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Sommario del 24/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Vigilia di Natale, la Messa con Papa Francesco alle 21.30 in San Pietro
  • Visita di Papa Francesco al Papa emerito per gli auguri natalizi
  • Inaugurazione del Presepe napoletano in Piazza San Pietro. Il card. Sepe: il Natale porti pace e giustizia
  • Il card. Sandri: Papa Francesco vicino ai cristiani d'Oriente che celebrano il Natale nella sofferenza
  • Nomina episcopale di Papa Francesco in Costa Rica
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto. Attentato Mansoura: 14 morti, 130 feriti. Un missionario: Natale ci porti la speranza
  • Nigeria: offensiva dell'esercito contro Boko Haram, 70 morti
  • Il Patriarca Béchara Raï: il Natale porti pace e speranza al Medio Oriente
  • P. Pizzaballa: i bambini di Betlemme regalano i doni di Natale ai bimbi siriani
  • Parrocchie, carceri, case di riposo: il pranzo di Natale di Sant'Egidio con i più poveri
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sud Sudan: i civili si rifugiano nelle basi dell’Onu
  • Rwanda: nota dei vescovi sul controverso programma di pacificazione nazionale
  • India. L'arcivescovo di Delhi: dalit cristiani discriminati per impedire conversioni
  • Ghana. I vescovi: la corruzione dilagante minaccia la pace sociale del Paese
  • El Salvador: l'arcidiocesi annuncia un nuovo ufficio per i diritti umani
  • Caso Shalabayeva: la donna può lasciare il Kazakistan dietro cauzione
  • Datagate. Snowden: la mia missione è compiuta
  • Maltempo: la tempesta Dirk colpisce l’Europa, almeno 4 vittime
  • Il Papa e la Santa Sede



    Vigilia di Natale, la Messa con Papa Francesco alle 21.30 in San Pietro

    ◊   La Basilica Vaticana si appresta a ospitare la prima Messa della Notte di Natale presieduta da Papa Francesco. La liturgia solenne inizierà alle 21.30 e terminerà con la processione durante la quale il Papa deporrà personalmente l’immagine di Gesù Bambino nel presepe della Basilica. Domani, solennità del Natale, alle 12.00, Papa Francesco si affaccerà dalla Loggia centrale della Basilica per il tradizionale Messaggio natalizio e la Benedizione Apostolica Urbi et Orbi, che sarà seguito in diretta televisiva mondovisione da circa 70 emittenti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Papa Francesco che porta in braccio il piccolo Gesù fino al presepe. Una scena nuova nella Notte di Natale in Vaticano, che almeno 65 televisioni inquadreranno in diretta tv. Gesù Bambino tenuto in braccio dal Papa della tenerezza a nome dell’umanità, da lui invitata a togliere in questi giorni dal cuore il cartello “Non disturbare”, ad abbassare il cicaleccio delle parole e i watt delle luminarie per cogliere più nitidamente – come si fa guardando in campagna il cielo stellato, senza l’inquinamento luminoso della città – il raggio della Cometa che indica Betlemme. C’è il calore di questo sentimento nelle ultime ore dell’Attesa e ad accenderlo è stato il Papa stesso con le sue ultime omelie a Santa Marta, la sua carità sorridente tra i piccoli del Bambin Gesù, la sua attenzione ai senza casa perché Natale vuol dire famiglia, ma una famiglia senza una casa è come un futuro al quale hanno già strappato la speranza nel presente.

    Che sia un Natale con l’anima aperta, vigilante e in pellegrinaggio – chiede dunque Papa Francesco – e non chiusa, indifferente ed “errante”, senza cioè una meta più alta e che porti più in là del più vicino centro commerciale. Che sia un Natale trascorso pensando a chi lo festeggerà senza festa, né allegria, o addirittura sfiorando la morte mentre Gesù viene alla vita, per il solo fatto di essere cristiano e di voler pregare in questa notte dentro una chiesa. Per tutti loro ci sarà certamente il pensiero del Papa, cne non li dimenticherà come dimostra la preghiera dei fedeli della notte di Natale, dedicata in particolare ai perseguitati a causa della fede perché possano ricevere “forza dall’Incarnazione del Verbo di Dio che dona salvezza dai nemici”. Per tutti, la speranza del Natale sarà simboleggiata dai dieci bambini che, in rappresentanza dei diversi Continenti, deporranno i fiori davanti al Bambinello. “Viene il Signore – ripete ancora Papa Francesco nel tweet di oggi – Aspettiamolo con cuore aperto!”.

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    Visita di Papa Francesco al Papa emerito per gli auguri natalizi

    ◊   Nel pomeriggio di ieri, intorno alle 17, Papa Francesco è andato in visita al Papa emerito, Benedetto XVI, per gli auguri di Natale. Benedetto XVI ha accolto Francesco all’ingresso della sua residenza (già monastero Mater Ecclesiae). Dopo una breve preghiera insieme nella Cappella, l’incontro privato, durato circa mezz'ora, in una sala della residenza. Poi Papa Francesco, che era accompagnato dai suoi segretari personali, ha salutato anche gli altri membri della “famiglia” del Papa emerito, mons. Gänswein e le Memores Domini. La visita è durata circa 45 minuti.

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    Inaugurazione del Presepe napoletano in Piazza San Pietro. Il card. Sepe: il Natale porti pace e giustizia

    ◊   Viene inaugurato oggi in Piazza San Pietro alle 17.00, sulle note di “O’ sole mio” suonate dalla Banda musicale vaticana, il Presepe napoletano regalato dal cardinale Crescenzio Sepe al Papa. Il programma, ancora non ufficiale, prevede che alle 18.00 il Papa possa accendere il “lume della Pace” posto sul davanzale della finestra dello studio privato pontificio. La cerimonia si concluderà con il collegamento con Betlemme. Quest’anno, il Presepe, allestito come ogni anno ai piedi dell’obelisco nella splendida cornice del Colonnato Berniniano, ha come titolo "Francesco 1223 - Francesco 2013". Si tratta, dunque, di un Presepe napoletano, che per la prima volta nella sua storia arriva a Piazza San Pietro. Un'opera ideata e realizzata dal maestro Antonio Cantone e dalla bottega Cantone & Costabile - esponenti del presepe del settecento partenopeo - corredata dalla scenografia firmata dal prof. Antonio di Tuoro. Sedici pastori, vestiti con abiti tipici del settecento napoletano, faranno da cornice alla scena che rievoca la nascita del Bambino Gesù, mentre il paesaggio rappresenterà un luogo tradizionale della Campania felix. Anche quest’anno il presepe è stato realizzato grazie al sostegno di alcuni benefattori, limitando al massimo i costi a carico del Governatorato. Presenti alla cerimonia i cardinali Comastri e Bertello, rispettivamente vicario del Papa per la Città del Vaticano e presidente del Governatorato, oltre al cardinale Crescenzio Sepe. All’arcivescovo di Napoli, Luca Collodi ha chiesto innanzitutto quale Natale auguri alla sua diocesi:

    R. – Diciamo, da una parte, un Natale aperto alla speranza: questo Dio che è venuto a dare speranza, a portare un po’ di pace, a portare soprattutto un po’ di giustizia in un terreno che è avvelenato: c’è la cosiddetta Terra dei fuochi; e poi per tanti disagi sociali che ormai toccano tutta la popolazione. Il messaggio che vogliamo far passare è quello di non arrenderci, di non farci catturare dal pessimismo; e dall’altra parte, però, è anche necessario focalizzare questi problemi perché c’è responsabilità da parte di tutti – della Chiesa, delle istituzioni, di tutti – a prendere a cuore questo problema e cercare di trovare una soluzione adeguata.

    D. – A Napoli, la speranza rischia di essere semplicemente un sogno, o può essere una realtà concreta?

    R. – Abbiamo cercato, insieme anche con le istituzioni, di dare dei segni, dei segni di speranza, che però abbiano dei contenuti. Così abbiamo creato la Cittadella dell’artigianato per i giovani, abbiamo fatto la Casa di Tonia, dove accogliamo le mamme abbandonate con i loro bambini; un call-center di solidarietà; un marketing di solidarietà; e, soprattutto per i bambini, abbiamo organizzato ormai già da qualche anno, un accompagnamento per evitare che marinino la scuola, alle volte, perché? Perché sono poveri, perché i genitori non hanno i soldi per comprare un grembiulino, le scarpine, i quaderni … Sono circa 500 bambini, e allora all’inizio dell’anno diamo loro un kit e li accompagniamo per tutto l’anno, in modo da poterli seguire …

    D. – Voi oggi portate questa speranza da Napoli a Piazza San Pietro attraverso il presepe, che è una delle realtà più alte della cultura e della tradizione napoletana …

    R. – Ecco: il presepe, per esempio, fa parte di quelle virtuosità, di quelle eccellenze napoletane che intanto – grazie a Dio – si tramandano di padre in figlio: un artigianato che trova un terreno molto fertile; e poi, rappresenta l’impegno, l’inventiva, la cultura, quella umanità che è tipica proprio del nostro popolo.

    D. – Che cosa si aspettano i napoletani e i campani da questo Natale?

    R. – Fatti un po’ più concreti da parte di tutti. Concreti nel senso che si deve andare incontro a queste urgenze che ormai possono esplodere, e che portino una ventata nuova. Napoli ha bisogno di respirare un po’ meglio di come ha fatto finora, perché solo con l’impegno concreto, con progetti concreti, si possono affrontare anche questo Natale e il prossimo anno, con una prospettiva più positiva e più serena.

    D. – Lei è preoccupato del disagio sociale che in tante parti d’Italia, non solo a Napoli, si sta esprimendo attraverso vari movimenti di cittadini?

    R. – Sono preoccupato perché sono grida che vengono dalla gente, dalla povera gente; aumenta a dismisura, a Napoli in modo particolare, la povertà, cioè il numero di chi non solo non riesce più ad arrivare alla fine del mese, ma di chi non riesce a portare un piatto caldo al giorno in famiglie con figli, famiglie che vengono nelle nostre Caritas, nei nostri centri parrocchiali dei canali diocesani, per sopravvivere: bè, questo fa meditare, fa riflettere e fa pregare perché il Signore ci aiuti e ci dia la forza di superare queste difficoltà.

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    Il card. Sandri: Papa Francesco vicino ai cristiani d'Oriente che celebrano il Natale nella sofferenza

    ◊   “Ho avuto il piacere di poter incontrare il Papa proprio alla Vigilia del Natale e ne ho tratto tanta gioia che voglio trasmettere a tutti”. Così il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, al termine del colloquio avuto ieri con Papa Francesco. Le persecuzioni, le violenze ma anche le speranze e lo spirito evangelico delle diverse realtà delle Chiese Orientali sono emerse dalla conversazione col Pontefice. Ma sentiamo lo stesso cardinale Sandri al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. – L’ho trovato veramente pieno di gioia, sereno. Le cose di cui abbiamo parlato hanno riguardato le Chiese Orientali, soprattutto, e tutte quelle zone dove c’è tanta sofferenza, guerra, terrorismo, gente isolata, che soffre, gente bombardata. E’ stato, quindi, un incontro anche di tristezza e di impotenza per loro. Certamente il Papa, con il cuore grande che ha, vorrebbe dire a tutti di nuovo, ripetere quell’appello che ha fatto, intensissimo, la sera del 7 settembre, durante la veglia di preghiera e di digiuno per la Siria: la fraternità è la via alla pace!Sentirsi tutti responsabili del proprio Paese e non pensare che la distruzione, la violenza, la guerra e la morte porteranno soluzioni, ma la fraternità, così come Gesù ci ha insegnato, quel Gesù che noi adoriamo nel presepe di Natale.

    D. – Nel cuore del Papa, o nel suo cuore, ci sono anche le persecuzioni e le privazioni di tante comunità cristiane...

    R. – Certo, la vicinanza del Papa, come lui me l’ha espressa, è veramente grande per quelli che soffrono, soprattutto per la loro fede. Pensare che possano essere bersaglio di vendette, di violenze, di persecuzioni è un assurdo che tutti noi deprechiamo.

    D. – Quando il Papa vi ha incontrato, durante la Plenaria della Congregazione, ha parlato di una vitalità rifiorita, di un dinamismo missionario e di perseveranza nella difficoltà. Le chiedo se ci sono dunque motivi, anche per sorridere, cioè dati positivi e incoraggianti a conclusione di questo anno per la realtà delle Chiese Orientali, e che ci possano far ben sperare per il 2014...

    R. – Proprio il fatto che le Chiese Orientali - molte di esse - siano sotto il vessillo della croce concreta, ci dà la testimonianza più grande di quello che ha detto Gesù: “Quando sarete perseguitati, disprezzati dagli altri, è lì che sarete miei discepoli”. Quindi questa è una speranza che sorge da quella antichissima convinzione che il sangue dei cristiani porterà una crescita, certo in mezzo a tante difficoltà. L’altra sfida è l’ecumenismo, perché il martirio non è solo dei nostri cattolici, ma anche degli ortodossi, dei protestanti: vediamo realizzato l’Ut unum sint già nel martirio dei nostri fratelli. La speranza, quindi, c’è sempre. La vita religiosa poi - per esempio in India - la vita sacerdotale è piena d’impeto apostolico e sono cose che veramente danno quella speranza, che è fondata nello Spirito Santo, che è una forza travolgente, nonostante noi stessi.

    D. – Nel 2014 vede un obiettivo particolare, anche nei suoi auspici, da raggiungere?

    R. – Noi speriamo che le Chiese cattoliche orientali possano poco a poco organizzarsi meglio, soprattutto per l’attenzione pastorale di questa nuova realtà, che sono i profughi, gli esuli, quelli che hanno dovuto lasciare la propria patria e che sono, in Europa, nelle Americhe, ma soprattutto in America del Nord e in Australia. Hanno lasciato la loro patria, hanno lasciato la loro tradizione rituale. Speriamo che non la perdano e che le Chiese con l’aiuto della comunità latina, possano organizzare la propria vita ecclesiale in fedeltà al loro patrimonio.

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    Nomina episcopale di Papa Francesco in Costa Rica

    ◊   In Costa Rica, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Isidro de El General, presentata da mons. Guillermo Loría Garita, SS.CC., per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di San Isidro de El General il rev.do padre Gabriel Enrique Montero Umaña, O.F.M. Conv., finora membro della comunità dei Frati Conventuali a Moravia e collaboratore locale della nunziatura apostolica in Costa Rica.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto. Attentato Mansoura: 14 morti, 130 feriti. Un missionario: Natale ci porti la speranza

    ◊   In Egitto, i Fratelli musulmani hanno condannato l'attacco, di questa notte, contro la polizia di Mansoura, che ha causato decine di vittime. Un atto terroristico ribadisce il premier al-Beblawi, che ha ufficialmente definito La Fratellanza “un’organizzazione terroristica”. In questo scenario, la preghiera della comunità cristiana che si appresta a vivere il Natale, sperando nella costruzione della pace. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Non si ferma la violenza in Egitto. 14 morti e 130 feriti è il drammatico bilancio dell’attacco della scorsa notte al quartier generale della polizia a Mansura, nel nord del Paese. Due gli ordigni esplosi simultaneamente: uno piazzato all'interno dell'edificio e un altro in un'autovettura. Secondo il premier Hazem al-Beblawi, si è trattato di un ''atto terroristico” mirato a ''distruggere il futuro del Paese'' e ''ostacolare la roadmap'' tracciata dopo la destituzione dalla presidenza, il 3 luglio scorso, dell’esponente dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi. Il ministro egiziano dell'Interno, Mohamed Ibrahim, ha sostenuto che l'attacco è una risposta al sanguinoso blitz di agosto delle forze di sicurezza contro i sit-in al Cairo della Fratellanza e dei sostenitori del presidente deposto. E proprio i Fratelli musulmani, ancora in piazza contro l’esecutivo, sono stati ufficialmente inseriti dal premier Beblawi nella lista delle “organizzazioni terroristiche''. Intanto, sul fronte politico si apprende che gli egiziani residenti all'estero potranno votare per il referendum sulla nuova costituzione dall'8 al 12 gennaio prossimi, mentre il resto del Pese si esprimerà il 14 e 15 gennaio.


    In questo contesto, la comunità cristiana nel Paese si appresta a vivere il Natale. Massimiliano Menichetti ha raccolto la testimonianza di un missionario cattolico, raggiunto al Cairo, al quale per motivi di sicurezza garantiamo l’anonimato:

    R. - L’Egitto è diviso in due, non ci sono sfumature: c’è chi è dalla parte dei Fratelli musulmani, pronto a difenderli sino alla fine, e chi invece è a favore dell’esercito e anche qui pronto a combattere. C’è molta tensione. Non si sente parlare di una via di mezzo o di un compromesso fra le due parti. E questo preoccupa.

    D. - Al Cairo come si sta vivendo in questo momento?

    R. - Al Cairo la vita va avanti, anche con una certa indifferenza di fronte agli episodi di violenza, come anche quello che è successo nelle ultime ore. La città è anche molto grande e quindi quello che succede in un punto spesso non è percepito, condiziona la vita di tutti… Però, come dire, c’è molta rabbia e l’impressione è che - avvicinandosi il referendum Costituzione - ci sarà una imposizione da parte di una maggioranza, che ha le sue ragioni di essere contro i Fratelli musulmani, ma che di fatto si sta imponendo, facendo finta che quasi metà del Paese non esiste. Si sta imponendo la linea dei militari, che è una linea anti-islamista. Però, è una linea militare, dura sulle regole. Una linea che vuole controllare e limitare le libertà di manifestazioni, di opinione.

    D. - Era un po’ così anche prima di Mubarak, no?

    R. - A noi sembra che la situazione sia più tesa. Mubarak stava dando segni di apertura a un possibile passaggio democratico. Qui, invece, siamo tornati indietro, siamo agli anni, forse, del primo Mubarak. Siamo tornati indietro rispetto al 2010-2011.

    D. - La comunità cristiana come vive questa realtà?

    R. - In modo superficiale, dal punto di vista della politica e di quello che sta succedendo. Si dice: “Finalmente, abbiamo evitato un grande pericolo!”, facendo riferimento al pericolo di cadere in un Paese retto dalla legge islamica. Poi, però, è chiaro - e forse questo non viene detto spesso, però i cristiani lo sanno - che la partita è ancora aperta. Quindi, molte cose rimangono da fare a livello istituzionale, ma soprattutto a livello economico, perché l’economia è stagnante. La gente ha fame!

    D. - In questo periodo di sommovimenti in Egitto, ci sono state delle minacce contro i cristiani?

    R. - La situazione è molto migliorata, almeno a livello di minacce o di paura. Sicuramente, il momento più duro è stato la scorsa estate, quando ci sono stati gli attacchi a decine e decine di chiese e di proprietà dei cristiani. Passiamo un Natale nella speranza che non succeda niente di negativo, che non ci siano attentati alle chiese… Diciamo che dobbiamo stare un po’ attenti. In molti posti, la Veglia di Natale verrà celebrata molto presto - magari alle 6 o alle 7 di sera - per evitare di essere in chiesa nel mezzo della notte, quando potremmo magari esserci problemi.

    D. - In questa situazione di tensione, come vi state preparando a vivere il Natale?

    R. – Preghiamo e ci affidiamo al Signore. Abbiamo bisogno di speranza e penso che anche il nostro ruolo di missionari e di religiosi sia quello di diffondere un po’ più di speranza e di fiducia. La gente ha paura, è pessimista! E penso che il Natale sia l’occasione che il Signore ci dà per dire che, nonostante tutto, pensiamo veramente che qualcosa di buono possa ancora accadere e che un futuro migliore sia possibile. Da questo punto di vista, i cristiani sono molto uniti, anche fra cattolici, copti ed evangelici. C’è molta solidarietà, in questo periodo, fra le Chiese.

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    Nigeria: offensiva dell'esercito contro Boko Haram, 70 morti

    ◊   Dalla Nigeria notizie di gravi violenze. Prosegue l'offensiva dell'esercito contro i miliziani islamici di "Boko Haram". L’azione è avvenuta stamattina e ha causato decine di vittime. Ce ne parla Giancarlo La Vella.

    L’esercito nigeriano attacca in forze il gruppo armato fondamentalista "Boko Haram" che in Nigeria e in altri Paesi africani sta tentando di destabilizzare le istituzioni locali. L’operazione di stamani è avvenuta quando i miliziani, a bordo di diversi automezzi, cercavano di passare il confine con il Camerun. Nell’attacco hanno perso la vita almeno 50 fondamentalisti, circa 20 soldati e 5 civili. Il blitz – hanno riferito fonti dell’esercito nigeriano – è stato deciso come rappresaglia dopo l’attacco che i militanti di "Boko Haram" hanno perpetrato venerdì scorso contro una caserma dell'esercito a Bama, nel Nord Est del Paese. Da diversi anni il gruppo "Boko Haram", presente nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, semina il terrore soprattutto in Nigeria con sanguinose aggressioni armate spesso ai danni delle comunità cristiane locali.

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    Il Patriarca Béchara Raï: il Natale porti pace e speranza al Medio Oriente

    ◊   Nella vigilia del Natale giungono al Papa gli auguri del cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti. La sua voce giunge dal Libano, terra martoriata dai conflitti, per invocare la pace dono di Dio per tutti gli uomini. Ascoltiamo il porporato al microfono di Laura Ieraci:

    Mi sento felice di esprimere al Santo Padre Francesco, a nome del nostro popolo in Libano, in Medio Oriente e nei Paesi dell’emigrazione, i fervidi auguri di buon Natale e di un felice anno nuovo 2014. Estendo questi auguri a tutti i popoli. Il Natale, quest’anno, parla ai nostri cuori in questo martoriato Oriente, essendo la festa della pace annunciata dal coro degli angeli nel cielo di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Nel nostro Oriente e dalla nostra terra è stata annunciata la pace al mondo, con la nascita del Principe della pace, il Cristo Salvatore, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Ci rincresce e ci duole che questa stessa terra sia trasformata dagli interessi politici, economici e distruttivi in una terra di guerra, di violenza e di terrorismo. Però, essendo la pace un dono di Dio e Cristo stesso nostra pace, la pace è possibile ed è affidata a ciascuno di noi, secondo il suo stato, la sua posizione e la sua responsabilità. La pace è anche necessaria perché gli uomini e le donne, i piccoli e i grandi possano vivere nella verità, nella giustizia, in amore e libertà. Cristo è nato: Alleluja!

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    P. Pizzaballa: i bambini di Betlemme regalano i doni di Natale ai bimbi siriani

    ◊   Il Natale del Signore si vive naturalmente con grande intensità in Terra Santa. A Betlemme, alle ore 23, il Patriarca Latino di Gerusalemme, Fouad Twal, farà ingresso nella Basilica della Natività per celebrare la Messa di Mezzanotte. Per una testimonianza su come si vive la Vigilia nella Terra di Gesù, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa:

    R. – Il Natale è sempre un momento molto intenso e, anche, soprattutto per chi deve preparare le cerimonie, un po’ frenetico! Al di là di questo, è un momento sicuramente importante, di preghiera, dove ci si ritrova con tutta la popolazione della Terra Santa, con tanti pellegrini, in solidarietà soprattutto con i nostri fratelli cristiani del Medio Oriente. L’atmosfera è quella di sempre: di grande gioia, di molto movimento. Non ci sono tantissimi pellegrini, ma c’è tantissima gente, che è venuta da tutte le parti del Paese.

    D. – C’è qualche segno particolare, qualche aneddoto, qualche storia che può dirci, che l’ha colpita in questi giorni?

    R. – Mi ha colpito vedere i bambini delle parrocchie, delle diverse parrocchie di Betlemme, che hanno voluto regalare in maniera simbolica – perché credo che tecnicamente non sia possibile – i loro giocattoli, i regali di Natale, che i bambini ricevono, ai loro fratelli di Siria. Questo è un gesto molto bello, tra poveri, perché i bambini di Betlemme non sono sicuramente i più ricchi, ed è un segno di solidarietà molto bello.

    D. – Questo è anche il primo Natale di Papa Francesco e sappiamo che c’è una grande aspettativa, per questo programmato viaggio del Santo Padre in Terra Santa, il prossimo anno. Come si guarda a Papa Francesco in Terra Santa?

    R. – Papa Francesco, che qui è molto popolare, è atteso, e nei discorsi di auguri, che si fanno tra le diverse istituzioni, il suo nome è risuonato molto spesso. L’attesa è già frenetica, ed anche la gioia di avere qui Papa Francesco è molto bella.

    D. – Che augurio si sente di fare dalla terra di Gesù ai cristiani di tutto il mondo?

    R. – Il messaggio di Natale è sempre lo stesso, è quello che ci dice anche il Vangelo: Dio, ci ha salvato nella persona di Gesù, non attraverso un gesto di forza, ma nel segno di ciò che è più lontano dalla forza della violenza, cioè la carne di un bambino. Il mio augurio è che quell’amore debole, che ha salvato il mondo, diventi anche il segno della testimonianza di tutti i cristiani in tutto il mondo.

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    Parrocchie, carceri, case di riposo: il pranzo di Natale di Sant'Egidio con i più poveri

    ◊   Sono trascorsi 31 anni dal primo pranzo di Natale per i poveri organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Era il 1982, e la tavola della festa era stata allestita nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Oggi, la Comunità è presente in oltre 70 Paesi e in ciascuno di questi le persone indigenti – senzatetto, carcerati, bambini soli, zingari, anziani, ma anche i cosiddetti "nuovi poveri" – troveranno un abbraccio e una mensa pronta ad accoglierli. Francesca Sabatinelli ha intervistato Augusto D’Angelo, della Comunità di Sant’Egidio:

    R. - Il Natale quest’anno arriva in un periodo di crisi profonda ed è importantissimo far sì che le persone che hanno incontrato delle difficoltà trovino intorno una rete di solidarietà di amicizia, di accoglienza, che faccia sentire la vicinanza di una famiglia: la famiglia cristiana. È un momento in cui molti anziani, molte persone che hanno perso il lavoro, molti divorziati, si ritrovano a vivere in solitudine un giorno che per tutti è un giorno felice. Da noi trovano l’accoglienza, l’amicizia e il calore di una famiglia umana.

    D. - Da voi, qui a Roma, nelle città italiane e da voi in tutto il mondo, senza distinzione di religione, razza, età…

    R. - Il pranzo di Natale è nato a Roma, ma ha contagiato tanti Paesi nel mondo. La Comunità di Sant’Egidio è presente in più di 70 Paesi, ovunque è presente la Comunità di Sant’Egidio c’è il pranzo di Natale. Un pranzo che può esser destinato alle persone senza fissa dimora musulmane in Pakistan, a quanti sono carcerati in luoghi di pena africani, dove spesso non arriva il pranzo, oppure ai bambini in America Latina, agli anziani in Germania, nel nord Europa, negli Stati Uniti. È un grande popolo che si raduna intorno alla mensa facendo festa per la nascita di Gesù, al di là delle religioni, e che tendenzialmente accoglierà più di 120 mila persone.

    D. - Accanto a un aumento del numero di persone che sono sempre più indigenti, si è assistito, però, al fenomeno dell’aumento dei volontari che aiuteranno Sant’Egidio nella preparazione del pranzo…

    R. – Quest’anno, soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo registrato un aumento dei gruppi di persone che si occupano di coloro che sono più poveri, una crescita di quanti dedicano e decidono di dedicare del tempo agli altri. A mio giudizio, è un grande segno di speranza in un momento molto difficile. È frutto, sicuramente, anche della predicazione di Papa Francesco e del fatto che in tanti hanno cominciato ad aprire gli occhi, a vedere quante persone sono in difficoltà, e a decidere di abbandonare l’indifferenza, rimboccarsi le maniche, e quindi di voler essere in questa storia insieme a Papa Francesco e a tutti gli altri.

    D. - Si parla di poveri, si parla di persone senza nessuno, questo è l’identikit, se vogliamo, della stragrande maggioranza di persone che si ritrovano in carcere, e Sant’Egidio è molto vicina a chi trascorrerà questo Natale dietro le sbarre…

    R. – Sì, spesso visitiamo le carceri, si creano dei legami di vicinanza, ci si ricorda di loro nella preghiera e soprattutto si aspetta che escano di prigione. E in questo periodo di Natale le visite sono più frequenti, in molti casi sono stati organizzati dei pranzi e si continuerà a organizzarli anche nei prossimi giorni. Ce n’è appena stato uno ad Avezzano, ce ne saranno alcuni il 26 a Roma, a Regina Coeli e a Rebibbia e in altre carceri italiane. È un momento particolare per far sentire a chi è solo, e dietro le sbarre, che non ci si dimentica di loro, che restano nel nostro cuore e che assieme a loro aspettiamo tempi migliori.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sud Sudan: i civili si rifugiano nelle basi dell’Onu

    ◊   Almeno 45 mila civili in Sud Sudan si sono rifugiati nelle basi delle Nazioni Unite. Lo riferiscono fonti dell'Onu, aggiungendo che i combattimenti tra le forze governative e i ribelli dell’ex vicepresidente, Riek Machar, coinvolgono diverse regioni del Paese. Almeno 20 mila persone hanno cercato rifugio nei due compound nella capitale Juba. Intanto, il Consiglio di sicurezza dell’Onu approverà oggi l'invio di altri 5.500 uomini nel Paese africano, dove a tutela dei civili ci sono già settemila caschi blu. Il capo degli oppositori, Muchar, si è detto pronto al dialogo purché i suoi uomini vengano rilasciati. Anche il presidente Kiir si dice pronto a un negoziato ma non esclude, se la situazione dovesse aggravarsi, un’offensiva su vasta scala. (A.L.)

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    Rwanda: nota dei vescovi sul controverso programma di pacificazione nazionale

    ◊   Anche i vescovi cattolici ruandesi si esprimono sull’iniziativa “Ndi umunyarwanda” (“Sono ruandese”), il controverso programma di pacificazione nazionale lanciato dal Governo Kagame. Il tema è stato affrontato alla recente riunione ordinaria della Conferenza episcopale (Cepr), a Kigali, dedicata a tracciare un bilancio della vita della Chiesa ruandese, anche alla luce dell’attuale scenario socio-politico del Paese a quasi vent’anni dal genocidio . Annunciato a giugno dal Presidente Paul Kagame, il programma “Ndi umunyarwanda” prevede che tutti gli Hutu, indistintamente, debbano chiedere perdono ai Tutsi per il genocidio del 1994. L’iniziativa ha suscitato non poche polemiche nel Paese, perché attribuisce l’intera responsabilità dei massacri in cui persero la vita quasi un milione di persone, ai cittadini di etnia Hutu, omettendo le violenze perpetrate dalle milizie del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) oggi al governo. Il comunicato finale dell’Assemblea dei vescovi a Kigali rende noto che “la Chiesa cattolica può aiutare il Governo ruandese e soprattutto la Commissione nazionale per l’unità e la riconciliazione con la pubblicazione delle positive e utili conclusioni del suo Sinodo nazionale sulla questione etnica rwandese”. Lo stesso comunicato rileva, peraltro, alcune “affermazioni negative e gratuite” sul ruolo della Chiesa durante il genocidio. L’assemblea ha quindi preso la decisione di pubblicare i testi di alcuni documenti vagliati da persone non competenti. Durante la riunione, aperta dal presidente della Cepr, mons. Smaragde Mbonyintege, alla presenza del nunzio apostolico in Rwanda, mons. Luciano Russo, i vescovi ruandesi hanno anche discusso la preparazione della loro prossima visita ad limina a Roma nell’aprile 2014. L’assemblea ha fissato il calendario delle visite ai vari dicasteri vaticani, esprimendo il desiderio di potere concelebrare una messa con Papa Francesco. Altri punti all’ordine del giorno hanno riguardato il bilancio delle attività dei Seminari maggiori del Paese nell’anno accademico 2013; il recente Forum dei giovani cattolici ruandesi organizzato dalla Commissione per la pastorale giovanile a Ruhengeri; le iniziative promosse dalle diocesi durante l’Anno della Fede e la prossima celebrazione della Festa della Sacra Famiglia, il 29 dicembre, per la quale è previsto un messaggio di mons Kambanda, responsabile per la pastorale familiare. Infine l’Assemblea ha discusso il calendario delle attività della Chiesa ruandese nel 2014. (A cura di Lisa Zengarini)

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    India. L'arcivescovo di Delhi: dalit cristiani discriminati per impedire conversioni

    ◊   "Abbiamo capito che serviva un segnale forte. Altrimenti nessuno avrebbe prestato attenzione alla nostra protesta. Serviva un gesto drastico, anche se significava infrangere la legge. Abbiamo dovuto rischiare». Così mons. Anil Couto, arcivescovo di Delhi, racconta com’è degenerata la protesta pacifica in difesa dei diritti dei dalit - i fuori casta nel sistema sociale e religioso induista - cristiani e musulmani. Mercoledì 11 dicembre il presule, assieme a numerosi membri del clero locale, ha partecipato a una marcia pacifica per i diritti dei fuori casta cristiani e musulmani. Sono ormai diversi anni che la Chiesa indiana conduce una battaglia in favore dei dalit, chiamati spregiativamente “mangiatori di ratti”, che rappresentano più del 65% dell’intera comunità cristiana locale. Nel 1950 il Parlamento riconobbe diritti e facilitazioni di tipo economico, educativo e sociale ai dalit indù, diritto poi esteso a buddisti e sikh nel 1956 e nel 1990, ma mai a cristiani e musulmani. «Secondo l’ideologia hindutva, l’India dovrebbe essere esclusivamente indù. I cristiani, in particolare, sono discriminati perché si teme che se fossero garantiti loro gli stessi diritti degli indù, questi potrebbero convertirsi al cristianesimo". Da diversi anni si cerca di sensibilizzare le autorità indiane attraverso proteste pacifiche, cui partecipano esponenti della comunità cristiana e musulmana. "Stavolta – spiega l’arcivescovo alla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) – sapevamo che il parlamento era nella sua sessione invernale e speravamo di attirare l’attenzione". Per la prima volta in 15 anni, la situazione è degenerata portando all’arresto di circa 400 dimostranti, tra cui lo stesso mons. Couto ed altri leader cristiani e musulmani. "La reazione della polizia è scattata quando abbiamo violato le barriere di sicurezza che portano al parlamento. Allora gli agenti hanno cercato di fermarci usando manganelli e cannoni ad acqua. Se avessimo resistito più a lungo avrebbero probabilmente usato anche mezzi più violenti". L’accaduto è valso le scuse del primo ministro indiano Manmohan Singh, che venerdì 13 dicembre ha ricevuto mons. Couto ed una delegazione del clero locale per un breve ma 'incoraggiante' colloquio. "Il premier ci ha porto le sue scuse e ha garantito che farà di tutto per sottoporre al parlamento la questione dei dalit cristiani e musulmani". Tuttavia, fa notare l’arcivescovo di Delhi, si tratta solo dell’ultima di molte promesse. Al momento la questione è in mano alla Corte Suprema che attende una risposta affermativa o negativa da parte del governo, per garantire pari diritti ai fuori casta cristiani e musulmani. "La Corte agisce in accordo con una commissione, denominata Ragunath Mishra Commission, che già quattro anni fa aveva sconsigliato al governo indiano di prendere decisioni che favorissero uno specifico gruppo religioso. Vorremmo sapere perché in quattro anni non è ancora giunta alcuna risposta: né negativa, né positiva". Neanche le imminenti elezioni generali, che avranno luogo nella primavera del 2014, lasciano intravedere una soluzione. "Noi incoraggiamo i nostri fedeli a votare per i partiti di natura secolare, ma non sappiamo quali di questi sposeranno la causa dei dalit cristiani e musulmani. Anni fa, quando aveva la maggioranza assoluta, il congresso ha avuto la possibilità di risolvere la questione, ma ha preferito tergiversare a scapito della giustizia". (T.C.)

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    Ghana. I vescovi: la corruzione dilagante minaccia la pace sociale del Paese

    ◊   I vescovi del Ghana sono preoccupati dall’impennata della corruzione nel Paese. “La corruzione non fa bene alla Nazione, non fa bene a nessuno e minaccia la pace sociale, perché quando la gente prende tangenti, la società ne soffre”, ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale, mons. Joseph Osei-Bonsu che ha esortato tutti i cittadini a lottare contro questo malcostume a qualsiasi livello. Le parole del presule, citate dall’agenzia cattolica africana Cisa, fanno eco quelle di diversi esponenti della società civile e dell’opposizione, tra i quali l’ex presidente Gerry Rawlings, che in queste settimane hanno denunciato l’escalation di scandali sotto l’amministrazione del nuovo Presidente John Mahama. Tra i casi più clamorosi, l’appropriazione indebita di fondi pubblici destinati a un grande progetto di sviluppo contro la povertà nel nord del Ghana e una mega-evasione fiscale di 367 milioni di dollari realizzata da quasi 300 aziende private e statali con la complicità di funzionari infedeli dell’Agenzia delle Entrate ghanese. (L.Z.)

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    El Salvador: l'arcidiocesi annuncia un nuovo ufficio per i diritti umani

    ◊   La Chiesa cattolica del Salvador aprirà un nuovo ufficio per assistere le vittime di violazioni dei diritti umani, dopo la chiusura dell’organismo conosciuto col nome di Tutela Legal del Arzobispado de San Salvador, contenente oltre 50.000 denunce di violazioni in larga parte commesse durante la guerra civile (1980-1992). Lo ha annunciato l’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, lo stesso che aveva disposto la chiusura di Tutela Legal, precisando che il nuovo ufficio “sarà creato affinché abbia un atteggiamento aperto a tutti i problemi in materia di diritti umani, per difendere le vittime qualunque sia la situazione”. In una conferenza stampa nella capitale, il presule ha aggiunto: “Vogliamo appoggiare, vogliamo aiutare; non stiamo voltando le spalle ai nostri fratelli bisognosi, violentati nei loro diritti. La Chiesa è sempre stata solidale”. Il nuovo ufficio - riporta l'agenzia Misna - prenderà il nome di Tutela de Derechos Humanos de la Arquidiócesis de San Salvador, e si occuperà sia delle vittime del conflitto che dei casi attuali di abusi dei diritti fondamentali. Il 30 settembre, l’arcivescovo aveva ordinato la chiusura di Tutela Legal adducendo diverse motivazioni, dalla necessità di modernizzarlo, alla scoperta di non meglio precisate “irregolarità” amministrative. Una decisione criticata dal presidente Mauricio Funes, esponente dell’ex ribellione del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln, sinistra) e da diverse organizzazioni della società civile, nazionale e internazionale. Spiegazioni erano state sollecitate dal dicastero della Cultura e dalla stessa Procura Generale della Repubblica che avevano chiesto anche fosse affidata loro la custodia del prezioso archivio; la Corte Suprema ha disposto che rimanesse alla Chiesa. Istituito nel 1982 da mons.Arturo Rivera Damas per assistere le vittime di abusi nel contesto della guerra, Tutela Legal continuò il lavoro che aveva intrapreso nel 1977 mons. Óscar Arnulfo Romero, assassinato il 24 marzo 1980, con il Socorro Jurídico del Arzobispado per fornire un’efficace assistenza legale ai poveri. L’ufficio ormai chiuso ha documentato gravissimi casi di violazioni dei diritti umani come il massacro di El Mozote, quando fra l’11 e il 13 dicembre 1981 almeno un migliaio di persone furono assassinate in un’operazione del famigerato Battaglione Atlacatl, nel dipartimento orientale di Morazán; molti corpi furono portati all’interno di una piccola chiesa, poi data alle fiamme. Per la strage la Corte interamericana dei diritti umani ha condannato lo Stato salvadoregno stabilendo anche un risarcimento per i parenti delle vittime, finora mai corrisposto anche a causa di una legge di amnistia promulgata nel 1993 di cui alcuni settori mettono in dubbio la costituzionalità. (R.P.)

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    Caso Shalabayeva: la donna può lasciare il Kazakistan dietro cauzione

    ◊   Alma Shalabayeva - moglie del dissidente kazako, Mukhtar Ablyazov, espulsa con la figlia Aula di 6 anni dall’Italia lo scorso 31 maggio - può lasciare il Kazakistan. La decisione è stata presa dalle autorità di Astana, accogliendo la richiesta presentata dalla stessa Shalabayeva e dal governo italiano. L’unica condizione è il pagamento di una cauzione. La Farnesina ha fatto sapere che il cambio di posizione del governo kazako è il risultato di un lungo lavoro diplomatico. Il ministro Bonino, che è stato ringraziato dalla Shalabayava per l'assistenza fornita, ha inviato un incaricato d’affari ad Astana. Le autorità del Paese asiatico hanno consegnato alla donna nuovi passaporti per lei e per la figlia Alua. (A.L.)

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    Datagate. Snowden: la mia missione è compiuta

    ◊   Edward Snowden, la talpa del cosiddetto “Datagate” attualmente in Russia, in una intervista rilasciata al quotidiano americano Washington Post si dice soddisfatto del terremoto causato dalle sue rivelazioni sulla sorveglianza elettronica effettuata dall’Agenzia statunitense per la sicurezza nazionale (Nsa). "Per me, in termini di soddisfazione personale, la missione è già compiuta". "Non volevo cambiare la società – ha spiegato Snowden – ma metterla nelle condizioni di potersi cambiare da sola". L'effetto delle sue rivelazioni sul programma di intercettazioni telefoniche messo in atto dall’agenzia di intelligence Usa – ha ricordato l’Washington Post – è stato planetario. (A.L.)

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    Maltempo: la tempesta Dirk colpisce l’Europa, almeno 4 vittime

    ◊   Ha provocato la morte di almeno quattro persone la tempesta Dirk in Europa. A essere colpita è stata soprattutto la regione centro-occidentale del continente. In Francia, un 12.enne ha perso la vita a causa del crollo di un muro nel Calvados. Sempre in Normandia, altre due persone sono rimaste uccise per il crollo di un albero. Notevoli i disagi: in Francia, sono circa 240 mila le case rimaste nel Paese senza elettricità. Nel Regno Unito, sono stati cancellati migliaia di voli. Venti violenti anche in Irlanda, dove cinque linee telefoniche sono interrotte. Il Servizio meteorologico non prevede miglioramenti per la giornata di oggi. Secondo gli esperti, la perturbazione si sta spostando verso est. (A.L.)

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