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Sommario del 19/02/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Esercizi spirituali. Il Card. Ravasi: la storia è il luogo dove incontrare il Signore
  • Benedetto XVI, collaboratore della Verità
  • Nomina episcopale in Messico
  • Castel Gandolfo si prepara per il 28 febbraio. Intervista con don Pietro Diletti
  • 20.mo del Catechismo. Prima affermazione della fede: "Credo in Dio"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Tunisia: premier dichiara fallito il tentativo di dare vita a un governo tecnico
  • Chavez ritorna in Venezuela. Migliaia di persone in piazza a Caracas
  • Strasburgo, sentenza su adozione ai gay. Il giurista: deriva sociale della famiglia
  • Rapporto Meter: siti pedopornografici, oltre 56 mila sono sul "deep web"
  • Rivolta al Cie di Ponte Galeria. Caritas: un luogo paradossale e disumano
  • Cinema. "Anna Karenina" secondo Joe Wright: lusso e vivacità per un dramma immortale
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Giordania: con la visita del card. Sarah, la sollecitudine della Chiesa per i profughi siriani
  • I vescovi africani riaffermano il loro impegno per lo sviluppo umano
  • Venezuela: un altro sacerdote ucciso in America Latina
  • Terra Santa: iniziativa della Chiesa contro il Muro a Cremisan
  • Pakistan: a Quetta arresti per la strage di sciiti. Sale il bilancio dei morti
  • Vietnam: sfida dei vescovi a materialismo e secolarizzazione
  • Nigeria: il governo pronto ad accettare il cessate il fuoco di Boko Haram
  • Sudan: sui Monti Nuba donne e bambini vittime di bombardamento
  • Bangladesh. Società civile e comunità religiose: urge una legge anti-discriminazione
  • Germania: a Treviri l'Assemblea plenaria di primavera dei vescovi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Esercizi spirituali. Il Card. Ravasi: la storia è il luogo dove incontrare il Signore

    ◊   La storia come luogo di incontro con Dio e la figura del Messia letta attraverso alcuni Salmi: sono i temi al centro delle due meditazioni predicate stamani al Papa e alla Curia Romana dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Oggi è il terzo giorno degli Esercizi spirituali, che si tengono nella cappella Redemtoris Mater in Vaticano. Il servizio di Debora Donnini:

    Dopo lo spazio, oggi è il tempo il filo d’oro delle meditazioni del cardinale Gianfranco Ravasi. Anche la storia è, infatti, luogo della teofania di Dio. A mostrarlo è lo stesso Antico Testamento, specialmente in quello che il porporato definisce come il credo storico di Israele, cioè i passi dove emerge che la fede è legata ai fatti, dove ci si riferisce a Dio come Colui che ha liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Il cardinale Ravasi mostra come l’incontro con Dio avvenga nei grovigli degli eventi, segnati dalla sofferenza ma anche dalla gioia. Una realtà resa ancor più visibile con l’Incarnazione:

    “La storia è e deve essere sempre il luogo da noi amato per incontrare il nostro Signore, il nostro Dio. Anche se è un terreno scandaloso, anche se è un terreno nel quale spesso noi vediamo magari anche il silenzio di Dio o vediamo l’apostasia degli uomini”.

    E’ la speranza, dunque, la virtù centrale per comprendere che la storia non è una serie di eventi senza senso ma, come si vede nel libro di Giobbe, esiste su di essa un progetto di Dio:

    “Noi con la speranza siamo certi di non essere in balia di un fato, di un fato imponderabile. Il nostro Dio si definisce in Esodo 3 con il pronome di prima persona 'Io' e col verbo fondamentale 'Io Sono'. Quindi, è Persona che agisce, che vive nell’interno delle vicende ed è per questo che allora il nostro rapporto con Lui è un rapporto di fiducia, di dialogo, di contatto. Ebbene, la speranza nasce dalla convinzione che la storia non è una nomenclatura di eventi senza senso”.

    Uno sguardo, questo, profondamente legato all’eternità. La seconda meditazione ha al suo centro la figura del Messia, letta principalmente attraverso tre Salmi, dai quali emergono alcune caratteristiche. Prima di tutto, quella del Messia come Colui che fa brillare la giustizia, specialmente per gli ultimi, per i poveri:

    “Paolo ha dato la definizione migliore di questa giustizia, che si mette al livello delle persone vittime dell’ingiustizia. Paolo, nel famoso Inno dei Filippesi 2, dice: Egli pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini”.

    Quindi, emerge la caratteristica del sacerdozio di Cristo come un sacerdozio di grazia, non “biologico”, ma alla maniera di Melchisedek e, infine, del Messia come Figlio di Dio, che con la Risurrezione svela pienamente la sua divinità. La dimensione messianica si può quindi vedere come cuore del Salterio:

    “Dobbiamo anche più spesso proprio sostare e contemplare la figura di Cristo, il Messia che ha in sé tutto questo respiro dell’Antico Testamento e lo porta alla pienezza”.

    La liturgia come luogo della rivelazione di Dio era stato il grande tema della riflessione del cardinale Gianfranco Ravasi agli Esercizi spirituali di ieri pomeriggio. Due le dimensioni fondamentali: quella verticale, lo sguardo verso Dio, e quella orizzontale, lo sguardo verso i fratelli. Il porporato ha sottolineato come sia necessario un equilibrio fra queste due dimensioni, altrimenti c’è il rischio o di un sacralismo fine a se stesso o di fare una riunione assembleare. Ma soprattutto la necessità di un’analisi del cuore per non trasformare il culto in un rito esteriore, come dice il Profeta Isaia quando afferma che Dio detesta offerte e sacrifici. L’amore ai fratelli e la confessione delle proprie colpe sono, dunque, momenti fondamentali per varcare la soglia che conduce alla comunione con il Signore:

    “Per andare alla Comunione con Dio – un solo Pane, un solo Calice – bisogna essere un solo Corpo, bisogna avere la comunione fra di noi”.

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    Benedetto XVI, collaboratore della Verità

    ◊   “La Chiesa dell’amore è anche la Chiesa della verità”. Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI ha messo l’accento sulla centralità della testimonianza della verità evangelica. Una sfida che in realtà, potremmo dire, è nel "Dna" del cristiano Joseph Ratzinger che, nel 1977, per il suo motto episcopale ha scelto la formula Cooperatores Veritatis, “Collaboratori della Verità”, tratta da un passo della terza Lettera di Giovanni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero”. Noi però “abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio”, che “ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”. Quando Joseph Ratzinger pronuncia queste parole, il 18 aprile del 2005, è ancora “solamente” il decano del Collegio cardinalizio. Ma, con il vantaggio della storia, è facile scorgere come in quella omelia sulla “dittatura del relativismo”, il futuro Pontefice abbia indicato alla Chiesa una delle più urgenti sfide dei nostri tempi. E in fondo di sempre: testimoniare la verità. Ma cosa è la verità, anzi chi è la verità per Benedetto XVI e possiamo possederla?

    “Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo che è la verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri”. (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012)

    Dunque, la verità è una Persona, Gesù Cristo. D’altro canto, osserva nella sua prima Enciclica Deus caritas est, all’inizio del Cristianesimo “non c'è una decisione etica o una grande idea”, bensì proprio “l'incontro” con questa Persona. Tanto più è autentico questo incontro, avverte il Papa, tanto più siamo chiamati ad accettare sacrifici e persecuzioni:

    “Chi partecipa alla missione di Cristo deve inevitabilmente affrontare tribolazioni, contrasti e sofferenze, perché si scontra con le resistenze e i poteri di questo mondo”. (Udienza alle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2010)

    La verità, non si stanca tuttavia di affermare il Papa, non è disgiunta dalla carità. Al contempo, spiega nella Caritas in veritate, “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente”. E', avverte, “il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità”. Ecco allora che la fede, ben lungi dall’essere un ostacolo, diventa la luce che illumina il cammino verso la verità:

    “Di fronte a tale atteggiamento che tende a sostituire la verità con il consenso, fragile e facilmente manipolabile, la fede cristiana offre invece un contributo veritativo anche nell’ambito etico-filosofico, non fornendo soluzioni precostituite a problemi concreti come la ricerca e la sperimentazione biomedica, ma proponendo prospettive morali affidabili all’interno delle quali la ragione umana può ricercare e trovare valide soluzioni” (Udienza alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 15 gennaio 2010).

    Nell’ambito di questa ricerca della verità, si colloca il grande impegno di Benedetto XVI per rafforzare il dialogo tra fede e ragione. Un binomio, questo, che contraddistingue il suo Pontificato. Anche la ragione, ne è convinto il Papa teologo, aiuta ad avvicinarsi a Dio:

    “Il dialogo tra fede e ragione, se condotto con sincerità e rigore, offre la possibilità di percepire, in modo più efficace e convincente, la ragionevolezza della fede in Dio – non in un Dio qualsiasi ma in quel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo – e altresì mostrare che nello stesso Gesù Cristo si trova il compimento di ogni autentica umana”. (Dialogo a Convegno diocesi di Roma, 5 giugno 2006)

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    Nomina episcopale in Messico

    ◊   In Messico, Benedetto XVI ha nominato arcivescovo di Tuxtla Gutiérrez mons. Fabio Martínez Castilla, finora vescovo di Ciudad Lázaro Cárdenas. Mons. Martínez Castilla è nato il 20 luglio 1950 a Islas Mujeres, allora Arcidiocesi di Yucatán, oggi Prelatura di Cancún-Chetumal. Ha realizzato gli studi ecclesiastici nel seminario dell’arcidiocesi di Yucatán ed è stato ordinato per quella circoscrizione ecclesiastica il 31 gennaio 1977. Negli anni 1977 al 1986 ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale dei Santos Reyes, Formatore nel Seminario, Cappellano dei Fratelli Maristi, Vicario parrocchiale successivamente di Santa Ana, Yaxcabá e Dzitás, e Parroco di Nuestra Señora de Guadalupe a Tizimin. Dal 1986 al 1994 è stato missionario fidei donum nella diocesi di Uige in Angola. Rientrato in patria, è tornato come Parroco alla parrocchia di Tizimin, essendo stato nominato nel contempo Vicario Parrocchiale di San Francisco di Asís a Umán e Direttore diocesano del Movimento Cursillos de Cristiandad. Nominato Vescovo di Ciudad Lázaro Cárdenas il 13 marzo 2007, è stato consacrato il 4 maggio dello stesso anno. Nell’ultima Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale del Messico è stato eletto Responsabile della Dimensione per la Pastorale Missionaria e Membro del Consiglio Permanente.

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    Castel Gandolfo si prepara per il 28 febbraio. Intervista con don Pietro Diletti

    ◊   Una città raccolta in preghiera, per accogliere il Papa che si accinge a ritirarsi in preghiera. È così che si presenterà agli occhi di Benedetto XVI la popolazione di Castel Gandolfo il prossimo 28 febbraio, quando nel pomeriggio il Pontefice giungerà nel Palazzo apostolico al termine del suo ministero petrino. Beatrice Guarrera ha chiesto a don Pietro Diletti, parroco della chiesa castellana di Tommaso da Villanova, quali preparativi siano in atto:

    R. - Vogliamo accoglierlo prima di tutto con la preghiera, perché sappiamo che è un uomo di preghiera e che sarà in mezzo a noi nella preghiera, anche se "invisibile" da un punto di vista fisico, come ha detto. Ci ritroveremo alle ore 16 del 28 febbraio e alle ore 17 inizieremo il Rosario alternato a delle piccole riflessioni del Papa, e quando arriverà – molto probabilmente alle 17.30 – e si affaccerà, noi smetteremo la preghiera e ci raduneremo lì, con tutti i flambeaux, nella piazza strapiena: stiamo mobilitando tutti e sappiamo che molti verranno anche da fuori. Sarà, quindi, veramente una manifestazione di affetto, di stima e di solidarietà per il Papa.

    D. – Lei personalmente che cosa dirà al Papa, quando lo incontrerà?

    R. – Io spero di incontrarlo, come l’ho incontrato sempre, avendolo incontrato, in due estati, dodici volte. In brevi incontri, ma anche lunghi incontri, abbiamo parlato tantissimo. Lui fa domande su tutte le cose. E’ un uomo che s’interessa dei particolari. Fa domande precise, per cui vuole risposte precise. Per esempio, riguardo alla campana che gli avevamo fatto, chiedeva in che tonalità fosse: in sol. E così per tutte le altre cose. Questo è veramente molto bello. Nonostante io sia qui da poco tempo - due anni e qualche mese – abbiamo già fatto amicizia in qualche modo e ogni volta che mi vede esclama: “Oh, il nostro caro parroco!” Ed io, una volta, arditamente ho detto: “Oh, il mio caro parrocchiano, che non sempre frequenta!”

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    20.mo del Catechismo. Prima affermazione della fede: "Credo in Dio"

    ◊   Chi è Dio e cosa significa affermare di credere in Lui? Nel Catechismo della Chiesa Cattolica molte pagine sono dedicate al fulcro della fede e del cammino che porta ad approfondire al conoscenza del Padre celeste. Su di esse si sofferma il gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, nella 14.ma puntata del suo ciclo di riflessioni dedicate ai 20 anni di pubblicazione del Catechismo:

    “Credo in Dio” – questa è la prima affermazione della fede. Poiché Dio è il principio e la fine di tutto: “il primo e l’ultimo” (Is 44,6). Il Catechismo sottolinea che tutto il Simbolo della fede “parla di Dio e, se parla anche dell’uomo e del mondo, lo fa in rapporto a Dio” (CCC 199). Tutti gli altri articoli della fede dipendono dal primo e sono la sua esplicazione. Qui però si pone il problema che riguarda la stessa parola “Dio”. Quando pronunciamo, per esempio, la parola “albero”, sappiamo di che cosa stiamo parlando. Ma quando diciamo “Dio”, di che cosa, di chi stiamo parlando? Il filosofo Buber ha notato che “'Dio' è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano. Nessun’altra è stata tanto insudiciata e lacerata”.

    Capita perciò che quando uno confessi “Non credo in Dio”, abbia ragione, perché “Dio” che lui ha in mente, non esiste davvero. Il Catechismo si riferisce a due nomi di Dio rivelati nella Bibbia. Il primo viene dall’Antico Testamento. “Io sono Colui che sono” (Es 3,14) – disse Dio a Mosè. Questo nome può essere interpretato in maniera esistenziale e anche quella filosofica. “Io sono” significa la fedeltà di Dio che è sempre “presente accanto al suo popolo per salvarlo” (CCC 207). Ma poi, “Io sono” vuol dire che Dio esiste da se stesso, da sempre e per sempre (cf. CCC 212).

    Nel Nuovo Testamento abbiamo un altro nome di Dio: “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16). Questo vuol dire non soltanto che Dio ci ama, ma che – come leggiamo nel Catechismo – “l’Essere stesso di Dio è Amore” (CCC 221). Dio però, in tutta la rivelazione, “rimane un Mistero ineffabile” (CCC 230). Sant’Agostino giustamente ha affermato: “Se lo comprendessi, non sarebbe Dio”. Allora, se pensando a tutto ciò che esiste sperimentiamo il mistero della realtà, in fondo sperimentiamo ciò che chiamiamo “Dio”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, Alberto Fabio Ambrosio sul silenzio necessario nel tempo di Quaresima.

    Potenza e fecondità dell'umiltà: sull'enciclica non scritta di Benedetto XVI, l'articolo di Jean-Marie Guénois apparso su "Le Figaro Magazine" del 15 febbraio.

    Verità, chiarezza e misericordia: il presidente della Conferenza episcopale tedesca, arcivescovo Robert Zollitsch, sul pontificato di Benedetto XVI.

    I cardinali e la stampa internazionale sulla scelta del Papa.

    Non può esserci carità senza fede: Serafino M. Lanzetta sul Papa, la Quaresima e la sfida della nuova evangelizzazione.

    San Tommaso oltre la Summa: Inos Biffi sui misteri di Cristo nelle "Sentenze" e in altre opere.

    Un articolo di Francesco Scoppola dal titolo "Se credere è reato": libertà religiosa nello Stato laico in uno studio storico-giuridico condotto da ventitré studiosi.

    Nicoletta Pietravalle recensisce la mostra sui surrealisti allestita alla Morgan Library & Museum a New York.

    L'eutanasia non è un gesto di umanità: nell'informazione religiosa, l'arcivescovo Pierre d'Ornellas e l'apertura dei medici francesi alla sedazione terminale, con un intervento del gran rabbino di Francia, Gilles Berheim, sul suicidio assistito, dal titolo "La compassione autentica sceglie la vita".

    Il ritorno del Codice: nell'informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi al cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.

    Priorità alla libertà religiosa: in rilievo, nell'informazione internazionale, l'impegno dell'Unione europea sui diritti umani.

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    Oggi in Primo Piano



    Tunisia: premier dichiara fallito il tentativo di dare vita a un governo tecnico

    ◊   Il primo ministro tunisino, Hamadi Jebali, ha gettato la spugna: a conclusione dell’ennesima maratona con le delegazioni dei partiti, ieri sera, ha dichiarato ufficialmente fallito il tentativo di sciogliere il suo governo. L’intenzione era quella di crearne uno di tecnici in grado di dare risposte concrete su come affrontare la crisi che attanaglia il Paese, in particolare dopo l'uccisione del capo dell'opposizione laica, Chockri Belaid. Ma Jebali non ha avuto l’appoggio né del partito del premier, l'islamico Ennahda, né del Consiglio della Shura, il più importante organo collegiale del partito. Ora, il timore è che la Tunisia cada davvero in una delicatissima crisi istituzionale. Fausta Speranza ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei paesi e delle istituzioni africane all’Università Tor Vergata:

    R. - Non farebbe che aggravare una situazione che nelle ultime settimane, anzi negli ultimi mesi, si è andata deteriorando. Prima di tutto, è un fallimento dei nuovi governi che si sono avvicendati, non soltanto in Tunisia ma anche in Egitto - due Paesi protagonisti della "primavera araba" di due anni fa: non essere riusciti a invertire la rotta dal punto di vista economico, risanare l’economia, avviare un processo virtuoso di lotta alla corruzione, insomma dimostrare che il nuovo governo aveva realmente intenzione di non seguire le orme delle dittature precedenti e quindi giustificare la propria resistenza. Alcune aree, alcune regioni della Tunisia lamentano esattamente gli stessi problemi economici e sociali che sono stati all’origine della "rivoluzione dei gelsomini".

    D. – Tra i dati di questo quadro economico negativo, c’è quello della disoccupazione…

    R. - Sì. Il tasso di disoccupazione nel 2001 ha superato il 28% e quel che è peggio, tra i giovani, ha raggiunto il 40%. Nel frattempo, il costo della vita è cresciuto del 4,4% circa rispetto all’anno precedente e il deficit della bilancia commerciale è salito. In sostanza, tra il 2011 e il 2012 la situazione economica - come dimostrano le proteste sempre più frequenti, gli scioperi, i sit-in - non solo non è migliorata, come si sperava, ma è peggiorata. Il settore turistico ha registrato una flessione ed è questo un dato tra i più allarmanti.

    D. - Quali sono le forze politiche che sono protagoniste in questa fase istituzionale della Tunisia?

    R. - Da un lato. la coalizione al potere, Ennahda, il partito islamista, e dall’altro un’opposizione che però stenta a far sentire la propria voce e a ottenere quello che tutti speravano, o perlomeno tutti coloro che in queste rivoluzioni hanno creduto e speravano, e cioè un processo di democratizzazione reale del Paese. Come dicevo prima - e lo sottolineo perché è veramente essenziale - la speranza era soprattutto in interventi in campo economico che permettessero a questo Paese di risolvere il problema cruciale, cioè quello di una popolazione giovane, una maggioranza di popolazione giovane, senza prospettive, senza lavoro, senza un futuro. Si deve poi aggiungere, anzi sottolineare, che l’altro punto debole di questo governo, e questo sta diventando sempre più evidente, riguarda anche la tutela dei diritti umani. L’opposizione di cui stavamo parlando insiste giustamente - e anche fuori dal Paese la comunità internazionale esprime molta apprensione - sulla possibilità che il partito al potere Ennahda si riveli anche negativo per quel che riguarda la tutela dei diritti umani. Ci sono già segnali di arretramento sotto questo profilo. Pensiamo, per esempio, alla contestata nuova Costituzione che è molto ambigua sul ruolo essenziale, fondamentale, della donna.

    D. - Cosa avrebbe potuto o potrebbe un governo tecnico più che un governo politico?

    R. - Un governo tecnico, teoricamente, se fosse veramente composto da persone competenti dovrebbe avere gli strumenti e la facoltà, il potere, di utilizzarli per avviare riforme strutturali sul piano economico e sul piano politico per concretizzare e rendere reali le riforme in senso democratico.

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    Chavez ritorna in Venezuela. Migliaia di persone in piazza a Caracas

    ◊   Il presidente venezuelano, Hugo Chavez, dopo più di due mesi trascorsi a Cuba per curare un cancro, è ritornato in patria, anche se le sue condizioni restano critiche. L’annuncio alla popolazione è stato dato via Twitter e subito migliaia di persone sono scese in strada per dargli il benvenuto. Critiche dall'opposizione che ha accusato Chavez e il suo governo di aver spettacolarizzato l’evento. In una dichiarazione, l’arcivescovo di Caràcas, il cardinale Jorge Urosa Savino, ha portato al presidente il saluto della Chiesa esprimendo l’auspicio che presto possa avvenire la cerimonia di giuramento, già rinviata una volta. Cecilia Seppia ha raccolto il commento di Maurizio Stefanini, esperto di America latina della rivista di geopolitica Limes:

    R. - Il problema particolare di Chávez è che comunque si tratta di un leader carismatico - con molto potere e con molto controllo - che però a un certo punto è venuto meno. Avrebbe dovuto presenziare al suo insediamento, ma non si è presentato e nonostante ciò è stato dichiarato insediato, grazie a un’interpretazione della Costituzione che ha suscitato più di un dubbio fondato. Comunque, è stato possibile solo per il fatto che il partito al potere ha un controllo abbastanza forte sulla macchina dello Stato. Chávez da quando è stato ricoverato non ha neanche più parlato e adesso - dopo alcune indiscrezioni, che sono state smentite - si è confermato che non può parlare perché è stato tracheotomizzato, infatti questo annuncio del rientro è arrivato via Twitter. È un personaggio forte, che però non è più nelle condizioni di esercitare la sua forza. In qualche modo, dalle foto divulgate che rivelavano le sue pessime condizioni fisiche, diciamo che questo ritorno è stato in qualche modo forzato proprio dal fatto che non c’era solo una contestazione da parte dell’opposizione, ma ci sono state anche contestazioni all’interno della coalizione di potere, ma soprattutto c’è stato un forte imbarazzo internazionale. Sembra che Lula sia andato a Cuba per visitarlo, ma non gliel’abbiano fatto vedere.

    D. - Rispetto a tutto quello che lei sta dicendo, si può parlare in Venezuela - anche se in modo non dichiarato - di una crisi politica?

    R. - La situazione non è solo di crisi politica, ma è anche di crisi economica, perché Caracas ha appena provveduto a una fortissima svalutazione del peso. Una situazione del genere, in un continente che comunque economicamente, è andato abbastanza bene negli ultimi anni, è anche imbarazzante per un regime che, in qualche modo, ha rivendicato una funzione di leadership in certi mutamenti che sono avvenuti.

    D. - Molti analisti pensano che con Chávez in queste condizioni l’eredità, che il leader venezuelano lascia, potrebbe passare per esempio nelle mani del neo-eletto presidente dell’Ecuador, Rafael Correa…

    R. – Sì, in questa leadership internazionale presumibilmente ritengo che potrebbe essere Correa l’erede dell’Alba, ovvero, dell’alleanza dei Paesi ispirati alla corrente del socialismo del XXI secolo, come l’ha definita Chávez. C’è una leadership geopolitica, c’è una leadership regionale, in Venezuela c’è un’eredita di Chávez che per ora spetta a Maduro, ma è un’eredità debole. Per quanto riguarda ciò che ha rappresentato Chávez, come leadership a livello latino americano, probabilmente passerà l’eredità al presidente ecuadoriano Correa, anche se il Venezuela dal punto di vista geopolitico ha indubbiamente più risorse, è più forte ed è più importante; l’Ecuador è meno importante, ha meno risorse e meno abitanti.

    D. - Nicolás Maduro, il vice di Chávez, non ha forse le carte per poter governare, prendere le redini del governo. Diciamo anche però che è inviso all’opposizione, che vorrebbe comunque il suo candidato…

    R. - Il candidato dell’opposizione è Henrique Capriles, che è stato sconfitto da Chávez nelle ultime elezioni, ma che ha ottenuto una quantità di voti che non aveva mai ottenuto un candidato dell’opposizione. Il problema è che l’opposizione aveva chiesto di fare nuove elezioni senza Costituzione, proprio ritenendo che Chávez non era più nelle condizioni. Comunque Chávez è tornato, però è stato detto al governo che non è ancora nelle condizioni di giurare; quindi, questa successione è ancora sospesa.

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    Strasburgo, sentenza su adozione ai gay. Il giurista: deriva sociale della famiglia

    ◊   Due sentenze che fanno discutere sono arrivate oggi da Strasburgo e da Karlsruhe, in Germania. Nel primo caso, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito, in riferimento al ricorso di una coppia gay austriaca, che nelle coppie omosessuali, al pari delle coppie etero, i partner devono avere il diritto all’adozione dei figli dei compagni. Nel secondo caso, la Corte costituzionale ha stabilito che sarà possibile a uno dei partner, in un matrimonio gay, adottare il figlio adottato in precedenza dal coniuge. Francesca Sabatinelli ha chiesto l'opinione di Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato all’Università Europea di Roma:

    R. – Significa che in un ordinamento, in particolare quello austriaco, dove è possibile avvenire all’adozione anche da parte delle coppie non sposate, questo va esteso anche a quelle coppie non sposate di tendenza omosessuale. Cioè, non si può fare differenza se la coppia non sposata è eterosessuale o se invece è omosessuale, con riferimento all’adozione. In tutti e due i casi, si ha il diritto di adottare bambini. Ecco cosa significa la decisione dei giudici di Strasburgo.

    D. - Oggi, una decisione analoga, se così possiamo dire, è arrivata dalla Germania. Questo significa che si stanno rafforzando in qualche modo i diritti per le adozioni dei gay?

    R. – Sì, significa che c’è una concezione della famiglia di tipo sociale, né giuridico, né naturale, ma cioè si intende quel nucleo dove di fatto si convive assieme e, a questo punto, diventa indifferente, con riferimento alle figure genitoriali, qual è il sesso e la differenza di sesso tra le stesse. Quindi, è come se fossimo davanti a un logoramento sociale della famiglia che, davanti a dei fatti, ne deve prendere atto e anche il legislatore deve, a questo punto, assecondare nuove situazioni con, però, il grandissimo vulnus dei diritti del bambino. In questo caso, infatti, il bambino non viene riconosciuto nei suoi diritti ad avere una doppia figura genitoriale differente tra uomo e donna, tra maschio e femmina, che completano la sua personalità, ma si annienta questa distinzione, imponendogli una figura genitoriale, una doppia figura dello stesso sesso, con ovvie ricadute sulla crescita del bambino. A prescindere degli studi che ci sono, lo dice anche il buon senso. Ciascuno di noi sa quanto sia importante avere una madre e un padre nelle loro differenze caratteriali, psicologiche, biologiche, psicofisiche, che completano pienamente la personalità e l’equilibrio di un minore. Quindi, la ritengo davvero una forzatura se non addirittura una violenza.

    D. - Tornando alla sentenza della corte di Strasburgo, quale riflesso può avere nell’ordinamento italiano?

    R. - Per il momento, nessun riflesso nell’ordinamento italiano perché l’ordinamento italiano non consente l’adozione alle coppie non sposate. Quindi, questa estensione che è stata possibile in Austria per le coppie non sposate, che devono essere anche considerate quelle di tipo omosessuale, in Italia non sarebbe possibile perché l’adozione è consentita soltanto alle coppie sposate, unite cioè in matrimonio, dove è giuridicamente ineccepibile: lo ha detto la Corte costituzionale che il matrimonio è soltanto quello tra un uomo e una donna. Quindi, in questo caso in Italia non ci sono ripercussioni di carattere giuridico.

    D. – Quindi, per ora non cambierà nulla in Italia e questa sentenza non avrà riflessi. In futuro?

    R. – Il futuro è piuttosto insidioso, perché se il parlamento italiano dovesse invece legiferare a favore di un riconoscimento delle unioni omosessuali, ne viene che davanti a queste decisioni, come quella di Strasburgo, inevitabilmente si arriverà anche a un riconoscimento del diritto delle coppie omosessuali ad adottare. Quindi, è davvero insidioso il futuro perché potrebbe capitare che davanti a un’apertura del parlamento nel riconoscere diritti e doveri anche delle coppie non sposate e anche a quelle di tipo omosessuale, poi magari, anche senza volerlo, si arriverà per forza di sentenze giurisprudenziali a un’assimilazione, anche nei diritti, all’adozione, con la ripercussione, che ritengo davvero aberrante, di consentire che dei bambini vengano educati in un nucleo familiare con una doppia figura genitoriale dello stesso sesso.

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    Rapporto Meter: siti pedopornografici, oltre 56 mila sono sul "deep web"

    ◊   L’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto in prima linea contro la pedofilia on line. Diminuiscono i siti Internet nel web visibile, ma aumentano quelli nel “deep web”, una rete parallela a cui anche la Polizia postale ha difficoltà ad accedere. Stamattina, l’Associazione ha presentato il suo Rapporto annuale. Alessandro Guarasci.

    I siti pedofili e pedopornografici sul web visibile sono in calo: nel 2012, erano 20.390 contro i quasi 16 mila del 2011. Ma la battaglia non è vinta. Il nuovo male si chiama "deep web", una rete parallela, 550 volte più grande dell’Internet che tutti noi conosciamo, non segnalata dai normali motori di ricerca, a cui si accede scaricando un apposito programma. Meter ha individuato oltre 56 mila siti pedopornografici nel "deep web". Un panorama terribile, come dice don Fortunato Di Noto:

    "Con forme nuove, con forme di sfruttamento particolari e con guadagni veramente ingenti. Non possiamo mai pensare che i bambini, ritratti nelle foto e nei video, siano bambini irreali: sono bambini molto reali, che hanno già subito degli abusi e che devono necessariamente essere non soltanto individuati, ma accompagnati e aiutati".

    La Chiesa quindi, anche grazie all’insegnamento del Papa e ad Associazioni come Meter, è da tempo impegnata a lottare contro la pedopornografia. Lo stesso Di Noto dice che sulla lotta alla pedofilia la Chiesa "non torna indietro". Serve, però, maggiore collaborazione internazionale. Ancora don Di Noto.

    "Quello che ancora manca è una maggiore collaborazione internazionale. La globalizzazione del fenomeno richiede una globalizzazione degli interventi. Quindi, credo che, da questo punto di vista, bisogna fare uno sforzo in più per agevolare non solo le indagini, ma soprattutto - questo è l'impegno di tutti - puntare all'individuazione dei bambini ritratti in quelle foto".

    Per quasi il 51%, i siti web pedofili arrivano dall’Europa, Russia in testa.

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    Rivolta al Cie di Ponte Galeria. Caritas: un luogo paradossale e disumano

    ◊   “Il decreto flussi ha dimostrato di non funzionare; per chi cerca asilo in Italia non ci sono reali percorsi di integrazione e i Centri di identificazione e espulsione (Cie) sono luoghi paradossali e sbagliati”. E’ la riflessione di don Emanuele Giannone direttore della Caritas diocesana di Porto Santa Rufina, dopo la sommossa scoppiata ieri tra immigrati nigeriani al Cie di Ponte Galeria, in seguito a un ordine di espulsione. In tanti, sindacati e associazioni, denunciano le critiche condizioni di vita nei Cie, paragonandoli alle prigioni. Così la pensa anche don Emanuele, ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Gabriella Ceraso. Sentiamo la sua testimonianza:

    R. – Anche io mi sento di definirlo una prigione, perché è un luogo dove, di fatto, le persone sono trattenute in maniera forzosa. Il problema è che la situazione all’interno dei Cie è più grave di una prigione classica, perché in una prigione uno ci sta per una condanna: sa quanti giorni ci deve stare, che pena deve scontare e sa anche che c’è un regolamento che gli permette comunque di affrontare la giornata. Tutto questo, invece, nel Cie non c’è, perché le persone non sanno quanti giorni ci devono stare, non conoscono il reato, anzi la gran parte degli ospiti sono usciti dal carcere e dicono “io quella pena l’ho pagata”. C’è una situazione, dunque, umanamente disastrosa.

    D. – Il sindaco di Roma, e non solo, ha detto che è un luogo “sicuramente brutto, non entusiasmante, ma è necessario per contrastare l’immigrazione abusiva, illegale degli extracomunitari. Stiamo parlando di nigeriani. Lei è d’accordo?

    R. – Assolutamente no, non sono d’accordo. Basta vedere i numeri. Intanto, chi sta dentro il Cie non è detto che sia entrato illegalmente in Italia, anzi la maggior parte degli ospiti del Cie sono entrati regolarmente. Poi, per tutta una serie di motivi, si ritrovano a essere portati nel Centro di identificazione. Quindi, non risponde assolutamente alla necessità di contrastare l’immigrazione, che sia regolare o clandestina. Ma il problema è che il Cie è una struttura sbagliata in sé, perché quando vado lì trovo il povero immigrato che non ha commesso nessun reato, o che magari ha commesso una stupidaggine come avere un documento scaduto, e che si ritrova in un luogo accanto a un pluripregiudicato. E’ un luogo dove si tengono le persone senza tener conto della loro storia, della loro situazione. Si crea, quindi, veramente un luogo disumano, che non tiene conto della dignità della persona, nonostante la buona volontà di tutti gli operatori che vi lavorano e delle forze di polizia.

    D. – Dato che in questi casi si ripete che bisogna ripensare alle politiche migratorie, per dare dignità alle persone, secondo lei cosa è necessario fare?

    R. – Gestire le politiche migratorie, a partire dalle situazioni diverse dei Paesi di provenienza. Per quanto invece riguarda il Cie, non mettere al loro interno chi viene da un percorso detentivo: che vengano rimpatriati alla fine della pena, se devono essere rimpatriati. E, diversamente, si creino varie sezioni all’interno del Cie, in modo che chi va lì sappia perché sta lì e cosa gli accadrà. L’indeterminatezza, infatti, esaspera le persone, oltre che farle diventare una nullità.

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    Cinema. "Anna Karenina" secondo Joe Wright: lusso e vivacità per un dramma immortale

    ◊   Ritorna sugli schermi l’infelice e immortale storia di Anna Karenina in una nuova e originalissima versione del regista Joe Wright che adatta per il cinema, con passione e vivacità, il capolavoro di Tolstoj: tra coreografie e ricche ricostruzioni scenografiche, i nobili russi e gli infelici protagonisti si muovono come se la loro vita scorresse su un tragico palcoscenico. Il servizio di Luca Pellegrini:

    (musica)

    Le note dei valzer e le stoffe sontuose avvolgono Anna e Vronsky. Nell'immobilità assoluta, i nobili russi guardano come spettatori lontani. Ci sono diversi modi di tradurre al cinema i classici e i capolavori della letteratura mondiale. Ci sono, poi, autori particolarmente cari, in questo senso: da Shakespeare a Somerset Maugham, da Tenesse Williams a Emily Brontë, per non parlare dei grandi giallisti, degli scrittori di commedie, di epopee antiche. Tolstoj è uno di quelli più amati: "Resurrezione", "Guerra e Pace" e "Anna Karenina" sono tra i titoli più avvicinati dalla cinematografia. L'eroina di quest'ultimo è stata legata per decenni al volto di Greta Garbo, protagonista di una duplice versione, muta e parlata. Ora torna, l'infedele e appassionata Anna, sugli schermi grazie a una regia davvero poco convenzionale e fastosa, che ambienta questa grande storia d'amore e tradimento in un teatro, dandole così lo spessore della messinscena, l'astrazione dalla realtà, la concentrazione sul dramma, l'infelicità e il dolore. L'adattamento del drammaturgo Tom Stoppard si sente nella nevrosi dei dialoghi, gettati nel vorticare delle scene, bellissime e in continuo movimento, come quinte teatrali, in una metamorfosi cui partecipa anche la splendida musica di Dario Marianelli.

    Anna recita, così, nel gran teatro del mondo e della vita, acuta sente l'oppressione delle regole, forte la ribellione alle leggi, di terribilmente vero rimane ciò che attraversa il suo cuore. Ogni ambientazione, e sono mille, è ricostruita sul palcoscenico o nei suoi recessi, in una platea o nei palchi, dietro le quinte e sulle graticce, luoghi in cui entrano e escono, con formidabili soluzioni visive, personaggi, arredi, modellini di treni e cavalli in corsa, come se alla fine fosse tutto un gioco tragico, certo una tragicissima rappresentazione umana. Keira Knightley è spaventata e coraggiosa, folle e radiosa nella sua bella e intensa interpretazione di Anna. Così fragile come lo sono tante ragazze oggi: per questo la nuova versione del capolavoro russo potrebbe piacere molto ai giovani, che se non leggeranno le intense pagine di Tolstoj, almeno le conosceranno grazie alle immagini di un film.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Giordania: con la visita del card. Sarah, la sollecitudine della Chiesa per i profughi siriani

    ◊   “Solo in Giordania, i profughi fuggiti dalla Siria sono 380mila, e continuano a aumentare di giorno in giorno. La visita del card. Robert Sarah testimonia la sollecitudine di tutta la Chiesa davanti a questa emergenza umanitaria immane, che non possiamo affrontare solo con le nostre forze”. Così dichiara all'agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giiordania, commentando la trasferta nel Regno Hashemita del cardinale Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Nella giornata di oggi il cardinale Sarah incontra duecento famiglie di profughi siriani presso la parrocchia cattolica latina di Zarqa. Domani il porporato aprirà ad Amman i lavori dell'Assemblea annuale dell'organismo regionale di collegamento tra le 17 agenzie nazionali Caritas del Medio Oriente e del Nord Africa (Caritas Mona), proponendo alcune riflessioni relative al Motu Proprio Intima Ecclesiae natura, il documento pontificio sul servizio della carità pubblicato lo scorso 1° dicembre. Quest'anno, al summit delle Caritas del Medio Oriente e del Nord Africa saranno presenti più di 40 tra vescovi, sacerdoti e responsabili laici e religiosi delle diverse strutture nazionali. All'incontro è annunciata la partecipazione del vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, presidente di Caritas Siria, e del vescovo caldeo ausiliare di Baghdad Shlemon Wardouni, presidente di Caritas Iraq. Domani pomeriggio i lavori dell'Assemblea punteranno l'attenzione sull'emergenza siriana, cercando di definire strategie coordinate davanti alle urgenze umanitarie e assistenziali collegate al conflitto. Domani è previsto anche un incontro di tutti i partecipanti al summit con il Re Abdallah II di Giordania. (R.P.)

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    I vescovi africani riaffermano il loro impegno per lo sviluppo umano

    ◊   “La Chiesa non può rimanere indifferente e isolata di fronte alle attuali sfide socio-politiche ed economiche africane” afferma una nota inviata all’agenzia Fides che presenta la Lettera Pastorale “Governance, bene comune e transizione democratica in Africa” elaborata dal Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam), l’organismo che raggruppa tutti i vescovi cattolici del continente, presentata ad Accra (Ghana) dal card. Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar es Salaam e Presidente del Secam. La Lettera Pastorale, tracciata sul solco dell’Esortazione Apostolica post sinodale Africae Munus di Papa Benedetto XVI, sottolinea che “il bene comune, il rispetto dei diritti umani e la promozione del buon governo sono elementi essenziali del Messaggio Evangelico”. Nella Lettera Pastorale si ricorda che la Chiesa ha svolto un ruolo essenziale nella promozione della democrazia e del bene comune. Ad esempio “in diversi Paesi, durante il delicato periodo di transizione democratica degli anni ’90, la Chiesa ha giocato un ruolo di sostegno chiaramente visibile. Cinque delle otto Conferenze Nazionali Transitorie organizzate in quel periodo sono state presiedute da vescovi cattolici”. La Chiesa africana è intervenuta più volte per chiedere un corretto sfruttamento delle risorse naturali del continente, come ad esempio il petrolio e il legname. A questo proposito i vescovi africani, pur apprezzando gli sforzi compiuti da diversi Paesi nel migliorare il tenore di vita delle popolazioni, denunciano la persistenza della corruzione dei funzionari e la depredazione delle risorse da parte delle multinazionali che impediscono ancora a un gran numero di africani di beneficare delle ricchezza dei loro Paesi. Nonostante questi limiti i vescovi ribadiscono il loro impegno “a collaborare con i governi e le altre istituzioni per lo sviluppo umano integrale in Africa”. (R.P.)

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    Venezuela: un altro sacerdote ucciso in America Latina

    ◊   Un altro sacerdote ucciso in un Paese dell’America Latina. Si tratta di padre José Ramón Mendoza, 44 anni, assassinato la sera di domenica 17 febbraio nello Stato di Lara nel Venezuela (circa 400 km da Caracas). Padre Mendoza stava percorrendo la strada che porta al quartiere El Manzano nel comune di Iribarren quando è stato intercettato da un gruppo di malviventi che si sono avvicinati alla sua vettura ferma al semaforo. Alla vista dei banditi la reazione del sacerdote, secondo le prime informazioni della polizia, è stata di accelerare ma è stato raggiunto da un proiettile alla testa. Don Mendoza è stato trovato morto, all’incrocio delle vie Uruguay e La Riberena, dove era accaduto il fatto. Le prime notizie del tragico evento sono state pubblicate dal giornale locale El Informador, che ha descritto il delitto come un tentativo di furto dell'auto finito in tragedia. Le autorità locali hanno aperto un'indagine per accertare l’accaduto. Secondo una nota inviata all'agenzia Fides, padre José Mendoza era parroco di San Juan Evangelista, nel quartiere Brisas de El Obelisco. L’arcivescovo di Barquisimeto, mons. Antonio José López Castillo, si è recato all'obitorio per riconoscere la salma e ha detto al gruppo di fedeli che si erano riuniti sul posto “Padre Mendoza era un uomo di preghiera. La violenza non è la via per andare avanti. Hanno spezzato la vita di un ministro di Dio. Coloro che hanno fatto questo hanno tolto la vita a un innocente". L'arcidiocesi ha emesso un comunicato invitando tutti a rispettare la vita e alla autorità di fermare la violenza. Nel 2010 era stato ucciso un'altro sacerdote nello stato di Bolivar. In America Latina sono ormai 4 i sacerdoti uccisi dall’inizio del 2013. (R.P.)

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    Terra Santa: iniziativa della Chiesa contro il Muro a Cremisan

    ◊   “Siamo fiduciosi. Gli avvocati hanno rappresentato molto bene la situazione esponendo le nostre ragioni, evidenziando come questo muro metterà a repentaglio la vita della nostra comunità cristiana e fornendo un’ampia documentazione a sostegno. Non ci resta che confidare nel Signore perché illumini le menti di coloro che sono chiamati a decidere e quelle dei nostri avversari in Tribunale, ovvero l’esercito d’Israele”. Così padre Ibrahim Shomali, parroco di Beit Jala, villaggio palestinese a maggioranza cristiana, commenta all'agenzia Sir quanto accaduto il 12 febbraio scorso, giorno dell’ultima udienza del caso “Cremisan”, la valle sui cui dovrebbe sorgere il muro israeliano per collegare le tre colonie israeliane, Gilo, Har Gilo e Givat Hamatos, che circondano Beit Jala. Il passaggio della barriera, se approvata, taglierà di fatto in due le terre di Cremisan, con effetti devastanti per la già debole economia palestinese. A repentaglio, oltre alle terre, uliveti, vigneti per cui Cremisan è famosa, e anche posti di lavoro e scuole, quelle delle religiose salesiane. Dal 1° ottobre 2011, la comunità cristiana locale si raduna in questi terreni, a rischio esproprio, intorno a padre Ibrahim per celebrare, ogni venerdì, una messa, “perché la nostra terra abbia giustizia. Ritrovarci qui tutti insieme significa ribadire che dalle nostre terre non ce ne andremo mai”. All’udienza erano presenti anche rappresentanti di molti Paesi internazionali (Germania, Francia, Onu su tutti), che, dichiara il parroco, “speriamo possano fare le giuste pressioni su Israele affinché cambi idea sul muro. Non è sufficiente essere al nostro fianco bisogna anche dare concretezza a questa vicinanza. La questione del Muro non riguarda solo pochi Paesi, ma tutto il mondo, e anche la Chiesa”. (R.P.)

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    Pakistan: a Quetta arresti per la strage di sciiti. Sale il bilancio dei morti

    ◊   Questa mattina le forze di sicurezza pakistane hanno ucciso quattro persone e arrestate altre sette, accusate di aver condotto a più riprese attacchi contro la minoranza musulmana sciita. Secondo le indiscrezioni filtrate, nel gruppo vi sarebbe anche una delle menti della strage contro gli hazara a Quetta del 16 febbraio scorso, nella quale sono morte almeno 89 persone. Il Paese asiatico, a larga maggioranza musulmano sunnita - riferisce l'agenzia AsiaNews - è spesso teatro di sanguinosi attacchi contro esponenti di etnie o religioni diverse fra cui musulmani sciiti e hazara, sufi, cristiani, buddisti e indù. Gli agenti hanno condotto una vasta operazione nella periferia sud-occidentale di Quetta, dove è divampata una feroce protesta che vede coinvolti migliaia di esponenti della minoranza sciita. Infuriati per la strage dei giorni scorsi, essi chiedono all'esercito maggiore protezione e, fino a quando non verranno accolte le richieste, rifiutano di seppellire le vittime sebbene, per tradizione islamica, essa avviene entro le 24/48 ore dalla morte. Il raid di questa mattina, spiegano in una nota congiunta il ministro degli interni del Baluchistan e il responsabile delle Guardie di frontiera, è parte di una "operazione tuttora in corso" e ha colpito "personalità di alto profilo", coinvolte nella morte di "un giudice sciita e alti ufficiali di polizia". Tra le persone arrestate vi sarebbe anche una delle menti della strage al mercato ortofrutticolo del 16 febbraio, nel quartiere hazara della città di Quetta, nella quale sono morte almeno 89 persone e altre 200 sono rimaste ferite. Il gesto è stato rivendicato dal gruppo estremista islamico Lashkar-e-Jhangvi (LeJ), fra i più attivi e sanguinari di tutta la nazione. Gli agenti hanno inoltre sequestrato bombe artigianali, armi e divise. Da Islamabad è partita una delegazione governativa, per tentare una mediazione che metta fine alla protesta sciita, che vede coinvolte migliaia di persone fra cui donne e bambini. A pochi mesi dalle elezioni, nel Paese monta lo scontento verso l'esecutivo, ritenuto responsabile dell'insicurezza e incapace di fermare estremisti e talebani. Negli ultimi mesi a Quetta, capoluogo provinciale del Baluchistan, si sono registrati diversi attacchi mirati contro la minoranza sciita. I movimenti nazionalisti locali, che si sommano ai gruppi estremisti, hanno adottato la tecnica dello stragismo, per costringere il governo a cedere maggiori risorse derivanti dallo sfruttamento di gas naturali e minerali presenti nel sottosuolo. Il 2012 è stato fra i più terribili per gli sciiti, con un bilancio di sangue che parla di oltre 400 morti in diversi attentati, di cui 125 nella sola provincia del Baluchistan dove vi è una forte presenza hazara. Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di induisti (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, dalla provincia del Punjab fino a Karachi, nella provincia meridionale del Sindh, dove nei primi otto mesi del 2012 sono state uccise più di 1.700 persone. (R.P.)

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    Vietnam: sfida dei vescovi a materialismo e secolarizzazione

    ◊   Per la Quaresima 2013 i vescovi vietnamiti hanno lanciato una campagna contro la crescente "secolarizzazione" e il "materialismo" fra i cattolici e, in generale, nella società vietnamita, attirata da modelli consumistici propinati da televisioni e giornali. In questo Anno della Fede, sottolineano i pastori, è importante imprimere un "cambio di mentalità", che sia in grado di restituire i valori della tradizione, superando il concetto egoistico del mero "profitto personale". E proprio il periodo in preparazione alla Pasqua diventa occasione per rilanciare le iniziative di carità nel sociale, da affiancare al digiuno e alla preghiera, per vivere a fondo la pienezza del Cristo risorto. In una lettera ai fedeli, mons. Nguyen Van Nhon, presidente della Conferenza episcopale vietnamita, ricorda la rinuncia di Benedetto XVI, che ha colpito nel profondo i fedeli; al tempo stesso, il prelato ricorda che alla Quaresima in cui si ricorda la passione di Gesù, seguono "la luce e la speranza" che derivano dalla "sua resurrezione per noi". Le sue parole si aggiungono all'appello lanciato in occasione dei festeggiamenti per l'Anno del Serpente, iniziato il 10 febbraio scorso, dall'arcivescovo di Ho Chi Minh City. Il card J.B. Pham Minh Man ha ricordato che "la fede ha sempre aiutato i cattolici a esprimere pietà" verso il prossimo; per questo il porporato invita ogni cattolico al rinnovamento personale, per "essere rivestiti dell'uomo nuovo" forgiato nella giustizia, nella santità e nella verità. I cattolici vietnamiti sono circa l'8% su un totale di 87 milioni di abitanti, ma rappresentano una forza vitale per la cultura, la storia e la società della nazione derivante da oltre 500 anni di missione. I vescovi si appellano a ogni singolo fedele, per lottare contro la deriva materialista che ha colpito il Paese e i suoi cittadini, sempre più attirati dal denaro, dal successo e dai beni materiali di una modernità sfrenata. Come ha ricordato mons. Joseph Đinh Đức Đạo, direttore del seminario maggiore di Xuân Lộc, nella lettera alla comunità in occasione dell'apertura dell'Anno della Fede e incentrata sui "grandi mutamenti" che hanno interessato il Vietnam. Sottolineando il "cambio di mentalità" e il processo di "secolarizzazione", egli rilancia la sfida per una vera "educazione alla fede", che sia in grado di affrontare i problemi e fornire ai cristiani "insegnamenti" e "risposte concrete". (R.P.)

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    Nigeria: il governo pronto ad accettare il cessate il fuoco di Boko Haram

    ◊   Il governo nigeriano è disposto ad accettare il cessate il fuoco offerto da Boko Haram e di concedere un’amnistia ai membri della setta se il suo leader, Sheikh Abubakar Shekau, rinuncia pubblicamente alla violenza. Lo ha affermato il generale Sarkin-Yaki Bello, Coordinatore nazionale del Centro antiterrorismo. L’alto ufficiale ha promesso inoltre un programma di riabilitazione per gli estremisti che depongono le armi ed ha affermato che il governo è disposto a offrire concessioni alle richieste presentate da Boko Haram, come il rilascio dei membri detenuti, la ricostruzione della sua moschea distrutta in un’operazione militare a Maiduguri nel 2009 e il permesso agli appartenenti alla setta di praticare liberamente il proprio credo religioso. Il generale ha poi affermato che il governo intende affrontare il problema dell’alto tasso di disoccupazione nel nord del Paese (che favorisce il reclutamento di giovani da parte della setta) e riformare il sistema scolastico dell’area. L’ufficiale ha aggiunto che Boko Haram non è più solo un problema nigeriano, perché tra i suoi membri vi sono cittadini di altri Paesi africani, come Ciad e Camerun, e il suo arsenale è stato rafforzato con armi provenienti dai depositi libici. Esisterebbe infine un “cordone ombelicale” che lega Boko Haram ai gruppi jihadisti nel nord del Mali. A gennaio, uno dei comandanti di Boko Haram, Sheikh Muhammed Abdulazeez Ibn Idris, aveva dichiarato che dopo essersi consultato con la leadership della setta, era pronto ad un cessate il fuoco. Da allora vi sono stati alcuni scontri armati nel nord della Nigeria che non sono stati però rivendicati da Boko Haram, come accade di solito. (R.P.)

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    Sudan: sui Monti Nuba donne e bambini vittime di bombardamento

    ◊   Una donna e due bambini uccisi, oltre a quattro feriti gravi, tra i quali ancora una donna: è il bilancio di un bombardamento dell’aviazione del Sudan nei pressi di un villaggio sui Monti Nuba, una regione ostaggio di un conflitto tra esercito e ribelli da oltre un anno e mezzo. Secondo Voice of Peace, una radio cattolica che trasmette dai Monti Nuba e ripresa dall'agenzia Misna, il bombardamento è avvenuto domenica nei pressi di Luwere. All’emittente alcuni testimoni hanno raccontato che le vittime sono rimaste uccise sul colpo mentre stavano lavorando in un campo. I Monti Nuba sono una regione del Sudan situata al confine con il Sud Sudan, uno Stato divenuto indipendente nel 2011 dopo una lunga guerra civile. Dal giugno di quell’anno il conflitto tra l’esercito di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan-Nord (Splm-N) ha alimentato un’emergenza umanitaria non solo sui Monti Nuba ma anche nella vicina regione del Nilo Blu. È di ieri la notizia di un’avanzata dell’esercito sudanese nella zona di Mafo, nel settore sud-occidentale del Nilo Blu, al termine di una battaglia che avrebbe causato decine di vittime. Secondo le stime dell’Onu, dai Monti Nuba e dal Nilo Blu più di 200.000 persone sono state costrette a fuggire oltre i confini con il Sud Sudan e l’Etiopia. Sempre stando ai dati delle Nazioni Unite, nelle due regioni gli sfollati o le persone colpite dal conflitto in vario modo sono 275.000 nelle zone amministrate dal governo sudanese e 420.000 in quelle controllate dai ribelli. (R.P.)

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    Bangladesh. Società civile e comunità religiose: urge una legge anti-discriminazione

    ◊   Il diritto alle “pari opportunità” e all’uguaglianza sono principi sanciti dalla Dichiarazione universale Onu sui diritti dell'uomo e garantiti dalla Costituzione del Bangladesh. Ma, nonostante ciò, la discriminazione in Bangladesh persiste ed è dilagante: tocca la violenza di genere, il mancato accesso all’istruzione, il rifiuto per motivi di casta o di religione. Per questo urge nel Paese un specifica “legge anti-discriminazione” che fermi tali pratiche e punisca quanti ancora la promuovono. E’ l’appello lanciato dalla società civile del Bangladesh, sostenuto e condiviso anche da comunità, associazioni e leader religiosi, cristiani e non. Il documento, pervenuto all’agenzia Fides, è firmato da numerose organizzazioni sociali bengalesi come “Bangladesh Legal Aid and Services Trust” (Blast), “Fair”, “Bangladesh Horijon Oikko Porishod”, “Manusher Jonno Foundation” e altri movimenti che difendono i diritti dei dalit. L’appello nota, in primis, la discriminazione basata sulle caste: il divieto costituzionale di discriminazione di casta non viene applicato e le gerarchie castali, con le discriminazioni connesse, è largamente presente sia fra i musulmani che fra le popolazioni indù in Bangladesh. La maggior parte dei dalit vivono ben al di sotto della soglia di povertà e hanno accesso molto limitato ai servizi sanitari e di istruzione. Altra discriminazione è quella basata sulla razza o sul gruppo etnico: le popolazioni indigene in Bangladesh continuano a subire forti discriminazioni, sono vittime di “land grabbing” (espropriazione indebita di terreni) e i loro diritti sono costantemente negati. Altrettanto forte è la discriminazione su base religiosa: sebbene la Costituzione disegni un sistema politico laico, l'Ottavo emendamento alla Costituzione dichiara l’islam “religione di stato” creando, di fatto “una distinzione di classe tra cittadini musulmani e non musulmani”. Discriminazione nei confronti delle minoranze religiose da parte dello Stato si verifica anche per mezzo di leggi che privano le minoranze religiose del loro territorio. Resta alto il tasso di violenza, di frequente impunita, sulle minoranze religiose, come buddisti, ahmadhi, cristiani. Fra le più gravi e diffuse, vi è la discriminazione di genere: le donne non hanno pari diritti rispetto agli uomini, subiscono i matrimoni forzati, non godono dei diritti di eredità, e viene loro negata l’istruzione di base. Spesso subiscono abusi, stupri ma le leggi non le tutelano e spesso gli aguzzini restano impuniti. Le donne, per tradizioni socioculturali non hanno alcun potere decisionale all’interno della famiglia, della comunità e vivono situazione di totale subalternità agli uomini. Sono discriminate anche le persone con disabilità, i malati di Aids, le persone omosessuali. Per questo il forum della società civile chiede al governo un provvedimento legislativo che, applicando il principio di uguaglianza, impedisca qualsiasi trattamento differenziato per motivi di etnia, casta, religione, genere sessuale o luogo di nascita. (R.P.)

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    Germania: a Treviri l'Assemblea plenaria di primavera dei vescovi

    ◊   Si è aperta ieri a Treviri, in Germania, l’assemblea plenaria di primavera della Conferenza episcopale tedesca (Dbk). Al centro dei lavori, presieduti dall’arcivescovo di Friburgo, mons. Robert Zollitsch, è la giornata di studio dedicata al tema “la cooperazione tra uomini e donne nella vita e nel servizio della Chiesa”. “Un elemento delle giornate di studio è la questione della donna nelle posizioni di responsabilità”, spiega il comunicato stampa diffuso all’apertura dei lavori: “Si tratta in articolare della posizione della donna rispetto alle strategie di sviluppo del personale come referenti di comunità e referenti pastorali”. Al card. Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell‘unità dei cristiani, è stata affidata la relazione introduttiva sul tema del punto di vista cristologico, ecclesiologico e antropologico. I 66 vescovi tedeschi discuteranno inoltre della revisione della traduzione dell’antico testamento e del Messale Romano; della preparazione al congresso eucaristico e dei rapporti ebraico-cristiani in Germania; del rapporto del governo tedesco su povertà e ricchezza e il lavoro della Caritas. Partecipano alla prima giornata dei lavori anche tre vescovi provenienti dalla Nigeria, Paraguay e Bangladesh. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 50

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.