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Sommario del 22/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Angelus. Il Papa: sia un Natale di giustizia, che ogni famiglia possa avere una casa
  • Il Papa ai piccoli pazienti del Bambin Gesù: Lui vi è sempre vicino, con voi ha legame speciale
  • La visita al Bambin Gesù. La gente: Francesco non ha bisogno di parole, bastano i suoi gesti
  • Il Papa alla Curia. P. Secondin: Francesco chiede impegno a servizio del popolo
  • Oggi in Primo Piano

  • Sud Sudan, ribelli conquistano le aree petrolifere. Obama: stop aiuti in caso di golpe
  • E' nata Mariam, la 60 millesima bimba dell'Holy Family Hospital di Betlemme
  • Venezia. All'Università Ca' Foscari corsi gratuiti per rifugiati
  • Nella primavera 2014 l'apertura del sito archeologico di Magdala
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: autobomba contro scuole a Homs, sette morti
  • Nucleare iraniano: Teheran esorta a non sabotare l’accordo
  • Thailandia: Bangkok paralizzata dalle proteste anti-governative
  • Libia: vittime e feriti in attacco kamikaze contro base militare vicino Bengasi
  • India: Chiesa siro-malabarese preoccupata dalla forte emigrazione di giovani fedeli dal Kerala
  • Indonesia: iniziative di carità dei giovani per poveri ed emarginati
  • Madagascar. Cinque milioni di persone esposte alla peste bubbonica, giunta prima del previsto
  • Terra Santa: in restauro la Basilica della Natività a Betlemme
  • Germania: i Cantori della Stella per i bambini rifugiati in Malawi e nel mondo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Angelus. Il Papa: sia un Natale di giustizia, che ogni famiglia possa avere una casa

    ◊   Auguro a tutti “un Natale di speranza, di giustizia e di fraternità”. Con queste parole Papa Francesco ha terminato l’Angelus di questa mattina in Piazza San Pietro, durante il quale – tra molti applausi – ha levato un appello alle autorità di qualsiasi livello perché sia difeso il diritto alla casa per ogni famiglia e perché chi lotta per la giustizia sociale respinga “le tentazioni della violenza”. Il pensiero spirituale prima dell’Angelus era stato dedicato alla figura di Giuseppe, uomo buono che – ha detto il Papa – accolse la volontà di Dio senza lasciarsi avvelenare dai dubbi e dall’orgoglio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Che ogni famiglia abbia una casa. Che questo e altri diritti fondamentali per la vita siano difesi, ma senza usare la violenza. Che il prossimo Natale sia giusto, sia fraterno, porti speranza. Come spesso accade con Papa Francesco, ciò che delle sue parole colpisce diritto al cuore comincia quando il testo ufficiale viene messo da parte. Ed è quanto avvenuto in Piazza San Pietro, davanti alle decine di migliaia di persone radunate sotto la finestra del Papa per l’ultimo Angelus prima di Natale. Il pensiero prima della preghiera mariana è tutto su San Giuseppe, sulla sua grandezza d’animo, perché dapprima pensa di ripudiare Maria “in segreto”, avendo appreso della sua gravidanza, e poi è capace di allargare il cuore alla “missione più grande” che Dio gli chiede, perché è un uomo che cerca prima di tutto la volontà di Dio:

    "Non si è ostinato a perseguire quel suo progetto di vita, non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo, ma è stato pronto a mettersi a disposizione della novità che, in modo sconcertante, gli veniva presentata (...) Ma quante volte a noi l’odio, l’antipatia, pure, il rancore ci avvelenano l’anima! E questo fa male. Non permettere mai: lui è un esempio di quello. E così, Giuseppe è diventato ancora più libero e grande".

    La considerazione su Giuseppe – sulla sua capacità di essere giusto secondo Dio - sembra quasi il prologo a quanto Papa Francesco sceglie di dire dopo aver recitato l’Angelus. Il primo spunto viene da un grande cartellone, leggibile anche dalla sua finestra:

    “Leggo lì, scritto grande: I poveri non possono aspettare. E’ bello! E questo mi fa pensare che Gesù è nato in una stalla, non è nato in una casa (...) E io penso oggi, anche leggendo quello, a tante famiglie senza casa, sia perché mai l’hanno avuta, sia perché l’hanno persa per tanti motivi. Famiglia e casa vanno insieme. E’ molto difficile portare avanti una famiglia senza abitare in una casa. In questi giorni di Natale, invito tutti – persone, entità sociali, autorità – a fare tutto il possibile perché ogni famiglia possa avere una casa”.

    Quindi, l’orizzonte si allarga ulteriormente. Le cronache italiane di questi giorni hanno raccontato di proteste e scontri di piazza, di gente che invoca quel lavoro e quelle sicurezze quotidiane che, al pari di una casa, servono per una vita dignitosa ma che una crisi infinita ha tolto e disintegrato per troppi. Un gruppo di queste persone aveva annunciato di voler essere all’Angelus e Papa Francesco non delude le loro attese:

    “A quanti dall’Italia si sono radunati oggi per manifestare il loro impegno sociale, auguro di dare un contributo costruttivo, respingendo le tentazioni dello scontro e della violenza, e seguendo sempre la via del dialogo, difendendo i diritti”.

    Anche l’augurio finale di Papa Francesco è intonato ai pensieri fluiti in questo post Angelus così orientato alla solidarietà, sentimento che più di altri affonda la sua ragion d'essere nello spirito delle prossime feste:

    “Auguro a tutti una buona domenica e un Natale di speranza, di giustizia e di fraternità”.

    I saluti post-Angelus del Papa ai gruppi in Piazza erano stati dedicati, fra gli altri, alla comunità del Pontificio Istituto Missioni Estere e ai partecipanti alla staffetta partita da Alessandria e giunta a Roma per testimoniare l’impegno in favore della pace in Somalia”.

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    Il Papa ai piccoli pazienti del Bambin Gesù: Lui vi è sempre vicino, con voi ha legame speciale

    ◊   “Con voi bambini, Gesù ha un legame speciale: vi sta sempre vicino”. Poche, incisive parole, ma soprattutto il calore della sua presenza paterna e del suo incoraggiamento elargito a tutti. Così Papa Francesco ha vissuto le circa 2 ore e 45 minuti della visita compiuta ieri pomeriggio all’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, nella sua sede principale situata sul Gianicolo, accolto all’esterno da quattromila persone. Quinto Pontefice a visitare la struttura, dalla sua appartenenza alla Santa Sede, il Papa a sorpresa ha rinunciato al discorso ufficiale per dedicare la durata della visita in particolare al contatto con i bambini degenti e i loro genitori. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis:

    A tre giorni dal Natale, la grotta di Betlemme è una corsia d’ospedale e la mangiatoia ha le lenzuola bianche dei lettini e delle culle dai quali si affaccia, piccola e piccolissima, la carne di Cristo. Carne appena nata come tra poco il Bambino di Betlemme, ma che già porta inciso sul corpo, o dentro di esso, lo stigma di una croce. Papa Francesco passa come un sorriso tra visini che non hanno mai potuto farlo e gli occhi di mamme e papà che troppo hanno pianto ma che per una volta assaporano lacrime che sanno di gratitudine e il nodo che hanno sul cuore si allenta alla speranza. Un sorriso lungo ore, instancabile, che si china, che non trascura nessuno, e che più tardi, dalla cappella dell’ospedale, diventa parola breve, diretta e spontanea – come piace a Papa Francesco – ma di una verità solida come la fede che la suggerisce:

    “Specialmente con voi bambini, Gesù ha un legame speciale: vi sta sempre vicino”.

    Come il Santo di cui porta il nome, il Papa predica il Vangelo con la sua persona e solo se serve con le parole. Ma non sono quelle la medicina di cui hanno bisogno i più che lo avvicinano. Le telecamere rimandano le immagini della visita sul circuito interno del Bambin Gesù, ma non tutto può essere pubblico. C’è un confine invalicabile che protegge ad esempio il contatto tra il Papa e la decina di neonati in Terapia intensiva – dove ha avuto un incontro speciale con la piccola Georgia Bernadette, 5 mesi, nata senza intestino e a cui la mamma ha imposto il nome del Papa – o gli otto bambini in Rianimazione, e più tardi tra lui e i 18 ricoverati in Nefrologia. Ma nei passaggi tra i reparti è tutto un brulichio di grandi e piccoli – pazienti, medici, personale ospedaliero – di strette di mano e carezze e capannelli che si coagulano e si sciolgono per riformarsi più in là attorno alla figura bianca che avanza senza fretta, che allarga le braccia a chiunque gli si accosti, che benedice libri, peluche, il foglio con un disegno, le righe di una preghierina. Arrivato nella cappella dell’Ospedale, poco dopo le 17 – dopo aver benedetto una nuova ambulanza di rianimazione pediatrica – Papa Francesco trova schierati una trentina di bambini affetti da forme tumorali con accanto i loro genitori:

    “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?”.

    Sulle labbra della bambina che la legge, la strofa del Salmo 27 suona come un atto di coraggio. Mentre la speranza è condensata nella cesta dove i bambini hanno radunato i fogli con i loro “sogni e le preghiere”. E a questo coraggio, e alla fede che lo sostiene, che Papa Francesco risponde:

    “Cari bambini, vi ringrazio per i vostri sogni e le vostre preghiere che avete raccolto in quella cesta che mi avete dato. Grazie tante. Li presentiamo insieme a Gesù: lui li conosce meglio di tutti. Lui conosce quello che c’è nel profondo del nostro cuore”.

    Accanto alla cappella ci sono le mamme e i papà del gruppo “Figli in cielo”, che non hanno più fra loro la creatura che avevano messo la mondo. Una mamma regala al Papa un angioletto – simbolo dei figli che ora sono carne nei loro ricordi – mentre il presidente del Bambin Gesù, Giuseppe Profiti, “regala” al Vescovo di Roma una nuova struttura, un progetto di accoglienza per mamme e bambini in difficoltà in collaborazione con la Caritas diocesana:

    “La realizzazione di questo luogo è il nostro dono a lei per il Santo Natale. E ci piacerebbe che, con la sua benedizione, potesse chiamarsi ‘Casa Francesco’. E ci piacerebbe che fosse il primo di una lunga serie”.

    È qui che il Papa scivola via oltre il microfono approntato per ascoltare il suo previsto discorso. C’è ancora un mondo di sofferenza da lenire e per Papa Francesco non c’è dubbio su chi scegliere tra i malati e il protocollo. Con lui, proseguono la visita anche il segretario di Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin, e il suo predecessore, il cardinale Tarcisio Bertone. Tra le personalità, vi è anche la duchessa Maria Grazia Salviati – la cui famiglia fondò e poi donò nel 1924 l’ospedale alla Santa Sede.

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    La visita al Bambin Gesù. La gente: Francesco non ha bisogno di parole, bastano i suoi gesti

    ◊   Una visita segnata dalle emozioni quella di Papa Francesco all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Il Pontefice, arrivato poco prima delle 16 di ieri, si è fermato con i piccoli pazienti, con le loro famiglie, ma anche con tutti coloro che ogni giorno lavorano dentro l’ospedale. Il racconto dell'inviato, Alessandro Guarasci:

    Il vero discorso ufficiale del Papa al Bambino Gesù sta raccolto nelle parole, negli sguardi che ha scambiato con i piccoli malati. Francesco è stato in cinque reparti, ma poi si è fermato con tanti che lo attendevano lungo i corridoi, al "Castello dei giochi", lungo il vialone Pio XII dove centinaia di persone lo attendevano fin dalle 14. Saverio, con la distrofia muscolare di Duchenne, ha aperto le braccia quando ha visto il Pontefice. E ancora, alcuni genitori di fronte al Pronto soccorso:

    "Ci siamo scambiati un saluto, ci ha dato una carica, un’emozione… Ci si è avvicinato, non ha bisogno di parlare… La semplicità e quei gesti umili dicono tutto."

    Il Papa ha voluto intrattenersi da solo con i piccoli malati. I medici lo hanno seguito durante il percorso, non si sono intromessi nei momenti più intimi. Ma il Pontefice ha avuto parole anche per loro. Andrea Dotta, responsabile di terapia intensiva neonatale:

    "Il dialogo con i genitori è stato una richiesta di preghiera. La frase che ci ha detto a noi medici è stata: 'Non state perdendo tempo, l’importante è seminare.' Non sappiamo cosa, non sappiamo quando raccoglieremo, ma stiamo seminando".

    Poi, il passaggio in cappella dove ha incontrato una trentina di pazienti di oncoenatologia. Il cappellano, don Luigi Zucaro:

    "Quando stava per uscire tutti hanno cercato la sua mano, un momento molto intenso".

    Infine, il ritorno in Vaticano, con i piccoli del Bambin Gesù nel cuore.


    Al termine della visita di Papa Francesco al Bambin Gesù, il nostro inviato, Alessandro Guarasci, ha chiesto un commento a caldo al presidente della struttura pediatrica, il prof. Giuseppe Profiti:

    R. – Nel caso di Papa Francesco, possiamo immaginarlo: è stata una festa, è stato qualcosa che oltre ad essere la visita del Santo Padre, ha rappresentato un momento particolare. E’ stata una visita "alla Papa Francesco": un lungo viaggio tra il Papa e i bambini, in realtà, secondo lo stile di Papa Francesco. Tutto il resto, tutta la formalità è passata in secondo piano ed è esistito, giustamente, il rapporto tra lui e i bambini e soprattutto le loro famiglie.

    D. – Quanto l’avete aspettata?

    R. – Tanto, pur sapendo comunque che ciò di cui ci occupavamo, cioè i bambini, i bambini malati, la loro fragilità, sono il suo pensiero costante. E che, conseguentemente, anche noi fossimo nei suoi pensieri. Oggi, sappiamo che possiamo contare su un "prodotto" terapeutico in più: la visita del Santo Padre. E ci auguriamo che possa essere somministrato anche altre volte, nei prossimi tempi.

    D. – Come, secondo lei, può essere rafforzato il ruolo del Bambin Gesù nel Lazio, in Italia, anche alla luce del necessario contenimento della spesa pubblica, anche relativa alla sanità?

    R. – Si dice spesso di "fare rete": non è soltanto un concetto vuoto, un’espressione letterale. Se ci si crede, lo si fa veramente e indubbiamente si ha un impiego migliore delle risorse. Tutto questo, applicato al Bambin Gesù, in ambito regionale e in ambito nazionale, che cosa vuol dire? Vuol dire la capacità di un sistema sanitario – nel caso specifico, pediatrico – di rispondere al meglio nel luogo più proprio, dove la domanda di assistenza ha ragion d’essere. La bassa patologia può essere affrontata giustamente in ambito locale. Man mano che si sale di complessità e quindi il numero dei casi locali diminuisce, è opportuno concentrarli per far sì che sostanzialmente si abbia anche una efficacia clinica del trattamento della complessità. E quindi, centri via via più grandi: centri di riferimento regionali e centri nazionali. Se funziona in questo modo, in cui ogni punto di risposta di questa rete ha un ruolo diverso nell’affrontare la patologia, il sistema lavora in maniera ottimale: non solo dal punto di vista finanziario, ma anche nel dare nel punto giusto la risposta giusta al tipo di bisogno che c’è.

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    Il Papa alla Curia. P. Secondin: Francesco chiede impegno a servizio del popolo

    ◊   "Professionalità, servizio e santità", capacità di fare "obiezione di coscienza alle chiacchiere", debbono essere le caratteristiche dell'officiale, e tanto più del superiore, che lavora presso la Santa Sede. Lo ha affermato ieri Papa Francesco, in occasione della tradizionale udienza di fine anno alla Curia Romana per gli auguri natalizi. Parole sulle quali Fabio Colagrande ha chiesto un commento a padre Bruno Secondin, carmelitano, docente emerito di teologia spirituale:

    R. - Lo stile di cui abbiamo conosciuto la ricchezza e la bellezza in questi mesi è molto evidente: uno stile semplice, diretto, che tocca qua e là alcuni elementi che sono tipici del suo linguaggio, ma anche delle sue preoccupazioni come, ad esempio, la passione della presenza presso il popolo, il cammino della santità, la collaborazione generosa di molti - anche nascosti - che però per lui sono, all’interno della Curia, elementi di grande valore e di sostegno per tutto il compito che ha.

    D. - Ha colpito il fatto che il Papa, parlando alla Curia in occasione degli auguri natalizi, abbia voluto in qualche modo disegnare il modello ideale dell’ufficiale di Curia, parlando di professionalità, servizio e santità...

    R. - Il servizio è chiaro: per essere chiamati a Roma per lavorare accanto al Papa e a tutto il sistema della Curia ci vuole uno spirito di servizio, ci vuole uno spirito di professionalità e questo servizio il Papa lo interpreta alla luce della fede: è un cammino nella santità, è un cammino appassionato per la Chiesa universale, ma anche per la Chiesa locale, lo dice esplicitamente. Inoltre, dice che se non c’è questo servizio, si finisce per fare i burocrati. Addirittura, con il suo tipico modo di parlare, afferma che la Chiesa diventa pesante dogana burocratica, ispettrice e inquisitrice che blocca lo spirito. Questa è un’espressione audace, ma molto tipica del suo modo di parlare. Quando parla del rapporto reciproco tra i collaboratori, dà alcuni segnali che gli appartengono, come ad esempio la cura alla diligenza, la creatività, rendere agevole agli altri collaborare, ascoltarsi, confrontarsi, valorizzare le diverse personalità e qualità: questo è tipico. Esattamente questo modo di vivere, questa apertura reciproca, rende possibile lo smorzamento dei disagi e anche delle chiacchiere.

    D. – “Santità”, ha detto ai curiali il Papa, significa anche un servizio pastorale a contatto diretto con il popolo…

    R. - Questo è un altro elemento molto frequente nelle sue omelie, come ad esempio a Santa Marta, ma anche quando ha incontrato i vescovi in Brasile, o quando ha incontra la Cei o altri insiste sempre su questo. Anzi, vorrei approfittare per citare dall’ultima Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, proprio un paragrafo che porta il titolo “il piacere spirituale di esser popolo” che recita: “Per essere evangelizzatori autentici occorre sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente”. Per lui, non c’è soltanto la santità dell’interiorità, la preghiera, la passione per Cristo, il senso della presenza di Dio, ma anche questa gioia, questa bellezza di essere in mezzo al popolo, “popolo del Signore”.

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    Oggi in Primo Piano



    Sud Sudan, ribelli conquistano le aree petrolifere. Obama: stop aiuti in caso di golpe

    ◊   Le forze ribelli fedeli all'ex vicepresidente sud sudanese, Riek Machar, che da domenica scorsa si scontrano con le truppe governative del presidente Salva Mayardit, hanno preso il controllo di vaste aree dello stato petrolifero di Unity. Lo confermano fonti locali dopo l’annuncio fatto ai media dallo stesso Machar, il quale si è detto disposto a trattare con il governo di Juba se funzionari suoi alleati, arrestati una settimana fa, verranno liberati. Intanto, segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello per la fine degli scontri, mentre il presidente Obama ha minacciato la fine degli aiuti americani qualora avvenisse un colpo di Stato. Per un’analisi degli interessi regionali che muovono il conflitto, Marco Guerra ha sentito Enrico Casale, africanista del periodico dei Gesuiti "Popoli":

    R. – Questo conflitto è il frutto di tensioni forti tra potenze straniere. Ci sono interessi forti, innanzitutto da parte della Cina che è da sempre uno dei maggiori acquirenti del petrolio sudanese, in origine, e sud sudanese attualmente. Poi degli Stati Uniti, che nel Sud Sudan avevano trovato uno dei loro "pilastri", in Africa, assieme all’Uganda e al Rwanda. La tensione era già palpabile qualche tempo fa. Il Sud Sudan si sta armando da tempo, grazie anche ai proventi del petrolio.

    D. – L’intervento deciso della diplomazia internazionale, visti gli interessi stranieri, può sortire qualche effetto?

    R. – Penso di sì, se la comunità internazionale si muove tutta insieme, facendo capire innanzitutto che, come sta già succedendo in altri teatri di guerra africani, qualsiasi crimine di guerra non verrà perseguito solamente durante il conflitto, ma anche dopo il conflitto. Quindi, la comunità internazionale dev’essere ferma, su questo punto. Dev’essere ferma anche sul fatto che la popolazione civile non deve essere coinvolta nel conflitto. L’Onu deve essere pronta a inviare proprie truppe a difesa delle popolazioni civili, delle comunità locali che già adesso stanno subendo i primi contraccolpi di questo conflitto che, purtroppo, si preannuncia sanguinoso.

    D. – Più che questioni interetniche, si nascondono scopi economici, come il controllo di giacimenti petroliferi…

    R. – Sì, i giacimenti petroliferi sono ricchissimi e dopo la divisione tra Sudan e Sud del Sudan si trovano in gran parte nel Sudan meridionale, che però cerca uno sbocco per riuscire a vendere sui mercati internazionali i propri prodotti petroliferi, perché non ha uno sbocco al mare. Quindi, ha avuto una lunga diatriba con il Sudan del Nord per sfruttare l’oleodotto che arriva a Port Sudan. Ci sono trattative abbastanza importanti con i Paesi del Sud, in particolare con il Kenya, per fare passare un oleodotto. Ma io vorrei anche sottolineare come, oltre al petrolio, nel Sud del Sudan si giochi anche una partita più grossa, che è quella dell’acqua: il Sud del Sudan è attraversato dal Nilo, la cui acqua è fondamentale sia per i Paesi a valle – pensiamo al Sudan e all’Egitto – ma anche per i Paesi a monte, e pensiamo soprattutto all’Etiopia. Quindi, pensiamo se creassero degli sbarramenti nel Sud del Sudan, il Sudan e l’Egitto rimarrebbero a secco. Su questo terreno dell’acqua si possono giocare anche altre tensioni, molto più forti probabilmente, di quelle del petrolio.

    D. – Quindi, le nazioni confinanti sono parte del problema o possono anche loro partecipare alla pacificazione?

    R. – E’ auspicabile che partecipino alla pacificazione e che si raggiunga, magari attraverso una conferenza internazionale, un accordo regionale sia per lo sfruttamento del petrolio, sia per lo sfruttamento delle risorse idriche. E’ certo che, in questo grosso gioco in corso in Africa tra Stati Uniti e Cina, anche i Paesi confinanti hanno un ruolo. Ma non dimentichiamo che anche l’Etiopia è molto vicina agli Stati Uniti, e in misura minore anche il Kenya. Il Sudan, al Nord, ha ottimi rapporti con la Cina. Tutti questi attori regionali, insieme con quelli internazionali, dovrebbero riuscire a trovare insieme una soluzione per un’equa ripartizione delle risorse e quindi un distribuzione anche più equa delle risorse alla popolazione.

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    E' nata Mariam, la 60 millesima bimba dell'Holy Family Hospital di Betlemme

    ◊   Mariam è nata pochi giorni fa all'Holy Family Hospital di Betlemme, ed è la bimba numero 60 mila nata nell’ospedale dal 1990. Un traguardo importante per questa struttura ospedaliera del Sovrano Militare Ordine di Malta, polo fondamentale per le nascite, dotato dell'unica Unità di terapia intensiva neonatale nel distretto di Betlemme, punto di riferimento per le gravidanze ad alto rischio e per i bambini prematuri nella città di Betlemme e nei distretti vicini. L'ospedale Holy Family accoglie donne di ogni religione e provenienza, in un territorio caratterizzato da grave povertà, da disoccupazione e da una mortalità infatile di quattro volte superiore a quella che si riscontra in Israele. All'Holy Family Hospital, Francesca Sabatinelli ha incontrato il direttore sanitario, il dott. Saba Abu Farha:

    R. – Here in the Holy Family Hospital we are the referal centre…
    Qui, all'Holy Family Hospital, siamo il punto di riferimento per le gravidanze a rischio. Questo significa che se una donna è incinta ed è alla 27.ma o alla 28.ma settimana, e si trova ricoverata all’ospedale di Beit Jala, che si trova a cento metri dal nostro ospedale, dovrà essere trasferita qui perché loro non hanno l’Unità di terapia intensiva neonatale e non hanno i mezzi per accudire bimbi così piccoli come i prematuri. Siamo punto di riferimento per il Ministero della Salute e per l’Unrwa. Anche le piccole unità di maternità che abbiamo a Betlemme trasferiscono i prematuri e le donne e con gravidanze a rischio al nostro ospedale, affinché possano nascere qui.

    D. – Sappiamo che in passato le persone che venivano da Hebron, o da altre zone, potevano trovarsi in difficoltà a causa dei check-point. Questo accade ancora?

    R. – Now this is less than before, but they can find some difficulties, especially…
    Ora accade con minore frequenza rispetto a prima, ma sempre possono trovare difficoltà, soprattutto quando vengono da villaggi della "zona C"’, quella controllata dagli israeliani, dove l’Autorità palestinese non ha autorità. Quindi, le persone possono avere difficoltà a raggiungere l’ospedale, soprattutto di notte, quando vengono istituiti i check-point. Rischiano di essere fermate per un’ora, un’ora e mezza, e poi possono proseguire per l’ospedale.

    D. – Nell’ospedale accogliete palestinesi cristiani e musulmani. Anche lo staff è misto…

    R. – Yes, the Holy Family Hospital is a known hospital, it is a Christian hospital…
    Sì, l’Holy Family è un ospedale conosciuto, è un ospedale cristiano, ma le persone che si rivolgono all’ospedale, le donne che vengono sono accolte a prescindere dalla loro fede, dal loro Credo e anche dalla loro nazionalità.

    D. – Quali sono le difficoltà che vi trovate ad affrontare a causa di queste differenze?

    R. – I think that… as I am from Bethlehem, as I am Christian, that we were taught…
    Vede, io vengo da Betlemme e sono cristiano e a noi è stato insegnato e noi applichiamo questi insegnamenti per cui non dovremmo, e in realtà non abbiamo, alcun tipo di discriminazione tra le religioni, qui a Betlemme. Lavoriamo insieme, con un team che è composto da cristiani e musulmani. Noi non abbiamo alcuna percezione di discriminazione e non permettiamo che chi viene dal di fuori possa percepirne all’interno dell’ospedale. A volte, ci rendiamo conto che non si accetta che sia un medico-uomo a visitare una donna musulmana, ma questo è veramente molto raro. Le porte dell’ospedale sono sempre aperte per chiunque voglia venire a partorire qui. Il problema maggiore che ci troviamo ad affrontare qui, come reparto di maternità, per quanto riguarda la patologia più frequente che ci possa capitare, si parla di nascite premature il cui tasso è un po’ alto nella nostra popolazione, forse dovuta alla malnutrizione, forse al numero elevato di gravidanze senza un dovuto intervallo tra l’una e l’altra, oltre a questo ci sono molti casi di malformazioni congenite, anormalità cromosomiche che rileviamo direi frequentemente qui, in Cisgiordania. Soprattutto le malformazioni congenite.

    D. – Cosa si può dire delle mamme? Sappiamo che sono molto giovani…

    R. – Yes. We are having mothers from different ages; the majority is between…
    Sì. Abbiamo una fascia di età molto ampia, ma la maggioranza di loro hanno tra i 20 e i 35 anni, ma ci sono ancora ragazzine che partoriscono qui, nel nostro ospedale, a 16 anni. E’ così difficile con queste madri, perché in età molto giovane o in età più avanzata aumentano le malattie come la preeclampsia, l’ipertensione, gli aborti spontanei. La nostra popolazione è nota per avere un alto numero di figli per famiglia e abbiamo spesso problemi con il parto cesareo. Non è come in Europa, in Europa si possono avere due, tre figli, anche se con parto cesareo, e non ci sono problemi. Ma immagini se la mamma ha sei o sette parti cesarei! E’ pericoloso e ci possono essere complicazioni molto serie. Ecco, questi sono i problemi più gravi problemi che possiamo avere qui, nel nostro ospedale, accanto alla preeclampsia e la pressione alta e patologie simili.

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    Venezia. All'Università Ca' Foscari corsi gratuiti per rifugiati

    ◊   Niente tasse dopo l’iscrizione ai corsi e servizi destinati a loro: è quello che i rifugiati e i titolari di protezione umanitaria in Italia possono trovare nell’Università veneziana di Ca’ Foscari. Un bando dedicato – l’unico di questo tipo in Italia – ha permesso a sei rifugiati, provenienti da Serbia, Pakistan, Somalia, Camerun e Iran, di frequentare, negli ultimi due anni, i corsi dell’Ateneo. Della loro situazione parla, nell’intervista di Davide Maggiore, la responsabile del settore Mobilità internazionale di Ca’ Foscari, Anna Colombini:

    R. – Tutti quanti sono titolari di protezione internazionale e hanno avuto questa possibilità di accedere agli studi universitari, che altrimenti difficilmente avrebbero potuto avere qui in Italia. Hanno potuto immatricolarsi a Ca’ Foscari con questa particolare facilitazione, di avere non solo la riduzione quasi totale delle tasse, ma anche la possibilità di iscriversi in deroga, senza dover necessariamente presentare documenti in originale, dichiarazioni di valore, tutta quella parte amministrativa e burocratica che spesso per queste tipologie di studenti è veramente difficile da risolvere. Chiedere, infatti, una dichiarazione di valore in un Paese dove magari l’ambasciata non esiste nemmeno più o da cui queste persone sono fuggite è non solo difficile, ma a volte può essere anche rischioso, perché li esporrebbe poi a possibili conseguenze.

    D. – A quali altre esigenze degli studenti vanno incontro queste facilitazioni?

    R. – Ci siamo resi conto che per quelli di loro, che non vivevano già sul nostro territorio, quindi che non erano a Venezia o nel Veneto, non era sufficiente consentire appunto l’iscrizione in deroga, consentire la riduzione delle tasse, ma bisognava anche cercare di dare loro un alloggio, di dare loro l’accesso alle mense e di sostenerli in tutte quelle che sono le necessità di chiunque nella vita quotidiana. Tutta una serie di spese che, per uno studente che evidentemente non ha una rete familiare di appoggio, possono essere anche molto impegnative. Immagini soltanto il costo dei libri di testo, che non è certo alla portata di una persona che ha un trascorso di questo genere alle spalle. Queste persone, ovviamente, non hanno quasi fonte di reddito, quindi abbiamo avviato una rete di rapporti con le istituzioni e gli enti presenti in città. Siamo riusciti appunto a offrire loro anche l’alloggio e l’accesso alle mense. La libreria universitaria si è resa disponibile a regalare dei buoni-libro. Abbiamo trovato un istituto di lingua, che offre gratuitamente dei corsi di italiano per questi studenti, perché evidentemente parlano l’italiano, essendo ormai alcuni di loro sul nostro territorio da qualche anno, ma è un italiano appreso nella maggior parte dei casi da autodidatti, senza le necessarie basi per potere poi scrivere, parlare, in un contesto universitario.

    D. – A partire dalle esperienze degli studenti, lei ha qualche esempio da ricordare, in particolare?

    R. – Ci hanno colpito in particolare le parole della studentessa serba, che l’anno scorso diceva: “Io mi sono sempre sentita diversa, mi sono sempre sentita in qualche modo non a casa, anche quando ero nel mio Paese, perché venivo da un’etnia particolare, che non era quella della maggior parte dei miei compagni”. E ha aggiunto: “Qui, finalmente, mi sono sentita a casa”. Un altro studente ha detto: “Qui ho recuperato il diritto al mio futuro”.

    D. – Comunque, iniziative come questa non portano benefici solo agli studenti, ma anche all’insieme della società che li accoglie...

    R. – Siamo di fronte a un fenomeno dell’immigrazione che ormai ha assunto diverse sfaccettature e molti degli immigrati che arrivano in Italia sono in realtà persone qualificate o persone che hanno grandi capacità. Ci troviamo, quindi, ad avere un capitale umano molto spesso sotto-valorizzato, che invece potremmo cercare di valorizzare al meglio e che avrebbe sicuramente un effetto positivo anche per la nostra società. Di questo siamo assolutamente consapevoli.

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    Nella primavera 2014 l'apertura del sito archeologico di Magdala

    ◊   La presenza in Terra Santa di volontari vicentini consentirà l’avvio del sito archeologico di Magdala, che sarà aperto entro la prossima primavera. A stabilirlo un documento che sancisce la collaborazione tra la diocesi di Vicenza e la Custodia di Terra Santa. Per la prima volta, un gruppo italiano si occuperà della cura di un sito nella terra in cui ha vissuto Gesù. Il servizio è di Filippo Passantino:

    L’impegno dei volontari della diocesi di Vicenza consentirà di visitare un nuovo luogo significativo della Terra Santa: il sito archeologico di Magdala, in Galilea. Un progetto possibile grazie a un accordo firmato dal Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e dal vescovo della diocesi vicentina, Beniamino Pizziol. L’accordo prevede che, una volta terminati i lavori di allestimento del parco archeologico, da Vicenza arrivino a Magdala i volontari che rendano possibile l’apertura di questo spazio. I gruppi si alterneranno ogni 45 giorni. A coordinare l’iniziativa è don Raimondo Sinibaldi, direttore dell’ufficio diocesano pellegrinaggi:

    R. - Per la prima volta, una diocesi italiana, in questo caso la diocesi di Vicenza, ha ricevuto il mandato dalla Custodia della Terra Santa di gestire un luogo santo che attualmente non è ancora aperto al pubblico. Questo luogo santo è la città natale di Maria di Magdala, chiamata successivamente Maria Maddalena. Si è scoperto che la città di Magdala era la città più importante di tutto il Lago di Tiberiade o Mar di Galilea, perché da lì transitavano tutte le merci che andavano e venivano per la Via Maris, quella strada che congiungeva l’Egitto con la Mezzaluna fertile.

    D. - Quando comincerà questa vostra iniziativa?

    R. - Questa nostra iniziativa comincerà tra qualche mese, perché attualmente nel sito si stanno operando delle sistemazioni per messa a norma, affinché i pellegrini e i visitatori possano entrarvi liberamente.

    D. - Come nasce questo progetto?

    R. - Il progetto nasce dal fatto che il nostro ufficio pellegrinaggi della diocesi di Vicenza oltre a portare avanti i pellegrinaggi, vuole aiutare i pellegrini a collocarsi in un determinato contesto storico, archeologico, geografico, topografico affinché questo contesto possa aiutare meglio a capire il “testo”, cioè la Parola di Dio, e che questa parola possa interpellare esisistenzialmente e vitalmente la nostra vita.

    D. - L’apertura del sito sul lago di Galilea è prevista per la prossima primavera. Si tratta di una zona che gli archeologi francescani hanno riportato alla luce solo di recente...

    R. - Questo sito è stato scavato negli Anni ’70 dal grande padre francescano, l’archeologo Virgilio Corbo, ma poi è rimasto sostanzialmente fermo perché padre Corbo ha iniziato i grandi scavi nella città di Cafarnao con una trentina di campagne di scavo. Negli anni successivi, il sito è stato chiuso al pubblico e solo nel 2006 un altro archeologo francescano, padre Stefano di Luca, ha ricominciato gli scavi, riportando alla luce tra il 2006 e il 2011 molti elementi interessanti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: autobomba contro scuole a Homs, sette morti

    ◊   Violenza senza fine in Siria, dove almeno sette persone sono morte dopo che un attentatore suicida si è lanciato con un’autobomba contro edifici scolastici nella città a maggioranza sciita di Umm al-Amed, nell’est della provincia di Homs. Secondo fonti locali, fra le vittime ci sarebbero diversi studenti. Il governo ha attribuito l’attacco ai ribelli integralisti sunniti. Nel frattempo, le forze governative continuano a bombardare le roccaforti degli insorti a nord di Aleppo. Non accenna dunque a placarsi lo scontro settario in Siria, sebbene ieri la coalizione nazionale siriana, che raccoglie l’opposizione, abbia annunciato ufficialmente la sua partecipazione alla Conferenza internazionale di pace "Ginevra 2". Infine, oggi Teheran ha espresso la speranza che anche l'Iran – storico alleato di Assad – venga invitato alla Conferenza.

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    Nucleare iraniano: Teheran esorta a non sabotare l’accordo

    ◊   A margine dell’incontro bilaterale con il capo della diplomazia italiana, Emma Bonino, il ministro degli Esteri iraniano, Zarif, ha esortato la comunità internazionale a non sabotare il lavoro finalizzato a un accordo definitivo sul nucleare. Zarif ha quindi auspicato “serietà e buon senso”, riferendosi anche alle nuove sanzioni che potrebbe varare il Congresso americano. Intanto, a Ginevra da tre giorni sono in corso colloqui per definire i dettagli tecnici dell'accordo raggiunto il mese scorso, in base al quale l'Iran congelerà per sei mesi il proprio programma nucleare. Al momento, Teheran lamenta scarsi progressi nella trattativa, ma per oggi è previsto un nuovo incontro tra i negoziatori iraniani e quelli dei cinque Paesi con diritto di veto nel Consiglio di sicurezza Onu, più la Germania. (M.G.)

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    Thailandia: Bangkok paralizzata dalle proteste anti-governative

    ◊   Nuova giornata di caos e proteste antigovernative in Thailandia. Migliaia di manifestanti hanno occupato diverse strade della capitale Bangkok, paralizzando la città. Il leader della protesta, Suthep Thaugsuban, intende mobilitare oggi un milione di persone per spingere il governo della premier, Yingluck Shinawatra, a dimettersi prima delle elezioni e aprire la strada alla costituzione di un consiglio del popolo. Le proteste contro la premier, accusata dall'opposizione di essere manovrata dal fratello, l'ex primo ministro deposto Thaksin Shinawatra, vanno ormai avanti da novembre. Ieri, anche il Partito democratico si è allineato con la protesta, annunciando il boicottaggio delle elezioni politiche in programma per il 2 febbraio 2014. (M.G.)

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    Libia: vittime e feriti in attacco kamikaze contro base militare vicino Bengasi

    ◊   Anche la Libia stenta a entrare in una fase di stabilità interna. Almeno sette persone sono morte la notte scorsa, e circa 12 sono rimaste ferite, alcune delle quali in modo grave, a seguito di un attacco kamikaze condotto contro una base dell’esercito nei pressi di Bengasi, nell'est del Paese. Lo riferiscono fonti mediche, precisando che tutte le vittime sono militari. Il comandate della base, ricoverato in ospedale per le ferite riportate, ha denunciato di aver ricevuto parecchie minacce dopo l’arresto, avvenuto il mese scorso, di alcuni individui in possesso di armi e di un elenco con i nominativi di persone da colpire. La Cirenaica è ormai preda di formazioni irregolari che, dopo la caduta del regime di Gheddafi, si sono rifiutate di sciogliere le milizie e imperversano nella provincia orientale della Libia, infliggendo violenze alla popolazione e ai rappresentati dello Stato centrale. Soltanto due giorni fa, era stato assassinato il capo locale dell'intelligence militare, il colonnello Fethallah al-Gaziri.

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    India: Chiesa siro-malabarese preoccupata dalla forte emigrazione di giovani fedeli dal Kerala

    ◊   L’emigrazione dal Kerala di molti giovani fedeli siro-malabaresi rischia di lasciare un vuoto generazionale in questa antica Chiesa di rito orientale che conta oggi quasi quattro milioni di fedeli, concentrati tradizionalmente in questo Stato indiano. Il fenomeno comincia a preoccupare l’episcopato locale, che sta intensificando la sua presenza pastorale al di fuori del Kerala. Secondo una recente indagine della sua Commissione per i Laici, il 78% dei giovani siro-malabaresi tra i 20 e i 31 anni ha lasciato lo Stato per stabilirsi in altre parti dell’India o all’estero. Una scelta comprensibile, spiega il segretario citato dall’Ucan, ma che potrebbe cambiare il volto della Chiesa siro-malabarese: “La preoccupazione più grande è che le nuove generazioni si possano allontanare da una tradizione bimillenaria”. Una preoccupazione sottolineata anche dal presidente della Commissione, mons. Mathew Arakkal, vescovo di Kanjirappally: “I figli di siro-malabaresi che crescono in un altro Paese, in un contesto socioculturale diverso, non conosceranno la loro tradizione. Anche se ritornano poi in patria, la loro formazione è ormai già fatta”. Per questo, la Commissione ha intensificato le attività dei suoi Centri pastorali fuori dal Kerala, sotto la supervisione del Sinodo dei vescovi siro-malabaresi. Secondo la tradizione, la Chiesa siro-malabarese risale alla predicazione di San Tommaso Apostolo nel 1° sec. d.C. L'arcidiocesi di Ernakulam a cui fa capo, è stata elevata al rango di Maggiore, con aggiunto il titolo di Angamaly, nel 1992 per decisione di Giovanni Paolo II che l’ha resa "sui iuris". Successivamente, ha ottenuto il diritto di eleggere il proprio arcivescovo nel 2004, quando la Santa Sede ha concesso al Sinodo dei vescovi siro-malabaresi la piena autonomia giuridica nell’elezione dei propri vescovi e nella erezione e soppressione di eparchie all’interno del proprio territorio. Dei tre riti in cui è suddivisa la Chiesa indiana, che comprende anche la Chiesa latina e quella siro-malankarese, quella siro-malabarese è la più missionaria. Numerosi missionari siro-malabaresi lavorano oggi fuori dal Kerala, in gran parte al servizio di diocesi latine. Comunità siro-malabaresi si trovano anche in altri continenti, in particolare in nord America. (L.Z.)

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    Indonesia: iniziative di carità dei giovani per poveri ed emarginati

    ◊   Diffondere il "virus dell'amore e della compassione" fra i propri concittadini, in particolare quanti sono più sfortunati o vivono situazioni di disagio e povertà. È questo lo spirito che anima queste settimane di Avvento fra i cattolici indonesiani, che si preparano alla festa del Natale cercando di promuovere il bene e impegnandosi a favore degli altri. Fra le altre iniziative - riferisce l'agenzia AsiaNews - alcune parrocchie hanno allestito cliniche mobili per una verifica gratuita dello stato di salute e un pranzo di Natale per i bambini orfani e abbandonati. E ancora, una giornata dedicata alla donazione del sangue, fondamentale per sensibilizzare la cittadinanza su un tema (quello delle donazioni) affrontato con ritrosia non solo nel Paese, ma in tutto il continente asiatico. Nelle settimane che precedono il Natale, i cattolici indonesiani sono soliti promuovere iniziative di solidarietà in favore dei più bisognosi. Diffondere il "virus dell'amore", oltre che uno slogan, è diventato negli anni un fenomeno diffuso, che ha dato vita a progetti concreti sviluppati con entusiasmo e partecipazione. Nella parrocchia di Maria Immacolata a Slawi, diocesi di Purwokerto (Java centrale) l'8 dicembre scorso, in concomitanza con la festa, i cattolici hanno allestito un mercatino all'aperto, donando beni di prima necessità ai più bisognosi. Inoltre, hanno fornito un servizio di trasporto gratuito su due ruote e partecipato all'opera di pulizia delle strade. Sempre l'8 dicembre scorso, i fedeli della parrocchia della Madonna di Fatima a Brebes, anch'essa nella diocesi di Purwokerto, hanno montato un Centro mobile per la donazione di sangue. Un'occasione, spiega un seminarista, utile anche per vincere la paura e vivere "per la prima volta" questa esperienza di amore e dedizione agli altri. L'arcidiocesi di Jakarta sta preparando un grande evento per il 25 dicembre, giorno di Natale, il "Pranzo natalizio di ringraziamento", in programma all'orfanotrofio cattolico di San Vincenzo a Karma, nel centro città. Sostenuta da diverse associazioni ed enti esterni all'arcidiocesi - fra cui la comunità di Sant'Egidio e gli attivisti di Kbkk (Kelompok Bakti Kasih Kemanusiaan) - l'iniziativa intende dar vita a un momento di festa con cibo, giochi e intrattenimento per oltre mille bambini. Come spiega padre Sulpicius Parjono, sacerdote della parrocchia di Santa Teresa a Majenang, nella diocesi di Purwokerto, il periodo di Avvento è occasione per vivere la fede con maggiore profondità e partecipare alla missione della Chiesa, in particolare fra le famiglie. Per questo la parrocchia ha promosso ritiri spirituali e momenti di preghiera, cercando di coinvolgere l'intera comunità cristiana locale. In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto per in occasione della devastante alluvione del gennaio scorso. (R.P.)

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    Madagascar. Cinque milioni di persone esposte alla peste bubbonica, giunta prima del previsto

    ◊   Quest’anno, la stagione della peste bubbonica in Madagascar è arrivata prima del previsto, e con un’apparente prevalenza di un ceppo più letale della malattia. Tra i mesi di settembre e dicembre il Ministero della sanità locale ha registrato 42 decessi e 84 casi in quattro dei 112 distretti del Paese. Popolarmente conosciuta come la "morte Nera", in riferimento al colore dei bubboni, linfonodi infetti, caratteristici della malattia, la peste è causata dal batterio "Yersinia pestis" contratto dalla puntura di pulci infette che trasmette i batteri agli esseri umani. Vettore primario sono le pulci su ratti e altri roditori, anche se altri animali e insetti possono trasportare i batteri. Secondo le autorità sanitarie malgasce, la peste bubbonica può essere trattata facilmente con la somministrazione di antibiotici che rallentano lo sviluppo della malattia. Tuttavia, questa volta sono stati individuati anche alcuni casi di peste polmonare più difficile da curare, dal momento che può essere fatale in tre soli giorni. La maggior parte dei ceppi più comuni di peste sono di origine bubbonica. Da due a otto giorni dopo il contagio il pazienti sviluppa febbre e brividi, gonfiore dei linfonodi - i bubboni - e i batteri si muovono e si moltiplicano. Altri tipi di peste sono quella setticemica - che ha un tasso di mortalità del 50%, più alto di quella bubbonica - e la peste polmonare, più rara ma letale, a meno che il paziente contagiato non venga subito curato con antibiotici sin dai primi sintomi. Ogni anno, in Madagascar si registrano tra 300 e 600 casi di peste bubbonica, in genere tra ottobre e marzo. Le autorità sanitarie devono inoltre far fronte alle superstizioni, soprattutto nei villaggi più remoti, dove la gente pensa che la peste sia causata da una maledizione che i vicini hanno lanciato contro di loro. Di conseguenza, per timore si recano da qualche "guaritore" che buca il bubbone e cerca di succhiare lo spirito maligno, causando invece la malattia. Si pensa che la peste sia arrivata in Madagascar nel 1898 dai ratti infetti presenti su navi provenienti dall’India. Grazie a numerose campagne di vaccinazione, al miglioramento dell’igiene, alla scoperta della streptomicina e all’uso di insetticidi, la malattia è stata sotto controllo negli anni 50. Nell’arco di 30 anni, in Madagascar sono stati registrati solo da 20 a 50 casi annuali, ma dal 1989 il numero di casi sospetti è aumentato costantemente. Secondo i Centri per il Controllo e la prevenzione delle malattie negli Stati Uniti, circa cinque milioni di persone sono esposte sugli altipiani del Madagascar. L’Oms considera l’infezione endemica in molte parti dell’Africa, in particolare, oltre al Madagascar, nella Repubblica Democratica del Congo, in Mozambico, Uganda e Tanzania. (R.P.)

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    Terra Santa: in restauro la Basilica della Natività a Betlemme

    ◊   I visitatori che in questo periodo di festa giungeranno in Terra Santa, a Betlemme, noteranno un aspetto diverso della Basilica della Natività, che sarà infatti per questo Natale coperta dai ponteggi, allestiti per il restauro. I lavori, cominciati lo scorso settembre, sono i primi da 200 anni e affronteranno le questioni più urgenti, come il tetto e le finestre. La famosa e antichissima Chiesa della Natività, risalente a 1.700 anni fa, e che secondo la tradizione cattolica è sorta nel luogo in cui nacque Gesù, viene oggi considerata come uno dei Santuari più importanti del cristianesimo, ed è una delle mete principali dei pellegrini che visitano la Terra Santa (solo l’anno scorso ha attirato più di 2 milioni di visitatori). Nel 2012, è stata anche inserita nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel 2011 - dopo che la “World Monuments Fund”, un’organizzazione no-profit con sede negli Stati Uniti dedita alla tutela dei siti storici, ha inserito la Chiesa nella lista dei siti a rischio - un consorzio di esperti italiani ha eseguito un esame sull’edificio per stilare la lista delle riparazioni più urgenti. “Le autorità locali - spiega Ziad al-Bandak Said, consigliere per gli Affari cristiani del presidente palestinese Mahmoud Abbas - hanno finanziato gran parte delle opere. Il governo ha messo a disposizione un milione di dollari, mentre altri 800 mila dollari sono venuti dal settore privato. Il resto arriva da Paesi europei come la Francia, l'Ungheria, la Russia e la Grecia, che hanno contribuito per circa tre milioni di dollari”. Al di là del faticoso processo per preservare un luogo sacro così delicato, il restauro deve tenere conto anche delle relazioni tra le tre confessioni cristiane che condividono il proprio culto nell’edificio: la Chiesa cattolica romana, la Chiesa greco-ortodossa e la Chiesa armena. Esse gestiscono la Basilica della Natività secondo il Codice del XIX secolo, noto come “Status Quo”. La prima fase della ristrutturazione dovrebbe durare un anno ed è stata assegnata alla “Piacenti”, un’ azienda italiana specializzata nella ristrutturazione di siti storici, che innanzitutto riparerà, una per una, le centinaia di travi in legno del tetto. “Il tetto è stato magistralmente restaurato da carpentieri veneziani nel 1478 - ha detto il presidente della società, Giammarco Piacenti - e il progetto cercherà di mantenere il maggior numero possibile di parti originali, tanto che sostituiremo solo quelle che non sono più funzionali”. Oltre al tetto e alle finestre, gli altri elementi che avranno bisogno di riparazioni in futuro sono la facciata esterna e gli intonaci interni, i mosaici murali, i dipinti e le opere lignee. Se saranno assicurati sufficienti finanziamenti, il lavoro di restauro potrebbe concludersi tra cinque anni. Da sottolineare, comunque, che i lavori in corso non comprendono l’area che è maggiormente meta di pellegrinaggi: la Grotta della Natività, ovvero il luogo in cui secondo la tradizione è nato Gesù e che è segnato da una stella d’argento. (G.P.)

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    Germania: i Cantori della Stella per i bambini rifugiati in Malawi e nel mondo

    ◊   Per la 56.ma volta, nei giorni precedenti il 6 gennaio 2014, i “Cantori della Stella” (Sternsinger) dell’Infanzia Missionaria tedesca sfileranno per le strade della Germania con i loro canti natalizi. “Portare la benedizione, essere benedizione: per i bambini rifugiati in Malawi e in tutto il mondo!” è il motto della Campagna di quest’anno. Circa il 46% dei 45,2 milioni di persone in fuga dal loro Paesi sono bambini e ragazzi con meno di 18 anni. In Africa, Asia e America Latina i Cantori delle Stella aiutano i bambini rifugiati di molte nazioni. I bambini fuggiti dalla guerra civile in Siria ricevono medicinali, cibo e coperte. In Sudafrica e nel Congo, promuovono programmi che permettono ai bambini rifugiati di frequentare una scuola nel loro luogo di destinazione. Il superamento di esperienze traumatiche e l’educazione alla pace sono al centro dei programmi per i bambini nei Paesi usciti da una guerra civile, come la Sierra Leone o lo Sri Lanka. Nel Paese simbolo di quest’anno, il Malawi, si promuovono programmi di scolarizzazione e superamento di traumi nel campo per rifugiati a Dzaleka dove vivono circa 17 mila persone. Indossando i vestiti dei Re Magi, con la Stella cometa ed i loro canti, nel tempo natalizio e nei primi giorni dell’anno nuovo i “Cantori della Stella“ bussano alle porte delle case tedesche. Circa mezzo milione di bambini nelle parrocchie cattoliche della Germania porteranno la benedizione “C+M+B” (“Christus mansionem benedicat - Cristo benedica questa casa”) alle famiglie, raccogliendo offerte per i loro coetanei che soffrono in tutto il mondo. La raccolta dei “Cantori della Stella” tedeschi è diventata la più grande iniziativa di solidarietà in tutto il mondo, che vede i bambini impegnarsi per i loro coetanei bisognosi. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 356

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.