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Sommario del 2013/02/01

Il Papa e la Santa Sede

  • Messaggio del Papa per la Quaresima: fede senza opere è come albero senza frutti
  • Messaggio Quaresima. Card. Sarah: impegno della Chiesa nella carità è immenso
  • Il nuovo patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako: lavorerò per il dialogo. Card. Sandri: scelta di speranza
  • Udienze
  • La nuova verità, o meglio le nuove falsità, di Mehmet Ali Agca: nota di padre Lombardi
  • Oggi su l'"Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: crescono le preoccupazioni di un allargamento della crisi
  • Libia, Mons. Martinelli: religiosi costretti da islamisti a lasciare la Cirenaica
  • Guatemala a rischio fame. I vescovi: cambiare modelli di sviluppo
  • Mons. Crociata: non voto apporto negativo, attenzione a famiglia e lavoro
  • Nuovo record della disoccupazione in Italia, laureati con meno aspettative
  • Il neopresidente di Confocooperative, Gardini: oltre all'austerità, serve sviluppo
  • Dall'Ue 100 milioni di euro per riqualificare il patrimonio archeologico di Pompei
  • "Gesù nel fratello" al centro del Convegno dei vescovi "amici del Movimento dei Focolari"
  • Roma, chiuso il ciclo delle letture teologiche sul Vaticano II
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Lettera dell’arcivescovo di Los Angeles su abusi sessuali nella diocesi
  • Appello Caritas: in Siria situazione gravissima, mancano cibo e acqua
  • Amnesty International: in Mali gravi violazioni dei diritti umani
  • Giordania: 50 mila bambini lavoratori sfruttati e sottopagati
  • Colombia: a rischio i negoziati di pace tra governo e Farc
  • Pakistan: cristiani uniti nel proclamare il Regno di Dio
  • I vescovi del Perù: proclamare la fede altrimenti l'uomo si smarrisce
  • Giornata della vita consacrata: testimonianza di una suora indiana
  • Vescovi emiliani in visita "ad Limina". Card. Caffarra: urgente forte evangelizzazione
  • Salvatore Martinez: lo Spirito Santo è il motore della nuova evangelizzazione
  • Musei Vaticani: a ottobre 2013 mostra con ritrovamenti archeologici in Slovacchia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messaggio del Papa per la Quaresima: fede senza opere è come albero senza frutti

    ◊  “Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo sia dall’attivismo moralista”. È uno dei passaggi-chiave del Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2013, pubblicato oggi. Il Papa parla dell’“indissolubile intreccio” tra fede e carità e invita i cristiani a essere, in ogni loro opera caritativa, un riflesso dell’amore di Cristo per l’uomo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi”. Il titolo del Messaggio per la Quaresima esprime in sintesi la verità che Benedetto XVI ribadisce nel particolare: un cristiano non ama un suo simile perché è genericamente buono e solidale, ma perché ha sperimentato in sé l’amore di Cristo ed è questo amore che testimonia agli altri. Il Papa torna a fare chiarezza sul giusto rapporto tra fede e carità e sulla necessità che nessuna delle due prevalga sull’altra. La questione era già stata affrontata da San Paolo e Benedetto XVI la riattualizza. Fede e carità, scrive, sono virtù unite in un “indissolubile intreccio” ed “è fuorviante” vederle opposte in chiave “dialettica” come accade, nota, quando “talvolta si tende a circoscrivere il termine ‘carità’ alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario”. Da un lato, obietta, “è limitante l’atteggiamento di chi mette in modo così forte l’accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere di carità e ridurre questa a generico umanitarismo. Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale – afferma il Papa – è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall’attivismo moralista”.

    Invece, prosegue il Pontefice, il cristiano, specie se “operatore di carità”, è una “persona conquistata dall’amore di Cristo” e per questo motivo “è aperto in modo profondo e concreto all’amore per il prossimo”. Benedetto XVI usa un’immagine per spiegare la natura di questo modo d’amare. “L’esistenza cristiana – dice – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio”. Su questa base si comprende meglio come per un cristiano la “massima opera di carità” sia l’evangelizzazione, cioè “il servizio della Parola”. Come pure, un cristiano che opera la carità sa che non sono tanto i suoi sforzi a portare frutto, bensì “l'iniziativa salvifica” che viene “da Dio, dalla sua Grazia”: e questo, conferma Benedetto XVI, “lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della carità”. In definitiva, conclude il Papa, “una fede senza opere è come un albero senza frutti”: se la prima “ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso”, la seconda ci fa “entrare” in quel’amore e spinge al dono totale di sé.

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    Messaggio Quaresima. Card. Sarah: impegno della Chiesa nella carità è immenso

    ◊  Il rapporto tra fede e carità, cuore del Messaggio di Quaresima del Papa, è stato al centro della presentazione del testo in Sala Stampa vaticana. Il cardinale Sarah, presidente di "Cor Unum", ha ricordato l’immensa attività caritativa della Chiesa ed ha annunciato una missione in Giordania per coordinare gli aiuti nella regione e in particolare per la Siria. Il servizio di Benedetta Capelli:

    L’impegno della Chiesa a favore dei poveri, delle vittime della guerra, delle famiglie in difficoltà, dei malati è impossibile da quantificare. Così il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, che nel suo intervento ha più volte evidenziato come fede e carità siano le due facce di appartenenza a Cristo. Sono tre milioni e mezzo gli aiuti erogati dal Papa nel corso di questo ultimo anno: una dimostrazione della vicinanza di Benedetto XVI alle molte sofferenze del mondo. Il cardinale Robert Sarah:

    “Nella Chiesa, ci sono almeno 165 Caritas in tutto il mondo e fanno parte di una confederazione che è la Caritas internationalis. Il lavoro della Chiesa per i poveri è immenso”.

    Concetto espresso anche da mons. Segundo Tejado Muñoz, sottosegretario del Pontifiico Consiglio Cor Unum:

    “Tanti ci chiedono perché non facciamo una statistica delle cose che fa la Chiesa, con numeri, cifre… E’ impossibile. La grande forza della Chiesa è il volontariato e tante volte è anonimo. Tante volte la carità cristiana è anonima. Questa è la grande forza. Poi, possiamo dare numeri ma, come si diceva nel Motu proprio Intima ecclesiae natura, la vera identità, la vera natura della carità sta nella vita della Chiesa, quindi delle parrocchie, delle comunità cristiane, dei singoli cristiani, che vivono la carità e tantissime volte in modo anonimo. Si potrebbero dare numeri ma sarebbero molto approssimativi”.

    Al centro delle domande dei giornalisti, anche il Motu Proprio del Papa “L’intima natura della Chiesa” sul servizio della carità. Il porporato ha sottolineato l’impegno di Benedetto XVI nel chiarire alcuni aspetti normativi. Ancora il cardinale Robert Sarah:

    “Il Santo Padre aveva già notato che mancava l’impegno del vescovo. Egli ha pensato di illustrare il lavoro e l’impegno del vescovo per avviare le attività caritative nella propria diocesi, nelle proprie parrocchie e per coinvolgere tutta la comunità. Questa mancanza di impegno del vescovo avrebbe potuto anche condurre l’attività caritativa della Chiesa verso una strada che non esprime veramente l’identità della Chiesa”.

    Infine, a conclusione della conferenza stampa, è stato annunciato un nuovo viaggio in Medio Oriente, in programma dal 19 al 21 febbraio. Ad Amman, il cardinale Robert Sarah incontrerà anche il re Abdallah ed i delegati di Caritas Mona – Medio Oriente e nord Africa -, per discutere soprattutto della difficile situazione in Siria:

    “Siamo nella fase di aiutare concretamente questi rifugiati e dunque continuiamo a seguire la situazione. Dobbiamo discutere e affrontare concretamente la situazione tragica nel Paese dove ora è inverno. C’è freddo, manca il cibo, mancano le medicine… Forse, non troveremo soluzioni ma vogliamo cercare di fermare questa guerra”.

    Alla conferenza stampa, ha partecipato anche Michael Tio, presidente generale della Confederazione internazionale della Società di San Vincenzo de’ Paoli, che ha illustrato l’impegno dell’organizzazione umanitaria nel mondo: 148 i Paesi in cui è presente con 780 mila membri e 1,3 milioni di volontari a servizio di 30 milioni di poveri. Thio ha anche evidenziato come “la carità cristiana è amore per Dio che si trasforma in servizio per gli altri”.

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    Il nuovo patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako: lavorerò per il dialogo. Card. Sandri: scelta di speranza

    ◊  Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Caldea, convocato dal Santo Padre a Roma il 28 gennaio 2013, sotto la presidenza del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha canonicamente eletto patriarca di Babilonia dei Caldei mons. Louis Sako, finora arcivescovo di Kerkūk dei Caldei. Il nuovo patriarca succede al cardinale Emmanuel III Delly ed ha assunto il nome di Louis Raphaël I Sako. Il nuovo patriarca di Babilonia dei Caldei è nato a Zākhō (Iraq) il 4 luglio 1948. A Mossul ha compiuto gli studi primari, frequentando poi il locale Seminario di St. Jean, tenuto dai Padri Domenicani. Ordinato sacerdote il 1° giugno 1974, ha svolto il servizio pastorale presso la Cattedrale di Mossul fino al 1979. Inviato a Roma, ha frequentato il Pontificio Istituto Orientale, conseguendo il dottorato in Patrologia Orientale. Successivamente ha conseguito il dottorato in Storia presso la Sorbona di Parigi. Rientrato a Mossul nel 1986, è stato nominato parroco della Parrocchia del Perpetuo Soccorso. Dal 1997 al 2002 ha ricoperto l’ufficio di rettore del Seminario patriarcale di Baghdad. Rientrato a Mossul ha ripreso la guida della Parrocchia del Perpetuo Soccorso fino alla elezione ad arcivescovo di Kerkūk il 27 settembre 2003. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 14 novembre successivo. Ha pubblicato alcuni libri sui Padri della Chiesa e diversi articoli. Oltre all’arabo e al caldeo, conosce la lingua tedesca e parla francese, inglese e italiano. Sergio Centofanti ha chiesto al nuovo patriarca Louis Raphaël I Sako come ha accolto questa nuova responsabilità:

    R. – Sono molto commosso e timoroso di fronte a questa responsabilità così pesante, perché la situazione della Chiesa caldea è difficile e difficile è la situazione politica in Iraq. Ma con l’aiuto del Signore e la preghiera e l’appoggio dei vescovi, faremo il possibile per mantenere la nostra presenza cristiana e ricostruire la Chiesa caldea e l’Iraq, per collaborare con tutte le persone di buona volontà per operare la riconciliazione, rafforzare la convivenza armonica tra gli iracheni. Io sarò lì non solo per i cristiani, ma anche per i nostri fratelli musulmani. Farò tutto per l’Iraq.

    D. – Qual è la situazione dei cristiani in Iraq, oggi?

    R. – La situazione in Iraq è molto tesa; la sicurezza non è assicurata e va peggiorando con le divisioni tra i gruppi politici. Ma noi faremo da ponte per il dialogo, perché le parti possano negoziare tra loro per trovare una soluzione buona per tutti.

    D. – C’è paura del fondamentalismo islamico che cresce?

    R. – Sicuramente; ma anche i musulmani devono comprendere che la religione non deve essere politicizzata: la religione dev’essere aperta. Dunque, fede vuol dire amore, servire … Per il bene dell’islam devono eliminare tutto quello che è violenza.

    D. – Come considera lei la cosiddetta “Primavera araba”?

    R. – Per me, non è una vera primavera, perché un cambiamento non può avvenire tramite la violenza, distruzioni, esecuzioni e morte. Un cambiamento può avvenire solo tramite il dialogo: il dialogo è la maniera più civile per fare riforme. Non c’è futuro con la violenza: tutti devono capire questo! Con le bombe, con la morte, con la distruzione non c’è futuro! C’è futuro solo con il dialogo.

    D. – Che appello lancia alle comunità cristiane del mondo per l’Iraq?

    R. – Di aiutarci e di pregare per noi. La loro vicinanza, la loro solidarietà morale e spirituale ci daranno un grande sostegno per perseverare, per rimanere in queste terre e per testimoniare la nostra fede.

    Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in questi giorni ha seguito con grande attenzione i lavori del Sinodo. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

    R. – Per me è stata un’esperienza veramente molto profonda di spiritualità, di condivisione fraterna con i vescovi, di ascolto, di dialogo con loro. Ho visto come loro poco a poco – e certamente è l’azione dello Spirito Santo – sono arrivati a questa elezione. Per me è un motivo di grande gioia: mi pare che sia una scelta che possa dare speranza alla Chiesa caldea in Iraq e anche a tutti quelli che vivono nella diaspora. Pertanto, la mia gioia è condivisa con i vescovi e si fa preghiera, anche, per il futuro, per la persona del nuovo Patriarca, per il suo ministero – per il quale egli stesso ha chiesto ai vescovi aiuto, fraternità, vicinanza, sostegno – affinché sia per il bene della Chiesa caldea e di tutta la Chiesa universale. E’ una persona preparata, soprattutto una persona che ha vissuto vicino al sangue dei martiri, di tutti coloro che hanno sofferto la violenza: anche non cristiani, anche musulmani. E’ quindi una persona che porta con sé una grande ricchezza che servirà molto alla Chiesa.

    D. – Quali sono stati i temi principali al centro dei lavori del Sinodo?

    R. – Ognuno ha potuto esporre i problemi della propria diocesi. Come noto, l’Iraq è in una fase di ricostruzione che costa molto, molto dolore, molto impegno nella ricerca del dialogo nella vita civile. Poi, ciascuno ha potuto esporre la situazione delle proprie diocesi, esaminare i problemi … E’ impegnativo promuovere la partecipazione dei laici come parte attiva nella vita della Chiesa. Non mi soffermo sull’importanza dei religiosi e delle religiose, soprattutto i sacerdoti collaboratori dei vescovi. Tutta questa tematica nell’Anno della Fede è stata rivista da loro, in questo Sinodo, illuminati anche dall’Esortazione apostolica della Chiesa per il Medio Oriente consegnata dal Papa in Libano nel settembre scorso. Sarà un aiuto per andare avanti affrontando tutto questo arco di problemi: civili, sociali, soprattutto ecclesiali e anche del dialogo ecumenico e interreligioso.

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    Udienze

    ◊  Il Papa ha ricevuto oggi mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, Arcivescovo tit. di Tibica, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede e un gruppo di Presuli della Conferenza Episcopale della Campania, in Visita “ad Limina Apostolorum”.

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    La nuova verità, o meglio le nuove falsità, di Mehmet Ali Agca: nota di padre Lombardi

    ◊  E’ uscita ieri, nelle librerie italiane, una nuova autobiografia di Mehmet Ali Agca. Al centro del volume, c’è l’affermazione che il mandante del tentato assassinio di Giovanni Paolo II sarebbe stato l’Ayatollah Khomeyni. Su questa e altre dichiarazioni ascoltiamo la nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

    La casa editrice Chiarelettere ha distribuito nelle librerie il 31 gennaio un nuovo libro con cui probabilmente si attende un altro colpo di successo. Si tratta di una nuova (non è la prima!) autobiografia di Mehmet Ali Agca: “Mi avevano promesso il Paradiso. La mia vita e la verità sull’attentato al Papa”, raccontata al popolo con indubbia perizia con l’aiuto di un esperto ghost writer che conserva l’anonimato.

    Veniamo subito al dunque. La rivelazione centrale sarebbe – finalmente, dopo 32 anni! – quella del vero mandante del tentato assassinio del Papa Giovanni Paolo II, cioè l’Ayatollah Khomeyni!

    Naturalmente il killer aveva rispettato finora un rigoroso segreto su questo mandato. A un’unica persona egli avrebbe detto la verità. A Giovanni Paolo II, nel corso del famoso colloquio nel carcere di Rebibbia, il 27 dicembre 1983. Questo colloquio rappresenta naturalmente uno dei passaggi cruciali del libro, e il dialogo è raccontato con vivacità e dovizia di particolari (pp.161-168). Dopo un primo scambio a proposito del terzo segreto di Fatima, il Papa avrebbe posto esplicitamente la domanda cruciale: “Chi ti ha mandato ad uccidermi?” e davanti al disagio di Agca avrebbe continuato: “Ti dò la mia parola d’onore che quanto mi dirai resterà per sempre un segreto fra me e te”. Ed ecco la risposta sconvolgente che svela “il grande segreto”: “Sono stati Khomeyni e il governo iraniano a ordinarmi di ucciderti”. Una terza parte del dialogo in carcere avrebbe poi riguardato l’invito del Papa ad Agca a convertirsi al cristianesimo, corroborato dal racconto che Agca gli faceva di una sua visione impressionante: “Stavo in croce come fossi Gesù Cristo, ecc. ecc.”.

    Secondo Agca, il Papa ha tenuto fede alla promessa di segretezza, ma egli ora ritiene giunto il tempo di svelare il grande segreto perché, raggiunta il 18 gennaio 2010 la libertà definitiva e rinnegato il fanatismo del “nazifascismo islamico”, di cui era schiavo, può “scrivere la verità sulla sua vita, la verità sull’attentato a Wojtyla, il grande segreto che nessuno ha mai conosciuto”(p.184).

    Questa volta dobbiamo credere ad Agca?

    Penso proprio di no. Mi sono preoccupato di fare le verifiche che mi spettavano più direttamente e che potevo compiere con persone precise dell’ambito vaticano su quanto affermato nel libro.

    Ho incontrato e interrogato il card. Stanislaw Dziwisz su alcuni punti molto concreti. Anzitutto, naturalmente, sul colloquio in carcere fra Giovanni Paolo II ed Agca. Il Segretario di Giovanni Paolo II ha una memoria molto viva, in particolare di tutto ciò che riguarda l’attentato. E non c’è da stupirsene. Ora, il Segretario del Papa era presente al colloquio nella cella, naturalmente con il consenso del Papa e, anche se non vicinissimo, poteva sentire con sicurezza il colloquio. La sua testimonianza è quindi fondamentale. Egli conferma come i due interlocutori abbiano parlato del segreto di Fatima e dell’inspiegabilità della sopravvivenza del Papa, ma nega recisamente e assolutamente che si sia parlato dei mandanti e dell’Ayatollah Khomeyni, e che il Papa abbia invitato l’attentatore a convertirsi al cristianesimo. Nega anche quanto viene detto nel libro su una successiva lettera di Giovanni Paolo II ad Agca per tornare a invitarlo alla conversione (p.176): secondo il Segretario una simile lettera non c’è mai stata.

    Nel libro si parla anche di “diverse lettere dell’allora card. Joseph Ratzinger”, presentate come “lettere spirituali nelle quali dice di pregare assieme al Papa per me, e di pregare anche per la mia conversione” (p.176). Per scrupolo, mi sono preoccupato di sapere oggi dall’”allora card. Ratzinger”, se veramente aveva scritto delle lettere ad Agca. E la risposta è stata molto chiara: che egli aveva sì ricevuto delle lettere da Agca (non bisogna stupirsi, perché molti ne hanno ricevute: anche io!), ma non aveva mai risposto.

    Naturalmente Agca dice di aver stracciato tutte queste lettere papali e cardinalizie perché era “ancora un combattente islamico e non poteva tenere con sé testi simili”. Ma guarda un po’…

    Si potrebbe continuare. Ad esempio, l’Agca del libro lascia intendere alcune volte che in Vaticano si prendesse in considerazione anche la “pista islamica” come spiegazione dell’attentato al Papa. E cita a questo proposito delle presunte dichiarazioni di Joaquin Navarro-Valls, che nel contesto della scomparsa di Emanuela Orlandi nel 1983 avrebbe detto: “Potrebbe trattarsi di fondamentalisti musulmani che si illudono di poter liberare Agca”. Il libro afferma: “Il Vaticano fa vedere di aver capito. C’è il fondamentalismo islamico dietro il rapimento di Emanuela e, dunque, dietro l’attentato a Giovanni Paolo II” (p.153). Ma Navarro-Valls diventerà portavoce solo il 4 dicembre 1984 e nega recisamente di essersi occupato della scomparsa di Emanuela e di aver mai preso in considerazione una “pista islamica” dell’attentato.

    Anche il card. Dziwisz nega risolutamente che in Vaticano si sia considerata come attendibile una “pista islamica”, anzi sembra che proprio non se ne sia praticamente mai parlato. Del resto è del tutto incredibile che, se il Papa ne fosse stato veramente informato e ci avesse creduto, non ne fosse neppure trapelato il minimo sentore.

    Questa vita romanzata di Ali Agca riprende molte cose da lui già scritte in precedenza, conferma la sua politica di depistaggio sistematico degli inquirenti, nega le piste che centravano l’attenzione sull’Est europeo, ma cerca soprattutto di costruire uno scoop internazionale: l’Ayatollah Khomeyni, l’Iran, l’islam “nazifascista”, sono la vera spiegazione della volontà di uccidere il Papa come punto cruciale della guerra finale contro l’odiato occidente cristiano.

    Per parte mia, ho presentato alcuni riscontri negativi precisi sulla base di testimonianze attendibilissime:

    Non è vero che Agca avesse parlato al Papa dell’Ayatollah Khomeyni e dell’Iran come mandante nel corso del colloquio in carcere (e questo è un punto cruciale del libro!).
    Non è vero che in Vaticano si ritenesse fondata una pista islamica.
    Non è vero che Giovanni Paolo II abbia invitato Agca a convertirsi al cristianesimo e gli abbia inviato una lettera in carcere.
    Non è vero che il Card. Ratzinger abbia scritto delle lettere ad Agca.
    Non è vero che Navarro-Valls abbia voluto far riferimento a una pista islamica del caso Orlandi e dell’attentato al Papa.

    Insomma, praticamente tutto quello che era di mia competenza e che ho potuto verificare è falso.

    Le oltre cento versioni dei fatti che finora Agca ha dato e a cui ora si aggiunge quest’ultima sono un po’ troppe perché adesso possiamo credergli.

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    Oggi su l'"Osservatore Romano"

    ◊  Non bisogna separare fede e carità: nel messaggio per la Quaresima il Papa ricorda che tutto parte dall'Amore e tende all'Amore.

    Come un trono porti il sovrano della luce: in prima pagina, Manuel Nin sugli inni alla Vergine nella festa dell'Incontro del Signore.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'acuirsi della tensione nel Vicino Oriente dopo il presunto raid israeliano in Siria.

    Fame di rivoluzione: in cultura, Antonio Paolucci sulla mostra - al San Domenico di Forlì - dedicata all'arte del Ventennio.

    Se è meglio leggere il giornale: Inos Biffi sulla presentazione di Gesù al Tempio nel canto di Paul Claudel.

    Un articolo di Marco Agostini dal titolo "Principe grazie a un quadro": alla scoperta di una basilica vaticana che non c'è più.

    Un mondo cresciuto sulla sabbia: Cristian Martini Grimaldi su individualismo e perdita di sé secondo Catherine Ternynck.

    Calors Alberto Pinho Moreira Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della Cultura, recensisce il libro di Marcello Filotei "La solita 'solfa'. Storia della Cappella musicale pontificia Sistina".

    A Gerusalemme segni di umiltà e pace: nell'informazione religiosa, l'omaggio delle Chiese cristiane al nuovo Patriarca armeno apostolico.

    Una risposta di carità: comunicato finale del Consiglio permanente della Cei.

    Il mensile "donna chiesa mondo" dedicato alla maternità.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: crescono le preoccupazioni di un allargamento della crisi

    ◊  In Siria nuovi scontri, stamani, a Sud di Damasco, dove le forze regolari hanno colpito le roccaforti e le zone controllate dagli insorti. Sul fronte umanitario da segnalare l’ingresso nella zona di Aleppo, controllata dall’opposizione, di cinque membri dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, che hanno portato beni di prima necessità per i profughi. Intanto, cresce la preoccupazione internazionale per il forte rischio di allargamento della crisi. Dopo gli attacchi aerei israeliani vicino Damasco e al confine col Libano, sono arrivate le minacce siriane e iraniane di colpire il territorio israeliano. Ma è possibile un’eventualità del genere? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Marcella Emiliani, esperta di Medio Oriente:

    R. – Direi che il rischio di un attacco siriano ad Israele non è reale. Il presidente Bashar Al Assad è impegnato in ben altre faccende relative alla guerra civile che ha in casa. Le minacce maggiori arrivano, invece, da Hezbollah libanese, che, come si dice, è armato dalla Siria e che potrebbe essere tentato di far precipitare in qualche maniera la situazione, in questo caso, con un’azione concordata con l’Iran, che proprio in questi giorni è di nuovo nel mirino internazionale. Infatti, si sono scoperti nuovi impianti di arricchimento di uranio a Natanz e a livello internazionale la condanna è unanime. Diciamo che l’Iran potrebbe usare la Siria per mettere in secondo piano la situazione del braccio di ferro Stati Uniti e Israele, da una parte, e Iran dall’altra.

    D. - L’eventuale entrata in campo dell’Iran potrebbe, a questo punto, scatenare la reazione della comunità internazionale, Stati Uniti in testa?

    R. – Naturalmente, se l’Iran dovesse agire in prima persona, lanciando un missile su una qualsiasi città israeliana, saremmo alla Terza guerra mondiale... Questo significa che la diplomazia si deve muovere e si deve muovere in fretta. L’unica cosa è che in Iran, a giugno, ci saranno le elezioni presidenziali e Ahmadinejad conclude definitivamente il suo periodo di due anni da capo dello Stato, a meno che con un qualche colpo di mano in parlamento non riesca a strappare un ulteriore periodo di presidenza. Probabilmente la guida suprema Khamenei potrebbe arrivare alla conclusione di non far precipitare la situazione, visto che internamente le cose stanno per rimettersi in moto. Questo però è un ragionamento di buon senso, perché, dal momento che Ahmadinejad non ha più nulla da perdere, potrebbe anche arrivare a conclusioni diverse.

    D. – E poi c’è l’atteggiamento che Israele potrebbe tenere in caso di attacchi sul suo territorio…

    R. – E’ naturale. Tutti si sono meravigliati di questo raid di Israele. Però teniamo conto che la Siria, dal 1970, è il Paese che confina con Israele che ha accumulato la maggior quantità di armi chimiche e biologiche. E’ ovvio che nella totale confusione e diventando sempre più grave questa guerra civile, il pericolo che queste armi chimiche vengano disseminate in tutta l’area, prima di tutto in Libano, è reale. Per cui Israele ha lanciato un monito molto potente; però staremo a vedere quali saranno le conseguenze.

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    Libia, Mons. Martinelli: religiosi costretti da islamisti a lasciare la Cirenaica

    ◊  A circa due anni dallo scoppio della crisi in Libia che ha portato alla destituzione di Gheddafi, ieri una bomba è esplosa contro una stazione di polizia di Bengasi, nell'Est del Paese, senza provocare vittime. E’ il terzo episodio contro poliziotti in due settimane. C’è poi la notizia di due comunità religiose che hanno lasciato la Cirenaica dopo aver subito pressioni dai fondamentalisti. La denuncia, tramite l'agenzia vaticana Fides, è di mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, che parla di “situazione critica” nell'Est della Libia. Il presule è stato raggiunto telefonicamente dalla collega del programma francese Hélène Destombes:

    R. - La presenza delle comunità religiose è sempre stata un punto di riferimento, di dialogo, con la comunità musulmana libica, a partire da Tobruk fino a Bengasi, in particolare in questa regione. Però, in questi ultimi tempi, ci siamo accorti dell’insorgere del fondamentalismo che ha condizionato tutti i rapporti: rapporti sociali, rapporti di lavoro, rapporti anche di amicizia nel mondo arabo musulmano con la Chiesa. In particolare, sorgenti di fondamentalismo sono state rintracciate nella zona di Derna, Beida e ultimamente anche a Barca (Barce El Merg). Queste realtà condizionano certamente l’evoluzione e il rapporto con il mondo musulmano e quindi con la Chiesa. A noi dispiace perché è stato sempre un rapporto proficuo, molto importante, che ci ha aiutato a crescere in comunione con il mondo arabo e musulmano. Adesso purtroppo la situazione sta cambiando. Stiamo a guardare. Vedremo cosa succederà nell’anniversario di questa rivoluzione, tra pochi giorni. Al vescovo di Bengasi, mons. Sylvester Magro, è stato consigliato di lasciare la casa dove abita a Bengasi e di ritirarsi in un ospedale per non subire eventualmente maltrattamenti, ma lui ha chiesto di restare per occuparsi della comunitàcristiana.

    Ma cosa dire della situazione generale della Libia? Fausta Speranza ne ha parlato con il prof. Luciano Bozzo, docente di relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Firenze:

    R. – Si sommano problemi, crisi e conflitti diversi. La Libia – non è scoperta di oggi – è una costruzione politica coloniale, un frutto del colonialismo italiano. Tiene assieme territori molto diversi, come noto: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan, nei quali si muovono, vivono, sono insediate 150 tribù. Naturalmente in questo territorio oltre a quei movimenti di natura in parte anche laica che hanno portato pure in Libia a quel fenomeno che è stato definito più in generale “la Primavera araba”, si è innestato su questo fenomeno, come era da attendersi, un movimento fondamentalista islamico di ispirazione salafita, qaedista, comunque jihadista. La situazione, poi, è molto confusa perché in realtà il Paese, dal punto di vista del controllo del territorio, è frazionato: non esiste un’autorità centrale a Tripoli che possa vantare l’effettivo controllo del territorio. E quindi si tratta di vedere chi riuscirà tra questi diversi gruppi, movimenti ad assumere la leadership. Ma credo di poter dire che sarà molto difficile nei prossimi anni, per non dire nei prossimi decenni, prevedere un ristabilimento della Libia simile a quello che conoscevamo, proprio perché non mi pare che vi siano un movimento o un leader in grado di imporre il controllo dell’intero territorio e che, soprattutto, abbia i mezzi e il sostegno per farlo.

    D. – Che dire degli equilibri regionali? Abbiamo visto quanto è successo in Algeria, legato all’operazione francese in Mali, quindi anche la connessione tra forze integraliste di diversi Paesi. Che dire a questo proposito della Libia?

    R. – Io credo che la situazione nell’intero scacchiere regionale sia molto preoccupante. L’episodio in particolare avvenuto in Algeria, cioè la strage all’impianto petrolifero della Bp, mi sembra che ne sia soltanto l’ennesima testimonianza. In realtà, quello che sta accadendo in Mali, nel territorio meridionale dell’Algeria – sebbene in scala più limitata – si inserisce, appunto, in un contesto caratterizzato dal fatto che noi, in realtà, ci troviamo di fronte al progressivo estendersi di una fascia di crisi che si allunga dalla Mauritania, o addirittura dal Sahara occidentale, attraverso il Mali, il Niger e il Ciad fino al Sudan e all’Eritrea. Questa fascia si allunga dall’Oceano atlantico fino praticamente al Mar Rosso, senza soluzione di continuità, perché basta aprire una carta geografica per rendersi conto che molti dei confini tra i Paesi che ho citato non sono altro che linee rette tracciate sulla sabbia. In questa fascia, appunto, si stanno diffondendo movimenti qaedisti e jihadisti, che tra l’altro si stanno saldando con preesistenti movimenti di natura “nazionalista”, movimenti di liberazione nazionale come quello storico laico dei Tuareg. E’ questo il caso del Mali. Gruppi simili trovano naturalmente molto semplice spostarsi in un territorio vasto, desertico dove i confini sono molto spesso fittizi e trovano facile innestarsi su rivendicazioni locali di lunga data, che si collegano poi anche a movimenti analoghi in Paesi vicini alla fascia che ho citato: la ricordata Algeria ma anche il Nord della Nigeria, con Boko Haram.

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    Guatemala a rischio fame. I vescovi: cambiare modelli di sviluppo

    ◊  C’è una terribile crisi alimentare di cui è oggi vittima il Guatemala è tale crisi è un effetto della mancata riforma agraria. A sostenerlo è il collega della Radio Vaticana, Luis Badilla, esperto di America Latina. In un Paese che è corridoio fondamentale per i flussi migratori illegali e il traffico di droga, i vescovi criticano il parlamento guatemalteco per non aver approvato la legge sullo sviluppo rurale – settore rimasto a un sistema di tipo “feudale” – e chiedono allo Stato di utilizzare gli investimenti delle multinazionali estere per il bene comune. Le considerazioni di Luis Badilla nell'intervista di Fabio Colagrande:

    R. – I vescovi tornano sulla questione, la mettono al centro dicendo che occorre cambiare il modello di sviluppo del Paese, per un modello che sia più equo e nel quale lo Stato dimostri la sua capacità di usare gli investimenti privati per il bene comune. Qui c’è il nocciolo di questo documento: nel Paese c’è molta ricchezza, molti investimenti esteri – soprattutto da parte delle multinazionali europee e statunitensi nel campo dell’agro business – però, questi investimenti e queste attività economiche, praticamente, entrano e si portano via tutto. C’è una statistica che dice che, nel caso del Guatemala, per ogni dollaro che entra come investimento estero, se ne portano via dal Paese 24. Questo significa che si tratta di un Paese che viene periodicamente, in modo costante, derubato della sua ricchezza fondamentale che è la terra. Tra l’altro, è in buona parte in mano ad una classe sociale che vive in condizioni di schiavitù, mi riferisco alla maggioranza della popolazione guatemalteca che è una popolazione aborigena.

    D. – Che cosa significa che vive in condizioni di schiavitù?

    R. – Che deve sottostare alle regole di un sistema agrario di tipo feudale: come si comportavano con i contadini nel periodo medioevale. Praticamente, si deve lavorare la terra gratis, in cambio di una parte del raccolto per sopravvivere: o non prendono stipendio, o prendono uno stipendio bassissimo e non hanno assistenza medica. Per esempio, l’elenco che fanno i vescovi in questo documento - per quanto riguarda le emergenze del Paese - è terribile. I vescovi scrivono e cito testualmente: rischiano costantemente di perdere la vita e di essere derubati, poi c’è la disoccupazione, soffrire di qualche malattia senza poterla curare, perdere i figli che hanno preso una brutta strada. C’è una violenza imperante – aggiungono – che provoca anche una reazione violenta e nel frattempo lo Stato non si muove. C’è un appello specifico al governo per rinforzare i processi democratici e togliere ogni sospetto sulla possibilità che diventi un esecutivo militarista – perché è questo quello che sta succedendo in Guatemala – tra l’altro, il presidente è un ex generale eletto con il sostegno di una parte della destra anti democratica del Guatemala. Allora, c’è una preoccupazione che, come risposta a questa crisi, venga fuori quello che purtroppo storicamente è venuto fuori in Guatemala: il militarismo.

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    Mons. Crociata: non voto apporto negativo, attenzione a famiglia e lavoro

    ◊  La risposta di carità della comunità cristiana di fronte alle crisi, l’appello contro l’astensionismo alle prossime elezioni, la difesa della famiglia: sono i temi forti della conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana, svoltosi dal 28 al 30 gennaio. Ad intervenire, il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata che ha sottolineato anche l’importanza di un profilo più missionario delle parrocchie. Il servizio di Debora Donnini:

    E’ il buon Samaritano l’immagine che questa sessione del Consiglio episcopale permanente della Cei usa per descrivere la Chiesa “attenta a farsi carico delle necessità della gente”, dice il comunicato finale. Gli effetti della crisi economica, il dramma della disoccupazione specie giovanile, l’indigenza, sono temi che stanno a cuore ai vescovi. Sul fronte politico, chiedono infatti che ”scongiurato il baratro”, i sacrifici affrontati aprano ad un “improcrastinabile rilancio”. Da qui l'apprezzamento per quanti, ''aziende e dipendenti accettano forme di solidarietà volte ad aiutarsi reciprocamente. Tale generosità - avvertono i vescovi – non può però distogliere chi ha precise responsabilità”, a partire dall'ente pubblico, in termini di sprechi di denaro e di risorse. La prospettiva, però, è più ampia, perché si tratta di rilanciare la proposta cristiana, con la sua visione antropologica, da cui nasce la difesa della famiglia, “capitale impagabile”, e il richiamo ad uno Stato che non sia “groviglio di interessi” ma “rete di relazioni”, e ad un'Unione Europea che non poggi "semplicemente sull’unità economica e politica”. Lo sguardo dei vescovi è, quindi, rivolto alle prossime elezioni del 24 e 25 febbraio, con una forte esortazione a partecipare al voto. Mons. Crociata:

    “La non partecipazione è sempre già un apporto negativo: indebolisce, se possibile fa crescere le forze negative nei confronti della ricerca del bene comune. Bisogna superare allergie ed insoddisfazioni anche profonde”.

    Quindi i vescovi hanno ribadito che “le iniziative introdotte a caro prezzo dal governo per ridare affidabilità” al Paese devono essere “la base per un rilancio indifferibile”. Nel decidere a chi dare il voto, sottolinea mons. Crociata, i cattolici debbono tenere ben presenti i "valori non negoziabili" e su questa base scegliere il meglio possibile concretamente, "senza farsi ingannare dagli imbonitori” che propongono soluzioni facili, ma valutando il quadro complessivo:

    “L’invito, dunque, è ad avere questa visione di società, di bene comune che guardi alla crescita: alla crescita economica, al rilancio, ed alla crescita di tutte le dimensioni della persona e della società, tenendo fermo ciò che è imprescindibile. Senza quell’imprescindibile non c’è altro bene che possa essere promosso, perché è una promessa illusoria di bene senza quel bene fondante.

    Al centro della riflessione dei vescovi anche l’esortazione ad un profilo più missionario delle parrocchie, con la necessità di annunciare Gesù Cristo, e la catechesi come “via di riscoperta dell’identità cristiana”. E ancora la preparazione dei seminaristi e la formazione permanente dei sacerdoti hanno portato a fissare un’Assemblea generale straordinaria dedicata a questi argomenti per il novembre 2014. Il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, è stato poi nominato presidente del Comitato per il Progetto culturale della Cei. Il porporato prende dunque il posto del cardinale Camillo Ruini, suo predecessore. Ancora, approvata la Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori, avvertiti come percorso privilegiato per la trasmissione della fede. Una riflessione è stata dedicata anche all’Imu: il Consiglio permanente “verificato che in questo campo alcune questioni rimangono aperte”, ribadisce di non volere difendere privilegi, ma vedere riconosciuto il valore sociale delle attività svolte da enti no profit, tra i quali quelli ecclesiastici. “Abbiamo sempre detto che la Chiesa paga le tasse e le ha sempre pagate” , ha detto in conferenza stampa mons. Crociata rispondendo ad una domanda di un giornalista. “Come sempre, rispetteremo la nuova normativa”, ha assicurato, precisando però che quando i vescovi sottolineano il “valore sociale”, si riferiscono alla necessità di “garantire il servizio svolto da tanti nostri enti ecclesiastici che svolgono attività non di tipo commerciale”.

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    Nuovo record della disoccupazione in Italia, laureati con meno aspettative

    ◊  Non conosce ostacoli l’aumento della disoccupazione in Italia. A dicembre 2012, il numero dei senza lavoro è stato a 2 milioni 875 mila, in lieve aumento. In un anno, si sono persi 470 mila posti. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    La crescita dei senza lavoro è il riflesso più evidente della crisi. A dicembre il tasso di disoccupazione è salito all'11,2%, il livello più alto dal primo trimestre del 1999. La rilevazione è dell'Istat che sottolinea come il tasso sia cresciuto dello 0,1% rispetto a novembre e di 1,8 punti nei dodici mesi. Insomma, l’emorragia di posti è lenta ma costante e per ora non si vede un’inversione di tendenza. Il dato italiano comunque è inferiore è quello europeo, che fa registrare una disoccupazione all’11.7%, stabile rispetto a un mese fa. A livello nazionale scende invece, seppur di poco, il numero dei giovani inoccupati: dal 36.8 di novembre al 36.6 di dicembre. Numeri elevati che sembrano scoraggiare tanti giovani dall’iscriversi all’Università. In dieci anni, infatti, ci sono state 50 mila iscrizioni in meno. Va però fatto notare che la situazione è differente a livello territoriale e vi sono Università come la Cattolica di Milano che continuano a vedere nuovi iscritti. A cambiare negli anni sono state sicuramente le aspettative dei laureati, come dice Giancarlo Rovati, direttore del Dipartimento di Sociologia:

    “Forse, sono anche le aspettative eccessivamente alte degli studenti che possono creare dei problemi di scoraggiamento. Quando 30 anni fa ci si laureava, il numero dei laureati era assolutamente più ridotto e soprattutto le prospettive di carriera erano più immediate. Oggi, molte aziende assumono laureati per svolgere mansioni che un tempo svolgevano i diplomati”.

    A cinque anni dal titolo di studio, un laureato oggi guadagna in media 1250 euro al mese.

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    Il neopresidente di Confocooperative, Gardini: oltre all'austerità, serve sviluppo

    ◊  Accrescere "il grado di internazionalizzazione" delle cooperative associate, mantendo l'attenzione sulle Pmi. E' questo uno dei primi obiettivi del neopresidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, sottolineando che il nuovo governo dovrà continuare "l'impegno sul tema della tutela dei marchi industriali e di prodotto e riappropriarsi della domanda "made in Italy". Per Gardini è urgente rilanciare lo sviluppo. Sentiamolo al microfono di Alessandro Guarasci:

    R. – Non nascondiamo una preoccupazione per la tenuta di alcuni settori – il settore immobiliare è in grande difficoltà – anche se abbiamo alcuni settori che stanno bene, stanno tenendo bene, sono in controtendenza e ci consentono, complessivamente, di avere nella media ancora dati buoni. L’accesso al credito è problematico: oggi è l’emergenza numero uno, che diventa drammatico e ancora più drammatico al Sud, dove il denaro costa da 2 a 3 punti in più rispetto al Nord. A questo si aggiunge il ritardo sui pagamenti da parte della pubblica amministrazione: un ritardo che per la cooperazione italiana vale 20 miliardi di euro.

    D. – Voi avete creato posti di lavoro anche nel 2012: come pensate nel 2013 di continuare questa tendenza?

    R. – Se non cambiasse nulla e se ci fosse solamente la politica del rigore, senza misure per lo sviluppo in atto, difficilmente vedrei la possibilità di essere reattivi, la possibilità di crescere. Non si può pensare di dilatare la spesa pubblica, perché ci sono impegni ben precisi; ma occorre che sullo sviluppo ci siano misure concrete.

    D. - Lei continuerà con l’impegno nel Forum di Todi?

    R. – Penso che questo non sia in discussione! Ci sarà la necessità di una pausa di meditazione: sono cambiati tre presidenti su sette … Questo era un progetto che nasceva non finalizzato ad un appuntamento politico, ma finalizzato ad appuntamenti di più ampio respiro.

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    Dall'Ue 100 milioni di euro per riqualificare il patrimonio archeologico di Pompei

    ◊  “Dall’Unione Europea in arrivo oltre cento milioni di euro per riqualificare il patrimonio archeologico di Pompei”: lo ha annunciato ieri il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Sempre ieri, si sono chiuse le “primarie della cultura” organizzate dai giovani del Fai, il Fondo ambiente italiano: l’aumento degli stanziamenti pubblici per il mantenimento del patrimonio storico artistico, la richiesta più votata. Lorenzo Pirovano ne ha parlato Sofia Bosco, direttrice rapporti istituzionali del Fondo Ambiente Italiano:

    R. – Con fondi di questa portata, si riuscirebbe sicuramente a fare un intervento robusto su Pompei che inverta la tendenza. Questa è la grande sfida che noi vediamo per Pompei: non solo l’intervento di restauro fisico, statico, di quello che c’è, ma la possibilità di impiantare "ex novo" un sistema di gestione del sito che permetta la sua corretta fruizione, conservazione nel tempo, proprio perché non dobbiamo intervenire con piccoli fondi a fare da tappabuchi, come si è fatto forse fino adesso, ma avendo davanti, nel tempo, i mezzi necessari perché si possa effettivamente programmare una corretta gestione.

    D. – Perché c’è voluto così tanto tempo per intervenire?

    R. – Noi stiamo scontando 20 anni di tagli alla cultura, fondi che vengono dati a pioggia, oppure annunciati e non concessi perché, con i vari tagli che ha subito, questo Ministero li ha decurtati. Siamo arrivati al capolinea. Vediamo il degrado che c’è in atto a Pompei, ma che possiamo estendere a tutto il territorio italiano. Deve essere un Ministero molto più snello, molto più rapido, con figure professionali molto più adatte a quello che i tempi richiedono. Si deve tornare a creare lavoro in questo settore. Si deve poter contare su cifre sicure, che ti permettano una programmazione a tre-cinque anni, altrimenti non si va da nessuna parte.

    D. – Credete davvero in un rilancio degli stanziamenti pubblici per il patrimonio storico-artistico del nostro Paese?

    R. – Noi lo crediamo veramente. Tanti Paesi europei, che hanno un quarto di quello che abbiamo noi, nella cultura in generale stanziano cinque volte tanto. Chi sta nel teatro, chi sta nell’editoria, chi si occupa di cinema, chi si occupa d’insegnamento nelle Università, chi lavora sui cantieri per strada nell’archeologia, chi gestisce musei, chi organizza mostre, pretende anche lì di avere una dotazione economica dignitosa. Non si può più vivere di elemosine o comunque di "contentini" ogni tanto. E’ utile ricordare come altri Paesi, un po’ più lungimiranti di noi, in momenti di grande crisi non abbiano esitato un minuto a investire fortemente in primo luogo nella cultura, sapendo che da lì ripartivano i saperi, l’entusiasmo, la formazione di tutta la popolazione. Queste primarie della cultura sono state proposte al Fai dai gruppi giovani della Fondazione che, volendo suscitare un dibattito che parlasse anche di temi che riguardano la quotidianità di tutti noi, hanno inventato questa maniera di creare nella Rete una consultazione popolare. ciò ha portato a questi risultati e ha potuto individuare i cinque temi, che moltissimi italiani hanno votato. Sono stati più di 100 mila i voti che abbiamo ricevuto in 20 giorni. Gli italiani hanno così dato un’indicazione ai politici, che governeranno questo Paese in futuro, per sapere su quali temi agire.

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    "Gesù nel fratello" al centro del Convegno dei vescovi "amici del Movimento dei Focolari"

    ◊  Si è concluso ieri, a Roma, il consueto raduno tra i vescovi "amici del Movimento dei Focolari" d’inizio anno che, questa volta, si moltiplicherà in diverse regioni del mondo tra cui Libano, Corea del Sud, Camerun, Madagascar, Stati Uniti, Brasile e Germania. Una trentina i vescovi partecipanti che mercoledì scorso, all’udienza generale, hanno ricevuto il saluto e l’incoraggiamento di Benedetto XVI. Oltre all’approfondimento del tema centrale, “Gesù nel fratello”, nelle giornate d’incontro hanno trovato spazio riflessioni e confronto sulla nuova evangelizzazione e la spiritualità di comunione nell’oggi della Chiesa e del mondo, la sfida della sinodalità ecclesiale, la storia dei Focolari in relazione al Concilio Vaticano II. Adriana Masotti ha chiesto un commento a due dei presuli presenti: mons. Francisco Perez Gonzalez, arcivescovo di Pamplona e Tudela, in Spagna, e mons. Anton Cosa, Vescovo di Chisinau, nella Repubblica di Moldova. Ecco le loro riflessioni:

    R. – Come ci dice la Parola di Dio anche i demoni hanno la fede ma non hanno la carità. La fede senza la carità non serve a niente, le due cose devono andare insieme, tanta fede quanta carità. Per questo io mi sono chiesto: come posso vivere la fede? E subito dopo: come vivo la carità verso gli altri, con i miei preti, con i fedeli, nelle visite pastorali, nei rapporti personali, nei rapporti comunitari? Vivendo la carità, per amore di Dio, uno crede, perché la fede non è teorica, la fede è credere nell’amore di Dio e metterlo in pratica.

    D. – Il Papa nel saluto all’udienza a voi vescovi ha detto che auspica che il carisma dell’unità a cui fate riferimento vi possa aiutare nel vostro ministero apostolico. Questo carisma dell’unità in che modo aiuta lei in questo?
    R. – La mia diocesi è una diocesi di 700mila abitanti e ci sono diverse tradizioni, anche due lingue, lo spagnolo e il basco. La realtà a volte è stata molto dura. Adesso sembra ci sia un punto di speranza, che l’Eta lasci veramente le armi, che lasci tutto per cominciare un periodo di pace. Adesso bisogna ricostruire quello che c’è da ricostruire di umanità, di unità, di fratellanza e per questo bisogna anche mettersi nella linea di quello che dice Gesù. Dobbiamo chiedere perdono e pentirci del male che si è fatto e, poi, andare avanti. Speriamo che questo si faccia. Dico sempre che la pedagogia della Chiesa, cioè riconoscere il peccato, pentirsi, chiedere perdono e non commettere più il male, è la pedagogia migliore, la pedagogia che ci manifesta il Vangelo e che ci manifesta Gesù.

    La testimonianza di mons. Anton Cosa, sempre al microfono di Adriana Masotti:

    R. - Ormai sono vescovo da 13 anni e durante questi anni mi sono molto avvicinato a questo carisma dell’unità di Chiara Lubich. Mi sento molto confortato nel mio essere e nel mio lavoro di vescovo, perché Chiara ci ha insegnato ad essere vescovi mariani, cioè vescovi che seguendo Maria, seguendo la sua donazione, la sua umiltà si aprono a tutto il mondo. Io sono l’unico vescovo in tutto il mio Paese, però la spiritualità di unità che noi accogliamo e riconfermiamo ogni anno, ogni volta che ci raduniamo insieme, ci dà la certezza che anche se siamo lontani non siamo mai soli, perché viviamo l’unità anche a distanza. E il Vangelo dice che dove due o tre sono radunati nel suo nome, lì c’è Gesù.

    D. - Che cosa vuol dire lavorare per l’unità nella sua diocesi?

    R. - È una grande sfida, perché i cattolici in questa terra moldava sono una piccola diaspora, cioè siamo pochissimi in rapporto alla maggioranza ortodossa - siamo circa 20 mila cattolici - e oltre a questo siamo anche molto diversi, di varie lingue, culture e appartenenze etniche. Creare unità non è facile, però all’interno di tutto questo il vescovo ha il suo ruolo e io cerco di essere quel punto di riferimento: offro e chiedo a tutti una massima apertura partendo dalla mia testimonianza.

    D. - Al centro dell’incontro di questi giorni, c’è stata la riflessione sul tema che il Movimento dei Focolari ha scelto quest’anno di approfondire: l’amore al fratello. Che cosa ci vuol dire su questo?

    R. – Il fratello, potremmo anche dire, è l’altro dà a me, un altro me ….. io ho capito che non esiste un’altra via per evangelizzare, per creare ponti, per offrire speranza. Vivere accanto al fratello che il Signore ci mette vicino è una sfida ma ogni fratello che tu incontri, ogni fratello che hai ascoltato è un modo per vivere il Vangelo, è un atto di fede. E’ quello che ci chiede anche quest’Anno della Fede, cioè far crescere la nostra fede, però senza carità non c’è la fede. Prima dobbiamo credere che Lui ci ha amati e poi noi dobbiamo fare il nostro passo. Io come vescovo non potrei essere più in grado di servire la Chiesa e di compiere il mio ministero se non andando su questa via: la via del fratello.

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    Roma, chiuso il ciclo delle letture teologiche sul Vaticano II

    ◊  Riscoprire i frutti dottrinali che nascono dai documenti del Concilio, non come storia passata, ma verità attuale su cui riflettere. Questo il bilancio delle tre letture teologiche che si sono concluse ieri sera a Roma nella sala della Conciliazione del Palazzo Lateranenese. Tema dell’ultima serata “La Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes”. Il servizio di Marina Tomarro:

    E’ l’uomo al centro della Gaudium et spes, che riceve attraverso Cristo Uomo nuovo la verità della grandezza nella sua dignità personale. E l’amore diventa fondamento della sua vita, perché solo amando i fratelli si può camminare sulle vie della verità. L’arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia:

    “E’ bello accogliere l’eredità del Concilio nella Gaudium et spes, partendo dalla fraternità che supera lo stesso concetto di solidarietà: perché la fraternità comporta una correlazione alla filiazione divina, Gesù, e alla paternità divina, il Padre del Cielo. In Cristo, centro della storia, possiamo veramente recuperare la bellezza di essere figli dello stesso Padre nel Figlio e di essere aperti a quella fraternità che diventa spazio per superare l’estraneità dell’egoismo e per immergerci in quella fiducia bella che ci fa dire: per capire l’uomo bisogna andare a Cristo, è Cristo che spiega l’uomo non è l’uomo che spiega Cristo”.

    E la Costituzione pastorale Gaudium et spes ha concluso il ciclo delle letture teologiche sui documenti del Concilio Vaticano II. Ascoltiamo un bilancio di questa edizione da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale Italiana, che ha moderato gli incontri:

    “Si è trattato di tre tornate di riflessione su documenti centrali, non sono documenti da collocare in uno scaffale ma di animazione della vita. Questa è la finalità degli stessi incontri: cioè, un invito alla lettura e a un contributo personale. Le prospettive aperte dai relatori sono solamente l’inizio di un percorso, sono un invito a riprendere questi documenti, a leggerli, ma ancor di più, ciascuno nella sua porzione di responsabilità e di funzione, a concorrere a dare attuazione ad essi. Sono un ponte verso il futuro”.

    E in questi documenti emerge una nuova centralità dell’uomo. Lo afferma il vicario della diocesi di Roma, il cardinale Agostino Vallini:

    “L’uomo e Dio sono al centro, nel senso che una espressione di fede dell’uomo credente è proprio quella di riconoscersi, di ritrovarsi, di riscoprirsi frutto di un progetto di amore che viene da Dio. Per esempio, si è discusso di una vera antropologia a partire dalla paternità di Dio, alla fraternità tra gli uomini. Questo dice che effettivamente l’impoverimento di questo nostro tempo è legato proprio a questa perdita di attenzione al mistero dell’uomo nel mistero di Dio”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Lettera dell’arcivescovo di Los Angeles su abusi sessuali nella diocesi

    ◊  L’arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gomez, ha deciso di rendere subito pubblici tutti i dossier segreti riguardanti sacerdoti dell’arcidiocesi implicati in abusi su minori. Contestualmente, il presule ha esonerato da ogni incarico il suo predecessore, il cardinale Roger Mahony e ha accettato la richiesta del vescovo ausiliare, mons. Thomas Curry, di essere sollevato dalle sue responsabilità come vescovo regionale di Santa Barbara. La decisione viene dopo le risultanze della maxi-inchiesta su circa 500 casi di molestie che ha portato la diocesi più grande degli Stati Uniti a patteggiare 660 milioni di dollari di risarcimento alle vittime. Dal procedimento penale sono emersi documenti compromettenti risalenti alla fine degli anni ’80 che confermano le responsabilità dell’arcivescovo emerito di Los Angeles e di mons. Curry per avere protetto i molestatori dall’azione della giustizia. Coperture per le quali sia il cardinale Mahony, sia mons. Curry hanno espresso in queste settimane le loro scuse. Mons. Gomez intende fare completa chiarezza pubblicando tutti i dossier non ancora pubblici. Il fatto che si riferiscano a fatti avvenuti tanto tempo fa - si legge in un messaggio diffuso ieri - “non li rende meno gravi”. Si tratta, infatti, di documenti sconvolgenti dai quali emergono comportamenti per i quali “non c’è alcuna scusa”. “Dobbiamo riconoscere oggi questo terribile fallimento", scrive l’arcivescovo di Los Angeles. Dobbiamo pregare per tutti coloro che sono stati "feriti da esponenti della Chiesa e continuare a sostenere il lungo e doloroso processo di risanamento delle ferite e di recupero della fiducia tradita". Mons. Gomez è consapevole che “non è possibile cancellare gli errori commessi nel passato”. Leggere questi rapporti e riflettere sulle ferite causate, afferma, “è stata l’esperienza più triste da quando sono diventato il vostro arcivescovo nel 2011”. Di qui i provvedimenti presi a carico del cardinale Mahony e del vescovo Curry. Il messaggio di mons. Gomez continua rivolgendosi personalmente alle vittime: “Voglio aiutarvi nella vostra guarigione”. “Sono profondamente dispiaciuto per i peccati commessi contro di voi”. Poi l’arcivescovo si rivolge ai cattolici di Los Angeles con una promessa: “Continueremo, come abbiamo fatto per molti anni, a riferire immediatamente ogni accusa accertata di abuso alle autorità incaricate perché sia applicata la legge e rimuoveremo coloro che sono accusati”. “Continueremo a lavorare, ogni giorno, per fare in modo che i nostri figli siano al sicuro, amati e curati nelle nostre parrocchie, nelle scuole e in ogni ministero nell’arcidiocesi”. (L.Z.)

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    Appello Caritas: in Siria situazione gravissima, mancano cibo e acqua

    ◊  In Siria la situazione umanitaria è sempre più preoccupante e si teme anche un allargamento del conflitto ad altri Stati. I morti sono più di 60 mila, centinaia di migliaia i rifugiati, 2.5 milioni di persone hanno bisogno di aiuti. C’è carenza di cibo, acqua potabile e cure sanitarie. Lo ricorda Caritas italiana, che ha già inviato un primo contributo a Caritas Siria e alle altre Caritas impegnate nell’accoglienza dei profughi. Le Caritas di Siria, Libano, Giordania e Turchia forniscono aiuti ad oltre 100 mila persone. Soprattutto all'interno della Siria – ricorda all'agenzia Sir - si continua a lavorare fra grandi difficoltà e pericoli. “Stiamo coordinando gli aiuti per decine di migliaia di persone a Damasco, Aleppo, Homs e Hassakeh - dice il presidente di Caritas Siria, mons. Antoine Audo - ma i bisogni aumentano di giorno in giorno”. In Libano, nella valle della Bekaa e a Beirut, la Caritas aiuta 40 mila persone, di cui la metà sono bambini. Sono state anche allestite due cliniche mobili. Caritas Turchia sta aiutando 2 mila famiglie con generi di prima necessità ed ha attivato servizi per cure sanitarie e assistenza psicologica. In Giordania la Caritas si sta prendendo cura di 60 mila persone ad Amman, Irbid, Zarqa, Madaba e Mafraq. Fornisce aiuti alimentari, coperte, stufe. Prevede di aiutare altre 25 mila persone. La Caritas italiana rilancia l’appello per poter far fronte alle nuove richieste di aiuto. Per maggiori informazioni: www.caritasitaliana.it (A.L.)

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    Amnesty International: in Mali gravi violazioni dei diritti umani

    ◊  “Tutte le parti coinvolte nel conflitto in Mali stanno mettendo a rischio la popolazione civile”: lo denuncia Amnesty international al termine di una missione di dieci giorni nel Paese africano. Secondo le ricerche effettuate sul campo, le forze armate del Mali “hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, tra cui esecuzioni extragiudiziali di civili”. Stesso giudizio – sottolinea l'agenzia Sir - nei confronti dei gruppi armati islamisti, “responsabili di uccisioni e del reclutamento di bambini soldato”. Inoltre, almeno cinque civili, tra cui tre bambini, sono stati uccisi in un attacco aereo eseguito nell’ambito dell’operazione congiunta tra Francia e forze armate del Mali per fermare l’offensiva dei gruppi armati islamisti. “Mentre continuano i combattimenti - ha dichiarato Gaetan Mootoo, ricercatore di Amnesty sul Mali - tutte le parti coinvolte devono garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario, assicurando in particolare che i prigionieri siano trattati in modo umano e che vengano prese tutte le precauzioni per ridurre al minimo i danni ai civili”. “Chiediamo alle autorità – aggiunge Gaetan Mootoo - di avviare immediatamente un’inchiesta indipendente e imparziale su tutte le notizie di esecuzioni extragiudiziali da parte delle forze armate e di sospendere dal servizio chiunque sia sospettato di aver preso parte a violazioni dei diritti umani”. (A.L.)

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    Giordania: 50 mila bambini lavoratori sfruttati e sottopagati

    ◊  In Giordania, a causa della povertà, tanti minori sono costretti a lavorare per poter sopravvivere. Secondo l’ultimo censimento, la forza lavoro totale nel Paese conta 1 milione e 200 mila persone. Tra queste, 33 mila sono bambini. Altre cifre parlano di oltre 50 mila piccoli lavoratori. Nelle relazioni redatte dagli attivisti per la tutela dei diritti umani e dai sindacati si parla di maltrattamenti fisici, psicologici e di abusi sessuali. A questo drammatico scenario si devono aggiungere condizioni di lavoro disumane. In molti casi, i bambini sono sottopagati e spesso costretti a svolgere lavori faticosi. La legge giordana è conforme alle convenzioni internazionali in materia di lavoro minorile che prevedono multe pecuniarie e pene detentive. Tuttavia queste leggi - ricorda l’agenzia Fides - non vengono applicate. Spesso gli ispettori del ministero del lavoro locale tollerano le irregolarità perché la maggior parte di questi bambini ha disperato bisogno di lavorare per vivere. (A.L.)

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    Colombia: a rischio i negoziati di pace tra governo e Farc

    ◊  Quattro soldati uccisi e due agenti di polizia sequestrati. E’ il bilancio di nuovi episodi di violenza avvenuti in Colombia, dopo la fine del “cessate il fuoco”, proclamato a novembre e sospeso il 20 gennaio dalle Forze armate rivoluzionarie (Farc). Secondo diversi osservatori, sono a rischio i round di negoziati con il governo, in corso a L’Avana. Mons. Hector Gutierrez Pabon, vescovo di Engativá e segretario della Commissione per le Comunicazioni della Conferenza Episcopale, sottolinea che la notizia di nuove violenze e sequestri è “estremamente sconcertante perché in questo momento tutti i colombiani, dopo molti sforzi, vivono uno spirito di pace, armonia e riconciliazione”. Non conta dire come fanno le Farc – aggiunge il presule all’agenzia Fides - che i rapimenti non coinvolgono i civili ma poliziotti e militari. Con tali azioni, spiega mons. Hector Gutierrez Pabon, si danneggiano i diritti umani e "si affossa ogni speranza di pace". Soffermandosi sul futuro dei negoziati tra governo e guerriglia, il presule invita infine le Farc a confrontarsi con elezioni democratiche: “Se veramente hanno proposte valide per governare un Paese così difficile come il nostro, allora devono entrare in un contesto di politica democratica e partecipare alle elezioni”. (A.L.)

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    Pakistan: cristiani uniti nel proclamare il Regno di Dio

    ◊  Lavorare insieme nella proclamazione del Regno di Dio. E’ la meta fissata in una dichiarazione congiunta dei leader delle quattro chiese cristiane ufficialmente riconosciute in Pakistan: Chiesa cattolica, Chiesa Presbiteriana, Esercito della Salvezza e Chiesa anglicana. Nel documento, ripreso dall’agenzia Fides, si rinnova l’esortazione a concentrasi “sulle cose che uniscono, evitando quelle che dividono”, a continuare a incontrarsi e a pregare insieme. Per padre Francis Nadeem, Coordinatore del “Consiglio per il dialogo interreligioso” e del “Comitato di Solidarietà Ecumenica” di Lahore, si tratta di un autentico “piano d’azione per l’unità”. “Se, come cristiani in Pakistan - spiega - vogliamo essere forti e significativi, dobbiamo restare uniti”. “La solidarietà ecumenica fra i cristiani del Pakistan – sottolinea padre Nadeem - contribuisce alla prosperità, al progresso e alla pace nella nazione, ma rafforza anche la fede e l’identità delle nostre comunità”. Durante la recente Settimana per l’Unità dei Cristiani, tenutasi dal 18 al 25 gennaio scorsi, sono stati organizzati diversi incontri. L’amministratore apostolico di Lahore, mons. Sebastian Francis Shaw, ha ricordato che la solidarietà e l’ecumenismo non sono solo “impegno di una Settimana l’anno”, ma “parte integrante della attività delle Chiese”, che restano “unite da una sola fede”. Il presule ha definito la spirito ecumenico “essenziale” per tutto l'Anno della Fede, notando che “la solidarietà fra cristiani deve essere visibile in Pakistan”. Tutti i leader delle Chiese hanno ribadito l’impegno a rendere consapevoli le rispettive comunità dell'importanza dell’armonia, ricordando il concetto trinitario di “unità nella diversità”. (A.L.)

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    I vescovi del Perù: proclamare la fede altrimenti l'uomo si smarrisce

    ◊  “Siamo immersi in una crisi di fede che non solo intralcia la soluzione dei problemi umani, ma li aggrava. Senza fede e senza Dio, l’uomo perde la verità su se stesso, sulla vera dignità, vocazione e missione”. I vescovi del Perù, alla fine dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale, hanno pubblicato un messaggio dal titolo “Perù vivi la tua fede”, ispirato all’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI. La proclamazione della fede per i vescovi peruviani è tanto urgente quanto necessaria di fronte alla crescente globalizzazione che facilita – scrivono – la diffusione di “idee, esperienze e comportamenti che purtroppo considerano ‘normale’ prescindere da Dio e dalla sua manifestazione in Cristo per definire la vita personale e l’organizzazione della società”. Anzi, aggiungono, “ci sono persone che non solo disconoscono o mettono in dubbio Dio ma lo rifiutano”. Nel messaggio, l’episcopato avverte che “noi stessi, discepoli del Signore, anche se – come affermato da Lui – non siamo del mondo, solo per il fatto di vivere nel mondo possiamo essere influenzati dall’ambiente di poca fede che ci avvolge”. Di conseguenza, i vescovi esortano i fedeli ad accogliere la proposta dell’Anno della Fede come un invito a un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Il documento dell’episcopato peruviano ricorda che senza Dio il mondo non sarà la “casa della famiglia umana, ma una materia da usare senza senso né controllo, mentre gli altri non saranno visti come fratelli con cui condividere la vita e i beni”. Questi atteggiamenti di indifferenza “sono un problema”, affermano i vescovi peruviani, che indicano altri mali come la gelosia, le invidie, la concorrenza sleale, le calunnie, la corruzione, le ingiustizie, l’abuso di potere, la violenza contro i poveri, i sequestri, gli omicidi, l’aborto e un lungo elenco di calamità familiari, nazionali e internazionali. Come risposta, i vescovi chiamano a riscoprire il dono prezioso della fede, dono di Dio che ci ama, perche “una società che governa, giudica, educa e agisce in accordo con la volontà del Creatore è una società con fondamenta indistruttibili, dove tutti i suoi membri progrediranno e moltiplicheranno le loro possibilità di crescita e di sviluppo”. Infine, nel documento l’episcopato peruviano ricorda che L’Anno della Fede sarà anche una buona occasione per intensificare la testimonianza della carità. “E’ la fede quella che ci permette di riconoscere Cristo ed è il Suo amore che ci sprona ad aiutarlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita”. (A cura di Alina Tufani)

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    Giornata della vita consacrata: testimonianza di una suora indiana

    ◊  “Ogni forma di violenza contro le donne è un male terribile, e come monache carmelitane ci tocca in profondità proprio mentre celebriamo il genio femminile di Santa Teresa d'Avila e il dono della vita consacrata”. E’ quanto afferma suor Mary Joseph, bramina indù convertita al cristianesimo, oggi monaca di clausura del monastero carmelitano di Andheri East, a Mumbai. Ricordando che domani la Chiesa celebrerà la XVII Giornata della vita consacrata e la festa della Presentazione del Signore, suor Mary Joseph sottolinea che i consacrati sono chiamati a irradiare la luce di Cristo, testimoniandola con la vita e le opere. Per le religiose di Andheri East, la giornata di domani assume un’importanza particolare anche perché cade nel contesto dell'Anno della fede, della nuova evangelizzazione e del 450.mo anniversario della fondazione del monastero di San Giuseppe da parte di Santa Teresa d’Avila. In un momento in cui l’India è ancora scossa da gravi fenomeni di violenza contro le donne, proprio l’esempio della Santa come religiosa e come donna “è particolarmente significativo”. “Ci spinge – spiega ad AsiaNews suor Mary Joseph - a pregare con grande intensità per tutte le indiane vittime di discriminazione”. Una discriminazione, aggiunge la suora di clausura, “che ha inizio ben prima di venire al mondo, attraverso gli aborti selettivi, e con gli infanticidi femminili”. “La vocazione è un dono di Dio così immenso che non si può spiegare”. “Per me – conclude la religiosa - la ‘fede’ è un tesoro, una perla di inestimabile valore. Come comunità, Dio ci invita a testimoniare il suo amore attraverso l'adorazione e la preghiera, con l'Eucarestia al centro della nostra vita. Cerchiamo di sostenere la Chiesa, e di intercedere per l'umanità”. (A.L.)

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    Vescovi emiliani in visita "ad Limina". Card. Caffarra: urgente forte evangelizzazione

    ◊  Domani i vescovi dell’Emilia Romagna (Ceer) iniziano la loro visita “ad Limina”. Intervistato dalla Radio Vaticana, il cardinale Carlo Caffarra, presidente della Ceer, ha affermato che al centro del colloqui con Benedetto XVI saranno due questioni fondamentali: “la prima è la grande urgenza di evangelizzare questo popolo, nel senso che ha bisogno proprio di risentire il puro annuncio del Vangelo. Il secondo problema è il calo delle vocazioni sacerdotali che è continuato in questi anni e che, effettivamente, sta creando drammatiche difficoltà a molti vescovi della nostra regione, anche se, almeno in alcune diocesi, notiamo qualche piccolo segno di ripresa”. Certo – ha detto - parleremo anche della grande tragedia del terremoto che ha colpito alcune nostre diocesi nel maggio scorso, sia per ringraziare ancora una volta il Santo Padre della grande vicinanza che abbiamo sentito e per la visita che ci ha fatto (nel giugno del 2012 ndr), sia per informarlo sul cammino di ricostruzione che le nostre comunità emiliane hanno intrapreso con grande coraggio praticamente da subito”. A questo proposito – ha aggiunto – recentemente “è stata promulgata la Legge quadro regionale sulla ricostruzione e debbo dire che noi vescovi, tutti, soprattutto quelli colpiti dal terremoto, riteniamo che sia un’ottima legge che ha tenuto conto di tutte le nostre richieste, dei nostri bisogni”. Il porporato ha ricordato, tuttavia, il “grido di dolore” da lui lanciato “ad alcune istituzioni pubbliche, perché non si potevano lasciare durante l’inverno le comunità cristiane senza luoghi di culto che avessero un minimo di stabilità e di dignità. Difficoltà da questo punto di vista – ha osservato - ne abbiamo sicuramente avute. Ma devo anche dire che questo ha creato un senso di appartenenza nelle comunità che io stesso non prevedevo così forte. La mia paura era che esse si potessero disperdere e così non è stato”. Il cardinale Caffarra, infine, ha sottolineato che l’evangelizzazione dei giovani è “una preoccupazione fondamentale dei vescovi”.

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    Salvatore Martinez: lo Spirito Santo è il motore della nuova evangelizzazione

    ◊  Si sono conclusi con l'intervento di Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, gli incontri sul Credo organizzati dalle parrocchie romane di I e II prefettura nell'Anno della fede. È lo Spirito Santo, come ha sottolineato Salvatore Martinez, il motore della vita della Chiesa e di ogni cristiano. Ieri, durante l’incontro a Santa Maria in Campitelli, è stato approfondito il tema “Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita”. Partendo dalle Sacre Scritture – riferisce la rivista diocesana "RomaSette" – Salvatore Martinez ha messo in evidenza le caratteristiche e gli aspetti fondamentali della fede nello Spirito Santo. “Credere nello Spirito oggi – ha spiegato il presidente del Rinnovamento – vuol dire credere in una potenza che è vita stessa di Dio, che ci fa diventare sale della terra e luce del mondo, che ci svela il mistero di Dio, oltre le nostre capacità”. “Lo Spirito Santo è Signore, permette di vivere le promesse del Vangelo, e dà la vita – ha proseguito – rinnovando i cuori e le menti, in una Pentecoste perenne”. Lo stesso Spirito Santo, cercato e invocato nelle Scritture, guida la Chiesa, “infuoca di sete di verità il cuore dell’uomo”, “colma di doni di grazia”. Nel tempo di una crisi che è soprattutto “crisi della fede, e mancanza di preghiera che costringe Dio in spazi sempre più insignificanti", ha osservato ancora Martinez, occorre ricercare "l’intimità con lo Spirito e imparare a respirare al ritmo della grazia, secondo l’esempio dei Padri della Chiesa. Solo così è possibile conoscere lo Spirito e avere la chiave di lettura del mondo secondo Dio, per realizzare la nuova evangelizzazione. “Nello Spirito – ha concluso – si realizza la pienezza della vita dell’uomo”: la sua presenza costante nella vita della Chiesa “ci allena a proclamare il Vangelo, per essere profeti in questa nuova era”. (A.L.)

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    Musei Vaticani: a ottobre 2013 mostra con ritrovamenti archeologici in Slovacchia

    ◊  I Musei Vaticani dedicheranno una mostra ai ritrovamenti archeologici slavi provenienti dalla Slovacchia. L’inaugurazione è prevista per l’inizio di ottobre di quest’anno. “L’idea della mostra - spiega al Sir Matej Ruttkay, dell’Istituto archeologico di Nitra - è nata nel 2011 dopo il colloquio del nostro ambasciatore presso la Santa Sede, Jozef Dravecký, con rappresentanti del Ministero della cultura slovacco e il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci”. “Vogliamo presentare i ritrovamenti archeologici più significativi – aggiunge Matej Ruttkay – che documentano l’inizio del cristianesimo nelle nostre terre, anche in relazione alla missione cirillo-metodiana”. Sono più di un centinaio di oggetti rinvenuti durante gli scavi archeologici a Bojná, Basovce, Ducové, Devín, Bratislava, Nitra e in altre località. L’esposizione è organizzata in occasione del 1150.mo anniversario dell’arrivo dei Santi Cirillo e Metodio nella regione della Grande Moravia. I visitatori avranno l’opportunità di ammirare antiche iscrizioni e campane risalenti al IX secolo, oggetti di uso comune decorati con croci, nonché preziosi documenti storici. (A.L.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 32

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.