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Sommario del 31/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Nel pomeriggio i Vespri e il "Te Deum" di fine anno presieduti da Papa Francesco
  • Tweet del Papa: attingiamo dal presepe la gioia e la pace che Gesù porta nel mondo
  • Veglia in Piazza S. Pietro per il nuovo anno. Don Tardani: bisogna diffondere la bontà
  • Il Papa ricorda le vittime di una tragedia del 2004 in Argentina: la tenerezza cura le ferite
  • Oggi in Primo Piano

  • Israele libera 26 prigionieri palestinesi. Da domani Kerry in viaggio nella regione
  • Bilancio di fine anno: l'Europa ancora tra incertezze e speranze di crescita
  • RD Congo. Testimonianza di una famiglia bloccata a Kinshasa con i figli adottivi: il Papa ci aiuti
  • Camerun: liberato il sacerdote francese rapito nel nord del Paese
  • Italia, bilancio politico. Baggio: necessaria maggioranza stabile per i bisogni del Paese
  • A Campobasso la 46.ma Marcia della pace. P. Zanotelli: cristiani leghino fede e vita
  • Miniserie tv "Un matrimonio". Pupi Avati: oggi lo scandalo è un matrimonio che dura
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Arcivescovo di Aleppo: "La Chiesa aiuta tutti senza distinzioni di fede o fazioni"
  • Sud Sudan: aumentano le pressioni per il cessate-il-fuoco
  • Uganda. Appello dei vescovi: nel 2014 risolvere i problemi sociali del Paese
  • Myanmar: il presidente libera gli ultimi prigionieri politici
  • Bangladesh: manifestazioni pro e contro il governo. La capitale Dhaka isolata
  • Irlanda. Messaggio del card. Brady per il nuovo anno: poniamo fine alla fame nel mondo
  • Comunità Sant'Egidio: a Roma e in 700 città del mondo Marce per la pace
  • Il Papa e la Santa Sede



    Nel pomeriggio i Vespri e il "Te Deum" di fine anno presieduti da Papa Francesco

    ◊   Il ringraziamento a Dio per l’anno che si conclude, alla vigilia della Messa con la quale aprirà domattina il 2014 nel segno di Maria. Sono i due prossimi impegni che attendono Papa Francesco, a partire dai primi Vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio, che il Papa presiederà alle 17 di oggi nella Basilica Vaticana, cui seguirà l’esposizione del Santissimo Sacramento e il canto del Te Deum. Terminati i Vespri, inoltre, il Papa si recherà in visita al Presepio allestito in Piazza San Pietro. Sempre in Basilica, alle 10 di domani, Papa Francesco presiederà la celebrazione eucaristica nel giorno della 47.ma Giornata Mondiale della pace 2014, evento al quale ha dedicato un Messaggio sul tema “Fraternità, fondamento e via per la pace”. Alessandro De Carolis ne ricorda i passaggi salienti in questo servizio:

    Nella storia di Caino e Abele c’è scritto il futuro del mondo: Dio li crea fratelli, ma uno dei due spezza nel sangue questo legame. Papa Francesco prende questo esempio per spiegare la vocazione “essenziale” dell’uomo alla “fraternità”. Vocazione, scrive nel Messaggio per il primo gennaio 2014, che l’umanità porta “inscritta in sé” insieme anche alla possibilità “drammatica del suo tradimento”. Il problema, argomenta il Papa, sta nel fatto che “una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere”. La radice della fraternità, afferma, “è contenuta nella paternità di Dio”, una “paternità generatrice di fraternità” che trasforma la nostra esistenza, senza la quale “diventa impossibile la costruzione di una società giusta”. Oggi, scrive Papa Francesco, questa vocazione alla fraternità è spesso contrastata dalla “globalizzazione dell’indifferenza” che “ci fa lentamente abituare alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi”. E a farne le spese è proprio la pace, un bene “indivisibile”: “O è bene di tutti – osserva il Papa – o non lo è di nessuno”.

    La fraternità, inoltre, ha importanti ricadute sociali perché – afferma il Papa – è anche la via maestra anche per sconfiggere la povertà. L’auspicio allora è che i governi creino “politiche efficaci”, che promuovano “il principio della fraternità” e consentano alle persone di “accedere ai capitali” e alle risorse. L’uomo, ribadisce con fiducia Papa Francesco, “è capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale”. Di qui, la denuncia contro la corruzione e il crimine organizzato e l’appello alla trasparenza e alla responsabilità della politica, valori che generano anch’essi “pace sociale”. Quest’ultima, considera il Papa, oggi è minata troppe volte dallo sfruttamento del lavoro, dall’“abominio del traffico di esseri umani”, dagli “abusi contro i minori”, come pure dalla disumanità che si vive in tante carceri, “dove il detenuto – osserva con dolore – è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo”. Non manca nel Messaggio un richiamo alla custodia della natura, tutt’altro che impossibile se l’uomo rifiuta – scrive – un approccio dettato “dall’avidità, dalla superbia del dominare” in favore di una visione che considera la natura “un dono gratuito” da “mettere a servizio dei fratelli”.

    E la pace ha poi un estremo bisogno che si ricompongano le cause che fomentano le guerre. Papa Francesco inserisce nel suo Messaggio l’invito pressante a rinunciare alle armi – “finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione”, osserva, “si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità” – e a prediligere il dialogo, il perdono, la riconciliazione, “per ricostruire – auspica – la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi”. “Riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la mano!”.

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    Tweet del Papa: attingiamo dal presepe la gioia e la pace che Gesù porta nel mondo

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Attingiamo dal presepe la gioia e la pace profonda che Gesù viene a portare nel mondo”.

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    Veglia in Piazza S. Pietro per il nuovo anno. Don Tardani: bisogna diffondere la bontà

    ◊   Nella notte che porta al nuovo anno, come ormai avviene da molto tempo, il Movimento dell’Amore familiare sarà in Piazza San Pietro per animare, dalle 23.15, la Veglia di preghiera per l’unità e la pace in famiglia e nel mondo. Federico Piana ne ha parlato con don Stefano Tardani, fondatore e assistente spirituale del Movimento:

    R. – Questo è l’11.mo anno che noi abbiamo animato e organizzato questa Veglia per la pace e per l’unità nelle nostre famiglie fra le nazioni. La Veglia sarà aperta dal vescovo ausiliare della diocesi di Roma, mons. Matteo Maria Zuppi. Si rivolgerà un breve pensiero e si farà un augurio per il nuovo anno con la Santa Famiglia e con Gesù, con Maria e Giuseppe. Siamo chiamati a chiudere quest’anno, chiedendo al Signore perdono per tanti mali e la grazia per gli aiuti necessari, per affrontare con pace, serenità e forza il nuovo anno che ci attende. E allora seguirà il canto, seguirà la preghiera. Ed è molto bello, perché nel canto, accendendo i flambeaux, questa luce sarà intorno al presepe e segnerà questa speranza, questa grande preghiera. Festeggiamo il nuovo anno con questo "brindisi di luce", se possiamo dire. La preghiera si estenderà per tutta la notte, fino alle 7 del mattino, animata e sostenuta dalle nostre famiglie e dal Movimento dell’amore familiare, che accoglieranno le persone che verranno.

    D. – E ricordiamo che questa veglia sarà in concomitanza con le città di Milano e L’Aquila...

    R. – Sì, abbiamo evidentemente realizzato questa veglia anche in altre diocesi ed è in concomitanza ed in collegamento con Piazza San Pietro. La stessa veglia verrà celebrata alle 23.30 a Milano, nella Basilica di San Lorenzo Maggiore, da mons. Giannantonio Borgonovo, mentre a L’Aquila, sempre alla stessa ora, da mons. Giuseppe Petrocchi, l’arcivescovo metropolita della città, dove si protrarrà con i fedeli fino alle 2 di notte. Un momento, dunque, di raccolta, di fede, di solidarietà e fraternità. C’è bisogno anche di gesti e di segni di fraternità. La famiglia – ci ricorda Papa Francesco – è la sorgente di ogni fraternità e perciò è anche il fondamento e la vita primaria della pace, poiché per vocazione dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore. La famiglia è potente nell’amore: è potente se all’interno c’è la luce e l’amore di Gesù. Dobbiamo amare la bontà e diffonderla intorno a noi. Ecco, perché questa Veglia è così bella per la pace e l’amore nelle famiglie tra le nazioni.

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    Il Papa ricorda le vittime di una tragedia del 2004 in Argentina: la tenerezza cura le ferite

    ◊   Papa Francesco ricorda in una lettera le 194 persone perite nove anni fa nell’incendio di una discoteca a Buenos Aires. Era il 30 dicembre 2004, quando le fiamme divamparono nel locale “Cromañón” della capitale argentina, causando la tragedia. In uno scritto, indirizzato a mons. Jorge Lozano, vescovo di Gualeguaychú e presidente della Commissione episcopale della Pastorale sociale, il Pontefice esprime il suo ricordo per le giovani vittime e la paterna vicinanza ai genitori e ai familiari. “Le ferite fanno ancora più male quando non vengono trattate con tenerezza – scrive il Santo Padre – Guardando il Bambino Gesù, che è tutta tenerezza, chiedo per loro questo atteggiamento: sapere trattare con cura e tenerezza le ferite. Solo una tenera carezza, dal nostro cuore, in silenzio, con rispetto, può dare sollievo”. Infine, il Papa invoca il Signore, affinché avvicini ciascuno con la sua calda consolazione di Padre e insegni a tutti a non restare soli e a continuare a cercare la compagnia dei fratelli. La lettera di Papa Francesco è stata letta ieri nella cattedrale di Buenos Aires da mons. Lozano, durante la Messa celebrata dall’arcivescovo, mons. Poli.

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    Oggi in Primo Piano



    Israele libera 26 prigionieri palestinesi. Da domani Kerry in viaggio nella regione

    ◊   In Medio Oriente, al centro dell’attenzione c’è il dialogo tra israeliani e palestinesi. Nella notte Israele ha liberato 26 prigionieri palestinesi, come stabilito dall’intesa che aveva fatto ripartire, a luglio i negoziati di pace. E da domani sarà nella regione anche il Segretario di stato Usa, John Kerry, che incontrerà il premier israeliano Netanyahu e il Presidente dell’autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas - Abu Mazen, per discutere le linee-guida di un possibile accordo. Ma cosa ci si può attendere da questa missione? Davide Maggiore lo ha chiesto alla storica del Medio Oriente Marcella Emiliani:

    R. – Siamo solo ai preliminari e non vengono ancora toccati quelli che sono i temi fondamentali del contenzioso: gli insediamenti israeliani in West Bank sono la condizione più importante, perché i palestinesi davvero si impegnino in questo negoziato. Sugli insediamenti, però, il premier israeliano Netanyahu non intende cedere, anzi nelle tornate di liberazione di palestinesi, che si sono avute da quando sono ripresi i colloqui di pace, tutte le volte che sono stati liberati i palestinesi, è stata parallelamente annunciata la costruzione di altre colonie.

    D. – Trascorsa questa fase preliminare poi resteranno da affrontare diversi nodi...

    R. – Nell’agenda di Kerry, ma solo nell’agenda di Kerry, ci sono dei temi enormi. Ad esempio, si procederà o non si procederà alla divisione di Gerusalemme come chiedono i palestinesi? Su questo gli israeliani “non ci sentono” e quindi difficilmente torneranno indietro. C’è il problema della sicurezza, ovviamente, e poi c’è un problema in più, che è quello dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente. I campi profughi palestinesi, dagli accordi di Oslo del ’93 in poi, si sono sentiti abbandonati e quindi hanno cominciato ad articolare delle loro politiche, nei Paesi in cui sono ospitati. Va, dunque, rifatto un discorso su che fine faranno questi rifugiati.

    D. – In questo quadro, che importanza ha la liberazione di 26 prigionieri palestinesi?

    R. – Il valore di questa liberazione sta tutto nel fatto che testimonia comunque che sia Israele sia una parte dei palestinesi, cioè quella che fa capo ad Al Fatah e al presidente Abu Mazen, vogliono continuare a negoziare.

    D. – Proprio Abu Mazen ha detto che non ci sarà alcun accordo con Israele finché non saranno liberati tutti i prigionieri palestinesi. Che valore hanno queste affermazioni?

    R. – Queste sono affermazioni volte a mantenere unita l’opinione pubblica palestinese. Sia Abu Mazen sia Netanyahu hanno forti nemici interni, che sono contrari a questi colloqui. Quindi è chiaro che Abu Mazen deve mostrare alla sua opinione interna di avere comunque dei margini di azione, o se non altro di parola. Hamas ha contestato il diritto dell’Olp di essere l’unica a rappresentare la causa palestinese, ma formazioni afferenti all’Olp, quindi in teoria vicine ad Abu Mazen e ad Al Fatah, come il Fronte popolare di liberazione della Palestina, si dicono contrarie a questi negoziati, come a suo tempo si dissero contrarie agli accordi di Oslo.

    D. – Ma anche Netanyahu, appunto, va incontro a resistenze, all’interno della politica israeliana: la decisione di Netanyahu di liberare i prigionieri palestinesi è stata contestata...

    R. – Sì, è stata contestata innanzitutto dal Jewish Home Party. Non scordiamoci poi che l’attuale ministro degli Esteri israeliano, Lieberman, è da sempre contrario ad un accordo con i palestinesi, lui e il suo Beiteinu Party. Ma la cosa forse più importante per Netanyahu è che c’è tutta una fetta del suo stesso partito, il Likud, che non è d’accordo con la ripresa dei negoziati, anzi sono già uscite tutta una serie di affermazioni di appartenenti al Likud, come degli altri partiti della coalizione di governo ostili al negoziato, che definiscono questi prigionieri che sono stati liberati come “bombe a tempo”. Li vedono già, cioè, come futuri, possibili attentatori alla vita di civili israeliani.

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    Bilancio di fine anno: l'Europa ancora tra incertezze e speranze di crescita

    ◊   L’anno che si sta per chiudere è stato un anno difficile per l’Europa ancora alle prese con le conseguenze della crisi economica, la preoccupante disoccupazione giovanile e l’incertezza sulle prospettive di crescita. I 28 Stati membri hanno cercato rimedi per favorire la ripresa e per contenere i rischi dell’area euro attraverso una serie di iniziative. Una tra tutti, è l’Unione bancaria. Ma quali le luci e le ombre per l’Europa? Al microfono di Benedetta Capelli, risponde la prof.ssa Federiga Bindi, titolare della cattedra “Jean Monnet” presso l'Università Tor Vergata di Roma:

    R. - La luce maggiore, secondo me, è l’entrata nell’Unione Europea della Croazia per il valore simbolico che ha, trattandosi di uno Stato dei Balcani che ha vissuto anche la guerra. Quella, secondo me, è stata la cosa più importante, anche se non gli è stata data tutta l’evidenza che doveva avere. L’ombra è costituita dall’inabilità nel dare delle risposte forti alla crisi, creando un vero Stato europeo.

    D. - Però, per quanto riguarda ad esempio l’Unione bancaria, in questo senso un passo avanti è stato fatto?

    R. - Sì. È stata venduta come una grossa vittoria specialmente per l’Italia, ma intanto è un meccanismo che prenderà completamente piede nel 2025. Da oggi al 2025, rischiamo di morire di crisi almeno altre tre o quattro volte. Meglio di niente, ma in realtà sono meccanismi che curano i sintomi non il problema.

    D. - E allora, che cosa manca perché l’Europa abbia una marcia in più per quanto riguarda questa crisi, che morde e che ha morso l’economia di molti Paesi?

    R. - Due cose: la consapevolezza che solo una politica del rigore - che poi è sostanzialmente fatta di tasse - non aiuta ad uscire dalla crisi. Per uscire dalla crisi ci vogliono politiche espansionistiche che siano però intelligenti. Seconda cosa, la consapevolezza che l’Europa deve, per forza, diventare un’entità politica più forte. Solamente creando una vera federazione, l’Europa sarà in grado di rispondere alle sfide del 21.mo secolo. Per ora, sta solo arrancando, e sono già 14 anni che siamo nel 21.mo secolo.

    D. - Durante questo anno, hanno scosso molto anche le varie tragedie dell’immigrazione: una su tutte quella di Lampedusa, con oltre 300 morti. L’Europa ha, secondo lei, una sola voce quando si parla di politiche sociali?

    R. - Sicuramente no. É una delle materie in cui gli interessi degli Stati nazionali - o meglio, i populismi degli Stati nazionali - sono molto diversi, perché poi quale sia veramente l’interesse degli Stati nazionali sul tema dell’immigrazione c’è molto da discutere, perché in realtà l’immigrazione per un continente che fa sempre meno figli può esser assolutamente benefica. Il problema è come gestire l’immigrazione. L’altro problema è come attrarre immigrazione di eccellenza, cioè gente che vuol venire per migliorare la propria vita, per fare un vero salto. E riguardo ciò, non sono sicura se riusciremo ancora ad attrarre questo tipo di persone.

    D. - Il 2014 si apre nel segno del semestre europeo con presidenza greca e successivamente italiana. Atene e Roma hanno pagato un prezzo molto alto per la crisi economica. Cosa possiamo attenderci?

    R. - La prima cosa da dire è che la presidenza oggi, sotto il Trattato di Lisbona, non è più la presidenza di un tempo. Secondo me, per l’Italia è l’occasione giusta per dare una grande prova - e noi siamo in grado di darla - in modo virtuoso, ma al tempo stesso di fare cose a costo zero.

    D. - E per quanto riguarda la Grecia?

    R. - Per la Grecia, essendo un Paese piccolo, lo sforzo - teoricamente - è ancora più grande. Dico teoricamente, perché poi nella realtà dei fatti la storia mostra che i Paesi piccoli hanno teso ad appoggiarsi di più sulle strutture dell’Unione Europea, facendo alla fine uno sforzo comparativamente minore. Credo che la Grecia ne possa cavare le mani da questa presidenza soltanto, appunto, delegando il più possibile all’Unione Europea.

    D. - Visto l’anno appena trascorso, l’Europa in quale direzione sta andando?

    R. - Mi sembra si stia andando a tentoni. Manca la consapevolezza che il mondo è completamente cambiato. È un continente che non riesce a rispondere alle sfide del futuro, che non riesce neanche a capire che il mondo è cambiato. E se non riesce a capirlo velocemente, è un guaio.

    D. - Anche perché in molti Paesi stanno crescendo delle spinte estremiste molto forti…

    R. - Assolutamente. Queste elezioni europee rischiano di essere una vera dèbâcle per il sorgere di movimenti populisti, anche perché sappiamo che spesso l’elettore, quando vota per le elezioni europee, vota più a cuor leggero perché pensa che in fondo - e pensa sbagliando - il livello europeo non lo riguardi. Dico sbagliando perché ormai il parlamento europeo ha un potere di decisione, quindi coloro che verranno mandati a Bruxelles avranno un effetto diretto sulle nostre vite. Si tende più facilmente a dare il voto a partiti estremisti, quindi a dare un voto di protesta, che magari in elezioni nazionali o locali non si darebbe.

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    RD Congo. Testimonianza di una famiglia bloccata a Kinshasa con i figli adottivi: il Papa ci aiuti

    ◊   La calma è tornata a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, dopo una giornata, quella di ieri, decisamente rovente. Il ministro della Difesa, Luba Ntambo, ha infatti dichiarato che l’esercito controlla "totalmente" la situazione, dopo una serie di attacchi contro la capitale Kinshasa e Lumumbashi, capoluogo della provincia congolese del Katanga. Gli scontri accrescono i disagi delle 24 famiglie italiane bloccate da più di un mese, con i loro figli adottivi, nella capitale congolese per lo stop delle adozioni internazionali deciso dal governo africano. Il premier italiano, Enrico Letta,e ha garantito che Roma sta lavorando per risolvere al più presto la vicenda. Palazzo Chigi, inoltre, spiega che il Congo stesso si sarebbe impegnato a velocizzare il riesame delle adozioni. Il 27 dicembre i genitori avevano incontrato le delegazione italiana giunta nel Paese per risolvere la situazione, ricevendo però brutte notizie. Lo conferma Massimo De Toma, cittadino italiano, con la moglie Roberta, a Kinshasa ormai dal 13 novembre. L'intervista è di Fabio Colagrande:

    R. - La delegazione ci ha ricevuto in ambasciata e ci ha riferito ciò che la Dgm (Direzione generale della migrazione congolese - ndr) ha loro detto e cioè che non c’erano le ragioni per rinnovarci i visti e che quindi saremmo potuti tornare in Italia, senza chiaramente i nostri figli in questo caso... Inoltre, hanno detto loro che avrebbero dato garanzie sui nostri figli, che avrebbero esaminato nel più breve tempo possibile i dossier, ma che chiaramente tutte queste operazioni avrebbero richiesto evidentemente del tempo. Gli interlocutori congolesi non sono stati in grado di fornire una data certa del termine di questi controlli.

    D. - Quindi, praticamente vi hanno detto che dovete rientrare in Italia senza i bambini e che le vostre pratiche devono essere ancora esaminate…

    R. - Dovranno essere controllate, così come anche il post-adozione. Quindi, una delegazione di autorità congolesi si dovrà recare in Italia per verificare le pratiche post-adottive. Questo è quello che la Dgm ha riferito alla delegazione.

    D. - Vogliamo spiegare a chi ci ascolta cos’è la Dgm, di cui lei parla?

    R. - Sì. La Dgm è praticamente la Direzione generale della migrazione, un ente di polizia e di controllo delle dogane congolesi: l’autorità quindi che rilascia i visti per i cittadini congolesi che escono dal Paese. Tra l’altro, vorrei anche specificare che i nostri figli sono a tutti gli effetti, con sentenza, figli di famiglie italiane, ma attualmente sono ancora cittadini congolesi. Per cui, necessita il visto di uscita di queste autorità.

    D. - Ed è proprio l’assenza di questo visto che vi ha tenuto bloccati così a lungo a Kinshasa?

    R. - Esatto. Tra l’altro, le posso anche dire che questa sarebbe una pura formalità, perché tutte le pratiche adottive sono state concluse.

    D. - Arrivano inoltre notizie preoccupanti da Kinshasa, dove voi vi trovate, e dove ci sarebbero state diverse sparatorie. Questo ovviamente accresce il vostro disagio…

    R. - Esatto. Ma oltre al disagio, siamo molto preoccupati. Siamo preoccupati per noi, siamo preoccupati per i nostri figli. Noi abbiamo già informato la Farnesina, abbiamo informato l’ambasciata e siamo in attesa di sapere cosa fare. Noi vogliamo tornare in Italia con i nostri figli! A questo punto, vorremmo un’azione forte, perché qui non siamo più sicuri. Non possiamo garantire la sicurezza né nostra né dei nostri figli. Nostra figlia ormai ha stretto ormai il legame familiare, che non ci saremmo aspettati… Abbiamo dovuto iniziare a informarli del fatto che potremmo partire e doverli lasciare qui, per ritornare poi… Chiaramente, le posso dire che i bambini sono anch’essi molto colpiti e molto tristi per questa situazione e, a maggior ragione, purtroppo con queste notizie drammatiche che giungono dalla città. Vogliamo fare l’appello che abbiamo fatto sempre: vorremmo che tutti - veramente tutti! - facessero il massimo per riportarci a casa con i nostri figli. I nostri iter sono terminati, aspettare il visto non è un motivo per bloccare le famiglie qui. Noi pensiamo che il governo possa fare di più e chiediamo che il Papa possa intervenire direttamente. Questo è un Paese che ha il 70% di popolazione cattolica. Parliamo di famiglie, non parliamo di commercio, non parliamo di armi, parliamo di bambini che soffrono. L’interesse primario delle famiglie e degli Stati deve essere il bene dei bambini.

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    Camerun: liberato il sacerdote francese rapito nel nord del Paese

    ◊   E’ tornato libero padre Georges Vandenbeusch, rapito lo scorso 14 novembre nella sua parrocchia di Nguetchewe, all’estremo nord del Paese, a soli 30 km dal poroso confine con la Nigeria. Lo hanno annunciato il Presidente francese François Hollande e il Quai d’Orsay, precisando che il prete è stato rilasciato la notte scorsa e che le sue condizioni di salute sono “buone”. La Santa Sede ha espresso la sua soddisfazione per il rilascio del sacerdote francese. In particolare padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, ha invitato a pregare per tutte le altre persone tenute ingiustamente in ostaggio in tutto il mondo. Per ora le circostanze precise della liberazione di padre Georges così come l’identità dei suoi rapitori non sono state ancora chiarite dalle fonti ufficiali. In giornata - riferisce l'agenzia Misna - il ministro degli Esteri Laurent Fabius arriverà a Yaoundé per accogliere il prete francese e riportarlo a Parigi “quanto prima” ha precisato Hollande. Immediata la razione della Chiesa francese. In proposito Helene Destombes ha raccolta la testimonianza di padre Jean Forgeat, responsabile dei sacerdoti francesi Fidei Donum:

    C’est un immense soulagement, une immense joie …
    È un immenso sollievo, una gioia immensa. È veramente grazie a Dio perché molte persone hanno pregato per questa liberazione. Abbiamo sperato tanto, io personalmente ho sperato tanto che potesse avvenire per Natale. Il Natale è passato, ma questo è comunque un bellissimo regalo. Un regalo immenso di buon anno che ci è stato donato alla fine di questo 2013, che è stato e che ancora è segnato da eventi dolorosi, da prove dai quali molti sono colpiti, in particolare sul continente africano, ma non solo. Ebbene, voglio dire che in mezzo a tutte queste prove c’è comunque questo bagliore, questa luce: è la luce del Natale che continua a splendere attraverso questa notizia! E questo è formidabile!

    Padre Georges Vandenbeusch era stato portato via di notte da una decina di persone pesantemente armate che lo avrebbero subito trasferito nella vicina Nigeria. Successivamente i presunti rapitori di padre Georges si sono presentati come esponenti di Boko Haram, il gruppo armato islamista nigeriano. Anche gli elementi di prova raccolti dalle autorità camerunensi e francesi ritenevano che l’atto portasse “molto probabilmente” la firma di Boko Haram. Ufficialmente nessun riscatto è mai stato chiesto mentre le trattative sono state portate avanti nella “massima discrezione” riferisce il quotidiano locale ‘Journal du Cameroun’. Il comunicato diffuso dall’Eliseo ringrazia il presidente Paul Biya per il “suo impegno personale” ma anche le autorità del Camerun e della Nigeria per il “loro lavoro incessante” che ha portato alla liberazione del prete. Padre Georges, 42 anni, di nazionalità francese, aveva deciso di rimanere a Nguetchewe, vicino a Koza, nonostante il Quai d’Orsay avesse decretato da tempo la zona “formalmente sconsigliata a causa del rischio terroristico e del pericolo di rapimento”. Lo scorso febbraio nella stessa regione Boko Haram aveva rapito sette cittadini francesi della stessa famiglia, liberati due mesi dopo nella confinante Nigeria. In una lettera pubblicata lo scorso settembre sul blog della parrocchia Saint Jean Baptiste de Sceaux (Hauts de Seine, periferia di Parigi), della quale dipendeva, padre Georges consegnava una testimonianza forte del suo quotidiano “nel secondo anno trascorso in Camerun”. Un testo che faceva riferimento alle “gravi ripercussioni sociali ed economiche dei combattimenti nella confinante Nigeria, dove l’esercito bombarda i rifugi di Boko Haram”. Uno scenario che spinge migliaia di nigeriani a trovare rifugio dall’altra parte della frontiera, proprio nella parrocchia di Nguetchewe, dove il prete prestava assistenza a circa 10.000 persone. Il sacerdote denunciava “un potenziale di tensioni su base religiosa” nella regione ma anche il fatto che “la maggior parte dei rifugiati nigeriani sono cristiani, nel loro Paese di origine costretti alla conversione, alla morte o alla fuga”. (R.P.)

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    Italia, bilancio politico. Baggio: necessaria maggioranza stabile per i bisogni del Paese

    ◊   C’è attesa in Italia per il discorso di fine anno del presidente Giorgio Napolitano: quello di stasera, come di consueto a reti televisive unificate, sarà il suo ottavo messaggio di fine anno e per la prima volta l’intervento del capo dello Stato, avrà il "controcanto". Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, ha promesso infatti un suo contromessaggio diffuso in contemporanea in streaming. La stabilità politica, la necessità di coniugare la crescita con la coesione sociale e le riforme tra i temi previsti nei due discorsi. E mentre sono vivaci le polemiche nei confronti di Napolitano, del quale alcuni sollecitano le dimissioni, non mancano le critiche al governo Letta accusato di immobilismo. Per un commento sull’attuale scenario politico, Luca Collodi ha intervistato il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano:

    D. – Prof. Baggio, a fine anno ci sono tre gruppi politici che in Parlamento riscuotono il maggior consenso popolare, cioè quello che dal Pdl è transitato in Forza Italia, il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle. Però, tutti questi tre gruppi politici hanno i loro leader fuori dal Parlamento, e cioè Berlusconi, Grillo e Renzi. Questo che cosa significa per la vita politica italiana?

    R. – Diciamo che i tre leader stanno fuori per ragioni molto diverse. Il leader di Forza Italia sta fuori dal parlamento per motivi giudiziari, il leader di 5 Stelle sta fuori dal parlamento per la natura stessa del suo Movimento che è dirompente, vuole distruggere il sistema presente, almeno nei suoi aspetti negativi e nei suoi limiti. E dunque, giocare da fuori e fare continuamente riferimento al sociale, agli elettori – anche se questo si riduce, a volte, a consultarne molto pochi – dice la natura di questo Movimento. Il Pd è un caso ancora diverso ed è il caso di un sindaco che dunque si candida a diventare sindaco d’Italia, cioè a dare una rappresentanza reale alle situazioni e ai bisogni locali. Qui, si tratta di vedere come si mettono insieme queste tre forze. L’importante è avere una visione costruttiva del nostro futuro. E credo sia possibile. Cioè, penso che quest’anno in fondo – da dopo le elezioni di febbraio – non sia andata poi così male.

    D. – La sensazione, tuttavia, è che l’Italia abbia un governo debole, che le istituzioni non abbiano più il consenso dei cittadini e che manchi quella che un tempo si chiamava la sovranità nazionale per affrontare con forza i problemi che gli italiani reclamano…

    R. – Dunque, noi da quasi un anno abbiamo un governo che ha messo insieme centrodestra e centrosinistra – in parte – dopo che queste forze si erano combattute in maniera ideologica, addirittura distruttiva per il bene comune. Quindi, è un periodo molto breve, è una situazione transitoria, che è stata preceduta da un anno circa di un governo, cosiddetto tecnico, del professor Monti, che sostanzialmente applicava l’agenda che l’Europa voleva da noi, perché ci considerava gravemente inadempienti. A questo governo si era arrivati per la rinuncia a governare da parte dell’ultimo governo Berlusconi. Quindi, è una sequenza di avvenimenti che certamente dà un’idea dell’Italia che politicamente non riesce a esprimere una visione del Paese e una strategia. E questo era ciò che noi volevamo ottenere con le elezioni di febbraio: cioè, si voleva che ci fosse una maggioranza chiara in grado di dare una visione del Paese. Non ci siamo riusciti. Ora dovremo riprovarci, perché questo governo è nato con un tempo a scadenza. Perciò, noi abbiamo davanti la necessità di fare la riforma elettorale, dobbiamo finire il 2014 con l’importante occasione della presidenza dell’Unione Europea e poi andare al voto.

    D. – Ma lei non ritiene che ci sia una spaccatura tra Paese reale, il popolo, e il Paese legale, cioè i politici?

    R. – Sì c’è sfiducia nei politici, il loro gradimento è al 5%. Questo perché non sono stati scelti. L’altro aspetto è la capacità di questa classe politica di rappresentare le esigenze del Paese, e qui siamo ad un livello veramente molto basso, proprio per il fatto che molti di questi politici non sono maturati politicamente in un rapporto con i cittadini. Ora, noi dobbiamo lavorare per rimediare a queste cose e penso che lo si possa fare se si riesce ad avere una maggioranza – che sia di centrodestra o di centrosinistra, non importa – purché sia un governo politicamente stabile, capace dunque di affrontare le esigenze dei cittadini con serietà, stabile per poter fare delle riforme e affrontare alcune grandi questioni che noi dobbiamo porci immediatamente e sulle quali siamo in ritardo di almeno 20 anni.

    D. – Negli ultimi tempi, i laici cattolici impegnati in politica sembrano fuori gioco…

    R. – Mah, a me sembra che ci siano moltissimi cattolici, in ruoli politici. Quello che non vediamo è un’espressione del cattolicesimo nel suo insieme. Questa dovrebbe essere, effettivamente, più marcata. Ma non è detto che debba essere attraverso un partito. Ora, noi vediamo che Renzi è di matrice cattolica, Letta, che è il presidente del Consiglio, pure. E io credo che non sia estraneo alla cultura di Letta – una cultura cioè di radice cristiana che sa mettere insieme – il fatto che sia riuscito a mettere insieme nel suo governo culture diverse. Quindi, io vedo un elemento di presenza e di testimonianza importante dei cattolici in politica. Quello che io vorrei vedere di più è una presenza culturale: che non significa fare i concerti, significa fare proposte di progetti politici. Questi si possono fare anche da fuori del parlamento e sulla base della Dottrina sociale cristiana. Secondo me, c’è un grande ruolo per i cattolici, se lo sappiamo interpretare in questo modo.

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    A Campobasso la 46.ma Marcia della pace. P. Zanotelli: cristiani leghino fede e vita

    ◊   “Signore insegnaci a lottare!”. Parte dalle parole che Papa Francesco, lo scorso settembre, ha rivolto ai lavoratori durante la visita apostolica a Cagliari, il Convegno nazionale di Pax Christi, che si è aperto ieri a Campobasso. E questo pomeriggio alla fine del Congresso, che ha come tema “ Nel cantiere della fraternità: lavoro, diritti e accoglienza”, si svolgerà nel capoluogo molisano, la 46.ma Marcia Nazionale per la Pace, organizzata dal movimento in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana (Cei). Sul tema dell’incontro, le parole di padre Alex Zanotelli, direttore di Mosaico di Pace, al microfono di Marina Tomarro:

    R. - Certamente, il tema si ispira alle parole del Papa a Cagliari, ma insieme a questo “insegnaci a lottare”, mi viene spontaneo ricordare la grande figura africana di Nelson Mandela, la cui vita è stata una lotta. Penso che oggi, come dice il Papa anche nella sua Esortazione, sia fondamentale pregare la contemplazione: ma questa non è vera preghiera se non ci spinge poi a lottare e a impegnarci a cambiare “strutture di peccato”, come le chiamava Papa Wojtyla.

    D. - Lavoro, diritti ed accoglienza: questo trinomio in che modo si unisce?

    R. - E’ un impegno gravissimo in questo momento difficilissimo per l’Italia. La Chiesa, le comunità cristiane, le parrocchie, le diocesi si impegni su questi tre temi fondamentali. Prima di tutto diritti, accoglienza e lavoro, proprio perché è una situazione difficile per tantissima gente. Io vivo a Napoli e tantissima gente ha perso il lavoro e il 60% dei nostri giovani non ha lavoro. Questo è davvero grave. Come comunità cristiane, dobbiamo essere al fianco di chi sta soffrendo. In secondo luogo, accoglienza e diritti per tutti. E’ bello quello che il Papa ha detto: “La carne dei rifugiati è la carne di Cristo”. Che i diritti siano per tutti e non solo per alcuni, anche in questo nostro Paese.

    D. - Di concreto, che cosa si potrebbe fare di più?

    R. - Io chiedo ai nostri pastori di essere molto più decisi in una critica a questa realtà che si sta deteriorando. Ecco, questo legare fede e vita, cui Papa Francesco ci esorta così tanto, è il salto in più che deve avvenire nelle comunità cristiane.

    D. - Questo Convegno annuncia anche quella che è la Marcia per la Pace: cosa vuol dire questo evento della marcia?

    R. - Siamo arrivati al punto in cui abbiamo speso l’anno scorso 1.752 miliardi di dollari - in un anno! - per le armi. Allora, dobbiamo cominciare a dire: “Non possiamo accettare questa maniera di procedere!”. In questo mondo, le armi servono a mantenere i privilegi di pochi! Come missionario io dico: “No!”. Dobbiamo investire in vita e non in morte. Ecco il significato di questa marcia.

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    Miniserie tv "Un matrimonio". Pupi Avati: oggi lo scandalo è un matrimonio che dura

    ◊   “Il vero scandalo moderno non è la separazione, ma un matrimonio duraturo”. Parola del regista Pupi Avati, che nei giorni scorsi ha debuttato con successo su Raiuno con la miniserie “Un matrimonio”. La fiction racconta la storia di due ragazzi che si sposano nel dopoguerra e, superando le difficoltà, si ritrovano insieme ancora oggi dopo cinquant’anni. Ascoltiamo lo stesso Pupi Avati al microfono di Antonella Pilia:

    R. – Sono arrivato a 49 anni di matrimonio, quindi so che cos’è un matrimonio e ritengo di essere legittimato a parlarne, mentre avverto che in tutto il Paese chi parla di famiglia il più delle volte è chi ha un matrimonio magari andato male dopo il quarto anno e si trova già al secondo matrimonio, o comunque non ha maturato quella che è la conoscenza di un rapporto così speciale, così particolare, così misterioso, così sacrale, come è l’unione di un uomo e una donna che si promettono la vicinanza, la reciproca protezione nel generare dei figli, garantire loro due genitori… Due persone che, insomma, si sono impegnate in un patto quando del matrimonio non sapevano nulla, perché chi si va a sposare in genere, giustamente, non sa nulla di quello che poi è la realtà di una convivenza e la scopre nell’arco dei decenni che vanno a susseguirsi. Oggi, io che la conosco, mi sento legittimato a poter raccontare quella che è stata la mia esperienza perché altri poi decidano – ed io mi auguro positivamente – di assumere questo tipo di impegno.

    D. – Parlare di un matrimonio duraturo oggi è controcorrente nell’ambiente cinematografico?

    R. – Lo è in modo così radicato che quando sono andato a proporre sei anni fa in Rai questo progetto dicendo: “Vorrei raccontare un matrimonio che dura 50 anni”, il funzionario che avevo di fronte mi disse: “Ma allora è un film in costume, fatto di crinoline e parrucche, ottocentesco”... Questo, perché i matrimoni di 50 anni oggi, secondo un’opinione pubblica, non esistono. Non è assolutamente così. È vero che il matrimonio è anzitutto in crisi, che le separazioni e i divorzi sono – ahimè - in aumento. Ma di matrimoni che resistono in questo Paese ce ne sono ancora tanti, fortunatamente. E quindi è a quella parte che io, in qualche modo, mi rivolgo nella consapevolezza che un buon matrimonio produce dei buoni figli, quindi dei buoni italiani, dei giovani che socialmente, culturalmente, intellettualmente ed eticamente avranno un comportamento, secondo me, che ci garantisce di più e meglio negli anni.

    D. – Quindi, indebolire la famiglia significa in qualche modo indebolire la società stessa…

    R. – Dovrebbe. E lo sto suggerendo a tutte le persone di potere con le quali mi incontro. Le poche volte che mi capita di incontrarli, dico loro: “Vi preoccupate così tanto di tante tematiche che riguardano sempre e solo gli aspetti finanziari. Perché non date un po’ più di energia, di carburante alle famiglie e non le incoraggiate a essere tali? Quindi, produttrici di italiani di qualità?”. Credo che se in passato noi eravamo orgogliosi del nostro Paese, del comportamento dei nostri cittadini, era perché c’erano delle famiglie straordinarie, con dei genitori straordinari, assolutamente imparagonabili a quelli che sono i genitori di oggi, soprattutto per quanto riguarda la figura più erosa, che è venuta più a mancare, quella che ha subito - secondo me - il deterioramento maggiore: la figura paterna. Noi abbiamo dei pessimi papà.

    D. – A che cosa è dovuto, secondo lei?

    R. – Secondo me, è dovuto al relativismo, al fatto che ognuno di noi si faccia una sorta di “morale prêt-à-porter”, non avverta le responsabilità del proprio ruolo all’interno di un contesto familiare, e che soprattutto i genitori maschi, i papà, antepongano a tutto la carriera, la loro professione. Sono sposati con la loro professione, non con la loro moglie.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Arcivescovo di Aleppo: "La Chiesa aiuta tutti senza distinzioni di fede o fazioni"

    ◊   "La Chiesa di Aleppo è presente nonostante le bombe, la fame e il freddo di queste settimane. Desideriamo vivere e avere fede, mostrando la nostra solidarietà verso tutti senza distinzioni di religioni o fazioni. Questa è la nostra missione, il nostro compito". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo, che descrive la vita della popolazione in questi giorni di Natale caratterizzati da una "pioggia di bombe" e oltre 500 morti, ma anche da storie di solidarietà e condivisione fra cristiani e musulmani. Per il vescovo i continui appelli del Papa alla pace hanno permesso a sacerdoti, prelati e laici di non perdere la speranza e di avere fede in Dio. "Il 25 dicembre - racconta mons. Audo - sono cadute almeno 12 bombe in vari quartieri, molti dei quali cristiani, facendo molte vittime". Il vescovo sottolinea che la situazione è migliorata negli ultimi giorni, ma nella città i poveri sono tantissimi. I bombardamenti di regime e ribelli, il freddo e i prezzi dei viveri alle stelle hanno ridotto la popolazione alla fame. Anche la classe media si è impoverita. "Purtroppo non vediamo la fine di queste violenze - spiega - nessuno sa quando finirà questa guerra. Tutto si può accettare, ma non questa confusione che non lascia intravedere spiragli di cambiamento". Tale situazione non impedisce ai cristiani e alla Chiesa di continuare la sua opera di carità e di preghiera per la pace in Siria. Nonostante le esplosioni e il rischio di morire, centinaia di persone hanno partecipato alle due messe celebrate nella cattedrale caldea il 24 dicembre alle 17,00 e la mattina di Natale. Gli odii e le divisioni che stanno distruggendo la società siriana non hanno fermato il sostegno ai poveri e alle famiglie di sfollati. "In questi mesi - continua mons. Audo - migliaia di famiglie dei quartieri e dei villaggi della periferia di Aleppo si sono rifugiate nel centro della città, in particolare nei quartieri cristiani. La Chiesa accoglie tutti, senza differenze, anche se a volte alcuni cristiani non comprendono questa apertura che non fa distinzioni fra religioni e fazioni politiche". Ogni giorno nei locali della Chiesa caldea la Caritas organizza un pranzo e una distribuzione di viveri per i poveri e gli sfollati della zona, soprattutto musulmani. "Alcuni giorni fa - racconta il prelato - un anziano musulmano mi ha rincorso e ad alta voce ha espresso la sua gratitudine per il nostro lavoro, affermando che 'l'oro vero si vede quando ci sono difficoltà. Per i musulmani quest'oro è la carità dei cristiani". (R.P.)

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    Sud Sudan: aumentano le pressioni per il cessate-il-fuoco

    ◊   “Notizie di sporadici combattimenti giungono da diverse zone del Paese, ma è impossibile avere un quadro chiaro della situazione. Anche qui sono giunte voci dell’avanzata della cosiddetta ‘Armata bianca’ – una milizia di etnia Nuer – su Bor, capitale dello Stato di Jonglei, ma non ci sono conferme al riguardo e non è chiaro da quanti combattenti sia composta, da dove vengano e a chi rispondano”. Fonti locali contattate dall'agenzia Misna a Juba, descrivono uno scenario ancora incerto sul terreno in Sud Sudan, mentre gli Stati Uniti aumentano le pressioni sul presidente Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar affinché trovino una soluzione alla crisi in corso da metà mese. Sul fronte degli scontri armati l’attenzione è al momento concentrata su Bor: Medici Senza Frontiere (Msf) ha descritto uno scenario drammatico parlando di circa 70.000 persone costrette ad abbandonare la propria casa e i pochi averi a a trovare riparo ad Awerial, nello Stato di Lagos, dove versano “in condizioni molto allarmanti”. Fonti della Misna confermano che “molta gente continua a lasciare il Centro, convogli di mezzi di trasporto continuano a uscire dalla città, ma è difficile quantificare quanti siano con esattezza, quanti riparati nei compound delle Nazioni Unite e quanti nel ‘bush’. Le comunicazioni sono frammentarie e imprecise”. In totale, secondo l’Onu, su tutto il territorio nazionale gli sfollati sono almeno 180.000. Sul fronte politico, “la giornata è appena cominciata e vedremo come si evolverà” dicono gli interlocutori della Misna, ricordando che oggi scade il cosiddetto ultimatum dato dai governi dell’Igad – Autorità intergovernativa per lo sviluppo – ai due contendenti per avviare un negoziato. “Ieri il Presidente ugandese Yoweri Museveni ha incontrato Kiir a Juba e ha rivolto un monito a Machar, esortandolo ad accettare un cessate-il-fuoco entro oggi, ma non si capisce esattamente, una volta scaduto questo ultimatum, cosa dovrebbe succedere. C’è stato un monito, ma non si comprende con chiarezza quali saranno le conseguenze se non verrà ascoltato” aggiungono le fonti. A Museveni, stretto alleato di Kiir, Machar ha replicato con durezza, accusandolo anche di aver bombardato venerdì scorso le posizioni dei suoi uomini attorno a Bor; Museveni ha peraltro già ammesso che le truppe ugandesi sono state inviate in Sud Sudan per “aiutare a riportare la speranza” nel Paese confinante. “Siamo pronti ad accettare un cessate-il-fuoco immediatamente per fermare il bagno di sangue una volta che il governo di Salva Kiir farà lo stesso” ha ribattuto Machar in una nota diffusa dal Sudan Tribune, evidenziando che “se non sarà fermata, l’aggressione delle Updf (Uganda People’s Defence Force, ndr) – le forze armate ugandesi – può compromettere il tentativo dell’Igad di rimanere strumentale e neutrale nel mettere fine alla crisi in Sud Sudan”. All’Igad e all’Unione Africana viene chiesto ancora di “contenere il governo ugandese dall’alimentare il conflitto inviando truppe e aerei da guerra in sostegno del governo di Salva Kiir”. (R.P.)

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    Uganda. Appello dei vescovi: nel 2014 risolvere i problemi sociali del Paese

    ◊   “Una bomba ad orologeria”: con questa metafora mons. Cyprian Kizito Lwanga, arcivescovo di Kampala, in Uganda, descrive la situazione sociale del Paese alla vigilia del nuovo anno. In un’intervista rilasciata al quotidiano nazionale, “The Observer”, il presule sottolinea i gravi problemi che attanagliano il territorio, come l’assenza di una governance efficace, l’estendersi della piaga della prostituzione, la crisi delle autorità politiche. Di qui, l’appello a trovare quanto prima soluzioni, poiché “molti di questi problemi danno luogo a violenze ed omicidi e finiscono per aumentare l’insicurezza locale”. È necessario, perciò, continua mons. Kizito Lwanga, avere “sia bravi amministratori che rispettino i diritti umani, sia migliori condizioni di vita” nel Paese. Il presule guarda, poi, ai temi etici, come al dilagare di “comportamenti sessuali immorali e irresponsabili” legati alla prostituzione, alla pratica dell’aborto e alla richiesta, avanzata da alcuni gruppi attivisti, di distribuire profilattici nelle scuole. Ma “se ciò avvenisse – spiega l’arcivescovo di Kampala – si metterebbe in gioco il futuro dei giovani”, che sarebbe esposti sempre più al “rischio di sviluppare comportamenti immorali”. Sul fronte della corruzione, inoltre, mons. Kizito Lwanga esorta alla ricerca di “mezzi per combatterla concretamente”, così da sconfiggere “questa abitudine che corrode la società, le istituzioni, il governo”. Per questo, sul piano politico, l’arcivescovo auspica una riduzione del numero dei parlamentari, perché “300 deputati sono davvero troppi per un Paese come l’Uganda”. Infine, il presule invita le istituzioni a porre attenzione al problema degli insegnanti, protagonisti, nel 2013, di un lungo sciopero per richiedere stipendi adeguati. “Dobbiamo ricordare – conclude mons. Kizito Lwanga – che i docenti hanno contribuito molto allo sviluppo nazionale e se oggi siamo quello che siamo, lo dobbiamo ai loro insegnamenti”. (A cura di Isabella Piro)

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    Myanmar: il presidente libera gli ultimi prigionieri politici

    ◊   Un annuncio atteso quello di oggi da parte del governo birmano. Ufficialmente, dalla prossima mezzanotte il Paese non avrà più prigionieri politici o di coscienza. Un perdono presidenziale ha infatti aperto le porte del carcere per l’uscita di quanti vi erano detenuti a causa di una serie di reati sanzionati dalla legge d’emergenza utilizzata negli anni del regime militare, ma le cui conseguenze si sono prolungate sotto il nuovo percorso democratico avviato due anni fa del Presidente riformista Thein Sein. Un provvedimento - riferisce l'agenzia Misna - atteso anche dai partner internazionali,che possono così chiudere completamente il regime delle sanzioni e avviare con maggiore determinazione gli intensi programmi di sostegno allo sviluppo e di investimenti nel Paese asiatico. Secondo quanto comunicato dal portavoce presidenziale Ye Htut, con l’attuazione del perdono che ha interesssato anche cinque detenuti per reati diversi da quelli definiti dalle leggi draconiane usate per decenni per controllare dissidenza politica e opposizione etnica, in Myanmar “non ci sono più prigionieri politici”. “Vorrei segnalare che il Presidente ha adempiuto alla sua promessa data al popolo di liberare tutti i prigionieri di coscienza entro il 2013”, ha scritto il portavoce nella sua pagina Facebook. Non è chiaro quanti saranno liberati entro la metà di gennaio e se il provvedimennto interesserà non soltanto i 40 dissidenti che stanno scontando pene detentive di varia durata, ma anche i circa 200 detenuti in attesa di giudizio, in maggioranza per avere manifestato senza autorizzazione. (R.P.)

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    Bangladesh: manifestazioni pro e contro il governo. La capitale Dhaka isolata

    ◊   Dhaka resta isolata per il terzo giorno da forze di polizia e militari che hanno bloccato le vie di comunicazione che la collegano al resto del Paese. Una mossa con cui il governo di Sheikh Hasina Waheed cerca di controllare le proteste dell’opposizine che domenica aveva dichiarato un’imponente Marcia per la democrazia che doveva essere il punto culminante finora di azioni in corso da molte settimane nel tentativo di costringere il governo provvisorio a non procedere verso le elezioni previste per il 5 gennaio. I 1200 arresti preventivi e il timore di nuove vittime dopo le 276 registrata all’inizio del 2013 per le proteste e la repressione - riferisce l'agenzia Misna - hanno fatto sostanzialmente fallire le manifestazioni di piazza, insieme a uno stretto controllo delle forze di sicurezza. A alzare ulteriormente i toni tra le fazioni filo e anti-governative, anche la comunicazione di ieri, durante una catena umana organizzata a Dhaka per mostrare sostegno alla premier da parte del partito di governo, la Lega Awami, che tra gli obiettivi della leader dell’opposizione parlamentare, Khaleda Zia, vi sarebbe un nuovo nome per il Paese. In un discorso tenuto sulla centralissima Bangabhandu Avenue, il responsabile dell’informazione del partito ha ricordato l’impegno di Khaleda Zia a cambiare il nome dell’attuale distretto di Gopalganj, da cui ella proviene, solo un passo – secondo il portavoce – verso una ridenominazione dell’intero Paese. Una mossa che cade in un clima di acceso nazionalismo, rinfocolato dalle dure sentenze, anche alla pena capitale, comminate dall’inizio dell’anno a numerosi leader dell’opposizone, laici o affiliati all’islamista Jamaat-e-Islami, per la loro partecipazione ai movimenti collaborazionisti con il Pakistan durante la breve ma sanguinosa guerra di liberazione del 1971. Le contro-manifestazioni di iniziativa governativa di ieri, ufficialmente promosse dai 22 movimenti dell’Allanza per il sostegno alla Lega Awami, sono state organizzate per “contrastare l’anarchia” che per il governo è risultato delle azioni dei 18 gruppi raccolti attorno al principale partito d’opposizione quello Nazionalista del Bangladesh. Khaleda Zia, leader del partito e avversaria storica della premier in carica, resta agli arresti domiciliari e ieri è stata visitata dall’ambasciatore britannico in Bangladesh, Robert Gibson. (R.P.)

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    Irlanda. Messaggio del card. Brady per il nuovo anno: poniamo fine alla fame nel mondo

    ◊   “Invito tutti, soprattutto le istituzioni e tutti coloro che credono in un mondo più giusto e compassionevole, ad aderire all’appello lanciato da Papa Francesco per un’azione concertata che ponga fine alla fame nel mondo entro il 2025”: con queste parole il card. Séan Brady, Primate d’Irlanda, si è rivolto ai fedeli in un messaggio per il nuovo anno. Il porporato ha fatto riferimento al videomessaggio del Papa per la campagna della Caritas Internationalis "Una sola famiglia umana. Cibo per tutti", lanciata il 9 dicembre scorso. “Gioia e speranza sono i miei auspici per il 2014 – ha aggiunto il porporato – soprattutto per coloro che sono soli e senza cibo”. Possano essi “essere sostenuti dalla vicinanza dei fratelli”, ha aggiunto il card. Brady, citando in particolare le popolazioni devastate recentemente dal tifone Hayan nelle Filippine, e quelle colpite da guerre e conflitti in Siria e nella Repubblica Democratica del Congo. Elevando, poi, una preghiera per “tutti coloro che nel mondo non hanno la pace”, il Primate irlandese ha lanciato un appello affinché “grazie ad un’ampia opera di negoziati, i popoli in conflitto possano sperimentare la salvezza di Cristo”. Infine, tornando a soffermarsi sul problema degli affamati nel mondo, il card. Brady ha detto: “Per troppo tempo abbiamo lasciato che la fame e la povertà fossero visibili e tollerate sia a livello globale che locale”. Ma, ha messo in guardia il porporato, “potremo risolvere questi problemi solo se decideremo davvero di farlo”. Di qui, l’esortazione a far sì che “la pace di Cristo trionfi nei nostri cuori per tutti i giorni del 2014”. (I.P.)

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    Comunità Sant'Egidio: a Roma e in 700 città del mondo Marce per la pace

    ◊   In occasione della 47ª Giornata mondiale per la pace la Comunità di Sant’Egidio promuove per domani, 1° gennaio, per il dodicesimo anno consecutivo, iniziative pubbliche, marce e manifestazioni popolari per la pace in oltre 700 città di 78 Paesi del mondo. Migliaia di cristiani, credenti di altre religioni, uomini e donne di buona volontà, - riferisce l'agenzia Sir - si raccoglieranno per dire che la guerra non è mai un destino inevitabile e che la pace è sempre possibile, sotto il titolo comune: “Pace in tutte le terre”. Sono 17 i conflitti ancora aperti: guerra in Siria, nella Repubblica Centrafricana, nel Sud Sudan, e l’instabilità in Medio Oriente, le stragi in Nigeria, le vittime infinite in Iraq e Afghanistan, assieme a tanti risorgenti episodi di violenza in numerosi angoli del nostro pianeta. Per la Comunità di Sant’Egidio, “la pace rimane una necessità nell’agenda del mondo”. A Roma la Marcia per la pace partirà da Largo Giovanni XXIII verso Piazza S. Pietro per sostenere il messaggio di pace del 1° gennaio: “Fraternità, fondamento e via per la pace” e per ascoltare le parole di Papa Francesco. Hanno aderito più di sessanta organizzazioni, tra cui Azione Cattolica, Comunità Papa Giovanni XXIII, Acli, Coldiretti, Cvx Comunità di vita cristiana, Rinnovamento carismatico cattolico, Movimento per un mondo migliore, Comunità Gesù Risorto. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 365

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.