Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 13/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: l'Albero di Natale è segno della gioia di Gesù che illumina il mondo
  • Il Papa: i cristiani allergici ai predicatori criticano sempre, ma sono chiusi allo Spirito
  • Predica d’Avvento di p. Cantalamessa: San Francesco guidi la Chiesa ad essere umile, a servire per amore
  • I bambini del Dispensario S. Marta attendono con trepidazione la visita di Papa Francesco
  • Dal Papa il segretario generale dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica
  • Tweet del Papa: non temere di accostarti alla Confessione, incontri Gesù che ti perdona
  • Mons. Parolin al Corpo Diplomatico: la Chiesa impegnata a costruire un futuro di pace e fraternità
  • Il servizio della carità a un anno dal Motu Proprio di Benedetto XVI: intervista con il card. Sarah
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Accordo tra governo e ribelli M23 in Congo. Baioni: ci sono premesse per la pace
  • Accertati casi di uso di armi chimiche in Siria mentre resta alta l’emergenza bambini
  • A Vilnius, l’evento conclusivo dell’Anno europeo dei cittadini 2013
  • Filippine: dopo il ciclone Haiyan si aggrava la piaga della tratta degli esseri umani
  • Cristianesimo e libertà binomio al centro di una conferenza all'Urbaniana
  • In Trentino, fino al 21 dicembre, le Universiadi: 3.600 gli atleti che partecipano ai giochi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: esplode la rabbia. Si aggrava la crisi umanitaria
  • Centrafrica: i leader religiosi cristiani e musulmani condannano le violenze interreligiose
  • India: il premier Singh chiede scusa al clero di Delhi per le violenze della polizia
  • Medio Oriente: forti nevicate mettono a dura prova i profughi siriani
  • Uruguay. La Chiesa: la legalizzazione della marijuana farà affondare la famiglia
  • Ucraina: tre ex presidenti a confronto con Gruppo "Primo dicembre" e card. Husar
  • Bombe a grappolo: nell'arco di 3 anni un flusso di 24 miliardi di dollari
  • Sri Lanka: la Chiesa chiede un accordo tra le etnie per indagare sui crimini di guerra
  • Filippine. La Chiesa al presidente: no alla cementificazione selvaggia
  • Madrid: Papa Francesco in diretta Tv con le famiglie europee per la Festa della Santa Famiglia
  • Svizzera. Appello Caritas: maggiori tutele per i minori richiedenti asilo
  • Registrati 100mila casi di maltrattamento sui minori
  • Un cammino di speranza con Maria: a Roma, il “sabato mariano” dall’Avvento a Pasqua
  • A 88 anni si è spento Benny Lai, decano dei vaticanisti italiani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: l'Albero di Natale è segno della gioia di Gesù che illumina il mondo

    ◊   Anche oggi Gesù viene a dissipare le tenebre del mondo con la sua luce. Con questo pensiero ispirato all’Avvento, Papa Francesco ha accolto e ringraziato questa mattina in Vaticano l’ampia delegazione della Baviera, giunta in pellegrinaggio a Roma per partecipare all’accensione, oggi pomeriggio alle 16.30, dell’Albero di Natale in Piazza San Pietro, donato dal land tedesco. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Sette tonnellate abbondanti di rami verdi che svettano appuntendosi verso il cielo, a indicare l’origine della “grande luce” che da duemila anni mostra al mondo una strada di speranza e salvezza. Il maestoso Albero di Natale bavarese che tra poche ore illuminerà Piazza San Pietro ha questo significato e Papa Francesco lo ha sottolineato alle circa 350 persone che proprio dalla Baviera hanno voluto raggiungere Roma per fare corona a quella che è da tanti anni una tradizione natalizia vaticana:

    “A Natale riecheggia in ogni luogo il lieto annuncio dell’angelo ai pastori di Betlemme: ‘Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore’ Quei pastori – dice il Vangelo – furono avvolti da una grande luce. Anche oggi Gesù continua a dissipare le tenebre dell’errore e del peccato, per recare all’umanità la gioia della sfolgorante luce divina, di cui l’albero natalizio è segno e richiamo”.

    Era dal 1984 che un abete natalizio proveniente dalla Germania non campeggiava in Piazza San Pietro. Nella fattispecie, l’albero monumentale proviene dal comune di Waldmünchen, nell’Alto Palatinato, insieme al quale la delegazione bavarese ha fatto giungere altri alberi più piccoli, che orneranno vari ambienti della Città del Vaticano:

    “Con questi doni, tanto graditi, voi avete voluto manifestare la vicinanza spirituale e l’amicizia che legano la Germania tutta, e in particolare la Baviera, alla Santa Sede, nel solco della tradizione cristiana che ha fecondato la cultura, la letteratura e l’arte della vostra Nazione e dell’Europa intera”.

    Come accade ormai da alcuni anni, il legno dell’Albero di Natale sarà utilizzato per la creazione di piccoli oggetti di uso quotidiano e di giocattoli da destinare ai bambini di famiglie indigenti.

    inizio pagina

    Il Papa: i cristiani allergici ai predicatori criticano sempre, ma sono chiusi allo Spirito

    ◊   I cristiani allergici ai predicatori hanno sempre qualcosa da criticare, ma in realtà hanno paura di aprire la porta allo Spirito Santo e diventano tristi: lo ha affermato il Papa stamani nella Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Nel Vangelo del giorno, Gesù paragona la generazione del suo tempo a quei bambini sempre scontenti “che non sanno giocare con felicità, che sempre rifiutano l’invito degli altri: se suonano, non ballano; se cantano un canto di lamento, non piangono … nessuna cosa gli va bene”. Papa Francesco spiega che quella gente “non era aperta alla Parola di Dio”. Il loro rifiuto “non è al messaggio, è al messaggero”. Rifiutano Giovanni Battista, che “non mangia e non beve” ma dicono che “è un indemoniato!”. Rifiutano Gesù, perché dicono che “è un mangione, un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Hanno sempre un motivo per criticare il predicatore:

    “E loro, la gente di quel tempo, preferivano rifugiarsi in una religione più elaborata: nei precetti morali, come quel gruppo di farisei; nel compromesso politico, come i sadducei; nella rivoluzione sociale, come gli zeloti; nella spiritualità gnostica, come gli esseni. Erano con il loro sistema ben pulito, ben fatto. Ma il predicatore, no. Anche Gesù fa fare loro memoria: ‘I vostri padri hanno fatto lo stesso con i profeti’. Il popolo di Dio ha una certa allergia per i predicatori della Parola: i profeti, li ha perseguitati, li ha uccisi”.

    Queste persone, dunque, – prosegue il Papa – dicono di accettare la verità della rivelazione, “ma il predicatore, la predicazione, no. Preferiscono una vita ingabbiata nei loro precetti, nei loro compromessi, nei loro piani rivoluzionari o nella loro spiritualità” disincarnata. Sono quei cristiani sempre scontenti di quello che dicono i predicatori:

    “Questi cristiani che sono chiusi, che sono ingabbiati, questi cristiani tristi … non sono liberi. Perché? Perché hanno paura della libertà dello Spirito Santo, che viene tramite la predicazione. E questo è lo scandalo della predicazione, del quale parlava San Paolo: lo scandalo della predicazione che finisce nello scandalo della Croce. Scandalizza che Dio ci parli tramite uomini con limiti, uomini peccatori: scandalizza! E scandalizza di più che Dio ci parli e ci salvi tramite un uomo che dice che è il Figlio di Dio ma finisce come un criminale. Quello scandalizza”.

    “Questi cristiani tristi – afferma il Papa - non credono nello Spirito Santo, non credono in quella libertà che viene dalla predicazione, che ti ammonisce, ti insegna, ti schiaffeggia, pure; ma è proprio la libertà che fa crescere la Chiesa”:

    “Vedendo questi bambini che hanno paura di ballare, di piangere, paura di tutto, che chiedono sicurezza in tutto, penso a questi cristiani tristi che sempre criticano i predicatori della Verità, perché hanno paura di aprire la porta allo Spirito Santo. Preghiamo per loro, e preghiamo anche per noi, che non diventiamo cristiani tristi, tagliando allo Spirito Santo la libertà di venire a noi tramite lo scandalo della predicazione”.

    inizio pagina

    Predica d’Avvento di p. Cantalamessa: San Francesco guidi la Chiesa ad essere umile, a servire per amore

    ◊   L’umiltà di San Francesco d’Assisi al centro della seconda predica d’Avvento, stamani nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, per il Papa e la Curia Romana. A tenerla, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa. Il servizio di Giada Aquilino:

    “Verità davanti a Dio” ed “esempio di Cristo”. Queste le due fonti d’illuminazione dell’umiltà di San Francesco d’Assisi, nella riflessione offerta da padre Cantalamessa al Papa e alla Curia Romana. Oggi, ha detto il predicatore della Casa Pontificia, tutto il mondo “corre dietro a Francesco”:

    “Il mondo va dietro a Francesco, perché vede realizzati in lui quei valori ai quali ognuno anela: la libertà, la pace, la pace con se stessi e con il Creato, la fratellanza e la gioia. Noi, però, parleremo di una dote di Francesco alla quale il mondo non aspira affatto, sono pochissimi quelli che vi aspirano, ma che è invece la radice di tutti quei valori che abbiamo nominato: è l’umiltà”.

    Una umiltà che va compresa guardando all’esempio di Maria, che aveva la virtù dell’umiltà - “e in grado sommo”, ha detto il frate cappuccino - ma non lo sapeva. E questo è il pregio dell’umiltà: “è un profumo che non sente chi lo emana, ma chi lo riceve”, ha aggiunto. Nel caso di San Francesco, “siamo davanti all’umiltà essenziale, quella della creatura che prende coscienza di sé al cospetto di Dio”:

    “Finché la persona si commisura con se stessa o con gli altri o con la società, non si conosce mai: le manca la misura esatta. Francesco ha posseduto esattamente questo tipo di umiltà teologica. Diceva: ‘Quello che un uomo è davanti a Dio, quello è e niente più’”.

    Essere umile, ha spiegato padre Cantalamessa, “è guardare Dio prima che se stessi”. Ciò che colpisce San Francesco è l’umiltà di Dio:

    “Francesco ha colto una verità profondissima su Dio, che dovrebbe riempire di stupore, venerabili Padri e fratelli - anche noi: Dio è umiltà, perché è amore”.

    L’amore per sua natura, ha riflettuto il predicatore della Casa Pontificia, crea “dipendenza e la dipendenza è umiltà: per questo – ha aggiunto – Dio è umiltà, perché è amore”.

    “La manifestazione visibile dell’umiltà di Dio si ha contemplando Cristo, che si mette in ginocchio davanti ai suoi discepoli, per lavare loro i piedi. E possiamo immaginare anche che erano piedi sporchi! E si ha ancora di più quando, ridotto alla radicale impotenza sulla Croce, continua ad amare, senza mai condannare”.

    Francesco ha colto il nesso tra l’umiltà di Dio e l’incarnazione. Scopriamo così, ha proseguito, che l’umiltà “non consiste principalmente nell’essere ‘piccoli’, perché si può essere ‘piccoli’ senza essere umili”:

    “E’ nel farsi piccoli e non per qualche necessità ma per amore, per innalzare gli altri”.

    Così ha fatto Gesù, che “si è fatto umile, come si è fatto carne”, ha spiegato padre Cantalamessa. Un volto nuovo dell’umiltà, dunque, che si riassume con una parola: “servizio”. Per diventare “il primo”, bisogna “farsi ultimo”, ha ricordato il predicatore, aggiungendo che “se Dio è umiltà anche la Chiesa deve essere umiltà, se Cristo ha servito, anche la Chiesa deve servire, per amore”:

    “Per troppo tempo io credo che la Chiesa, nel suo insieme, abbia mostrato al mondo la verità di Cristo, ma non abbastanza e altrettanto chiaramente l’umiltà di Cristo”.

    E’ con essa, l’umiltà di Cristo, “che - ha concluso - si placano le ostilità, si smontano i pregiudizi e si apre la via all’accoglimento del Vangelo”.

    inizio pagina

    I bambini del Dispensario S. Marta attendono con trepidazione la visita di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco visiterà, domani mattina, il Dispensario pediatrico “Santa Marta” in Vaticano. Quindi, in Aula Paolo VI, incontrerà i bambini assistiti dal Dispensario con le loro famiglie e i volontari che, ogni giorno, prestano servizio nella struttura caritativa affidata alle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Benedetto XVI aveva visitato il Dispensario il 30 dicembre del 2005. Attraverso le testimonianze, raccolte da Alessandro Gisotti, respiriamo il clima di gioia e attesa che si vive a “Santa Marta”:

    La comunità del Dispensario Santa Marta aspetta con trepidazione l’incontro con Papa Francesco. Un gesto che conferma l’amore che i Pontefici hanno sempre nutrito verso questa opera di carità in Vaticano, voluta oltre 90 anni fa da Benedetto XV. A riassumere i sentimenti che hanno nel cuore i bambini, i loro genitori come anche i volontari è suor Antonietta Collacchi, responsabile del Dispensario:

    “Dentro ognuno di noi c’è tanta gioia e tanta allegria, perché è un evento grande: un evento grande per noi, perché sappiamo quanto i poveri stanno a cuore a Papa Francesco. Noi li serviamo tutti i giorni, veramente serviamo la Carne di Gesù. Sarà bello per lui stare così in mezzo a noi, in mezzo ai bambini che ama tanto. Papa Francesco trasmette soprattutto serenità, il suo sorriso ti appaga, ti rende veramente felice!”.

    Attualmente sono 270 le famiglie accolte a “Santa Marta”. Nell’anno in corso si sono registrate più di 3.500 visite mediche al Dispensario. I bambini accolti e curati nella struttura provengono da tutti i continenti. I medici volontari che prestano servizio sono 22, a loro si affiancano altri 25 volontari. Un’opera silenziosa che cerca di “fare bene il bene”, come diceva San Vincenzo de’ Paoli. La testimonianza di Javier Lièvano, colombiano, da 12 anni collaboratore del Dispensario:

    “Sembra che sia un’opera silenziosa, però il Dispensario è conosciuto tra tutti i nostri amici, le nostre famiglie, che vengono qui a bussare alla porta. Il Dispensario ha aiutato migliaia di bambini e di famiglie. Quindi, questa è una cosa magnifica! E' una cosa importante per noi poter raggiungere tutte queste famiglie, anche se altri magari non ci conoscono… Però, piano piano, ci conosceranno!”.

    Al Dispensario, i volontari sono soliti affermare che “non solo danno ma ricevono anche”. Per tutti il servizio a “Santa Marta” è un’esperienza intensa di amore al prossimo bisognoso. D’altro canto, Papa Francesco è un esempio da seguire anche per i medici, come sottolinea il pediatra Gennaro Viviano:

    “Papa Francesco è l’immagine quotidiana di quello che un medico dovrebbe fare. Quello che cerchiamo di fare noi, col suo esempio, è mettere in pratica questo comportamento”.

    inizio pagina

    Dal Papa il segretario generale dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il segretario generale della Organizzazione per la Cooperazione Islamica, Ekmeleddin Ihsanoglu, mons. David Douglas Crosby, vescovo di Hamilton, in Canada, vicepresidente della Conferenza dei vescovi canadesi, assieme al vicepresidente, mons. Lionel Gendron, vescovo di Saint-Jean-Longueuil, e al segretario generale, mons. Patrick Powers. Il Papa ha infine ricevuto Ettore Bernabei, presidente onorario di “Lux Vide”.

    Papa Francesco ha nominato osservatore permanente presso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS/CEDEAO), l’arcivescovo Augustine Kasujja, nunzio apostolico in Nigeria.

    In Malaysia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Kuala Lumpur, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Murphy Nicholas Xavier Pakiam.

    In Messico, il Pontefice ha nominato Vescovo di Campeche mons. José Francisco González González, finora ausiliare di Guadalajara. Mons. González González è nato a Yahualica, Stato di Jalisco, attualmente diocesi di San Juan de los Lagos, il 17 marzo 1966. Compì gli studi ecclesiastici nel Seminario arcivescovile di Guadalajara. Il 4 giugno 1995 fu ordinato sacerdote. Dal 1996 al 2000 ha conseguito la licenza in Diritto canonico presso l’Università della Santa Croce e quella in Teologia Biblica, presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato professore nel Seminario Maggiore di Guadalajara e formatore e Vice-Rettore nel Seminario Minore ed anche Avvocato nel Tribunale Interdiocesano. Ha esercitato il ministero pastorale in diverse parrocchie. Il 14 febbraio 2008 è stato nominato Vescovo titolare di Feradi maggiore e Ausiliare di Guadalajara.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: non temere di accostarti alla Confessione, incontri Gesù che ti perdona

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Non temere di accostarti alla Confessione – scrive - in questo Sacramento incontri Gesù che ti perdona”.

    inizio pagina

    Mons. Parolin al Corpo Diplomatico: la Chiesa impegnata a costruire un futuro di pace e fraternità

    ◊   “Dobbiamo dimostrare che la pace è possibile, non è un’utopia”. E’ quanto affermato dal neosegretario di Stato, mons. Pietro Parolin, nell’incontro di stamani in Vaticano con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Mons. Parolin ha sottolineato che la Chiesa, come chiede Papa Francesco, è impegnata a costruire insieme a tutti un’umanità che sia una vera famiglia in cui il dialogo vince sulla guerra e i contrasti. L’udienza è stata anche l’occasione per mons. Parolin di ringraziare gli ambasciatori per gli auguri che gli sono stati rivolti in occasione della nomina a segretario di Stato. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto dal decano del Corpo diplomatico, l’ambasciatore del Principato di Monaco, Jean-Claude Michel. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    In un periodo in cui tante aree del mondo sono ferite dalla guerra e dalla povertà, assicuro la “mia disponibilità a collaborare per la ricerca della pace e il rispetto della dignità di ogni essere umano”. Collaborare: è questa la parola chiave del discorso che mons. Pietro Parolin ha rivolto al Corpo Diplomatico. Il nuovo segretario di Stato vaticano riecheggia Papa Francesco e il tema della fraternità architrave del suo Messaggio per la Giornata Mondiale della pace. E avverte che “non si può restare insensibili alla sofferenza che tocca drammaticamente” tanti esseri umani:

    “Nous devons montrer que la paix est possibile…”
    “Noi – è la sua esortazione – dobbiamo dimostrare che la pace è possibile”, “non è un’utopia”. La pace, sottolinea, è “un bene concreto che viene da Dio e che noi possiamo contribuire a costruire grazie al nostro impegno personale e solidale”. Per questo, ribadisce, “è necessario lavorare assieme alla costruzione di una vera cultura della pace, rispondendo con coraggio alle sfide che mettono in pericolo un’autentica coesistenza tra le persone e i popoli”. Mons. Parolin rivolge, dunque, il pensiero alla felicità che, annota, è “una delle aspirazioni più profonde dell’uomo”. E si chiede se la “missione dei diplomatici non sia proprio quella di lavorare per rendere il mondo più felice”, attraverso delle “relazioni sempre più fraterne”:

    “Comme l’a exprimé bien des fois le Pape François…”
    “Come ha più volte ben spiegato Papa Francesco – afferma mons. Parolin – ogni essere umano” è “creato per la gioia”. E questa si trova anche nei progressi “verso la pace e verso la concordia tra i popoli”. E’ la gioia “dell’incontro e della condivisione, del dialogo e della riconciliazione”. Ecco, soggiunge, “qual è l’umanità che noi cerchiamo di costruire assieme”:

    “Une humanité qui soit une véritable famille…”
    “Un’umanità – evidenzia – che sia una vera famiglia, un’umanità dove il dialogo abbia la meglio sulla guerra nel regolare le controversie, un’umanità dove la forza dei potenti sostenga la debolezza dei più piccoli, un’umanità dove la forza dei deboli rimedi alla debolezza dei forti”. Noi sappiamo, prosegue, quanto le donne e gli uomini del nostro tempo abbiano bisogno di trovare sulla propria strada persone davvero fraterne che possono donare loro “una speranza per l’avvenire”. Papa Francesco, assicura mons. Parolin, “vuole che i cristiani siano proprio queste persone”:

    “Il veut que l’Eglise annonce, témoigne et porte la joie…”
    “Egli – riafferma – vuole una Chiesa che annunci, testimoni e porti la gioia”. Un impegno, rammenta mons. Parolin, che il Pontefice “ripete con insistenza” nella Evangelii Gaudium. Papa Francesco, afferma ancora, vuole una Chiesa con “le porte aperte, simbolo di luce, di amicizia, di gioia, di libertà e fiducia”. Vuole “una Chiesa meno preoccupata di rafforzare le sue frontiere, ma che crea l’incontro e comunica la gioia del Vangelo”. Nell’avvicinarsi al Natale, mons. Parolin ha quindi augurato agli ambasciatori “pace e gioia”, affinché i loro popoli "possano progredire verso un futuro migliore".

    inizio pagina

    Il servizio della carità a un anno dal Motu Proprio di Benedetto XVI: intervista con il card. Sarah

    ◊   A un anno dall’entrata in vigore del Motu Proprio di Benedetto XVI “Intima Ecclesiae Natura”, il Pontificio Consiglio Cor Unum ha organizzato un incontro alla Pontificia Università della Santa Croce, per riflettere su corresponsabilità e organizzazione del servizio della carità. Ma come il Motu Proprio, con cui Benedetto XVI ha esortato a rafforzare il ruolo dei vescovi e la trasparenza nelle attività caritative, ha cambiato l’organizzazione del servizio della carità? Elvira Ragosta lo ha chiesto al cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum:

    R. - Io penso che il cambiamento più importante sia proprio quello di riuscire a sensibilizzare i vescovi che questo compito della carità è un compito episcopale: dunque, dobbiamo coinvolgere i vescovi. Il vescovo ha anche il compito di mobilitare la comunità cristiana per incoraggiare ciascuno di noi - come cristiano, come comunità - ad attuare la carità come espressione della natura della Chiesa: quindi non soltanto dare qualcosa, ma esprimere che la carità rappresenta veramente il modo di essere della Chiesa.

    D. - Il sostegno materiale e il ristoro dell’anima anche per evitare - come diceva Papa Francesco - che la Chiesa diventi esclusivamente una ong…

    R. - Sì. La Chiesa non è un’ong, ma è la sposa di Cristo. Il suo compito è quello di prendere l’uomo integralmente: nei suoi bisogni materiali, ma anche nei suoi bisogni spirituali. Per questo, dunque, la carità ha questo doppio orientamento: aiutare l’uomo, curarlo come Cristo ha fatto, ma curarlo sì come malato, ma anche nella sua anima, perché forse la malattia più profonda è proprio questo distacco dell’uomo dalla sorgente, che è Dio!

    D. - Di particolare aiuto hanno bisogno, in questo momento, soprattutto i siriani. Lei è reduce da un viaggio in Libano, con lo scopo, insieme con la Caritas-Libano e l’Ospedale Bambino Gesù, per portare medicinali ai bambini. Com’è la situazione al momento?

    R. - E’ tragica! La guerra continua a creare povertà, sofferenza, soprattutto per i bambini e per le donne che hanno perso il marito… Dunque noi dobbiamo aiutare queste persone! Siamo stati a Baalbek, nella Valle della Beqā, per vedere come sia possibile affrontare questa situazione dei bambini che soffrono. Abbiamo visitato questo ospedale, che dobbiamo restaurare per riuscire così ad accogliere tra i 3-4 mila bambini.

    D. - Il rifornimento dei medicinali è già iniziato?

    R. - Sì! Abbiamo già visitato alcune farmacie con la Caritas Libano, che ha luoghi dove è possibile trovare tutto per curare non soltanto i bambini, ma tutte le persone che soffrono. Sicuramente bisogna continuare ad aiutare, bisogna mandare più medicine, più materiali, affinché la Caritas possa funzionare bene e quindi riuscire ad affrontare questa situazione tragica, che purtroppo aumenta ogni giorno. Soprattutto in questo momento, che è inverno, c’è una sofferenza più grande, perché non bisogna dare solo medicine ma anche riscaldamento, coperte, vestiti più caldi… Sono felice perché vedo che la Caritas Libano è veramente molto, molto attiva; è competente ed efficace!

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Senza paura della libertà: Messa del Papa a Santa Marta.

    Le maschere del cristianesimo: in prima pagina, Marco Bellizi sulla Chiesa di fronte ai grandi temi dibattuti in Europa.

    La forza del debole e la debolezza del potente: incontro del segretario di Stato con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

    Se il popolo guarda alla croce: il tribunale di Varsavia respinge la richiesta di rimuovere il simbolo religioso dal Parlamento polacco.

    Armi chimiche senza colpevoli: l’Onu conferma l'utilizzo di gas in Siria ma non individua i responsabili.

    Il segreto è l’empatia: Mariano Dell’Omo ricorda dom Gregorio Penco, decano degli storici del monachesimo italiano.

    Stelle e anelli che impreziosiscono il mondo: Stefano De Fiores sull’edizione critica settecentesca “Atlas Marianus” del gesuita Heinrich Scherer.

    In attesa: Giuliano Zanchi sull’umanesimo metafisico e dolente di Felice Casorati.

    Liberi o vagabondi?: Mauro Magatti descrive l’uomo moderno davanti alla crisi.

    L’uomo del dopodomani: Cristiana Dobner recensisce il libro curato da Giorgia Salatiello “Percorsi di ricerca”, dedicato al pensiero teologico di Karl Rahner.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Accordo tra governo e ribelli M23 in Congo. Baioni: ci sono premesse per la pace

    ◊   Dopo lo stallo nei negoziati del mese scorso, è stato firmato ieri, a Nairobi in Kenya, l’accordo di pace tra i ribelli congolesi dell'M23 e il governo della Repubblica Democratica del Congo. Sull’accordo, raggiunto attraverso la mediazione dell’Uganda, Antonella Pilia ha intervistato Giusy Baioni, giornalista esperta del Congo e membro dell’associazione “Beati costruttori di pace”:

    R. – Non si tratta di un vero e proprio accordo, che si poteva firmare già un mese fa: la sconfitta militare del movimento M23, e dunque la sua resa, risale infatti al cinque novembre. Il governo congolese però aveva sempre rifiutato un vero e proprio accordo, affermando di non volersi “abbassare” a firmare un patto con ribelli che si erano già arresi. Quindi, sostanzialmente, quello che è successo ieri – ugualmente importantissimo – è la sottoscrizione unilaterale di tre documenti diversi: innanzitutto, il movimento ribelle M23 ha dichiarato pubblicamente di arrendersi, di diventare un partito politico e rinunciare alla lotta armata; il governo congolese nel suo documento ha preso atto della resa dei ribelli e ha dichiarato che darà spazio a un’amnistia, ma solo per chi non si è macchiato di crimini di guerra. Infine, c’è una terza dichiarazione, siglata dai mediatori, che per un anno hanno cercato di portare al tavolo i due contendenti. Dunque, abbiamo queste tre dichiarazioni, che sostanzialmente significano la fine delle ostilità tra il governo e i ribelli dell’M23 nel Nord Kivu.

    D. – Questa pace, decretata dalla firma di questi tre atti, reggerà?

    R. – Le premesse sono buone, però questo purtroppo non significa che si sia arrivati alla pace per questa regione, perché restano attivi altri gruppi armati più piccoli che continuano a vessare la popolazione civile. Diciamo che la novità di questi ultimi mesi è che il governo congolese sembra aver recuperato improvvisamente – anche grazie all’appoggio delle Nazioni Unite – una forza che non ha mai dimostrato in vent’anni, impegnandosi in un’offensiva serrata per disarmare i gruppi armati. E questo farebbe sperare in una svolta.

    D. - Quali restano invece le questioni aperte visto il ruolo di Uganda e Rwanda?

    R. – Da circa tre giorni, è in corso una nuova offensiva dell’esercito congolese, insieme alla brigata delle Nazioni Unite, che ha sferrato un attacco per cercare di sconfiggere gli Fdlr, gruppo ribelle storico che dal ’94 è scappato dal Rwanda e destabilizza le foreste del Congo. La Corte penale internazionale segue da vicino la situazione e quello che è successo negli ultimi mesi è già oggetto di indagine, laddove ci siano segnalazioni di crimini di guerra. Quindi, ci sarà da aspettarsi un’evoluzione anche in questo senso.

    inizio pagina

    Accertati casi di uso di armi chimiche in Siria mentre resta alta l’emergenza bambini

    ◊   Il rapporto finale delle Nazioni Unite sulle armi chimiche in Siria afferma che ci sono probabili prove dell'utilizzo dei gas in 5 dei 7 casi analizzati dagli esperti Onu. Il rapporto cita "prove o informazioni credibili" relative agli attacchi di Al Ghouta, Khan al Assal, Jobar, Saraqueb e Ashrafieh Sahnaya. Mentre non è stato possibile raccogliere prove credibili a Bahhariyeh e Cheikh Maqsoud. Intanto, si moltiplica il numero di bambini che pagano l’alto prezzo del conflitto siriano dentro i confini del Paese o nei campi profughi di Paesi limitrofi. Fausta Speranza ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:

    R. – Davvero, assistiamo ad un dramma che non ha proporzioni, forse il peggiore degli ultimi decenni. I bambini siriani soffrono una guerra che dura ormai da tre anni, e in questo momento le condizioni climatiche – peraltro – violano anche molti dei loro diritti normali ad un’esistenza serena, visto che sotto le tende si trovano al freddo e al gelo in condizioni davvero difficili. Ci sono un milione e mezzo di bambini profughi dei quasi tre milioni di profughi in fuga dalla Siria nei Paesi limitrofi. I dati sui bambini morti purtroppo non sono confortanti: si parla di oltre 6 mila bimbi morti. Quindi, direi che la situazione non è migliorata, anzi. Forse, nella disattenzione generale, il quadro è peggiorato.

    D. – Tra tante emergenze, se guardiamo all’interno della Siria, che cosa dire dei bisogni più urgenti dei bambini?

    R. – Il bisogno più urgente è, indubbiamente, il bisogno di medicinali per far fronte alle malattie che naturalmente si stanno via via sviluppando. Non dimentichiamo che l’Unicef ha vaccinato oltre un milione e mezzo di bambini contro il morbillo, ha aperto nel mese di novembre una grandissima campagna proprio all’interno della Siria e in molti Paesi del Medio Oriente, ma in particolar modo nella Siria, per vaccinarli contro la polio; ma oltre ai medicinali c’è bisogno di soccorso dal punto di vista igienico e sanitario, che sono le priorità. Oltre a quello, naturalmente, di riportarli a scuola perché è vero che ci sono oltre duemila scuole distrutte, ma è altrettanto vero che questi bambini, laddove sia possibile, devono essere riportati alla normalità. Per questo, stiamo cercando – attraverso spazi sia ricreativi sia scolastici – di riportarli a studiare.

    D. – Parliamo invece dei campi profughi, dove lei è stato più volte, anche in questi giorni …

    R. – Sì, la situazione nei campi profughi è davvero una situazione difficile. Il campo profughi di Zaatari, che ormai è il quinto campo profughi, è diventato quasi una città: è la quinta città più grande della Giordania ed è il secondo campo profughi più grande del mondo. E' arrivato ad ospitare oltre 300 mila persone; i bambini, in questi campi, vivono tra i sassi, nel fango, nelle tende o – purtroppo, in certe situazioni – in tende di fortuna e nei container. Si vedono arrivare questi fiumi di persone, e continuano ad arrivare, anche in questo momento, quando sta nevicando: lo voglio ricordare. In questo momento, infatti, dalla Giordania e dal Libano arrivano moltissime immagini di tende completamente coperte dalla neve e battute dalle tempeste. Ecco: in queste situazioni le famiglie arrivano con delle cariole nelle quali portano i loro vestiti, i loro averi – pochissimi! – e con le quali hanno attraversato il confine. Le condizioni nei campi, per questo, sono indubbiamente difficili; immaginate come possano essere d’inverno, aggravate inoltre dalla condizione delle fognature, di letame diffuso, di condutture d’acqua che funzionano ma che naturalmente non bastano per tutti … Ecco, questo è il quadro della situazione nei campi profughi. Tanto in Giordania quanto in Iraq ho potuto riscontrare indubbiamente un grandissimo impegno delle organizzazioni internazionali: in particolar modo, noi siamo impegnati nella fornitura di programmi per l’acqua, con moltissime cisterne, e di programmi per riaccompagnare i bambini a scuola, e per accompagnare bambini che abbiano subito gravissime violazioni. Ed è per questo che li assistiamo anche dal punto di vista psicologico in spazi che abbiamo creato ad hoc all’interno dei campi, dove questi bimbi si possono recare sia per parlare con i nostri operatori, sia per ricercare una normalità che - lo si vede dai loro disegni, lo si vede dalla loro attività quotidiana - hanno un po’ perduto. Quindi: c’è molto da fare, anche se – quando si parla con loro – l’unica cosa che ci sentiamo dire, tra un sorriso e l’altro, è sempre quella: “… quando torneremo a casa …”. C’è veramente esigenza di pace, che la guerra finisca presto …

    inizio pagina

    A Vilnius, l’evento conclusivo dell’Anno europeo dei cittadini 2013

    ◊   In corso a Vilnius, l’evento conclusivo dell’Anno europeo dei cittadini 2013. Due giorni di confronti, dibattiti, tavole rotonde, cui prendono parte circa 350 delegati provenienti dai 28 Paesi europei. Tra loro rappresentanti delle autorità nazionali, delle associazioni giovanili e di Ong del Vecchio Continente. Tra i temi affrontati: il ruolo e il futuro delle organizzazioni della società civile nella costruzione dell’Europa, la promozione dei diritti dei cittadini e le future elezioni europee. Salvatore Sabatino ha raggiunto, telefonicamente a Vilnius, Alessandro Giordani, capo settore comunicazione e reti d’informazione della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia:

    R. - È un evento che ha, come primo scopo, quello di spiegare che l’Anno dei cittadini non finisce qui. C’è una grande domanda da parte delle organizzazioni della società civile proprio per chiedere non che non finisca qui. C'è un input che è stato dato da queste associazioni durante tutto quest’anno, con delle proposte anche molto concrete che sono state date qui nella sede del Parlamento lituano in mano alla vicepresidente Reding. Speriamo possano essere tenute in conto in maniera concreta nelle future comunicazioni che la Commissione farà sul futuro dell’Unione.

    D. - Cosa lascerà in eredità quest’anno dedicato ai cittadini europei? Una maggiore sensibilità ad esempio nei confronti di un’appartenenza europea?

    R. - Io credo che lascerà un’eredità abbastanza forte non solo di contenuto, perché comunque abbiamo ricevuto delle risposte e delle proposte molto articolate e anche inaspettate per certi aspetti da parte della società civile, ma lascerà un segno soprattutto per il metodo, perché è stato attraverso un metodo partecipativo – penso ai dialoghi coni cittadini, al coinvolgimento di varie articolazioni della società civile nel dibattito sul futuro dell’Unione - quindi non spiegare solamente cosa l’Europa ti può dare, ma anche come tu puoi contribuire a dare una forma e un colore alle politiche europee.

    D. - Che tipo di Europa vogliamo noi cittadini?

    R. – Dalle indicazioni che sono emerse abbiamo visto che è un’Europa più partecipativa. Evidentemente poi dipende anche dai Paesi in cui questi tipi di istanze emergono. I Paesi che hanno avuto maggiori difficoltà, quelli del Mediterraneo, ecc … sono più sensibili alla questione della dicotomia tra rigore e crescita ovviamente. Altri Paesi possono essere più attenti invece al discorso dei controlli del coordinamento delle politiche. Credo che in tutti quanti ci sia una grande richiesta di partecipazione dal basso e di poter influire nella definizione delle politiche europee fin dall’inizio, fin da quando vengono concepite, non solo quando si tratta poi di eseguire o di trasporre negli ordinamenti nazionali le direttive e i regolamenti, ma di poter essere dove la Commissione che ha il monopolio dell’iniziativa concepisce queste politiche.


    I cittadini europei chiedono, dunque, una maggiore rappresentatività. Necessaria la partecipazione alle decisioni istituzionali, attraverso tavoli di confronto diretti tra la società civile ed i vertici europei. Salvatore Sabatino ha intervistato Federiga Bindi, titolare della cattedra "Jean Monnet" presso l'Università Tor Vergata di Roma:

    R. - L’elemento centrale di quest’anno è che ci si è resi conto che un cambio di passo è necessario con l’Europa. Ora, che questo cambio effettivamente avvenga lo vedremo speriamo al Consiglio europeo di dicembre.

    R. – C'è una difficoltà che deve gestire l’Unione Europea su una maggiore vicinanza rispetto alle popolazioni, che si sentono sempre un po’ distanti dalle istituzioni. Che cosa si può fare per creare un avvicinamento tra questi due attori?

    D. – Ricreare un grande progetto: 30 anni fa c’era la prospettiva dell’atto unico, del mercato unico; 20 anni fa c’era il completamento del mercato unico; 10 anni fa l’allargamento e adesso non abbiamo una prospettiva. Quindi, c’è una crisi economica e quello che succede è che si incolpa l’Europa di colpe che non ha; al tempo stesso non si usa l’Europa in modo adeguato per risolvere il problema di oggi. Il problema di oggi è chiaramente una mancanza di crescita economica.

    D. – E’ anche, ovviamente, una mancanza di lavoro: si è parlato tanto in questo anno della situazione dei giovani, per esempio, che hanno bisogno di essere ascoltati...

    R. – I giovani più che di essere ascoltati hanno bisogno di opportunità. I giovani, ma anche i meno giovani: non ci dimentichiamo che c’è un problema drammatico di giovani bravi che non riescono ad entrare nel mercato del lavoro, ma c’è anche il problema drammatico dei cinquantenni che si trovano, loro malgrado, fuori dal mercato del lavoro e non sanno come rientrare. Quindi, è un problema di lavoro dei giovani a cui ovviamente interessa essere ascoltati ma soprattutto interessa avere opportunità. Quello che fino alla mia generazione era vero - ma che ha smesso subito dopo – ovvero, il principio in base al quale: “se lavori duro, ti laurei con un buon voto e fai dei lavoretti a parte, allora sei sicuro di avere un buon lavoro dopo”. Questo oggi non è più così.

    D. – Secondo lei, visto che i cittadini europei stanno comunque costruendo un’identità europea, possono guardare al futuro con un sguardo positivo?

    R. – Innanzitutto, non dimentichiamoci che il 2013 è l’anno in cui è entrata la Croazia nell’Unione Europea, che a differenza della Slovenia è un Paese dei Balcani che è stato direttamente implicato nella guerra. Secondo me, non è stata data adeguata importanza a questo fatto: che la Croazia sia entrata nell’Unione Europea è di enorme importanza. È veramente enorme. È anche l’anno in cui c’è stato un accordo tra la Serbia ed il Kosovo, che stiamo finendo di definire in alcuni aspetti proprio in questi giorni. Secondo me, gli indici politici che l’Unione Europea può continuare a prosperare ci sono; certo è, che se si continua a non dare importanza agli elementi positivi e dare importanza soltanto agli elementi negativi senza mettere in essere politiche di crescita – perché è quello di cui abbiamo bisogno; gli Stati Uniti hanno fatto politiche di crescita per uscire dalla crisi –non riusciremo a far ripartire le spese, il mercato del lavoro e tutto il resto. Quindi, finirà che a pagarne le conseguenze sarà proprio ciò che noi abbiamo conquistato di più prezioso, ovvero, l’unità europea.

    inizio pagina

    Filippine: dopo il ciclone Haiyan si aggrava la piaga della tratta degli esseri umani

    ◊   “La tratta delle persone è una vergogna, un crimine contro l’umanità. Dobbiamo unire le forze per liberare le vittime e per fermare questo crimine sempre più aggressivo”. Questo l’accorato appello di Papa Francesco, rivolto ieri a un gruppo di ambasciatori. Intanto Manila, capitale delle Filippine – tra i Paesi più colpiti dal fenomeno – ha vissuto ieri una preghiera ecumenica promossa dalle diverse Chiese del Paese asiatico e da organizzazioni non governative, in occasione della Giornata internazionale contro la tratta. Sulla gravità del fenomeno nelle Filippine, Antonella Pilia ha intervistato Paolo Affatato, responsabile della redazione Asia dell’agenzia di stampa Fides:

    R. – Le Filippine sono uno dei Paesi in testa alle classifiche mondiali per il tragico fenomeno della tratta degli esseri umani. Il fenomeno è gestito da organizzazioni criminali, che sono radicate nel territorio, ed è una piaga sociale che, da oltre un ventennio, diverse istituzioni e governi hanno segnalato e stanno cercando di contrastare in diverso modo. Però, solo negli ultimi dieci anni le organizzazioni della società civile hanno sensibilizzato molto la popolazione e le istituzioni per adottare dei provvedimenti legislativi ad hoc per poter fermare questa piaga. Il fenomeno riguarda in particolare le donne e i bambini, quindi le categorie più vulnerabili, vittime di prostituzione e sfruttamento sessuale, ma anche di pedofilia, adozioni illegali e traffico di organi. Tutte quelle attività definite crimini contro l‘umanità, che però collegano spesso le Filippine con Paesi occidentali.

    D. – Questa situazione è diventata ancora più drammatica dopo il ciclone Hayan?

    R. – Accade spesso che nelle emergenze umanitarie – a seguito di disastri come quello che ha riguardato la provincia di Leyte con il ciclone Haiyan – si crei una situazione favorevole per i trafficanti di esseri umani, soprattutto perché ci sono migliaia di persone abbandonate che non riescono a trovare i propri parenti, ci sono bambini che vagano fra le macerie alla ricerca di qualcuno che si prenda cura di loro. Ebbene, questi trafficanti approfittano di una situazione di emergenza per poter incrementare i loro traffici. Forse, non si hanno notizie dettagliate dell’emergenza dopo il tifone Haiyan, ma si ha l’esperienza dei disastri naturali degli anni scorsi, quando si è visto che il fenomeno della tratta di esseri umani ha avuto un’impennata. Comunque, già negli ultimi tempi il governo stesso delle Filippine ha inviato un warning, un avvertimento a tutti gli operatori umanitari che sono impegnati oggi nella provincia di Leyte, segnalando l’alto rischio del fenomeno della tratta degli esseri umani, del sequestro e del rapimento di bambini che possono essere sfruttati appunto per la pedofilia, per scopi di sfruttamento sessuale o per le adozioni illegali. Quindi, anche il governo ha riconosciuto il fenomeno e ha mandato un segnale di allarme nella situazione attuale.

    D. – Iniziative di preghiera ecumenica come quella indetta ieri a Manila, secondo te, possono aiutare a combattere la piaga della tratta degli esseri umani?

    R. – Tutte le iniziative culturali e religiose di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sono comunque utili. Le Chiese e le organizzazioni cattoliche e cristiane hanno una funzione educativa e sociale molto importante, perché sono spesso associazioni cristiane – come quella di padre Cullen, la “Fondazione Preda” – che si occupano del recupero delle persone colpite da questa piaga, cercando di reinserirle poi nel tessuto sociale e di salvarle dalle mani delle organizzazioni criminali. Celebrazioni e occasioni come quella di ieri sono molto importanti, proprio perché mostrano che la società è pronta ed è vigile nel contrastare questo fenomeno.

    inizio pagina

    Cristianesimo e libertà binomio al centro di una conferenza all'Urbaniana

    ◊   Una trentina di illustri studiosi si confrontano da oggi a Roma in una Conferenza internazionale sul tema "Cristianesimo e Libertà nella storia e nel mondo contemporaneo". Organizzata dalla Georgetown University, la due giorni trae spunto dai crescenti episodi di intolleranza e persecuzione nei confronti delle comunità cristiane e di altre minoranze, con due obiettivi: sottolineare il contributo storico del cristianesimo alla difesa delle libertà fondamentali e discutere gli esiti dell’attuale esplosione della persecuzione religiosa. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    A dare le coordinate della due giorni e a portare ai partecipanti il saluto di Papa Francesco è stato il segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede. “La libertà di religione come un diritto naturale è nata col Cristianesimo”, così come l’atteggiamento di tolleranza e non l’accusa per chi perseguita, ha voluto ricordare mons. Dominique Mamberti, e la “storia dimostra – ha aggiunto – che c’è un legame virtuoso tra libertà religiosa, stabilità sociale e piena realizzazione dell’uomo” nelle sue aspirazioni e nel suo desiderio di trascendenza. Ma attenzione: la libertà, ha detto mons. Mamberti, non è assenza di costrizioni o capriccio: “Essa non può fare a meno della relazione tra ragione e fede”. Da questo presupposto, si è partiti in mattinata per un’analisi globale del fenomeno persecutorio nei confronti dei cristiani, con i dati innanzitutto. La persecuzione è in aumento: nel 2020, riguarderà 600 milioni di persone – circa il 24% del totale dei cristiani nel mondo. Riguarda tutte le comunità, come già oggi: più nel Sud che nel Nord del mondo, in concomitanza proprio con la diffusione del cristianesimo. La persecuzione è poco trattata dalla stampa e a perpetrarla è più la società che la politica, rispetto a quanto accadeva in passato. Al vaglio anche le quattro cause principali: i regimi comunisti in Cina, Vietnam, Laos, Corea del Nord e Cuba, il nazionalismo religioso nel Sudest asiatico, l’estremismo musulmano. E interessante è anche l’emergere del secolarismo occidentale. Sul perché del fenomeno delle persecuzioni nei confronti delle comunità cristiane, emerge un fattore su tutti: l’associazione del cristianesimo alla libertà e al pluralismo sociale. Particolare rilievo, nel primo giorno di lavori, è andato infine alla situazione delle comunità cristiane nella regione mediorientale. Quantitativamente – si è detto – sono sempre meno i cristiani in Medio Oriente, per motivi economici, scelte di vita, ma soprattutto a causa delle persecuzioni. La stima prevede che entro il 2020 le comunità cristiane siano solo il 5% del totale. All’esame degli interlocutori le tante forme di esclusione nei riguardi della comunità cristiane in Medio Oriente, a partire dalla rappresentanza politica o dalle restrizioni imposte alle donne; inoltre, tanti “miti” privi di fondamento alla base delle persecuzioni, come l’associazione del cristiano ad un “prodotto del colonialismo”, o del cristiano vocato ad evangelizzare a tutti i costi, dunque pericoloso. Nell’area mediorientale in generale si assiste, si è detto, ad uno sfaldamento della coesione tra le comunità, e a pagarne le conseguenze sono le minoranze, specie – appunto – quelle cristiane. Ma d’altro canto si assiste contemporaneamente anche a una particolare e positiva forma di solidarietà. Ne ha parlato Mariz Tadros, ricercatrice all’Univeristà del Sussex:

    I would like to talk about two kinds of very positive forms of solidarity…
    “Vorrei parlare di due forme positive di solidarietà crescente in Egitto: la prima, tra cristiani e musulmani, soprattutto nei movimenti sociali e nella lotta verso la democratizzazione del Paese. Ma anche di un’importante forma di solidarietà tra ortodossi, cattolici e protestanti che hanno pregato e pregano insieme per il futuro dell’Egitto. Se le persecuzioni costringessero tutte le comunità cristiane ad abbandonare la terra mediorientale, si perderebbero le persone che lottano e lavorano per l’eguaglianza e i diritti di tutti. Si perderebbe dal punto di vista economico, si perderebbe quella classe media tanto importante, ma soprattutto il mondo perderebbe l’eredità di una delle Chiese più antiche che possiede”.

    Domani, spazio sarà dato al ruolo della donna nelle dinamiche di sviluppo sociale globale e soprattutto alla situazione e alle sfide alla libertà religiosa incontra in regioni quali Pakistan, Nigeria e India. Chiuderà la Conferenza internazionale l'arcivescovo Louis Sako, patriarca caldeo di Baghdad.

    inizio pagina

    In Trentino, fino al 21 dicembre, le Universiadi: 3.600 gli atleti che partecipano ai giochi

    ◊   Sono oltre 3.600 gli atleti provenienti da 61 Paesi nel mondo che partecipano alla 26.ma edizione delle Universiadi invernali, le olimpiadi degli universitari, in corso in questi giorni in Trentino. I giochi, che si concluderanno il prossimo 21 dicembre, si svolgono tra la Valsugana, la Val di Fassa e la Val di Fiemme e comprendono 12 discipline di sport invernali tra cui lo sci di fondo e alpino, lo snowboard e il pattinaggio artistico. Sull’evento Marina Tomarro ha intervistato Ugo Rossi, presidente della Provincia autonoma di Trento:

    R. - Intanto è un onore per il Trentino poterlo fare e per noi è anche un’opportunità e un’occasione di valorizzare i nostri giovani, di metterli in contatto con tanti altri giovani nel mondo e quindi di partire da un territorio piccolo che però vuole essere attento alle dinamiche globali.

    D. - In che modo vi siete preparati ad accogliere gli atleti?

    R. - Abbiamo cercato soprattutto di utilizzare alcuni fattori competitivi, che fanno parte integrante della nostra società: prima di tutto il nostro ambiente, le nostre infrastrutture dedicate allo sport e al turismo - il nostro è un territorio che è evocato all’accoglienza, da sempre - e poi l’altra risorsa straordinaria che è quella del volontariato, della partecipazione delle persone, che - in spirito, appunto, di grossa unità e di aiuto ad un evento così importante - hanno pensato di dedicare tanto tempo per accogliere nel migliore dei modi gli atleti e preparare tutti i cambi di gara.

    D. - Quanto è stato importante, in questo caso, il volontariato?

    R. - E’ decisivo. Senza il volontariato non avremmo potuto organizzare un evento di questa portata, non sarebbe stato assolutamente possibile; e tre al fatto di poterlo fare, credo che ci sia anche tanta qualità nell’accoglienza. Avere persone che agiscono in maniera disinteressata e che lo fanno per il bene della propria comunità e perché sono in spirito di amicizia con chi viene a trovarci, credo che sia un elemento molto importante e che garantisca anche una coesione sociale forte sul nostro territorio.

    D. - Queste Universiadi sono ad impatto zero: che cosa vuol dire?

    R. - Noi abbiamo cercato, come sempre facciamo quando organizziamo eventi di questa portata, di garantire degli obiettivi di rispetto del nostro ambiente. E questo prima di tutto perché lo dobbiamo al nostro ambiente, ma anche perché vogliamo coniugare l’ospitalità, l’accoglienza e la capacità organizzativa anche con un ulteriore fattore di competitività del nostro territorio, che è il fatto che chi viene a fare le vacanze da noi sa di poter contare su un ambiente incontaminato. Abbiamo cercato di spostarci il meno possibile, utilizzando la nostra rete di fibra ottica per far viaggiare le informazione e non le persone, e quando ci spostiamo cerchiamo di farlo utilizzando il car sharing, soprattutto. Stiamo anche sperimentando forme di mobilità a impatto zero attraverso l’uso di idrogeno. Insomma siamo impegnati anche nel momento in cui utilizziamo le nostre infrastrutture, a cercare di risparmiare sui gradi di calori in modo tale che non ci siano ricadute negative sull’ambiente.

    E molte strutture utilizzate per le Universiadi sono state costruite con legno proveniente da foreste certificate e a filiera corta. Ascoltiamo Francesco Dellagiacoma, vicepresidente del Pefc Italia, l’organizzazione non governativa per il sistema di certificazione forestale più diffuso al mondo:

    R. - C’erano le strutture sul territorio che hanno permesso di organizzare, in tempi anche ristretti, queste Universiadi, che in buona parte - pensiamo all’eredità dei Mondiali di Fiemme - sono state costruite non solo con legname certificato, ma addirittura la gran parte era stata realizzata con legname proveniente dalla Val di Fiemme. Quindi una filiera cortissima, davvero a chilometro zero, perché era il legname di boschi di Fiemme, che è una delle realtà forestali più importanti di Italia, che è stato utilizzato per realizzare queste strutture. In particolare l’edificio simbolo di questa importazione è l’edificio tv del Lago di Tesero, che è stato realizzato con legname della magnifica comunità della Val di Fiemme e quindi si è spostato al massimo di 20 chilometri.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: esplode la rabbia. Si aggrava la crisi umanitaria

    ◊   Il clima già teso e incerto a Bangui si sta deteriorando di ora in ora, con un crescendo di rappresaglie tra la comunità cristiana e quella musulmana, sulla scia delle violenze della scorsa settimana tra uomini dell’ex ribellione Seleka e miliziani dei gruppi di autodifesa anti balaka, concluse con più di 500 morti. I peacekeepers africani della Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca) - riferisce l'agenzia Misna - hanno disperso con colpi d’arma da fuoco in aria un corteo di migliaia di persone, tra cui molti giovani, armate di pietre che hanno cercato di penetrare con la forza nella chiesa di Saint Jacques, a caccia di un ex generale della Seleka presumibilmente rifugiato all’interno. Sono seguiti disordini e tafferugli mentre i soldati africani hanno evacuato dalla chiesa alcuni uomini in abiti civili, sospettati di essere ribelli Seleka, ma secondo fonti di stampa si trattava invece di esponenti religiosi della comunità musulmana. Per ore la tensione è stata alle stelle nel quartiere a maggioranza musulmana del Pk-5, al centro della capitale. Secondo alcuni testimoni sono stati rinvenuti sei corpi senza vita di musulmani, tra cui un bambino, trasportati nella locale moschea. Poco dopo un cristiano in sella ad una motocicletta è stato ucciso a “colpi di machete” da altre persone. La rabbia della gente non ha risparmiato i militari francesi dell’operazione Sangaris, impegnati da lunedì in complesse operazioni di disarmo. Sta crescendo un forte sentimento anti-francese tra la minoranza musulmana che accusa le truppe di Parigi di “organizzare un genocidio” e di “non fermare le rappresaglie dei cristiani” nei confronti degli ex ribelli Seleka disarmati ma anche dei commercianti i cui negozi vengono attaccati e saccheggiati o dei semplici civili aggrediti per strada. Il Presidente di transizione, l’ex capo ribelle Michel Djotodia, ha lanciato un appello alla riconciliazione. E’ sempre più grave la situazione umanitaria. Secondo l’Onu a Bangui ci sono almeno 130.000 sfollati, su 800.000 residenti nella capitale. Nel solo campo allestito nei pressi dell’aeroporto, sotto la protezione dei francesi, sono stipate più di 45.000 persone senza ripari, acqua e medicinali e con poco cibo a disposizione. E’ alto il rischio di epidemia in condizioni igienico sanitarie pessime e dopo giorni di forti piogge. Altrettanto critica, anche se meno nota, è la situazione nelle zone interne del paese, tra cui Bossangoa (nord-ovest), dove da due mesi circa 40.000 cristiani in fuga dalla Seleka sono “ammassati su soli quattro ettari” attorno all’arcivescovado, come denunciato da Action contre la faim (Acf). L’Unione Europea, cha ha attivato un ponte aereo tra Douala e Bangui, invierà domani 37 tonnellate di aiuto medicale urgente per far fronte alla “catastrofe umanitaria”. In Centrafrica si registrano 530000 sfollati interni e 2,3 milioni di persone hanno bisogno di un’assistenza immediata. (R.P.)

    inizio pagina

    Centrafrica: i leader religiosi cristiani e musulmani condannano le violenze interreligiose

    ◊   Rimane estremamente precaria la situazione nella Repubblica Centrafricana, nonostante l’intervento delle truppe francesi e dell’Unione Africana, in particolare nella capitale, Bangui. Il Ministro della Difesa francese, Jean -Yves Le Drian, che si trova in visita ai militari impegnati nell’operazione “Sangaris” (come è denominato l’intervento francese in Centrafrica) ha detto che il Paese rischia di sprofondare nell’anarchia. A Bangui - riferisce l'agenzia Fides - che conta un milione di abitanti, 110.000 persone sono sfollate, mentre si moltiplicano gli atti di aggressione e di vendetta a sfondo religioso. I ribelli Seleka che hanno rovesciato a marzo l’ex Presidente François Bozizé, e che sono in gran parte musulmani, si sono resi responsabili di numerose violenze contro la popolazione, e in particolare contro i cristiani. I gruppi di autodifesa, i cosiddetti “anti-balaka” (che significa anti machete) formati soprattutto da cristiani, a loro volta commettono ritorsioni non solo contro i Seleka ma anche nei confronti dei civili musulmani, considerati come vicini ai ribelli. Per cercare di interrompere la spirale di odio, i capi religiosi cristiani e musulmani hanno intrapreso alcune iniziative comuni. Mercoledì scorso nel quartiere Pk13 di Bangui, si è tenuto un incontro di riconciliazione tra le comunità musulmane e cristiane alla presenza di un centinaio di persone. Lo stesso giorno i leader religiosi cristiani e musulmani hanno effettuato un altro gesto simbolico: la distribuzione di cibo a 10.000 sfollati della capitale. (R.P.)

    inizio pagina

    India: il premier Singh chiede scusa al clero di Delhi per le violenze della polizia

    ◊   Manmohan Singh, primo ministro dell'India, ha offerto le sue scuse all'arcivescovo di New Delhi e ai leader religiosi cristiani, per la "brutale" aggressione compiuta dalla polizia durante la marcia pacifica in favore dei diritti di dalit cristiani e musulmani. Ieri - riferisce l'agenzia AsiaNews - il premier ha ricevuto una delegazione del clero locale, guidata da mons. Anil Couto, giunta in Parlamento per ribadire la richiesta di porre fine alla discriminazione dei "fuori casta" di religione cristiana e islamica. Durante l'incontro, centinaia di manifestanti provenienti da tutta l'India hanno marciato verso l'edificio urlando "Vogliamo giustizia". L'aggressione è avvenuta mercoledì scorso durante una marcia pacifica, guidata dai leader religiosi cattolici e protestanti, a cui hanno partecipato centinaia di persone. Per disperdere la folla che si dirigeva verso il Parlamento, la polizia ha usato cannoni ad acqua e lanciato una carica armati di manganelli, aggredendo anche sacerdoti, suore e vescovi. Dinanzi al rifiuto dei manifestanti a spostarsi. gli agenti hanno arrestato più di 400 persone, compresi tutti i vescovi. Le forze dell'ordine li hanno tenuti in custodia per cinque ore, fino a quando l'ufficio del primo ministro non ha confermato un incontro con una delegazione. Ad AsiaNews ed alla Radio Vaticana, il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana e arcivescovo di Mumbai, ha definito l'attacco "vergognoso, disonorevole e deplorevole". Parlando con i giornalisti al termine dell'incontro, mons. Couto ha spiegato: "Il primo ministro ha ascoltato con sincera preoccupazione e attenzione le nostre richieste. Ha promesso di portare la questione in Parlamento e quanto è in suo potere per risolvere la situazione". La lotta per garantire uguali diritti ai dalit cristiani e musulmani va avanti dal 1950, quando il Parlamento approvò l'art.341 della Costituzione sulle Scheduled Caste (Sc): in base a questo paragrafo, la legge riconosce diritti e facilitazioni di tipo economico, educativo e sociale solo ai dalit indù. In seguito, nel 1956 e nel 1990, lo status venne esteso anche a buddisti e sikh. Non godendo di tali diritti costituzionali, i "fuori casta" cristiani e musulmani non possono avere neanche una rappresentanza politica. (R.P.)

    inizio pagina

    Medio Oriente: forti nevicate mettono a dura prova i profughi siriani

    ◊   La forte nevicata ieri su Israele, i Territori palestinesi, il Libano e parte della Siria sta mettendo a dura prova i profughi siriani fuggiti dalle proprie abitazioni e alloggiati in tendopoli o ripari di fortuna. Secondo quanto riferisce il sito Terrsanta.net, “in Libano, in particolare, i rifugiati siriani stipati in campi profughi improvvisati, sono stati sorpresi da una gelida bufera invernale. Nella regione settentrionale di Arsal, proprio a ridosso del confine con la Siria, coltri di neve hanno sommerso le tende di decine di migliaia di profughi (in pochi mesi in quest’area ne sono giunti almeno 20 mila). In questi ripari - riferisce l'agenzia Sir - manca il riscaldamento e il vento forte riesce a scoperchiarli, lasciando a cielo aperto chi vi abita”. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) ha lavorato giorno e notte in collaborazione con l’esercito libanese per distribuire kit invernali contenenti coperte, fogli di plastica impermeabili e denaro necessario per l’acquisto di stufe da campo. Le necessità restano però ancora molte. Wael Abou Faour, ministro libanese degli Affari Sociali, ha manifestato la sua preoccupazione: “Non siamo in grado di aiutare tutti, perciò stiamo cercando di coinvolgere le associazioni umanitarie internazionali in modo da soccorrere i profughi”, ha dichiarato al quotidiano al-Akhbar. La sfida più ardua, con queste condizioni climatiche, è riuscire ad aiutare le migliaia di persone che vivono in oltre 200 campi irregolari disseminati nel Centro e nel Nord del Libano, difficili da individuare e raggiungere. Ad Arsal le temperature sono piombate sotto lo zero e le previsioni annunciano fino a 13 centimetri di neve. Il guaio è che, nonostante le proibitive condizioni del tempo, continua anche in queste ore il flusso di profughi siriani. Fino ad oggi sono 835 mila i profughi siriani registrati in Libano, ma il numero totale di coloro che hanno trovato scampo nel Paese dei cedri sembra superare il milione. (R.P.)

    inizio pagina

    Uruguay. La Chiesa: la legalizzazione della marijuana farà affondare la famiglia

    ◊   Il Senato dell'Uruguay ha approvato con 16 voti a favore e 13 contrari, la legge sul controllo e il regolamento della marijuana, così questo Paese sarà il primo al mondo a legalizzare la produzione, la vendita e il consumo di tale sostanza. Oltre a questa legge, “la legalizzazione e la promozione dell’aborto, l’equiparazione legale delle unioni omosessuali con il matrimonio e la fecondazione artificiale in tutte le sue forme, sono leggi che faranno affondare la famiglia uruguaiana” scrive nel suo blog il vescovo della diocesi di Minas, mons. Jaime Fuentes. Per mons. Fuentes, nell’articolo segnalato all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale dell’Uruguay, l’alternativa a questo “suicidio” approvato dalla legge sta nell’impegno per la formazione delle giovani generazioni ai valori autentici, partendo dall’ambito familiare, per questo propone come slogan “Per la famiglia, tutto è poco”. “Il che significa – spiega il vescovo – che è necessario moltiplicare le iniziative per aiutare le giovani coppie prima che arrivino le difficoltà”. Citando un esempio concreto, ricorda che “molte coppie non vogliono avere nulla a che fare con il ‘diritto’ di abortire i loro bambini o di coltivare marijuana” e “noi li dobbiamo sostenere con entusiasmo, in quanto sono nella prima linea di una guerra che dobbiamo vincere”. La legge consentirà ai maggiorenni (più di 18 anni) la coltivazione domestica di cannabis fino a sei piante, con un massimo di 480 grammi di produzione annua. Inoltre potrà essere coltivata da associazioni o cooperative, formate da 15 a 45 soci, con un massimo di 99 piante. La vendita avverrà nelle farmacie autorizzate: ogni compratore, che dovrà prima registrarsi in un registro obbligatorio, ne potrà acquistare un massimo di 40 grammi al mese. Ora manca solo la promulgazione del governo perché il progetto diventi legge. (R.P.)

    inizio pagina

    Ucraina: tre ex presidenti a confronto con Gruppo "Primo dicembre" e card. Husar

    ◊   Ieri tre ex presidenti dell’Ucraina - Leonid Kravchuk, Leonid Kuchma e Viktor Yushchenko - hanno incontrato i membri del gruppo “Primo dicembre” che riunisce intellettuali di spicco, leader delle comunità ucraine e rappresentanti delle Chiese cristiane, tra cui il cardinale Lubomyr Husar, già capo della Chiesa greco-cattolica ucraina e arcivescovo maggiore emerito di Kyiv-Halyč. Il nome del gruppo - riferisce l'agenzia Sir - fa riferimento al referendum del 1991 sull’indipendenza dell’Ucraina e fu costituito nel 20° anniversario di tale data nel dicembre del 2011. Durante l’incontro gli ex presidenti del Paese e gli attivisti “hanno discusso di come poter superare la crisi e di come poter migliorare il dialogo tra il governo e il popolo”, ha riportato il Servizio di informazione religiosa dell’Ucraina. In generale si è sottolineato il bisogno di trovare “una soluzione pacifica” alla situazione attuale segnata da agitazioni sociali e politiche. Come osservato, i membri del gruppo "Primo dicembre" vogliono promuovere il dialogo con un’ampia gamma di rappresentanti della vita sociale e culturale nonché con i sostenitori di vari schieramenti politici. (R.P.)

    inizio pagina

    Bombe a grappolo: nell'arco di 3 anni un flusso di 24 miliardi di dollari

    ◊   Sono 139 le istituzioni finanziarie che continuano a investire nella produzione di bombe a grappolo, in inglese “cluster bombs”: il dato è contenuto in un rapporto - ripreso dall'agenzia Misna - pubblicato a Copenhagen dall’organizzazione non governativa Pax Christi, che riferisce di un flusso di 24 miliardi di dollari nell’arco di circa tre anni. Nel documento si sottolinea che le istituzioni sono sia pubbliche sia private e che hanno sede in 13 Stati differenti. Sessantasette sono registrate negli Stati Uniti, 23 in Corea del Sud e 19 in Cina, Paesi che non hanno sottoscritto la Convenzione per la messa al bando delle cluster. A finanziare la produzione degli ordigni, si sottolinea nel rapporto, sono però anche 22 società di Paesi firmatari: Canada, Francia, Germania, Giappone, Svizzera e Gran Bretagna. Nello studio si riferisce che i circa 24 miliardi di dollari sono stati investiti nella produzione di bombe a grappolo tra il 1° giugno 2010 e il 31 agosto 2013. In questo periodo il flusso è stato inferiore di 19 miliardi rispetto a quello rilevato da un precedente rapporto, diffuso lo scorso anno. A pesare sarebbe stata la decisione della società turca Roketsan e dei colossi statunitensi L-3 Communications e Lockheed Martins di non produrre più componenti e munizioni per le cluster. Secondo Roos Boer, co-autore del rapporto, l’impegno contro le bombe a grappolo va comunque intensificato. “Continuare a finanziare la produzione di questi ordigni vietati – ha scritto l’esperto – è inaccettabile da un punto di vista etico: sia i governi che le istituzioni finanziarie devono metterli al bando una volta per tutte”. (R.P.)

    inizio pagina

    Sri Lanka: la Chiesa chiede un accordo tra le etnie per indagare sui crimini di guerra

    ◊   Necessario un accordo tra il governo espressione della maggioranza singalese e la leadership politica della minoranza tamil del Nord del Paese per evitare interventi internazionali a scapito dell’orgoglio nazionale e dei rapporti con l’estero. Al centro - riferisce l'agenzia Misna - è la crescente pressione delle diplomazie per avviare un processo di riconciliazione che parta anzitutto dalle indagini sui crimini di guerra durante il conflitto quasi trentennale che ha provocato complessivamente tra 80.000 e 100.000 morti e sofferenze enormi, in particolare per i Tamil di origine indiana, stretti tra le offensive governative e una guerriglia spietata. A sostenere la necessità di un accordo tra le parti che eviti interferenze esterne è il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale catttolica dello Sri Lanka. La sua richiesta, espressa in una lettera pastorale, è diretta al Presidente Mahinda Rajapaksa e al principale movimento politico tamil, l’Alleanza nazionale tamil. Il cardinale ha rilevato la necessità di mettere da parte le divergenze e i sospetti per il bene del Paese. “Gli stranieri non dovrebbero dirci che cosa fare, non siamo degli stolti”, ha detto. “Tuttavia – ha aggiunto – se non risolviamo questi problemi ci apriremo a un intervento esterno”. Facendo leva sul nazionalismo e anche sul rifiuto finora espresso dal Presidente a ogni indagine indipendente, l’arcivescovo Ranjith ha anche ricordato al governo che dovrebbe essere suo compito concretizzare quanto previsto dalla sua stessa Commissione per le lezioni imparate e la riconciliazione. Il rischio è altrimenti di perdere la fiducia della comunità internazionale. Nella sua lettera pastorale, a nome della Chiesa srilankese, il porporato ha anche ricordato che sono molti quanti si trovano in carcere senza alcun atto di accusa formale. Questi casi, come pure il gran numero di scomparsi, devono essere altresì indagati in modo approfondito. In un momento di transizione per il Paese, la Chiesa locale cerca di far valere la propria autorità, comunque maggiore della consistenza numerica in un Paese a maggioranza buddhista, affinché si chiarisca la sorte di almeno 40.000 civili tamil vittime del conflitto terminato nel maggio 2009. Per la sua mancanza di cooperazione, lo Sri Lanka è stato colpito da due risoluzione di condanna delle Nazioni Unite, oltre a simili provvedimenti da parte di Stati Uniti e India. Attesa una risoluzione di condanna dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani se non ci saranno sviluppi sostanziali entro marzo 2014. (R.P.)

    inizio pagina

    Filippine. La Chiesa al presidente: no alla cementificazione selvaggia

    ◊   E’ un appello forte e accorato quello rivolto dalla intera Chiesa filippina al presidente del Paese, Benigno Aquino: il cardinale di Manila, Luis Antonio Tagle, il card. emerito Gaudencio Rosales e altri 19 vescovi hanno espresso “profonde riserve e preoccupazioni” per i circa 40 progetti immobiliari previsti per la costa della baia di Manila: un massiccio intervento di cementificazione che avrebbe disastrose conseguenze sociali e ambientali. Come appreso dall'agenzia Fides, i leader cattolici hanno scritto una lettera al presidente Aquino, notando che “nella base scientifica, giuridica e morale della nostra opposizione riecheggia il messaggio di Dio”. Con la dichiarazione, i vescovi si fanno interpreti soprattutto delle comunità residenti nella baia di Manila, che temono l’impatto di progetti di sviluppo miliardari già approvati dai governi locali. Nella lettera si esorta Aquino a “rispondere alla chiamata di Papa Francesco”, che chiede ai cattolici di tutto il mondo di “tutelare la creazione di Dio”. Oltre a 38 progetti di edificazione che coprono circa 26.230 ettari della baia, ve ne sono altri per circa 300 ettari nella città di Las Pinas e per 148 ettari nell’area di Paranaque, che fa parte della cintura metropolitana di Manila. Le conseguenze potrebbero essere tragiche: gli esperti temono inondazioni, in aree già a rischio, e che già hanno un serio bisogno di un sistema di drenaggio per canalizzare le acque, specie nella stagione dei monsoni. “I vantaggi economici e finanziari potranno risarcire il danno nella vita delle comunità, all’ecosistema e alle proprietà in futuro?”, si chiedono i vescovi. L’auspicio della Chiesa è quello di promuovere un turismo rispettoso dell’ambiente e responsabile, puntando a valorizzare la cultura, gli edifici e siti storici, la natura, piuttosto che costruendo strutture e palazzi a scapito della vita delle persone e dell'ambiente. (R.P.)

    inizio pagina

    Madrid: Papa Francesco in diretta Tv con le famiglie europee per la Festa della Santa Famiglia

    ◊   Dal 27 al 29 dicembre, la Piazza Colón di Madrid accoglierà migliaia di famiglie di tutta Europa per celebrare la festa della Sacra Famiglia, un evento che è diventato una tradizione per rendere omaggio e ricordare l’importanza della famiglia immersi nella gioia natalizia. Il motto scelto per questa VII edizione è: “La famiglia, un luogo privilegiato”, frase scelta dalle parole di Papa Francesco rivolte ai giovani della Gmg di Rio di Janeiro il 26 luglio scorso, nella festa dei santi Gioacchino e Anna. Tre giorni di festa che si concluderanno con le parole che Papa Francesco rivolgerà ai presenti attraverso un collegamento in diretta radiotelevisiva dal Vaticano prima dell’inizio della Santa Messa che sarà presieduta dal card. Antonio Rouco Varela, arcivescovo di Madrid. Le giornate di venerdì 27 e sabato 28 saranno fitte di appuntamenti e attività che si svolgeranno nella Piazza Colòn e nei Giardini del “Descubrimiento”. Qui le famiglie – genitori e figli, nonni e nipoti - potranno pregare insieme davanti al Santissimo Sacramento per la istituzione della famiglia, per le famiglie povere, per i bambini senza tetto, per le madri in difficoltà, e per tante persone maltrattate e abbandonate. Trentatré ore per pregare davanti al Santissimo anche per il rispetto del diritto alla vita incondizionatamente e per le intenzioni che i fedeli porteranno nel loro cuore. Nei dintorni della piazza saranno disposti dei confessionali per ricevere il Sacramento della Riconciliazione, com’era già stato fatto per la Gmg di Madrid 2011 con grande successo. Domenica 29, alle 10.30, l’intervento di Kiko Argüello (iniziatore del Cammino neocatecumenale) che presenterà le famiglie che saranno benedette prima della loro partenza per la Missione ad gentes in diverse parti del mondo. La Santa messa che seguirà dopo le parole d’incoraggiamento del Santo Padre, sarà concelebrata da numerosi vescovi spagnoli, europei e di altri continenti insieme nel ribadire la trascendenza delle famiglie cirstiane e il loro contributo al bene comune della società. (A cura di AlinaTufani)

    inizio pagina

    Svizzera. Appello Caritas: maggiori tutele per i minori richiedenti asilo

    ◊   Nella politica d’asilo, la Svizzera non rispetta i diritti fondamentali dell’infanzia: è la denuncia della Caritas elvetica contenuta in una dichiarazione pubblicata ieri. Nel documento, si sottolinea che « quando arrivano nel Paese, i minori richiedenti asilo non trovano né sistemazioni adatte, né cure appropriate, né aiuto per l’educazione ». Di qui, la richiesta di maggiori tutele per i giovani, tanto più che « ratificando, nel 1997, la Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti dell’infanzia, la Svizzera si è impegnata a prendersi cura dei minori in tutti gli ambiti statali ». Un impegno che – denuncia ancora l’organizzazione caritativa – il Paese non rispetta, in quanto diritti fondamentali dei bambini, come quello all’educazione o ad una qualità di vita appropriata, non sono garantiti. « I minori che arrivano in Svizzera – continua la nota – sono spesso traumatizzati dai pericoli che hanno corso nel loro viaggio ». Tuttavia, una volta giunti nel Paese elvetico, rimangono « in una situazione di incertezza, a volte per diversi anni. E per di pù, quando raggiungono la maggiore età, vengono rimpatriati ». Di qui, l’appello della Caritas affinché la politica nazionale relativa al diritto di asilo si conformi rapidamente alla Convenzione Onu, anche grazie ad alcune soluzioni pratiche, come « la reintroduzione della consegna delle richieste d’asilo presso le Ambasciate, così da permettere ai minori una sistemazione più rapida presso le famiglie d’accoglienza ed una scolarizzazione pressoché immediata ». Allo stesso tempo, la Caritas insiste affinché i bambini e gli adolescenti richiedenti asilo non siano tenuti in detenzione in vista del loro rimpatrio, non divengano oggetto di « misure costrittive », ma sia « ascoltati » e tutelati, con « la garanzia del permesso di soggiorno », dopo un determinato periodo. (I.P.)

    inizio pagina

    Registrati 100mila casi di maltrattamento sui minori

    ◊   In Italia sono stati registrati 100mila casi di maltrattamenti sui minori. Il dato è stato rilevato da un’indagine realizzata dal Coordinamento dei servizi contro gli abusi e da Terres des Hommes. Ma ad allarmare è un’altra rilevazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: per ogni caso emerso ce ne sono almeno altri 9 che non vengono riconosciuti e curati. Sarebbero quindi almeno 900mila i bambini a rischio. Numeri emersi durante gli “Stati generali sul maltrattamento all’infanzia in Italia”, che si chiuderanno oggi a Torino. Complessivamente i casi seguiti dai servizi sociali in Italia sono 100mila, pari allo 0,98% della popolazione minorile. Dall’analisi è emerso che per il 43% dei casi per i genitori il contesto maggiormente a rischio è rappresentato dai Centri sportivi, ma il 59% ritiene che i propri figli siano comunque sufficientemente tutelati contro gli abusi da parte di adulti in ambienti estranei a quelli familiari. Da parte dei ragazzi è stato segnalato, invece, un altro dato che fa riflettere: alla domanda se un abuso «succedesse a un tuo amico/conoscente pensi che lui ne parlerebbe a qualcuno?», solo il 39% ne riferirebbe ai genitori e il 18% agli insegnanti. E proprio l’ascolto diventa così un elemento fondamentale da parte di quanti sono in contatto con i bambini. (F.P.)

    inizio pagina

    Un cammino di speranza con Maria: a Roma, il “sabato mariano” dall’Avvento a Pasqua

    ◊   Prosegue alla Basilica di S. Maria in Via Lata a Roma il “Sabato mariano”, una catena di incontri che va dall’Avvento a Pasqua. L’iniziativa, giunta al 36.mo anno, è promossa dal Centro di Cultura Mariana “Madre della Chiesa”, diretto da padre Ermanno Toniolo, professore emerito della Pontificia Facoltà Teologica Marianum, in collaborazione con le Suore Figlie della Chiesa di Santa Maria in Via Lata. Il tema di quest’anno mariano, che si concluderà sabato 19 aprile, è “Un cammino di speranza con Maria”. Domani, interverrà alla Basilica il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi sul tema “I Santi, portatori di speranza”. Il “Sabato Mariano” ha trovato favorevole accoglienza e gioiosa partecipazione da parte di molte persone: sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Si prefigge di mantenere viva la “memoria di Santa Maria in sabato”: è infatti antico uso liturgico della Chiesa latina di consacrare il sabato alla Vergine, quale memoria di quel grande sabato nel quale in Lei si raccolse tutta la fede della Chiesa e dell’umanità, nell’attesa trepida della Risurrezione di Cristo. (A.G.)

    inizio pagina

    A 88 anni si è spento Benny Lai, decano dei vaticanisti italiani

    ◊   È universalmente noto nel mondo del giornalismo come quello del “vaticanista” sia un profilo specialistico molto particolare, che deve mettere insieme competenze trasversali che superano i soli confini geografici da dove si governa la Chiesa universale. Benny Lai – spentosi ieri a Roma a 88 anni – le cose vaticane le ha raccontate dal 1952 e questo significa aver esercitato competenze trasversali, imperniante su uno sguardo fieramente difeso come “laico”, su fatti di cronaca che andavano consegnandosi alla storia come eventi di portata eccezionale: l’ultima fase della Chiesa preconciliare, quella del Vaticano II e del post-Concilio, con il complesso percorso di rinnovamento intrecciato a quello di Pontificati altrettanto straordinari, come quelli succedutisi negli ultimi 50 anni. Cosentino di Aprigliano, Benny Lai ha pubblicato i suoi articoli sulle colonne di molti dei maggiori quotidiani italiani, dagli esordi alla Gazzetta del Popolo fino a Repubblica, passando per il Resto del Carlino, la Nazione e il Giornale diretto da Montanelli. Benny Lai è stato anche confidente e biografo del cardinale arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, primo presidente dei vescovi italiani, e un saggista molto apprezzato per l’acume delle riflessioni, condite da una esperienza che aveva pochi eguali e che lo rendeva tra i più giovani del mestiere un punto di riferimento. (A cura di Alessandro De Carolis)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 347

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.