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Sommario del 19/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: l’umiltà ci rende fecondi, la superbia sterili
  • Il Papa conferma il card. Amato prefetto delle Cause dei Santi
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: preghiamo Dio che nessuno debba più morire di fame
  • Vaticano. Presentato documento sull'educazione al dialogo interculturale nella scuola cattolica
  • La McKinsey & Company scelta come consulente per il riordino dei media vaticani
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Mons. Zenari: cessino le lacrime e il sangue. Le parti sappiano negoziare
  • Sud Sudan, ancora scontri tra esercito e ribelli. Un missionario: non ridurli a lotte tribali
  • L’Ecofin trova l’accordo sul meccanismo unico di risoluzione delle banche
  • Mons. Twal: no ad un Medio Oriente senza cristiani. Attesa per la visita del Papa
  • Betlemme: si accendono le luci di Natale e quelle della speranza, grazie anche ai Salesiani
  • Annuario statistico dell'Istat 2013: l'Italia uno dei Paesi più vecchi al mondo
  • Carceri. Rapporto Antigone: Italia "maglia nera" in Ue per sovraffollamento e suicidi
  • Guida di Sant'Egidio per i senza fissa dimora a Roma. Più italiani chiedono un pasto caldo ai Centri d'accoglienza
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Patriarca di Mosca Kirill: grandi speranze per il pontificato di Francesco
  • Centrafrica: più alto il bilancio delle violenze. Amnesty parla di "crimini di guerra"
  • Centrafrica. Il vescovo di Bossangoano: "non c'è scontro religioso ma una lotta fratricida"
  • Dalla Siria alla Somalia i rischi per i giornalisti
  • Cina: la morte di mons. Paolo Liu Jinghe per anni nei campi di lavoro
  • Taizè: a Strasburgo 30mila giovani europei, "una grande comunità di amicizia"
  • Libano: è rivolto ai giovani del Medio Oriente il primo “Tweet” del patriarca Rai
  • Uomo si dà fuoco in Piazza S. Pietro. Soccorso da poliziotti e da un gesuita, è gravemente ustionato
  • Nicaragua: per il problema delle carceri la Chiesa propone un dialogo nazionale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: l’umiltà ci rende fecondi, la superbia sterili

    ◊   “L’umiltà è necessaria per la fecondità”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che l’intervento di Dio vince la sterilità della nostra vita e la rende feconda. Quindi, ha messo in guardia dall’atteggiamento di superbia che ci rende sterili. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Tante volte, nella Bibbia, troviamo donne sterili alle quali il Signore fa il dono della vita. Papa Francesco ha iniziato così la sua omelia commentando le Letture del giorno e in particolare il Vangelo odierno che narra di Elisabetta che da sterile che era ha avuto un figlio, Giovanni. “Dall’impossibilità di dare vita – ha constatato il Papa – viene la vita”. E questo, ha proseguito, è anche “accaduto non a donne sterili” ma che “non avevano speranza di vita”, come Noemi che alla fine ha avuto un nipote:

    “Il Signore interviene nella vita di queste donne per dirci: ‘Io sono capace di dare vita’. Anche nei Profeti c’è l’immagine del deserto, la terra deserta incapace di far crescere un albero, un frutto, di far germogliare qualcosa. ‘Ma il deserto sarà come una foresta - dicono i Profeti - sarà grande, fiorirà’. Ma il deserto può fiorire? Sì. La donna sterile può dare vita? Sì. Quella promessa del Signore: Io posso! Io posso dalla secchezza, dalla secchezza vostra, far crescere la vita, la salvezza! Io posso dall’aridità far crescere i frutti!”

    E la salvezza, ha affermato Papa Francesco, è questo: “L’intervento di Dio che ci fa fecondi, che ci dà la capacità di dare vita”. Noi, ha ammonito, “non possiamo” farlo “da noi soli”. Eppure, ha rilevato, “tanti hanno fatto la prova di pensare alla nostra capacità di salvarci”:

    “Anche i cristiani, eh! Pensiamo ai pelagiani, per esempio. Tutto è grazia. E’ l’intervento di Dio che ci porta la salvezza. E’ l’intervento di Dio che ci aiuta nel cammino della santità. Soltanto Lui può. Ma da parte nostra cosa facciamo? Primo: riconoscere la nostra secchezza, la nostra incapacità di dare vita. Riconoscere questo. Secondo, chiedere: ‘Signore, io voglio essere fecondo. Io voglio che la mia vita dia vita, che la mia fede sia feconda e vada avanti e possa darla agli altri’. ‘Signore, io sono sterile, io non posso, Tu puoi. Io sono un deserto: io non posso, Tu puoi’”.

    E questa, ha soggiunto, può essere proprio la preghiera di questi giorni, prima del Natale. “Pensiamo – ha poi osservato - a come i superbi, quelli che credono che possono fare tutto da sé, sono colpiti”. Il Papa ha rivolto il pensiero a Micol, figlia di Saul. Una donna, ha rammentato, “che non era sterile, ma era superba, e non capiva cosa fosse lodare Dio”, anzi “rideva della lode”. Ed “è stata punita con la sterilità”:

    “L’umiltà è necessaria per la fecondità. Quante persone credono di essere giuste, come quella, e alla fine sono poveracce. L’umiltà di dire al Signore: ‘Signore, sono sterile, sono un deserto’ e ripetere in questi giorni quelle belle antifone che la Chiesa ci fa pregare: ‘O figlio di David, o Adonai, o Sapienza – oggi – o radice di Jesse, o Emmanuel, vieni a darci vita, vieni a salvarci, perché Tu solo puoi, io solo non posso!’ E con questa umiltà, l’umiltà del deserto, l’umiltà di anima sterile, ricevere la grazia, la grazia di fiorire, di dare frutto e di dare vita”.

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    Il Papa conferma il card. Amato prefetto delle Cause dei Santi

    ◊   Papa Francesco ha confermato "donec aliter provideatur" nell'incarico di prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi il cardinale Angelo Amato.

    Al tempo stesso, il Papa ha confermato nell'incarico di segretario del Dicastero mons. Marcello Bartolucci. Il Papa ha inoltre confermato nell'incarico di membri del medesimo i cardinali: Jean-Claude Turcotte, Juan Luis Cipriani Thorne, Ennio Antonelli, Agostino Vallini, Antonio Cañizares Llovera, Paul Josef Cordes, Angelo Comastri, Stanis_aw Ry_ko, Francesco Monterisi, Kurt Koch, Paolo Sardi, Velasio De Paolis, Manuel Monteiro de Castro, Santos Abril y Castelló, Francesco Coccopalmerio, James Michael Harvey; e i monsignori: Félix del Blanco Prieto, Fabio Berardo D'Onorio, Giovanni Paolo Benotto, Salvatore Fisichella, Zygmunt Zimowski, Renato Boccardo, Lorenzo Chiarinelli, Marcello Semeraro, Lino Fumagalli, Paolino Schiavon, Antoni Stankiewicz, Gianfranco Girotti, Ambrogio Spreafico, Raffaello Martinelli.

    Il Pontefice ha anche confermato nell'incarico di Consultori del suddetto Dicastero mons. Sergio Pagano; gli mons. Joaquín Alonso Pacheco, rev. Francesco Asti, rev. Nicola Bux, rev. Alfonso C. Chacón Oreja, mons. Lorenzo Dattrino, rev. Miguel De Salis Amaral, rev. Antonio Escudero Cabello, S.D.B., rev. P. Maurizio Pietro Faggioni, O.F.M., Mons. Jair Ferreira Pena, rev. Jesús Manuel García Gutiérrez, S.D.B., rev. P. Wojciech Giertych, O.P., rev. P. François-Marie Léthel, O.C.D., rev. P. Mieczys_aw Lubomirski, S.I., rev. P. Sabatino Majorano, C.SS.R., rev. P. Germano Marani, S.I., Mons. Guido Mazzotta, rev. Aimable Musoni, S.D.B., rev. P. Stéphane Oppes, O.F.M., rev. P. Adam Owczarski, C.SS.R., Mons. Mario Pangallo, rev. P. Szczepan T. Pra_kiewicz, O.C.D., rev. P. Marek Adam Rostkowski, O.M.I., rev. P. Felice Ruffini, M.I., mons. Erich Schmid, rev. P. Zbigniew Suchecki, O.F.M. Conv., rev. P. Damian Jan Synowiec, O.F.M. Conv., rev. P. Mihály Szentmártoni, S.I., mons. Francesco Maria Tasciotti, rev. p. Angelo Giuseppe Urru, O.P., rev. Filippo Urso, rev. P. Alberto Valentini, S.M.M., rev. P. Adam Wolanin, S.I., rev. P. Alfonso Amarante, C.SS.R., rev.da Sr. Albarosa Ines Bassani, S.D.V.I., prof. Pietro Borzomati, rev. P. Marcel Chappin, S.I., mons. Luis Manuel Cuña Ramos, rev. P. Fidel González Fernández, M.C.C.J., dott. Johan Ickx, Mons. Wilhelm Imkamp, Rev. P. Gabriele Ingegneri, O.F.M. Cap., rev. P. Marek Inglot, S.I., rev. P. Carlo Longo, O.P., Rev.da Sr. Grazia Loparco, F.M.A., dott. Christoph Ludwig, rev. P. Luigi Nuovo, C.M., prof. Ulderico Parente, dott. Gaetano Passarelli, prof. Francesco Ricciardi Celsi, rev. Giorgio Rossi, S.D.B., mons. Mario Sensi.

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Il Santo Padre Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: mons. Adriano Bernardini, arcivescovo tit. di Faleri, nunzio apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino; mons. Bernardito C. Auza, Arcivescovo tit. di Suacia, nunzio apostolico in Haiti. Il Papa ha ricevuto sempre questa mattina in Udienza: padre Edmund Power, O.S.B., abate di San Paolo fuori le Mura, Roma.

    In Argentina, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Gregorio de Laferrere, presentata da mons. Juan Horacio Suárez, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Gregorio de Laferrere mons. Gabriel Bernardo Barba, finora Vicario Generale della diocesi di Merlo-Moreno.

    In Francia, il Papa ha nominato vescovo ausiliare di Marseille il rev.do Mons. Jean-Marc Aveline, finora vicario generale della stessa arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Simidicca.

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    Tweet del Papa: preghiamo Dio che nessuno debba più morire di fame

    ◊   “Preghiamo che Dio ci conceda la grazia di vedere un mondo in cui mai nessuno debba morire di fame”. E’ il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex seguito da quasi 11 milioni di follower.

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    Vaticano. Presentato documento sull'educazione al dialogo interculturale nella scuola cattolica

    ◊   La Congregazione per l’Educazione Cattolica ha presentato oggi in Vaticano un nuovo documento relativo alla sfida odierna più importante per la società, la presenza simultanea di culture diverse che possono, seppur tra tanti problemi inevitabili, offrire un contributo essenziale alla formazione di un mondo migliore. Il titolo del documento è “Educazione al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore”. Presenti il prefetto e il segretario del dicastero pontificio, il cardinale Zenon Grocholewski e mons. Angelo Vincenzo Zani. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Il nuovo documento della Congregazione per l’educazione ha iniziato il suo lungo iter nel 2008, è frutto di un lavoro condiviso e in più tappe e vuole incoraggiare e ispirare la pratica del dialogo dandole solidi fondamenti evangelici teologici e filosofici. Il testo, si è detto in conferenza stampa, sviluppa una riflessione teorica, ma si basa anche su contributi arrivati da tutto il mondo, specie da quelle istituzioni educative cattoliche che già vivono una realtà interculturale, come in Africa, in Bosnia Erzegovina, in Amazzonia, in Perù e nel martoriato Medio Oriente, dove, ha spiegato mons. Angelo Vincenzo Zani, segretario del dicastero per l’Educazione cattolica, non ci si lascia scoraggiare dalle bombe:

    “Ciascuna di queste esperienze fa capire concretamente come la diversità delle religioni, delle lingue e delle tradizioni possa essere trattata con cura e rispetto e diventare un’autentica ricchezza per ogni gruppo ed individuo, per costruire ponti di comprensione e di pace e un destino fondato sull’amore e sulla fraternità, come ideale da realizzare”.

    Il dialogo, atteggiamento con cui, secondo Papa Francesco, la Chiesa deve affrontare ogni situazione, è dunque la parola chiave del documento e il suo obiettivo finale, come recita il sottotitolo, è “costruire la civiltà dell’amore”, sul cui significato si è soffermato il cardinale Zenon Grokoleski:

    “La civiltà dell’amore, per i cristiani, non è una vaga solidarietà, ma esprime la carità di Cristo. Questo è il servizio con cui, cito, come afferma Papa Francesco, 'le scuole cattoliche, che cercano sempre di coniugare il compito educativo e l’annuncio esplicito del Vangelo, costituiscono un contributo molto valido all’evangelizzazione della cultura, anche nei Paesi e nelle città dove una situazione avversa ci stimola ad usare la creatività, per trovare i percorsi adeguati'”.

    Il cardinale prefetto ha tracciato un quadro in chiaroscuro della situazione della scuola cattolica nel mondo, affermado che è essa cresciuta tra il 2008 e il 2011 di seimila unità, ma non in America né in Europa e portando con sé tante sofferenze, come l’abbandono scolastico, che riguarda 70 milioni di bambini nel mondo. Se la comunità internazionale sta dimostrando più interesse al ruolo dell’educazione per il futuro dell’umanità, lo sviluppo sostenibile e la dignità dei popoli – ha detto il porporato – nello stesso tempo non si possono non scorgere fattori preoccupanti che la minacciano. A questo proposito, rispondendo a una domanda dei giornalisti, il cardinale ha citato l’ideologia del gender, inserita nei programmi scolastici di alcuni Paesi, definendola come un’imposizione e un'idea distruttrice: “La scuola cattolica che si lascia influenzare da queste correnti – ha detto – non si rende conto della sua missione”:

    “Oggi vediamo proprio questa tendenza: che le nostre istituzioni, che rafforzano la propria identità, aumentano gli studenti ed anche il prestigio. Invece, quelle che perdono l’identità – e forse alcune ne perdiamo – praticamente non sono più attrattive”.

    A questo proposito, il documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica può essere un nuovo e interessante strumento. A illustrare i contenuti, Italo Fiorin, docente di Pedagogia e didattica all’Università Lumsa. Cinque i capitoli per altrettanti temi: c’è l’analisi del contesto multiculturale in cui viviamo, con i rischi presenti della massificazione e della omologazione. Si passa a identificare le carenze di approcci al multiculturalismo, quali il relativismo e l’assimilazionismo, e di contro si illustrano i pilastri – teologici antropologici e pedagogici – dell’intercultura. Quindi, il ruolo dell’educazione cattolica nella prospettiva del dialogo interculturale. Le caratteristiche curriculari, la formazione dei docenti, il rapporto con il territorio arricchiscono invece l’ultima parte del documento, che tratta lo specifico contributo della scuola cattolica, facendone un testo innovativo e di interesse globale, ancora il prof. Fiorin:

    “Il documento dedica molta attenzione, anche specifica, a quella che è l’organizzazione della scuola: la scuola immaginata come una comunità educativa e professionale, una scuola aperta al territorio, partecipata dalla famiglia. Una scuola che aiuti non soltanto a conoscere le cose che accadono ma a prendere posizione, una scuola nella quale la vita e la conoscenza siano intrecciate. Alla scuola si chiede molto – conclude il documento – ma la scuola non va lasciata sola: è anche una responsabilità della comunità per la quale la scuola opera”.

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    La McKinsey & Company scelta come consulente per il riordino dei media vaticani

    ◊   Sarà la statunitense McKinsey & Company a contribuire, in veste di consulente, alla riorganizzazione dei media vaticani. In un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede si rende noto che in data di ieri e “per iniziativa della Pontificia Commissione Referente di studio e di indirizzo per gli Affari Economici e Amministrativi della Santa Sede, a seguito di procedura formale di gara e selezione, è stato affidato a McKinsey & Company l’incarico di fornire una consulenza che contribuisca allo sviluppo – in stretta collaborazione con i responsabili degli uffici interessati – di un piano integrato per rendere l’organizzazione dei mezzi di comunicazione della Santa Sede maggiormente funzionale, efficace e moderna. Il progetto di consulenza – si precisa –avrà lo scopo di fornire alla Commissione gli elementi utili per le opportune raccomandazioni in merito al Santo Padre”.

    “Contemporaneamente – prosegue la nota della Sala Stampa vaticana – in collaborazione con la Pontificia Commissione Referente di studio e di indirizzo per gli Affari Economici ed Amministrativi della Santa Sede, si sta procedendo a quanto necessario per allineare le procedure contabili di tutti gli enti della Santa Sede con gli standard internazionali. L’incarico di collaborare a questo progetto è stato affidato, a seguito di una procedura di gara e selezione al network internazionale KPMG”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La forza di una parola nuova : in prima pagina, fratel Alois sull'esortazione apostolica "Evangelii gaudium".

    Se l'uomo prova a salvarsi da solo: messa del Papa a Santa Marta.

    A scuola di dialogo: documento della Congregazione per l'educazione cattolica.

    La grande rapina: Paolo Vian recensisce il libro di Andreina Rita "Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica.
    Cronologia e fonti romane".

    La Santa Sede vista dalla Tour Eiffel: Roberto Pertici su politica e religione in Francia da Pétain a de Gaulle.

    Il vero El Greco: Toledo si prepara al quarto centenario della nascita dell'artista.

    Pio X e il cardinale tuttofare: Valenti Serra di Manresa ricorda, nel centenario della morte, ricorda José de Calasanz Vives y Tuto.

    Una storia che rischia di andare in rovina: Irena Vaisvilaité sulle chiese lignee di Samogizia.

    Si aggrava l'emergenza umanitaria in Siria.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Mons. Zenari: cessino le lacrime e il sangue. Le parti sappiano negoziare

    ◊   La crisi siriana. Per la prima volta dall'inizio del conflitto, Mosca "bacchetta" il presidente Bashar al Assad, parlando di “dichiarazioni retoriche” per le presidenziali del 2014 e in vista della Conferenza di pace “Ginevra 2”. Intanto, Abu Mohammad al-Joulani, leader del Fronte al-Nusra, gruppo jihadista affiliato ad al-Qaeda, ha dichiarato che la guerra in Siria è vicina alla fine e il futuro Stato dovrà reggersi sulla sharia, il diritto islamico. Massimiliano Menichetti ha intervistato mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:

    R. – E’ un conflitto che ha avuto un’evoluzione, peggiorando sempre di più e complicandosi sempre di più. Io dubito che si possa ancora chiamare guerra civile quello che stiamo vivendo, perché si sono sovrapposti altri conflitti: un conflitto regionale, un certo anche disaccordo internazionale… Speriamo che si faccia strada a livello internazionale e politico e che si trovino i mezzi per far arrestare questa violenza e per far sedere le parti al tavolo delle trattative. Non parlarsi più con bombe o mitragliatrici o cannonate, ma parlarsi con un linguaggio umano! Finora, fra le parti in conflitto, ci si è parlato come delle belve, come dei leoni. Speriamo di poter arrivare a questo incontro programmato di Ginevra, a questa Conferenza di pace in cui questo linguaggio si trasformi in un linguaggio umano e si possano mettere sul tavolo alcuni accordi, cominciando dagli accordi sull’accesso agli aiuti umanitari.

    D. – Che cosa sta accadendo in Siria?

    R. – Si parla di più di nove milioni - quasi la metà della popolazione siriana! - che ha urgente bisogno di aiuti umanitari. Non ci sono parole per descrivere questa immane sofferenza, dai neonati agli anziani… Veramente, ci si chiede se non si sarebbe potuto fermare questo tsunami di sofferenza umana?

    D. – Mons. Zenari, cristiani e musulmani cercano di aiutarsi?

    R. – C’è, anche fosse limitata, una solidarietà a livello locale, qui tra povera gente: tante famiglie, tante persone di qualsiasi fede, tante cristiani, anche se sono poveri. Ci sono tanti esempi di solidarietà: si prestano aiuto fra loro, fino alla solidarietà internazionale.

    D. – Ma cosa significa per un cristiano vivere in Siria, in un momento in cui c’è anche una forte minaccia, proprio nei confronti dei cristiani stessi?

    R. – Abbiamo avuto in questi ultimi mesi dei particolari momenti di sofferenza; ricordiamo Maalula, ricordi amiamo l’altro villaggio cristiano di Sadad, Kara… Queste comunità sono state veramente messe alla prova: devastazioni, profanazioni di chiese… Una prova molto, molto dolorosa! Però, rimane la forza dei cristiani, dei preti, che rimangono sul posto e rimane ancora vivo questo lume, questa testimonianza, questa presenza. Per esempio, una parrocchia molto esposta, da mesi e mesi: sono stati obbligati a togliere la Croce che stava sopra la chiesa e in questo modo hanno avuto garanzia di poter celebrare le loro cerimonie. Allora, pur con la tristezza di dover levare la Croce – conservandola però nel proprio cuore – si vive con il Signore, con la propria comunità ed con i propri sacerdoti.

    D. - Un suo personale augurio per questo Natale…

    R. - In questo tempo natalizio, celebriamo anche la commemorazione dei primi martiri. Mi ha fatto impressione sempre, soprattutto vivendo qui, quello che è riferito da San Matteo nella Liturgia del giorno della Strage degli innocenti. Cita un passo di Geremia in cui dice: “Si oda in Rama un grido, un forte lamento: Rachele piange i suoi figli e non vuole esser consolata de' suoi figliuoli, perché non sono più”. Mi fa impressione questa strage degli innocenti che ha provocato questo conflitto. Recentemente, un Centro di ricerca britannico ha documentato questa strage degli innocenti in questi quasi tre anni circa: ha parlato di 11.420 bambini uccisi! La data arriva fino allo scorso agosto… Veramente, questo grido di dolore di Rachele continua in Miriam, continua in Fatima, Nadia… Mamme siriane che piangono la strage dei loro bambini innocenti. L’augurio che vorrei fare è che non si oda più questo grido di dolore. Se mettiamo sulla bilancia il sangue versato e le lacrime versate, credo che più o meno si equivalgono: tanto sangue versato, tante lacrime versate… Che cessi l’uno e che cessi l’altro!

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    Sud Sudan, ancora scontri tra esercito e ribelli. Un missionario: non ridurli a lotte tribali

    ◊   Continuano gli scontri nel Sud Sudan tra le fazioni militari rivali della Guardia repubblicana. Scontri che hanno costretto 15 mila persone a rifugiarsi nelle basi Onu e che nei giorni scorsi hanno causato circa 500 morti. I ribelli, fedeli all'ex vicepresidente Riek Machar, hanno conquistato Bor, capitale dello Stato orientale del Jongle. E’ tornata la tregua invece a Juna, la capitale del Sud Sudan. A spiegare qual'è attualmente la situazione è fra Antonio Ferreira, missionario comboniano che opera nella regione dal 2010.

    R. - This population has come out not...
    Questa popolazione è uscita da una guerra non da molti anni e nella sua mente, nel profondo della sua mente, è un ricordo molto fresco questa situazione di fuga dalle armi, dagli spari. E quando qui tutto questo è cominciato, la reazione è stata esattamente quella del sopravvivere. Molte persone stanno vivendo tutto questo in maniera molto forte. Non si può dire quale sia il sentimento. Il sentimento è davvero quello della fuga dalle armi, dai luoghi in cui avvengono gli spari; si cerca di non essere colpiti lì in mezzo. Alcuni stanno già lasciando la città. Quando nel pomeriggio la situazione è più calma, la gente comincia ad uscire dalla città. Ogni giorno, ora vedo che le persone prendono autobus, camion e ogni mezzo e si dirigono verso i loro villaggi, fuori della città.

    D. - C’è mancanza di cibo o di altri beni essenziali a causa dei combattimenti?

    R. - Up to now no...
    Non finora, perché il mercato ha funzionato. Quello che sta succedendo è che molti stanno chiudendo. Hanno cominciato a chiudere per paura. Vogliono scappare. In molti quindi hanno già chiuso i negozi e sono andati via. E questo è ciò che provoca la scarsità del cibo e dei beni che erano disponibili.

    D. - Abbiamo appena sentito che l’Uganda si è offerta come mediatrice in questo conflitto. Pensa che questo possa dare un barlume di speranza?

    R. - I think all the...
    Penso che tutte le possibilità di mediazione siano buone. Se l’Uganda potesse essere d’aiuto, penso sarebbe una benedizione. Non ne abbiamo sentito parlare, forse si tratta di una notizia fresca. Noi sapevamo che i vescovi di diverse denominazioni cristiane si erano offerti come mediatori tra i due gruppi adesso in conflitto.

    D. - Le persone presenti lì e la Chiesa stanno cercando di mediare, perché hanno paura che i combattimenti potrebbero avvenire tra le varie etnie, tra i Dinka e i Nuer...

    R. - I think what is going on…
    Penso che quello che sta succedendo sia proprio questo. Non si sta affrontando la questione. Quello che è uscito da questo messaggio, inviato dai vescovi delle diverse denominazioni cristiane, è stato proprio questo: che se affrontiamo la questione solo come conflitto tribale, sarà un disastro, com’è sempre stato. Le tribù sono sempre state la causa delle divisioni tra i diversi gruppi in Sud Sudan.

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    L’Ecofin trova l’accordo sul meccanismo unico di risoluzione delle banche

    ◊   L'Ecofin ha raggiunto l’accordo sul meccanismo unico di risoluzione delle banche. Se il vertice Ue di oggi e domani lo approva, si compie il secondo significativo passo verso l’Unione bancaria. Il commissario europeo al mercato interno, Michel Barnier, ha detto: "Finisce l'era dei salvataggi bancari massicci e dei conti pagati dai cittadini". Fausta Speranza ha intervistato l'economista, Paolo Guerrieri:

    R. – I principi sono giusti, anche la direzione di marcia, ma in realtà ci sono ancora carenze molto forti sia per quanto riguarda le risorse che sono state stanziate e che sarebbero disponibili e sia con i meccanismi di decisione che restano troppo frammentati e farraginosi. Quindi, l’accordo in realtà o verrà modificato significativamente dai capi di governo e di Stato, oppure così come si presenta non si può dichiarare soddisfacente.

    D. – L’obiettivo dovrebbe essere quello di non far pagare ai contribuenti i danni, diciamo così, fatti dalle banche…

    R. – Sì. L’obiettivo dovrebbe essere quello. Si deve evitare che la crisi di una banca o di più banche alla fine porti a chiamare i cittadini – attraverso la crisi del debito pubblico, attraverso l‘aumento delle imposte o l’aumento dei tassi di interesse – a risanare i conti. Questo obiettivo è assolutamente da sottoscrivere, perché poi l’origine della crisi è stata proprio questo legame perverso tra crisi delle banche e crisi dei debiti pubblici. Ma il punto è che, con il tipo di Unione bancaria che è stata decisa, in realtà non è sicuro che si possa evitarlo: diventa un legame indebolito, ma che potrebbe tornare a funzionare. In definitiva, sono poche le risorse stanziate: servono mezzi più adeguati e i meccanismi attuali sono troppo ancora in mano ai governi e poco a un sistema Europa che possa decidere come un attore unitario. Quindi, su questi due fronti – risorse e meccanismi decisionali – bisogna fare ancora dei passi sostanziali in avanti.

    D. – Ma quali sarebbero gli altri punti dell’Unione bancaria, gli altri obiettivi?

    R. – L’Unione bancaria si deve avvalere di un meccanismo di sorveglianza unico, e questo c’è: è la Banca centrale europea. Poi, si deve avvalere del meccanismo che permetta, se una banca è in crisi, di intervenire – magari di chiuderla oppure di ristrutturarla – con una decisione che sia a livello europeo. E poi, ci deve essere una garanzia che possa funzionare per i depositanti sotto i 100 mila euro e che sia una garanzia europea e non più nazionale. Su questo terzo fronte, passi avanti verranno compiuti. Quello che manca, o quello che è ancora inadeguato, è questo secondo meccanismo per risolvere una crisi di una banca o di più banche. E’ il più delicato, perché prevede per forza dei trasferimenti tra Paesi. Questa è proprio la ragione per cui ancora certe decisioni non sono state prese: ci si fida poco gli uni degli altri. Quindi, si continua in qualche modo a insistere sul fatto che gli interventi debbano essere nazionali, finanziati a livello nazionale. Naturalmente, è importante che si sia individuato in prospettiva – di qui a molti anni – un approdo finale. Però, la transizione è importantissima, altrimenti dalla crisi si farà una fatica tremenda ad uscire, se questa transizione non verrà gestita in maniera adeguata. Ecco perché noi come Italia dobbiamo tornare a chiedere e continuare a chiedere – in particolare quando fra sei mesi ci toccherà la presidenza dell’Unione Europea – che certe decisioni vengano prese e si vari un qualcosa di più coraggioso.

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    Mons. Twal: no ad un Medio Oriente senza cristiani. Attesa per la visita del Papa

    ◊   "Il Natale spinge gli occhi del mondo a guardare verso Betlemme. È da qui che il mistero del Natale s'innalza leggero e raggiunge i quattro angoli della Terra". Sono queste le prime parole del messaggio di Natale che il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, ha trasmesso ieri ai fedeli come ogni anno. Il servizio di Annalisa Consolo del "Franciscan Media Center":

    Mons. Twal si è soffermato in particolare sulla difficile situazione in Siria e a Gaza: "Un immediato cessate il fuoco deve essere stabilito" ha detto, condannando ogni forma di fondamentalismo religioso e appellandosi a tutti i "leaders politici perché si assumano la responsabilità di trovare una soluzione che fermi l'insensata violenza". Il patriarca non ha mancato anche di menzionare il tanto atteso accordo tra la Santa Sede e Israele in merito all'esenzione fiscale per le Chiese, auspicandone la rapida risoluzione. Nel ricordare le vittime del tifone nelle Filippine e la massiccia presenza di questa comunità alla Messa per la chiusura dell'Anno della Fede a Nazareth, il Patriarca ha citato le parole che Papa Francesco ha pronunciato nel corso dell'incontro con i vescovi delle Chiese Orientali, tenutosi a Roma il 21 novembre scorso. È comune infatti la preoccupazione a mantenere viva la presenza di cristiani in Terra Santa, non rassegnandosi ad un Medio Oriente privo di questa spiritualità. Un veloce sguardo anche all'agenda del prossimo anno, il cui momento più importante è sicuramente la visita proprio di Papa Francesco, prevista intorno a Maggio 2014. "Elevo la mia preghiera a Dio - ha detto Mons. Twal concludendo il proprio messaggio - perché Cristiani, Ebrei e Musulmani possano, nella loro comune eredità spirituale, trovare valori condivisi. Possa il Bambino Gesù portare la pace a tutte le persone”.

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    Betlemme: si accendono le luci di Natale e quelle della speranza, grazie anche ai Salesiani

    ◊   A Betlemme, i preparativi per il Natale sono iniziati già da diversi giorni, in anticipo rispetto agli altri anni. Questo per dare una speranza in più alla comunità palestinese, cristiani e anche musulmani, che ormai vive strozzata dal muro innalzato dagli israeliani per questioni di sicurezza, una chiusura che ricade soprattutto sui giovani. A occuparsi dei ragazzi di Betlemme, da sempre ci sono i Salesiani che con la scuola tecnica, il centro professionale artistico e l'oratorio sostengono la gioventù palestinese, senza distinzione di religione. Francesca Sabatinelli ha intervistato don Mario Murru, originario della Sardegna, dal 1990 in Terra Santa e oggi direttore della comunità salesiana di Betlemme:

    D. - Quest’anno le luci che hanno preparato per alcune delle principali strade di Betlemme, più le luci dell’albero di Natale nella piazza della Natività, sono state accese molto tempo prima degli altri anni. Hanno voluto in questo modo far capire alla popolazione che il Natale sta aumentando la forza di dare più pace, di dare più speranza, di dare più gioia, perché la gente ha bisogno di questo e non deve continuare a vivere sempre nell’incertezza oppure nell’odio. Anche le autorità, quindi, in questo modo, hanno cercato di aiutare la gente a partecipare il più possibile alle festività del Natale. Le autorità pensano un po’ a tutti: cristiani e musulmani, che sono presenti in questa città. E’ un fatto che il Natale sia atteso da tutti, soprattutto i cristiani, ed è atteso perché si attende quello che è il vero dono: il dono della pace, della gioia, della fraternità di cui hanno veramente bisogno. Hanno bisogno di sentirsi sorretti da tutti i pellegrini cristiani che arrivano a Betlemme, e stanno arrivando a centinaia, in questi giorni. Credo che sia un buon auspicio quello di aver voluto iniziare ad accendere queste luci e questo albero di Natale, proprio perché soprattutto gli abitanti di Betlemme possano essere riempiti da una maggiore pace, che la gente di questa città, soprattutto, sta aspettando e che vuole vivere in pienezza.

    D. – L’oratorio è importantissimo per questi ragazzi. La scuola lo è sicuramente per preparare il loro futuro e l’oratorio per cercare di dar loro anche una risposta nell’immediato. Un luogo di raduno, di riunione, di comunione. Altrimenti, questi ragazzi oggi che realtà vivrebbero?

    R. – Altrimenti, non saprebbero dove andare, dove radunarsi, che attività fare e starebbero per le strade. L’oratorio è il centro per far sì che questi giovani possano trovare giochi, divertimento, ma anche modi di incontrarsi attraverso l’associazionismo o attraverso le attività degli scout. Non è facile, anche perché non erano abituati a radunarsi. Certo, questi ragazzi, fuori Betlemme e anche a Betlemme, non è che trovino altri svaghi o possano andare a Gerusalemme, perché è tutto chiuso e neanche in altre città, come magari qualcuno può pensare. L’oratorio, quindi, è sempre un centro di attrazione, di aggregazione. I ragazzi starebbero sempre qui.

    D. – Voi avete contatti anche con le famiglie?

    R. – Le famiglie sono in difficoltà. Non è facile la vita qui a Betlemme e nei dintorni di Betlemme. In preparazione al Natale si stanno portando avanti alcune attività per cercare di aiutare la gente a vivere un po’ più nella tranquillità, nella speranza. Certo, la gente sta ancora soffrendo. Stiamo cercando di portare avanti la nostra parte, che è quella dell’educazione, il meglio che possiamo. Le famiglie dei giovani musulmani mandano i loro figli alla nostra scuola, proprio perché ricevono un’educazione che da’ loro la possibilità poi di inserirsi nel mondo del lavoro e una preparazione alla vita.

    D. – Sarà molto difficile anche per voi ritrovarsi all’interno di equilibri così precari ed esserne anche parte attiva...

    R. – Una grossa difficoltà è certamente quella economica, anche perché la nostra scuola accetta ragazzi e giovani che sono di un livello socioeconomico medio basso e una buona percentuale di quelli che sono veramente poveri. La situazione economica è grave per la scuola. Inoltre, tutto quello che succede in Palestina, soprattutto nel Governatorato di Betlemme e di Hebron, intendo la situazione politica, si ripercuote fortemente anche sulla scuola. Io sono più ottimista di qualcun altro e spero che arrivino alla pace, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Ci sono troppe ingiustizie che devono essere risolte, perché si possa arrivare veramente alla pace, alla giustizia e alla tranquillità.

    Luigi Bisceglie è rappresentante del Vis in Palestina, organizzazione non governativa che sostiene la Congregazione salesiana nelle sue attività educative. Da due anni, Bisceglie vive a Betlemme, dove Francesca Sabatinelli lo ha incontrato:

    R. - È molto difficile trovare lavoro, però è altrettanto vero che i ragazzi che fanno il corso di meccanica, e che sono specializzati anche nella riparazione delle macchine più nuove, riparazioni complicate, trovano tutti lavoro, perché questo era, per esempio, un tipo di lavoro che in Cisgiordania mancava. Inoltre, le aziende richiedono gli elettricisti che sono ben formati, mentre i ragazzi che fanno i corsi artistici aprono micro-imprese e riescono in qualche modo a produrre oggetti e a immetterli sul mercato. Anche grazie alla scuola e al centro artistico riescono ad esportare i loro prodotti, per esempio nelle parrocchie italiane.

    D. – Questi ragazzi sono giovani di Betlemme o vengono anche da fuori?

    R. – Sono soprattutto del distretto di Betlemme e del distretto di Hebron, ma questo anche per questioni di mobilità: è difficile raggiungere Betlemme da Ramallah, o da città che sono più a nord perché spesso ci sono “checkpoint volanti”, o perché spesso è difficile trovare un trasporto. Però, molti studenti vengono da tutto il bacino di Betlemme, da villaggi limitrofi, da Hebron dove c’è un distretto industriale e alcuni ragazzi, per esempio, trovano lavoro proprio lì. La cosa interessante, soprattutto per quanto riguarda il centro artistico, è che sin dall’inizio ha accolto anche studenti non più giovanissimi, ad esempio prigionieri politici, che sono stati incarcerati per diversi anni, che però avevano voglia di tornare ad una vita normale. Quindi, imparare un nuovo lavoro ha permesso loro di tornare alla normalità. È fondamentale per la Congregazione salesiana continuare ad avere il sostegno e il supporto di donatori e partner, che in questo modo permettono loro di andare avanti con questa importante attività educativa. Però, si fa sempre più fatica a fare raccolta fondi.

    D. – I Salesiani hanno aperto ai cristiani e ai musulmani, e oggi, per ragioni di esodo, sempre più ai musulmani…

    R. – Sì, è vero questo è un dato interessante: il 70% degli studenti è musulmano, i ragazzi però convivono perfettamente con i loro colleghi cristiani. Anzi, molto spesso i ragazzi musulmani sono contenti di frequentare le scuole cristiane, non solo la nostra, perché sanno che sono di ottima qualità. Anche i genitori sono contenti di mandare i loro figli nelle scuole cristiane.

    D. – Betlemme soffre una gravissima crisi lavorativa, c’è un tasso altissimo di disoccupazione e difficoltà crescenti dovute anche alla politica di chiusura che la città sta vivendo. Tu che sei qui da due anni cosa hai visto?

    R. – Sicuramente, dal 2010 ad oggi la situazione è migliorata un po’. Tutti ci ricordiamo cosa è successo durante la Seconda intifada, quindi sicuramente per la Cisgiordania e Betlemme gli anni più bui sono stati quelli. Dal 2010, quantomeno, si è tornati a potersi muovere liberamente all’interno del distretto di Betlemme, come del resto è stato possibile per i turisti e i pellegrini tornare qui. Questo ha cambiato le cose in positivo, perché la città si è riaperta al mondo, l’accoglienza per Betlemme rimane comunque la cosa più importante. Però, il fatto che a livello materiale la vita sia migliorata non significa che le condizioni di vita in generale siano migliorate perché la mobilità è un problema reale. Il fatto che ci sia un muro fa sì che, soprattutto i giovani, facciano fatica a spostarsi e a trovare opportunità di lavoro, per esempio in Israele, cosa che qualche anno fa accadeva. Ecco quindi che studenti molto preparati, che magari oltre a laurearsi riescono anche a ottenere un master qui, poi però sono disoccupati, alcuni di loro decidono di espatriare per qualche anno e di solito fanno fortuna. I palestinesi nel mondo sono apprezzati e riescono sempre a integrarsi, però tutti hanno un legame fortissimo con la terra e vogliono tornare, ma le prospettive sono tutt’altro che rosee. Sullo sfondo rimane il conflitto che è vero che ormai non fa più notizia – viste tutte le cose che stanno succedendo in Medio Oriente – però è altrettanto vero che non c’è ancora una soluzione a portata di mano. Questo poi si ripercuote sulla vita delle persone.

    D. – Quindi, si ripercuote anche sullo stato d’animo…

    R. – In realtà, c’è un po’ di frustrazione legata al fatto che non si sa bene quale sarà il futuro: non puoi fare programmi a lungo termine. Quindi, credo che la frustrazione nasca da questo, soprattutto per i giovani che sono nati con un conflitto che era già in corso e che quindi non hanno mai visto un’altra situazione.

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    Annuario statistico dell'Istat 2013: l'Italia uno dei Paesi più vecchi al mondo

    ◊   L’Italia è uno tra i Paesi più vecchi al mondo. Lo afferma l’Annuario statistico 2013 dell’Istat reso noto oggi. I dati spaziano da quelli sulla maternità, che è sempre più posticipata con un numero medio di figli per donna di 1,39, a quelli sull’occupazione, il lavoro, la presenza degli stranieri. Il servizio di Debora Donnini:

    Un Paese con sempre meno bambini, con 148,6 anziani ogni 100 giovani tanto che, in Europa, l’Italia è al secondo posto dopo la Germania per indice di vecchiaia. "L'elevata sopravvivenza, unita al calo della fecondità, rende l'Italia uno dei Paesi più vecchi al mondo", spiega l'Istat nell’Annuario statistico 2013. La speranza di vita è di 79,4 anni per gli uomini e 84,4 anni per le donne. Dalla fotografia scattata dall’Istat emerge che le donne italiane diventano mamme sempre più tardi: in media a 31,4 anni si ha il primo figlio. Per bassa fecondità nell’Unione Europea a 15 Paesi, l’Italia si colloca al quinto posto. Per quanto riguarda poi i matrimoni, ogni 1000 nuovi, 500 ne falliscono: 182 finiscono con un divorzio e 312 con la separazione mentre sui minori si ricorre 9 volte su 10 all’affido condiviso. In generale il numero dei matrimoni aumenta nel 2012 rispetto all’anno precedente con 210.082 contro 204.830. Per il 58,8% i matrimoni vengono celebrati in Chiesa anche se nel 2012 ne sono stati celebrati 123.428, oltre mille in meno rispetto all’anno precedente. Altro tema forte dell’Annuario statistico 2013 è l’occupazione. L’Istat fa sapere che durante la crisi, fra il 2008 e il 2012, i disoccupati sono aumentati di oltre un milione. E meno lavoro c’è per i giovani mentre cresce il numero degli occupati ultracinquantenni e – si evidenzia – per effetto della riforma Fornero che ha spostato in avanti l’uscita dal mercato del lavoro. Altro dato che colpisce sono le oltre 73mila famiglie che vivono in baracche, roulotte e tende: 10 anni fa erano meno di un terzo della cifra attuale. Si registra poi un aumento della usura, delle truffe e frodi informatiche. Crescono i reati di tipo mafioso con un + 28,3%. Sul fronte dello stile di vita emerge che si va meno a teatro, cinema, concerti e aumenta invece la presenza di Internet nelle case delle famiglie: ad averlo il 60,7%. Cresce anche l’accesso ai social network. Nelle università ci sono meno immatricolati ma più persone che arrivano alla laurea. Triplicato, poi, in 10 anni il numero degli stranieri in Italia. Da segnalare infine che la popolazione residente in Italia cresce grazie all'immigrazione. Alla fine del 2012 si contano oltre 59 milioni e 685 mila abitanti, 291.020 in più rispetto all'anno precedente. Questo incremento si deve all'aumento degli immigrati, che neutralizza l'effetto negativo del saldo naturale.

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    Carceri. Rapporto Antigone: Italia "maglia nera" in Ue per sovraffollamento e suicidi

    ◊   L’Italia è "maglia nera" nel Vecchio continente per molti aspetti legati al tema carceri. Lo denuncia il Rapporto sulle condizioni di detenzione “L'Europa ci guarda”, redatto da "Antigone". Tra le richieste dell’Associazione: l’apertura delle celle per almeno 12 ore al giorno, l’introduzione di Internet in carcere, la facilitazione dei contatti con le persone care e la concessione del voto ai detenuti. Paolo Ondarza:

    Ultima in Europa per numero di detenuti, sovraffolamento, suicidi in carcere. L’Italia non fa una bella figura nel Rapporto di Antigone secondo il quale la capienza regolamentare degli istituti pari a 47.649 posti è sovrastimata: il numero effettivo si aggirerebbe intorno ai 37 mila. Stesso discorso per il sovraffollamento: ufficialmente ci sarebbero 134 persone per 100 posti letto, ma per Antigone in base all’effettiva capienza questa percentuale schizza al 173%. Troppo scarso il ricorso alle misure alternative. Le persone in custodia cautelare, quindi in attesa di giudizio, sono il 37,4% della popolazione carceraria, un numero senza confronti in Europa. Il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella:

    R. - Se pensiamo che una percentuale di detenuti in custodia cautelare sarà poi giudicata innocente, ci troviamo di fronte al fatto di far fare un'esperienza drammatica a persone che ne saranno segnate per tutta la vita.

    D. – Sta nella riforma della giustizia il motivo di tante anomalie in Italia rispetto al resto dell’Europa?

    R. – Sì, dobbiamo porre rimedio a questo. Non è possibile che noi incarceriamo un numero doppio di detenuti per motivi legati alla questione difficile, dura da esaminare, che è quella delle tossicodipendenze.

    D. – Per quanto riguarda quello che il governo sta facendo, qual è la vostra idea?

    R. – Io penso che questo governo, al di là di tutto, abbia presso a cuore il tema e questo per noi è importante. Ci sono provvedimenti che sono nella giusta direzione, tendenti a ridurre il numero generale della popolazione detenuta, intervenendo ovviamente laddove non ci siano rischi per la sicurezza collettiva. C’è stato il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica, c’è stato il grande segnale simbolico di Papa Francesco che – ricordo – andò a Casal del Marmo, dai bimbi, dai ragazzi che sono lì, reclusi, nella Pasqua del 2013. Tutto questo è importante, perché la prima cosa che deve accadere è che funzioni il lavoro culturale.

    D. – La cronaca delle ultime ore ci riporta il caso della fuga di un serial killer a Genova che aveva ottenuto un permesso premio: può contribuire alla riflessione sul tema carceri?

    R. – Un caso di questo genere deve essere valutato per quello che è, i media devono dare le informazioni: rispetto alla totalità dei detenuti che hanno ricevuto permessi premi, lo 0.2% è evaso. Quindi, una media bassissima… Lui si è giocato male questa chance. Ma, detto questo, fra nove mesi sarebbe comunque uscito.

    Anomalia positiva – evidenzia il Rapporto - riguarda il volontariato svolto nel 2012 da oltre 12 mila persone. Troppo pochi, invece, i mediatori culturali e gli agenti della Polizia penitenziaria. Antigone si rivolge al governo con dieci richieste. Tra queste, aprire le celle per almeno 12 ore al giorno, introdurre il web dietro le sbarre, un medico di fiducia per i detenuti, facilitare i contatti con le persone care e l’incontro in intimità con i partner, incoraggiare studio e lavoro, concedere il voto ai detenuti e dar vita ad un ordinamento penitenziario specifico per le carceri minorili. Varie le storie di dignità violata raccontate nel Rapporto. Ancora Gonnella:

    R. - Un detenuto stava male, ma non era creduto, fino a quando non è entrato in coma irreversibile. Lo hanno restituito ai genitori ed ora i genitori hanno un figlio a casa che non si sveglierà più: è uscito dal carcere in questo stato... Nessuno ha creduto, durante la detenzione, che stesse male.

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    Guida di Sant'Egidio per i senza fissa dimora a Roma. Più italiani chiedono un pasto caldo ai Centri d'accoglienza

    ◊   E’ stata presenta questa mattina la guida “Roma, dove mangiare, dormire, lavarsi”, pubblicata dalla Comunità di Sant’Egidio. Un vademecum della solidarietà, che sarà messo a disposizione delle oltre 7.800 persone senza dimora della Capitale, dove aumenta il numero degli italiani in difficoltà che ricorrono sempre più spesso a mense e Centri di ascolto. Il servizio di Elvira Ragosta:

    227 pagine zeppe di indirizzi, circa 500, divisi in 14 sezioni. La guida della Comunità di Sant’Egidio suoi luoghi dove mangiare, dormire e lavarsi a Roma raccoglie tutti i Centri di accoglienza per persone disagiate e senza fissa dimora, compresi punti di ascolto per chi ha perso il lavoro, per gli alcolisti e i tossicodipendenti. Si tratta della 24.ma edizione, redatta secondo le esigenze e le necessità riscontrate dai volontari delle 35 associazioni, tra cui dodici gruppi parrocchiali, che operano sul territorio romano e che negli ultimi anni hanno raggiunto anche i Comuni limitrofi. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:

    R. – Dobbiamo registrare un grosso aumento del numero dei volontari e non parlo solo di persone singole, ma anche di associazioni, di parrocchie: quest’anno il 20% in più di persone si impegnano a favore delle persone più in difficoltà, abbiamo calcolato che sono circa 8mila le persone senza dimora fissa a Roma, cui vanno aggiunti 6-7 mila rom. Registriamo una diminuzione di immigrati che accedono a questi servizi e un aumento di italiani, perché – come possiamo immaginare – la crisi economica sta toccando sempre più profondamente la vita di molte famiglia.

    D. – Il lavoro dei volontari non basta: c’è bisogno di fondi maggiori e con questo nuovo sistema di finanziamento europeo – in aggiunta a quello italiano, che ha ridotto i fondi – ci sono dei problemi?

    R. – Ci sono dei grossi problemi dal punto di vista alimentare: il budget dell’Unione Europea per gli aiuti alimentari è drasticamente diminuito. Noi ringraziamo il governo italiano che ha aggiunto alcuni milioni su questo fondo per la distribuzione degli alimenti, ma non basta! Approfitto per lanciare un appello ai nostri parlamentari che stanno discutendo la Legge di Stabilità e allo stesso governo affinché si possa toccare di nuovo il sostegno alimentare che è stato dato negli anni precedenti. Altrimenti veramente molte famiglie non ce la faranno!

    Il presidente ha ricordato anche le iniziative previste per le festività natalizie: la cena itinerante, il 24 dicembre, presso le stazioni e nei luoghi abituali di ritrovo per i senza fissa dimora; i pranzi di Natale del 25 nei diversi quartieri della città; e le iniziative nelle carceri del 26 dicembre.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Patriarca di Mosca Kirill: grandi speranze per il pontificato di Francesco

    ◊   Una conferma delle "grandi aspettative" riposte nel nuovo Papa e di una "comunanza di vedute" tra Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica è stata espressa dal patriarca di Mosca, Kirill, durante il suo colloquio avvenuto ieri con il presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani, il card. Kurt Koch. Il porporato - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha concluso così la sua visita in Russia, dove era arrivato il 14 dicembre e dove ha avuto incontri non solo con la comunità locale, ma anche con rappresentanti del ministero degli Esteri russo. "Molto di quello che oggi Papa Francesco propone alla Chiesa, al mondo, alla società, è in linea con la nostra visione", ha detto Kirill ricevendo il card. Koch nella sua residenza al monastero Danilovsky. A detta del primate ortodosso, nell'attuale momento storico è molto importante il dialogo tra le due Chiese sorelle, le quali hanno posizioni comuni su molte questioni: dalla pace in Medio Oriente, alla difesa dei cristiani perseguitati, fino alla conservazione dei valori tradizionali come quello della famiglia e della vita. "Abbiamo sempre più spesso l'opportunità di incontrare i prelati cattolici, compresi i membri del collegio cardinalizio", ha aggiunto il patriarca, apprezzando la possibilità di "comunicare direttamente". Si tratta di un periodo di vivaci contatti tra Patriarcato e Santa Sede. A novembre infatti, altri tre alti rappresentanti vaticani sono arrivati a Mosca: il card. Paul Poupard, il card. Angelo Scola, e mons. Vincenzo Paglia. Lo stesso card. Koch ha descritto l'attuale rapporto tra le due Chiese come "meraviglioso". Parlando dell'azione congiunta degli ortodossi e cattolici nella tutela della concezione del matrimonio, il cardinale ha osservato che "l'istituto della famiglia è ora in una crisi molto profonda" e ha fatto appello a una battaglia comune soprattutto contro l'aborto. Nella sua visita a Mosca, il card. Koch ha incontrato anche il viceministro degli Esteri, Alexei Meshkov, col quale ha discusso di "cooperazione" tra Federazione russa e Santa Sede. Cooperazione lanciata a settembre dalla lettera del Papa al presidente Vladimir Putin per evitare il paventato intervento militare Nato in Siria. (R.P.)

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    Centrafrica: più alto il bilancio delle violenze. Amnesty parla di "crimini di guerra"

    ◊   Hanno causato almeno 1.000 morti gli scontri interreligiosi a Bangui scoppiati il 5 dicembre e le violenze “continuano”: è la denuncia di Amnesty International che accusa le due parti coinvolte – l’ex ribellione Seleka e le milizie di autodifesa anti-Balaka – di “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Secondo gli ultimi bilanci diffusi nei giorni scorsi le vittime confermate sono 600. Per l’organizzazione di difesa dei diritti umani, la maggior parte delle vittime è stata causata dagli uomini della Seleka che, dopo l’offensiva delle milizie anti-Balaka (a maggioranza cristiana) infiltrate in alcuni quartieri della capitale, si sono “vendicati in modo sistematico, uccidendo circa mille persone in due giorni, tra cui donne e bambini, e saccheggiando le case dei civili”. Anche i miliziani anti-Balaka organizzati in gruppi di autodifesa, non sono stati da meno, “uccidendo almeno 60 uomini musulmani in rastrellamenti effettuati casa per casa”. I quartieri più colpiti sono stati quelli di Pk5, Miskine e Combattant. Amnesty International e Human Rights Watch hanno lanciato l’allarme per il protrarsi delle violenze “nonostante la presenza di soldati francesi (in 1600, ndr)” nell’ambito dell’operazione Sangaris. Secondo le due organizzazioni le “atrocità settarie si stanno intensificando”, con civili uccisi quotidianamente – almeno in 90 dall’8 dicembre – e “gravi violazioni dei diritti umani vengono tutt’ora commesse a Bangui e nel nord del Paese”. Negli ultimi giorni tutta l’attenzione dei media si focalizza sulla capitale, che deve anche fare i conti con una grave emergenza umanitaria: gli sfollati sono 210.000, circa un quarto di tutta la popolazione residente a Bangui. Nel Paese in tutto si registrano almeno 614.000 sfollati. “Non ci sarà alcuna prospettiva di conclusione della spirale di violenza fin quando tutte le milizie non saranno disarmate e fin quando non sarà garantita una protezione effettiva e adeguata a migliaia di civili a rischio nel Paese” ha dichiarato Christian Mukosa, l’esperto di Centrafrica di Amnesty International, sottolineando le responsabilità della comunità internazionale chiamata a “sostenere con ogni mezzo il dispiegamento di truppe di peacekeepers per evitare che la scia di sangue si allunghi”. Sul fronte politico, sembra per ora scongiurato il rischio di una crisi istituzionale provocata dalla recente decisione del presidente Michel Djotodia di destituire tre ministri senza l’avallo del primo ministro Nicolas Tiangaye. Con la mediazione della comunità dell’Africa centrale, al termine di una “riunione di riconciliazione”, i due responsabili della transizione, pur rimanendo fermi sulle proprie posizioni, hanno annunciato un rimpasto di governo parziale “entro la fine del mese” per tenere conto dei complessi equilibri politici nazionali. Intanto la crisi centrafricana è al centro del vertice europeo che si apre oggi a Bruxelles, dove la Francia cercherà di coinvolgere gli Stati membri con l’invio di truppe a sostegno dei soldati di Sangaris. Per ora Spagna, Belgio, Polonia e Gran Bretagna hanno confermato un supporto soltanto logistico. (R.P.)

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    Centrafrica. Il vescovo di Bossangoano: "non c'è scontro religioso ma una lotta fratricida"

    ◊   La religione viene strumentalizzata a fini politici, denuncia mons. Nestor Désiré Nongo-Aziagba, vescovo di Bossangoa, la città nell’ovest della Repubblica Centrafricana, dove nonostante la presenza delle truppe francesi, continuano i saccheggi, gli incendi di abitazioni e le violenze contro i civili. “Due gruppi armati si affrontano” dice il vescovo. “Da una parte, i Seleka e dall’altra, gli anti Balaka. Anche se la caratteristica dei questi movimenti può far pensare ad un conflitto religioso tra musulmani e cristiani, è prima di tutto una lotta fratricida tra centrafricani, sullo sfondo della disintegrazione dello Stato”. Mons. Nongo-Aziagba insiste “sul ristabilimento delle autorità dello Stato sull’insieme del territorio” e sulla fine dell’impunità per far uscire il Centrafrica dalla più grave crisi della sua storia. “Solo imponendo una giustizia equa si potrà uscire dal sentimento di impunità che spinge la gente a voler farsi giustizia con le proprie mani” ha concluso il vescovo. Occorre infine ricordare la competizione per il controllo delle ricchezze naturali del Centrafrica, come diamanti ed uranio, da parte di attori esterni che alimentano il conflitto in corso, appoggiando le diverse fazioni in lotta. (R.P.)

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    Dalla Siria alla Somalia i rischi per i giornalisti

    ◊   Sono Siria, Somalia e Pakistan i Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti: lo sostiene l’organizzazione non governativa Reporters sans frontières (Rsf), in un rapporto nel quale si evidenzia come anche il 2013 sia stato un anno difficile per l’esercizio della professione. Secondo Rsf, rispetto al 2012 quest’anno il numero dei cronisti uccisi è diminuito di circa il 20%, passando da 88 a 71. Nella classifica dei Paesi più a rischio - riferisce l'agenzia Misna - India e Filippine hanno preso il posto di Messico e Brasile dietro Siria, Somalia e Pakistan. A suscitare allarme, d’altra parte, è anche un forte aumento del numero dei rapimenti. In un anno si è passati da 38 a 87 casi. Gran parte dei sequestri è avvenuta in Medio Oriente e in Nord Africa (71) o nell’area sub-sahariana (11). I Paesi più a rischio da questo punto di vista sono Siria (49) e Libia (14). Nel rapporto si ricorda come ad oggi i giornalisti in carcere siano 178. Molti di loro sono detenuti in Cina, Eritrea, Turchia, Iran e Siria. (R.P.)

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    Cina: la morte di mons. Paolo Liu Jinghe per anni nei campi di lavoro

    ◊   L'11 dicembre scorso si è spento a Tangshan (diocesi di Yongping, nella provincia cinese di Hebei), mons. Paolo Liu Jinghe, a pochi giorni dal suo 93° compleanno. L'anziano presule, che era infermo da più di un anno, è morto a causa di un attacco cardiaco. Le esequie si sono svolte martedì scorso nella cattedrale di Yongping (Tangshan), presiedute dal vescovo diocesano, mons. Pietro Fang Jianping. La sepoltura non ha ancora avuto luogo. Mons. Liu era nato il 26 dicembre 1920 a Huanghuagang, nella diocesi di Yongping, da una famiglia cattolica molto devota. Entrato nel seminario minore di Yongping nel 1931, nel 1939 aveva iniziato gli studi filosofici e teologici presso il seminario maggiore Wensheng dell'arcidiocesi di Pechino. Venne ordinato sacerdote il 4 maggio 1945 dall'arcivescovo di Pechino, mons. Paul Leon Cornelius Montaigne; poi tornò nella sua diocesi per esercitare il ministero pastorale a Lulong, a Tangshan e in altri luoghi. Dal 1940 al 1960 fu imprigionato tre volte. Dal 1970 al 1979 venne mandato in un campo di rieducazione tramite il lavoro forzato, prima presso una fabbrica tessile, poi in un'industria chimica, infine in una cava di pietra. Subito dopo essere stato liberato, riprese l'attività pastorale. Fu consacrato vescovo il 21 dicembre 1981 senza mandato pontificio. Inviò diverse richieste di perdono al Santo Padre con la relativa domanda di legittimazione, che gli fu concessa l'8 maggio 2008 da Benedetto XVI, ristabilendo la sua piena comunione con il Successore di Pietro. Mons.Liu Jinghe si è ritirato dal ministero pastorale nel 2010 a causa della salute precaria. Negli ultimi anni di vita, ha rifiutato categoricamente di prendere parte ad ordinazioni episcopali illegittime, dando un segnale di comunione e di obbedienza alla Sede Apostolica. (R.P.)

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    Taizè: a Strasburgo 30mila giovani europei, "una grande comunità di amicizia"

    ◊   20.000 giovani di tutta l’Europa e anche di altri continenti arriveranno a Strasburgo per la 36ª tappa del “pellegrinaggio di fiducia” animato dalla comunità di Taizé dal 28 dicembre al 1° gennaio. Fra di loro ci saranno più di 4.500 polacchi, 2.600 ucraini, 1.400 italiani, 1.200 croati, 1.000 bielorussi. Insieme ai giovani dell’Alsazia e della regione tedesca dell’Ortenao, saranno in tutto 30.000. “Cercare la comunione visibile di tutti coloro che amano Cristo”: è questo il tema del messaggio che frère Alois, priore di Taizé, rivolgerà ai giovani indicando loro “quattro proposte per il 2014”. “Coloro che amano Cristo, in tutto il mondo - scrive fr. Alois - formano una grande comunità di amicizia. Hanno un contributo da offrire per guarire le ferite dell’umanità: senza volersi imporre, possono favorire una mondializzazione della solidarietà che non escluda nessun popolo, nessuna persona”. Ogni mattina - si legge in un comunicato diffuso oggi - i giovani si riuniranno in più di duecento parrocchie di accoglienza, divise tra Francia e Germania, per un momento di preghiera e condivisione. Nei pomeriggi del 29 e del 30 dicembre, il programma propone incontri su una ventina di temi: dalla “crisi, disoccupazione, precarietà” alla “Giustizia e Diritti dell’Uomo” al dialogo ecumenico. Poi a mezzogiorno ed alla sera le preghiere comuni avranno luogo contemporaneamente in tre saloni a Wacken (Fiera di Strasburgo), alla cattedrale ed alla chiesa protestante San Paolo. (R.P.)

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    Libano: è rivolto ai giovani del Medio Oriente il primo “Tweet” del patriarca Rai

    ◊   Il patriarca di Antiochia dei Maroniti Bechara Boutros Rai ha inviato ieri sera il suo primo tweet dall'account @bkerkejeune, strumento del dipartimento per la pastorale giovanile del patriarcato, già seguito da centinaia di giovani cristiani libanesi. “Cari giovani” si legge nel messaggio del patriarca “io vedo in voi la speranza e il futuro della Chiesa, e noi vi consideriamo come la forza rigeneratrice delle comunità nelle quali vivete”. Il “lancio” è avvenuto nel corso di un incontro serale presso la sede patriarcale di Bkerkè, al quale hanno partecipato anche alcuni giovani maroniti. “I nostri giovani hanno bisogno di essere in contatto con noi, così come noi abbiamo tremendo bisogno di comunicare con loro” ha detto in tale occasione il patriarca, rivolgendosi idealmente “a quelli che in Libano temono per il proprio futuro, alla gioventù del Medio Oriente, che vive le tragedie della guerra e della migrazione, ai giovani sparsi intorno al mondo in cerca di realizzazione”. L'account @bkerkejeune - riferisce l'agenzia Fides - ha al momento quasi 1300 followers. (R.P.)

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    Uomo si dà fuoco in Piazza S. Pietro. Soccorso da poliziotti e da un gesuita, è gravemente ustionato

    ◊   Questa mattina, alle 8.30, un uomo di 51 anni si è dato fuoco cospargendosi di liquido infiammabile che portava in una bottiglietta, in Piazza San Pietro, alla destra del Colonnato, angolo con piazza Pio XII. Il primo a soccorrerlo è stata una pattuglia dell'Ispettorato di Pubblica sicurezza che passava in quel momento. Anche un sacerdote gesuita che si recava al lavoro in Curia è intervenuto e con il suo mantello e la sua giacca ha tentato di spegnere le fiamme, definitivamente spente dagli agenti con l'estintore in dotazione. Un'autoambulanza ha portato l'infortunato all'ospedale di Santo Spirito dove gli sono state riscontrate ustioni gravi nella parte superiore del corpo, e si è deciso di trasferirlo all'Ospedale Sant'Eugenio. Anche i due agenti si sono fatti medicare all'ospedale per problemi alla respirazione e ustioni sulle mani. Non si conoscono i motivi del gesto. Accanto all'infortunato è stato trovato un foglio con il numero di telefono della figlia. L'uomo è coniugato e di professione ambulante. Il caso è della magistratura italiana.

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    Nicaragua: per il problema delle carceri la Chiesa propone un dialogo nazionale

    ◊   Di fronte al sovraffollamento, alle condizioni di degrado nelle carceri del Paese e ai casi di abusi nelle carceri di Juigalpa, il vescovo di Juigalpa (zona di San Juan e Rio Chontales), mons. René Sócrates Sándigo Jirón, ha suggerito al Ministro del governo Ana Isabel Morales, di promuovere un dialogo nazionale per affrontare la questione, al fine di unire gli sforzi nella ricerca di soluzioni adeguate. In una nota pervenuta all’agenzia Fides da una fonte locale, si legge: "Le carceri sono una bomba a orologeria, e malgrado questo, la Chiesa cattolica, nel corso degli anni ha sempre dato il proprio sostegno per risolvere le esigenze dei detenuti". Mons. Sándigo Jirón aggiunge: "prima c'era una maggiore disponibilità dei fedeli per questo tipo di impegno e di aiuto. Oggi il canale di accesso ha molti ostacoli e questo ha fatto sì che molti volontari non abbiano lo stesso entusiasmo, siano delusi e quindi calano gli aiuti". Il vescovo insiste sulla necessità di "aprirsi al dialogo, alla ricerca di una soluzione. Oggi dobbiamo ringraziare le informazioni che vengono dall’interno, perché c'è un giornalismo investigativo, che mette in evidenza tali situazioni". Infine ha ricordato che la Chiesa ha una vasta preoccupazione pastorale per tutta la popolazione, ma la pastorale nelle carceri è una di quelle più importanti. In Nicaragua la Chiesa cattolica, con i suoi operatori pastorali, è presente da sempre nelle carceri, non solo per l'assistenza ai detenuti ma anche nella difesa dei loro diritti. Dalle notizie raccolte da Fides, la situazione nelle carceri è tremenda: nelle celle costruite per 5 o 7 persone ce ne sono 40. I detenuti devono addirittura dormire a turno perché non c'è posto se non in piedi (a Rivas). Ci sono luoghi come Juigalpa, Granada, Chinandega, Tipitapa e Jinotega dove la popolazione delle carceri è di molto sopra la media. Sembra che solo nella capitale la situazione sia sotto controllo. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 353

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