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Sommario del 05/02/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: nei Paesi in guerra, le popolazioni siano protagoniste di un avvenire di pace
  • Concerto in onore del Papa e di Napolitano: tra Chiesa e Stato italiano cooperazione per il bene comune
  • Il Papa e Napolitano. Lo storico Giovagnoli: il loro un "incontro profondo"
  • Alla Gregoriana presentazione degli Atti del Simposio sugli abusi del clero
  • Card. Ravasi: la Chiesa ascolti il battito della mente e del cuore dei giovani
  • Mons. Paglia: all'Onu per ribadire che la famiglia è risorsa della società
  • Vaticano, attesa delegazione del Kazakhstan nel segno del dialogo interreligioso
  • Anno della Fede. Mons. Fisichella presenta la mostra "Il Cammino di Pietro"
  • P. Lombardi: dirigenti Mps mai in possesso di fondi presso lo Ior
  • 20 anni di Catechismo: la fede è un atto comunitario
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: opposizione apre a dialogo con governo. Mons. Audo: serve ogni cosa, siamo allo stremo
  • Prima storica visita del presidente iraniano Ahmadinejad al Cairo
  • Test nucleari: Onu pronto a sanzionare Corea del Nord
  • Sahara occidentale: il centro Robert F. Kennedy presenta rapporto sui diritti umani
  • Germania: sì a diagnosi preimpianto su embrioni. "Scienza e Vita": si va verso deriva eugenetica
  • Trilaterale a Londra. Impegno di Kabul e Islamabad per un piano di pace per l’Afghanistan
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Kek-Ccee. Card. Erdõ: l'Europa dimentica Dio, dai cristiani il coraggio della coerenza
  • Regno Unito: oggi voto in Parlamento sulle nozze gay. Contrarie le Chiese
  • Il card. Ruini: le unioni gay non sono famiglia. I figli hanno bisogno di un padre e una madre
  • Siria. Milizie islamiste nel quartiere siriaco di Aleppo: terrore fra i cristiani
  • Ordine di Malta: in prima linea in Siria nel soccorso alle vittime del conflitto
  • India: la Chiesa frena sulla pena di morte per gli stupratori
  • Mali: i bambini di Timbuctú tornano a scuola
  • Senegal: preoccupazione della Chiesa per il conflitto in Casamance
  • Colombia: scontri e sequestri minacciano il processo di pace
  • Colombia: due sacerdoti assassinati in meno di 24 ore
  • Indonesia: erutta il vulcano Rokatendo, situazione “critica” per 2mila profughi cattolici
  • Bangladesh. Nuova epidemia del Nipah virus: prima vittima a Dacca
  • Spagna: domenica 54.ma Campagna di "Manos Unidas" contro la povertà
  • Cina. Foxconn: sì a elezioni per un sindacato dei lavoratori indipendente
  • “Fratello Narco”: l’arma del perdono per fermare la violenza della guerra dei narcos
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: nei Paesi in guerra, le popolazioni siano protagoniste di un avvenire di pace

    ◊   “Perché le popolazioni che sperimentano guerre e conflitti possano essere protagoniste della costruzione di un avvenire di pace”: è questa l’intenzione di preghiera missionaria del Papa per il mese di febbraio. Benedetto XVI mette, dunque, l’accento sul ruolo che i popoli hanno nel costruire la pace. Un’esperienza vissuta negli anni '90 in Mozambico, come sottolinea il missionario comboniano, padre Graziano Castellari, per 45 anni nel Paese africano. L’intervista è di Alessandro Gisotti:

    R. – Io ho vissuto 8 anni della guerra in Mozambico. Ho sentito sulle mie spalle e sul mio cuore questo problema della guerra che non finiva mai e anche le sofferenze della popolazione. E’ necessario pregare perché, in queste situazioni, solo il buon Dio ci può aiutare! Pregare è una cosa molto buona e molto necessaria.

    D. – Dopo la fine della guerra c’è tanto da fare, ricostruire un po’ tutto… Lei questo lo ha sperimentato. Ancora adesso è così per il Mozambico, vero?

    R. – La guerra è finita, il cammino per la pace è stato vero, reale. Però c’è ancora un’altra guerra, la guerra della miseria, la guerra della povertà, la "guerra" della costruzione di un Paese più giusto e più equo.

    D. – Il Papa sottolinea il ruolo delle popolazioni, mentre a volte si ha l’idea che la pace debba venire dall’alto…

    R. – Certamente. Nella situazione concreta del Mozambico il popolo si muove e lavora, c’è tanta gente che vuole studiare. Anche il fatto di essersi riappacificati, anche questo è un atto eroico, un atto di buona volontà.

    D. – Quale messaggio di speranza può dare l’esperienza del Mozambico, che lei ha vissuto e visto in prima persona, a popolazioni che oggi sperimentano una guerra che sembra senza fine? Il pensiero va immediatamente alla Siria…

    R. - Il messaggio del Mozambico è chiaro: hanno desiderato la pace e l’hanno realizzata. Io mi ricordo la fine della guerra: il giorno che hanno firmato gli accordi di pace di Roma, ho fatto 60 km, con un camioncino pieno di gente, per andare ad annunciare a tutti, per andare a cantare e a dire a tutti: la guerra è finita! Per i popoli che sembra non abbiano speranza, anche per loro c’è una speranza!

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    Concerto in onore del Papa e di Napolitano: tra Chiesa e Stato italiano cooperazione per il bene comune

    ◊   Sette anni di esperienze e riflessioni condivise. Così, Benedetto XVI e il presidente italiano, Giorgio Napolitano, hanno definito la strada percorsa insieme fino ad oggi e suggellata dall'84.mo anniversario della firma dei Patti Lateranensi. L’occasione è il concerto offerto, ieri sera in Aula Paolo VI, dall’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede proprio per questa ricorrenza. Eseguite la sinfonia dalla "Forza del destino" di Giuseppe Verdi e la Sinfonia n. 3 di Beethoven da cui il Papa ha tratto spunto per riflettere sulla prospettiva dell'amore divino offerta all’uomo dalla fede. Sul podio dell’Orchestra del "Maggio Musicale Fiorentino", il maestro Zubin Mehta. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    E’ tangibile l’emozione nell’Aula Paolo VI per un concerto che è molto più che l’avvio delle celebrazioni per l’anniversario della firma dei Patti lateranensi. A precederlo un incontro in cui il Papa - secondo una nota della Sala stampa vaticana - ha manifestato, tra l’altro, al capo dello Stato italiano la ''sua attenzione e partecipazione per gli importanti appuntamenti che attendono prossimamente il popolo italiano”. Un incontro, si legge, particolarmente intenso nel contesto dell'avvicinarsi al compimento del settennio presidenziale, caratterizzato, come è noto, dalla grande stima reciproca. Ed è il presidente Napolitano stesso a ricordarlo prendendo la parola, visibilmente commosso, prima del concerto. Richiamandosi proprio ai Patti lateranensi, in una sorta di pubblico commiato, Giorgio Napolitano, ricorda la lunga strada percorsa verso una "serena e fiduciosa cooperazione tra Stato e Chiesa al servizio del bene comune", ma anche le occasioni di incontro, ascolto e dialogo reciproco sempre “motivo di arricchimento”:

    "Continueremo, Santità, come italiani, in qualunque posizione, a prestare attenzione ai Suoi messaggi, a trarne motivo di riflessione e fiducia".

    E' quella “condivisione di esperienze e riflessioni” a cui accenna, subito dopo il concerto, anche il Papa, che nella sua riflessione poi va al cuore della musica ascoltata. L’omaggio a Giuseppe Verdi è dovuto, nell’anno del bicentenario della sua nascita; un musicista che, ricorda Benedetto XVI, colpisce per la capacità di tratteggiare, con rara incisività, le situazioni della vita, soprattutto i drammi dell’animo umano. Il destino dei suoi personaggi è sempre tragico, ed è così anche nella "Forza del destino":

    "Ma affrontando il tema del destino, Verdi si trova ad affrontare direttamente il tema religioso, a confrontarsi con Dio, con la fede, con la Chiesa; ed emerge ancora una volta l’animo di questo musicista, la sua inquietudine, la sua ricerca religiosa".

    Due storie di conversioni sono in quest’opera e anche un finale volutamente modificato dall’autore per terminare nella prospettiva del perdono e dell’invocazione a Dio:

    "Qui è disegnato il dramma dell’esistenza umana segnata da un tragico destino e dalla nostalgia di Dio, della sua misericordia e del suo amore, che offrono luce, senso e speranza anche nel buio. La fede ci offre questa prospettiva che non è illusoria, ma reale".

    Diverso il riferimento conclusivo a Beethoven, nella cui terza Sinfonia e in particolare nell’episodio centrale della "Marcia funebre", il Papa scorge un’apertura alla riflessione sull’al di là, sull’infinito:“La ricerca di senso che apra ad una speranza solida per il futuro - afferma - fa parte del cammino dell’umanità”.

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    Il Papa e Napolitano. Lo storico Giovagnoli: il loro un "incontro profondo"

    ◊   "Molto mi ha arricchito il dialogo che abbiamo potuto intrattenere: sull’Italia, sull’Europa, sulla pace e sulle radici ideali e morali dell’impegno politico”. E’ uno dei passaggi del saluto che ieri sera il presidente Napolitano ha rivolto a Benedetto XVI. Ma, a volte, i gesti sono ancora più espressivi delle parole: come nel caso di quello compiuto dal Papa, e che tanti oggi commentano sui quotidiani, di posare la mano sulla spalla di Napolitano. Sentiamo, a partire da questo, il commento del prof. Agostino Giovagnoli, storico all’Università Cattolica di Milano, al microfono di Adriana Masotti:

    R. – Certamente, è un gesto che esprime affetto e, direi, anche amicizia del tutto particolare, e questo evidentemente è frutto di una storia, la storia delle loro relazioni in questi anni che è andata intensificandosi sempre più, comportando una sintonia che si trasforma in un gesto molto bello dal punto di vista umano a cui, peraltro, Benedetto XVI non è estraneo: anche in altre occasioni, infatti, ho potuto notare che il Papa ama esprimere il suo affetto anche con questi gesti così intensi.

    D. – Veniamo alle parole che Benedetto XVI e Napolitano si sono scambiati. Il Papa ha detto: in questi sette anni “ci siamo incontrati più volte, abbiamo condiviso esperienze e riflessioni”. Napolitano ha evocato “in sette anni difficili”, il loro reciproco ascoltarsi…

    R. – Certamente, c’è stato un incontro profondo. Io credo che Napolitano abbia trovato in Papa Benedetto XVI un sicuro riferimento su due questioni importanti: la prima, quella dell’unità del Paese, l’altro tema è la preoccupazione per il bene comune degli italiani. Il forte senso etico che esprime Benedetto XVI in tutte le sue prese di posizione certamente ha aiutato l’Italia a trovare la rotta in anni difficili in cui lo stesso presidente Napolitano è stato spesso isolato nel tenere alta, per così dire, la bandiera del Paese a fronte di una classe politica non sempre all’altezza della situazione.

    D. – Napolitano ha confidato anche di essersi molto arricchito dal dialogo con Benedetto XVI. Un ex dirigente comunista, un teologo divenuto Papa: qualcuno potrebbe meravigliarsi di un’intesa tra due persone così diverse…

    R. – Due storie molto diverse, certamente. Ma proprio questo credo spieghi l’intensità del loro incontro. Napolitano ex-comunista e in quanto ex-comunista in qualche modo privo di riferimenti tradizionali a cui richiamarsi, alla ricerca – invece – di altre autorevoli figure con cui confrontarsi. Certamente, Benedetto XVI è stato una di queste figure. Non è dunque strano che un laico come Napolitano abbia trovato in Benedetto XVI un confronto utile e anche, direi, un magistero che ha sostenuto lo sforzo del presidente della Repubblica negli ultimi anni.

    D. – Il presidente Napolitano ha concluso il suo intervento assicurando anche in futuro attenzione ai messaggi del Papa, e ha sottolineato: attenzione “come italiani”. Pensavo alle accuse che a volte alcuni muovono all’Italia di essere quasi "ostaggio" del Vaticano: mi sembrava allora particolare questa affermazione di Napolitano…

    R. – E’ un’accusa antica, viene in qualche modo da Machiavelli che la Santa Sede sia un impedimento per l’Italia. Le cose, in realtà, complessivamente non stanno così. Certo, l’Italia deve tener conto delle esigenze della presenza della Chiesa cattolica al suo interno – che peraltro non è detto siano negative per il Paese. Ma al di là di questo, c’è una solidità che la presenza della Santa Sede nel territorio italiano garantisce all’Italia. Questo è tanto più interessante perché viene garantita da un Papa straniero, anzi, da due Papi stranieri, nel senso di "non italiani", i quali però si sono rivelati attentissimi alla situazione italiana e generosi nel sostenere le esigenze italiane. Quindi, mi pare che la visione storica di lungo periodo sottolinei quell’"italianità" del Papato – come hanno notato varie volte gli storici – la quale non è interferenza ma, al contrario, sulle questioni italiane più cruciali è alla fine, ripeto, una risorsa di cui l’Italia, complessivamente, beneficia non poco.

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    Alla Gregoriana presentazione degli Atti del Simposio sugli abusi del clero

    ◊   A un anno di distanza dal Simposio internazionale sugli abusi su minori commessi da esponenti del clero, tenutosi alla Pontificia Università Gregoriana, la Chiesa mantiene l’impegno di proseguire il cammino, tracciato dal Papa, “verso la guarigione e il rinnovamento”. Oggi, nuovo incontro presso l’ateneo romano per presentare gli Atti del Simposio ed esporre le prime attività del Centro per la Protezione dei Minori varato lo scorso anno. Tra i partecipanti il reverendo Robert W. Oliver, dal dicembre scorso nuovo promotore di Giustizia presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. Fabio Colagrande ha chiesto al gesuita padre Hans Zollner, preside dell’Istituto di Psicologia dell’Università Gregoriana, di presentare l’incontro odierno:

    R. – I frutti del Simposio sono certamente una maggiore consapevolezza da parte dei vescovi rappresentanti delle varie Conferenze episcopali del mondo che nel febbraio scorso erano qui a Roma, proprio anche da Paesi e continenti in cui la questione dell’abuso dei minori non è stato il primo focus dell’attenzione, né nella società né nella Chiesa. Hanno compreso certamente l’importanza di dover fare qualcosa, soprattutto nell'ascoltare le vittime di abuso e poi per rendere loro giustizia e certamente per impegnarsi nel lavoro di prevenzione. Adesso, con la presentazione di questi Atti del Simposio a un anno di distanza – di cui abbiamo preparato 12 edizioni in 12 lingue – possiamo dire che questo vuole essere un punto di riferimento non solo per i vescovi, ma anche per le Chiese locali che devono continuare su questo cammino.

    D. – “Non una conferenza fine a se stessa”: così avevate definito il Simposio di un anno fa. Infatti, continua il lavoro avviato da quell’incontro, soprattutto continuano le attività del Centro per la protezione dei minori che voi della Gregoriana, assieme all’Ospedale universitario di Ulm e all’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, avete avviato. Come funziona questo Centro per la protezione dei minori, quali sono state le sue prime attività?

    R. – Un anno fa, in seguito al Simposio, abbiamo fondato questo Centro per la protezione dei minori ed è, come dice il nome, un tentativo di protezione, cioè di prevenzione dagli abusi sui minori, in tutte le parti del mondo. Però, in questa fase sperimentale del programma, ci limitiamo alla collaborazione con otto cosiddetti "project patners", cioè arcidiocesi o diocesi o Congregazioni religiose nel mondo, con cui cerchiamo di sapere in che modo funziona un programma ideato in Europa in altre parti del mondo. Un programma di apprendimento a distanza – e-learning – cioè la possibilità di seguire un corso di 30 ore, o davanti allo schermo del computer o anche aiutati da insegnanti in un corso di lezioni, di seminari, di workshop, in cui si impara – ad esempio – a prestare attenzione a segni di un possibile abuso che un bambino possa avere subito. O si impara come comportarsi nei confronti del bambino, nei confronti degli adulti, nei confronti della legge, cioè delle autorità competenti sia all’interno della Chiesa, sia delle autorità civili.

    D. – Recentemente, i mezzi di informazione hanno dato notizia delle iniziative dell’arcivescovo di Los Angeles e molti hanno commentato che è un segno chiaro della linea di rigore, di trasparenza che la Chiesa nel mondo sta assumendo rispetto a questi casi di abusi sessuali. E’ un commento che lei condivide?

    R. – Certamente. Si deve però anche stare attenti, perché la situazione negli Stati Uniti è molto grave e pure molto complessa, a causa di tante particolarità giuridiche: sarebbe lo stesso più o meno in tutto il mondo occidentale, europeo e nordamericano. In molte parti del mondo, il tema e tutta la legislazione non sono ancora così sviluppati, la gente non è ancora molto sensibilizzata alla necessità di combattere questo fenomeno. Per cui, dobbiamo lavorare per la società e per la Chiesa. I primi dati forniti dai nostri collaboratori, che hanno visitato i diversi Paesi con cui lavoriamo – come ad esempio Argentina, Ecuador, Ghana o Kenya, o India o Indonesia – ci hanno fatto riscontrare grande interesse ma anche grande richiesta per un sostegno allo sviluppo di programmi di prevenzione. Soprattutto, per sensibilizzare società che – come maggiormente si rileva in Asia – non sono cristiane, a fare qualcosa circa un tema considerato un assoluto tabù, una cosa di cui non si parla né in famiglia – dove, come sappiamo, si consuma la stragrande maggioranza degli abusi – né nella società, nelle scuole, eccetera. Per cui, dobbiamo veramente continuare con grande perseveranza.

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    Card. Ravasi: la Chiesa ascolti il battito della mente e del cuore dei giovani

    ◊   In Vaticano, è la vigilia della plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, dedicata quest’anno alle “Culture giovanili emergenti”. Il presidente del dicastero, il cardinale Gianfranco Ravasi, ha posto una particolare cura nell’organizzazione di un avvenimento che intende stimolare la Chiesa a un nuovo e più attento ascolto dei giovani di oggi, dei loro linguaggi digitali e della cultura che da essi scaturisce. Il porporato approfondisce i temi della plenaria nell'intervista di Fabio Colagrande:

    R. – Ho posto, io, delle domande ai giovani. Le ho messe in Rete, queste domande. Ho ricevuto una valanga di risposte, di reazioni. I nostri interlocutori non sono soltanto i mediatori della comunicazione – cioè i giornalisti – ma sono loro, i giovani. E loro non sono più lettori di quotidiani, non sono neppure grandi fruitori di televisione: sono soprattutto giovani fruitori del linguaggio virtuale. E devo dire che questo dialogo che è stato costruito ha – secondo me – un grande rilievo, soprattutto per noi, pastori. Perché ci fa capire che tante volte l’importanza che noi diamo ad alcuni temi non è parallela e condivisa da loro. Quindi, dobbiamo in qualche modo ascoltare di più la loro interrogazione.

    D. – C’è anche una responsabilità da parte del mondo adulto, rispetto a questa frattura comunicativa che si è creata con i giovani, e parlo anche dell’ambiente ecclesiale…

    R. – Sicuramente. Io devo però subito dire e riconoscere che la cultura giovanile, il fenomeno direi anche sociale giovanile, non è di facile decifrazione. Perché ha al suo interno tutta una serie di contraddizioni. Sono, ad esempio, da un lato fortemente individualisti però dall’altra parte seguono la massa, le mode di massa. Sono da un lato fortemente – all'apparentenza – desiderosi di non avere vincoli di alcun genere – ad esempio dal punto di vista etico – e poi hanno un senso fortissimo dell’amicizia, della violazione del rapporto. Da un lato sono pronti, ad esempio, a celebrare la libertà assoluta e dall’altra parte seguono molti stereotipi, già dall’abbigliamento stesso. Sono un fenomeno molto complesso. E hanno dei linguaggi completamente nuovi: io ne voglio ricordare uno, a cui vorrei dare particolare rilievo, che è quello della musica. La loro musica che è diventato il maggior consumo in assoluto di forma culturale musicale. Proprio per tutte queste ragioni, io penso che sia indispensabile che noi adulti, noi generazioni precedenti, noi pastori anche, dobbiamo fare la fatica non di metterli sotto una sorta di microscopio, ma di entrare al loro livello e incominciare a sentire, un po’, com’è il battito della loro mente e del loro cuore.

    D. – Quindi, più ascolto dei giovani ma anche più responsabilità ai giovani, anche nel mondo ecclesiale?

    R. – E' questa, forse, anche una delle questioni che bisogna aprire, perché da un lato noi abbiamo il compito di educarli, anche di guidarli, dall’altra parte però, proprio perché la comunità ecclesiale non è fatta solo della gerarchia – non è fatta solo degli anziani, come purtroppo accade spesso all’interno delle nostre chiese, non è fatta soltanto di un pubblico femminile di una certa età – abbiamo bisogno di richiamare questa presenza perché la Chiesa sia completa.

    D. – Quindi, potremmo dire: obiettivo della plenaria è favorire un nuovo incontro tra i giovani e la Persona di Cristo, trovare nuovi linguaggi per annunciare la fede – se ne è parlato anche al recente Sinodo…

    R. – Il lavoro che noi stiamo facendo, che è un lavoro evidentemente prima di tutto di analisi, è soprattutto per proporre due percorsi. Il primo è quello dell’umanità: dare ai ragazzi ancora la consapevolezza che esistono dei grandi valori, e questi valori sono valori etici, culturali, spirituali in senso lato. E in secondo luogo, far capire loro il rilievo estremo che può avere proprio il cristianesimo. Quelli che in gualche modo reagiscono con me in chiave religiosa su un tema religioso, non su un tema etico-sociale generale, interloquiscono soprattutto parlando del fatto che noi preti non siamo più in grado di presentare loro così bene la figura di Cristo.

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    Mons. Paglia: all'Onu per ribadire che la famiglia è risorsa della società

    ◊   Famiglia, risorsa della società. E’ questa la constatazione ed anche la proposta che verrà rilanciata alle Nazioni Unite dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, la prossima settimana. Ne ha parlato ieri il presidente del dicastero vaticano, l’arcivescovo mons. Vincenzo Paglia, presentando una serie di iniziative, durante quest’anno, volte a sensibilizzare l’opinione pubblica, frastornata da un dibattito su questo tema che rischia di far perdere di vista alcuni elementi di fatto. La scelta di sposarsi e di costruire una vita familiare sono ancora oggi una forza vitale che sostiene le altre realtà che compongono le nostre società: dalla procreazione dei figli all’educazione, dal lavoro alla cura dei più deboli, all’accoglienza dell’altro. In questo senso la famiglia non è antagonista di alcuno, nè di altri interessi della società, come mons. Paglia ha notato rispondendo ai giornalisti sulla possibilità che lo Stato riconosca dei diritti ad altri tipi di convivenze non familiari. La grande varietà di culture, situazioni e tradizioni mostrano come la famiglia abbia un suo radicamento nell’umanità che non è frutto delle leggi. In altre parole, la famiglia c’è, non è scomparsa, come sottolinea l’arcivescovo Paglia, in questo colloquio con il collega Pietro Cocco:

    R. - In effetti, noi ci troviamo di fronte a una sorta di “nuova Babele”, dove tutto è famiglia e nulla è famiglia, quindi. C’è anche chi, come è accaduto in Francia, pensa che attraverso un disegno di legge - cito quasi letteralmente - si voglia riscrivere la civiltà. La famiglia c’è: ha tanti problemi, ci sono tante situazioni drammatiche, ci sono insufficienze in tante parti, ma - come è accaduto a Milano, nell’Incontro Mondiale delle Famiglie - abbiamo potuto costatare con mano la realtà solida della famiglia, che in qualche modo sta trovando all’interno della sua storia le forze per resistere.

    D. – Si ha l’impressione, qualche volta, che ci sia proprio una divaricazione, come se avessero preso strade diverse: le esigenze che ancora le persone, le coppie sperimentano - di solidarietà, di incontro, di superamento della solitudine, di un aiuto reciproco - e quello che, invece, la cultura pensa e propone come modello per rispondere a questi problemi…

    R. – Questo nasce non per caso, ma da una cultura che ormai privilegia l’"io" rispetto al "noi": l’individuo alla società, i diritti dell’individuo rispetto ai diritti della famiglia. Se noi dovessimo paragonare questi due soggetti, l’individuo oggi può affermare – anzi, continua ad affermare senza ritegno – di avere il diritto ad avere ogni diritto, qualunque esso sia. I diritti della famiglia sono pochi e spesso disattesi.

    D. – Non si tratta quindi semplicemente di difendere una tradizione: sappiamo anche che il modello familiare ha conosciuto tante e profonde trasformazioni. Piuttosto, si tratta di andare un po’ alla radice dell’umanità, dei fondamenti dell’umanità...

    R. – Sono totalmente d’accordo. Lode, in questo senso, anche all’episcopato francese che ha saputo difendere una realtà - quella del matrimonio e della famiglia - come una realtà di tutti. In effetti, lungo la storia cristiana il matrimonio si è arricchito di incredibili dimensioni straordinarie: l’uguale dignità tra l’uomo e la donna, il rispetto per i figli, anche per i figli che sono nati fuori dal matrimonio, o altri ancora. Ecco, allora, l’intelligenza – soprattutto oggi, in un mondo globalizzato – di coinvolgere, ad esempio su questo tema del matrimonio e della famiglia, tutti i cristiani: in Francia c’è stato lo straordinario esempio del rabbino Bernheim, come anche di alcune rappresentanze islamiche, ma anche degli umanisti laici.

    D. – Voi porterete queste istanze alle Nazioni Unite…

    R. – Il 14 febbraio andremo alle Nazioni Unite, alla “piazza del mondo”, per riproporre la Carta dei diritti della famiglia, scritta dal Pontificio Consiglio esattamente 30 anni fa, per essere voce dei diritti di questo immenso patrimonio dell’umanità che è appunto la famiglia. Vorremmo dire a tutti che la famiglia deve tornare ad essere al centro della cultura, al centro della politica, al centro dell’economia e anche al centro della Chiesa, perché il rischio di un individualismo religioso si annida anche all’interno delle nostre file. Ecco perché vorrei che il pellegrinaggio del 26 e 27 ottobre – quando mi auguro che migliaia di famiglie vengano a Roma, per incontrarsi con il Papa sulla tomba di San Pietro – fosse un pellegrinaggio dove tutte le famiglie mostrino al mondo la bellezza di essere famiglie cristiane e dire a tutti che non solo è possibile, ma è anche bello.

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    Vaticano, attesa delegazione del Kazakhstan nel segno del dialogo interreligioso

    ◊   Giungerà domani in Vaticano una delegazione del Kazakhstan, in occasione del 10.mo anniversario del primo Congresso interreligioso di Astana, promosso dal presidente kazako, Nazarbayev, nel 2003. In mattinata, la delegazione incontrerà il Papa nel corso dell’udienza generale. Ancora impresso nella memoria della popolazione del Kazakhstan è il viaggio che Giovanni Paolo II compì nel Paese nel settembre 2001. Una visita nel segno del dialogo e della pace, a pochi giorni dagli attentati negli Usa dell’11 settembre. Sfogliando le pagine della storia recente del Paese, emerge l’udienza che Benedetto XVI ha concesso al presidente Nazarbayev il 6 novembre 2009. Nel Kazakhstan, Paese a maggioranza musulmana, i cristiani non raggiungono attualmente il 2% della popolazione. Sulla situazione della libertà religiosa nello Stato asiatico, Olivier Tosseri, ha intervistato mons. Khaled Akasheh, membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso:

    R. – Sul tema della libertà religiosa, c’è qualcosa di positivo come, per esempio, la concessione dei terreni per la costruzione di chiese, la costruzione effettiva di luoghi di culto per le varie comunità religiose, la concessione, non senza difficoltà, di visti per il personale religioso, il libero movimento all’interno del Paese per i sacerdoti e i vescovi. Sappiamo invece che in altri Paesi questo movimento è limitato. Tra i problemi, c’è quello dell’equiparazione tra nazionalità e religione. Si pensa, quindi, che tutti i polacchi siano cattolici, tutti i tedeschi siano protestanti, tutti i kazaki musulmani… Questo non corrisponde alla verità e non corrisponde, naturalmente, alla libertà religiosa, intesa anche come libertà, possibilità di cambiare religione.

    D. – A proposito del dialogo interreligioso, cosa ci può dire?

    R. – Il Kazakhstan è l’unico Paese in Asia centrale, che promuove un’iniziativa di queste dimensioni (come il Congresso interreligioso - ndr.), arrivata ormai alla quarta edizione, con la partecipazione della delegazione di numerosi Paesi e centinaia di persone. Questa piattaforma d’incontro tra leader religiosi, in una zona importante, in una zona non facile dal punto di vista religioso e di sicurezza, è un punto a loro favore. Abbiamo sempre spinto, se posso dire, verso la distinzione tra il dialogo e la politica dicendo che, come in altri casi, la politica deve sostenere il dialogo, assicurare lo svolgimento sereno delle iniziative, senza però essere parte o partecipare al contenuto del dialogo. Posso dire che il messaggio è stato accolto, almeno parzialmente.

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    Anno della Fede. Mons. Fisichella presenta la mostra "Il Cammino di Pietro"

    ◊   Sottolineare il carattere culturale della fede e la promozione che essa ha portato nei differenti ambiti della cultura. E’ il filo conduttore di diversi eventi pensati a livello internazionale per celebrare l’Anno delle Fede, indetto dal Papa nell’ottobre 2012. A dare il via alle manifestazioni sarà la Mostra d’arte dal titolo “Il Cammino di Pietro” aperta da giovedì prossimo e fino al primo maggio, presso il Museo nazionale di Castel Sant’Angelo a Roma. Oggi la presentazione, in Sala Stampa vaticana, affidata al presidente Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione mons. Rino Fisichella e al curatore della mostra don Alessio Geretti. L’ha seguita per noi Gabriella Ceraso:

    Una mostra dedicata al cammino di fede che non conobbe sosta, quello dell'Apostolo Pietro, dal giorno in cui Gesù entrò nella sua vita chiamandolo a seguirlo per farne un “pescatore di uomini”, fino al momento in cui morì testimoniando di "aver visto Gesù crocifisso, vivo e risorto". “Un cammino per crescere nella fede”, ma anche una “provocazione a percepire l’esigenza di credere come risposta alla domanda di senso che la vita pone”. Questo il cuore della mostra "Il Cammino di Pietro" secondo mons. Rino Fisichella che ne spiega l'origine riflettendo sul presente:

    “La fede non è un impegno solo dei credenti. Essa esprime l’esigenza dell’uomo di saper guardare dentro se stesso per cogliere quel desiderio di Dio che è impresso nel cuore di ogni persona”.

    Nel contesto culturale odierno, sottolinea mons. Fisichella, stanchezza e indifferenza coinvolgono anche la fede e un’eccessiva fiducia nel progresso scientifico tende a relegarla a fatto privato. Eppure il desiderio di bellezza sia naturale che artistica cresce in milioni di persone: per fortuna, oggi, continua il presule, si ricerca ancora qualcosa di più importante e di più profondo, perché l’animo è mosso dal desiderio di conoscere e di ammirare:

    “E’ proprio per sostenere questo desiderio e per dare voce alla nostalgia di Dio, che è spesso latente in tante persone, che abbiamo pensato di organizzare questa mostra come un percorso nei secoli per entrare nella conoscenza di uno dei personaggi che da sempre ha provocato la mente degli artisti per tentare di capire il mistero che portava con sé e darne voce”.

    Attraverso un attento gioco di luci e suoni intorno a 40 capolavori provenienti da nove Paesi europei, dal IV al XX secolo, ai visitatori sarà proposto, spiega mons. Fisichella, di contemplare e interiorizzare la vicenda di fede di una “icona dell’umanità”: in Pietro che cerca e trova, tradisce e tuttavia sa chiedere perdono, lascia tutto per annunciare il mistero della Risurrezione di Cristo, tutti possono riconoscersi. E’ quanto ribadisce anche il curatore della mostra don Alessio Geretti:

    “Nonostante nella mostra non manchino gli inediti, non manchino i confronti tra botteghe e scuole, le occasioni di sorpresa, il primo criterio della Mostra, però, è quello narrativo cioé quello di introdurci nel racconto della fede, attraverso la vicenda di un uomo, nel quale si può identificare il credente, per certi aspetti il non credente e, per altri aspetti, il diversamente credente, se così si può chiamare”.

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    P. Lombardi: dirigenti Mps mai in possesso di fondi presso lo Ior

    ◊   Il Vaticano ''esclude'' che ''dirigenti del Montepaschi abbiano avuto possesso di fondi presso lo Ior”. Ad affermarlo è il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, che smentisce le notizie in tal senso, dopo aver già smentito ieri che presso lo Ior avessero avuto luogo riunioni sulla questione Antonveneta-Mps. Padre Lombardi fa notare inoltre che “i conti presso lo Ior hanno specifiche molto diverse da quelle dei presunti conti citati nell’articolo del Corriere della sera”.

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    20 anni di Catechismo: la fede è un atto comunitario

    ◊   Non si crede da soli. La fede, nella Chiesa, è un dono personale di Dio e insieme un'esperienza spirituale collettiva. Su questo aspetto si concentra la 13.ma puntata del ciclo dedicato dal gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, al Catechismo della Chiesa cattolica, a 20 anni dalla sua pubblicazione:

    La fede come la libera risposta dell’uomo a Dio è un atto personale. Perciò, nessuno può essere costretto a credere. Si! Nella storia non mancano gli esempi della religione imposta agli individui e ai popoli. Però, la religione imposta non significa fede. D’altro lato bisogna notare che la fede cristiana non è un atto soggettivo e isolato. Nel Catechismo leggiamo: “Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso” (CCC 166). Riceviamo infatti la fede da altri e ad altri la trasmettiamo.

    La maggior parte dei cristiani ha ricevuto il battesimo qualche settimana o qualche mese dopo la nascita. Poi, la comunità della Chiesa, a partire dai genitori, si è occupata della nostra educazione religiosa. Perciò, quando qualcuno dice “io credo” questo vuol dire anche “noi crediamo”. Oggi possiamo trovare gli slogan: “Cristo – sì, la Chiesa – no”, cioè “Credo in Gesù Cristo, ma l’insegnamento della Chiesa non m’interessa più di tanto”. Quel modo di pensare però è poco ragionevole. Solo grazie alla comunità dei primi cristiani, cioè grazie alla Chiesa del I secolo, conosciamo Gesù di Nazareth e possiamo prendere in mano il Nuovo Testamento. Se rigettiamo la Chiesa che da venti secoli racconta la storia di Gesù, come possiamo pretendere di poter credere in quel Gesù?

    Il Catechismo ci ricorda che secondo il “Rituale Romano” il ministro del battesimo domanda al catecumeno: “Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?”. La risposta è: “La fede”. La fede che dona la vita eterna. Perciò, anche se la salvezza viene solo da Dio, noi professiamo la Chiesa come Madre della nostra nuova nascita (cf. CCC 169). Da questa Madre riceviamo tante cose: la Parola, i sacramenti, le usanze tradizionali, molti amici, e alla fine, la vita eterna.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La forza del cristiano: l’incontro tra Benedetto XVI e il presidente Napolitano nel concerto per l’ottantaquattresimo anniversario dei Patti lateranensi.

    Nell’informazione internazionale, in primo piano la crisi in Siria: dilagano i combattimenti, mentre l’opposizione apre al dialogo con il Governo.

    Poesia e razionalità: in cultura, Maria Mari su Santiago Calatrava e l’architettura, in occasione di una conferenza ai Musei Vaticani.

    Perduti nell'abisso dell’ideologia: Eugenio Capozzi sul dopo Sessantotto francese nel film «Après mai».

    La lezione dello Zohar: il rabbino della comunità ebraica di Torino, Alberto Moshe Somekh, sulla dignità, la stabilità e la sacralità della famiglia.

    Senso e significato di una novità: Velasio de Paolis sul Codice di diritto canonico e il Concilio Vaticano II.

    Il no dell’arcivescovo Welby ai matrimoni omosessuali: dichiarazioni del primate anglicano in vista del voto in Gran Bretagna.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: opposizione apre a dialogo con governo. Mons. Audo: serve ogni cosa, siamo allo stremo

    ◊   Il capo dell’opposizione siriana al Khatib ha aperto al dialogo, ma non con Assad. L’attenzione del leader in esilio è tutta rivolta al vice-presidente Faruq al Sharaa. Intanto le truppe governative hanno dichiarato di aver ripreso il controllo della cittadina chiave di Daraya, nei pressi di Damasco. Fra le località più colpite dal conflitto anche Aleppo. Sulla situazione nella città siriana sentiamo, al microfono di Manuella Affejee, il vescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo:

    R. – Abbiamo perduto la sicurezza e quando si perde la sicurezza si perde tutto. Tutti siamo divenuti poveri: senza lavoro, senza elettricità, senza riscaldamento … la situazione è veramente molto dura per la gente. Speriamo di trovare una soluzione a queste prove.

    D. – Come presidente della Caritas, cosa fa per aiutare la gente?

    R. – Ci sono tanti programmi che riguardano tutta la Siria. La Siria è divisa in sei regioni: Damasco, Aleppo, Homs, Horan, Jazeree e Latakia e Tartus. La prima cosa, adesso, la priorità è il cibo: è molto importante dare da mangiare, perché tutto è caro. La seconda cosa è la salute: medicinali e interventi chirurgici. La terza cosa, ora che è inverno: servono abiti per bambini, la scuola … Ecco, ci sono tanti programmi che operano su tutto il territorio della Siria.

    D. – Un suo pensiero sull’elezione di mons. Sako a Patriarca dei Caldei …

    R. – E’ un patriarca che è un vero iracheno, un vero caldeo, che ha vissuto per dieci anni a Kirkuk facendo un buon lavoro sia nella Chiesa sia nella società: ha creato canali di comunicazione tra arabi e curdi e turchi, e questa è l’immagine dell’Iraq. Penso che come Patriarca, a Baghdad, potrà fare ancora di più!

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    Prima storica visita del presidente iraniano Ahmadinejad al Cairo

    ◊   Il presidente iraniano Ahmadinejad è arrivato al Cairo per la prima visita di un capo di Stato di Teheran dalla rottura delle relazioni diplomatiche fra i due Stati nel 1979. Ad accoglierlo all'aeroporto del Cairo il presidente egiziano Mohamed Morsi. "Una visita che – già nelle intenzioni di Ahmadinejad – influenzerà i rapporti bilaterali tra le due diplomazie''. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Francesca Paci, inviata del quotidiano "La Stampa":

    R. – E’ una visita molto importante. Però, credo che più che rafforzare i rapporti tra i due Paesi, che difficilmente diventeranno fortissimi alleati - principalmente perché l’Arabia Saudita non sarebbe molto contenta del fatto che l’alleato sunnita egiziano vada a braccetto troppo calorosamente con l’Iran sciita -, sia un incontro importante per i due protagonisti, il presidente Ahmadinejad e il presidente Morsi, entrambi in grandi difficoltà, sia in casa che sul piano internazionale. Ahmadinejad va a raccogliere al Cairo la dimostrazione che può non essere isolato. Ahmadinejad ha problemi non soltanto come presidente iraniano su scala internazionale ma anche all’interno, perché non va più molto d’accordo con la Guardia Rivoluzionaria. Per quanto riguarda il presidente Morsi, l’opposizione interna, che ormai è in piazza da circa due mesi, affronta parecchie difficoltà. Le violenze stanno prendendo un po’ la mano. Poi c'è anche l’economia: da una parte, il prestito del Fondo monetario internazionale di cui il Paese ha bisogno, la difficoltà di "ammiccare" alla pancia religiosa e conservatrice del Paese, dall’altra l'assicurarsi una credibilità sullo scenario internazionale...

    D. - Egitto e Iran hanno due posizioni divergenti sulla Siria. Come sarà possibile mettere insieme la politica di appoggio ad Assad da parte di Ahmadinejad e quella filo-resistenza di Morsi?

    R. – Secondo me, proprio la necessità reciproca che hanno l’uno dell’altro, cioè di accreditarsi come leader di due Paesi estremamente importanti nella regione, può far chiudere un occhio a entrambi. Già quest’estate, quando Morsi è andato a Teheran e fece il famoso discorso molto filo-resistenza anti-Assad, l’Iran fu assolutamente spiazzato in un primo momento. Però, dopo ha chiuso un occhio su questa cosa. Ahmadinejad ha preferito dire: "Va bene, la posizione di Morsi è filo-ribelli, mi interessa meno rispetto al fatto di poter avere un partner in questo momento". La stessa cosa vale per quanto riguarda Morsi che, pur essendo fortemente a favore dei ribelli, ha sempre tenuto una distanza dalle ipotesi di intervento esterno per sostenere l’opposizione siriana.

    D. – Altro argomento assolutamente delicato è ovviamente il rapporto con Israele. Sappiamo che il Cairo e Teheran non hanno più rapporti diplomatici proprio da quando l’allora presidente Sadat, siamo nel ’79, firmò un accordo di pace con lo Stato ebraico. Da questo punto di vista ci sarà un accordo?

    R. – Qui le agende divergono e parecchio, nel senso che per l’Iran l’arcinemico sionista, è quasi una ragione d’esistere mentre Morsi, nonostante siano venute fuori le sue affermazioni contro Israele, il diritto di esistere, ecc..., di solo pochi mesi prima che venisse eletto, si sta muovendo o sta cercando di muoversi in maniera molto pragmatica. Quindi, da una parte, ha bisogno dell’Iran perché questo fa vedere al Medio Oriente che l’Egitto è potente; dall’altra parte, ha bisogno dell’Arabia Saudita, che pure essendo sunnita, è quella che insieme al Qatar gli garantisce parecchi investimenti. Poi, ha bisogno degli Stati Uniti che quattro giorni fa gli hanno consegnato quattro jet F16 come promesso. Ha bisogno anche di Israele, non tanto per il trattato di pace e per i palestinesi, quanto per la garanzia del Sinai che è completamente fuori controllo e su cui Israele e Egitto stanno collaborando e parecchio.

    D. – Al Cairo è presente anche il presidente turco Gull che firmerà importanti contratti. Quanto possono aiutare l’economia egiziana tutti questi rapporti di Morsi con gli altri capi di Stato?

    R. – I rapporti con il mondo sono importantissimi. Quando dicevo prima che Morsi sta cercando di muoversi in maniera pragmatica, volevo dire che cerca di tenere una staffa con l’Iran che potrebbe garantirgli una fornitura di gas e petrolio che servirebbe a Morsi e servirebbe a Teheran per aggirare l’embargo internazionale. Ma nel frattempo Morsi è andato in Cina, quindi ha agganciato importanti rapporti commerciali con la Cina; è andato in Germania dalla Merkel dopo essere stato in Italia, quindi sta lavorando sul fronte europeo; con l’America lo sta facendo dall’inizio. Sta cercando di muoversi in maniera pragmatica proprio perché il vero tallone di Achille dei Fratelli musulmani - che hanno preso il potere dopo la loro intera esistenza passata all’opposizione e in clandestinità - è proprio l’economia. Tanto è vero che, proprio in questo momento, anche l’opposizione egiziana è estremamente immatura perché se invece di stare continuamente in piazza, lasciasse governare i Fratelli musulmani, li vedrebbe cadere sul problema più serio dell’economia: il 60 per cento della popolazione ha meno di 30 anni, i tassi di disoccupazione sfiorano il 40 per cento, il turismo, che è una delle cinque voci più importanti del Paese, è calato del 70 per cento… e, soprattutto, con un Paese in sommossa, c'è l’incubo del prestito di 4,8 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale, che verrà solo a condizioni di tagli pesantissimi, tagli che si può permettere solo un presidente che ha un grande consenso e non un presidente che da due mesi ha le piazze piene.

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    Test nucleari: Onu pronto a sanzionare Corea del Nord

    ◊   Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è pronto a sanzionare con misure definite ‘forti’ l’annunciato nuovo test nucleare della Corea del Nord. A dichiararlo è stato ieri l’ambasciatore sudcoreano alle Nazioni Unite il quale ha aggiunto che i 15 membri del Consiglio sapranno reagire in modo unito a quella che ha definito un’evidente provocazione da parte di Pyongyang. Il test potrebbe avvenire il 16 febbraio, a poco più di un mese dalle aperture al dialogo del nuovo leader nordcoreano Kim Jong-Un. Per una lettura del perdurare di queste tensioni, Marco Guerra ha intervistato Rosella Ideo, esperta di politica dell’Asia orientale:

    R. – Dopo le sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è chiaro che il nuovo leader si stia comportando come si è sempre comportato il padre, cioè minaccia i test nucleari. Ricordo che ce ne sono già stati due. Quello che adesso bisogna vedere è appunto cosa farà la Cina. C’è la nuova Cina, infatti, della "quinta generazione", e quindi bisogna vedere come reagirà Xi Jinping che, tra l’altro, ha una grossa esperienza di Corea.

    D. – Ma il giovane generale Kim Jong-un aveva anche annunciato la volontà di porre fine alle tensioni con Seoul…

    R. – In relazione a Seoul, la questione è abbastanza chiara. La signora Park è stata eletta, il 19 dicembre, nuovo presidente della Repubblica sudcoreana. E’ chiaramente una conservatrice e non tollererà provocazioni da parte di Pyongyang. Si ripete ancora una volta questo “up and down” nelle relazioni intercoreane e, quindi, ci ritroviamo con un’amministrazione con cui Pyongyang vuole tenere un atteggiamento di durezza. Pyongyang, anche con il nuovo leader, è sulla linea di quella che è sempre stata la politica nordcoreana: l’idea di fondo, sempre, è quella di fare la pace con gli Stati Uniti, bypassando Seoul. Questa è la strategia di fondo della Corea del Nord, che si ripete dal fondatore di questa dinastia socialista.

    D. – Quale quadro può prendere forma nei prossimi mesi?

    R. – L’interesse nazionale della Cina è chiaro: la Cina non vuole che il regime di Pyongyang imploda, quindi ha una politica assolutamente diversa da quella degli Stati Uniti, perché gli interessi nazionali dei due Paesi sono chiaramente molto diversi. La Cina stigmatizza Pyongyang quando eccede, però non credo che la "mollerà" mai. La questione è complicata dal fatto che gli Stati Uniti si valgono di questo problema nord coreano per controllare la Cina stessa, e la Cina questo lo sa, lo sa benissimo. Quindi, è proprio questo il fatto: che i cinesi non vogliono assolutamente la destabilizzazione del regime nord coreano. E’ tutta una questione – come ripeto – molto complessa, soprattutto perché tutti i protagonisti di questa crisi – e mi riferisco al colloquio a sei, cioè al Giappone, alla Russia e così via - ognuno di questi grandi Paesi ha degli interessi nazionali divergenti, ed è questo che crea queste frizioni, queste ambiguità. La Corea del Nord, dunque, non fa che seguire la vecchia politica del fondatore.

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    Sahara occidentale: il centro Robert F. Kennedy presenta rapporto sui diritti umani

    ◊   Nell’Africa Occidentale, protagonista delle cronache recenti, la situazione del Sahara Occidentale, regione controllata dal Marocco, è stata tra le meno approfondite. Il Centro Robert F. Kennedy per i diritti umani ha effettuato una missione nel territorio, le cui conclusioni sono state presentate, ieri a Roma, alla Camera dei Deputati. Ce ne parla Davide Maggiore:

    Secondo gli esperti del Centro, la situazione dei diritti nell’ex colonia spagnola resta difficile per le popolazioni di etnia saharawi. La delegazione è stata informata di casi di sparizioni, esecuzioni sommarie, detenzioni considerate arbitrarie e maltrattamenti, alcuni dei quali sono stati osservati anche durante la missione. D’altra parte, gli esperti hanno notato che dal punto di vista giuridico la nuova Costituzione marocchina prevede norme per sanzionare gli abusi dei diritti umani. Ecco il commento di Santiago Canton, del Centro Robert F. Kennedy, componente della delegazione:

    R. – The recognition of these rights...
    Il riconoscimento di questi diritti o la creazione della Commissione dei Diritti Umani dovrebbe proseguire, attraverso dei meccanismi che ne permettano l’implementazione e questo è ciò su cui stiamo insistendo. Non c’è bisogno di sottolineare l’importanza della libertà di espressione nell’evidenziare le violazioni. L’invisibilità è il terreno più fertile per le violazioni dei diritti umani. Quindi, la denuncia delle violazioni è estremamente importante e questo non accade per diverse ragioni nel Sahara Occidentale. In relazione a questo, c’è l’impossibilità legale per le Ong a favore dei diritti umani, nel Sahara Occidentale, ma soprattutto per quelle che trattano i problemi dei saharawi, di ottenere il riconoscimento da parte del governo.

    Gli osservatori hanno potuto documentare anche la situazione umanitaria dei campi profughi in territorio algerino, vicino alla città di Tindouf, che ospitano circa 100 mila saharawi. Santiago Canton ne descrive le condizioni:

    R. – Extreme weather, more than...
    Temperature estreme: più di 40 gradi. Hanno vissuto in quella situazione per più di 37 anni, in alcuni casi, in mezzo al deserto, senza nessun progetto di vita. Alcune di queste persone sono molto ben educate: la maggior parte, se non tutte. Hanno imparato varie professioni in diversi Paesi del mondo, sono tornate e non hanno nessuna opportunità di fare qualcosa. Elettricità, condizioni di vita e molte altre cose possono essere accettabili in un campo profughi, possono durare pochi anni, ma non sono accettabili per 37 anni. Ed ecco perché devono essere risolte.

    L’Africa occidentale, oggi, è al centro dell’attenzione internazionale sia per ragioni umanitarie che per il conflitto in Mali. Questa nuova attenzione potrà riflettersi positivamente anche sulle questioni evidenziate dagli autori del rapporto? La risposta di Santiago Canton:

    R. – Hopefully so, but...
    Se tutto va bene sì, ma dipenderà dalla comunità internazionale decidere come trattare la nuova situazione che stanno affrontando alcuni Paesi nel Nord dell’Africa. Starà alla comunità internazionale decidere come procedere sulla questione.

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    Germania: sì a diagnosi preimpianto su embrioni. "Scienza e Vita": si va verso deriva eugenetica

    ◊   La Germania ha dato il via libera, in questi giorni, alla diagnosi preimpianto sugli embrioni nel caso in cui uno dei due genitori abbia una malattia genetica ereditaria o se il rischio di aborto spontaneo è molto alto. Lo ha deciso un voto della camera alta, il Bundesrat, dopo l'analoga decisione di quella bassa, nel luglio del 2011. Secondo la legge, ogni caso deve essere esaminato da una commissione medica e i genitori devono ricevere assistenza psicologica prima del test. La questione ha suscitato un forte dibattito nel Paese. Preoccupazione viene espressa dall’associazione "Scienza e Vita", come conferma il vicepresidente vicario, Paola Ricci Sindoni, al microfono di Debora Donnini:

    R. - Questa decisione non può che generare preoccupazione ed anche inquietudini per il futuro delle generazioni che verranno, perché - come si dice in bioetica - è evidente una sorta di pendio scivoloso. Noi partiamo da un punto fermo - certamente non dettato da indicazioni religiose o etiche in senso generico, ma è la scienza che ce lo dice - cioè che l’embrione è una realtà “unitotale”, è sempre ciò che è sempre stato e che sarà nel genoma che è già strutturato al momento della fecondazione, dunque ha già una sua personalità, è già un individuo umano. Se partiamo da questo, il fatto che noi possiamo scegliere un embrione sano rispetto ad uno malato, significa operare chiaramente una selezione a favore del sano e dunque avviarci pericolosamente verso una deriva eugenetica.

    D. - Lei pensa che questa scelta della Germania a livello culturale avrà delle ricadute in Europa?

    R. - Temo di si, perché si sta delineando, in maniera un po’ fosca, uno scenario antropologico in cui, intanto, si dà il primato alla tecnoscienza, cioè è la scienza che ci dovrebbe dire come agire sull’umano e non il contrario. In realtà è l’umano che eventualmente considera la scienza come uno strumento utile per il suo miglioramento. Secondo elemento è quello che rappresenta l’accettazione del limite dell’umano, perché certamente ci può impressionare il fatto che due genitori preoccupati, impauriti per un eventuale futura malattia del loro figlio tendano a tutelarsi di fronte a questo evento doloroso, ma il limite è una dimensione costitutiva. La malattia purtroppo c’è, i bambini nati prima della diagnosi preimpianto sono bambini amati, curati dai genitori, che appunto fanno parte della nostra esperienza di vita. Preoccupa il fatto che il Parlamento tedesco abbia decretato che il bando al test, cioè il rifiuto del test, viola il rispetto della dignità umana, come se scegliere se un embrione possa nascere oppure no, segni il discrimine della dignità umana! Questa è una cosa gravissima e credo debba veramente far pensare.

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    Trilaterale a Londra. Impegno di Kabul e Islamabad per un piano di pace per l’Afghanistan

    ◊   Kabul e Islamabad si impegnano a realizzare "un piano di pace per l’afghanistan entro sei mesi". E’ la sfida lanciata da Londra al vertice a cui hanno partecipato, ieri, il premier Cameron il presidente pakistano, Asif Ali Zardari, quello afghano, Hamid Karzai. Lanciato anche un appello affinché i talebani partecipino ai colloqui di pace. Sullo sfondo la paura che ci sia una recrudescenza del fondamentalismo soprattutto dopo l’uscita dall’Afghanistan, delle truppe ISAF nel 2014. Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all’Università Cattolica di Milano:

    R. - In realtà, Pakistan e Afghanistan sono già da tempo in una fase di caos: la stabilizzazione del Paese afgano, dopo il 2001, con la cacciata dei talebani, non si è mai pienamente realizzata, anzi, con il passare degli anni, è aumentata l’instabilità e si è avuto il ritorno di questa galassia talebana, ed il governo afgano, appoggiato dall'Occidente, si è rivelato estremamente corrotto ed inefficiente. L’uscita di scena delle truppe Nato, che è ormai ineludibile, dato che la comunità internazionale è stanchissima e tutti i governi vogliono ritirarsi, molto probabilmente aggraverà questo stato di instabilità strutturale dentro il Paese.

    D. - Il progetto dei talebani è soltanto ideologico, o il controllo della zona tra Afghanistan e Pakistan rappresenta strategicamente qualcosa di importante?

    R. - "Talebano" è oggi un’etichetta un po' di comodo: c’è un gruppo più ideologico, legato ancora al Mullah Omar e ai talebani del 2001; esiste poi una serie di gruppi talebani “per convenienza” o per affiliazione tribale: le popolazioni rurali pashtun, da una parte e dell’altra parte della frontiera tra Afghanistan e Pakistan, si riconoscono spesso nel messaggio dei talebani, ma soprattutto preferiscono un governo ed un’amministrazione più ordinata e meno corrotta rispetto a quella dell'attuale governo di Kabul. Poi ci sono in gioco gli interessi geopolitici: questa è un’area fondamentale dal punto di vista degli snodi del continente Euroasiatico, cruciale nella competizione tra India e Pakistan e anche per il grande traffico di droga, prodotta, per quanto riguarda l’oppio e l’eroina, in massima parte in Afghanistan. Quindi, ci sono interessi da miliardi di dollari in gioco e questo è ben più importante dell'affermazione dell’ideologia islamista.

    D. - La comunità internazionale ha i mezzi per prevenire un’ipotesi di ricaduta di questi due Paesi, in una situazione di caos, da qui al 2014?

    R. - Potenzialmente sì. Li aveva anche nel 2001, quando c'è stato l'ingresso in Afghanistan, ma ha giocato male le proprie carte. In realtà, quello che è davanti agli occhi di tutti è che queste missioni di stabilizzazione non sono delle guerre per combattere un nemico, ma rappresentano un impegno lunghissimo, snervante, costosissimo in termini umani e finanziari. Di fatto, l’Occidente che è in crisi, stanco e disilluso, non ha più voglia di impegnarsi in attività del genere. Quello che dovrebbe continuare a fare è cercare di impostare una transizione perlomeno credibile ed assicurare un sostegno in termini di assistenza alle forze locali di polizia e di ricostruzione del Paese. Sarà molto difficile farlo, ma l’alternativa - cioè l’inazione - è un'ipotesi assolutamente peggiore, come stanno dimostrando, ad esempio, gli eventi nell’Africa subsahariana e recentemente in Mali. Non agire aggrava i problemi, anche se sappiamo che comunque l’azione produce effetti limitati e molto costosi.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Kek-Ccee. Card. Erdõ: l'Europa dimentica Dio, dai cristiani il coraggio della coerenza

    ◊   L’Europa secolarizzata, che ha dimenticato il cielo, e il coraggio dei cristiani del continente, perché quello sguardo sia sempre rinnovato. Due punti di vista sui quali il cardinale cardinale Péter Erdõ, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, ha preso in considerazione nel suo intervento a Varsavia, dove è in corso di svolgimento fino a domani il Comitato Congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (Kek) e del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Cce) sul tema “Fede e religiosità in un’Europa che cambia. I nuovi movimenti cristiani in Europa: sfide o opportunità”. “I cristiani, la Chiesa – ha detto tra l’altro il cardinale Erdõ – devono scrutare i segni dei tempi in modo sovrano, secondo i criteri della propria fede” e devono avere “più coraggio”, essere cioè “talmente coraggiosi da prescindere, a volte, persino dalla politica quotidiana, dall’opportunità quotidiana nel nome di un’umanità che si conosce nella sua pienezza attraverso la persona di Gesù Cristo”. Per professare la Dottrina sociale della Chiesa, ha proseguito, “per arrivare alle conclusioni morali concrete che vengono dalla convinzione cattolica, o cristiana, bisogna credere, bisogna avere l’esperienza dell’incontro personale e comunitario con il signore Gesù”. Solo così, ha affermato il cardinale Erdõ si può “essere convinti delle verità fondamentali della nostra fede”. Viceversa, ha obiettato, “cercare, per ragioni politiche quotidiane di cambiare la struttura fondamentale della Chiesa, e la legittimazione della dottrina della Chiesa”, o “richiedere soltanto risultati morali”, “a volte persino politicamente corretti per essere ben visti da parte della politica, vuol dire cadere in una trappola, ripetere il tentativo impossibile del barone di Munchausen che voleva uscire incolume dalla sabbie mobili tirandosi per i propri capelli”. Sul tema dei nuovi movimenti, al centro dell’incontro di Varsavia, è stato presentata dall’Università cattolica di Lublino un’“istantanea” del continente, nel quale sarebbero 20 milioni oggi le persone aderenti a movimenti evangelici e pentecostali. Sebbene cattolici e ortodossi rappresentino oggi il 75% dei cristiani in Europa, i cosiddetti “cristiani indipendenti marginali” (Indipendent Marginal Christians) sono – secondo le ultime statistiche – in rapida crescita. Una realtà che sembra avere particolare successo nel Regno Unito e in Russia: in entrambi i Paesi, sono cinque milioni i seguaci dei nuovi movimenti religiosi. (A.D.C.)

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    Regno Unito: oggi voto in Parlamento sulle nozze gay. Contrarie le Chiese

    ◊   Prende il via oggi l’iter parlamentare che potrebbe portare, entro il 2015, alla legalizzazione dei matrimoni gay. A votare saranno i membri della Camera dei Comuni e le previsioni danno la vittoria dei sì. Il progetto del premier conservatore David Cameron, infatti, vanta l’appoggio dei liberaldemocratici, suoi alleati al governo, e dei laburisti. Nonostante ciò si profila uno strappo in seno al partito conservatore dove circa 120 deputati potrebbero dire no alla legge. Anche la maggior parte dei Lord si è espressa contro il progetto di legge, il cui iter potrebbe avere una durata compresa tra i due e nove mesi. Se approvata, poi, la legge non entrerà in vigore prima del 2015, anno in cui sono fissate le nuove elezioni politiche. La Chiesa cattolica ed anglicana si oppongono alla legge sottolineando che altererebbe, in modo fondamentale, un’istituzione che da sempre unisce marito e moglie. Esiste anche il timore che un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, una volta che i matrimoni gay siano stati approvati, possa costringere le chiese ad ospitare queste cerimonie e le scuole religiose a dare il messaggio che non c’è differenza tra matrimonio e nozze gay. La Chiesa cattolica e il Movimento per la vita hanno diffuso in tutte le parrocchie cartoline con le quali i fedeli possono scrivere ai parlamentari che li rappresentano chiedendo loro di votare no questa sera. (R.P.)

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    Il card. Ruini: le unioni gay non sono famiglia. I figli hanno bisogno di un padre e una madre

    ◊   ''Nessuno contesta la liberta' delle persone, compresi naturalmente gli omosessuali, di unirsi tra loro come meglio credono. La questione e' se si tratti di una vera famiglia''. Cosi' il cardinale Camillo Ruini, in un'intervista al settimanale Tempi, interviene nel dibattito sulle unioni gay. ''Le persone di buon senso, siano o meno credenti - osserva - si rendono conto che compito fondamentale della famiglia e' generare ed educare i figli e che i figli, per crescere bene, hanno bisogno di un padre e di una madre''. Il cardinale vicario emerito - riporta l'agenzia Ansa - che è stato anche presidente della Cei, sottolinea che ''da qualche anno, in Italia come in tutto l'Occidente, e' in atto una grande campagna mediatica per contraddire questa certezza elementare, ma io confido - aggiunge - che gli italiani, un popolo ricco di buon senso, non si lasceranno ingannare facilmente''. Per quanto riguarda poi i principi non negoziabili, secondo Ruini ''se si parla solo di valori e principi la gente puo' avere l'impressione che si tratti di cose astratte e che oggi le urgenze siano altre. 'Se invece si parla, ad esempio, di famiglia - conclude il porporato - l'interesse e' molto alto, perche' tutti sanno per esperienza quanto la famiglia sia importante, a tanti livelli, compreso quello economico''. (R.P.)

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    Siria. Milizie islamiste nel quartiere siriaco di Aleppo: terrore fra i cristiani

    ◊   Paura fra i cristiani di Aleppo residenti nel quartiere a maggioranza cristiana siriaca: come riferisce in un messaggio inviato all'agenzia Fides il Pastore Ibrahim Nussair, leader spirituale della Chiesa evangelica di Aleppo, ieri mattina milizie islamiste del gruppo “Jabhat Al Nusra” sono penetrate nell’area: “Ci siamo svegliati di soprassalto sentendo le grida ‘Allah-u-Akbar’ e, guardando fuori dalle finestre, abbiamo visto guerrieri del battaglione Jabhat al Nusra, nelle nostre strade. Erigevano barricate nei pressi delle nostre chiese e delle nostre scuole, mettendo in pericolo la vita della popolazione civile”. Il Pastore ha aggiunto che, con l’arrivo di forze dell’esercito regolare, vi sono stati pesanti combattimenti e i miliziani sono stati cacciati dalla zona. Il Pastore riferisce che la presenza di tali miliziani, anche se solo per poche ore, ha contribuito a diffondere un’ondata di terrore fra la popolazione, che non si sente al sicuro e medita di lasciare la città. Il leader cristiano conclude: “Noi confidiamo in Dio, ma anche nei nostri amici musulmani in Siria, perchè ci proteggano da questi estremisti. Siamo e resteremo un popolo che desidera e lavora per il dialogo e per la pace”. All’inizio del novembre scorso, la storica chiesa evangelica araba di Aleppo, nel quartiere di Jdeideh (nella città vecchia), era stata minata con esplosivo e fatta saltare in aria. (R.P.)

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    Ordine di Malta: in prima linea in Siria nel soccorso alle vittime del conflitto

    ◊   L'Ordine di Malta intensifica i suoi interventi diretti a favore delle popolazioni colpite dal conflitto siriano, in risposta all’escalation di violenze che nel che 2012 ha creato più di un milione e mezzo di rifugiati. Il “Malteser International” (l’agenzia di soccorso dell’Ordine di Malta per gli aiuti umanitari) sta operando nelle aree di Damasco, Aleppo, Hama e Homs, distribuendo migliaia di kit per la sopravvivenza e l’igiene. La strategia d'intervento a favore dei profughi siriani coinvolge anche i paesi vicini. In particolare, il centro medico sociale di Khaldieh, in Libano, si dedica esclusivamente a fornire cure mediche gratuite ai rifugiati siriani, assistendo ogni giorno decine di profughi. Durante l’inverno in corso, le opere di soccorso legate ai Cavalieri di Malta forniranno aiuti di emergenza ad altre 10.000 persone in Siria, Turchia e Libano. Il Medio Oriente è tradizionalmente al centro della sollecitudine umanitaria espressa dall'Ordine di Malta, erede dell'antico Ordine dei Cavalieri Ospitaleri – fondato nel 1048 e reso sovrano da Papa Pasquale II nel febbraio 1113 – che ebbe come primi luoghi di irradiazione un convento e un ospedale sorti a Gerusalemme per assistere i pellegrini in Terra Santa. Oggi i Cavalieri di Malta gestiscono anche l'Ospedale della Sacra Famiglia di Betlemme, situato nei Territori Palestinesi, che rappresenta l'unico presidio per la maternità della regione provvisto di un reparto di unità intensiva neonatale. Dal 1990, presso l'ospedale di Betlemme sono nati più di 57.000 bambini. Mentre la clinica mobile dell’Ospedale assicura l'essenziale assistenza pediatrica e materna a donne e i neonati negli angoli più remoti dei villaggi circostanti il deserto della Giudea. I dati sulle opere assistenziali sostenute dall’Ordine di Malta in Medio Oriente sono esposti nei dossier pervenuti all'agenzia Fides e presentati oggi a Roma nel quadro delle celebrazioni previste nell'Urbe per il 900° anniversario della bolla “Pro Postulatio Voluntatis” (15 febbraio 1113), il documento con cui Papa Pasquale II pose l'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme sotto la tutela della Chiesa, con diritto di eleggere liberamente i propri superiori senza interferenze da parte di altre autorità laiche o religiose. Le iniziative messe in campo dai Cavalieri di Malta a favore delle popolazioni siriane sono state presentate da Albrecht Boeslagher, Ministro dell'Ordine per la salute e la cooperazione internazionale. Sabato 9 febbraio, oltre 4mila tra membri e volontari dell'Ordine parteciperanno alla Messa celebrata nella Basilica di san Pietro dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Al termine della celebrazione è annunciata in San Pietro anche la presenza di Sua Santità Benedetto XVI. (R.P.)

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    India: la Chiesa frena sulla pena di morte per gli stupratori

    ◊   “Lo stupro è una vergogna nazionale, ma la Chiesa non può approvare la pena di morte per i colpevoli delle violenze, perché difende la sacralità della vita”: con tali parole, espresse in un colloquio con l’agenzia Fides, mons. Agnelo Rufino Gracias, vescovo ausiliare di Bombay, riporta la posizione della Chiesa indiana dopo il decreto legge emesso dal governo. Il testo prevede la pena di morte per gli stupratori nei casi in cui la vittima muore o finisce in stato vegetativo persistente, ma anche per i recidivi, che ripetono il reato di “violenza sessuale aggravata”. Il provvedimento verrà sottoposto al Parlamento, che ha sei mesi per ratificarlo. Mons. Gracias illustra a Fides la posizione della Chiesa indiana: “Un decreto di tal genere è stato presentato sull’onda emotiva, dopo il caso della 23enne indiana Nirbhaya, violentata e uccisa un mese fa. Crediamo occorra una riflessione più pacata e speriamo che in Parlamento questo accada. Siamo ben consapevoli che lo stupro è un vergogna nazionale, che condanniamo con forza. Siamo tenaci promotori della giustizia per le vittime e di una adeguata punizione dei colpevoli. Ma la pena capitale non è la soluzione. Crediamo che in molti casi basterebbe applicare con zelo la legislazione vigente”. Per combattere a monte la piaga dello stupro nella società indiana, il vescovo nota: “Come Chiesa stiamo cercando di contribuire, nel nostro piccolo, a combattere questa terribile pratica. Prima di tutto promuovendo il rispetto della dignità della donna e le pari opportunità. In secondo luogo, con un lavoro capillare nell’istruzione, campo da cui partire per cambiare una mentalità, e diffondendo una cultura basata sul valore e sul rispetto di ogni vita umana”. Come riferito a Fides, alcuni attivisti hanno criticato il decreto del governo per aver ignorato i casi in cui a essere accusato di stupro è il personale delle forze di polizia o delle forze armate. Il governo ha spiegato che tale decreto non può avere effetto retroattivo, dunque le disposizioni non possono essere applicate al caso di Nirbhaya. (R.P.)

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    Mali: i bambini di Timbuctú tornano a scuola

    ◊   I bambini di Timbuctú, una delle principali città del nord del Mali appena riconquistata dalle truppe locali con il supporto dell’esercito francese, sono tornati a scuola dopo la fuga degli islamisti. Secondo le informazioni di alcuni insegnanti, nel 2012, circa la metà dei bambini in età scolare sono fuggiti dal nord del Paese dopo che i gruppi islamici hanno preso il controllo, chiuso le scuole pubbliche e obbligato alcuni piccoli a frequentare le scuole coraniche. I dati del Ministero dell’Istruzione, alla fine del 2012 - riferisce l'agenzia Fides - hanno registrato 10mila bambini sfollati dal nord rimasti privi di accesso all’istruzione. Per cercare di far recuperare il tempo perso, i responsabili dell’istruzione scolastica hanno fatto appello agli insegnanti fuggiti di rientrare oltre ad aver promosso una campagna per reclutarne altri volontari per i bambini della scuola elementare. Molti genitori, su invito del governatore della regione di Timbuctú, stanno collaborando alla ricostruzione delle scuole affinchè possano riaprire. Infatti, sia a Timbuctú che a Gao molti edifici scolastici sono stati distrutti e banchi e scrivanie rubati. Tra le altre priorità di Timbuctú la ricostruzione di decine di Centri sanitari, il ripristino dell’elettricità e dell’acqua. (R.P.)

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    Senegal: preoccupazione della Chiesa per il conflitto in Casamance

    ◊   È stata una visita pastorale di cinque giorni quella che ha portato il Nunzio apostolico del Senegal, mons. Luis Mariano Montemayor, nella diocesi di Ziguinchor, capitale del Casamance. Dal 1982, l’area è teatro di scontri a causa degli indipendentisti del "Mouvement des Forces Démocratiques de Casamance" (Mfdc). Alla fine della settimana scorsa, quindi, mons. Montemayor ha visitato la zona per sostenere le iniziative di pace ed incontrare sul posto le diverse comunità cristiane, i rappresentanti musulmani e gli esponenti delle religioni tradizionali locali. In una conferenza stampa tenuta al suo rientro a Dakar, il nunzio apostolico ha sottolineato l’importanza di porre fine alle ostilità nella regione, raggiungendo un accordo sul disarmo e sul reinserimento sociale dei combattenti. Inoltre, il presule ha espresso apprezzamento per la mediazione con i ribelli portata avanti dal 2012 dalla Comunità di Sant’Egidio, su sollecitazione dell’allora capo di Stato Wade. Dal suo canto, il card. Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, ha affrontato la questione del Casamance pochi giorni fa, durante un incontro con il presidente Macky Sall. “Abbiamo parlato – ha dichiarato il porporato alla stampa – della situazione del Paese e della vita della Chiesa, soffermandoci, in particolare, sul grande desiderio di pace in Casamance che tutto il mondo nutre”. (I.P.)

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    Colombia: scontri e sequestri minacciano il processo di pace

    ◊   Sei guerriglieri e due poliziotti uccisi e due stranieri sequestrati nel giro di 24 ore hanno fatto da contraltare alle parole di ottimismo giunte nello stesso arco di tempo dal massimo dirigente delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), Rodrigo Londoño, alias Timochenko, sul processo di pace. Il presidente Juan Manuel Santos ha riferito dell’uccisione in combattimento nell’estremo nord del Paese di sei uomini delle Farc, giunta a ridosso di altri episodi di violenza e di rapimenti avvenuti a partire dallo scorso fine-settimana; fra questi anche un attacco contro un veicolo delle forze dell’ordine che ha provocato due vittime nel nord-ovest. In questo confuso contesto è giunta anche la notizia del sequestro di due cittadini tedeschi per mano dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln, seconda guerriglia colombiana): già il 18 gennaio, lo stesso Eln aveva catturato sei impiegati di un’azienda mineraria – due peruviani, un canadese, due colombiani e un altro dipendente di cui non è chiara l’origine – ancora nelle sue mani. Santos ha esortato il gruppo armato a rilasciare senza condizioni gli ostaggi, proponendo l’invio di una missione del Comitato internazionale della Croce Rossa per prenderli in consegna e insistendo in particolare sull’incolumità dei tedeschi, negando che siano agenti di intelligene come affermato dai ribelli. L’Eln ha chiesto più volte di sedersi al tavolo del negoziato tra governo e Farc all’Avana, ma Santos ha escluso finora questa possibilità. Nel frattempo, in una nota diffusa via Internet, il capo delle Farc ha comunicato che le trattative a Cuba “proseguono in modo normale e nessuno ha minacciato di ritirarsi”. Timochenko ha anche accusato “l’estrema destra di fare pressione per tornare a una soluzione militare del conflitto”. Fra i più strenui critici del processo di pace, è tornato, tra gli altri, a pronunciarsi pubblicamente l’ex presidente Alvaro Uribe, un tempo vicino a Santos e oggi suo deciso avversario. Uribe ha chiesto il congelamento del negoziato fino a quando “le Farc non sospenderanno le loro attività criminali”. (R.P.)

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    Colombia: due sacerdoti assassinati in meno di 24 ore

    ◊   Un altro sacerdote è stato assassinato in Colombia nelle ultime 24 ore. Padre José Ancizar Mejia Palomino, di 84 anni d'età, è morto il 2 febbraio nella sua residenza, a Caldas, comune di Riosucio. Un primo rapporto della polizia afferma che padre Mejia Palomino è stato trovato legato al letto con segni di tortura. Un comunicato giunto all’agenzia Fides ricorda che padre Mejia Palomino apparteneva alla diocesi di Buga, ma esercitava il suo ministero pastorale nella diocesi di Pereira come cappellano dell'orfanatrofio "Sagrada Familia" e nella Casa per anziani "Luisa de Marillac". Nel comunicato, il vescovo, mons. Rigoberto Corredor Bermúdez e il presbiterio della diocesi di Pereira, esprimono cordoglio per la sua morte. I funerali di padre Mejía Palomino si svolgeranno oggi, nella chiesa di "Nuestra Señora de La Candelaria". Proprio ieri, il presidente della Conferenza episcopale della Colombia, il neo cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà, aveva esortato tutti colombiani ad avere fiducia nei colloqui di pace che si svolgono a Cuba fra delegati del governo e le Farc. Il cardinale aveva però denunciato la violenza che ancora sconvolge alcune regioni del Paese, citando anche Riosucio di Caldas dove sono state uccise diverse persone che lavorano per la riconciliazione e promuovono la pace fra la popolazione. Soltanto ieri avevamo dato notizia dell’uccisione, sempre il 2 febbraio, di padre Luis Alfredo Suárez Salazar, dell'arcidiocesi Villavicencio (Meta), che si trovava in Ocaña. Secondo l’elenco realizzato annualmente dall’agenzia Fides, nel 2012, per la quarta volta consecutiva, l’America ha registrato il numero più alto di operatori pastorali uccisi rispetto agli altri continenti. In Colombia nel 2012 è stato ucciso un sacerdote; nel 2011 sono stati uccisi 6 sacerdoti e 1 laico; nel 2010 hanno trovato la morte 3 sacerdoti ed un religioso; nel 2009 sono morti violentemente 5 sacerdoti ed 1 laico. Solo nel 2013 ad oggi sono ormai 3 i sacerdoti colombiani uccisi. (R.P.)

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    Indonesia: erutta il vulcano Rokatendo, situazione “critica” per 2mila profughi cattolici

    ◊   È critica la situazione di oltre 2mila sfollati, in cerca di riparo, cibo e acqua per l'eruzione di un vulcano che li ha costretti a fuggire dall'isola di origine. La fuoriuscita dalla bocca del monte Rokatendo, sul piccolo atollo di Palue, nella reggenza di Sikka, provincia di East Nusa Tenggara (Ntt) è avvenuta lo scorso 2 febbraio, ma è passata sotto silenzio sui principali media indonesiani. Tuttavia, grazie al passaparola di sacerdoti e della comunità cattolica - i cristiani sono la grande maggioranza sull'isola - oggi è emersa in tutta la sua portata l'emergenza profughi, per la quale sì sono attivare le diocesi di Jakarta e Maumere. La popolazione ha abbandonato le case e, a bordo di piccole imbarcazioni, di solito usate per la pesca, ha cercato un luogo sicuro nelle isole circostanti. Gli sfollati - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno trovato un riparo provvisorio in alcune aree delle reggenze di Sikka e Maumere, ma la situazione a tre giorni dall'eruzione comincia a farsi critica. L'eruzione non ha provocato morti o feriti, ma resta il problema profughi in cerca di cibo, acqua e altri generi di prima necessità, mentre le autorità locali non sembrano "pronte" a offrire loro accoglienza e riparo. Per questo si sono attivate le diocesi di Jakarta e Maumere per dare conforto a sfollati la cui situazione, come racconta padre Hilde Tanga, nativo di Palue, resta grave e precaria. In prima fila nei soccorsi vi è anche Irene Setiadi, del gruppo attivista umanitario Kgkk, che conferma ad AsiaNews una "spedizione" a breve di materiale da campo come vestiti, coperte e cereali per bambini, da unire ad acqua e cibo. Alto circa 875 metri sul livello del mare, il vulcano Rokatenda già in passato ha creato seri problemi alla popolazione dell'isola. L'eruzione più disastrosa della storia recente risale al 1928, quando alla fuoriuscita di lava e fumo è seguito anche un potente tsunami. Del resto l'arcipelago indonesiano è formato da migliaia di isole e atolli immersi nell'Oceano Pacifico e fa parte di un'area detta dagli scienziati "Anello di fuoco". Essa è caratterizzata da un'intensa attività tellurica e vulcanica, causata dalla collisione delle diverse placche continentali. Nella memoria della gente è ancora vivo il ricordo del devastante terremoto e del successo tsunami che ha colpito la regione nel dicembre 2004, con epicentro al largo dell'isola di Aceh, causando centinaia di migliaia di vittime in tutta l'Asia. (R.P.)

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    Bangladesh. Nuova epidemia del Nipah virus: prima vittima a Dacca

    ◊   Nelle ultime settimane, in Bangladesh, si è verificata una nuova epidemia del Nipah virus che ha già causato 10 morti. Si tratta di un virus di recente identificazione responsabile di una malattia che colpisce gli animali e l'uomo. Il contagio - riferisce l'agenzia Fides - ha un tasso di mortalità molto elevato, circa il 77% dei casi. Secondo i dati dell’Istituto di Epidemiologia, Controllo e Ricerca delle Malattie, dalla sua prima comparsa in Bangladesh, 12 anni fa, sono stati registrati 188 casi e 146 decessi, compresi 12 contagi e 10 morti nel 2013. L’infezione è provocata dal consumo del siero di un albero di palma da dattero contaminato con urina o saliva di pipistrelli. Una volta bevuto il siero, il virus infetta il corpo umano e a sua volta può essere trasmesso, attraverso il contatto fisico, ad altro essere umano. L’inverno in Bangladesh, che va da dicembre ai primi di febbraio, è la stagione in cui il siero, bevanda molto comune nelle aree rurali del Paese, viene raccolto. Le epidemie in genere colpiscono un gruppo di 10 distretti (Meherpur, Noagoan, Rajbari, Faridpur, Tangail, Thakurgaon, Kushtia, Manikgonj, Rajshahi, e Lalmonirhat) conosciuti come la “fascia Nipah”. Tuttavia, a gennaio di quest’anno, a Dacca è stata registrata la prima vittima in assoluto nella capitale bengalese. La più recente è un neonato contagiato e morto nella città portuale di Chittagong. Non ci sono cure nè farmaci disponibili, l’unica prevenzione consiste nell’informare le persone a non bere il siero avvelenato. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nonostante si registrino solo poche epidemie di Nipah virus, esso può contagiare una vasta gamma di animali e provocare malattie gravi, caratterizzate da infiammazione del cervello o malattie respiratorie, oltre che la morte di esseri umani. Identificato per la prima volta nel 1999, durante una moria tra gli allevamenti di suini in Malesia, il virus ha fatto registrare finora oltre 12 epidemie, tutte in Asia meridionale. (R.P.)

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    Spagna: domenica 54.ma Campagna di "Manos Unidas" contro la povertà

    ◊   Domenica prossima, 10 febbraio, la Chiesa spagnola celebra la 54.ma Campagna contro la povertà, promossa dall’organizzazione cattolica iberica “Manos Unidas”. Il tema dell’edizione 2013 è “Non c’è giustizia senza uguaglianza”. Nella lettera pastorale diffusa in occasione dell’evento, l’arcivescovo di Madrid, card. Antonio Maria Rouco Varela, ricorda ai fedeli che il legame tra giustizia ed uguaglianza evidenzia “l’importanza della collaborazione tra uomo e donna per ottenere il vero sviluppo delle popolazioni”. Di qui, l’auspicio che “il riconoscimento dell’uguale dignità tra uomo e donna” diventi “un’aspirazione ineludibile di tutti noi”. Inoltre, il card. Rouco sottolinea che “la vera uguaglianza che dona dignità alle persone non si può raggiungere né guardando ad alcune ideologie attuali, come la cosìddetta ‘ideologia del genere’, né attraverso l’egualitarismo che porta alla confusione, facendoci credere che la differenza di ruoli tra uomo e donna non ha importanza, né attraverso quel tipo di confronto che presenta la conquista dell’uguaglianza come una guerra tra sessi”. Per questo, l’arcivescovo di Madrid ribadisce che “l’uguaglianza tra uomo e donna deve essere cercata attraverso quella differenziazione che conduce alla ricchezza della complementarietà e alla comunione, due qualità che corrispondono alla vocazione di Cristo”. Di qui, l’esortazione del porporato affinché si continui a lavorare “per quella parità tra uomo e donna che ha il suo fondamento nell’amorevole creazione di Dio, e che non è quindi una chimera”. In quest’ottica, il card. Rouco lancia un appello affinché “la famiglia, cellula basilare della società, sia protetta come ‘prima scuola’ in cui si insegna e si impara” che “l’autentica uguaglianza tra uomo e donna” non può verificarsi senza adeguati “sforzi in favore della giustizia”. La Campagna “Manos Unidas” partirà in alcuni Paesi già oggi, e proseguirà per l’intero 2013. In un mondo in cui il 60% delle persone che soffre la fame cronica è composto da donne e bambine, come pure il 98% delle vittime della tratta, la Campagna si pone l’obiettivo di denunciare le tante ingiustizie e prevaricazioni che le donne subiscono nel loro cammino verso la parità. Molto significativo il manifesto scelto per l’edizione 2013 dell’iniziativa: in esso, viene raffigurata una donna africana che porta sulle spalle, a mo’ di bilancia, due ceste, contenenti una la giustizia e l’altra l’uguaglianza. In tal modo, spiega “Manos Unidas”, la donna viene presentata “non solo come partecipe, ma anche come base della giustizia”. Sullo sfondo, è raffigurato il sole, “simbolo di un nuovo inizio”, mentre gli abiti della donna, dai colori accesi, vogliono trasmettere un senso di “ottimismo e speranza”. (I.P.)

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    Cina. Foxconn: sì a elezioni per un sindacato dei lavoratori indipendente

    ◊   La Foxconn, colosso dell’elettronica taiwanese, apre ai sindacati indipendenti nei suoi stabilimenti in Cina, una novità assoluta nel Paese. Le condizioni di lavoro disumane dell’azienda hanno spinto al suicidio o al tentativo numerosi dei suoi 1.2 milioni di dipendenti. I ritmi sono massacranti e la vita dei lavoratori è confinata negli enormi complessi della società, dove mangiano, dormono e passano anche il poco tempo al di fuori degli impianti di produzione. Decisivo è stato l’intervento della Fair Labor Association (Fla), un’associazione non governativa americana, sollecitato nel 2010 dalla Apple Inc., quando emerse la questione dei suicidi degli operai. Secondo quanto rilevato delle organizzazioni internazionali che tutelano i lavoratori, dopo le proteste del 2010-2011, le condizioni sembrerebbero solo leggermente migliorate. Le iniziative indipendenti nate al seguito di quegli eventi, tollerate dall’azienda, non hanno determinato nessun cambiamento della situazione. (V.C.)

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    “Fratello Narco”: l’arma del perdono per fermare la violenza della guerra dei narcos

    ◊   "Hermano narco" (Fratello narco), un cortometraggio di dieci minuti, racconta la storia di Miri, una ragazza di 13 anni che un giorno, insieme al suo fratello minore, assiste all’omicidio dei suoi genitori, compiuto da una banda di narcos. Questo episodio tragico si conclude con un messaggio di speranza. Miri ha deciso di abbracciare l’assassino, in segno di perdono, andando contro le pressioni e le volontà dei parenti, che l’avevano spinta all’odio e alla vendetta. Secondo quanto riportato dall’agenzia Fides, il video è stato presentato il 27 gennaio nella cattedrale di Città del Messico dal cardinale Norberto Rivera, arcivescovo di Mexico. Il perdono “è un sentimento così forte, proprio dell’essere umano, che può trasformare una intera società”. A parlare è il sacerdote paolino Omar Sotelo Aguilar, produttore del cortometraggio. Promuove mezzi alternativi per superare una situazione di violenza dilagante a tal punto che “in alcune zone del Paese ormai non si può più vivere”. “Hermano narco” sarà il primo di una serie di 12 video, dedicati alle storie di persone in difficoltà che hanno chiesto aiuto alla Chiesa cattolica. Solo nello scorso anno, la guerra tra i cartelli della droga ha generato 15.000 vittime. Considerando anche i cinque precedenti, la cifra sale a 90.000, stando ai dati rilasciati dalle Ong. (V.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 36

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.