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Sommario del 29/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Profughi e anziani, 'esiliati' dei nostri giorni: il Papa all'Angelus prega per le famiglie del mondo
  • La Santa Famiglia, modello da seguire sempre. I commenti dei fedeli in Piazza San Pietro
  • Anche la Basilica dell'Annunciazione di Nazareth in video collegamento col Pontefice
  • Oggi in Primo Piano

  • Russia, attentato kamikaze a Volgograd. Putin: "rafforzare la sicurezza"
  • Dieci anni fa veniva ucciso in Burundi il nunzio Courtney: all'odio etnico oppose la testimonianza cristiana
  • L'Africa tra vecchie e nuove crisi: economia in crescita, ma la povertà rimane
  • Caritas nazionale: che il 2014 sia anno di rinascita per la politica migratoria italiana
  • Azione Cattolica, Franco Miano: Terra Santa sia luogo di pace e fraternità
  • L'impegno dell'associazione Afmal del Fatebenefratelli per le Filippine colpite dal tifone
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: l'opposizione denuncia 517 morti ad Aleppo in due settimane
  • Razzi e colpi di artiglieria sul confine israelo-libanese. Annunciata visita di Kerry a Gerusalemme e Ramallah
  • Egitto: autobomba esplode nella regione del Delta, quattro feriti
  • Ucraina: decine di migliaia di nuovo in piazza a Kiev
  • Sud Sudan: appello di Ban Ki-moon, "cessare immediatamente le violenze"
  • Bangladesh: per i missionari del Pime un anno tra difficoltà e speranze
  • Morto padre Antoni Blanch, teologo e letterato gesuita
  • L'arcivescovo di Messina: "Andare 'verso le periferie' richiede rinnovamento del cuore"
  • Famiglia, mons. Moretti: "è laboratorio per il bene comune"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Profughi e anziani, 'esiliati' dei nostri giorni: il Papa all'Angelus prega per le famiglie del mondo

    ◊   Un pensiero per i migranti e i rifugiati vittime del rifiuto, dello sfruttamento, della tratta e la fiducia nella “vicinanza amorosa di Dio”: all’Angelus, nella prima domenica dopo Natale e nell’odierna Festa della Santa Famiglia, il Papa ha pregato per tutti coloro che ha definito “esiliati”, dai profughi agli anziani. Quindi, in preparazione al prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato alla famiglia, una preghiera speciale, composta personalmente, e un saluto ai fedeli collegati, tra gli altri, da Nazareth, Barcellona, Loreto e Madrid. Il servizio di Giada Aquilino:

    Gesù ha voluto nascere “in una famiglia umana, ha voluto avere una madre e un padre”, sperimentando la condizione drammatica dei profughi “segnata da paura, incertezza, disagi”, affinché “nessuno si senta escluso dalla vicinanza amorosa di Dio”. A quelle famiglie, “milioni”, che vivono questa “triste realtà” è andato il pensiero di Papa Francesco all’Angelus:

    “In terre lontane anche quando trovano lavoro - e non sempre - non sempre i profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Le loro legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili”.

    Ricordando il percorso di Giuseppe, Maria e Gesù “sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto” a causa delle minacce di Erode, una famiglia "costretta a farsi profuga", il Pontefice ha sottolineato come “quasi ogni giorno la televisione e i giornali” diano notizie di profughi “che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca - ha detto - di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie”:

    “Pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto, dello sfruttamento, che sono vittime della tratta delle persone e del lavoro schiavo. Ma pensiamo anche agli altri ‘esiliati’, io li chiamerei ‘esiliati nascosti’, quegli ‘esiliati’ che possono esserci all’interno delle famiglie stesse: gli anziani, per esempio, che a volte vengono trattati come presenze ingombranti. Molte volte penso che un segno per sapere come va una famiglia è vedere come si trattano in essa i bambini e gli anziani”.

    Dio, ha assicurato il Santo Padre, “è là dove l’uomo è in pericolo, là dove l’uomo soffre, là dove scappa, dove sperimenta il rifiuto e l’abbandono; ma - ha aggiunto - Dio è anche là dove l’uomo sogna, spera di tornare in patria nella libertà, progetta e sceglie per la vita e la dignità sua e dei suoi familiari”. L’invito è stato quindi a fissare lo sguardo sulla Santa Famiglia e sulla “semplicità della vita che essa conduce a Nazareth”:

    “E’ un esempio che fa tanto bene alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l’aiuto vicendevole, il perdono reciproco”.

    Papa Francesco ha quindi ricordato - e invitato i fedeli a ripeterle - “le tre parole chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: permesso, grazie, scusi”:

    “Quando in una famiglia non si è invadente, si chiede ‘permesso’. Quando in una famiglia non si è egoista, si impara a dire ‘grazie! grazie!’. E quando in una famiglia, uno se ne accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusi”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia”.

    Ha quindi incoraggiato “le famiglie a prendere coscienza dell’importanza che hanno nella Chiesa e nella società”.

    “L’annuncio del Vangelo, infatti, passa anzitutto attraverso le famiglie, per poi raggiungere i diversi ambiti della vita quotidiana”.

    A Maria e San Giuseppe, il Papa ha chiesto “di illuminare, di confortare, di guidare ogni famiglia del mondo, perché possa compiere con dignità e serenità la missione che Dio le ha affidato”. Quindi, dopo l’Angelus, il Pontefice ha fatto riferimento al prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato appunto al “tema della famiglia”. Alla Santa Famiglia il Santo Padre ha voluto affidare “questo lavoro sinodale”, recitando una preghiera “per le famiglie di tutto il mondo” composta personalmente. In Gesù, Maria e Giuseppe, “contempliamo lo splendore dell’amore vero”: a loro ha chiesto di rendere “anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole del Vangelo e piccole Chiese domestiche”:

    “Santa Famiglia di Nazareth,
    mai più nelle famiglie si faccia esperienza
    di violenza, chiusura e divisione:
    chiunque è stato ferito o scandalizzato
    conosca presto consolazione e guarigione”.

    L’auspicio del Santo Padre è stato dunque che il prossimo Sinodo dei Vescovi “possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio”. Papa Francesco ha infine salutato, tra gli altri, i fedeli video-collegati con Piazza San Pietro dalla Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, dalla Basilica della Sagrada Familia a Barcellona, dalla Basilica Santuario della Santa Casa di Loreto e tutti quelli “radunati in varie parti del mondo per altre celebrazioni che vedono protagoniste le famiglie, come quella di Madrid”.

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    La Santa Famiglia, modello da seguire sempre. I commenti dei fedeli in Piazza San Pietro

    ◊   In piazza San Pietro, questa mattina, erano decine di migliaia le famiglie arrivate festose da ogni parte del mondo per ascoltare le parole di Papa Francesco. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro:

    R. - La famiglia oggi è il nucleo più importante da cui la fede deve nascere e deve essere trasmessa. Quindi è importante che tutto parta dalla famiglia, per potersi poi allargare alla grande famiglia della comunità, della parrocchia, della Chiesa universale.

    R. - La famiglia ha un significato straordinario anche perché se ci sono dei bei giovani che oggi riempiono la piazza, è proprio perché dietro ci sono delle famiglie belle. E nei nostri Paesi ce ne sono ancora tante, però bisogna crederci sempre e insegnare soprattutto ai giovani che tutto parte da lì; una vita bella è possibile solo in una famiglia dove c’è l’amore di Gesù.

    D. - La famiglia di Nazareth in che modo è esempio per le famiglie?

    R. - La famiglia di Nazareth è il modello per tutte le famiglie del mondo. E l’amore che ha trasmesso la famiglia di Nazareth è sicuramente il motivo per la felicità del mondo intero, non solo delle famiglie.

    R. - La mia famiglia per me significa tutto quello che i miei genitori mi hanno trasmesso, quindi tutta una serie di valori, tanto affetto … ovviamente con la fatica quotidiana, perché non esiste oggi la famiglia perfetta.

    R. - Immagino la famiglia come passato, presente e futuro. Presente perché comunque tuttora la vivo, la vivo bene e lo stare insieme è fantastico; e futuro perché creare una famiglia anche come ci ha insegnato il Signore per vivere e condividere la vita è un obbiettivo grande. E la famiglia di Nazareth ne è sicuramente l’esempio più grande e più bello.

    D. - Oggi è l’ultimo Angelus dell’anno con Papa Francesco. Cosa vi è rimasto nel cuore di questi mesi di pontificato?

    R. - La volontà soprattutto di dire che il modo ha bisogno di una testimonianza di noi cristiani semplici ma soprattutto convinti.

    R. - Sicuramente il primo momento quando si è affacciato e ha chiesto di pregare per lui; credo che questo racchiuda un po’ tutto il suo obbiettivo e il suo pontificato; la semplicità, il sorriso e comunque i gesti semplici che toccano e restano nel cuore.

    R. - La vicinanza alla gente, la semplicità, l’amicizia, il modo molto umano con cui si è posto nei confronti di tutti.

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    Anche la Basilica dell'Annunciazione di Nazareth in video collegamento col Pontefice

    ◊   Nell’ambito delle iniziative di preghiera in preparazione alla prossima Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, a ottobre 2014 sul tema “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, il Pontefice - come anticipato - ha pronunciato al termine dell’Angelus una preghiera per la famiglia composta personalmente. In video collegamento con Piazza San Pietro, c’erano le famiglie di tutta Europa riunite, tra l'altro, a Madrid per celebrare l’odierna festa della Santa Famiglia e i fedeli che hanno partecipato alla Messa nella Basilica della “Sagrada Familia” di Barcellona, con mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e nel Santuario della Santa Casa di Loreto, con il delegato pontificio mons. Giovanni Tonucci. Collegati in diretta pure i fedeli e i pellegrini che alla Basilica dell’Annunciazione di Nazareth hanno preso parte alla Messa celebrata dal segretario generale del Sinodo dei Vescovi, mons. Lorenzo Baldisseri. Sull’evento di Nazareth, ascoltiamo fra’ Bruno Varriano, guardiano e rettore della Basilica dell’Annunciazione, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Nella Basilica dell’Annunciazione siamo già impegnati nella preghiera per le famiglie: ogni martedì, a Nazareth, preghiamo proprio per le famiglie. L’appello del Papa e anche la convocazione di un Sinodo per la famiglia nel 2014 sono stati per noi un momento di grande speranza e di grande gioia, perché è la continuazione di ciò che noi frati già facciamo qui, insieme con i cristiani locali e i pellegrini che vengono nei luoghi della Santa Famiglia. L’evento ha avuto una bella risonanza, perché proprio questa domenica – a livello parrocchiale – stiamo celebrando i 50.mi e i 25.mi anniversari di matrimonio dei nostri fedeli: la nostra minoranza cristiana si è sentita davvero privilegiata. Noi cristiani rappresentiamo soltanto il 2 per cento della popolazione in Terra Santa e avere proprio qui, nel luogo della Sacra Famiglia, l’inviato del Santo Padre, il segretario del Sinodo mons. Baldisseri, è stato un grande incoraggiamento per i cristiani del posto, per i nostri parrocchiani. Parlo anche a nome del nostro parroco, padre Amjad Sabbara: questo piccolo gregge di Terra Santa si è sentito incoraggiato. Quindi, la celebrazione oggi è avvenuta nella Basilica dell’Annunciazione, nella cui basilica inferiore si ricorda il luogo dell’Annunciazione; poi in processione siamo andati fino alla cripta della Santa Famiglia ed è stata recitata la nuova preghiera del Santo Padre, che è stata anche tradotta in arabo. E’ stata pronunciata dai cristiani locali proprio nel luogo in cui si ricorda la Famiglia di Nazareth, una preghiera per tutte le famiglie del mondo.

    D. – Anche voi state lavorando sul questionario di 38 domande, in vista del Sinodo sulla famiglia?

    R. – Certo: abbiamo ricevuto dalla nunziatura il questionario – anche in lingua araba – e abbiamo risposto: anche noi siamo partecipi della Chiesa e, nel luogo dove è nata, ci sentiamo tanto bisognosi dell’aiuto della Chiesa universale.

    D. – Dal luogo in cui l’arcangelo Gabriele annunciò a Maria la nascita di Gesù e dove poi Cristo visse per 30 anni, fino a Piazza San Pietro, passando per le chiese di tutto il mondo, che famiglia si osserva oggi? Quali sono le sfide pastorali?

    R. – Le nostre famiglie cristiane costituiscono una minoranza tra ebrei e musulmani. A volte si sentono sole. Ma penso che la sfida delle nostre famiglie - e penso soprattutto a quelle di Nazareth, poi ci sono anche i cristiani che vivono nei Territori palestinesi - siano le stesse che hanno le famiglie nel mondo. La globalizzazione ha portato le medesime difficoltà che vediamo in quasi tutte le culture: il relativismo, i mezzi di comunicazione che a volte entrano nelle famiglie e prendono più spazio del dovuto, le separazioni… Sono le difficoltà di tutte le famiglie, ma viviamo pure la loro bellezza!

    D. – Papa Francesco, anche nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, il prossimo 1° gennaio, ha ricordato che la famiglia è la “sorgente di ogni fraternità e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace”. Che significato assumono queste parole per la Terra Santa?

    R. – Ogni società deve vivere l’umanità, la fraternità vissuta qui da Gesù, Giuseppe e Maria, dalla Sacra Famiglia. Dobbiamo vivere questo stile di Nazareth, in questa quotidianità costituita da fatti, amore, lavoro. Noi ricordiamo anche l’anniversario della visita di Paolo VI, nel gennaio ’64, tanto che nella Liturgia odierna se ne è fatto cenno. Nazareth è una scuola, una scuola per l’umanità, una scuola di ascolto, una scuola di relazioni.

    D. – In diretta con Piazza San Pietro, vi siete collegati con il Santo Padre. Come attendete Papa Francesco in Terra Santa?

    R. – Attendiamo la visita di Papa Francesco con molto affetto. C’è tanta attesa, perché Papa Francesco è proprio l’icona di questa vicinanza di Dio. Ricordiamo che la visita di un Papa in Terra Santa è sempre un grande incoraggiamento per i cristiani locali: non dimentichiamo che tante famiglie vanno via, soprattutto dai Territori. A Betlemme, tante famiglie cristiane hanno lasciato la zona dopo la costruzione del Muro, con molte difficoltà. Quindi è giusto che la presenza del Santo Padre sia di grande incoraggiamento.

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    Oggi in Primo Piano



    Russia, attentato kamikaze a Volgograd. Putin: "rafforzare la sicurezza"

    ◊   In Russia, sono almeno 13 - ma alcune fonti parlano di 18 - i morti per un’esplosione avvenuta in una stazione ferroviaria di Volgograd, nel sud del Paese. Oltre 40 i feriti accertati. A provocare l’esplosione, secondo il comitato anti-terrorismo russo, è stata l’azione di un’attentatrice suicida. Il servizio di Davide Maggiore:

    L’esplosione ha investito in pieno la sala d’attesa e il numero delle vittime ha reso questo attacco il più sanguinoso in Russia dall’inizio del 2011. Secondo le autorità, l’attentatrice si è fatta esplodere appena entrata nella stazione, di fronte ai metal detector: la folla era più numerosa che nelle giornate normali, visto il gran numero di persone in viaggio nel periodo festivo. Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto che siano prese tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza e un portavoce della polizia ha annunciato che la vigilanza su aeroporti e stazioni verrà rafforzata a seguito dell’attentato, che è il secondo nel giro di pochi giorni. Venerdì, infatti, un’autobomba in un’altra località del sud del Paese aveva provocato tre vittime. Ad ottobre invece la stessa Volgograd - vicina all’instabile regione del Caucaso - era stata colpita da un altro attentato: anche in quell’occasione una donna si era fatta esplodere, a bordo di un autobus, uccidendo 7 persone. A luglio un leader ribelle del Caucaso, il ceceno Doku Umarov, aveva invitato i militanti a usare la “massima forza” contro le autorità, soprattutto in vista dei giochi olimpici invernali, che la Russia ospiterà in febbraio a Sochi.

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    Dieci anni fa veniva ucciso in Burundi il nunzio Courtney: all'odio etnico oppose la testimonianza cristiana

    ◊   Ricorre questa domenica il decimo anniversario della morte dell’arcivescovo Michael Aiden Courtney, nunzio apostolico in Burundi, ucciso il 29 dicembre 2003 da colpi d’arma da fuoco, nei pressi di Bujumbura. Il movente e gli autori del delitto restano ancora ignoti. Il Paese nei primi anni Duemila viveva un periodo di transizione, dopo una sanguinosa guerra civile e una difficile convivenza etnica tra hutu e tutsi. I tentativi di pacificazione erano portati avanti, tra gli altri, dalla Comunità di Sant’Egidio: tra i suoi operatori, anche don Angelo Romano, oggi rettore della Basilica romana di San Bartolomeo all’Isola. A lui, Giada Aquilino ha chiesto un ricordo di mons. Courtney e del Burundi di quegli anni:

    R. - Era l’anno in cui il Burundi faticosamente stava cercando di uscire dalla guerra civile, che era iniziata esattamente dieci anni prima, nel ’93; adesso sono 20 anni da quella data. Nell’ottobre del ’93 era stato ucciso il primo presidente democraticamente eletto del Paese, Melchior Ndadaye: si scatenò una guerra che era insieme politica ed etnica. Nel 2000 poi ci furono gli accordi di Arusha, in Tanzania, fatti con la mediazione prima di Mwalimu Nyerere e poi di Nelson Mandela: accordi cui la Comunità di Sant’Egidio aveva attivamente partecipato. A queste intese seguì una fase molto lunga di applicazione degli accordi e di coinvolgimento delle fazioni armate, che non erano comprese negli accordi di Arusha: ce ne erano alcuni che erano rimasti fuori, tra cui il movimento al quale appartiene l’attuale presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, e altri movimenti importanti. Quindi nel 2003 si era verso la fine della guerra e, come spesso avviene, le fasi finali dei conflitti sono anche molto sanguinose. Purtroppo mons. Courtney è rimasto vittima proprio di un attacco durante questa fase conclusiva. La sua morte è però significativa perché, così come tanti sacerdoti, vescovi e missionari che sono morti durante questo conflitto, è in qualche modo il segno di una vicinanza della Chiesa cattolica alla popolazione, che ha sofferto enormemente durante questo conflitto.

    D. - Perché fu ucciso il nunzio Courtney?

    R. - Le circostanze della sua morte rimangono abbastanza oscure. Si sa soltanto che, mentre viaggiava, la sua automobile venne attaccata e fu ucciso. Le ragioni di questo omicidio non sono chiare: c’è anche il dubbio se volessero veramente attaccare il nunzio o se mons. Courtney rimase vittima di un attacco indiscriminato fatto lungo le vie di comunicazione, come avveniva spesso nel conflitto burundese. Una cosa è certa: il nunzio è stato ucciso perché si spendeva per la pace e quindi era una persona vulnerabile in quanto girava il Paese. Lui aveva preso la sua funzione di nunzio in Burundi con grande serietà e con grande impegno e questo lo portava a visitare molte diocesi e molte parti del Burundi, esponendosi a quelli che erano i rischi di questo tipo di azione. Quindi non c’è dubbio che la sua morte si iscrive anche nel segno di un dono fatto al Paese, perché il suo contributo alla pace nasce proprio dal fatto che - come tanti morti durante il conflitto - non sia fuggito da una situazione di pericolo, ma al contrario sia rimasto vicino alla gente.

    D. - L’arcivescovo Courtney predicava l’amore reciproco, la riconciliazione cristiana, l’armonia e l’unità tra le persone. Non a caso la Conferenza episcopale burundese ha dedicato il 29 dicembre alla Giornata speciale di preghiera per la pace e la riconciliazione nel Paese. A che punto è oggi il Burundi?

    R. - Non c’è dubbio che, se guardiamo retrospettivamente, vediamo che è anche un Paese che ha saputo trovare la sua strada per la pace. Indubbiamente ci sono molti problemi, ma oggi nel Parlamento siedono quelli che prima erano i nemici, quelli che prima si facevano la guerra. Il Paese appartiene agli hutu, ai tutsi, ai twa - i pigmei - e agli swahili e a quelli che hanno scelto di abitarci. E’ un Paese che deve trovare una sua armonia e penso che - con fatica e dopo quasi 250 mila morti - la stia trovando anche grazie al sacrificio di persone come il nunzio Courtney.

    D. - All’Angelus di Santo Stefano, Papa Francesco ha esortato tutti i cristiani a pregare per quanti sono perseguitati a causa della loro fede in Gesù, ricordando che le persecuzioni sono comunque occasione per rendere testimonianza. Quindi l’esempio di mons. Courtney qual è in tal senso?

    R. - In tal senso è l’esempio di una persona che alla logica terribile dell’odio etnico ha opposto una vera testimonianza cristiana. Mons. Courtney di fronte alla predicazione dell’odio - perché c’era una predicazione dell’odio durante il conflitto burundese - ha opposto, insieme a tutta la Chiesa cattolica burundese, una predicazione in senso opposto...

    D. - Per Sant’Egidio, da sempre impegnata in Burundi, qual è la speranza? Qual è l’auspicio per il futuro del Paese africano?

    R. - Che il Paese continui sulla strada della riconciliazione: qui e là ci sono dei segni preoccupanti, certo. Credo che la storia del Burundi debba essere la storia e l’esempio di un Paese piccolo - sono 6 milioni di abitanti ed è grande territorialmente quanto il Belgio - che sta cercando di costruire una pagina nuova. Io credo che, in questo senso, i cristiani e la Chiesa siano chiamati veramente a fornire gli elementi per questa costruzione, perché il Paese non possa più rivivere gli orrori del passato.

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    L'Africa tra vecchie e nuove crisi: economia in crescita, ma la povertà rimane

    ◊   Centrafrica e Sud Sudan sono i due Paesi africani che in questo fine anno sono balzati in primo piano nelle cronache: il primo Paese è nel caos da mesi, mentre nel secondo è scoppiato a dicembre uno scontro tra etnie rivali. Ma non si possono dimenticare situazioni gravi che si perpetuano da anni come quelle in Repubblica Democratica del Congo e in Somalia. Delle crisi nel Continente africano Fausta Speranza ha parlato con Massimo Alberizzi, già corrispondente del Corriere della Sera in Africa e direttore del sito www.africa-express.info:

    R. – Quelle più gravi sono nella Repubblica Centrafricana e nel Sud Sudan. La prima è esplosa a metà dicembre e l’altra da tre o quattro mesi. Dietro ci sono interessi economici grossissimi. In Sud Sudan, in particolare, c’è il petrolio, che viene estratto in continuazione, e quindi in palio ci sono le royalty del petrolio; nella Repubblica Centrafricana invece ci sono altri minerali e anche lì c’è, comunque, una grande ricerca di petrolio. Sono zone limitrofe ed è molto facile che ci siano piattaforme petrolifere sotterranee: in realtà sono state già scoperte, anche se non sono sfruttate.

    D. – Ma in questo 2013 c’è anche la grave crisi in Mali e c’è, poi, anche sempre una situazione difficilissima in Congo...

    R. – Sì, infatti. In Mali, soprattutto dall’inizio dell’anno, ci sono stati gli scontri con gli islamici, l’intervento francese e ci sono state le elezioni. In qualche modo è un’altra situazione di crisi. In Congo, poi, la situazione è endemica, è cronica, in tutta la parte Est del Paese. Esiste poi il problema dell’Lra, il Lord's Resistance Army, nella Repubblica Centrafricana, che poi è andato in Congo, in Uganda, si è spinto fino al Darfur sudanese. Ecco, queste sono zone che purtroppo hanno situazioni praticamente “croniche”.

    D. – C’è anche la Nigeria, purtroppo, tristemente nella cronaca di questo 2013...

    R. – Sì, la Nigeria. Le violenze sono, a Nord di carattere religioso, e a Sud, dove c’è il petrolio, di carattere economico. Ci sono anche nuovi gruppi che operano in Uganda. Ci sono poi tensioni di nuovo tra Eritrea ed Etiopia. E non dimentichiamoci della Somalia, che sembra un Paese che si sta risollevando, ma in realtà è sempre pieno di violenza: gli islamici, in qualche modo, fanno attentati ed uno ce n’è stato proprio in questi giorni.

    D. – In tutto questo, parliamo di economia, perché il Continente si sta muovendo abbastanza bene sul piano macroeconomico, anche se poi la vita delle persone, delle popolazioni non migliora più di tanto...

    R. – Esatto, c’è un’invasione cinese, per cui ci sono cinesi dappertutto. I commerci sono cinesi e così l’importazione. Anche le grandi opere infrastrutturali - le strade, i ponti - sono cinesi. Il risultato di questa crescita economica è di grandi valori, anche se poi in realtà alla popolazione non arriva nulla, non arrivano neanche le briciole. Vivono, quindi, allo stesso modo. Le popolazioni, infatti, se ci sono strade e autostrade, non se ne possono servire o non ne usufruiscono. Certo, i commerci sono più veloci, ma le popolazioni continuano ad essere sempre poverissime e non ricevono vantaggi da questa crescita economica.

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    Caritas nazionale: che il 2014 sia anno di rinascita per la politica migratoria italiana

    ◊   Gli oltre 300 morti a largo di Lampedusa e i sette lavoratori cinesi periti nel rogo di Prato sono le due vergogne che nel 2013 pesano sull’Italia: la fondazione Migrantes, della Cei, ha affidato a una nota nei giorni scorsi la pesante critica contro la gestione italiana delle migrazioni. L'Italia, si legge, così come l’Europa, è incapace “di leggere e gestire un nuovo fenomeno di mobilità”. Sono però spesso proprio le tragedie che permettono di riaprire il tema dell’immigrazione, come la protesta degli ultimi giorni scoppiata nel Cie di Ponte Galeria a Roma, che ha visto un gruppo di migranti fare lo sciopero della fame, dormire all’addiaccio e addirittura cucirsi le bocche per protestare soprattutto contro le condizioni di vita alle quali sono sottoposti. Si chiude un 2013 da una parte molto doloroso, dice Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione di Caritas italiana, dall’altra però ricco di spunti affinché il 2014 sia occasione per superare una lunga serie di criticità. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Occorre rimettere mano ad un sistema nazionale di accoglienza per chi arriva nel nostro Paese, fuggendo da guerre, conflitti, persecuzioni, e che non sia improntato come è stato sino ad oggi sull’emergenza, ma un sistema in grado di assorbire numeri che ormai sono consolidati: 30, 35 mila persone che arrivano ogni anno sulle nostre coste. Noi continuiamo a dire che serve un tavolo di concertazione con il terzo settore, affinché quest’ultimo sia parte attiva nel fronteggiare, assieme al governo, le emergenze che si presentano. Chiaramente Lampedusa è stata e rimane la realtà più sollecitata dai continui arrivi. E Lampedusa deve essere dotata di un Centro che sia degno di questo nome. La Caritas, a febbraio, aprirà un Centro operativo, di supporto, perché vogliamo dare anche un segnale forte. Lampedusa è un luogo simbolo, ma luogo anche strategico, per un’accoglienza che possa avvenire secondo quelli che sono gli standard internazionalmente riconosciuti.

    D. – L’anno che entra si apre con l’eco del dibattito sull’introduzione dello Ius soli, sulla chiusura dei Cie, sulle modifiche alla Bossi-Fini. A suo giudizio quale di questi punti potrà avere, nei mesi prossimi, risposte più concrete?

    R. – Un po’ tutti i punti, anche perché il tema della cittadinanza, e quindi dello Ius soli, è un tema a noi molto caro. Abbiamo partecipato, lo facciamo tutt’oggi, ad una campagna che promuove il diritto dei minori, figli di stranieri nati in Italia, ad essere cittadini italiani. E continuiamo, perché dopo tante promesse, dopo tanti impegni, dopo due proposte di legge depositate in Parlamento, ancora non vediamo una luce all’orizzonte. In qualche modo chiederemo, nonostante un panorama politico in evidente mutamento, che ci si impegni realmente, affinché questo diventi un tema forte della prossima agenda politica del nostro Paese e soprattutto di questo governo. I Cie sono un altro tema forte legato alla presenza dei cittadini stranieri irregolari sul territorio. Noi, in passato, avevamo già chiesto la loro chiusura. Dopo gli ultimi avvenimenti non possiamo che confermare questo, nella consapevolezza che i Cie costituiscono un pezzo di un’idea ormai obsoleta di gestione dell’immigrazione che, purtroppo troppo spesso, si scontra con quelle che sono palesi violazioni dei diritti umani. Quindi, ‘no’ ai Cie.

    D. – E quali sono le possibilità che si possa metter mano alla Bossi-Fini?

    R. – E’ un po’ tutto l’impianto sull’immigrazione in Italia che andrebbe rivisto. La Bossi-Fini costituisce evidentemente il maggiore vulnus, però non è l’unica questione. Probabilmente partire dalla Bossi-Fini significa dare un segnale forte. Noi ci attendiamo dal governo che nel 2014 qualcosa si faccia, a partire dall’abolizione del reato di immigrazione clandestina, che ha fatto subire pene indicibili spesso a migranti la cui sola colpa era quella magari di avere perso il lavoro e quindi essere diventati irregolari. Tutto questo non vorremmo più vederlo nel 2014.

    D. – Una notizia delle ultime ore è la proposta di aprire agli immigrati le Forze armate italiane. La dobbiamo giudicare una provocazione o una reale possibilità?

    R. – Certamente siamo su un piano abbastanza scivoloso. Già rispetto al tema legato al servizio civile nazionale abbiamo dovuto attendere una serie di sentenze perché si desse la possibilità anche ai cittadini stranieri di partecipare. Circa le Forze armate l’idea di poter vedere cittadini non italiani farne parte significa avere un nuovo approccio al tema migratorio. Non so però ancora quanto il nostro Paese sia maturo per una scelta di questo tipo.

    D. – Su tutto questo vogliamo ricordare il messaggio che il Papa ha lanciato in occasione delle festività natalizie: apriamoci ai migranti, accogliamoli e aiutiamoli...

    R. – Tutto quello che in questi mesi è stato fatto da Francesco è stato straordinario. Abbiamo visto il cambio di passo anche nella percezione comune rispetto al tema, e questo grazie a tutti i gesti portati avanti dal Papa. Quindi, noi crediamo fortemente nella figura di un Santo Padre che crede che l’immigrazione sia un segno dei tempi. Bisogna ormai prenderne atto, farsi carico e lavorare affinché una società, che è ormai palesemente multiculturale, possa, anche se con il tempo, anche se con fatica, diventare interculturale e quindi capace di riconoscere le differenze.

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    Azione Cattolica, Franco Miano: Terra Santa sia luogo di pace e fraternità

    ◊   Comincerà questo lunedì il pellegrinaggio dell’Azione Cattolica italiana in Terra Santa per la pace e la fraternità. Un’iniziativa promossa nel cinquantesimo anniversario del viaggio di Paolo VI, primo Pontefice a visitare la Terra Santa dopo San Pietro. La delegazione di collaboratori e responsabili diocesani e nazionali dell’associazione farà ritorno in Italia il 6 gennaio. A guidarla, il presidente nazionale Franco Miano, che ha spiegato il senso del pellegrinaggio al microfono di Antonella Pilia:

    R. - Andare alle radici della nostra fede, nel luogo dove tutto ha origine, per trarre forza, vitalità e sostegno alla nostra testimonianza cristiana in tutti gli ambienti di vita è il nostro impegno come Azione Cattolica. Ma lo è ancor di più quello di pregare e invocare la pace per tutte le Nazioni, per tutti i popoli e per tutte le situazioni di conflitto e difficoltà, seguendo le indicazioni del Messaggio per la pace del Santo Padre, sul tema della fraternità. E mettendoci anche in ideale collegamento con le altre persone dell’Azione Cattolica che invece parteciperanno alla Marcia della Pace del 31 dicembre, a Campobasso, insieme alla Caritas e alla Conferenza episcopale italiana.

    D. – Vivrete questo pellegrinaggio nel 50.mo anniversario di quello compiuto nel 1964 da Paolo VI, primo Pontefice a tornare in Terra Santa dopo San Pietro…

    R. – Sì. Quel pellegrinaggio fu importantissimo per il suo significato al tempo del Concilio, segnato da una riapertura di orizzonti, e noi pensiamo che oggi, con Papa Francesco, sia tempo di respirare sempre di più il valore di un dialogo basato sull’essenziale. Quell’essenziale che ci viene ricordato proprio da luoghi come Gerusalemme, Betlemme e Nazareth: luoghi dell’essenziale della vita.

    D. – Quali sono le tappe principali del vostro pellegrinaggio?

    R. – Ci sono due tipi di appuntamenti. Quelli di carattere più strettamente spirituale e di preghiera, perché per l'Azione Cattolica un pellegrinaggio in Terra Santa significa prima di tutto mettersi in cammino, seguire le orme del Signore. Poi ci sono alcuni appuntamenti importanti: con il patriarca di Gerusalemme, con il custode di Terra Santa, con il nunzio apostolico. Ma ci sono anche incontri con le comunità locali e in particolare con l’Azione Cattolica di Betlemme, dove c’è un gruppo di cattolici impegnati che noi sosteniamo e con cui siamo in collegamento.

    D. – Il primo gennaio parteciperete anche alla Giornata della Pace a Gerusalemme. Cosa significa questo appuntamento, anche alla luce della difficile situazione che si vive in quei luoghi?

    R. – Significa, prima di tutto, continuare la grande preghiera che Papa Francesco ha lanciato per la Siria e per l’intero Medio Oriente. E quindi, da un lato, mantenere viva l’aspirazione di una pace che sia veramente universale e che tocchi tutti gli uomini e tutte le Nazioni; dall’altro, rinnovare il nostro impegno di operatori di pace nella vita quotidiana e, per quanto sia nelle nostre forze, nella spinta, nel sostegno a politiche di pace.

    D. – Con quali sentimenti vi accingete dunque a partire?

    R. – La speranza è uno dei sentimenti fondamentali, intesa come la speranza di un tempo nuovo che può scaturire seguendo il Signore. Però noi sappiamo che non esiste speranza senza responsabilità. La speranza fondata sulla fede chiede la coerenza dell’impegno operoso e quindi noi vorremmo trarre forza per un impegno di pace che sappia toccare tutte le grandi questioni che oggi attraversano il mondo e anche la nostra Italia: dalle problematiche dell’immigrazione e del lavoro ai conflitti su larga scala ma anche nella vita familiare di tutti i giorni. Con questo auspicio, di fatto, ci prepariamo a vivere il pellegrinaggio in Terra Santa, sperando che possa sempre più essere luogo di pace fondato sulla presenza del Signore.

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    L'impegno dell'associazione Afmal del Fatebenefratelli per le Filippine colpite dal tifone

    ◊   Aiuti medici e accoglienza alle famiglie e ai loro bambini, vittime del tifone nelle Filippine. E’ quanto sta facendo l’Afmal, l’associazione umanitaria del Fatebenefratelli per i malati lontani, che è presente a Manila e sull'isola di Cebu. Maria Cristina Montagnaro ha chiesto a padre Gerardo D’Auria, vicepresidente Afmal, come stanno operando per aiutare la popolazione colpita dal tifone:

    R. - Ci siamo mossi subito e da qui abbiamo inviato immediatamente farmaci, medicinali e anche attrezzature sanitarie per eventuali interventi in loco. Presto partirà - il prossimo 9 gennaio - una nuova missione con i medici dell’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma, che avrà come meta l’isola di Palawan, una delle isole che è stata maggiormente distrutta dal tifone. Lì saremo presenti con questa équipe di medici ed effettueremo interventi e visite. Inoltre in questo momento a Manila stiamo accogliendo degli sfollati dell’isola di Palawan - sono circa una cinquantina di famiglie - nel nostro poliambulatorio di Manila e poi in un centro per disabili, dove abbiamo disponibilità di posti. Queste famiglie vengono quindi ospitate dai nostri confratelli giù nelle Filippine.

    D. - Qual è la situazione che avete trovato?

    R. - La situazione è abbastanza grave. Una situazione cui hanno fatto fronte tutti le ong mondiali, muovendosi in tempo e portando supporti e aiuti per non far insorgere nuove malattie, perché ovviamente in questi casi possono nascere delle epidemie, aumentando quindi la mortalità rispetto alle vittime provocate già dal tifone.

    D. - Di che cosa hanno bisogno queste popolazioni?

    R. - In questo momento hanno bisogno di pensare alla propria salute, nel senso di ricuperare quelli che sono stati i danni del tifone a livello sì strutturale, ma anche a livello fisico e mentale della popolazione.

    D. - Recentemente avete operato una bambina a Villa San Pietro …

    R. - Sì. Durante l’anno facciamo vari interventi qui all’Ospedale San Pietro, insieme ad Emergenza Sorrisi, un’altra ong con cui collaboriamo moltissimo. Si è trattato di un ennesimo caso per questo tipo di intervento. Il tutto sempre in accordo con le ambasciate, i consolati, per poter portare i piccoli qui in Italia per essere sottoposti a questi interventi e poi rimandarli a casa nel loro Paese: ciò nasce dagli accordi tra Nazioni.

    D. - Voi finanziate questi progetti?

    R. - Noi finanziamo questi progetti e sono finanziati completamente a livello privato. Nella maggior parte dei casi sono tutti benefettori.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: l'opposizione denuncia 517 morti ad Aleppo in due settimane

    ◊   Non si ferma il conflitto in Siria. Per l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong vicina all’opposizione, sono stati 517 i morti, tra cui 151 bambini, a causa dei raid aerei governativi nella sola provincia di Aleppo, nelle ultime due settimane. Secondo gli attivisti, 46 donne e altrettanti combattenti, alcuni dei quali appartenenti a formazione jihadiste, hanno perso la vita nei bombardamenti, compiuti con “barili esplosivi”. Intanto un comunicato congiunto dell’Onu e dell’Opac, l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha confermato che con ogni probabilità non potrà essere rispettata la scadenza del 31 dicembre entro la quale gli agenti chimici più pericolosi avrebbero dovuto essere portati fuori dal Paese. Ad impedirlo, problemi di sicurezza ma anche le conseguenze delle cattive condizioni meteo. Navi americane, danesi e norvegesi, oltre che camion e mezzi blindati russi, erano già in attesa del carico nel Paese e nelle acque circostanti. (D.M.)

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    Razzi e colpi di artiglieria sul confine israelo-libanese. Annunciata visita di Kerry a Gerusalemme e Ramallah

    ◊   Cresce la tensione tra Libano e Israele dopo che due razzi sono stati sparati in direzione della Galilea dal territorio libanese. L’esercito israeliano ha risposto con colpi d’artiglieria e inviando elicotteri militari a sorvegliare la zona: non si registrano vittime né feriti. Israele -il cui premier Netanyahu ha accusato Hezbollah dell'attacco - ha poi inoltrato una protesta formale per l’accaduto alla missione Onu in Libano, l’Unifil, definendo il lancio di razzi una “infrazione inaccettabile” della sovranità nazionale “che ha messo in pericolo la vita di migliaia di abitanti”. Beirut, da parte sua, guarda anche alle proprie tensioni interne, nel giorno in cui si svolgono i funerali dell’ex-ministro Shatah, morto con altre sei persone nell’attentato di venerdì. Il Medio Oriente aspetta, infine, anche la visita di John Kerry, segretario di Stato Usa, che partirà per Gerusalemme il primo gennaio. Kerry, riferisce il Dipartimento di Stato, incontrerà sia il primo ministro israeliano Netanyahu sia il presidente palestinese Mahmoud Abbas, per discutere dei colloqui di pace. Su questo fronte, proprio nelle scorse ore, Israele ha confermato che lunedì sera verranno liberati i 26 prigionieri palestinesi che il governo si era impegnato a rilasciare dopo la ripresa dei negoziati a luglio. (D.M.)

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    Egitto: autobomba esplode nella regione del Delta, quattro feriti

    ◊   Un’autobomba è esplosa in Egitto, nella regione del Delta del Nilo, provocando quattro feriti: l’attacco, riferiscono fonti della sicurezza, era diretto contro un edificio usato dall’intelligence militare. Resta dunque alta la tensione nel Paese, dove negli scorsi giorni almeno 5 persone sono morte e 265 sono state arrestate a seguito degli scontri tra polizia e sostenitori del movimento dei Fratelli Musulmani, inserito dalle autorità nella lista delle organizzazioni terroristiche. La scorsa settimana un altro attentato nel Delta, contro un commissariato di polizia nella città di Mansoura, aveva fatto 16 vittime. (D.M.)

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    Ucraina: decine di migliaia di nuovo in piazza a Kiev

    ◊   Ancora manifestazioni in Ucraina. Almeno 50 mila persone sono scese in piazza fin da stamattina nella capitale Kiev: al centro delle proteste dei dimostranti filo-europei ancora la decisione del governo di congelare l’accordo di libero scambio tra il Paese e l’Unione Europea, riavvicinandosi alla Russia. A dare nuovo impulso alle manifestazioni anche l’aggressione - avvenuta negli scorsi giorni - alla giornalista d’inchiesta Tatyana Chornovol, nota per il suo impegno anti-corruzione e che già in precedenza aveva sostenuto le proteste pro-Ue. Le dimostrazioni di oggi sono meno affollate di quelle delle settimane passate, ma comprendono anche marce in direzione delle residenze di varie personalità pubbliche, tra cui il capo dello Stato, il premier e il procuratore generale: attraverso queste azioni l’opposizione chiede il “rilascio dei detenuti innocenti”, la punizione dei colpevoli delle aggressioni agli attivisti e le dimissioni del governo. (D.M.)

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    Sud Sudan: appello di Ban Ki-moon, "cessare immediatamente le violenze"

    ◊   “Tutte le violenze, gli attacchi e gli abusi” in Sud Sudan “devono cessare immediatamente”: lo chiede, in un comunicato, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. “I responsabili dovranno rispondere delle loro azioni”, ammonisce il documento, che invita tutte le parti coinvolte ad assicurare in particolare la sicurezza dei civili. Queste parole arrivano nel momento in cui il governo di Juba guidato dal presidente Salva Kiir ha accusato i ribelli fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar di aver mobilitato circa 25 mila giovani - appartenenti alla milizia nota come “White Army” - per effettuare attacchi nello Stato del Jonglei, una circostanza smentita dal portavoce dei ribelli, Moses Ruai Lat. Secondo i ribelli, i componenti di “White Army” – di etnia Nuer come lo stesso Machar - hanno deciso di loro iniziativa di schierarsi contro le forze governative. In questo clima continua il tentativo di mediazione dei Paesi dell’Africa orientale, che hanno chiesto alle parti in conflitto di intavolare colloqui entro martedì. (D.M.)

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    Bangladesh: per i missionari del Pime un anno tra difficoltà e speranze

    ◊   “Non mancano i disagi, ma si va avanti”, così padre Franco Cagnasso, superiore regionale del Pime in Bangladesh, sintetizza l’anno che si sta concludendo nel Paese asiatico in una lettera inviata all’agenzia AsiaNews. Il religioso cita innanzitutto le difficoltà dovute alle proteste politiche di quest'anno. “Le nostre attività - spiega - finora non sono state colpite direttamente” ma ci sono state difficoltà “specialmente per realizzare i programmi scolastici e gli esami, e per curare gli ammalati (interventi chirurgici rinviati, spostamenti impossibili...)”. In questo contesto, il missionario ha però voluto sottolineare l’impegno di quanti – “laici cristiani, buddisti, musulmani, suore” – danno un aiuto indispensabile alla prosecuzione delle attività. In particolare, padre Cagnasso ricorda l'ostello di Tong Khyang Para “con i suoi 100 ragazzi e ragazze delle popolazioni Marma e Tripura, che hanno una gran voglia di studiare e impegnarsi per il futuro non soltanto loro, ma dei loro popoli” e i circa 270 studenti sostenuti nel loro percorso scolastico dai missionari. “Un incoraggiamento per tutti” è definita dal missionario la storia dei tre giovani diversamente abili che, accolti nella “Casa della tenerezza” a Rajshahi sono riusciti ad intraprendere delle attività che li mettono in grado “di guadagnare e vivere autonomamente”. Nella stessa diocesi, ricorda il religioso “oltre 4.000 malati, fra cui 400 con la tubercolosi, hanno ricevuto attenzione, cure, accompagnamento” nel 'Centro assistenza malati' gestito dalle suore. Il missionario conclude la sua lettera con una testimonianza gioiosa nonostante la presenza di tensioni sociali: è quella che riguarda il Festival dei bambini di strada dello scorso ottobre, una giornata che ha “rinfrancato” sia i beneficiari dei progetti, sia gli stessi volontari e missionari. (D.M.)

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    Morto padre Antoni Blanch, teologo e letterato gesuita

    ◊   È morto ieri, a 89 anni, il teologo e umanista gesuita spagnolo Antoni Blanch: componente del centro studi “Cristianisme i Justicia” era stato tra l’altro decano nella Pontificia università Comillas di Madrid e direttore dell’istituto “Fé y Secularidad” nella stessa città. Come studioso di letteratura, si era occupato particolarmente di Dostoevskij, della letteratura spagnola del XVIII secolo e di quella francese del XIX, ed è stato importante anche il suo impegno nel dialogo interreligioso. Il suo allievo e confratello gesuita, padre Borras, lo ha ricordato come un “uomo di cultura” che “non parlava del passato, ma del presente e del futuro”. (D.M.)

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    L'arcivescovo di Messina: "Andare 'verso le periferie' richiede rinnovamento del cuore"

    ◊   “Lasciamoci provocare dalle esortazioni di Papa Francesco ad ‘uscire da noi stessi’, ‘andare verso le periferie dell’umanità’, verso cioè gli spazi e i vissuti degli uomini sofferenti, emarginati e abbandonati". È questo l’invito formulato da mons. Calogero La Piana, arcivescovo di Messina, nel suo messaggio per il tempo di Natale, ripreso dal Sir. “Con Gesù, Papa Francesco ci spinge ad accostarci con tenerezza e misericordia alle fragilità degli uomini e delle donne: relazioni ferite, malattie, solitudini, ingiustizie, schiavitù... Non dimentichiamoci, in questo particolare momento storico, degli immigrati che bussano alla coscienza, alla carità e alla nostra giustizia”, prosegue. Il vescovo ricorda che “solo lo sguardo del cuore rinnovato permette di ‘uscire da se stessi’, da un modo cioè di vedere e di vivere concentrato sulle proprie cose e sui propri interessi, e consente di proiettarsi verso gli altri, ascoltarne il grido di aiuto e andare incontro alle loro necessità”. Infine, mons. La Piana si rivolge a quanti sono in difficoltà per la mancanza di beni materiali, invitandoli a non scoraggiarsi: “Gesù vi ama, vi guarda con compassione, domanda a tutti gli uomini di buona volontà di rinnovarsi nella mente e nel cuore per riconoscervi come fratelli e prendersi cura di voi”. (D.M.)

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    Famiglia, mons. Moretti: "è laboratorio per il bene comune"

    ◊   La famiglia - che la Chiesa celebra particolarmente nella Festa odierna - è “il cuore” del messaggio che l’arcivescovo di Salerno, mons. Luigi Moretti, ha voluto trasmettere ai fedeli durante il periodo natalizio. Per il presule, le cui parole sono state riprese dal Sir, “è sotto gli occhi di tutti come la famiglia sia diventata, negli ultimi tempi, un grande tema di attualità”. In nessun altro momento come questo “la famiglia si è trovata al centro di rivolgimenti così radicali” ha detto mons. Moretti, notando che “cambia il mondo intorno a noi, cambia anche la famiglia ma, a differenza del passato, ad essa non viene più riconosciuto quel ruolo di ‘fondamento della società’ che il Concilio, nella Gaudium et spes, ha delineato in modo così chiaro e lungimirante”. In realtà, ha proseguito il presule, “non va nascosto il fatto che la famiglia rappresenta il bersaglio attraverso il quale puntare su obiettivi di più largo impatto culturale e sociale”. “Cambiare la famiglia, cercare di modificarne il carattere costitutivo, mettere in discussione il progetto di amore e di donazione reciproca come elemento primario e insostituibile della sua costituzione - ha specificato - è anche la via più agevole per mettere un’ipoteca sulla società”. Allora, “interrogarsi intorno alla famiglia è interrogarsi intorno a se stessi, così come guardare dal di dentro la famiglia è esplorare se stessi”. La famiglia, ha concluso il presule, “è quel sano laboratorio in cui avviene la trasformazione dall’io al noi, ossia dall’individualismo a quella forma di plurale che più avvicina al bene comune”. (D.M.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 363

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.