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Sommario del 06/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • La morte di Mandela. Il Papa: forgiò un nuovo Sudafrica sulla riconciliazione e l'uguaglianza
  • Il Papa ai teologi: siate pionieri del dialogo della Chiesa con le culture
  • Il Papa: pregare è dare “fastidio” a Dio perché ci ascolti, sempre sicuri del suo intervento
  • Predica d’Avvento. P. Cantalamessa: per riformare la Chiesa bisogna rinnegare se stessi e seguire Gesù
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: la Croce è il prezzo dell’amore vero
  • Plenaria dei laici. L'America Latina tra fede antica e nuove contraddizioni
  • "La penna di Pietro": 50 anni di comunicazione della Santa Sede nel libro di Angelo Scelzo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Intervento francese in Centrafrica. Don Mathieu: perdono chi ha ucciso mio fratello
  • Yemen. Al Qaeda rivendica l'attentato al Ministero della Difesa
  • Rapporto Unicef-Istat: cala la malnutrizione ma aumenta il sovrappeso infantile
  • A rischio l'aiuto alimentare ai circa 5 milioni di persone in povertà assoluta in Italia
  • Censis: Italia scialba e malcontenta, ma sopravvive
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Morte Mandela. L’omaggio dei vescovi del Sudafrica: “Lottiamo per i suoi ideali”
  • Sri Lanka. In aumento le violenze contro i cristiani
  • In Egitto cristiano convertito dall’Islam arrestato per motivi poco chiari
  • India. Grande successo del primo Forum unitario di preghiera
  • Lione. Dal terzo Forum islamico-cristiano lettera aperta ai giovani su pace e solidarietà
  • Antille. Ivescovi denunciano la situazione degli irregolari haitiani residenti a Santo Domingo
  • Medvedev con l’Ucraina per la mancata firma dell’accordo Ue. Rinviato il processo Timoshenko
  • Presto lo Zimbabwe avrà la sua prima emittente cattolica: "Radio Chiedza"
  • Bosnia-Erzegovina. La denuncia di un vescovo sulle discriminazioni subite dai cattolici
  • Canada. Messaggio dei vescovi per il Natale: sia momento di “lucidità” in Cristo
  • Vietnam. La Caritas locale accanto ai malati di Aids nell’indifferenza delle autorità
  • All’Università Santa Croce, cerimonia di premiazione del Premio “Giuseppe De Carli”
  • Il Papa e la Santa Sede



    La morte di Mandela. Il Papa: forgiò un nuovo Sudafrica sulla riconciliazione e l'uguaglianza

    ◊   Un uomo che ha speso la vita per creare “un nuovo Sudafrica”, in cui tutti i cittadini avessero pari dignità. È con questo pensiero che Papa Francesco ricorda in un telegramma la scomparsa di Nelson Mandela, lo storico leader sudafricano spentosi ieri sera a Pretoria all’età di 95 anni. Accanto al mondo intero che ne piange la morte, il Papa, affidandone l’anima a Dio, rende “omaggio – scrive – al costante impegno dimostrato da Nelson Mandela nel promuovere la dignità umana di tutti i cittadini della nazione e nel forgiare un nuovo Sudafrica costruito sulle solide fondamenta della non-violenza, la riconciliazione e la verità”. Prego, conclude Papa Francesco, “che l'esempio del defunto presidente possa ispirare generazioni di sudafricani a porre la giustizia e il bene comune al primo posto delle loro aspirazioni politiche”.

    Da ogni parte del mondo, dunque, stanno giungendo messaggi di cordoglio che ricordano Mandela e la sua lotta contro l’apartheid, la politica di segregazione razziale perseguita da Pretoria nei confronti dei neri fino al 1993. Il Nobel per la Pace, che pagò la sua opposizione alla discriminazione con 27 anni di carcere, divenne poi presidente del Sudafrica nel 1994, avviando il processo di riconciliazione interno e divenendo il padre della patria, quel "Madiba" da tutti affettuosamente onorato. Sulla sua figura, un ritratto di Giancarlo La Vella:

    "...in the name of peace, democracy and freedom for all..."
    Pace, democrazia e libertà per tutti. In uno dei suoi celebri discorsi Mandela stila quello che è stato il leit-motiv della sua vita. Lotta per valori, pagata con oltre cinque lustri di segregazione, che però non gli hanno impedito, una volta libero alla guida del nuovo Sudafrica, di lavorare non per la vendetta, ma per un Paese dove chiunque godesse degli stessi diritti. Celebri le frasi pronunciate durante la sua vita. Eccone alcune: “Le difficoltà piegano alcuni uomini, ma ne rafforzano altri”. “I veri leader devono essere in grado di sacrificare tutto per il bene della loro gente”. “Esseri liberi non significa semplicemente rompere le catene ma vivere in modo tale da rispettare e accentuare la libertà altrui”. Oltre a Obama e Ban Ki-moon un riconoscimento importante da Frederik De Klerk, ultimo presidente sudafricano dell'epoca dell'apartheid, con Mandela premio Nobel per la pace. “Grazie a Mandela la riconciliazione in Sudafrica è stata possibile”: ha detto in un’intervista. E poi l’attuale presidente Zuma, che ha indetto il lutto nazionale e annunciato i funerali di Stato. “Il mondo gli sarà sempre grato”. Si ricordano poi gli incontri cordiali con Giovanni Paolo II. Nel 1995 in Sudafrica per la visita del Papa, ricambiata dal leader in Vaticano nel 1998. Un’amicizia sugellata dalla presenza di Mandela ai funerali di Karol Wojtyla nell’aprile 2005. “Ora è libero per sempre”. Questo il commento di Cassius Clay - Mohamed Ali', il grande pugile americano che ha combattuto la discriminazione.


    Le tappe dell'impegno di Nelson Mandela riassunte in questa scheda di Giulio Albanese:

    Non è stato solo un celebre Premio Nobel per la Pace, un ex presidente autorevole, il padre della patria che tutti sognavano in Sudafrica, ma soprattutto l’eroe nella lotta contro l’apartheid. Si era ritirato ufficialmente dalla vita pubblica nel 1999, ma non ha mai interrotto la sua azione umanitaria in favore soprattutto di coloro che soffrono nelle periferie del mondo. Un impegno per la pace e la comprensione umana oltre i confini del Sudafrica. Reso fragile dall’età e dai 27 anni trascorsi nelle galere del regime segregazionista bianco, già nel 1994 all’epoca delle prime elezioni libere in Sudafrica, Mandela era dell’idea che non fosse opportuno fare il presidente a vita all’età di 76 anni. Fin dall’inizio, mise in chiaro che avrebbe portato a termine un solo mandato. Madiba come lo chiamavano tutti in Sudafrica con grande affetto, è certamente stato il leader africano che ha contribuito maggiormente a segnare l’epoca del riscatto dopo l’onta coloniale e le pessime performance di molti regimi. Aperto al dialogo, ha il merito di aver scongiurato una guerra civile che avrebbe sconvolto il Sudafrica con conseguenze, forse, irreparabili.


    Per una riflessione sull’importanza della figura di Nelson Mandela, Fausta Speranza ha intervistato lo storico Matteo Luigi Napolitano, docente all’Università del Molise:

    R. - La vittoria di Mandela è stata anche la vittoria dei bianchi, cioè una vittoria condivisa: Mandela non voleva una dittatura dei neri, voleva una condivisione fraterna di un territorio dalle immense ricchezze naturali. Questo è il suo messaggio; il messaggio consegnato alle giovani generazioni, ma non solo del Sudafrica.

    D. - Dunque Mandela ha fatto del Sudafrica esempio per tutto il mondo. Ma, il Sudafrica oggi come si presenta? Non è davvero tutto risolto …

    R. - No, assolutamente. Si pensi alle differenti opportunità, alle condizioni economiche o di ascesa sociale delle popolazioni rispettivamente nera e bianca; e c’è un nuovo flusso di immigrazione - quella di tipo asiatico - che crea ulteriori difficoltà. Il secondo problema sono le libertà civili, come ad esempio la libertà di stampa, il sistema giudiziario … Ciò detto, però il Sudafrica mantiene un grande, un grandissimo primato nel mondo se pensiamo che i sudafricani sono riusciti a fare quello probabilmente non era nemmeno pensabile in altri Paesi di lunga tradizione multirazziale, come ad esempio gli Stati Uniti: il simbolo di Mandela non è stato un simbolo, ma un mezzo per abbattere un muro di divisione. Questo, evidentemente non elimina i problemi che tuttavia ci sono ancora, ma ovviamente aiuta a comprenderli meglio e soprattutto fa da substrato ad una società che, tutto sommato, anche se multirazziale ha questo comune denominatore. Appunto noi non dobbiamo dimenticare che la vittoria di Mandela è stata anche la vittoria dei bianchi, cioè una vittoria condivisa.

    D. - Bandiere a mezz’asta negli Stati Uniti e omaggio da tutto il mondo: ma è stata davvero ereditata, assimilata la lezione di Mandela secondo lei?

    R. - Questo sarebbe stato auspicabile, ma come dicevo non del tutto. In termini di principi, gli Stati democratici naturalmente rifiutano la discriminazione. All’applicazione pratica, le opportunità sociali negli Stati multirazziali restano diverse: si pensi all’ascesa sociale, al miglioramento della condizione personale, alla tipologia di lavori a cui si può accedere, allo stesso sistema giudiziario … Vediamo che anche nei Paesi ricchi, ci sono problematiche di integrazione, partendo dalla stessa configurazione dei quartieri delle grandi metropoli multirazziali. Si vede certamente una sorta di separazione de facto dal punto di vista della vita quotidiana, sociale, che ovviamente ci indica che l’integrazione non è stata del tutto completata e che il cammino è ancora lungo. Questo chiama ovviamente all’impegno di tutti, tutti i Paesi e soprattutto i governanti.

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    Il Papa ai teologi: siate pionieri del dialogo della Chiesa con le culture

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani i membri della Commissione Teologica Internazionale, guidati dal presidente, mons. Gerhard Ludwig Müller, a conclusione della plenaria. Nel suo discorso Papa Francesco ha incoraggiato i teologi ad essere pionieri del dialogo della Chiesa con le culture. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Papa Francesco riafferma "l’importanza del servizio ecclesiale dei teologi per la vita e la missione del Popolo di Dio”. Al teologo – sottolinea citando la Gaudium et spes - appartiene il compito di “ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta”. Quindi offre il suo forte incoraggiamento:

    “I teologi sono dunque dei ‘pionieri’, è importante questo… pionieri. Avanti! Pionieri del dialogo della Chiesa con le culture… ma, questo dei pionieri è anche importante perché alcune volte si può pensare che sono dietro, in caserma … No: sulle frontiere. Questo dialogo della Chiesa con le culture è un dialogo al tempo stesso critico e benevolo … che deve favorire l’accoglienza della Parola di Dio da parte degli uomini «di ogni nazione, razza, popolo e lingua”.

    I tre temi che attualmente occupano la Commissione – ha ricordato il Papa – “si inseriscono in questa prospettiva. La vostra riflessione sui rapporti tra monoteismo e violenza attesta che la Rivelazione di Dio costituisce veramente una Buona Notizia per tutti gli uomini”:

    “Dio non è una minaccia per l’uomo! La fede nel Dio unico e tre volte santo non è e non può mai essere generatrice di violenza e di intolleranza. Al contrario, il suo carattere altamente razionale le conferisce una dimensione universale, capace di unire gli uomini di buona volontà. D’altra parte, la Rivelazione definitiva di Dio in Gesù Cristo rende oramai impossibile ogni ricorso alla violenza ‘nel nome di Dio’. È proprio per il suo rifiuto della violenza, per aver vinto il male con il bene, con il sangue della sua Croce, che Gesù ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro”.

    E la Chiesa – ha proseguito – “è tenuta a vivere prima di tutto in se stessa quel messaggio sociale che porta nel mondo. Le relazioni fraterne tra i credenti, l’autorità come servizio, la condivisione con i poveri: tutti questi tratti, che caratterizzano la vita ecclesiale fin dalla sua origine, possono e devono costituire un modello vivente ed attraente per le diverse comunità umane, dalla famiglia fino alla società civile”. “Tale testimonianza – ha sottolineato - appartiene al Popolo di Dio nel suo insieme, che è un Popolo di profeti. Per il dono dello Spirito Santo, i membri della Chiesa possiedono il ‘senso della fede’. Si tratta di una sorta di ‘istinto spirituale’, che permette di sentire cum Ecclesia e di discernere ciò che è conforme alla fede apostolica e allo spirito del Vangelo”:

    “Certo, il sensus fidelium non si può confondere con la realtà sociologica di un’opinione maggioritaria, quello è chiaro. È un’altra cosa. È importante dunque - ed è un vostro compito - elaborare i criteri che permettono di discernere le espressioni autentiche del sensus fidelium. Da parte sua, il Magistero ha il dovere di essere attento a ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso le manifestazioni autentiche del sensus fidelium”.

    La missione dei teologi – ha concluso il Papa è “al tempo stesso affascinante e rischiosa”. “Affascinante, perché la ricerca e l’insegnamento teologico possono diventare una vera strada di santità”. D’altra parte, con il rischio “possiamo andare avanti”:

    “Ma è anche rischiosa, perché comporta delle tentazioni: l’aridità del cuore, ma questo è brutto … quando il cuore si inaridisce e crede di poter riflettere su Dio con quell’aridità … quanti sbagli! L’orgoglio, persino l’ambizione. San Francesco di Assisi una volta indirizzò un breve biglietto al fratello Antonio di Padova, dove diceva tra l’altro: «Mi piace che insegni la sacra teologia ai fratelli, purché, nello studio, tu non spenga lo spirito di santa orazione e di devozione». Anche avvicinarsi ai piccoli aiuta a diventare più intelligenti e più sapienti”.

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    Il Papa: pregare è dare “fastidio” a Dio perché ci ascolti, sempre sicuri del suo intervento

    ◊   Pregare con insistenza e con la certezza che Dio ascolterà la nostra preghiera. Su questo aspetto ha riflettuto Papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa Santa Marta. La preghiera, ha affermato, il Papa ha due atteggiamenti: è “bisognosa” e allo stesso tempo è “sicura” del fatto che Dio, nei suoi tempi e nei suoi modi, esaudirà il bisogno. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La preghiera, quando è cristiana sul serio, oscilla tra il bisogno che sempre contiene e la certezza di essere esaudita, anche se non si sa con esattezza quando. Questo perché chi prega non teme di disturbare Dio e nutre una fiducia cieca nel suo amore di Padre. Cieca come i due non vedenti del brano del Vangelo di oggi, che gridano dietro a Gesù il loro bisogno di essere guariti. O come il cieco di Gerico, che invoca l’intervento del Maestro con una voce più alta di chi vuole zittirlo. Perché Gesù stesso – ricorda Papa Francesco – ci ha insegnato a pregare come “l’amico fastidioso” che mendica del cibo a mezzanotte, o come “la vedova col giudice corrotto”:

    “Non so se forse questo suona male, ma pregare è un po’ dare fastidio a Dio, perché ci ascolti. Ma, il Signore lo dice: come l’amico a mezzanotte, come la vedova al giudice… E’ attirare gli occhi, attirare il cuore di Dio verso di noi… E questo lo hanno fatto anche quei lebbrosi che gli si avvicinarono: ‘Se tu vuoi, puoi guarirci!’. Lo hanno fatto con una certa sicurezza. Così, Gesù ci insegna a pregare. Quando noi preghiamo, pensiamo a volte: ‘Ma, sì, io dico questo bisogno, lo dico al Signore una, due, tre volte, ma non con tanta forza. Poi mi stanco di chiederlo e mi dimentico di chiederlo’. Questi gridavano e non si stancavano di gridare. Gesù ci dice: ‘Chiedete’, ma anche ci dice: ‘Bussate alla porta’, e chi bussa alla porta fa rumore, disturba, dà fastidio”.

    Insistenza ai limiti del fastidio, dunque. Ma anche una incrollabile certezza. I ciechi del Vangelo sono ancora di esempio. “Si sentono – afferma Papa Francesco – sicuri di chiedere al Signore la salute”, perché alla domanda di Gesù se credano che Egli possa guarirli, loro rispondono: “Sì, Signore, crediamo! Siamo sicuri!”:

    “E la preghiera ha questi due atteggiamenti: è bisognosa ed è sicura. Preghiera bisognosa sempre: la preghiera, quando noi chiediamo qualcosa, è bisognosa: 'Ho questo bisogno, ascoltami, Signore'. Ma anche, quando è vera, è sicura: ‘Ascoltami! Io credo che tu possa farlo perché tu lo hai promesso’”.

    “Lui l’ha promesso”: ecco la pietra angolare su cui poggia la certezza di una preghiera. “Con questa sicurezza – ripete Papa Francesco – noi diciamo al Signore i nostri bisogni, ma sicuri che lui possa farlo”. Pregare, dice ancora, è sentirci rivolgere da Gesù la domanda ai due ciechi: “Tu credi che io possa fare questo?”:

    “Lui può farlo. Quando lo farà, come lo farà non lo sappiamo. Questa è la sicurezza della preghiera. Il bisogno di dirlo con verità, al Signore. ‘Sono cieco, Signore. Ho questo bisogno. Ho questa malattia. Ho questo peccato. Ho questo dolore…’, ma sempre la verità, come è la cosa. E Lui sente il bisogno, ma sente che noi chiediamo il suo intervento con sicurezza. Pensiamo se la nostra preghiera è bisognosa ed è sicura: bisognosa, perché diciamo la verità a noi stessi, e sicura, perché crediamo che il Signore possa fare quello che noi chiediamo”.

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    Predica d’Avvento. P. Cantalamessa: per riformare la Chiesa bisogna rinnegare se stessi e seguire Gesù

    ◊   “Francesco d’Assisi e la riforma della Chiesa per via di Santità”. E’ stato questo il tema della prima predica d’Avvento al Papa e alla Curia Romana, tenuta stamani in Vaticano da padre Raniero Cantalamessa. Il predicatore della Casa Pontificia ha sottolineato che il Poverello d’Assisi ci insegna che i veri riformatori della Chiesa sono quelli che rinnegano se stessi e vivono totalmente per il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Per capire San Francesco, “bisogna partire dalla sua conversione”. Padre Cantalamessa ha iniziato così la sua predica d’Avvento e subito ha sottolineato che Francesco “non ha scelto la povertà e tanto meno il pauperismo: ha scelto i poveri”. E tuttavia, anche questa scelta non spiega fino in fondo la sua conversione. E’ “l’effetto del cambiamento, non la sua causa”:

    “La scelta vera è molto più radicale: non si trattò di scegliere tra ricchezza e povertà, né tra ricchi e poveri, tra l’appartenenza a una classe piuttosto che a un’altra, ma di scegliere tra se stesso e Dio, tra salvare la propria vita o perderla per il Vangelo”.

    “Il motivo profondo della sua conversione – ha soggiunto – non è di natura sociale, ma evangelica”. E del resto, Francesco “non andò di sua spontanea volontà dai lebbrosi”, ma vi fu condotto dal Signore. “Non ci si innamora di una virtù – ha avvertito padre Cantalamessa – fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona”:

    “Francesco non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire 'in seconde nozze' Madonna povertà. Così sarà sempre nella santità cristiana. Alla base dell’amore per la povertà e per i poveri, o vi è l’amore per Cristo, oppure i poveri saranno in un modo o nell’altro strumentalizzati e la povertà diventerà facilmente un fatto polemico contro la Chiesa, o una ostentazione di maggiore perfezione rispetto ad altri nella Chiesa, come avvenne, purtroppo, anche tra alcuni dei seguaci del Poverello”.

    “Nell’uno e nell’altro caso – ha aggiunto – si fa della povertà la peggiore forma di ricchezza, quella della propria giustizia”. Noi, ha poi osservato, “siamo abituati a vedere Francesco come l’uomo provvidenziale” capace di rinnovare la Chiesa in un tempo di forti tensioni. Francesco dunque come “una specie di mediatore tra gli eretici ribelli e la Chiesa istituzionale”. In realtà, però, ha ammonito padre Cantalamessa, “quell’intenzione non ha mai sfiorato la mente di Francesco. Egli non pensò mai di essere chiamato a riformare la Chiesa”. Ma cosa aveva voluto fare allora Francesco? “Ripristinare nel mondo la forma e lo stile di vita di Gesù”:

    “Scrivendo la Regola per i suoi frati comincerà così: 'La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo'. Francesco non teorizzò questa sua scoperta, facendone il programma per la riforma della Chiesa. Egli realizzò in sé la riforma e così indicò tacitamente alla Chiesa l’unica via per uscire dalla crisi: riaccostarsi al vangelo, riaccostarsi agli uomini e in particolare agli umili e ai poveri”.

    Francesco, ha proseguito, “fece a suo tempo quello che al tempo del Concilio Vaticano II si intendeva con il motto: abbattere i bastioni”:

    “Rompere l’isolamento della Chiesa, riportarla a contatto con la gente. Uno dei fattori di oscuramento del vangelo era la trasformazione dell’autorità intesa come servizio, in autorità intesa come potere che aveva prodotto infiniti conflitti dentro e fuori la Chiesa. Francesco, per conto suo, risolve il problema in senso evangelico. Nel suo Ordine, novità assoluta, i superiori si chiameranno ministri, cioè servi, e tutti gli altri frati, cioè fratelli”.

    Per riformare la Chiesa, dunque, bisogna iniziare a riformare se stessi. Francesco, ha detto padre Cantalamessa, ci insegna che se vogliamo davvero seguire Gesù e vivere per lui, dobbiamo rinnegare noi stessi. Significa “rimettere sempre al primo posto, nelle nostre intenzioni, la gloria di Cristo”:

    “Sia quelli che Dio chiama a riformare la Chiesa per via di santità, sia quelli che si sentono chiamati a rinnovarla per via di critica, sia quelli che egli stesso chiama a riformarla per via dell’ufficio che ricoprono. La stessa cosa da cui è cominciata l’avventura spirituale di Francesco: la sua conversione dall’io a Dio, il suo rinnegamento di sé. È così che nascono i veri riformatori, quelli che cambiano davvero qualcosa nella Chiesa”.

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; il card. Karl Josef Becker; António Manuel de Oliveira Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati; mons. Joseph Spiteri, arcivescovo tit. di Serta, Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio; mons. Edgar Peña Parra, arcivescovo tit. di Telepte, Nunzio Apostolico in Pakistan.

    In Malawi, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mangochi, presentata da mons. Alessandro Pagani per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo di Mangochi mons. Monfort Stima, finora vescovo titolare di Puppi e Ausiliare di Blantyre.

    In Messico, il Papa ha nominato vescovi ausiliari per l’arcidiocesi di Puebla i rev.di Rutilo Felipe Pozos Lorenzini, rettore del Seminario Palafoxiano di Puebla, assegnandogli la sede titolare di Satafis, e Tomás López Durán, vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico di prima istanza di Puebla, assegnandogli la sede titolare di Socia.

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    Tweet del Papa: la Croce è il prezzo dell’amore vero

    ◊   “La croce è il prezzo dell’amore vero. Signore, dacci la forza di accettare e portare la nostra croce!”: è il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da oltre 10 milioni di follower.

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    Plenaria dei laici. L'America Latina tra fede antica e nuove contraddizioni

    ◊   Proseguono a Roma i lavori della 26.ma Assemblea generale del Pontificio Consiglio per i Laici, dedicata al tema “Annunciare Cristo nell’era digitale”. Nella seconda giornata di lavori, i delegati provenienti da tutto il mondo si sono interrogati sulle strategia per utilizzare al meglio le nuove tecnologie, nel contesto della nuova evangelizzazione. A Enrique Elias, coordinatore del Movimento Vita Cristiana, Stefano Leszczynski ha chiesto quali siano oggi le sfide per i laici nel contesto latino-americano.

    R. – Diciamo che l’impegno dei laici in America Latina è stato cruciale, essenziale per la Chiesa da decenni. In tanti Paesi del continente, la presenza dei sacerdoti è bassa. Quindi, noi laici abbiamo dovuto superare la trincea, metterci in prima fila, per affrontare le sfide dell’evangelizzazione in America Latina, sia nell’ambito della catechesi che dell’appoggio liturgico, che sono a volte incredibili. Alcune parrocchie, infatti, non hanno nemmeno il sacerdote. In America Latina, siamo stati missionari noi laici, in molti sensi. E d’altronde, secondo la nostra specifica responsabilità, abbiamo dovuto avere una forte presenza in ambito sociale, nell’ambito della presenza cattolica identitaria, nell’educazione e persino nell’ambito politico, in un periodo molto critico di secolarizzazione. Siamo molto preoccupati, perché molti dicono sempre che l’America Latina sia il continente cattolico, il continente della speranza, e in un certo senso lo è, ma non bisogna perdere di vista che anche l’America Latina, con queste contraddizioni notevoli, questo sviluppo economico molto aggressivo, è un continente che ha bisogno di nuova evangelizzazione.

    D. – Una nuova evangelizzazione, basata quindi sull’uomo al centro, sui rapporti umani. Come si concilia tutto questo con una globalizzazione, come diceva lei, che non ha più l’uomo al centro e che deve usare per forza lo strumento più globalizzato che esista oggi, che è quello di Internet, della rete...

    R. – L’ambito dei media è stato poco cattolico, spesso perfino "anticattolico", a causa delle persone che l’hanno gestito. Siamo stati noi a essere assenti, più che presenti. Penso, allora, che l’invito di Papa Francesco a una presenza molto, molto vitale, forte dei cattolici sia un invito che noi dobbiamo accogliere e a cui dobbiamo andare incontro subito. Non dobbiamo più avere paura.

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    "La penna di Pietro": 50 anni di comunicazione della Santa Sede nel libro di Angelo Scelzo

    ◊   Cinquant’anni di comunicazione della Santa Sede, partendo dal Decreto conciliare Inter Mirifica per arrivare al web. Li racconta in “La penna di Pietro” Angelo Scelzo, vicedirettore della Sala Stampa vaticana. Il volume è stato presentato ieri a Roma nell’Aula Magna dell’Università Lumsa, con l’intervento, tra gli altri, di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa e direttore generale della Radio Vaticana. Il servizio dell'inviato, Davide Maggiore:

    “La penna di Pietro” è la storia di un cammino, di un’evoluzione della comunicazione che corre in parallelo con la consapevolezza, nella Chiesa, dell’importanza dei mass media nel diffondere la Fede e nel raccontare sé stessa al mondo. Il Concilio, i documenti vaticani sulla comunicazione inquadrati nel loro contesto sociale; eventi chiave come il Giubileo del 2000 e la morte, nel 2005, del beato Giovanni Paolo II; il pontificato di Benedetto XVI e i primi mesi di quello di Papa Francesco: sono queste le tappe ripercorse lungo le pagine del volume. Ma qual è il filo conduttore di questo cinquantennio? Risponde Angelo Scelzo:

    Credo che il filo conduttore sia proprio l’Inter Mirifica attraverso i suoi successivi aggiornamenti, Communio et progressio e Aetatis Novae, che rappresentano un po’ la dorsale dottrinale - direi - della comunicazione della Chiesa. Questi documenti, ognuno nel proprio tempo, hanno previsto quello che poi è avvenuto: l’accoglienza che la Chiesa ha dato alle nuove tecnologie, l’ambiente multimediale che oggi domina anche tutti i mezzi della comunicazione vaticana”.

    Su questo tema, l'opinione di Joaquin Navarro Valls, direttore della Sala Stampa della Santa Sede tra 1984 e 2006:

    “La Chiesa, in questo caso più particolarmente la Santa Sede, è consapevole della ricchezza che ha: la ricchezza dei valori umani e cristiani che deve trasmettere al mondo. Allora, è chiaro che non può rimanere isolata di fronte ai fenomeni della comunicazione e alle tecniche di comunicazione che si sviluppano piano piano”.

    In questo senso, Navarro-Valls ha ricordato l’immediato riconoscimento, da parte del Beato Giovanni Paolo II, delle potenzialità di Internet. Il “cambiamento radicale” introdotto dal web nelle logiche della comunicazione è stato anche al centro dell’intervento di padre Federico Lombardi, che si è soffermato sugli anni di Pontificato di Benedetto XVI, in cui questa evoluzione è stata più evidente. La sfida più importante per il futuro, ha inoltre spiegato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, è quella di una “comunicazione non centralizzata”. La figura di papa Francesco e il suo approccio alla comunicazione sono stati un altro dei temi affrontati dai relatori. Dice a questo proposito ancora Angelo Scelzo:

    “È una comunicazione immediata che salta quasi la mediazione dei mezzi, sia tradizionali che attuali ed è una straordinaria occasione per riflettere sui cambiamenti che sono avvenuti nella Chiesa nel campo nella comunicazione in questi cinquanta anni”.

    Quella "sulla" Chiesa e "della" Chiesa è naturalmente una comunicazione che non può prescindere da un riferimento ai valori più alti. Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali:

    “Tutti noi siamo chiamati a sapere che l’annuncio è quello del Vangelo. Ma siamo chiamati anche a dare testimonianza di vita, dare testimonianza con la vita di ciò in cui noi crediamo, quindi i grandi valori umani e i grandi valori del Vangelo”.

    Del rapporto tra Fede e comunicazione della Fede parla anche Joaquin Navarro-Valls:

    “Come si può trasmettere la fede se non si ha la fede? Un poeta direbbe: 'Come posso parlare di amore ad altri se non so cos’è l’amore?'. Quindi, senza la fede non mi interesso di comunicarla. Però, se sono consapevole che ho la fede mi rendo conto che è parte della mia fede il dovere di comunicarla agli altri”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il telegramma di cordoglio di Papa Francesco per la morte di Nelson Mandela, l'articolo di Pierluigi Natalia "La lezione di Madiba" e di Gaetano Vallini "Un Paese e una squadra".

    La fede non può generare violenza e intolleranza: udienza alla Commissione teologica internazionale.

    Il grido che dà fastidio: Messa del Pontefice a Santa Marta.

    Il traffico delle persone un odioso crimine da combattere: intervento, a Kiev, dell'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, durante la riunione del Consiglio dei ministri dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione e lin Europa (Osce).

    Un vescovo appassionato della vita: arriva a New York il sant'Ambrogio di monsignor Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.

    Un articolo di Alfredo Tradigo dal titolo "In un cantiere lungo sei secoli": la foresta di simboli in marmo rosa del duomo di Milano.

    La rete del cardinale: Giovanni Preziosi spiega come Ildefonso Schuster organizzò l'assistenza ai perseguitati dai nazifascisti.

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    Oggi in Primo Piano



    Intervento francese in Centrafrica. Don Mathieu: perdono chi ha ucciso mio fratello

    ◊   Le truppe francesi, dopo il via libera dell’Onu, stanno già pattugliando oggi le strade di Bangui, capitale del Centrafrica, teatro ieri di violenti scontri costati la vita ad almeno 130 persone. Scopo della missione è quella di riportare la sicurezza nel Paese favorendo la transizione democratica e la distribuzione degli aiuti umanitari. Tra le vittime di ieri c’è anche il fratello di un sacerdote centrafricano, don Mathieu Bondobo, che attualmente opera nella parrocchia romana di San Timoteo. Ai nostri microfoni ha voluto inviare al suo Paese un messaggio di perdono e riconciliazione. Ascoltiamo la sua testimonianza. L’intervista è di Sergio Centofanti:

    R. – La giornata di ieri è stata una giornata drammatica, non solo per la mia famiglia ma per tutto il Centrafrica, in particolare per la capitale, Bangui. Sin dalle prime ore della mattinata c’è stato un combattimento veramente violento intorno alla capitale e questo combattimento ha prodotto una vera carneficina. E’ una tragedia umana, perché tantissime persone hanno trovato la morte, e tra queste persone c’è mio fratello e noi portiamo ancora questo dolore nel cuore.

    D. – Proprio ieri, l’Onu dava il via libera all’intervento delle truppe francesi in Centrafrica …

    R. – Il popolo del Centrafrica stava aspettando questo intervento da molto, molto tempo: dal colpo di Stato avvenuto il 24 marzo scorso, abbiamo levato il nostro grido per dire al mondo intero ciò che stava accadendo in Centrafrica. Questa Risoluzione dell’Onu è una via molto importante per arrivare alla pace nel Paese, perché dalla situazione che è venuta a crearsi in seguito al colpo di Stato sono originate gravi crisi umanitarie: tantissime persone hanno trovato la morte. L’Unione Africana con le sue truppe non è riuscita a portare la pace. Mancava, dunque, una forza internazionale da parte dell’Onu per riuscire a portare sotto controllo il Paese escludendo, magari, tutti i mercenari che hanno guadagnato potere nel Paese, che qui fanno quello che vogliono … Per questo, la Risoluzione dell’Onu che dà il via libera alla Francia per intervenire militarmente è un grande aiuto.

    D. – Il Centrafrica si è sentito un po’ dimenticato dalla comunità internazionale?

    R. – All’inizio sì. Ma il fatto che l’Onu abbia preso questa decisione significa che adesso il Centrafrica è sul tavolo dell’Onu; da questo momento in poi l’Onu, oltre a rimanere a livello dei discorsi, con questa Risoluzione ha dimostrato che può anche prendere decisioni. L’augurio è che quando ci sono queste gravi crisi umanitarie non si aspetti troppo perché, mentre si aspetta, sul terreno gli innocenti, la povera gente, i poveri civili muoiono come animali e questo veramente ci fa male. Abbiamo avuto, adesso, una dimostrazione di coraggio da parte dell’Onu, che si è resa conto della difficoltà e che ha deciso di dare il via libera all’intervento della Francia.

    D. – Tanti morti, tante violenze, anche il pericolo di vendette … Tu hai avuto un fratello ucciso: è possibile perdonare? E’ possibile la riconciliazione, in mezzo a tanta violenza?

    R. – Umanamente è una cosa molto difficile, se rimaniamo nell’ambito umano, nell’ambito anche razionale; però, allo stesso momento, io che vi sto parlando sono sacerdote e quindi cerco di vedere le vicende a livello spirituale, a livello della fede. In questo senso, io credo che il tempo liturgico dell’Avvento che stiamo vivendo aiuti molto noi cristiani: siamo in attesa della venuta di Nostro Signore, sappiamo che questa venuta ha varie dimensioni. C’è la venuta storica, che ricordiamo a Natale, c’è la venuta escatologica, ma c’è anche la venuta continua, permanente del Signore nella nostra vita. Il nome di “Emmanuele” dice questo: “Dio è con noi”, per dire che il cristiano in ogni momento della sua vita testimonia la sua fede, e questa fede è una Persona che si chiama Gesù Cristo. E’ lui la nostra pace. E quindi, in nome di questa fede, io perdono. Perdono coloro che hanno ucciso mio fratello e allo stesso momento prego per loro, per la loro conversione, che si convertano, che cessino di fare del male. Prima del giudizio di Dio …

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    Yemen. Al Qaeda rivendica l'attentato al Ministero della Difesa

    ◊   Al Qaeda nella penisola arabica ha rivendicato nella notte l'attacco al ministero della Difesa dello Yemen, che ha causato ieri la morte di 52 persone e il ferimento di altre 162. Secondo quanto reso noto via Twitter dal portavoce dell’organizzazione terroristica, il complesso nel centro di Sanaa è stato assaltato perché sede delle sale di controllo dei droni Usa. Nel frattempo, il ministro della Difesa yemenita ha fatto sapere che l’esercito ha ripreso il controllo sull’area e che undici terroristi sono morti ieri durante l’assalto. Cecilia Sabelli ha intervistato Farian Sabahi, editorialista del Corriere della Sera e autrice del libro “Storia dello Yemen”, in diretto contatto con alcune fonti locali:

    R. – E’ una situazione drammatica, anche perché i terroristi hanno continuato a sparare per ore e in un palazzo vicino c’erano medici italiani che stavano tenendo lezione ad alcuni studenti di medicina. L'attacco è stato molto bene orchestrato: un’autobomba ha sfondato i cancelli nella città vecchia di Babel Yemen, proprio in occasione della visita di Mohammed Nasir, ministro della difesa, a Washington. Dopodiché, un’altra automobile è arrivata dentro l’ospedale militare e alcuni terroristi hanno fatto irruzione nella sala operatoria, uccidendo due chirurghi e il paziente che era sul tavolo operatorio in quel momento. E’ stata una battaglia molto cruenta che, tra l’altro, ha provocato la morte di sette persone tra medici e infermieri stranieri e questo, ovviamente, avrà un impatto sulla cooperazione internazionale.

    D. – All’indomani di questi attentati, può dirci qual è la situazione generale che il Paese sta affrontando?

    R. – E’ una fase di transizione quella che si sta vivendo oggi nello Yemen: a febbraio sono previste le elezioni presidenziali e soprattutto il dialogo nazionale dopo la Primavera araba ha portato al tavolo dei negoziati tutte le fazioni dello Yemen, sia le fazioni dell’ex presidente Saleh, sia le fazioni che un tempo erano all’opposizione e che oggi invece hanno un ruolo. L’unico gruppo rimasto escluso è stato al Qaeda, che, appunto, oggi ha rivendicato questo attentato.

    D. – La Premio Nobel yemenita, Taakkul Karman, ha accusato tempo fa il precedente governo di aver favorito l’espansione di al Qaeda per eliminare i suoi nemici e ottenere maggiori aiuti dalla comunità internazionale. Qual è, in questa fase di transizione di cui stiamo parlando, il ruolo giocato da al Qaeda?

    R. – Ricordiamo che il presidente Saleh aveva instaurato una partnership con l’Occidente e ancora oggi, anche se Saleh ha ceduto il testimone al suo vice, Abd Mansur, di fatto in Yemen, ai vertici dell’unica Repubblica della penisola araba, rimangono gli uomini di Saleh: tutti i suoi parenti, i suoi nipoti… Saleh comunque è stato messo in disparte, c’è una transizione importante e non bisogna dimenticare che al tavolo dei negoziati per il dialogo nazionale hanno discusso anche i secessionisti e i ribelli: appunto, tutte le forze tranne al Qaeda. Oggi, al Qaeda ha un ruolo importante in Yemen perché usa il Paese come base di lancio per attaccare l’Occidente, ma cerca anche di intimidire la popolazione locale per dimostrare che non ci può essere pace in Yemen. Al Qaeda, in questo momento, sta cercando di delegittimare il dialogo nazionale, questo processo che sta cercando di far crescere lo Yemen dopo la "primavera araba" locale.

    D. – Come vive questa situazione il popolo yemenita, che dal 2006 chiede attraverso manifestazioni – anche una rivoluzione – riforme politiche e il rispetto dei diritti umani?

    R. – La popolazione yemenita è la più povera tra i Paesi arabi, il reddito minimo pro-capite è molto basso: si parla di 1.000 euro pro capite l’anno. E' una popolazione che ha problemi legati al qāt, che è una droga, ci sono problemi legati all’acqua e le risorse petrolifere sono molto poche… Quindi, è sicuramente un Paese molto povero, ma è anche un Paese estremamente tradizionale: è un Paese dilaniato da guerre civili, è un Paese che, comunque, è Repubblica da soltanto qualche decennio. E’ un Paese che può sembrare marginale, ma che in realtà è molto importante per la comunità internazionale – anche per l’Italia – perché da Bab el-Mandeb, da quelle porte di Mandeb che portano al Mar Rosso, transitano buona parte dei barili che servono poi, di fatto, all’Europa.

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    Rapporto Unicef-Istat: cala la malnutrizione ma aumenta il sovrappeso infantile

    ◊   Sono 165 milioni, nel mondo, i bambini sotto i ciqnue anni che soffrono di malnutrizione cronica, mentre oltre tre milioni perdono la vita per questo motivo. Lo ha dichiarato il presidente dell'Unicef Italia, Giacomo Guerrera, presentando questa mattina il rapporto “Bambini e adolescenti tra nutrizione e malnutrizione. Problemi vecchi e nuovi in Italia e nel mondo in via di sviluppo”, realizzato in collaborazione con l'Istat. Antonella Pilia lo ha intervistato:

    R. - La malnutrizione, a livello mondiale, diminuisce sicuramente. Per contro, dobbiamo anche dire che nei Paesi poveri, al diminuire della malnutrizione, aumenta il sovrappeso nei bambini. Questa condizione di malnutrizione, comunque, ancora colpisce circa 200 milioni di bambini fra zero e cinque anni e per noi è importante agire nei primi mille giorni di vita, perché è quello il momento essenziale per garantire uno sviluppo naturale, adeguato ai bambini.

    D. - In questo senso, incoraggiate anche l’allattamento materno…

    R. - L’allattamento è fondamentale perché è “una vaccinazione naturale”, che consente al bambino di poter raggiungere il quinto compleanno. Noi diciamo che deve avvenire in maniera esclusiva nei primi sei mesi di vita, però a livello mondiale solo il 39% dei bambini viene allattato al seno. Quindi, continuiamo in quest’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento delle madri.

    D. - Il Rapporto Unicef-Istat prende in esame anche l’Italia. Cosa emerge?

    R. - In Italia, noi non parliamo certamente di malnutrizione, anche se il termine malnutrizione non è uguale a fame. Chi ha fame ha carenza di cibo, chi è malnutrito invece sicuramente lo è perché ingerisce cibi che non forniscono i contenuti proteici necessari per uno sviluppo naturale. E questo accade anche in casa nostra, a causa dei cattivi stili di vita dei nostri bambini. Ad esempio, una colazione non adeguata – quando si assumono soltanto bevande come thé o caffè, ma non si beve latte né si mangia qualcosa –, il consumo di snack e di bevande gassate, questo mangiare così disordinato nel corso della giornata che va a soddisfare i morsi della fame, però non contribuisce ad uno sviluppo adeguato del bambino… Tutto questo incide poi sul sovrappeso e sull’obesità.

    D. - Un altro dato significativo è la forte correlazione tra questi stili alimentari e l’ambiente familiare…

    R. - Noi abbiamo messo in evidenza come al crescere dell’istruzione della madre, diminuiscano questi cattivi comportamenti alimentari che, al contrario, incidono maggiormente nel caso in cui la mamma non è ad esempio laureata. Da questo punto di vista, inoltre, pesa anche in maniera considerevole il diverso titolo di studio della madre, sia per quanto riguarda la qualità della colazione che il consumo di snack, di bevande gassate e quant’altro.

    D. - Ci può fornire qualche dato in più sull’obesità infantile in Italia?

    R. - Circa il 30% dei maschi soffre di una forma più o meno forte di obesità, mentre le femmine sono circa il 23%. La percentuale, poi, è ancora più alta per coloro che vivono nel sud Italia – circa il 34% – mentre al Nord siamo al 22%. Alla base di questo fenomeno, oltre ai consumi non corretti, c’è la sedentarietà. In Italia, infatti, appena il 23% dei bambini fa movimento, contro il 32% assolutamente sedentario. Quindi nella scuola bisogna promuovere l’educazione fisica e lo sport.

    D. - Per combattere la malnutrizione infantile avete lanciato la campagna “il Cenone di Natale più grande del mondo”. Di cosa si tratta?

    R. - È una bellissima iniziativa, perché il nostro astronauta Luca Parmitano dallo spazio ci ha mandato un messaggio video nel quale anche lui sollecita gli italiani a intervenire in maniera adeguata proprio su questo fronte. Noi interveniamo, ma abbiamo bisogno di aiuto da parte di tutti. Questa campagna non è altro che la presentazione dei nostri interventi, che ci hanno portato ad ottenere dei risultati sorprendenti. Ogni anno, muoiono 17 mila bambini in meno rispetto al 1990, anche se sono sempre 6,6 milioni quelli che perdono la vita. Di certo, non abbiamo ancora raggiunto gli obiettivi di sviluppo, però ci sono delle possibilità concrete affinché questo avvenga in molte parti del mondo. Non dobbiamo dimenticare che un Paese particolarmente povero come il Bangladesh, entro il 2015 e forse anche prima, raggiungerà il quarto obiettivo di sviluppo, quello sulla mortalità infantile.

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    A rischio l'aiuto alimentare ai circa 5 milioni di persone in povertà assoluta in Italia

    ◊   Sono la Grecia e l’Italia i Paesi della zona euro dove il rischio povertà ed esclusione sociale è più alto. Secondo i dati Eurostat in Italia il 29,9% della popolazione rischia di diventare povero, ossia 18 milioni di persone. In questa drammatica situazione, quattro milioni e ottocentomila persone, in povertà assoluta, rischiano di non poter più beneficiare degli aiuti alimentari distribuiti da oltre 15 mila strutture caritative dislocate in tutta Italia. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Mancano pochi giorni alla fine dell’ann, e le istituzioni italiane dovranno scegliere se continuare a sostenere chi in Italia non ha la prima delle necessità: il cibo. Il prossimo 31 dicembre, si conclude il "Programma di aiuti alimentari dell’Ue in favore degli indigenti". Al governo italiano si chiede un incremento, necessario, del "Fondo nazionale per gli aiuti alimentari agli indigenti". Per questo oggi, al Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, si è recato in visita il presidente del Senato, Pietro Grasso:

    “L’impegno è anche cercare di veicolare, attraverso le istituzioni che rappresento, quindi il parlamento, un emendamento che possa – nella Legge di stabilità – aumentare il budget che l’anno scorso era di 100 milioni di euro e quest’anno è di 5 milioni di euro: come se, di colpo, la povertà fosse sparita, in Italia. Invece, sappiamo che è aumentata notevolmente. Noi abbiamo bisogno di risorse. Io farò di tutto per lanciare un appello ai miei colleghi alla Camera, e noi speriamo di dare questa buona notizia, prima di Natale, a coloro che vivono in questa situazione di povertà. L’idea è di togliere un po’ di fondi alla social card per poterli dare a queste istituzioni che veramente fanno onore all’Italia”.

    La denuncia delle Associazioni che si sono riunite nell’iniziativa “Insieme per l’Aiuto alimentare” – oltre al Centro Astalli, Croce Rossa Italiana, Banco Alimentare, Comunità di Sant’Egidio e altre – è che si corre il serio rischio che non saranno più disponibili derrate alimentari in favore dei bisognosi e che oltre 15 mila strutture caritative, oggi attive, non saranno in grado di affrontare l’emergenza. Padre Giovanni La Manna, direttore del centro Astalli:

    “E’ impensabile che chi è chiamato con responsabilità a decidere, continui a passare sulle persone in difficoltà. Stiamo parlando di bisogno primari, stiamo parlando del pasto quotidiano, della sopravvivenza di donne, bambini, di interi nuclei familiari. L’appello dev’essere pressante, forte, su chi ha il potere e la responsabilità di decidere tenendo conto della realtà, soprattutto degli ultimi. E’ impensabile assistere indifferenti al fatto che il numero delle persone in difficoltà cresce e dall’altra parte si tagliano risorse per mantenerle in vita. Perché quando parliamo di pasto quotidiano, parliamo di rimanere in vita”.

    Si chiede pertanto, con urgenza, che le risorse del nuovo Fondo europeo di aiuto agli indigenti, operativo dal 2014 al 2020, “siano destinate in massima parte all’acquisto di derrate alimentari da distribuire sul territorio nazionale attraverso gli Enti caritativi e le strutture caritative già impegnate” in questa direzione. Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare:

    “Spero che nella discussione della Legge di stabilità ci si renda conto che è necessari per le persone povere, indigenti, ma per tutti i cittadini che venga finanziato il Fondo di aiuti alimentari, con la cifra adeguata che noi riteniamo debbano essere almeno 40 milioni. Altrimenti, i rischi sociali e di sicurezza per il nostro Paese diventeranno veramente incalcolabili. Tutte le organizzazioni sono unite e hanno chiaro l’obiettivo. Adesso, chiediamo che anche le istituzioni si uniscano a noi e facciano il loro dovere, per potere – appunto – deliberare nella legge di stabilità, questo finanziamento. Scopo ultimo è aiutare oltre quattro milioni di persone che oggi hanno realmente difficoltà a nutrirsi tutti i giorni in modo che possa permettere loro di vivere e anche di affrontare le difficoltà che sono il lavoro, l’occupazione: senza mangiare non si può neanche lavorare, senza mangiare ci si ammala di più. Quindi, diventa un costo sociale molto più grande”.

    Non sostenere il Fondo significherebbe mettere fine a tutte le attività benefiche, che finora in Italia hanno permesso di creare e mantenere attiva una importante rete di aiuti in favore di tutte le persone in grave bisogno, il cui numero sta divenendo sempre più imponente.

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    Censis: Italia scialba e malcontenta, ma sopravvive

    ◊   Un’Italia sotto sforzo e malcontenta che, mentre la politica insegue la stabilità del sistema, riesce a “sopravvivere”, grazie alla cultura collettiva di valori acquisiti e alla capacità di riorientarsi nei comportamenti e negli interessi. E’ la fotografia in chiaroscuro offerta dal Censis nel 47esimo Rapporto annuale sulla situazione sociale in Italia, 2013, presentato oggi a Roma. Soggetti emergenti, secondo l’Istituto di ricerca, sono donne imprenditrici, lavoratori stranieri e giovani che vivono all'estero. Speranze: la riforma del welfare e l’economia digitale. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Una società che “sopravvive”, fiaccata dalla crisi persistente, una società che si “riadatta”, ma che non cade nel baratro - sempre ventilato dalla classe politica per legittimare se stessa e le proprie complicate manovre - e questo grazie ad una solida base di valori. Ma la contropartita di questa resistenza è l’apparire sempre più “sciapa”, senza fermento, cioè accidiosa, furba, disabituata al lavoro e soprattutto malcontenta, perché le diseguaglianze crescono, il ceto medio scompare e in troppi, anche se non tutti, “declinano”. Il sale alchemico che può fare la differenza, dice il Censis? Sono le imprese rosa - + 5000 unità solo nell'ultimo anno -, quelle anche degli immigrati - + 4,4% nel 2012 - e poi le attività degli italiani, che vivono e operano all’estero. L’esodo ha segnato un + 28,8% in un solo anno e più della metà di chi ha lasciato l’Italia ha meno di 35 anni. Il filo rosso che può fare da nuovo motore di sviluppo – sottolinea l’Istituto di statistica - è la connettività.

    E' vero – si legge nel Rapporto - che restiamo una società caratterizzata da individualismo, egoismo particolaristico, resistenza a mettere insieme obiettivi, gusto per la contrapposizione emotiva, scarsa immedesimazione nell'interesse collettivo e nelle istituzioni. Eppure queste tendenze sembrano aver raggiunto il loro apice e sono destinate a un progressivo superamento.

    Questo nelle considerazioni generali del Censis. Nello specifico la società raccontata ha una sanità sempre più a carico dei privati, una scolarità insufficiente e minacciata dalla dispersione, una famiglia sofferente, anche se – fattore positivo – è stata capace di rimodularsi in nome della sobrietà. Consuma come 10 anni fa, ha tagliato gli sprechi, gli spostamenti e va sempre di più a caccia di risparmi. Tragico, secondo il Censis, il settore lavoro. Anche chi è occupato, uno su quattro, teme per il futuro. Quali le scommesse possibili? Dice il Censis: l’edilizia, i grandi eventi internazionali e poi la cultura, a patto che però assuma una logica industriale.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Morte Mandela. L’omaggio dei vescovi del Sudafrica: “Lottiamo per i suoi ideali”

    ◊   "Una guida per il Paese sulla via della riconciliazione e della pace, che ha sempre invitato i sudafricani a gettare le armi di distruzione in mare e a rifiutare sia la dominazione bianca che la dominazione nera”. Così, attraverso le parole di mons. Stephen Brislin, arcivescovo di Città del Capo e presidente della Conferenza episcopale cattolica del Sudafrica, la Chiesa locale ricorda Nelson Mandela, scomparso ieri all’età di 95 anni. Nel messaggio di cordoglio inviato alla famiglia – e riferito dalla Fides – i vescovi sottolineano come Madiba “nonostante le forti sofferenze patite nella sua vita non abbia mai risposto al razzismo con il razzismo”. I vescovi tengono anche a ringraziare Mandela per averli ispirati “sulla via della riconciliazione” e per il suo sacrificio offerto per tutti i popoli del Sudafrica. “Non è mai sceso a compromessi con i suoi principi e ha perseguito la sua visione di un Sudafrica giusto e democratico dove tutti hanno uguali opportunità, anche sacrificando a lungo la propria libertà personale – ha scritto ancora mons. Brislin – il modo più grande che abbiamo per onorarlo è lottare per gli ideali che ha accarezzato, quali la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, e difenderli contro chi tenta di corromperli”. In chiusura, i presuli ricordano le parole che Mandela pronunciò al processo per tradimento: “Ho accarezzato l’ideale di una società libera e democratica nella quale le persone vivono insieme in armonia e con uguali opportunità”. (R.B.)

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    Sri Lanka. In aumento le violenze contro i cristiani

    ◊   Si moltiplicano gli attacchi contro le minoranze religiose, soprattutto quella cristiana, nello Sri Lanka, Paese spesso additato come esempio di convivenza multireligiosa. A denunciare la situazione all’agenzia Fides è l’Alleanza nazionale cristiana evangelica del Paese, ma il fenomeno è stato confermato anche dal Commissario dell’Onu per i Diritti umani, Navi Pillay, che ha recentemente compiuto un viaggio in Sri Lanka. Nel Paese, la popolazione è per il 70% buddista, il 12% indù, il 10% musulmana e appena il 7.5% è cristiana. La maggior parte delle violenze – che avvengono nella totale indifferenza e quindi impunità del governo locale – è perpetrata da monaci buddisti contro i cristiani attraverso la chiusura forzata di chiese, atti di vandalismo e incendi dolosi, minacce e percosse a membri della comunità, nel tentativo di cacciare il cristianesimo che definiscono “estraneo allo Sri Lanka”. Dall’inizio del 2013, sono già 65 gli episodi di cui si ha notizia: un aumento del 100% rispetto al 2011. (R.B.)

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    In Egitto cristiano convertito dall’Islam arrestato per motivi poco chiari

    ◊   Sarebbe stato nuovamente arrestato dalle forze di sicurezza nazionali, il cittadino egiziano cristiano Bishoy Armiya – convertitosi dall’Islam tempo fa, si chiamava Mohammed Hegazy – che già nel 2010 aveva dichiarato di essere stato incarcerato e seviziato nel tentativo di costringerlo a tornare musulmano. L’uomo, stavolta, sarebbe stato accusato di aver fotografato obiettivi militari e politici sensibili e di aver condiviso incontri a carattere sedizioso con altri cristiani, ma le accuse non sono ancora state chiarificate. La Procura di Minya avrebbe prolungato il provvedimento di arresto per alcuni giorni. (R.B.)

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    India. Grande successo del primo Forum unitario di preghiera

    ◊   Hanno pregato per il presidente, per il primo ministro, per i vari partiti politici, per i mass media e per la Chiesa in India i partecipanti, sabato scorso, al primo Forum unitario di preghiera dell’India. Si è trattato di una preghiera ecumenica e simultanea che si è svolta in tutto il Paese, precisamente in oltre mille sedi e con l’aderenza di oltre diecimila fedeli nella sola Delhi. Un grande successo della potenza della preghiera che è l’antidoto contro i mali sociali e politici che affliggono il Paese, come ha spiegato l’arcivescovo emerito della capitale della Confederazione, mons. Vincent Michael Concessao, che ha organizzato l’evento, concepito in vista delle prossime elezioni politiche del maggio 2014: “La nostra nazione sta attraversando un momento cruciale – ha detto alla Fides – vive agitazioni sociali, la crisi politica, economica e morale, perciò ha particolarmente bisogno delle nostre preghiere che in quanto cristiani ci sentiamo di assicurarle”. (R.B.)

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    Lione. Dal terzo Forum islamico-cristiano lettera aperta ai giovani su pace e solidarietà

    ◊   Si è svolto dal 29 novembre al primo dicembre scorsi a Lione, in Francia, il terzo Forum islamico-cristiano cui hanno preso parte, tra gli altri, il vescovo di Evry-Corbeil-Essonnes e presidente del Consiglio episcopale per le Relazioni interreligiose, mons. Michel Dubost, e il direttore del Servizio nazionale per le Relazioni con l’Islam, padre Christophe Roucou. Al termine del Forum, i partecipanti hanno scritto una lettera aperta ai giovani francesi esortandoli a “promuovere insieme una società in cui la libertà, l’uguaglianza e la fraternità siano al servizio di un umanesimo che leghi spiritualità, ragione, giustizia e solidarietà”. “Non siate ingenui, siate vigilanti – si legge nel testo riportato dall’Osservatore Romano – rimanete coerenti con i vostri valori umani e fedeli alla vostra fede, artigiani di pace”. L’invito, quindi, è a essere cittadini responsabili e a esercitare la propria libertà personale in maniera riflessiva e attiva, creando legami nel rispetto dei valori che fondano la società francese. Nonostante la consapevolezza delle difficoltà che incontrano la Francia e il mondo in questo momento, scandito da una forte crisi economica e dall’impoverimento generale della popolazione che spesso si manifesta in odio e violenza, si propone la denuncia di questi atti e la promozione di una convivenza più matura all’interno di una società multiculturale e pluriconfessionale. Tra i partecipanti all’incontro anche il presidente del raggruppamento dei musulmani di Francia, Anouar Kbibech, e il pastore protestante Anne Thöni. (R.B.)

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    Antille. Ivescovi denunciano la situazione degli irregolari haitiani residenti a Santo Domingo

    ◊   I vescovi delle Antille esprimono all’agenzia Fides il proprio dolore e la propria preoccupazione per la situazione dei numerosi haitiani che vivono nella Repubblica Dominicana, ai quali verrà ritirata la cittadinanza in seguito alla sentenza della Corte costituzionale locale che ha stabilito la revoca di tale diritto ai figli di immigrati irregolari, cui seguirà un piano nazionale di adeguamento degli stranieri residenti nel Paese. I presuli, riuniti a Port-of-Spain, nell’isola di Trinidad e Tobago per la visita del cardinale Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, hanno preso posizione su questo argomento dopo aver ricevuto un messaggio in merito dall’arcivescovo di Santo Domingo, il cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez. Ricordando che Gesù, il figlio di Dio, è stato anch’Egli un rifugiato, i vescovi invitano la Chiesa dominicana a fare tutto il possibile per salvaguardare i diritti e la dignità di queste persone, molte delle quali vivono nella Repubblica Dominicana da 30-40 anni e non hanno più rapporti con Haiti. In questi territori, dove esistono 13 nazioni indipendenti, tre dipartimenti francesi, sei colonie britanniche e una dipendenza degli Usa, la Chiesa è articolata in cinque Province ecclesiastiche con altrettante arcidiocesi, 14 diocesi e due missioni indipendenti. (R.B.)

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    Medvedev con l’Ucraina per la mancata firma dell’accordo Ue. Rinviato il processo Timoshenko

    ◊   “La decisione deve essere presa solo dall’Ucraina, è una loro prerogativa”. Così il premier russo, Dmitri Medvedev, ha commentato la mancata firma da parte di Kiev all’accordo che l’avrebbe avvicinata a Bruxelles, nel tentativo di mettere a tacere le voci circolate secondo cui ci sarebbe Mosca dietro tale decisione. “Kiev non ha firmato perché non è pronta e lo ha fatto in conformità con la Costituzione, senza alcuna violazione", ha detto, precisando: "Certo, la Russia non è indifferente a quello che succede: l’Ucraina è per noi un partner commerciale importante”. In un’intervista in diretta tv, Medvedev ha poi puntato il dito contro i politici stranieri che hanno preso parte, in questi giorni, alle proteste di piazza in corso nel Paese. Proprio oggi, inoltre, i deputati dell’opposizione hanno bloccato il parlamento prima dell’inizio dei lavori chiedendo “la fine delle persecuzioni politiche” e l’arresto degli agenti che la notte tra il 29 e il 30 novembre scorsi hanno fatto sgomberare piazza Maidan a colpi di manganello. Infine, il tribunale di Kharkiv ha rinviato al 27 dicembre prossimo il processo che vede imputata la leader d’opposizione in carcere Iulia Timoshenko, accusata di malversazione ed evasione fiscale per fatti che risalgono agli anni Novanta. L’ex premier, da un anno e mezzo ricoverata in ospedale, nel 2011 è stata condannata a sette anni per abuso di potere in un controverso processo che Usa e Ue ritengono di matrice politica: secondo l’accusa, nel 2009 avrebbe siglato un accordo con Mosca per forniture di gas a un prezzo sconveniente per Kiev. (R.B.)

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    Presto lo Zimbabwe avrà la sua prima emittente cattolica: "Radio Chiedza"

    ◊   Si chiamerà "Radio Chiedza", e inizierà le trasmissioni non appena il governo dello Zimbabwe le concederà l’autorizzazione, la nuova emittente cattolica di Harare in via di realizzazione e gestita dai Gesuiti. “Le nazioni vicine hanno già radio di questo tipo, sembra quindi inevitabile che l’esecutivo rilasci l’autorizzazione”, ha dichiarato a Fides l’arcivescovo della capitale, mons. Robert Christopher Ndlovu, che indica come responsabili della futura emittente padre Nigel Johnson e il direttore della Comunicazione della Compagnia di Gesù, Gift Mambipiri. La nuova radio si occuperà soprattutto di temi legati alla giustizia sociale, ma avrà il compito anche di amplificare il messaggio della Chiesa nel mondo e di promuovere la nuova evangelizzazione nelle dimensioni politica, sociale, culturale ed economica. (R.B.)

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    Bosnia-Erzegovina. La denuncia di un vescovo sulle discriminazioni subite dai cattolici

    ◊   Torna a denunciare le gravi discriminazioni subite dai cattolici di etnia croata che vivono in Bosnia-Erzegovina, mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, cittadina nel nordest bosniaco e capitale de facto della Repubblica Srpska, e lo fa con Aiuto alla Chiesa che Soffre. “I politici occidentali devono esercitare pressioni sul governo, affinché permetta ai rifugiati cattolici di tornare finalmente a casa”, è il suo accorato appello sulla sorte di oltre quattromila famiglie cattoliche che, a 15 anni dalla fine della guerra nella ex Jugoslavia, non possono ancora ritornare nelle proprie case e non hanno nessuno che si occupi ufficialmente di loro. “Soltanto 5.800 degli oltre 70 mila cattolici cacciati dalla nostra diocesi prima del 1991 sono potuti tornare, possibilità che invece hanno avuto oltre 250 mila musulmani”, è la sua testimonianza, che riferisce anche una situazione di estrema instabilità negli accordi di Dayton, il patto che nel 1995 oltre a sancire la fine del conflitto, decise la suddivisione della Bosnia-Erzegovina tra Federazione croato-musulmana e Repubblica serba di Bosnia. “Il Paese è stato diviso arbitrariamente e l’unico futuro possibile è un caos sociale e politico controllato da Unione Europea e Stati Uniti; un tradimento dei valori e dei principi europei, un fallimento della comunità internazionale e una disgrazia per la politica nazionale”. Allo stato attuale, la Chiesa cattolica è l’unica che cerca di rispondere ai bisogni della comunità cattolica locale attraverso il sostegno alle scuole in cui bambini di etnie diverse studiano insieme, e attraverso progetti di carattere educativo e sociale. (R.B.)

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    Canada. Messaggio dei vescovi per il Natale: sia momento di “lucidità” in Cristo

    ◊   Festeggiare il Natale con “lucidità”: è questo il cuore del messaggio per il Natale 2013, che mons. Paul-André Durocher, arcivescovo di Gatineau e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Canada, ha inviato a tutti i suoi fedeli: “Lucido è una bella parola e si applica bene alla festa del Natale con le sue candele, le sue luci colorate e le sue finestre illuminate - spiega il presule- ricorda la gloria degli angeli che, nell’oscurità di un campo vicino Betlemme, annunciarono la nascita ci Colui che un giorno sarebbe poi stato chiamato ‘la luce del mondo’”. “Festeggiare il Natale con lucidità però, non è solo questo - continua mons. Durocher - una persona lucida, infatti, è una persona sveglia, cosciente e perspicace, che non chiude gli occhi di fronte alla povertà di tanti uomini del nostro mondo, ma che invece va incontro al prossimo, soprattutto ai meno amati, e tiene a mente e nelle sue preghiere le vittime dei disastri naturali e umani che affliggono tanti Paesi”. “Che la nostra lucidità purificata dalla grazia che viene dall’alto - auspica l’arcivescovo Durocher - permetta al nostro mondo di far brillare un po’ di più quella luce che proviene dal Regno di giustizia, di pace e di gioia”. (G.P.)

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    Vietnam. La Caritas locale accanto ai malati di Aids nell’indifferenza delle autorità

    ◊   Ogni anno, migliaia di sieropositivi muoiono in Vietnam nel disinteresse più totale delle autorità. È la drammatica denuncia della Chiesa locale attraverso la Caritas di Hάi Phòng, nel Vietnam settentrionale, che nel corso dell’Anno della Fede è stata particolarmente impegnata nell’assistenza ai sieropositivi e ai malati di Aids curando oltre 2.300 persone grazie anche all’aiuto dell’organizzazione cattolica tedesca Misereor. Nel giugno scorso, solo qui, i sieropositivi erano oltre diecimila e, a causa della prevenzione inesistente e della totale assenza di stanziamenti per farmaci antiretrovirali, di questi ben 5.900 casi si sono trasformati in Aids conclamata, causando tremila morti e il rischio di contagio continuerà a salire se non saranno attivate le misure necessarie a contrastarlo. Molti dei malati, inoltre, sono bambini che hanno contratto l’hiv dai propri genitori. La Caritas ha attivato in proposito un corso di formazione dedicato al trattamento medico e psicologico dei pazienti e destinato a volontari che presteranno servizio tra i malati in diverse località. (R.B.)

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    All’Università Santa Croce, cerimonia di premiazione del Premio “Giuseppe De Carli”

    ◊   “Benedetto XVI. Ritratto inedito” di Lucio Brunelli è l'opera vincitrice della prima edizione del Premio "Giuseppe De Carli", la cui cerimonia di premiazione si è svolta il 5 dicembre presso la Pontificia Università della Santa Croce. Secondi classificati, ex aequo, Daniela Mazzoli, di Rai educational, per il documentario "Scrittori per un anno - Fede e letteratura" e Joaquim Franco, con "Arquivo Secreto Vaticano", andato in onda sull'emittente portoghese SIC TV. Il lavoro vincitore, trasmesso da Tg2 Dossier il 7 gennaio 2013, è stato scelto dalla giuria come opera che "propone un Ratzinger inedito, sia per le immagini mai trasmesse prima, sia per le testimonianze che hanno privilegiato voci lontane dalle gerarchie ecclesiastiche, attingendo a vite normali e talvolta difficili". Ne emerge un'immagine fortemente umana di Papa Benedetto, restituendo così una biografia vera ed emozionante di un Pontefice che ha guidato la Chiesa in uno dei periodi più difficili e contraddittori, dimostrando sempre quel coraggio, quell'amore e quella tenerezza che spesso non sono stati adeguatamente colti e raccontati". L'evento è stato aperto dalla proiezione di un video su Giuseppe De Carli, realizzato da Pier Luigi Lodi di Rai Vaticano, al quale sono seguiti il ricordo dell'attuale direttore della struttura, Massimo Enrico Milone, i saluti del rettore della Santa Croce, mons. Luis Romera, e del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. L'Associazione ha assegnato inoltre due premi: alla carriera al vaticanista Marco Tosatti e a una giovane promessa del giornalismo, la venticinquenne Elisa Bertoli. La cerimonia è stata preceduta da una tavola rotonda sul tema "L'informazione religiosa oggi: stato dell'arte", alla quale sono intervenuti Valentina Alazraki (Televisa, Messico), Rosario Carello (A Sua immagine, Rai 1) e Andrea Tornielli (La Stampa - Vatican Insider), moderati da Federico Piana della Radio Vaticana. Contemporaneamente alla cerimonia di premiazione, è stata lanciata la II edizione del Premio "Giuseppe De Carli", che questa volta prevede oltre alla categoria classica dei giornalisti, una categoria "Giovani" per coloro che si affacciano alla professione e che alla data del 31 dicembre 2013 non abbiano compiuto il 30.mo anno di età. (A.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 340

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