a rimanere nella propria terra.

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    20.mo Catechismo: la Trinità, mistero dell'"amore perfetto"

    ◊   Perché il Dio cristiano è Uno e Trino? Al mistero di comunione che lega le tre Persone della Trinità il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica un'ampia riflessione, sostenuta dalla ricchezza della tradizione biblica. Su queste pagine del Catechsimo si sofferma il gesuita padre padre Dariusz Kowalczyk, nella quindicesima puntata del suo ciclo di riflessioni dedicate ai 20 anni dalla pubblicazione del testo:

    “Credo in un solo Dio”: così l'incipit del Credo che proclamiamo durante la Messa ogni domenica. I cristiani credono in un Unico Dio. Così come leggiamo nel Libro del Deuteronomio: “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo” (6,4). Così come insegna in nome di Dio il profeta Isaia: “Volgetevi a me e sarete salvi, […] perché io sono Dio; non ce n’è altri” (45,32).

    Il cristianesimo è una religione monoteista come lo sono la religione ebraica e l’islam. Il monoteismo dei cristiani però non è uguale al monoteismo degli ebrei o dei musulmani. Il monoteismo cristiano, infatti, è trinitario. Come ci insegna il Catechismo - l’unica natura di Dio è in tre Persone. Si diventa il cristiano con il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, che sono distinti tra loro, anche se non sono tre Dei, ma uno solo (cfr. CCC 249-256).

    Si pone però la domanda: Perché un Dio trinitario? Non basterebbe una sola Persona che non ci creerebbe delle difficoltà a comprendere come i Tre sono Uno?

    Per rispondere a quella domanda dobbiamo riferirci all’affermazione che troviamo in Giovanni evangelista: “Dio è amore”, l’amore eterno in se stesso. Ma Dio potrebbe essere amore, se fosse una sola Persona, un Assoluto Solitario. Per poter parlare dell’amore perfetto dobbiamo avere le tre Persone: colui che è l’amante, l’amato, e il con-amato. E in Dio è proprio così: le tre Persone divine creano una comunione dell’amore. Per questo il Catechismo sottolinea: “Dio è unico ma non solitario” (CCC 254).

    Un cristiano prega non una divinità astratta, ma si rivolge al Padre, al Figlio e allo Spirito, a tutti e Tre insieme, e anche distintamente, a ciascuna delle tre Persone. Si rivolge con speranza di entrare nella comunione eterna, piena d’amore e di gioia, con Dio uno e trino.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Sul voto in Italia, in prima pagina un editoriale di Marco Bellizi dal titolo “Dalle urne un’Italia da riformare”: una legge elettorale inadeguata determina l'ingovernabilità.

    Tra fede e ragione alla ricerca di Dio: il presidente del Collège des Bernardins ricorda il discorso del Papa al mondo della cultura a Parigi.

    Gesto profetico: il patriarca di Babilonia dei Caldei sulla rinuncia di Benedetto XVI.

    Esiste anche il coraggio dell'umiltà: il filosofo Rémi Brague riflette sulla scelta del Papa.

    Con umiltà e grande apertura d'animo: il rabbino David Rosen e i rapporti fra il Pontefice e gli ebrei.

    Sogno e realtà: Giulia Galeotti recensisce il libro di Juan Maria Laboa “Gesù a Roma”.

    Il Papa, Ildegarda e la musica: Michael John Zielinski su un legame che attraversa i secoli nell'interpretazione dell'arte come luogo dell'incarnazione.

    Le intenzioni dell'Apostolato della preghiera affidate da Benedetto XVI per il 2014.

    Quella bellezza che ci aiuta a conoscere: la prolusione, a Padova, dell'arcivescovo Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, su "La fede come fondamento dell'esperienza cristiana”.

    Una questione cruciale per la Chiesa: la prefazione del cardinale Reinard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, al libro di monsignor Tomas Halik “Vicino ai lontani” e l'anticipazione dell'intervento - alla presentazione oggi pomeriggio - del cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga.

    Precursori dell'ecumenismo: in occasione del convegno a Roma sui santi copatroni d'Europa, Cirillo e Metodio, intervista di Nicoletta Borgia al cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

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    Oggi in Primo Piano



    Italia: Camera e Senato al centrosinistra ma senza maggioranza. Grillo primo partito a Montecitorio

    ◊   Il centrosinistra vince di un soffio alla Camera e al Senato, dove però non ha la maggioranza di seggi per governare. Rimonta del Pdl. Exploit del Movimento 5 Stelle di Grillo, primo partito a Montecitorio. Deludente il risultato dello schieramento centrista. Questo in sintesi l’esito delle elezioni politiche. Affluenza in calo del 5% rispetto alle elezioni del 2008. Reagiscono male i mercati finanziari. Servizio di Giampiero Guadagni:

    E' un'Italia frammentata quella uscita dalle urne. La coalizione Pd-Sel vince alla Camera con un vantaggio dello 0,36% su Pdl e Lega: in tutto 124 mila voti, pochissimi ma sufficienti a dare al centrosinistra il premio di maggioranza con 340 deputati. Nessuna maggioranza invece al Senato. Il centrosinistra ottiene 120 seggi contro i 117 del centrodestra, ma è lontano dalla necessaria quota 158. Il risultato più eclatante è allora quello del Movimento 5 Stelle di Grillo, che ottiene 54 seggi al Senato e 108 alla Camera, dove con il 25,55% è addirittura il primo partito. Grillo ribadisce il "no ad inciuci", convinto che ci sarà un "governissimo" Pd-Pdl che durerà 6 mesi per poi tornare alle urne. Il segretario del Pd Bersani afferma che il risultato attribuisce al centrosinistra la responsabilità di gestire una situazione delicatissima.

    Il leader del Pdl Berlusconi dice "no" al ritorno alle urne e sembra aprire ad una collaborazione con il Pd ma non con i centristi. Lo schieramento guidato da Monti alla Camera supera di pochissimo la soglia del 10% e al Senato non potrà essere decisivo. Resta fuori dal parlamento l'ex presidente della Camera, Fini, così come Rivoluzione civile di Ingroia e Di Pietro. La palla passa dunque ora al capo dello Stato Napolitano. Le strade alternative al ritorno alle urne sono poche e in salita: dalla grande colazione ad un governo istituzionale per affrontare l'emergenza economica e riformare la legge elettorale. Il primo banco di prova per il nuovo parlamento sarà l'elezione dei presidenti di Senato e Camera, a metà aprile poi l'elezione del presidente della Repubblica. Lo scenario di ingovernabilità è commentato con sorpresa e preoccupazione dai partner europei, a partire dalla Germania, che considera necessario un governo stabile per le riforme e Spagna. Molto preoccupati anche i mercati finanziari: vola lo spread, crolla Piazza Affari trascinando al ribasso le borse europee.

    Il voto italiano consegna dunque un Paese frammentato e a rischio di ingovernabilità. Proprio su questo punto, Benedetta Capelli ha intervistato Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia Politica presso l'Istituto Universitario Sophia di Loppiano:

    R. - Si delineano ancora dei blocchi ben precisi: centrodestra e centrosinistra. Non è riuscito l’inserimento di un centro forte proposto dal prof. Monti che avrebbe potuto cambiare la situazione. Monti sostanzialmente proponeva: “Andiamo al di là della vecchia concezione di destra e di sinistra, ci sono delle riforme da fare, allora mettiamoci a farle insieme”. Questa cosa non è stata recepita ed è evidente che gli italiani preferiscono lavorare all’interno delle collocazioni abituali di destra e di sinistra. Ha preso però corpo un grande “fantasma”, che è diventato reale: il Movimento 5 Stelle, che è l’elenco di tutte le cose che non funzionano nella politica e nella società. È chiaramente contrario agli altri partiti e rappresenta una sfida estremamente forte.

    D. - Quali sono secondo lei ora gli scenari possibili: un governo di coalizione Pd, Pdl allargato al prof. Monti?

    R. - Non credo che cercare la formuletta per tirare avanti sia una cosa facile. Una soluzione seria - ma non è l’unica - potrebbe essere quella di mettersi d’accordo per fare riforme essenziali: la riforma elettorale, la riforma della politica sulla trasparenza e l’onestà, e poi provvedimenti per il rilancio dell’economia, continuando ad attuare alcune delle riforme importanti avviate da Monti.

    D. - Lo abbiamo appena accennato: il “boom” del Movimento 5 Stelle, di Grillo. Innanzitutto, un risultato del genere era quasi inatteso…

    R. - Prendere sul serio ciò che il Movimento 5 Stelle dice è una cosa essenziale e significa prendere sul serio un quarto degli italiani, che potevano astenersi ma che invece vogliono ancora fare politica. Credo che qui possa venire anche dalla rete sociale dei cattolici un grande aiuto alla riflessione, per riformulare l’idea di destra e l’idea di sinistra.

    D. - Il voto dei cattolici dove si è collocato, allora?

    R. - E’ andato dappertutto. Io qui non parlerei e non ho parlato di voto, ma di pensiero sociale dei cattolici, della capacità che essi hanno di rappresentare la società. Quindi, non penso a un conglomerato di cattolici che si esprima in un partito, ma a una visione che i cattolici possano dare all’interno dei partiti dove sono, che a questo punto può veramente anche fare la differenza. Credo che siano i movimenti cattolici quelli che devono muoversi da soli, dare ai laici che ne fanno parte la possibilità di fare delle scelte personali, responsabili e di entrare in politica con dei progetti.

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    Italia, voto preoccupa le cancellerie e la stampa straniere

    ◊   Nei Paesi dell’Unione Europea, il risultato del voto italiano viene visto con molta preoccupazione. Stesso sentimento dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti. Da molte parti si invoca al senso di responsabilità di tutte le forze politiche. I media rispecchiano gli umori dei governi e lanciano l’allarme per la linea antieuropea emersa dalle urne. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    L’Unione Europea mostra la sua preoccupazione. Ci si aspetta che l’Italia rispetti gli impegni presi, spiega da Bruxelles la Commissione europea, che poi, senza nominare Grillo e il suo Movimento, ammonisce: non si ceda “alle sirene del populismo”. Il risultato del voto italiano ha scosso parecchie cancellerie, Berlino sollecita il nuovo governo a portare avanti riforme e una politica di consolidamento fiscale. Stessa linea da Parigi, che chiede che l’Italia si dia “rapidamente un governo forte e stabile”. L'opinione di Eric Jozsef, corrispondente da Roma di Liberation, quotidiano francese che titola “Frattura all’italiana. L’Italia ancora una volta fragile e ingovernabile”:

    R. – Questo voto è visto con grande preoccupazione, perché “frattura italiana”, “ingovernabilità”, vuol dire anche difficoltà a mantenere gli impegni a livello europei e difficoltà a fare riforme. Poi, dietro questo primo aspetto, ovviamente c’è il messaggio che è stato mandato a tutta l’Europa, a tutta l’Unione Europea: una diffidenza molto forte sia sulle politiche europee, sia - almeno questa è la sensazione - verso la costruzione europea stessa. Se si pensa poi che l’Italia era storicamente uno dei Paesi più eurofili, oggi, attraverso il voto a Silvio Berlusconi e quello a Beppe Grillo, ha espresso un euroscetticismo molto forte, che rappresenta quasi un italiano su due. Si percepiva che ci sarebbe potuto essere un voto di protesta di fronte allo smarrimento della popolazione davanti alla crisi economica e che ci fosse la rabbia di questa stessa popolazione di fronte all’incapacità della classe politica a dare delle risposte. Era senz’altro difficile prevedere che un partito che partiva da zero (M5S N.d.R.) sarebbe riuscito ad arrivare a rappresentare più di un quarto degli italiani.

    D. – Il quotidiano per il quale tu lavori, Liberation, è di riferimento per la sinistra francese. A tuo giudizio, quali sono stati gli errori del centro-sinistra italiano?

    R. – Si potrebbe dire che il fatto di non aver scelto Matteo Renzi alle primarie - che sembrava essere il biglietto vincente della lotteria e che è stato, invece, scartato dai militanti e dai simpatizzanti del Pd - sia stato un errore strategico, un errore politico. Ma, al di là di questo, si vede che la sinistra italiana, così come quella europea, ha difficoltà a interpretare le paure, le angosce, le attese e le speranze di gran parte della popolazione.

    A sottolineare il rischio ingovernabilità è anche la stampa spagnola, che vede nel voto l’immagine di un paese in “profonda crisi politica senza la possibilità di formare un governo stabile”. Mentre da Londra arriva l’allarme “stallo politico”. Guy Dinmore, corrispondente in Italia del Financial Times:

    R. – The reaction is one of...
    C’è stata una reazione di shock e di grande preoccupazione che l’Italia si stia dirigendo verso un lungo periodo di instabilità, in cui non si sa che tipo di governo si formerà e se si tornerà alle elezioni. Ma penso, in maniera più ampia, che questo voto sia un messaggio all’Europa, che le sue politiche di austerity non stanno funzionando e che quindi debba ripensare a come affrontare la crisi economica dell’Eurozona.

    D. – Le aspettative quali erano? Si pensava che Silvio Berlusconi avrebbe avuto una rimonta di questo tipo, ma soprattutto un successo così forte di uno sconosciuto come Beppe Grillo?

    R. – Well for sure the results were not expected...
    Sicuramente, non si aspettavano questi risultati, nel senso che il Movimento 5 Stelle è andato molto meglio di quanto le persone avessero previsto e Berlusconi, che era stato dato virtualmente per morto, è riuscito a riprendersi con successo. Ma penso che tutti siano abbastanza consapevoli del fatto che Berlusconi abbia perduto un grande numero di voti dalle ultime elezioni. Quindi, la cosa importante di queste elezioni è che ogni singolo partito, presente cinque anni fa, abbia perduto: il Pd, il Pdl e la Lega Nord. In un certo modo, è il tipo di rivoluzione politica con cui la gente a Londra e a Bruxelles dovrà confrontarsi.

    Il no all’austerity è il messaggio che anche il New York Times legge nel voto degli italiani. preoccupato il Wall Street Journal, per il quale "il voto caotico italiano agita il mondo dei mercati".


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    Nuove stragi in Siria, Usa e Gran Bretagna sostengono l'opposizione

    ◊   Ancora una strage in Siria. Gli attacchi condotti la settimana scorsa dall’artiglieria del regime contro la città di Aleppo avrebbe provocato la morte di 140 persone, tra le quali 70 bambini. La denuncia arriva dall'organizzazione “Human Rights Watch”, che sottolinea come gli attacchi condotti dal regime del presidente Bashar Assad contro le aree residenziali di Aleppo segnano una “escalation di attacchi fuorilegge contro la popolazione civile siriana”. Una situazione terribile, che ha spinto Stati Uniti e Gran Bretagna a convincere il capo dell’opposizione siriana, al Khatib, a partecipare al vertice internazionale sulla Siria che si terrà a Roma giovedì. Washington e Londra si sono impegnate a sostenere la transizione e a tutelare i cittadini siriani, ma riusciranno a sbloccare una situazione di impasse totale sul fronte diplomatico? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università di Torino:

    R. - Washington e Londra riusciranno a sbloccare l’impasse con una serie di condizioni: dovranno fornire aiuti concreti all’opposizione e alla popolazione civile per alleviarne le sofferenze e per ottemperare alle condizioni poste da Al Khatib, capo dell’opposizione siriana. Al tempo stesso, Washington e Londra dovranno operare sul fronte della diplomazia internazionale affinché vengano meno in Siria le interferenze dei tanti, diversi Paesi interessati invece ad un’escalation di violenza.

    D. - La Russia, da parte sua, sembra lentamente sfilarsi dall’alleanza con Assad. Quanto questo indebolisce oggettivamente il regime?

    R. - Il Cremlino è mosso in primis dal pragmatismo. Ormai, in Siria non è esclusa una vittoria dell’opposizione: i russi non possono compromettersi oltre e non possono rischiare di avere cattivi rapporti con il governo del dopo-Assad e con il resto del mondo arabo. Questo allontanamento di Mosca indebolisce però il regime di Assad e, al tempo stesso, lo rende più dipendente che mai dall’Iran. Sembra, ad esempio, che siano ormai le autorità iraniane a pagare addirittura gli stipendi dei dipendenti pubblici siriani, quindi, non solo aiuti militari, ma anche aiuti concreti in denaro.

    D. - Intanto, crescono le violenze sul campo e il rischio di regionalizzazione della guerra siriana, che potrebbe coinvolgere l’intero scacchiere mediorientale. Quali sono, secondo lei, i pericoli più imminenti?

    R. - La guerra siriana rischia di avere conseguenze enormi per l’intera regione, perché si ipotizza la divisione della Siria su base etnica, oppure su base religiosa: agli alawiti dovrebbe andare la zona di Latachia, ai sunniti quella di Damasco, ai curdi - che si trovano principalmente nel nordest - la possibilità di unirsi agli altri curdi di Iraq, Iran e Turchia. Uno scenario che ovviamente fa paura sia ad Ankara, sia a Theeran e rischia di stravolgere l’intero Medio Oriente. Dobbiamo riflettere su chi ha interesse a questa divisione, in parte settaria, in parte religiosa, che non farebbe altro che indebolire degli Stati-Nazione.

    D. - A proposito di queste divisioni, c’è chi teme che dopo Assad si possa scatenare una guerra interna, ancora più feroce, fatta da vendette tra le comunità. Come si può risolvere questo problema, secondo lei?

    R. - Molto dipende dalle soluzioni che verranno trovate dal governo post-Assad e per capire il presente occorre leggere la storia, anche quella recente. Guardiamo, per esempio, cosa è successo nello Yemen: sono stati lasciati, in alcuni posti chiave, uomini e parenti del presidente uscente, Ali Abdullah Saleh, e questo ha dato fastidio all’opposizione più dura, all’opposizione più radicale - pensiamo al Nobel per la pace yemenita, Tawakkul Karman. Questo però ha fatto il gioco degli Stati Uniti, che hanno insistito affinché in posizioni chiave come quelle nella lotta al terrorismo rimanessero i nipoti del presidente Saleh, perché sono utili in quella determinata collocazione, per via di un’esperienza e comunque di un legame con Washington. Ci vorrà tempo per capire se questa è stata o meno la soluzione migliore.

    D. - Su una cosa non ci sono dubbi: dopo questa guerra civile, la Siria non sarà più la stessa. Da cosa si potrà ripartire per una rinascita del Paese?

    R. - Innanzitutto, bisognerà fare chiarezza proprio dal punto di vista giuridico sulle responsabilità della violenza. In seconda battuta, bisognerà rilanciare l’economia siriana e questo sarà molto difficile dal momento in cui si vorrà escludere a priori l’attore principale dell’economia siriana, cioè l’Iran. Iran che è sotto sanzioni internazionali da ormai più di 30 anni e proprio per queste sanzioni ha investito pesantemente a Damasco. Non è con l’esclusione a priori di Teheran, che si riesce a tenere calmo il Medio Oriente.

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    Darfur, 10 anni fa lo scoppio del conflitto che ha diviso i due Sudan

    ◊   Esattamente dieci anni fa, scoppiò il conflitto in Sudan che ha determinato la nascita del Sud Sudan. Una guerra che allora provocò 300 mila vittime, oltre due milioni di sfollati e una crisi umanitaria definita dagli esperti “la più importante al mondo”. Ancora oggi, resta difficile la situazione in Darfur, regione contesa tra i due Stati, e negli ultimi giorni sono nuovamente scoppiati scontri tra tribù rivali. Dall’inizio di gennaio, sono oltre 500 i morti e 900 i feriti. Recentemente, è stato presentato un rapporto sul Paese africano: “Sudan, Darfur 10 anni dopo”. L’ha curato Antonella Napoli. L’intervista è di Benedetta Capelli:

    R. – Nonostante la guerra su larga scala sia finita, permangono sacche di resistenza di ribellione soprattutto al nord del Darfur, dove continuano a contrapporsi l’esercito del governo e il fronte dei ribelli che ancora oggi porta avanti la ribellione darfuriana. Inoltre, si è aperto un altro fronte nell’area del Jebel Amir, dove sono state scoperte e aperte miniere d’oro che vengono contese da varie etnie. Quindi, nel giro di pochi giorni, si sono susseguiti scontri, sono andati distrutti, bruciati, 25 villaggi e sono rimaste senza casa quasi 100 mila persone.

    D. - Nel vostro Rapporto “Sudan-Darfur, 10 anni di crisi”, si evidenzia anche la drammaticità della situazione umanitaria. Tempo fa, la crisi in Darfur vene proprio definita la più grande crisi umanitaria del mondo…

    R. – Parliamo di oltre 300 mila vittime, di più di due milioni di sfollati, con progetti di assistenza sanitaria e scolarizzazione sospesi, perché molte organizzazioni non governative sono state espulse. Purtroppo, con questi continui nuovi scontri si registra un peggioramento della situazione umanitaria.

    D. – Quali sono, secondo te, gli interventi necessari per far sì che anche la ferita della guerra possa essere sanata?

    R. – Innanzitutto, serve un intervento più pressante da parte della comunità internazionale, affinché il Sudan smetta con le vessazioni, con gli attacchi nei confronti delle popolazioni civili, perché è vero che si contrappongono ai ribelli, ma chi ci rimette è la popolazione civile. Poi, devono essere sostituite le ong che erano state espulse, perché quelle che poi hanno cercato di sopperire alle mancanze non sono state in grado di fronteggiare le emergenze che sono seguite.

    D. – C’è un aspetto particolare evidenziato nel vostro Rapporto, una sorta di “primavera sudanese” anche in questo Paese. Di che si tratta?

    R. – Sì, soprattutto grazie agli studenti che si sono mobilitati per denunciare le violazioni dei diritti umani che purtroppo permangono nel Paese. Attraverso il web, che è l’unico modo che hanno per far sentire la propria voce, hanno divulgato, diffuso, notizie di arresti, violenze, torture, che hanno subito questi giovani, che continuano a manifestare la voglia di democrazia molto forte in qusto Paese.

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    Medici senza frontiere: per le minoranze del Myanmar è emergenza umanitaria

    ◊   In Myanmar, per la comunità buddista Rakhine e quella musulmana dei Rohingya è ancora emergenza umanitaria. L'ultima notizia è il ritrovamento, sabato scorso, da parte della guardia costiera dello Sri Lanka, di una nave alla deriva con a bordo 97 birmani Rohingya morti di fame e di stenti. L'imbarcazione, partita dalle coste del Myanmar il 10 gennaio scorso, pare sia stata fermata dalla Marina della Thailandia. Migliaia, intanto, sono le persone che anche in patria hanno perso le loro case e che ora vivono nei campi di fortuna, mentre anche l'"icona" democratica, Aung San Suu Kyi, è stata contestata da alcuni attivisti per essersi limitata a parlare di proposte di "disegni di legge" in riferimento alla questione Rohingya. Sulla condizione delle minoranze birmane, Alessandro Filippelli ha intervistato Barbara Maccagno, responsabile medico dell’associazione Medici Senza Frontiere (Msf) attiva nel Paese:

    R. - L’assistenza sanitaria di base è legata appunto al fatto di mancanza di acqua. Abbiamo quindi registrato casi di diarrea, oppure malattie infettive parassitarie e dermatosi e, soprattutto nei bambini, episodi di infezioni respiratorie.

    D. - Qual è la situazione nei campi? La questione delle donne incinte è una delle tante emergenze da affrontare…

    R. - Purtroppo, la situazione rimane ancora molto precaria. Ci sono molte persone sfollate che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni e quindi si trovano alloggiate in campi di accoglienza che non sono adeguati a ricevere e ospitare decine di migliaia di persone. La mancanza di acqua pulita o comunque potabile rimane un problema che non è stato ancora risolto. E anche un’assistenza medica alle donne gravide che sono presenti nei campi purtroppo rimane difficile ed inadeguata.

    D. - Dovete fare i conti con le ripetute minacce e le intimidazioni da parte di un gruppo all’interno della comunità Rakhine. Nonostante questi gravi condizionamenti, come pensate di poter far capire che Medici senza frontiere vuole solamente fornire assistenza medica?

    R. - La nostra organizzazione è piuttosto conosciuta nella zona, perché effettivamente siamo presenti da più di dieci anni con dei progetti a lungo termine. Ci affidiamo quindi al fatto che le esperienze e le attività che abbiamo condotto nel passato in favore della popolazione possano in qualche modo agevolarci anche in questa particolare situazione. Dunque, continueremo a cercare in tutti i modi di poter avere dei contatti con i leader di queste comunità e dimostrare che il nostro impegno rimane presente e continuerà per quanto ci sia possibile e per quanto ci sarà consentito.

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    Sri Lanka: appello delle comunità cristiane per i diritti dei Tamil

    ◊   Riportare i profughi della guerra civile nei loro luoghi d'origine, demilitarizzare il nordest dello Sri Lanka e indagare sui crimini avvenuti durante e dopo il conflitto tra l’esercito di Colombo e le Tigri Tamil. Sono le richieste che mons. Rayappu Joseph, vescovo di Mannar, e 133 religiosi tamil cristiani hanno presentato al Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti umani, che è riunito in sessione a Ginevra fino al prossimo 22 marzo. Per un’analisi delle emergenze che attanagliano il nord dello Sri Lanka e la popolazione Tamil, Marco Guerra ha sentito padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews:

    R. - Il governo aveva fatto tante promesse, soprattutto alla popolazione Tamil, ma non ha mai attuato nulla di tutte queste promesse. C’è soprattutto la situazione molto, molto grave di almeno 200 mila profughi interni, sfollati, perché ci sono stati bombardamenti, conflitti e battaglie, e questi “poveracci” non hanno un luogo dove andare; tanto più che alcune delle zone dove loro abitavano sono occupate dall’esercito per questioni di sicurezza, oppure perché dicono che i terreni sono ancora minati. Quindi, questa gente vive praticamente in lager, dove mancano medicine e cibo. Poi, tra vescovi e Ong denunciano anche una certa “cingalizzazione, cioè colonizzazione di queste popolazioni attraverso la diffusione della religione buddista – mentre i Tamil sono indù, oppure cristiani – ed anche l’invio di coloni cingalesi dal sud. Così, invece di creare una situazione di riconciliazione, si sta creando ancora di più una frattura tra la popolazione Tamil ed il resto della popolazione cingalese.

    D. – Tra le questioni irrisolte anche quella dei crimini di guerra commessi dalle forze armate nel conflitto con le Tigri Tamil…

    R. – Questi crimini di guerra adesso sono stati impugnati dalla commissione Onu per i diritti umani, sono stati denunciati anche da Ong e dalla Chiesa cattolica e ci dovrebbero essere delle mozioni – preparate in particolare dall’India e dagli Stati Uniti – per condannare il presidente Mahinda Rajapaksa ed il suo atteggiamento nei confronti di questa riconciliazione mancata. Però, il governo in tutti questi ultimi mesi non ha fatto altro che sparare a zero contro l’Onu e contro questo rapporto della Commissione per i Diritti Umani.

    D. – Nel Paese, c'è chi denuncia un dilagante autoritarismo: si parla di sindacalisti, giornalisti e lo stesso clero nel mirino delle azioni del governo…

    R. – L’impressione che abbiamo è che Mahinda Rajapaksa ed il suo gruppo – molto spesso legato ai suoi familiari e ad altri generali dell’esercito – stiano costruendo uno Sri Lanka che vada bene per il loro potere sia politico che economico. In questo contesto tutti quelli che vogliono fare delle critiche sono subito messi in prigione, oppure eliminati: ci sono stati tanti giornalisti uccisi. Non va meglio per alcune popolazioni di pescatori che non hanno ricevuto nessun aiuto dai tempi dello tsunami e che sono state sbattute lontano dal mare per lasciare spazio a diversi progetti turistici faraonici.

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    Un libro sul Beato Brandsma, carmelitano olandese martire della Shoah

    ◊   Tradotta per la prima volta in italiano, la conferenza “Insegnare la prevenzione della crudeltà verso gli animali” che il Beato Tito Brandsma tenne nel 1936 presso l’Università di Nimega, diventa un libro pubblicato dalle edizioni Graphe.it, dal titolo “Per vivere senza crudeltà verso gli animali”. Ce ne parla Roberta Barbi:

    È un tema particolare, quello affrontato da padre Tito Brandsma, il carmelitano olandese beatificato da Giovanni Paolo II nel 1985: l’amore verso gli animali. Dio ha creato gli animali e dal momento che noi siamo chiamati ad amare tutto ciò che Dio ha creato, siamo tenuti ad amarli e ogni genere di violenza verso di loro è ingiustificata agli occhi di Dio: una forma di rispetto per la bellezza del Creato, tema affrontato oggi dall’etica cristiana, come afferma il dott. Leonardo Caffo, del laboratorio di Ontologia dell’università di Torino, autore della prefazione del volume:

    “Il cristianesimo può essere una delle vie preferenziali per comprendere quanto il nostro rapporto con gli animali e gli umani dovrebbe cambiare e io credo che una buona interpretazione sia quella che vede Dio dare all’uomo la responsabilità del Creato, cioè la responsabilità degli altri animali e delle loro vite. Per cui, il cristianesimo, che è la bontà fatta religione, non può non tenere conto di un aspetto come questo”.

    Il Beato scrive che chi è crudele verso gli animali rischia di diventarlo verso le persone: proprio lui che morirà a causa di una delle massime espressioni storiche della crudeltà umana, tanto più orribile perché aggravata dal non-senso, la Shoah. Eppure, nel suo diario scritto a Dachau, appare sempre in pace con il mondo e con Dio, cui si è affidato interamente. Una serenità che sa interpretare padre Giovanni Grosso, postulatore generale dell'Ordine carmelitano:

    “Direi che un carmelitano ce l’abbia nel sangue, questa chiamata all’unione con Dio e quindi anche quella pace, che nasce appunto dall’incontro e dalla frequenza del rapporto con il Signore”.

    Uno degli episodi più toccanti della vita di padre Tito nel campo di sterminio è proprio l’ultimo giorno, quel 26 luglio 1942 in cui un’infermiera gli procurò l’iniezione letale. Proprio a lei, il Beato regala il suo Rosario di fortuna, fatto di pezzetti di legno e bottoni, chiedendole di pregare. All’obiezione di lei di non saperlo fare, risponderà semplicemente: “Basta che tu dica: prega per noi peccatori”. In questo sta l’importanza e il valore che il carmelitano dà alla preghiera e alla recita del Santo Rosario in particolare, come sottolinea padre Grosso:

    “Il Rosario è appunto un modo per rimanere legato a Maria. Per lui, quindi, è una compagnia molto forte. Evidentemente, l’oggetto in sé non era così essenziale. Qui sta il suo rammarico ed anche poi la gratitudine a quel prigioniero che gli confeziona questo Rosario, fatto di pezzetti di legno e di bottoni, che poi finirà nelle mani dell’infermiera che lo ha ucciso e che diventa occasione anche di conversione”.

    Padre Tito era stato condannato perché aveva mosso ai nazisti l’accusa peggiore: quella di andare contro la persona umana e il suo valore. Al neopaganesimo che il nazismo rappresentava, egli rispondeva con l’amore. Anche per questo è morto da martire, come ricorda ancora padre Grosso, evidenziando l’insegnamento che questa grande figura offre ancora all’uomo di oggi:

    “Credo sia la capacità di affiancarsi alle persone, di camminare con loro per dare un messaggio di speranza, di salvezza, che è quello che ci viene dal Vangelo. Apparentemente, e in questo anche è pienamente martire, umanamente e storicamente padre Tito viene sconfitto, perché muore. Ma è proprio grazie alla sua capacità di donarsi, non senza lottare, che poi può accettare la situazione, trasformandola in un’occasione di annuncio, di salvezza”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    La visita in Russia del patriarca cattolico maronita il card. Boutros Rai

    ◊   E' iniziata oggi, la visita a Mosca del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Bechara Boutros Rai, di passaggio in Russia prima di recarsi a Roma per il Conclave che eleggerà il nuovo Papa. Lo ha reso noto all'agenzia Ria Novosti - ripresa da AsiaNews - il nunzio apostolico nella Federazione, mons. Ivan Jurkovic, il quale ha ricordato che la visita si svolge su invito della Chiesa russo-ortodossa. Il card. Rai rimarrà a Mosca fino al 1 marzo e durante la sua permanenza sono previsti una serie di incontri con personalità del mondo religioso e politico. Al centro dei colloqui, il tema della situazione dei cristiani in Medio Oriente, alla luce del prolungarsi del conflitto in Siria, dove il Cremlino sta portando avanti una politica di mediazione contro "soluzioni militari esterne". Primo impegno del primate maronita è quello con la comunità locale libanese nella chiesa di San Marone, a cui il Patriarca farà dono di una reliquia del Santo titolare e dove sarà anche celebrata una liturgia. Domani, poi, è previsto l'incontro con il metropolita Hilarion, a capo del dipartimento del Patriarcato di Mosca per le relazioni esterne, e poi un colloquio con Kirill, il quale si era a sua volta recato in Libano nel novembre 2011 e in quell'occasione aveva fatto visita alla Chiesa cattolica maronita. Il card. Rai incontrerà poi Sergej Naryshkin, presidente della Duma, la Camera bassa del Parlamento russo e, in chiusura della sua visita, celebrerà la liturgia nella cattedrale cattolica dell'Immacolata Concezione, dove incontrerà l'arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, mons. Paolo Pezzi. Il patriarca Boutros Rai ha appena compiuto 73 anni ed è stato elevato al titolo di cardinale da Benedetto XVI nell'ultimo Concistoro del novembre 2012. (R.P.)

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    Elezioni in Italia. Il cardinale Bagnasco: grande messaggio per il mondo politico

    ◊   “Un grande messaggio per il mondo della politica su cui bisognerà che i responsabili, quindi gli interessati più diretti, riflettano seriamente”. Così il presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, ha commentato i risultati delle elezioni politiche in Italia a margine della Messa per il precetto pasquale celebrata oggi presso l’Ansaldo Energia del capoluogo ligure, alla presenza dell’amministratore delegato e di circa 200 dipendenti. Senza entrare nel merito, l’arcivescovo ha comunque rilevato “una grande voglia di partecipazione da parte della gente”. Sull’imminente fine del Pontificato di Benedetto XVI, inoltre, il porporato ha detto che si tratta di un momento storico per la Chiesa che “con la sua sapienza ed esperienza subito procede verso il Conclave il più vicino possibile, per poter ridare alla Santa Chiesa il successore di Pietro, il Pastore universale secondo la volontà di Dio”. Il cardinale Bagnasco, che domani partirà per Roma per rivolgere un saluto al Papa assieme agli altri porporati nell’ultima giornata del Pontificato, giovedì 28, ha voluto rivolgere un pensiero al Santo Padre, che “è entrato in punta di piedi nei cuori di ciascuno, secondo il suo stile, dolcissimo”. (R.B.)

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    Germania: i vescovi chiedono di proteggere l'istituto giuridico del matrimonio

    ◊   “Proteggere l’istituto giuridico del matrimonio”. È questo l’imperativo per mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, vescovo di Limburgo e presidente della Commissione della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) per il matrimonio e la famiglia. Il vescovo ha rilasciato ieri una dichiarazione ufficiale sul dibattito in corso per le unioni civili e l’ipotesi di parificarle al matrimonio per le adozioni e il regime di tassazione. Il vescovo - riferisce l'agenzia Sir - ha espresso “perplessità” in merito, sottolineando la differenza tra matrimonio eterosessuale ed un eventuale matrimonio tra omosessuali. Sulla possibilità di dare bambini in adozione anche a coppie omosessuali, il vescovo ha ribadito la posizione della Dbk: “Siamo del parere che, in linea di principio, l’affidamento di un bambino ad una coppia sposata offra le migliori condizioni per lo sviluppo di un bambino. Perciò continuiamo a ritenere convincente l’attribuzione di uno status particolare delle coppie nel diritto sulle adozioni, in particolare in caso di adozione congiunta di un bambino non appartenente al nucleo familiare della coppia”. Anche per il regime fiscale delle coppie omosessuali, il vescovo ha ricordato che “al matrimonio è riconosciuto uno status speciale nel diritto tributario, poiché lo Stato auspica giustamente che dai matrimoni derivino famiglie”. (R.P.)

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    Eurostat: il 27% dei minori a rischio povertà, record in Bulgaria

    ◊   Il 27% dei ragazzi inferiori ai 18 anni nell’Ue sono minacciati dalla povertà. Lo rivela Eurostat che ha presentato uno studio sullo standard di vita dei minori, con dati riferiti alla fine del 2011, quindi in anni segnati dalla crisi. Per l’istituto statistico comunitario - riporta l'agenzia Sir - “i minori sono più esposti al rischio povertà e alle privazioni materiali rispetto alle altre categorie di età”: ad esempio gli adulti fra i 18 e i 64 anni sulla soglia dell’indigenza sono il 24%, dato che scende al 21% per le persone sopra i 64 anni (pensionati, senza più i figli a carico o senza le spese di una famiglia giovane, come ad esempio il mutuo per la casa). “Nella maggioranza degli Stati Ue - affermano gli statistici - i minori sono toccati da almeno una di queste tre minacce: rischio povertà, situazione di privazione materiale grave, famiglia senza lavoro o a bassa intensità occupazionale”. Le maggiori percentuali di under18 sulla soglia dell’indigenza si rilevano in Bulgaria, dove addirittura il 52% dei minori si trova in questa situazione; seguono Romania (49%), Lettonia (44%), Ungheria (40), Irlanda (38). Situazione differente nei Paesi del nord Europa: la povertà minaccia il 16% dei minori in Svezia, Danimarca e Finlandia, il 17% in Slovenia, il 18% nei Paesi Bassi e il 19% in Austria. In Germania il dato è al 20%, nel Regno Unito al 22, in Francia al 23, in Polonia al 30, in Italia al 32%. (R.P.)

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    Mali. Prosegue l’intervento francese: nell’Ifhogas il covo dei terroristi

    ◊   Prosegue l’offensiva della Francia, coadiuvata dall’esercito maliano e dalle truppe inviate dal Ciad, nel nord del Mali, e precisamente nel massiccio dell’Ifoghas, dove si trova “il rifugio dei terroristi”, come ha annunciato il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian. Stando a quanto riferito, ci sarebbero molti morti tra i jihadisti, mentre si starebbe entrando nella fase più delicata dell’intervento che “non si concluderà finché il settore non sarà completamente liberato”. Un altro fronte aperto, precisa Misna, si trova nel nordest, a In-Farah, non lontano dal confine con l’Algeria e dove gli elicotteri di Parigi stanno bombardando posizioni del Movimento arabo dell’Awazad, mentre a Gao si registra un lento ritorno alla normalità. E mentre la Francia chiede alle autorità locali di attuare il proprio impegno in favore dei diritti umani e della lotta contro l’impunità prima che si riunisca a Ginevra il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, ieri in Costa d’Avorio si sono riuniti i ministri dei Paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) che hanno individuato come una priorità l’aumento dei militari africani nell’area, per un costo globale dell’operazione pari a 950 milioni di dollari. Il mese scorso nella conferenza dei donatori in Etiopia furono già sbloccati 445 milioni di dollari e si decise per un ulteriore aumento degli uomini fino alle 8800 unità, per un conflitto che sul terreno si sta trasformando in una vera e propria guerriglia urbana nei centri abitati del nord. Si moltiplicano, infine, anche le segnalazioni di abusi commessi dalle truppe regolari ai danni di cittadini tuareg e arabi. (R.B.)

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    Centrafrica: i ribelli minacciano di riprendere le armi

    ◊   “Ci aspettiamo che Bozizé rispetti e applichi i punti chiave dell’accordo. Nel caso contrario saremo costretti a riprendere le armi”: la minaccia è arrivata dal generale Nourredine Adam, dirigente del Seleka (alleanza, in lingua sango), già presidente del Consiglio supremo della Convenzione dei patrioti per la giustizia e la pace (Cpjp), uno dei tre movimenti della coalizione ribelle. Tra le rivendicazioni formulate dagli insorti del nord, contenute negli accordi firmati il mese scorso a Libreville con il governo centrafricano - riporta l'agenzia Misna - c’è il ritiro delle truppe straniere – sudafricane e ugandesi – dal Paese e la scarcerazione dei detenuti politici arrestati durante la crisi. L’avvertimento al presidente François Bozizé – al potere dal 2003 con un colpo di stato – è stato formulato a poche ore dal mancato avvio del raggruppamento dei ribelli nella città di Damara, sulla linea di confine stabilita dai mediatori dell’Africa centrale tra zone libere e quelle occupate dal Seleka. Domenica parte degli insorti si è rifiutata di dare il via libera alla smobilitazione delle proprie truppe, accusando il capo dello Stato di “mancanza di volontà politica”. Da canto suo il governo di unità nazionale di Bangui, del quale fanno parte esponenti del Seleka, ha soltanto parlato di “problemi tecnici” all’origine del ritardo. Ma in realtà il rischio paventato di una ripresa delle ostilità e lo slittamento dell’atteso processo di raggruppamento, sottolineano fonti di stampa del Centrafrica, sono la conseguenza di crescenti divergenze all’interno stesso della ribellione, tra la direzione e la base. Del resto il Seleka, nato lo scorso agosto ma entrato in azione a dicembre, è una coalizione eterogenea di diverse formazioni ribelli, tra cui il Cpjp, la Convenzione dei patrioti della salvezza e del Kodro (Cpsk) e l’Unione delle forze democratiche per il raggruppamento (Ufdr). A chiedere ai propri uomini di partecipare all’operazione di accantonamento delle truppe è stato il loro leader in persona Michel Djotodia, nominato vice primo ministro e ministro della Difesa nel governo di unità nazionale nato dagli accordi di pace. Voci di dissenso sono invece arrivate da alcuni comandanti del Seleka, formulate dal colonnello Michel Narkoyo, uno dei portavoce della coalizione, che contestano le località scelte per procedere al raggruppamento – Damara, Kaga Bandoro, Bria e Ndélé – e chiedono con insistenza il ritiro dei militari sudafricani e ugandesi “venuti per dar man forte al regime di Bozizé”. Inoltre il ministro della Difesa Djotodia non avrebbe il pieno controllo sulle forze armate centrafricane, che rispondono ancora agli ordini del presidente. Da Parigi, Eric Massi, il portavoce della coalizione, ha invece minimizzato l’apparente divergenza, ma come alcuni capi militari del Seleka ha deplorato la mancata applicazione di alcuni punti fondamenti dell’intesa di Libreville, chiedendo alla Commissione per i diritti umani dell’Onu di “effettuare visite nei carceri centrafricani e di far liberare i nostri prigionieri”. (R.P.)

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    Bangladesh: in migliaia contro l’uso politico della religione

    ◊   In protesta contro la strumentalizzazione della religione a scopi politici, in Bangladesh migliaia di persone di ogni fede, età, professione ed etnia hanno recitato insieme passi dei libri sacri delle quattro grandi religioni del Bangladesh. Dopo la lettura di Corano (islam), Bibbia (cristianesimo), Gita (induismo) e Tripitaka (buddismo), la gente ha cantato l'inno nazionale, per affermare che "la religione è personale, lo Stato è di tutti". Avvenuta il 21 febbraio scorso - riporta l'agenzia AsiaNews - l'iniziativa è stata organizzata dal movimento pacifico Gonojagoron Mancha, che da settimane manifesta per chiedere giustizia contro i crimini di guerra e l'espulsione del Jamaat-e-Islami (partito islamico, all'opposizione) dal governo. Intanto però, non si fermano i gravi episodi di violenza perpetrati dai sostenitori del Jamaat, che accusano i manifestanti di blasfemia e hanno causato la morte di quattro persone. "La nostra protesta - spiega Imran Sarker, principale organizzatore del raduno - non ha nulla contro la religione. Al contrario, la nostra lotta vuole porre fine alla politica malata del Jamaat-Shibir (l'ala giovanile), che sfrutta la fede per scopi politici". Eppure, il partito islamico non si ferma e continua a organizzare scioperi (hartal), che puntualmente sfociano in atti vandalici, delinquenza comune, oltre a violenze contro poliziotti e manifestanti pacifici. I disordini provocati dai sostenitori del Jamaat si sono inaspriti dopo il 18 febbraio, quando il parlamento (guidato dall'Awami League) ha approvato una modifica all'International Crimes (Tribunals) Act 1973. Il nuovo emendamento permette allo Stato di chiedere la pena di morte contro chi è riconosciuto colpevole di crimini di guerra nel 1971. Inoltre, dà la possibilità di espellere il Jamaat-e-Islami - ritenuto il principale responsabile di torture, omicidi sommari e stupri durante la guerra - dal governo. Proprio in uno degli ultimi incidenti provocati dai militanti del partito islamico - avvenuto il 22 febbraio -, quattro persone sono morte e giornalisti, intellettuali e forze dell'ordine sono stati aggrediti. Gli attivisti del Gonojagoron Mancha sono presi di mira in modo regolare a Chittagong, Feni, Chandpur, Rajshahi, Bogra, Sirajganj, Joypurat, Sylhet, Moulvibazar e Pabna. In molte occasione, i seguaci del Jamaat hanno bruciato le bandiere nazionali. Il 21 febbraio scorso, anche il primo ministro Sheikh Hasina si è espressa sulle tensioni che stanno profilandosi nel Paese: "Il Bangladesh non sarà un sistema nazionalista, e tutte le religioni verranno garantite... tutti vivranno qui godendo di uguali diritti". (R.P.)

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    Cambogia: religioni unite per fare memoria del genocidio dei Khmer rossi

    ◊   Cristiani, buddisti, musulmani cambogiani si sono riuniti nei giorni scorsi a Choeung Ek, il “campo di sterminio” della Cambogia, per fare memoria e pregare per le migliaia di cambogiani innocenti giustiziati lì, sotto il regime dei khmer rossi. Il ricordo delle vittime del genocidio faceva parte della “Settimana dell’Armonia interreligiosa”, caratterizzata da veglie di preghiera, incontri e dibattiti. A conclusione della settimana, i leader religiosi hanno piantato alcuni alberi all'interno del campo di Choeung Ek. Come comunicato all'agenzia Fides dai gesuiti in Cambogia, hanno partecipato alla celebrazione giovani cristiani, protestanti e cattolici, musulmani, e monaci buddisti, soprattutto da Phnom Penh. Sono sostai piantati circa 50 alberi tutti di una specie chiamata “Rumdul” (nome scientifico: Mitrella mesnyi), fiore nazionale della Cambogia. Il fiore del Rumdul ha tre petali ed è di colore giallastro. E’ noto per il suo profumo riconoscibile anche a grande distanza. “Il buon profumo del Rumdul accompagna, come le nostre preghiere, i nostri fratelli e sorelle cambogiani che perirono nei campi di sterminio di Choeung Ek”, hanno detto i presenti. L'idea di una Settimana interreligiosa in Cambogia recepisce l’iniziativa promossa dalle Nazioni Unite della “Settimana mondiale dell’Armonia interreligiosa”. (R.P.)


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    Guatemala: Lettera pastorale dei vescovi denuncia la violenza

    ◊   E’ tempo di “passare dal peccato alla vita”: con questo invito si apre la Lettera pastorale della diocesi di Escuintla, in occasione della Quaresima nell'Anno della Fede 2013. Nel testo, inviato dalla Conferenza episcopale del Guatemala all'agenzia Fides, mons. Victor Hugo Palma Paul, esorta: “Dobbiamo confessare che nella nostra terra di Escuintla c'è il peccato: nell'indifferenza davanti alla povertà dei fratelli, nell'irresponsabilità familiare nell'abbandonare giovani e bambini, nel clima di violenza senza giustificazione, nella mentalità materialista ed egoista che porta a dimenticarci di Dio”. Il vescovo riferisce: “Il clima di violenza atroce che vive il nostro popolo, la mancanza di rispetto verso la vita e la dignità di ogni essere umano, purtroppo si verificano tutti giorni nelle strade del secondo dipartimento più violento di Guatemala, Escuintla. Quando qualcuno è stato ferito o ucciso da parte della criminalità organizzata, si impone la paura che non fa denunciare il fatto o, ancora peggio, giustifica il non avvicinarsi a colui che soffre, proprio nello stile dei viaggiatori indifferenti che scendono da Gerusalemme a Gerico”, nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10, 29-37). La lettera, intitolata “L'amore del Cristo ci spinge” (2Cor, 5,14), invita a vivere l'Anno della Fede riprendendo la via dell'amore per cambiare questa situazione. Il messaggio propone come strumenti validi per farlo: la preghiera personale e la partecipazione comunitaria alle diverse attività della religiosità popolare che mantiene viva la comunità cristiana nel corso della storia. Il testo si conclude con l'invito a partecipare alla vita pastorale della Chiesa, in particolare nelle parrocchie, nucleo organizzato della grande comunità cattolica. Guatemala, e la zona di Escuintla, è considerata la seconda più violenta nel Paese per la quantità di persone assassinate. (R.P.)

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    Zanzibar. La denuncia del vescovo: preti e fedeli nel mirino di estremisti

    ◊   C’è paura nella comunità cattolica di Zanzibar, in Tanzania, nel mirino dei fondamentalisti islamici. La denuncia arriva dal vescovo, mons. Augustine Shao, ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) e viene riferita dall’agenzia Zenit. Nell’isola, infatti, si moltiplicano gli attentati contro sacerdoti e persone di fede cattolica: l’assassinio di padre Evariste Mushi, lo scorso 17 febbraio, in ricordo del quale in questi giorni si sono svolte celebrazioni in tutte le diocesi del Paese, è solo l’ultimo di una serie; il giorno di Natale un altro prete, Ambrose Mkenda, è stato ferito. Ma la violenza degli estremisti in un’isola che per il 95% è di fede islamica, si scaglia anche contro i musulmani moderati: a novembre uno sceicco che invocava il dialogo interreligioso è stato sfregiato con l’acido. “È chiaro che siamo stati presi di mira dai fondamentalisti”, ha detto il presule, esortando la comunità internazionale a fare pressione su Dodoma e Zanzibar “affinché venga posto un freno alla violenza”. Intanto le comunità colpite hanno ricevuto la solidarietà del presidente tanzaniano Jakaya Kikwete che ha promesso indagini rapide e accurate. Anche Acs ha denunciato un’escalation di violenza interreligiosa a Zanzibar e un aumento delle tensioni in seguito all’arresto di alcuni attivisti, dei quali sigle come l’associazione per la mobilitazione e la propaganda islamica Uamsho – che mira alla secessione in Tanzania e all’introduzione della sharìa come principale fonte di diritto – chiedono a gran voce la liberazione. (R.B.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 57

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