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Sommario del 17/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • La Messa mattutina con il personale di "Santa Marta", gli auguri al Papa di tre senza fissa dimora e dei suoi collaboratori
  • Papa Francesco compie 77 anni. P. Ortiz: è lui che fa un regalo a noi con la sua paternità
  • Compleanno Papa. I parrocchiani del quartiere Flores dove è nato: il nostro regalo è la preghiera
  • Il Papa: non si serve il Vangelo per guadagno personale. Ciò che abbiamo è per i poveri
  • E’ morto il cardinale spagnolo Carles Gordó. Il Papa: evangelizzatore saggio e generoso
  • Nomina episcopale di Papa Francesco negli Usa
  • Tweet del Papa: Dio guarda con amore ogni uomo e ogni donna con nome e cognome
  • Il cardinale Koch in Russia: c'è maggiore collaborazione tra Chiesa cattolica e ortodossa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: emergenza freddo per i profughi nel campo profughi di Zaatari in Giordania
  • Tunisia. Terzo anniversario della rivoluzione dei gelsomini. Si guarda alle elezioni 2014
  • Rapporto Fao: 70% malattie infettive nell’uomo ha origine animale
  • "E' compito mio": presentato l'audiolibro su Graziella Fumagalli, uccisa in Somalia nel '95
  • Bambini in carcere con le madri, c'è la riforma ma non le strutture
  • Torna nella Basilica di Santa Croce il Crocifisso di Cimabue
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: ad Aleppo e Mosul i cristiani si preparano al Natale in un clima di paura
  • Sud Sudan: a Juba ancora scontri. Migliaia nelle basi Onu
  • Sudan: nel Darfur la pace è lontana. In aumento gli sfollati
  • Gaza: l'Onu chiede di sollevare il blocco a causa delle alluvioni
  • Cile. Mons. Ezzati alla neopresidente Bachelet: le proposte della Chiesa per il futuro del Paese
  • Usa: nuove iniziative dei vescovi per la protezione dei migranti e della libertà religiosa
  • Lampedusa: l'Onu chiede all'Italia trasferimenti rapidi e regolari
  • Argentina: messaggio di speranza dei vescovi della Patagonia
  • Il Papa e la Santa Sede



    La Messa mattutina con il personale di "Santa Marta", gli auguri al Papa di tre senza fissa dimora e dei suoi collaboratori

    ◊   Questa mattina, nel giorno del suo compleanno, il Santo Padre ha voluto che alla Messa mattutina nella Casa Santa Marta fosse presente il personale della stessa Casa, in modo da vivere la celebrazione in un clima particolarmente familiare. Il Vangelo odierno della genealogia, ricco dei nomi degli antenati di Gesù, ha dato occasione al Papa per ricordare affettuosamente nel corso dell’omelia anche i nomi di alcuni dei dipendenti presenti. Ha concelebrato con il Papa il decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Angelo Sodano, in rappresentanza del Collegio. Dopo la Messa, come di abitudine, il Papa ha salutato tutti personalmente. Il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin ha fatto gli auguri al Papa anche a nome dei suoi collaboratori nella Segreteria di Stato. Agli auguri si è unito l’elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, che ha presentato al Papa tre persone senza fissa dimora che soggiornano nel quartiere vicino al Vaticano. I presenti, con il direttore della Casa Santa Marta, hanno accompagnato gli auguri al Papa con un canto. Poi, tutti hanno partecipato alla colazione nel refettorio della Domus. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Dio mai ci lascia soli, ma sempre cammina con noi. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno, incentrato sulla genealogia di Gesù, per soffermarsi sulla presenza del Signore nella nostra vita:

    “Qualcuno una volta ho sentito che diceva: ‘Ma questo brano del Vangelo sembra l’elenco telefonico!’ E no, è tutt’altra cosa: questo brano del Vangelo è pura storia e ha un argomento importante. E’ pura storia, perché Dio, come diceva San Leone Papa, Dio ha inviato il suo Figlio. E Gesù è consustanziale al Padre, Dio, ma anche consustanziale alla Madre, una donna. E questa è quella consustanzialità della Madre. Dio si è fatto storia. Dio ha voluto farsi storia. E’ con noi. Ha fatto il cammino con noi”.

    Dopo il primo peccato nel Paradiso, ha sottolineato il Papa, “Lui ha avuto questa idea: fare il cammino con noi”. Ha chiamato Abramo, “il primo nominato in questa lista” e “lo ha invitato a camminare”. E Abramo “ha incominciato quel cammino”. E poi Isacco, Giacobbe, Giuda. “E così va questo cammino nella storia”. Dio, ha affermato il Papa, “cammina con il suo popolo. Dio non ha voluto venire a salvarci senza storia. Lui ha voluto fare storia con noi”. Una storia, ha rilevato, “che va dalla santità al peccato. In questo elenco ci sono santi”, “ma in questo elenco ci sono anche i peccatori”:

    “I peccatori di alto livello, che hanno fatto peccati grossi. E Dio ha fatto storia con loro. Peccatori, che non hanno risposto a tutto quello che Dio pensava per loro. Pensiamo a Salomone, tanto grande, tanto intelligente, e finì, poveraccio, lì, che non sapeva come si chiamava! Ma Dio era con lui. E questo è il bello, no? Dio è consustanziale a noi. Fa storia con noi. Di più: quando Dio vuol dire chi è, dice ‘Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe’. Ma qual è il cognome di Dio? Siamo noi, ognuno di noi. Lui prende da noi il nome per farlo il suo cognome. ‘Io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Pedro, di Marietta, di Armony, di Marisa, di Simone, di tutti!’ Da noi prende il cognome. Il cognome di Dio è ognuno di noi”.

    “Lui, il nostro Dio – ha soggiunto – ha fatto storia con noi, ha preso il cognome dal nostro nome”, “si è lasciato scrivere la storia da noi”. “Noi – è stata la sua riflessione – scriviamo questa storia di grazia e peccato e Lui va dietro a noi”. Questa, ha ribadito, “è l’umiltà di Dio, la pazienza di Dio, l’amore di Dio. E’ nostro!” E questo, ha confidato, fa commuovere. “Tanto amore, tanta tenerezza, di avere un Dio così”:

    “La sua gioia è stata condividere la sua vita con noi. Il Libro della Sapienza dice che la gioia del Signore è fra i figli dell’uomo, con noi. Avvicinandosi il Natale, viene da pensare: se Lui ha fatto la sua storia con noi, se Lui ha preso il suo cognome da noi, se Lui ha lasciato che noi scrivessimo la sua storia, almeno lasciamo, noi, che Lui ci scriva la nostra storia. E quella è la santità: ‘Lasciare che il Signore ci scriva la nostra storia’. E questo è un augurio di Natale per tutti noi. Che il Signore ti scriva la storia e che tu lasci che Lui te la scriva. Così sia!”

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    Papa Francesco compie 77 anni. P. Ortiz: è lui che fa un regalo a noi con la sua paternità

    ◊   Un momento di gioia e gratitudine al Signore. Con questo spirito la Chiesa festeggia oggi, in tutto il mondo, il 77.mo compleanno del suo Pastore Papa Francesco. E’ la prima volta che Jorge Mario Bergoglio celebra la felice ricorrenza come vescovo di Roma. E in queste ore, da tutto il mondo, arrivano gli auguri al Papa. Messaggi augurali dalla Cei alla Comunità del mondo arabo in Italia, dai movimenti ecclesiali a singole famiglie. Tantissimi anche i messaggi via Facebook e via Twitter. Per un omaggio al Santo Padre, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del nostro responsabile dei programmi in lingua spagnola, il gesuita argentino padre Guillermo Ortiz, che conosce Papa Bergoglio dal 1977:

    R. - Certamente, il giorno del compleanno è un giorno dove uno è al centro, ma un principio spirituale di Papa Bergoglio è proprio quello di non essere mai al centro! Se lui, però, ad esempio, ne può approfittare per fare festa ai bambini, questo lo fa felice. Penso che questa sia una grande opportunità per rivedere questo suo atteggiamento spirituale, perché è un suo principio anche pastorale: non è soltanto il non voler apparire... Papa Francesco non vuole essere al centro delle tante cose che lui stesso ha appoggiato ma in maniera silenziosa, senza apparire, come i grandi progetti pastorali. Adesso si sa solo perché hanno parlato gli altri che erano con lui; ma di lui non si è mai saputo niente.

    D. – Abbiamo visto, proprio sabato scorso, con i bambini del Dispensario Santa Marta un Papa felice proprio... come un bambino. Davvero Papa Francesco diventa luminoso in volto con i bambini, anche se magari sono impertinenti come tutti i bambini e magari gli tolgono lo zucchetto…

    R. – Certamente! Mi vengono in mente diverse cose ma soprattutto quella mia esperienza con lui come parroco. Ho avuto Papa Francesco come provinciale quando ho chiesto di entrare nella Compagnia e subito dopo lui è diventato formatore. Al Collegio Massimo - dietro c'erano 10 ettari -, ha aperto la porta sui quartieri: con lui come parroco siamo andati in questi quartieri per cercare gente. Avevamo una “consegna”: far felici i bambini! Cercare i bambini per il catechismo e visitare anche i malati del quartiere. Ognuno di noi aveva il suo spazio per lavorare con la gente dentro questi quartieri popolari, di operai. Papa Bergoglio non diceva: “Quest’anno lo dedicheremo al Credo, o ai Comandamenti”; no, perché questo era già sistemato, ma la sfida pastorale principale era "farli felici". Per questo abbiamo organizzato un campo scuola con tanti ragazzi; giornate dedicate al cinema per ragazzi, giochi speciali nel Giorno dei bambini... E’ stata una cosa straordinaria perché i bambini che partecipavano erano 5 mila ed avevano cibo, giocattoli; c’era anche il teatro. Si facevano cose grandissime e noi lavoravamo insieme – questo è molto importante – sotto la sua guida come parroco. Ricordo alcune fotografie: lui veniva con noi perché ci spostavamo da un posto all’altro; nel Collegio Massimo – che era molto grande – lui andava in mezzo ai ragazzi con alcuni di noi ma molto contento di far felici i bambini. Eravamo studenti; abbiamo imparato non solo durante le lezioni di filosofia, o di teologia all’università ma anche nella parrocchia, che era una scuola. Incredibile!

    D. – Esigente e misericordioso: un padre. Ecco, come lo vediamo adesso tutti a Roma era così anche 40 anni fa…

    R. – Questa è l’immagine che io ho. E’ una cosa personale e voglio raccontarla come esperienza personale nella mia formazione: quello che ho conosciuto è un uomo, un uomo vero, molto umano con una paternità straordinaria perché lui era formatore. Per noi la formazione è probazione - noi abbiamo la prima, la seconda e la terza probazione – quindi, è una prova per conoscere la Compagnia e per capire se noi siamo capaci di essere gesuiti. Lui è stato molto esigente, veramente! Personalmente posso dire che sentivo che lui non mi abbandonava. Non aveva paura di esigere. No come tanti genitori, o tanti preti che dicono: “Se io esigo qualcosa da questa persona forse perdo la sua amicizia, o il suo amore”. Lui non aveva questa paura, era accanto a te e non ti lasciava solo in una prova, veniva con te. Io questo l’ho sentito e lo ringrazio tanto. Quello che ho visto prima, insieme a tutta la gente, è che lui è un padre e adesso lo vedo come Papa. Lo ringrazio per questo e desidero che continui a crescere in questa paternità dove appare principalmente la tenerezza di Dio, con il suo amore. Ringrazio tanto Papa Francesco a nome della gente della Radio Vaticana e lo ringrazio perché fa trasparire, con il suo modo di essere, questa chiamata del Signore, del suo amore, della sua misericordia e della sua tenerezza.

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    Compleanno Papa. I parrocchiani del quartiere Flores dove è nato: il nostro regalo è la preghiera

    ◊   Il compleanno di Papa Francesco viene vissuto con particolare emozione a Buenos Aires. Una gioia speciale è quella dei parrocchiani di San José de Flores, la chiesa dell’infanzia di Papa Francesco dove è nata la sua vocazione sacerdotale. Per una testimonianza su come si viva questo giorno nella comunità d’origine di Jorge Bergoglio, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Buenos Aires Luis Avellaneda, segretario della parrocchia di San José:

    R. – La gente qui è emozionata per la data, per il compleanno, ma non ci sono atti speciali. Certamente nelle Messe del giorno si pregherà. Pregheremo per tutte le intenzioni del Santo Padre, che per noi è tanto lontano: siamo alla fine del mondo noi… Ma siamo vicinissimi al cuore del Santo Padre.

    D. – Tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrare personalmente Papa Francesco sanno che alla fine dell’incontro sempre lui chiede “Pregate per me!”. E’ questo quello che farete voi…

    R. – Certamente, perché la preghiera ci mantiene uniti. Abbiamo la necessità e il bisogno di pregare per lui, perché capiamo il momento difficile del mondo e della Chiesa.

    D. – Chiaramente la basilica di San José ha mille ricordi di padre Jorge, addirittura la vocazione vera e propria di questo uomo, che ora è il Papa, la vocazione di sacerdote è nata proprio lì…

    R. – La chiesa di San Giuseppe ha dato un’infinità di vocazioni alla diocesi, ma questo è eccezionale: pensare che il Papa ha scoperto la sua vocazione nella nostra chiesa, fra le nostre navate, nei nostri confessionali… San Giuseppe è una basilica che ha il merito di avere una ricchezza grande: la preghiera e la sacramentalità. Papa Francesco ha scoperto la sua vocazione proprio in un confessionale della nostra basilica di San Giuseppe.

    D. – San Giuseppe è il cuore cristiano del quartiere Flores, così legato a Papa Francesco e a tutta la famiglia Bergoglio…

    R. – Certamente. San Giuseppe è propriamente il cuore geografico - non storico, ma geografico – della città di Buenos Aires e la posizione della basilica San Giuseppe sembra essere un faro, che attira la gente a frequentare i Sacramenti della Confessione, dell’Eucaristia… E’ una benedizione la devozione della gente che viaggia per venire a pregare la Madonna, a pregare San Giuseppe. In questo fiume di gente, attraverso gli anni, Papa Bergoglio ha partecipato a questa devozione e benedizione.

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    Il Papa: non si serve il Vangelo per guadagno personale. Ciò che abbiamo è per i poveri

    ◊   Nella Chiesa tutti devono imparare che il servizio al Vangelo deve essere “spogliato” di ogni gloria o tornaconto personali. Uno dei pilastri del magistero di Papa Francesco spicca anche tra le righe del suo lungo Messaggio inviato all’Ordine della SS. Trinità, che festeggia gli 800 anni della morte del fondatore, S. Juan de Mata, e i 400 del riformatore, S. Giovanni Batista della Concezione. Entrambi protagonisti di una vita religiosa “rispettabile, anche se forse un po’ tranquilla e sicura” ricevettero da Dio - scrive il Papa - una chiamata che “ribaltò” la loro esistenza, spingendoli a “spendersi in favore dei più bisognosi”. Per Papa Francesco, questo è l’esempio da imitare: i due Santi, osserva, “seppero accettare la sfida” e dunque “se oggi noi celebriamo la nascita del vostro fondatore e del riformatore, lo facciamo proprio perché furono in grado di rinnegare se stessi, di portare con semplicità e docilità la croce di Cristo e di essere totalmente, senza condizioni, nelle mani di Dio, perché Egli costruisse la sua opera”. E come loro, prosegue Papa Francesco, “tutti sono chiamati a sperimentare la gioia che scaturisce dall'incontro con Gesù, per superare il nostro egoismo, uscire dalla nostra comodità e andare con coraggio verso tutte le regioni che hanno bisogno della luce del Vangelo”.

    Il Papa ricorda come, attraverso i secoli, quella della Santissima Trinità sia stata “casa del povero, un luogo dove le ferite del corpo e guarire l'anima”, con la preghiera prima di tutto e “con l’impegno incondizionato e il servizio disinteressato e amorevole”. In effetti, afferma Papa Francesco, “i Trinitari hanno chiaro – e tutti dobbiamo impararlo – che nella Chiesa ogni responsabilità o autorità devono essere vissute come servizio. Da qui, la nostra azione deve essere spogliata di qualsiasi desiderio di guadagno personale o di promozione e deve sempre cercare di condividere tutti i talenti ricevuti da Dio, per orientarli, come buoni amministratori, allo scopo per cui ci sono stati concessi, l’aiuto per i poveri”. Poveri, insiste, che ci sono anche oggi e “sono molti. Li vediamo ogni giorno e non possiamo girare al largo, accontentandoci di una buona parola. Cristo non l’ha fatto”. Il Messaggio si chiude con una richiesta, quella di “pregare per il Papa. “Mi piace pensare che voi, nella preghiera, mettiate il Vescovo di Roma assieme ai poveri, perché – conclude Papa Francesco – questo mi ricorda che non posso dimenticarmi di loro, come non li dimenticò Gesù, che li teneva nel profondo del suo Cuore, inviato a portare loro una buona notizia e che, per mezzo della sua povertà, ha arricchito tutti noi”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    E’ morto il cardinale spagnolo Carles Gordó. Il Papa: evangelizzatore saggio e generoso

    ◊   E’ morto oggi, all’età di 87 anni, il cardinale Ricardo Maria Carles Gordó, arcivescovo emerito di Barcellona e presidente della Conferenza episcopale spagnola, dal 1999 al 2005. In un messaggio di cordoglio, Papa Francesco definisce il porporato evangelizzatore saggio e generoso. E ricorda che, nella sua amata arcidiocesi di Barcellona, ha dato vita - senza risparmio di energie - a numerose iniziative pastorali. Il Papa rammenta quindi la vicinanza che il porporato ha sempre mostrato verso i sacerdoti, i consacrati e i seminaristi ai quali ha dedicato una speciale attenzione. Nato a Valencia nel 1926, il cardinale Carles Gordó è stato ordinato sacerdote nel 1951, consacrato vescovo nel 1969 e creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994. I funerali del porporato si svolgeranno a Barcellona giovedì prossimo. (A.G.)

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    Nomina episcopale di Papa Francesco negli Usa

    ◊   Negli Usa, Papa Francesco ha nominato vescovo di Marquette il rev.do John F. Doerfler, del clero della diocesi di Green Bay, finora Vicario Generale della medesima sede.

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    Tweet del Papa: Dio guarda con amore ogni uomo e ogni donna con nome e cognome

    ◊   Papa Francesco ha oggi lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “L’amore di Dio non è generico. Dio posa il suo sguardo d’amore su ogni uomo e ogni donna, con nome e cognome”.

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    Il cardinale Koch in Russia: c'è maggiore collaborazione tra Chiesa cattolica e ortodossa

    ◊   Prosegue la visita in Russia del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Oggi, a Mosca, l’incontro con il Metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Domani, alla Cattedrale di Cristo Salvatore, l’udienza con il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia. In una conferenza stampa, nella capitale, il porporato ha affermato che i rapporti tra cattolici e ortodossi russi “sono migliorati: il metropolita Hilarion viene spesso a Roma. E vediamo che nella Chiesa a Mosca c'è un maggiore desiderio di azioni comuni”. Il servizio di Giada Aquilino:

    E’ passato poco più di un mese dall’udienza di Papa Francesco al Metropolita Hilarion di Volokolamsk, ricevuto il 12 novembre scorso alla Domus Sanctae Marthae. Ora, il cardinale Kurt Koch si trova in Russia, per un viaggio con tappe a San Pietroburgo e Mosca e incontri con rappresentanti della Chiesa ortodossa e della Chiesa cattolica. Oggi, il colloquio con il Metropolita Hilarion, domani l’udienza con il Patriarca Kirill. Sugli auspici dell’incontro col Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, ascoltiamo il cardinale Koch, in una dichiarazione raccolta a San Pietroburgo dal programma polacco della nostra emittente:

    R. – It is too early to say something…
    E’ troppo presto per dire qualcosa di concreto, ma spero che la mia visita contribuisca ad approfondire il rapporto tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica. E spero che l’incontro con il Patriarca Kirill favorisca l’approfondimento delle questioni comuni alle due Chiese. Ho constatato anche una maggiore collaborazione con la Chiesa cattolica, con la Chiesa di Roma, e lo apprezzo molto. Spero che in futuro questa collaborazione possa diventare sempre più ampia e migliore.

    Proprio del cammino del dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi russi parla padre Germano Marani, docente di Teologia dogmatica e Missiologia al Pontificio Istituto Orientale e alla Pontificia Università Gregoriana, profondo conoscitore dell’ortodossia russa:

    R. – Il 2013 è stato un anno abbastanza positivo per quanto riguarda le relazioni tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa. Ci sono stati dei miglioramenti, anche se non così immediatamente visibili, e soprattutto si nota anche nei giornali russi che si parla in modo migliore della Chiesa cattolica e di quanto è connesso con essa. Secondo me, è un punto notevole.

    D. – A cosa sono dovuti questi progressi?

    R. – Sono dovuti a un clima che sta migliorando, alle diverse relazioni in corso, agli scambi, anche se non si vedono e non se ne parla.

    D. – C’è attesa per l’incontro del cardiale Koch con il Patriarca Kirill. Ci sono temi ecumenici e temi internazionali che possono essere affrontati nei colloqui: la sfida dell’unità nella fede, la dottrina sociale della Chiesa, la famiglia e poi la pace in Siria, in Medio Oriente. Quali sono i nodi più difficili e anche quelli più urgenti?

    D. – La crisi siriana ancora in corso è un punto importante per la Chiesa cattolica, con gli appelli di Papa Francesco e con la giornata di preghiera e digiuno del 7 settembre scorso e con tutta la preoccupazione per ciò che sta succedendo, di rimando, in Medio Oriente. Credo che una preoccupazione simile si possa trovare nella Chiesa ortodossa russa, nella sua gerarchia, che accompagna un’azione che, in qualche modo, è stata portata avanti dal governo russo in questi ultimi mesi.

    D. – Per quanto riguarda gli aspetti più dogmatici, invece, quali sono i temi da trattare?

    R. – Credo che la sfida di una collaborazione visibile o di un segno di visibilità di comunione potrebbe essere veramente il prossimo passo il quale, in qualche modo, potrebbe porsi come grande sfida per entrambe le Chiese. Passare quindi da un clima di cordialità, di apertura, a una visibile collaborazione nei campi della dottrina sociale, della questione dei valori cristiani, dell’etica. Sono sfide comuni per entrambe le Chiese in questo momento, a partire dall’Europa.

    D. – Quanto il dialogo può essere importante dal punto di vista dei cristiani perseguitati? In una recente intervista, Papa Francesco ha detto che in alcuni Paesi uccidono i cristiani senza chiedere loro se siano anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. “Il sangue è mischiato”, “per coloro che uccidono siamo tutti cristiani”, ha aggiunto il Pontefice.

    R. – Sì, questo è uno dei grandi temi che fin dal Duemila ci si porta dietro. Il martirio è la più grande testimonianza comune che nel Ventesimo secolo possiamo offrire al mondo. E questa è una testimonianza comune sia delle Chiese ortodosse, sia dei protestanti, sia delle Chiese anglicane, sia cattoliche.

    D. – Secondo lei, si stanno gettando le basi per un incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill?

    R. – Secondo me, siamo arrivati a una piccola sfida che sarà proprio quella di dire: “Diamo un segnale comune visibile”. Poi, che questo sia un incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill non lo posso dire. Certamente se ne parla, ma se ne è parlato e forse se ne parlerà. In ogni caso, in questo momento, forse dare un segno, un simbolo, qualcosa che possa veramente richiamare il desiderio di comunione di Papa Francesco e anche del Patriarca Kirill, che sia visibile a tutti, sarebbe una cosa bellissima.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Fuori dagli schemi: in prima pagina, Antonio Pelayo sull'esortazione apostolica "Evangelii gaudium".

    Il cognome di Dio: Messa del Papa a Santa Marta.

    Al servizio dei nuovi schiavi: messaggio del Pontefice all'ordine della Santissima Trinità.

    Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Carles Gordo, arcivescovo emerito di Barcellona.

    ¡Que Dios me banque!: Jorge Milia spiega come parla Jorge Mario Bergoglio.

    Quello spazio che parla: Timothy Verdon su Maria e l'attesa di Cristo.

    Lo zio d'America: Eliana Versace ricorda, nel quarantesimo della morte, Amleto Giovanni Cicognani.

    Oggetti scomparsi: Ada Masoero segue il passaggio di Kandinsky dal figurativo all'astratto.

    Metà dei siriani alla fame.

    Povertà e disoccupazione questioni prioritarie: nuovo intervento dell'episcopato negli Stati Uniti.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: emergenza freddo per i profughi nel campo profughi di Zaatari in Giordania

    ◊   Dovrebbe cominciare, come previsto, il 22 gennaio prossimo la più volte rinviata Conferenza internazionale di pace sulla Siria, la cosiddetta "Ginevra 2", che però, a dispetto del nome con cui è ormai indicata, si terrà in un'altra città elvetica, Montreux. A confermarlo il portavoce di Lakhdar Brahimi, inviato speciale congiunto di Nazioni Unite e Lega Araba per la crisi nel Paese mediorientale. Un appuntamento di primo piano su cui l’intera comunità internazionale punta per poter porre fine alle violenze quotidiane in Siria. Anche oggi bombardamenti hanno interessato diverse aree del Paese: 13 persone, tra le quali due bambini, hanno perso la vita ad Aleppo. Il conflitto, intanto, continua a produrre un’ondata di profughi senza precedenti. Tra i Paesi coinvolti sicuramente la Giordania; qui è stato creato il campo profughi di Zaatari, gestito dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. E proprio a Zaatari si trova il collega Matteo Marcelli, che al microfono di Salvatore Sabatino, racconta la situazione d’emergenza che vivono gli sfollati:

    R. – La situazione rimane emergenziale. Certo, però, bisogna dire che l’impressione che ho io, guardandomi attorno, è certamente migliore qui, rispetto a qualche mese fa. Ovviamente, rispetto all’inverno scorso ci sono almeno la metà dei rifugiati. Questo, quindi, rende le cose più gestibili. Diciamo che Zaatari è pronto per l’inverno e diciamo che, dove c’erano tende, l’inverno scorso, ora ci sono per lo più caravan. Ma vedo anche negozi e una certa attività che, insomma, lascia sperare per il futuro.

    D. – E’ questo momento, però, particolarmente delicato per questo campo profughi – che sorge, lo ricordiamo, nel deserto – a causa delle cattive condizioni meteo. E' nevicato moltissimo: questo quanto ha influito sulla qualità dia vita dei profughi?

    R. – Certamente, le ultime manifestazioni da parte dei profughi sono legate proprio a questo. Il problema principale rimane il freddo. Hanno appena portato delle bombole per alimentare termosifoni a gas e questo ha, in qualche maniera, creato qualche agitazione. In sostanza, però, la situazione è abbastanza tranquilla. Certo, le condizioni non sono delle migliori, soprattutto per le famiglie che abitano nelle tende – e ce ne sono ancora molte – che sono ancora in attesa di un proprio container, che qui chiamano caravan.

    D. – Si è fatto un gran parlare negli scorsi mesi anche di problemi legati alla sicurezza nel campo profughi di Zaatari...

    R. – Quelli probabilmente rimarranno sempre. Si è parlato molto, quindi, di stupri, si è parlato molto di furti, ma certamente quelle sono dinamiche della popolazione interna che, ovviamente, l’Alto Commissariato non riesce a gestire e neanche le forze armate giordane sono in grado di tenere a freno. Sicuramente, dunque, è una situazione che purtroppo non può essere limitata o comunque può essere frenata ma non in maniera decisiva, proprio perché esistono delle dinamiche delle comunità, delle divisioni, delle gerarchie, che ovviamente sono molto più cogenti di quanto non siano le decisioni dell’Alto Commissariato e dei “camp manager” che sono qui.

    D. – Nel contempo, però, c’è anche un grande senso di solidarietà tra la gente...

    R. – Certo, sicuramente questo è alimentato molto dalle associazioni. Ma, ripeto, la situazione è migliorata e questo si può misurare dal fatto che Medici senza Frontiere non c’è più, la Caritas non c’è più. C’è, comunque, un clima, quindi, per quanto possibile, certamente migliore. Questo sì, è evidente.

    D. – Questo campo profughi sorge in Giordania, un Paese che sta pagando delle conseguenze enormi della guerra in Siria. Tra l’altro, non sono stati stanziati fondi dal governo per gestire questa emergenza...

    R. – No, i fondi sono, totalmente, quelli che vengono dall’Alto Commissariato Onu e dalle varie associazioni. Tra l’altro, parrebbe conclusa la costruzione di un altro campo, in un’altra zona, che è quella di Azraq. Un campo, costato 35 milioni, che sono tutti dell’Acnur. Certamente, la Giordania non è un Paese in grado di fornire aiuti da un punto di vista economico, però li ha già accolti, e qui dicono che sia già molto. Questa ovviamente è l’opinione. La maggior parte dei container vengono dall’Arabia Saudita e dal Kuwait e la maggior parte degli aiuti vengono da associazioni europee e nordamericane.

    D. – Stando in Giordania, hai potuto evidentemente comprendere anche quelli che sono gli umori della popolazione locale, rispetto a questa ondata di profughi, che era imprevedibile...

    R. – Questa è una situazione un po’ particolare, perché non ad Amman, ma andando verso il Sud, c’è gente che fa soldi sui rifugiati. Sapendo degli aiuti, molti locali affittano case – e per case intendiamo bilocali con il bagno fuori o senza bagno – per cifre che qui appaiono esorbitanti. Molte associazioni, infatti, danno soldi per pagare l’affitto a queste famiglie. C’è anche questo problema. Diciamo però che la popolazione giordana è molto favorevole e molto accogliente. Il problema è che, come dappertutto, c’è anche chi specula su questa gente.

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    Tunisia. Terzo anniversario della rivoluzione dei gelsomini. Si guarda alle elezioni 2014

    ◊   Terzo anniversario in Tunisia della morte di Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante che, a 26 anni, si diede fuoco nella città di Sidi Bouzid per contestare il regime di Zine El Abidine Ben Ali. Quel gesto estremo diede avvio alla "rivoluzione dei gelsomini" e alle cosiddette “primavere arabe”. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La Tunisia cerca di tracciare il proprio destino verso una transizione democratica, non senza fatica e contraddizioni. Oggi, nel giorno in cui si ricorda l’auto-immolazione di Mohamed Bouazizi, il quale diede avvio alla rivoluzione che portò alla dissoluzione del regime Ben Ali, a Tunisi il gruppo jihadista Ansar al-Sharia scende in piazza ribadendo la lotta contro quella che definisce “la tirannia delle autorità”. Il gruppo, accusato di aver ucciso due leader dell'opposizione, Chokri Belaid, a febbraio e Mohamed Brahmi, a luglio, è nella lista nera delle ''organizzazioni terroristiche'' per i suoi legami con al-Qaeda. L’organizzazione nega di aver ucciso i due esponenti politici, ma non nasconde le avversità per il governo. Ma proprio sul fronte politico, in un Paese alle prese con una pesante flessione dell’economia, si guarda alle prossime elezioni presidenziali e parlamentari che si terranno nel 2014. In quella data, la troika composta da tre partiti che attualmente governa lo Stato - ovvero, Ennahda, Ettakatol e il Congresso per la Repubblica - di fatto lascerà il posto all’esito delle consultazioni. Nonostante l’instabilità sul terreno e le intimidazioni dei salafiti, che “minacciano di aggredire lo Stato sin dalle fondamenta”, la Tunisia ha trovato l’accordo, dopo mesi di trattative, sulla nomina di un nuovo primo ministro. Mehdi Jomaa guiderà un esecutivo di transizione che dovrà portare a termine la riforma della costituzione e fissare la data delle nuove elezioni. Notizia quest’ultima accolta con favore anche dal capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, che in una nota ha auspicato che questo primo passo sia rapidamente seguito dalla formazione di un governo “in accordo con la tabella di marcia elaborata dal Quartetto (Sindacato Ugtt, dall'Unione degli imprenditori, dall'Ordine nazionale forense e dalla Lega per la Difesa dei diritti dell'Uomo)” e che la transizione democratica tunisina possa procedere, con tempi ragionevoli, ad elezioni generali “inclusive, trasparenti e credibili".

    Ma cosa vuol dire parlare di democrazia nei Paesi interessati dalla "primavera araba"? Lo abbiamo chiesto al prof. Roberto Tottoli dell’Università Orientale di Napoli e coautore del libro, pubblicato da Editrice La Scuola, “L’Autunno delle primavere arabe”:

    R. - Significa aspettarsi sicuramente anni di contrapposizioni anche molto forti e una lotta politica nuova, diversa, sicuramente più libera, ma con molti problemi rispetto a quella che era la grande stabilità dei regimi precedenti. Ma in Tunisia, come anche in Egitto, è evidente che decenni di repressione di espressione politica determinano una situazione di grande instabilità, che può preludere anche a situazioni molto complesse e in cui anche l’espressione pienamente democratica è difficile.

    D. - Le spinte dei salafiti, i Fratelli musulmani e il dibattito politico in corso: il Paese sta andando nella giusta direzione, secondo lei?

    R. - Sì, anche se la situazione è molto difficile. Anche chi visita il Paese, vede un Paese profondamente diverso. Ma era un percorso assolutamente inevitabile. Era ormai ineludibile la necessità di abbandonare le ristrettezze dei regimi antidemocratici precedenti. E, una fase di grande turbolenza era quanto mai prevedibile. Vedo nella Tunisia, comunque, forze molto attive che avranno difficoltà nei prossimi anni davanti alle spinte delle forze religiose, ma con una capacità maggiore che in altri Paesi musulmani di saper costruire un’idea futura che sia democratica e che sappia, in qualche modo, venire a patti con le diverse realtà del Paese.

    D. - Egitto, Tunisia, Libia, Yemen, solo per fare alcuni esempi: Paesi molto diversi, ma si può tracciare una linea di bilancio su quelle che sono state le primavere arabe?

    R. - Rimane una situazione politica più aperta, ma con grossi dubbi sugli sviluppi futuri dovuti anche alla possibilità delle forze di ispirazione religiosa - dalla Fratellanza musulmana più moderata, del salafismo più estremo - di partecipare al dibattito politico. Queste forze, che in molti casi sono maggioranze, generano una serie di problematiche nella costruzione delle nuove realtà - certo con situazioni molto diverse da Paese a Paese - ma questa situazione politica è proprio il frutto delle politiche di reislamizzazione o di ricentralizzazione del fattore religioso, i cui sviluppi nessuno è in grado di capire ora, ma che per la prima volta dopo decenni entrano nel gioco politico.

    D. - Che cosa è successo a livello di religione in questi Paesi?

    R. - L’emergere con forza delle componenti religiose della Fratellanza musulmana e del salafismo ha sicuramente messo in grossa difficoltà quei Paesi che hanno importanti minoranze cristiane come l’Egitto e la Siria stessa, che vive questa tragedia della guerra civile. Da un altro lato, la partecipazione di queste forze - soprattutto da parte del salfismo che è movimento politico di netta contestazione con i metodi della democrazia partecipativa - sollecita quella che è la definizione stessa di nazione. Quindi, da questo punto di vista, il fattore religioso, che non è il primo fattore nelle primavere arabe, è entrato direttamente a complicare ancor più il quadro delle situazioni nazionali. Ma non poteva che essere così.

    D. - A tre anni dalla rivoluzione in Tunisia, si parla di record di disoccupazione e di un clima di insicurezza generale. Come interpretare questi dati?

    R. - Da un lato, è causa dell’equilibrio precario economico col quale vivevano le realtà nazionali precedenti e dall’altro l’instabilità successiva ha tagliato realtà come sicurezza, turismo, che hanno ulteriormente aggravato la situazione economica.

    D. - Da una parte, c’è chi guarda i Paesi delle "primavere” con preoccupazione, dall'altra chi con grande aspettativa. Qual è il suo punto di vista?

    R. - Sono moderatamente ottimista sul fatto che questi Paesi possano trovare in qualche modo la loro via, e la stanno cercando anche in maniere molto diverse a sottolineare la specificità. Certo, che questo moderato ottimismo non nasconde che anni di instabilità nel quadro regionale saranno inevitabili e andranno a toccare direttamente anche quell’Europa che si affaccia sul Mediterraneo.

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    Rapporto Fao: 70% malattie infettive nell’uomo ha origine animale

    ◊   Un nuovo Rapporto della Fao lancia un allarme sulla diffusione in aumento di malattie di origine animale che, negli ultimi decenni, colpiscono l’uomo. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Il dato è davvero inquietante: ben il 70% delle malattie infettive, dal 1940 ad oggi, sono riconducibili a patologie animali. Principali cause il boom mondiale della produzione animale e l’espansione dei terreni agricoli in aree selvatiche. Come mai nel passato, bestiame e fauna selvatica a contatto e cosi pure uomini e animali. C’è poi la mobilità umana in crescita e il volume dei commerci internazionali, a livelli senza precedenti. E, tra i prodotti che girano con più facilità per il globo sono gli organismi patogeni, che sovente sfuggono ai vaccini, resistono agli antibiotici e viaggiano a volte indisturbati lungo la catena alimentare, e proliferano favoriti anche dai cambiamenti climatici. Il problema si aggrava in contesti di povertà e insufficienza di servizi igienico-sanitari, ponendo rischi gravi per la salute umana e compromettendo lo sviluppo dei Paesi. La sfida è grande, a partire dalla prevenzione alla capacità di limitare i danni. La Fao chiede un approccio olistico su animali, uomo, ambiente e chiama a lavorare insieme professionisti della salute umana e animale, ma anche economisti, ecologisti ed esperti di altri scienze.

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    "E' compito mio": presentato l'audiolibro su Graziella Fumagalli, uccisa in Somalia nel '95

    ◊   Il compito che aveva scelto per se stessa era quello di stare accanto ai suoi pazienti, per quel compito è morta. Sono passati 18 anni dall’assassinio di Graziella Fumagalli, il medico di Lecco ucciso il 22 ottobre 1995 a Merca, in Somalia, da un commando, mentre visitava un paziente nell’ospedale che dirigeva per conto della Caritas italiana. Oggi, nella sede della nostra emittente, è stato presentato un audiolibro dedicato alla vita della Fumagalli. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Solo una coincidenza, ma che fa riflettere: che la morte di Graziella Fumagalli sia avvenuta domenica 22 ottobre, in occasione della Giornata missionaria mondiale. Era compito suo quel giorno restare accanto ai suoi pazienti, nonostante il pericolo. Era compito suo alleviare le loro sofferenze, a rischio della sua vita. Lo aveva anche ricordato, nel giorno del suo funerale, il cardinale Carlo Maria Martini che disse: “Per tutta la vita aveva coltivato questo sogno di essere utile al prossimo attraverso al sua professione di medico. Le è toccata la stessa sorte di Gesù, che ha pagato con la vita il donarsi senza riserve”. Oggi, a Graziella Fumagalli è stato dedicato l’undicesimo audiolibro della Collana PhonoStorie, promosso da Caritas Italia e Rete Europea Risorse Umane per Multimedia San Paolo Editore. “E’ compito mio” è il titolo di questa opera che raccoglie parole e testimonianze di chi ha conosciuto la Fumagalli. Una delle prefazioni è affidata a mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti:

    R. – Era una donna veramente di grande coraggio, di grande determinazione, ma nello stesso tempo una persona che sapeva collaborare e che accoglieva la collaborazione degli altri. Il ricordo è proprio di una persona dedita agli altri, ma che sapeva anche vivere con gli altri.

    D. – Noi che immagine ne riceviamo, da questo audiolibro, la cui prefazione è stata affidata a lei?

    R. – Io ho riassunto un po’ la sua vita, la sua figura, con quella frase che usiamo nella Liturgia, alla fine della Messa: “Glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace”. Era una frase che lei amava moltissimo e questa frase esprime veramente il suo impegno di cristiana, di donna medico.

    D. – Quali tracce ha lasciato in Somalia questa donna?

    R. – Le tracce sono nella memoria di tutte quelle persone che sono passate attraverso l’ospedale di Merca, l’ospedale specializzato nella lotta alla tubercolosi, la memoria rimasta nelle persone che l’hanno conosciuta direttamente. Naturalmente, poi c’è anche il ricordo di lei da parte nostra, non pazienti, che però l’abbiamo accompagnata in quegli anni.

    D. – Il Paese sta cercando di uscire da 23 anni di caos, di anarchia, di distruzione: a che punto è?

    R. – Il Paese sta cercando di rinascere, sono rinate alcune istituzioni dello Stato che sono però ancora molto fragili. Qualche passo in avanti è stato fatto, ma ha bisogno di essere continuamente appoggiato e sostenuto dalla comunità internazionale e, soprattutto, dai somali stessi. Devono pensare che l’esperienza dell’anarchia è un’esperienza pericolosa, soprattutto per la maggioranza della popolazione. Bisogna mettersela alle spalle e far sì che appoggino loro stessi questo governo che, per il momento, ha un grande sostegno dal punto di vista internazionale, mentre ho l’impressione che a livello nazionale ancora non sia bene appoggiato. Ho comunque la speranza che forse la Somalia stia per rinascere dalle proprie ceneri.

    “E’ compito mio” si basa principalmente su un libro che Paolo Brivio, giornalista di Lecco, scrisse sulla vita della dottoressa, cinque anni dopo la sua uccisione:

    R. – La notizia della sua morte ci sorprese. Noi giornalisti ci telefonammo nel pomeriggio, dopo avere appreso dai telegiornali dell’omicidio, chiedendoci chi fosse questa Graziella Fumagalli di cui, pur lavorando al giornale diocesano, non avevamo mai sentito parlare, ed era una circostanza abbastanza inverosimile perché in un giornale diocesano arrivano ogni giorno notizie, informazioni, sollecitazioni, comunicati di gruppi missionari che sostengono missionari religiosi e laici impegnati ai quattro angoli del mondo e Lecco è un territorio che, da questo punto di vista, ha una grande ricchezza. Ma della Fumagalli nessuno sapeva nulla. Avrei scoperto negli anni successivi, scrivendo la sua biografia, che questo si doveva alla grande riservatezza pari solo alla determinazione che lei aveva nel suo lavoro e con la quale conduceva il suo servizio.

    D. – Questa sua riservatezza in qualche modo ha dato il titolo al tuo libro: “Ho nascosto il mio volto”, dal quale sono tratti alcuni brani che sono andati a comporre l’audiolibro. Che cosa ci racconta?

    R. – Ci racconta, come dice il titolo dell’audiolibro, “E’ compito mio”, soprattutto un aspetto della vicenda di Graziella Fumagalli. Secondo me, il messaggio fondamentale che ci ha lasciato Graziella è quello di guardare innanzitutto al proprio compito. Lei aveva un forte senso del dovere e della responsabilità che esercitava in modo però non moralista e non con eccessiva rigidità. Era una persona che sapeva scherzare, sapeva creare squadra, sapeva coltivare le relazioni umane. Aveva però questo forte senso del lavoro e del dovere, che l’ha condotta a convertire e orientare tutta la sua vita a uno scopo ben preciso. Lei era entrata in fabbrica da ragazzina perché la famiglia aveva bisogno che lavorasse, aveva poi interrotto il lavoro, si era pagata gli studi liceali, universitari e si era specializzata in Francia con un sogno ben preciso sin dall’inizio: andare in Africa come medico. Riuscì a realizzarlo solo a 40 anni e a 45 fu uccisa. Cinque anni della sua vita a cui però tese tutta la parte precedente della sua vita. Era la missione che si era imposta, era un compito che ha pagato con la vita trovandosi di fronte a questa scelta: andarsene e non esporre se stessa e i suoi collaboratori alla violenza che sapeva possibile, oppure continuare a provare a salvaguardare le sorti dell’ospedale e quindi dei malati? Lei disse: “Questi malati, se non li curiamo noi non li cura nessuno: è compito mio rimanere accanto a loro”, e questo compito l’ha pagato con la vita.

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    Bambini in carcere con le madri, c'è la riforma ma non le strutture

    ◊   Fra poco più di 15 giorni entrerà in vigore in Italia la legge che dovrebbe chiudere le porte del carcere ai bambini, ma le strutture che dovranno ospitare le donne con i loro figli non sono sufficienti. Le associazioni che si occupano della tutela dei più piccoli lanciano un appello per attivare nuove strutture. Il servizio di Filippo Passantino:

    Basta bambini in carcere. La legge 62/2011, in vigore dal primo gennaio, consente alle madri di scontare la pena con i loro figli in istituti a custodia attenuata, luoghi senza sbarre simili ad asili nido, e non più in carcere. Le strutture esistenti, però, sono solo due, una a Milano e una a Venezia. E i posti a disposizione non bastano ad accogliere i circa 60 bambini al di sotto dei tre anni che sono entrati in carcere con le mamme. L'obiettivo della legge, a 15 giorni dall’entrata in vigore, rischia così di rimanere incompiuto. E anche oggi l’argomento non è stato affrontato dal Consiglio dei Ministri. La nuova normativa consente inoltre alle madri di tenere il bambino con sé finché non compia sei anni, e non più tre. Così, alcune associazioni che si occupano della tutela dei figli di donne in carcere sollevano il problema. E il presidente di "Bambinisenzasbarre", Lia Sacerdote, chiede la ripresa del dibattito parlamentare:

    “Assolutamente, non abbiamo alzato l’età dei bambini che sono in carcere. Finora, i bambini restano fino a tre anni e questa legge fa pensare che possano stare fino a sei anni. Effettivamente, però, non è così”.

    Per madri e figli, si potrebbero aprire le porte di un’altra tipologia di strutture, affidate ai servizi sociali e agli enti locali: le case famiglia protette. In Italia, però, non ce n’è neppure una perché troppo costose. Ancora lia Sacerdote:

    R. - La cosa fondamentale è che questa legge prevede le case famiglia protette che, secondo noi, dovrebbero rappresentare la soluzione migliore. La legge, però, dice che non deve esserci un onere per lo Stato e queste case famiglia sono a carico degli enti locali, e gli enti locali devono avere delle risorse. Si tratta, quindi, di fare delle convenzioni per permettere a queste case famiglia di essere sostenute finanziariamente.

    D. – Convenzioni tra chi?

    R. – Tra l’ente locale, il Comune ed eventualmente l’organizzazione, che ha la disponibilità di ospitare in case famiglia protette.

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    Torna nella Basilica di Santa Croce il Crocifisso di Cimabue

    ◊   Torna nella Basilica di Santa Croce a Firenze il Crocifisso di Cimabue, primo esempio dell’iconografia francescana del Cristo dolente. Danneggiato dalla piena dell’Arno del 1966, restaurato dall’Opificio delle Pietre Dure e poi conservato per anni nel complesso museale del convento, ieri pomeriggio il capolavoro, ricontestualizzato nella sacrestia della chiesa a un'altezza di cinque metri, è stato benedetto dall’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori. Grande la soddisfazione di Stefania Fuscagni, presidente dell’Opera di Santa Croce, intervistata da Paolo Ondarza:

    R. - È avvenuto qualcosa di molto pertinente alla storia, allo spirito di Santa Croce. Un ritorno a una sacralizzazione, o meglio, una riconsacrazione di un’opera che dal museo rientra nella chiesa. Ed è stato bellissimo vedere questo volto tutto coperto ripassare per l’ingresso principale di Santa Croce, per poi entrare nel luogo rialzato dove il visitatore respira la sacralità di quel crocifisso. Quel crocifisso è stato il primo che ha interpretato in termini artistici lo spirito di San Francesco delle stimmate.

    D. - Ci troviamo infatti di fronte ad un esempio di Cristo Patients

    R. - …di Cristo Patients rispetto al Cristo Triumphans precedente. Un’idea di crocifissione che esprime l’incontro, attraverso le stimmate, tra Gesù crocifisso e San Francesco. Da questa spiritualità è nata un’immagine: la croce dipinta e dolente è l’incontro del Cristo con ognuno di noi. Chi ha più la cognizione che questa raffigurazione avvenne a partire dal 1200?

    D. - Quindi, appare opportuno riportare questo crocifisso in uno spazio sacro, anche per queste ragioni …

    R. - In uno spazio sacro e comunicarlo al visitatore, a quegli 800 mila visitatori che non entrano in un museo, ma in un luogo sacro, in cui sono state prodotte opere ispirate alla spiritualità, in questo caso di Francesco. L’idea di vedere il cardinale Betori che ribenedice il crocifisso di Cimabue, per noi è un messaggio che vogliamo dare al visitatore, sia esso cristiano o no. É un’informazione di senso. Noi “restauriamo il senso” di quelle opere d’arte che sono nate grazie ad uno spirito religioso.

    D. - Potremmo dire che vi trovate a maneggiare la storia, con grane attenzione alla delicatezza con la quale si può movimentare un manufatto artistico di tanto valore …

    R. - Abbiamo incaricato le ditte specializzate più accreditate a livello scientifico. Quando al Palazzo Vecchio e al Forte Belvedere un artista, che è un monaco orientale, fa una mostra di tipo religioso, oppure quando nella biennale dell’arte contemporanea di Firenze noi vediamo che il titolo è “L’etica come dna dell’arte”, mi chiedo: è possibile che noi cristiani non possiamo riportare alla percezione dei cristiani e dei non cristiani l’idea che la croce dipinta dolente è frutto di una spiritualità, quella di san Francesco? A Santa Croce bisogna farlo.

    D. - Vorrei ancora sottolineare un aspetto che lei ha già toccato: la collocazione nella sagrestia permette di elevare la croce ad un’altezza tale, al di sopra del corso del fiume, da metterla in sicurezza e non farla andare incontro nuovamente al rischio esondazione…

    R. - Certo. Non vogliamo arrivare al 2016 con il crocifisso ancora a rischio. E quindi abbiamo trovato una collocazione che ne rispetta anche la sacralità; noi chiederemo silenzio ai visitatori che verranno a vederla. Il nostro personale è stato formato non come personale di presidio, ma di accoglienza: dovrà comunicare al visitatore le forme opportune, a cominciare dal più assoluto silenzio, attraverso le quali contemplare queste opere. Crediamo di aver fatto una cosa assolutamente nuova.

    D. - Perché l’arte, in particolare quella sacra, adempia veramente a quella che è la sua funzione: quella di elevare lo Spirito…

    R. - Senza lo spirito religioso, quell’opera d’arte non ci sarebbe stata. Questo è quello che noi vogliamo comunicare.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: ad Aleppo e Mosul i cristiani si preparano al Natale in un clima di paura

    ◊   “Una strage impressionante che macchia la festa del Natale, ormai vicina”. È il commento, rilasciato all'agenzia Sir, dell’arcivescovo melchita di Aleppo, mons. Jean-Clement Jeanbart ai bombardamenti che, domenica scorsa, hanno provocato decine di morti nella città contesa dai ribelli e dalle forze del Presidente Assad. “Da parte nostra - dice il presule - cerchiamo di fare il possibile per infondere speranza alla gente perché goda di quella gioia che la nascita di Gesù riesce a trasmettere. Ma non è facile”. Mentre nelle zone periferiche della città si combatte duramente a colpi di artiglieria in quelle più centrali la gente si muove di più e cerca di rimediare il necessario per vivere. Non solo materialmente. “Per Natale ci aspettiamo molta affluenza - dichiara - per questo motivo verrà raddoppiata la sicurezza. Le comunità cristiane in questi giorni potrebbero diventare obiettivi di attentati terroristici. Pregheremo per la pace e per i nostri fratelli di Maaloula, dove la situazione è drammatica” conclude mons. Jeanbart che affida alla Conferenza di Ginevra 2, prevista nel prossimo gennaio, la speranza di “decisioni utili che riconsegnino la Siria ai siriani”. Da Aleppo a Mossul, altra città martire, ma irachena. Anche qui il Natale è accompagnato da una lunga scia di sangue. “Ormai da qualche mese la situazione in città si è deteriorata - racconta al Sir mons. Amel Shimon Nona, arcivescovo caldeo di Mosul - siamo tornati al clima di paura e di insicurezza del 2005 e degli anni seguenti. Abbiamo paura ma cercheremo comunque di festeggiare il Natale nelle nostre chiese e dentro le case”. “Le strade, i negozi non hanno più il colore della festa, le luci sono scomparse - continua l’arcivescovo - il clima che si respira è quello di un cambiamento dovuto al fondamentalismo islamico che si è imposto dopo il 2003. Negli ambienti di lavoro, nelle scuole, nelle strade, non c’è più il sentimento di convivenza di prima. Con conseguenze evidenti: prima del 2003 in città vi erano settemila famiglie cristiane, oggi meno di 1.200”. Anche a Mossul celebrazioni pomeridiane e mattutine per evitare attentati. (R.P.)

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    Sud Sudan: a Juba ancora scontri. Migliaia nelle basi Onu

    ◊   Scontri a fuoco sono ripresi nella notte a Juba e sono tutt’ora in corso: lo dicono all'agenzia Misna fonti concordanti, raggiunte in diverse zone della città, all’indomani della denuncia da parte del presidente Salva Kiir di un tentativo di golpe da parte del suo ex vice Riek Machar e di militari che lo sosterrebbero. “Sparano dappertutto e siamo tutti chiusi in casa” dice Albino Tokwaro, direttore dell’emittente cattolica Radio Bakhita, raggiunto in una zona centrale della città. “Scontri sono in corso nei pressi dell’aeroporto e in altri quartieri” sottolinea Tapiwa Gomo, responsabile a Juba dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha). Gomo conferma che, nel timore di violenze e rappresaglie, circa 13.000 persone si sono rifugiate in due basi delle Nazioni Unite. Secondo il ministro degli Esteri Barnaba Marial, oggi l’esercito sta “schiacciando” gli “ultimi” militari che sosterrebbero il tentativo di golpe. Una tesi, questa, priva di riscontri indipendenti. Ieri sera è stato riferito dell’arresto di quattro ex ministri, come Machar destituiti a luglio dal presidente. Secondo il governo, le vittime degli scontri sono finora 26, mentre i feriti più di 120. Per ora non sono segnalati incidenti al di fuori della capitale. “A Wau la gente è andata al lavoro e per ora la situazione sembra normale” dice un’altra fonte della Misna che si trova in questa città del nord-ovest del Paese. A Juba i combattimenti sono cominciati domenica sera, nella principale caserma della città, dopo un colloquio tra Kiir e Machar. A scontrarsi sono stati reparti composti per lo più da militari delle due maggiori comunità del Sud Sudan: Dinka, quella del Presidente, e Nuer, quella del suo ex vice. (R.P.)

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    Sudan: nel Darfur la pace è lontana. In aumento gli sfollati

    ◊   Sono quasi due milioni gli sfollati nella regione del Darfur: lo hanno riferito responsabili delle Nazioni Unite in Sudan, sottolineando che solo quest’anno scontri e violenze tra comunità in lotta tra loro o tra formazioni ribelli e militari di Khartoum hanno spinto a lasciare le loro case 460.000 persone. Nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a El Fasher, il capoluogo del Darfur settentrionale, il coordinatore dell’Onu per le questioni umanitarie Ali Al Za’tari ha aggiunto che nella regione un milione e 300.000 persone sono malnutrite o a rischio malnutrizione. Dati, questi, diffusi in coincidenza con notizie non incoraggianti sul processo di pace. Responsabili del governo sudanese hanno ribadito ieri che ogni intesa dovrà essere sottoscritta nel quadro del Documento di Doha per la pace in Darfur. Il riferimento è un accordo del 2010 respinto dalle principali formazioni ribelli, il Movimento giustizia e uguaglianza (Jem) e l’Esercito di liberazione del Sudan (Slm) guidato da Minni Minnawi. Ancora nel fine-settimana, entrambi i gruppi hanno chiesto un negoziato che abbracci anche i conflitti in corso nelle regioni meridionali del Sud Kordofan e del Nilo Blu. Abitato per lo più da popolazioni non arabe, diffidenti o ostili nei confronti del governo sudanese, il Darfur è stato dilaniato da un conflitto civile tra il 2003 e il 2007. Ancora oggi la regione stenta a ritrovare un suo equilibrio interno, come confermano scontri armati e crisi locali che si succedono quasi senza soluzione di continuità. (R.P.)

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    Gaza: l'Onu chiede di sollevare il blocco a causa delle alluvioni

    ◊   Sono più di 10.000 i residenti della Striscia di Gaza costretti a lasciare le proprie case dalle alluvioni e dalle piogge incessanti che da oltre una settimana si abbattono sulla regione. Lo riferisce l’ufficio dell’Onu per il coordinamento umanitario (Ocha) secondo cui “le zone più colpite sono quelle nel nord della Striscia e di Gaza City dove oltre 1.500 abitazioni risultano inagibili per i danni causati dall’acqua”. Secondo la stampa palestinese ripresa dall'agenzia Misna, almeno due persone sono morte negli ultimi quattro giorni e 17 scuole sono state convertite in strutture per l’accoglienza ai disastrati. In alcuni campi profughi, ha spiegato Chris Gunness, portavoce dell’agenzia Onu per i Rifugiati palestinesi (Urnwa), “l’acqua a terra ha raggiunto i due metri di altezza”. Lo scenario preoccupa gli operatori umanitari, poiché sul territorio mancano numerose infrastrutture a causa dell’embargo sui materiali da costruzione imposto da Israele, che oggi ha consentito il passaggio di carburante e quattro idrovore. Si ritiene che circa il 10% dei campi coltivati siano stati inondati, con la conseguente perdita del raccolto e oltre 120.000 polli e 200 bovini siano periti nelle inondazioni. Gunness ha dichiarato ampie regioni della Striscia “zona disastrata” e ha invitato la comunità internazionale a chiedere la totale sollevazione del blocco israeliano al fine di consentire l’ingresso di aiuti. “Ogni comunità farebbe fatica a riprendersi da questo disastro – ha detto il portavoce di Unrwa – Ma una comunità che è stata sottoposta a uno dei blocchi più lunghi della storia, il cui sistema di sanità pubblica è stato distrutto e dove il rischio di malattie era già all’ordine del giorno, deve essere liberata da questi vincoli artificiali per affrontare l’impatto di una tale calamità naturale”. (R.P.)

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    Cile. Mons. Ezzati alla neopresidente Bachelet: le proposte della Chiesa per il futuro del Paese

    ◊   Primo faccia a faccia ieri tra il Presidente della Conferenza episcopale cilena, mons. Ricardo Ezzati Andrello, e la neo-eletta presidente del Cile Michelle Bachelet. 15 minuti di colloquio in cui l’arcivescovo di Santiago del Cile ha illustrato le proposte della Chiesa per il futuro del Paese. “La Chiesa cattolica – ha detto il presule – non è un’istituzione politica, ma la politica e la Chiesa hanno gli stessi destinatari, che sono gli uomini e le donne del Cile e quindi il popolo cileno ci interessa e, come sempre, partendo dalla nostra identità, siamo pronti ad appoggiare lo sviluppo integrale di tutte le persone”. Riferendosi in particolare ai controversi temi dell’aborto e del matrimonio omosessuale affrontati durante la campagna elettorale, mons. Ezzati ha affermato che le proposte della Chiesa “evidenziano che il rispetto e la promozione della vita, riguarda molti altri problemi come il lavoro, l’alloggio, l’educazione e il rispetto degli anziani, tra gli altri”. “Per la Chiesa – ha puntualizzato - i temi valoriali non sono solamente due, ma sono strettamente legati a quei valori che permettono il pieno sviluppo e realizzazione della vita umana”. Riferendosi al basso flusso di votanti al ballottaggio di domenica, mons. Ezzati ha affermato di rispettare la libertà di coloro che hanno scelto di non votare, aggiungendo però, che “il bene comune, che è un diritto, è costruito con il contributo di tutti". Egli ha quindi concluso con l’auspicio che "una vera e propria educazione civica, una concezione alta della politica, la costruzione della polis, diventino un vero patrimonio per tutti gli uomini e donne del Cile." In vista della tornata elettorale, a novembre i vescovi del Cile avevano pubblicato un messaggio per esortare i cittadini cileni ad esercitare con coscienza il proprio diritto di voto e i politici a contribuire allo sviluppo sociale del Paese. Nel documento i presuli avevano richiamato l’attenzione dei fedeli su tre punti: la difesa incondizionata della vita dal concepimento fino alla morte naturale, quindi contro le aperture delle due candidate a una possibile modifica dell’attuale legge sull’aborto; la tutela della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, contro l’ipotesi di legalizzare i matrimoni omosessuali, alla quale si è detta favorevole la vincitrice. Infine, il messaggio richiamava l’attenzione sul tema della giustizia sociale. “La società cilena - denunciava il messaggio - continua a essere ferita da vergognosi divari che escludono migliaia di concittadini dalle condizioni necessarie per il loro sviluppo integrale, una realtà che non riguarda solo i settori più poveri e vulnerabili, ma anche la classe media”. (L.Z.)

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    Usa: nuove iniziative dei vescovi per la protezione dei migranti e della libertà religiosa

    ◊   Un invito alla preghiera e all’impegno personale contro il traffico e lo sfruttamento degli esseri umani: a lanciarlo è la Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Ucscb), che in una nota ripresa dall’Osservatore Romano richiama la questione delle persone che rimangono vittime della tratta o della schiavitù. Sono 20.000 immigrati, soprattutto dal Messico che ogni anno attraversano i confini del Paese e che sono privati della loro dignità, restando intrappolati nello sfruttamento sessuale o nel lavoro forzato. Per richiamare l’attenzione su questo problema la Usccb ha indetto per il prossimo 8 febbraio una giornata di sensibilizzazione. Inoltre nei primi mesi del 2014, inviterà tutte le parrocchie a mettere in atto diverse iniziative in questo senso, in particolare durante la Settimana nazionale dedicata alle migrazioni (5-11 gennaio). Da tempo l’episcopato statunitense preme sul Congresso per l’approvazione di una legge che garantisca una migliore protezione dei diritti degli immigrati. Nel 2013, esso ha tra l’altro lanciato l’ ”Amistad Movement”, un movimento per prevenire e potenziare la lotta contro lo sfruttamento e il traffico di esseri umani. Inoltre è tra i membri fondatori della «Coalition of Catholic Organizations against Human Trafficking» che, fra l’altro, si occupa di dare sostegno alle iniziative legislative in materia. Continua intanto l’impegno dei vescovi in difesa della libertà religiosa. A tale riguardo, è stato espresso apprezzamento per la presentazione al Senato della proposta di legge sul “Matrimonio e la Libertà Religiosa”. In sostanza la normativa proposta, presentata il 12 dicembre, intende proteggere gli individui o le organizzazioni che osservano i loro convincimenti religiosi e morali in tema di matrimonio tradizionale quale unione fra un uomo e una donna, contro ogni forma di discriminazione. Il disegno di legge impedisce alle autorità di negare, per esempio, una sovvenzione a una organizzazione che difende il matrimonio tradizionale. “Un passo importante per preservare la libertà religiosa a livello federale, così mons. William Edward Lori, presidente della Commissione per la libertà religiosa, commentato l’inziativa auspicando una rapida approvazione della legge. “Stiamo assistendo a un crescente clima di intolleranza — ha osservato il presule — contro le persone e le organizzazioni che credono che il matrimonio sia solo l’unione fra un uomo e una donna”. (A cura di Lisa Zangarini)

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    Lampedusa: l'Onu chiede all'Italia trasferimenti rapidi e regolari

    ◊   L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) chiede al governo italiano soluzioni urgenti per migliorare gli standard di accoglienza nel Centro di Soccorso e Prima Accoglienza di Lampedusa per tutti coloro che, costretti alla fuga da guerre e persecuzioni, giungono sul territorio italiano in cerca di protezione. E’ fondamentale rispettare la natura di soccorso, prima accoglienza e transito del centro di Contrada Imbriacola. Il Centro è stato realizzato per fornire una prima accoglienza ai migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare, in attesa del loro rapido trasferimento - entro 48 ore al massimo - verso appositi Centri dislocati su tutto il territorio italiano, dove i loro casi vengano presi in esame. Senza un adeguato sistema di rapido trasferimento dei migranti fuori dall’isola si verificano costantemente situazioni di grave degrado anche in vista di possibili nuovi arrivi via mare. “Sono anni che chiediamo alle autorità italiane trasferimenti rapidi da Lampedusa.” Ha dichiarato oggi Laurens Jolles, delegato dell’Unhcr per l’Italia e il Sud Europa. “Il sovraffollamento che si verifica costantemente è insostenibile e dà origine ad una situazione nella quale, nonostante gli sforzi degli operatori umanitari, l’assistenza fornita è altamente al di sotto degli standard minimi". Anche i lavori di ampliamento del Centro, che l’Unhcr chiede dal 2011 e che erano recentemente cominciati, sono attualmente bloccati a causa della presenza troppo numerosa di ospiti. Il Centro di accoglienza deve essere riportato rapidamente alla sua capienza originaria di 850 posti al fine di evitare che, anche con un singolo sbarco, possano crearsi situazioni di disagio estreme dovute al sovraffollamento: condizioni igienico sanitarie critiche, spesso con persone costrette a dormire all’addiaccio negli spazi adiacenti al centro di accoglienza. L’Unhcr esprime inoltre particolare preoccupazione per la situazione di 26 cittadini siriani ed eritrei, alcuni dei quali sopravvissuti ai terribili naufragi di ottobre, che si trovano nel Centro di accoglienza di Lampedusa da oltre due mesi a disposizione della Magistratura come testimoni. “E’ incomprensibile – ha concluso Jolles – come queste persone, alcune delle quali sopravvissute ad una tragedia di enormi proporzioni, si trovino ancora bloccate a Lampedusa senza che sia garantita loro la tranquillità necessaria per superare il trauma e cercare di rifarsi una vita in dignità". (R.P.)

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    Argentina: messaggio di speranza dei vescovi della Patagonia

    ◊   “Vogliamo salutarvi con il saluto degli angeli ai pastori: non temete, non abbbiate paura, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo!” Inizia così il Messaggio natalizio dei vescovi della Patagonia argentina, pervenuto all’agenzia Fides, che poi prosegue: “Sappiamo di vivere in tempi difficili. Chiunque guardi con obiettività e responsabilità questo tempo della storia non può che segnalare situazioni molto complesse e preoccupanti”. Quindi i vescovi, guardando “alla nostra Patagonia”, scrivono: “Quanti interessi economici senza misura e concentrati in pochi, questo fa sì che molti vivano nella precarietà! Quante disuguaglianze ed ingiustizie, che poi diventano ‘normali’ negli stipendi gonfiati di alcuni e solo ‘briciole’ per molti, grazie all'uso improprio e alla corruzione nella gestione dei beni pubblici! Quanta violenza alimentata dalla mancanza delle pari opportunità!”. Tutto questo non deve comunque soffocare la speranza, e il Messaggio invita ad ascoltare ancora l’invito del Natale: "Non temere, e non abbiamo dubbio di questo invito perché deriva dal fatto che il Signore è con noi, e che in Lui la vita nuova e piena, è una realtà messa nelle nostre mani". Nella conclusione i vescovi invitano le comunità a vivere l'invito di Gesù nella vicinanza con tutti: "La vicinanza non ci lascia indifferenti, anzi, è l'inizio del cammino di una nuova vita". (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 351

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