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Sommario del 05/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa istituisce Commissione contro gli abusi. Il 22 febbraio Concistoro per la creazione dei nuovi cardinali
  • Papa Francesco: ascoltare e non mettere in pratica la Parola di Dio non solo non serve ma fa anche male
  • Tweet del Papa: santità significa fare cose ordinarie con amore e fede
  • Mons. Parolin: l'impresa guardi non solo all'utile ma anche alla tutela del lavoro dei dipendenti
  • Il segretario di Stato vaticano: la Chiesa sia sempre più trasparenza di Cristo
  • Plenaria dei laici: trovare strade per il Vangelo negli ambienti digitali
  • Cortile dei Gentili a Roma. Il card. Ravasi: parliamo di gratuità nell'economia
  • Romania: visita del card. Koch alle comunità cristiane del Paese
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Monache "rapite" in Siria, mons. Zenari: tristezza in tutti, la gente non vuole questa guerra
  • Centrafrica ancora nel caos. La Francia pronta ad intervenire con mandato Onu
  • Crisi ucraina: tribunale dà 5 giorni ai manifestanti filo-Ue per lo sgombero degli edifici governativi
  • Consulta boccia "Porcellum". Savarese: campanello d'allarme per la politica
  • Giornata del volontariato. Emma Cavallaro: necessario promuovere più solidarietà e giustizia
  • Giornata nazionale della salute mentale: in Italia 17 milioni le persone con disturbi psichici
  • PerugiAssisi per la pace: dalla marcia di un giorno a quella di tutti i giorni
  • Convegno a 40 anni dalla morte di Jacques Maritain: l’amore per la verità nella libertà
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Yemen. Attacco kamikaze a Sanaa: oltre 20 morti
  • Siria. Il Patriarca greco-ortodosso Youhanna X Yazigi chiede libertà delle monache di Maaloula
  • Libano: per i vescovi è sotto attacco la sovranità nazionale
  • Iraq: a Kirkuk assalto al Centro commerciale. Vittime ed ostaggi
  • Nord Corea: Amnesty chiede la chiusura dei centri di detenzione
  • Eritrea: l'inferno dei migranti torturati e rapiti dall'esercito
  • Filippine: sale la conta delle vittime. Ancora emergenza nelle zone isolate
  • Argentina: violenza e saccheggi a Cordoba. La Chiesa: atti criminali, non dovuti alla povertà
  • Venezuela: l’arcivescovo di Caracas invita a partecipare alle elezioni comunali
  • Australia: alla Plenaria dei vescovi l'"Evangelii Gaudium" e il ruolo della donna nella Chiesa
  • Svizzera: conclusa la Plenaria dei vescovi, nel segno dell’"Evangelii Gaudium"
  • Terra Santa: di qualità le scuole cristiane finanziate dall'Ordine del Santo Sepolcro
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa istituisce Commissione contro gli abusi. Il 22 febbraio Concistoro per la creazione dei nuovi cardinali

    ◊   Ultimo giorno di lavori per il Consiglio di cardinali con Papa Francesco in Vaticano. Anche oggi i porporati hanno iniziato la giornata concelebrando la Messa con il Pontefice a Casa Santa Marta. Sull’importante riunione, si è tenuto un briefing in Sala Stampa vaticana, alla quale hanno preso parte il cardinale Seán Patrick O'Malley, arcivescovo di Boston e membro del Consiglio di cardinali, e padre Federico Lombardi. Due gli annunci principali: l’istituzione di una Commissione per la protezione dei bambini e il Concistoro per la creazione di nuovi cardinali il 22 febbraio. Sul briefing, come sempre particolarmente affollato di giornalisti, ci riferisce Alessandro Gisotti:

    Una Commissione internazionale della Santa Sede per lotta agli abusi su minori. E’ iniziata con un importante annuncio il briefing sull’ultima riunione del “Consiglio degli Otto”. A darlo il cardinale Seán Patrick O'Malley, particolarmente impegnato su questo fronte nella sua diocesi di Boston:

    “Il Santo Padre ha deciso di costituire una specifica commissione per la protezione dei fanciulli, con la finalità di consigliare il Papa Francesco circa l’impegno della Santa Sede nella protezione dei fanciulli e nell’attenzione pastorale per le vittime degli abusi”.

    Questa Commissione, ha detto, riferirà sullo stato dei programmi di attuazione per la protezione dell’infanzia e ancora formulerà suggerimenti per nuove iniziative della Curia e delle Conferenze episcopali come anche delle congregazioni religiose:

    “La composizione e le competenze della commissione verranno indicate prossimamente con maggiore dettaglio dal Santo Padre, con documento appropriato”.

    Tante le possibili responsabilità che avrà la commissione ci saranno le linee guida per la protezione dei bambini, i programmi di formazione per sacerdoti, e ancora la cooperazione con le autorità civili, la segnalazione dei reati e l’incontro con le vittime. Dal canto suo, padre Lombardi ha affermato che è stato anche deciso che il prossimo incontro del “Consiglio degli Otto” sarà di tre giorni: il 17, 18 e 19 febbraio, e precederà immediatamente il Concistoro del Collegio cardinalizio nel giorni 20 e 21. Il 22 febbraio ci sarà, poi, il Concistoro per la creazione dei nuovi cardinali, e il giorno dopo è in programma una grande concelebrazione con i nuovi porporati e il Collegio cardinalizio. Rispondendo quindi a una domanda di un giornalista sulla salute del Papa, che ieri aveva annullato un incontro dopo l’udienza generale, padre Federico Lombardi ha sottolineato:

    “Ieri mattina, alla fine dell’udienza, effettivamente, mentre faceva l’ultimo tratto di 'baciamano' sul sagrato, sentiva di essere abbastanza affaticato, avere anche un po’ di giramento di testa, e per questo ha pensato che fosse il caso di andare a riposare, invece di fare l’altra udienza che era prevista subito a seguire. Però la cosa non era di natura grave, per cui prendendo semplici rimedi e un poco di riposo ha potuto poi continuare il lavoro, sia al pomeriggio, sia questa mattina”.

    Al termine del briefing, il cardinale O’ Malley ha quindi sintetizzato i lavori di questi tre giorni, ribadendo che c’è ancora tanto da fare:

    “Abbiamo studiato i diversi dicasteri; incominciamo a fare alcune raccomandazioni, ma il nostro lavoro è appena incominciato …”.

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    Papa Francesco: ascoltare e non mettere in pratica la Parola di Dio non solo non serve ma fa anche male

    ◊   Chi pronuncia parole cristiane senza Cristo, cioè senza metterle in pratica, fa male a se stesso e agli altri, perché è vinto dall’orgoglio e causa divisione, anche nella Chiesa: è questo, in sintesi, quanto ha affermato Papa Francesco, stamani, durante la Messa presieduta nella Cappella di Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Ascoltare e mettere in pratica la parola del Signore è come costruire la casa sulla roccia. Papa Francesco spiega la parabola evangelica proposta dalla liturgia del giorno. Gesù rimproverava i farisei di conoscere i comandamenti ma di non realizzarli nella loro vita: “sono parole buone”, ma se non sono messe in pratica “non solo non servono, ma fanno male: ci ingannano, ci fanno credere che noi abbiamo una bella casa, ma senza fondamenta”. Una casa che non è costruita sulla roccia:

    “Questa figura della roccia si riferisce al Signore. Isaia, nella Prima Lettura, lo dice: ‘Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna!’. La roccia è Gesù Cristo! La roccia è il Signore! Una parola è forte, dà vita, può andare avanti, può tollerare tutti gli attacchi, se questa parola ha le sue radici in Gesù Cristo. Una parola cristiana che non ha le sue radici vitali, nella vita di una persona, in Gesù Cristo, è una parola cristiana senza Cristo! E le parole cristiane senza Cristo ingannano, fanno male! Uno scrittore inglese, una volta, parlando delle eresie diceva che un’eresia è una verità, una parola, una verità, che è diventata pazza. Quando le parole cristiane sono senza Cristo incominciano ad andare sul cammino della pazzia”.

    E una pazzia – spiega il Papa - che fa diventare superbi:

    “Una parola cristiana senza Cristo ti porta alla vanità, alla sicurezza di te stesso, all’orgoglio, al potere per il potere. E il Signore abbatte queste persone. Questa è una costante nella storia della Salvezza. Lo dice Anna, la mamma di Samuele; lo dice Maria nel Magnificat: il Signore abbatte la vanità, l’orgoglio di quelle persone che si credono di essere roccia. Queste persone che soltanto vanno dietro una parola, ma senza Gesù Cristo: una parola cristiana pure, ma senza Gesù Cristo, senza il rapporto con Gesù Cristo, senza la preghiera con Gesù Cristo, senza il servizio a Gesù Cristo, senza l’amore a Gesù Cristo. Questo è quello che il Signore oggi ci dice: di costruire la nostra vita su questa roccia e la roccia è Lui”.

    “Ci farà bene fare un esame di coscienza – afferma il Papa - per capire “come sono le nostre parole”, se sono parole “che credono di essere potenti”, capaci “di darci la salvezza”, o se “sono parole con Gesù Cristo”:

    “Mi riferisco alle parole cristiane, perché quando non c’è Gesù Cristo anche questo ci divide fra di noi, fa la divisione nella Chiesa. Chiedere al Signore la grazia di aiutarci in questa umiltà, che dobbiamo avere sempre, di dire parole cristiane in Gesù Cristo, non senza Gesù Cristo. Con questa umiltà di essere discepoli salvati e di andare avanti non con parole che, per credersi potenti, finiscono nella pazzia della vanità, nella pazzia dell’orgoglio. Che il Signore ci dia questa grazia dell’umiltà di dire parole con Gesù Cristo, fondate su Gesù Cristo!”.

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    Tweet del Papa: santità significa fare cose ordinarie con amore e fede

    ◊   “La santità non significa fare cose straordinarie, ma fare quelle ordinarie con amore e con fede”: è il tweet pubblicato, oggi, da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da oltre 10 milioni di follower.

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    Mons. Parolin: l'impresa guardi non solo all'utile ma anche alla tutela del lavoro dei dipendenti

    ◊   Il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, è intervenuto a Roma alla presentazione del volume “Tra etica e impresa, la persona al centro” del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis. Alessandro Guarasci:

    Si percepisce serenità nelle parole di mons. Parolin, quando parla del suo incarico, pieno di responsabilità, ammette, ma - afferma - “bisogna tutto mettere nelle mani di Dio”, “cercando di fare del nostro meglio”. Poi, parlando del tema toccato dal cardinale Rodriguez Maradiaga nel suo libro, ricorda che la crisi che stiamo attraversando è figlia di una crisi antropologica. Dunque, per il segretario di Stato “è necessario togliere centralità al profitto e alla rendita per rimettere al centro la persona”. Ascoltiamo mons. Pietro Parolin:

    “Nell’ambito economico, l’attività che maggiormente conferisce dignità alla persona è proprio il lavoro. Affinché, perciò, vi sia un’autentica promozione delle persone, l’impresa deve guardare non soltanto all’utile, ma a quanto e come ha tutelato e promosso il lavoro dei dipendenti”.

    E soprattutto nella Vecchia Europa si sta diffondendo il male della disoccupazione giovanile, che ormai attanaglia milioni di ragazzi. Ancora mons. Parolin:

    “E’ una grande preoccupazione per tutti il fatto che i giovani non abbiano lavoro e credo che tutte le forze sociali e le forze politiche debbano darsi da fare, proprio per risolvere questo problema e trovare unità e accordo proprio per dare una risposta a questi grandi problemi”.

    Il neo segretario di Stato chiede comunque di avere speranza, comunicando la gioia del Vangelo. Anche il cardinale Rodriguez Maradiaga invita a guardare avanti:

    “C’è un’uscita dalla crisi, ma che non dipende soltanto da prestiti o debiti, ma dalla creatività, dall’investimento, dal rischiare”.

    Tra gli imprenditori in platea Filippo Tortoriello di Gala SpA, che ricorda come troppi talenti italiani siano ancora costretti ad andare all’estero per avere un lavoro dignitoso.

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    Il segretario di Stato vaticano: la Chiesa sia sempre più trasparenza di Cristo

    ◊   L’auspicio è che “la Chiesa sia sempre più trasparenza di Cristo”. Lo ha detto il segretario di Stato Pietro Parolin che ha risposto ad alcune domande dei giornalisti al termine della presentazione, a Roma, del libro di padre Antonio Spadaro “Papa Francesco. La mia porta è sempre aperta”. Il testo riporta una più completa edizione della conversazione di Papa Francesco con lo stesso direttore de “La Civiltà Cattolica”. Il servizio di Debora Donnini:

    Con Papa Francesco “è molto facile collaborare”, “c’è molta sintonia e questo fa ben sperare per il futuro”. Così mons. Pietro Parolin che, a margine alla presentazione del libro di padre Antonio Spadaro, ha risposto ad alcune domande dei giornalisti. Il suo auspicio è che la Chiesa sia sempre più trasparenza di Cristo e che tutte queste riforme vadano nel senso di mostrare un volto sempre più autentico di Chiesa:

    “Io spero davvero che sia una riforma dello Spirito. Certamente le strutture devono essere riformate per essere più trasparenza del Vangelo e per essere anche più efficaci nell’esercizio concreto del servizio che devono prestare, però l’importante è che ci mettiamo tutti, come ci chiede il Papa, in questa dimensione di rinnovamento personale, per usare una parola cristiana di conversione continua”.

    Rispondendo alla domanda su cosa significhi per la Chiesa questo Pontificato di Papa Francesco e quale sia la speranza, mons. Parolin ha detto:

    “Io credo che la speranza sia che veramente il Vangelo possa arrivare a tutte le persone: questa dimensione missionaria che è stata sottolineata anche quest’oggi, che è fondamentale nelle parole e nello stile di Papa Francesco, e che viene proprio anche dall’America Latina. La Conferenza di Aparecida ha posto l’accento proprio su questa dimensione missionaria della Chiesa, sulla necessità di andare verso le periferie, comunque di raggiungere tutti, e di portare a tutti la ricchezza della gioia del Vangelo. Anche questo è molto bello ed è la nota dominante dell’Evangelii Gaudium. Allora il Vangelo è gioia e noi siamo invitati a rallegrare il mondo portando questa Buona Notizia”.

    Quindi a proposito della Conferenza di Ginevra sulla Siria, mons. Parolin sempre rispondendo ai giornalisti ha detto che si spera si superino gli ostacoli e si possa trovare una soluzione.

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    Plenaria dei laici: trovare strade per il Vangelo negli ambienti digitali

    ◊   La crisi antropologica dell’uomo contemporaneo, protagonista del web, e la questione dell’evangelizzazione nei nuovi ambienti virtuali. Sono stati i due temi che hanno caratterizzato la mattina di lavori della 26.ma plenaria del Pontificio Consiglio dei Laici, aperta oggi dal presidente del dicastero, il cardinale Stanislaw Rylko. L’Assemblea è dedicata all’annuncio di Cristo nell’era digitale e sul tema Stefano Leszczynski ha raccolto il commento di uno dei partecipanti, il brasiliano Moyses Azevedo, fondatore della “Comunità Shalom”:

    R. – Nel nostro laicato c’è una riscoperta della forza del Battesimo, perché l’evangelizzazione non è solo dei sacerdoti, dei vescovi. Tutti siamo responsabili dell’annuncio di Cristo in questo tempo. In Brasile, c’è una grande fioritura di nuovi movimenti, nuove realtà, nuove comunità, in maggioranza create da laici, che nelle loro realtà, nei loro lavori, nelle loro famiglie, nelle grandi sfide rappresentate dai mezzi di comunicazione come Internet e anche con i poveri possono dare una vera testimonianza della realtà del Vangelo, della realtà di Cristo.

    D. – Tutto questo impone una forte energia nei rapporti umani. Come si concilia questa necessità di intensificare, di migliorare i rapporti umani, le relazioni umane, con questa invasività sempre maggiore delle nuove tecnologie del digitale?

    R. – Principalmente, dobbiamo rafforzare la comunità cristiana. Molte volte immaginiamo che l’evangelizzazione si possa fare attraverso i mezzi tecnologici. Sì, i mezzi tecnologici sono fondamentali per arrivare all’uomo di oggi, ma allo stesso tempo sappiamo che l’evangelizzazione è possibile solo da persona a persona, attraverso il contatto reale. Dobbiamo, come Chiesa, entrare in questo mondo, ma dobbiamo entrare in modo da essere lì presenti e allo stesso tempo portare a presentare Cristo e portare ad un incontro personale.

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    Cortile dei Gentili a Roma. Il card. Ravasi: parliamo di gratuità nell'economia

    ◊   L’economia era in origine la legge che governava “la casa del mondo”, col tempo si è trasformata in una fredda scienza che mira a fare soprattutto al profitto, spesso svuotata di riferimenti etici. A stigmatizzarlo è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che stasera alle 18.30, nella sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, presiederà una nuova tappa del “Cortile dei gentili” dal titolo “Solidarietà: dovere religioso o dovere civico?”. A confrontarsi sul tema sarà un gruppo di “top manager”, in particolare sul tema provocatorio della “gratuità” nell’economia. Il cardinale Ravasi ne parla la microfono di Fabio Colagrande:

    R. – Forse l’accento è ancora più specifico, rispetto alla solidarietà. Noi abbiamo voluto introdurre un altro vocabolo, che nel campo del rapporto con l’economia è provocatorio. Si tratta cioè della parola “gratuità”. La gratuità suppone evidentemente il dono. Il dono dovrebbe essere ovviamente una componente prima di tutto religiosa, tant’è vero che molti ricordano l’unica frase di Gesù, che non è nei Vangeli, che è citata da Paolo nel cap. XX degli Atti degli Apostoli e che dice: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Ora, la gratuità che noi vogliamo considerare in questo Cortile è invece una componente sì etica, religiosa, ma una componente necessaria allo stesso sviluppo autentico dell’economia. E’ come una spina nel fianco nei confronti di una concezione dell’economia, che è soprattutto quella recente, di taglio finanziario, mercantilistico, e così via, che considera invece semplicemente l’interesse, il guadagno, come l’elemento, il volano quasi, dell’economia stessa.

    D. – Quindi, si può arrivare a una lettura dell’attuale crisi economica finanziaria come una crisi motivata proprio da questa dimenticanza del fattore etico...

    R. – Questo è il nodo fondamentale. Infatti, se noi teniamo conto della realtà vera dell’economia, noi dovremmo considerarla proprio nella sua etimologia, che è “nomos” dell’"oikia” del mondo, cioè la legge della casa del mondo. Una casa si amministra non soltanto attraverso la gestione brutale dei beni materiali o dei soldi alla fine, ma viene anche calibrata su una serie di componenti molteplici, che sono alcune volte anche proprio componenti di donazione. Il che vuol dire che noi siamo invece reduci, in questi ultimi anni, di una riduzione dell’economia a mera tecnica finanziaria, a mera legge dei mercati. E in questa luce, evidentemente, è diventato un elemento diremmo quasi disumano, un elemento che ha rotto la vera autenticità dell’economia.

    D. – E a questo Cortile dei Gentili romano se ne parlerà ovviamente, sempre come nello spirito di questa struttura, mettendo a confronto il punto di vista della Chiesa con il punto di vista di diversi rappresentanti del mondo “laico”...

    R. – Questo Cortile "limitato" – perché presenti saranno soprattutto dei manager che discuteranno tra di loro – avrà come risultato la sorprendente coincidenza che ci può essere tra non credenti e credenti attorno a questo tema, purché siano autenticamente coinvolti dalle interrogazioni che salgono dalla società. E’ solo il freddo operatore finanziario, che si distacca completamente da una visione di tipo morale o di tipo religioso. Per questo motivo io credo e sono convinto che sarà molto prezioso questo Cortile, per confermare – direi quasi – la traiettoria, la struttura permanente del dialogo tra credenti e non credenti, un dialogo che è fatto da persone che hanno visioni alcune volte notevolmente differenti, disparate persino, ma che quando vengono chiamati alle radici dei valori delle componenti trovano delle consonanze sorprendenti.

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    Romania: visita del card. Koch alle comunità cristiane del Paese

    ◊   Il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani è stato ricevuto ieri dal patriarca Daniel, della Chiesa ortodossa romena. Il patriarca Daniel ha ringraziato Koch per il sostegno offerto dalla Chiesa romano-cattolica alla Chiesa ortodossa romena attraverso le borse di studio per teologi ortodossi romeni e per l’accoglienza delle comunità ortodosse romene in varie Chiese cattoliche dell’Europa. Sua Beatitudine ha sottolineato “l’importanza della testimonianza comune in una società secolarizzata, la solidarietà con i cristiani perseguitati in varie parti del mondo” e “la necessità di mantenere, all’interno del dialogo teologico tra le due Chiese, un equilibrio di reciprocità e complementarità tra il primato e la sinodalità, tenendo conto dell’evoluzione storica diversa tra l’Oriente e l’Occidente”. Il card. Koch - riferisce l'agenzia Sir - ha ringraziato per il contributo dei rappresentanti della Chiesa ortodossa romena nella Commissione mista di dialogo teologico ortodosso-cattolico, e ha espresso la speranza che attraverso il dialogo e la riflessione comune si potrà superare la difficoltà attuale nella redazione di un documento di lavoro convergente riguardo il rapporto tra il primato e la sinodalità dal punto di vista teologico. “Il nostro desiderio e la più grande gioia sarebbe arrivare all’unità nell’Eucaristia e all’unità delle due Chiese, dell’Oriente e dell’Occidente. Abbiamo cercato di trovare soluzioni a questi temi che ci siamo proposti e l’incontro che ho avuto con il patriarca Daniel ci da speranze per il futuro”, ha dichiarato il card. Koch. La visita del card. Koch in Romania continua con incontri con le comunità greco-cattoliche di Blaj e Cluj-Napoca e si concluderà il 7 dicembre. Durante la permanenza in Romania il card. Koch ha incontrato vescovi e sacerdoti dell’arcidiocesi di Bucarest i quali si sono "rammaricati" per la decisione, “inaspettata e inspiegabile”, assunta dalla Chiesa ortodossa romena nel 2008 di non pregare più insieme ai cattolici. Secondo il clero cattolico la decisione degli ortodossi starebbe rafforzando atteggiamenti antiecumenici da parte di alcuni sacerdoti e laici ortodossi. “Ma nonostante queste difficoltà - ha affermato mons. Ioan Robu, arcivescovo metropolita di Bucarest - che si aggiungono alle divergenze patrimoniali ancora irrisolte tra la Chiesa ortodossa romena e la Chiesa greco-cattolica, abbiamo riaffermato e rinnoviamo sempre il nostro impegno di continuare sulla strada dell’ecumenismo promosso dalla Chiesa cattolica e di stimare e rispettare la Chiesa ortodossa romena quale vera Chiesa sorella”. Mons. Robu ha poi sottolineato che “ci risuona ancora nel cuore il grido spontaneo della gente, 'unitate, unitate', durante la visita di Giovanni Paolo II in Romania. Ora, dopo 14 anni da quella storica visita, possiamo dire che in Romania l’ecumenismo è un difficile e doloroso 'già e non ancora’. Speriamo che la visita del card. Kurt Koch porti buoni frutti e abbia dei risultati positivi visibili”. Nel corso della sua visita il porporato ha finora concelebrato la messa nella cattedrale di San Giuseppe, alla presenza del nunzio apostolico in Romania, mons. Francisco-Javier Lozano, e del vescovo greco-cattolico ausiliare di Bucarest, Mihai Fratila. La visita prevede anche incontri con le autorità dello Stato. (R.P.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una Commissione per la tutela dei minori: sarà costituita dal Papa su proposta del Consiglio di cardinali.

    Parole impazzite: Messa del Pontefice a Santa Marta.

    In prima pagina, un editoriale di Francesco Ventorino dal titolo “Come ha detto Papa Francesco”: quel ritornello che rimbalza dal confessionale al carcere.

    Una risposta responsabile ai cambiamenti climatici: intervento della Santa Sede a Varsavia.

    Un articolo di Marco Bellizi dal titolo “Bocciata dalla Consulta la legge elettorale italiana”: l’alta Corte supplisce alle inadempienze politiche.

    Globalizzazione a scuola dalla Chiesa: la crisi economica e le sue cause secondo il segretario di Stato.

    Cinquant’anni fa il decreto “Inter mirifica”: il direttore del Centro televisivo vaticano, Dario Edoardo Viganò, ricorda i padri conciliari che entrarono nel mondo della comunicazione.

    Il secolo lungo di Costantino: Peter Brown riguardo al sovrano con cui iniziò un cambiamento dalle conseguenze decisive per il futuro dell’Europa.

    Ecologia dell’uomo: anticipazione di una parte del discorso alla città che il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, terrà domani nella basilica di sant’Ambrogio alla vigilia della memoria liturgica del santo patrono.

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    Oggi in Primo Piano



    Monache "rapite" in Siria, mons. Zenari: tristezza in tutti, la gente non vuole questa guerra

    ◊   Ancora preoccupazione per le suore del monastero greco-ortodosso di Santa Tecla a Ma’lula, in Siria, che nei giorni scorsi sono state prelevate con la forza da un gruppo di uomini armati. Secondo il quotidiano siriano Al-Watan, le monache potrebbero essere usate come “scudi umani”. Ieri Papa Francesco aveva invitato tutti a pregare per le religiose, per le persone sequestrate a causa del conflitto e per la pace. Per un quadro della situazione, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Damasco il nunzio apostolico in Siria, l’arcivescovo Mario Zenari:

    R. - Purtroppo ultime notizie non se ne hanno: risalgono ancora all’altro giorno. Sono in contatto con il Patriarcato greco-ortodosso qui a Damasco. Il 3 sera la superiora di questo gruppo di suore, che sono state forzate a partire dal convento di Ma’lula, ha potuto mettersi in comunicazione con un ecclesiastico dello stesso Patriarcato e, in una brevissima comunicazione, ha detto che stanno bene. Le religiose erano state “obbligate a partire” - usiamo questo termine, perché non si sa ancora come definire ciò che è avvenuto - nel primo pomeriggio del 2 dicembre.

    D. - E’ vero che sarebbero nel villaggio di Jabrud, a nord di Damasco?

    R. - E’ possibile. Questo gruppo armato avrebbe detto alle suore di andare verso questa località, che è a 20 km a nord di Damasco. Si tratta di una zona non tanto sicura, purtroppo: è nella regione di Kalamun, che in queste ultime settimane è teatro di aspri scontri tra l’esercito regolare e i gruppi di ribelli.

    D. - La stampa siriana ha riferito che queste persone, che hanno portato via con la forza le monache, vorrebbero usare le stesse suore come scudi umani…

    R. - Potrebbe essere, però è difficile dire per quale scopo abbiano fatto questa azione. Non si sa ancora. E questo rende un po’ inquieti: almeno da quello che è a nostra conoscenza non hanno manifestato che cosa vogliano ottenere con tale gesto deprecabile. C’è da dire che tutto ciò, anche se ha certe caratteristiche un po’ diverse, fa pensare ai due vescovi ortodossi di cui non si sa niente ormai da sette mesi e ai tre sacerdoti dei quali pure non si sa nulla. Non so se sia la stessa strategia, che cosa vogliano o se ci siano magari trattative che noi non conosciamo. Non abbiamo nessun’altra notizia.

    D. - Il Papa ha invitato tutti a pregare per le monache portate via con la forza e per tutte le persone sequestrate a causa del conflitto, esortando ancora una volta a pregare e ad operare insieme per la pace. Che eco hanno avuto le parole del Santo Padre?

    R. - Questo appello del Papa - come tutti i numerosi appelli del Pontefice per la riconciliazione, per la pace, per la cessazione della violenza - direi che è molto, molto forte per tutti i siriani. E’ stato bene anche che il Santo Padre abbia accennato a tutte le persone rapite o di cui non si sa niente, perché - oltre a queste che ho menzionato prima - ce ne sono centinaia e centinaia che sono sparite o sono state rapite e delle quali non si sa niente, per vari motivi: a cominciare dalla delinquenza comune, che rapisce a scopo di denaro, ad altri scopi, magari politici. Quindi sono centinaia, purtroppo, le persone che mancano all’affetto delle loro famiglie.

    D. - In questo momento un po’ tutte le Chiese della regione si sono espresse sulla vicenda delle suore. In generale qual è la speranza della Chiesa per il futuro della Siria?

    R. - Il fatto che queste monache siano state obbligate con la forza, con le armi in pugno, ad uscire dal monastero, nel quale avevano deciso di rimanere per dare una testimonianza in questo antico villaggio cristiano, che è una perla per tutti i siriani e non solo per i cristiani, naturalmente è stato appreso con tanta tristezza. Se questo poi si mette anche nel contesto di certi altri gesti compiuti nelle ultime settimane, in cui sembra che i cristiani siano stati presi particolarmente di mira da certi gruppi estremisti, fa aumentare ancora l’inquietudine e il dolore e non solo per la comunità cristiana: da quello che vedo, c’è una forte reazione da parte di tutti i siriani, a qualsiasi religione e a qualsiasi credo appartengano, e da parte delle autorità. I siriani non pensavano che questo conflitto potesse arrivare a questo punto. Devo anche precisare che in Siria c’è sempre stata una coabitazione esemplare fra le diverse fedi, i diversi credi. Generalmente, da quello che si sa, sono elementi esterni alla Siria quelli che compiono gesti di profanazione di luoghi sacri, di chiese…

    D. - Questa reazione così forte anche dei siriani che significato ha?

    R. - Direi che questa guerra non la vuole - io credo - nessuno in Siria. Almeno così come è andata via via mostrandosi. Perché i siriani sono per una nuova Siria, più democratica, più rispettosa delle libertà fondamentali e dei diritti umani e non per una Siria che alcuni gruppi estremisti vorrebbero proporre. Direi che fa presa vedere questa reazione, di persone che dicono: da questa strada, con questi metodi non si va nessuna parte.

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    Centrafrica ancora nel caos. La Francia pronta ad intervenire con mandato Onu

    ◊   In Centrafrica non cessa la violenza. Scontri sono in corso a Bangui tra gli ex ribelli islamisti del Fronte Seleka, e i combattenti rimasti fedeli al deposto presidente Francois Bozizè. Secondo la Caritas locale circa seimila persone si sono rifugiate nelle 15 parrocchie della capitale. In questo scenario il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunisce per la missione di peacekeeping nel Paese. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La Repubblica centrafricana non esce dal caos. Da questa mattina, nella capitale Bangui si fronteggiano, affiancate da bande locali, le milizie armate fedeli al deposto presidente, Francois Bozizè - uscito di scena il 24 marzo scorso - e gli ex ribelli islamisti del Fronte Seleka, che attualmente guidano il Paese. Venti le persone che hanno perso la vita, imprecisato il numero dei feriti. "Ci sono colpi di arma da fuoco dappertutto", ha confermato Amy Martin, responsabile per il Centrafrica dell'Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari. Una “situazione molto preoccupante, e gravi sono i rischi per il Paese” ha detto Martin Tumenta Chomu, il generale camerunese che comanda la Misca, il corpo di pace inviato dall'Unione Africana. In queste ore intanto si attende, dall’Onu, il via libera alla missione di stabilizzazione francese che porterà subito in Centrafrica altri 1200 militari. I peacekeepers già presenti nel Paese sono entrati in azione per sedare le violenze, quasi rispondendo all’appello del primo ministro della centrafricano, Nicolas Tiangaye, che ha invocato un intervento immediato delle truppe di Parigi.

    Per padre Elisée Guendjange, segretario generale della Caritas in Centrafica, non si può parlare di un conflitto interconfessionale, anche se il rischio che diventi tale è molto alto. L'intervista è di Marie Duhamel:

    R. – Il y a une tentative – il faut le reconnaitre – d’instrumentalisation de religion…
    Bisogna riconoscerlo: in questo momento c’è il tentativo di strumentalizzare la religione. Ma questo dipende da alcuni elementi che si sono infiltrati tra gli anti-balaka. Gli anti-balaka sono dei giovani che hanno assistito a violenze sessuali sulle loro mogli, che hanno visto uccidere le loro madri, anche tra loro qualcuno è stato violentato… Loro non vogliono più sopportare tutto questo e quindi sono entrati nella la savana con gli “anti-balaka”, per opporsi al Séléka. Magari queste rivendicazioni sono anche giuste, ma ci sono – tra loro – infiltrazioni di elementi estranei che li spingono ad agire contro alcuni musulmani che sono innocenti, in tutta questa faccenda. Infatti, perfino dei musulmani hanno subito saccheggi dal Séléka. In questo momento, il rischio è proprio questo: che si sta cercando di fare entrare in conflitto i gruppi religiosi, quando fondamentalmente queste gruppi non sono in conflitto, nemmeno a Bangui.

    D. – Chi sta cercando di creare queste ulteriori tensioni?

    R. – Oh, derrière il y a certaines hommes politiques…
    Oh, dietro ci sono determinati uomini politici…

    D. – Si parla al tempo stesso di conflitto interconfessionale e di guerra civile. Lei quale lettura ne dà?

    R. – D’un coté, on a comme l’impression qu’il y a eu une occupation étrangère…
    Da un lato, si ha quasi l’impressione di trovarsi sotto occupazione straniera. Molti degli uomini armati che si trovano in quella zona parlano arabo, sono ciadiani e sudanesi. Io non mi pronuncio ancora sul concetto di guerra civile, ma esiste comunque il rischio di strumentalizzazione, ed è quello che noi non vogliamo. E’ già stata approntata una piattaforma religiosa dall’arcivescovo e dal presidente. Ci sono anche il rappresentante protestante e quello musulmano: tutti loro si comprendono molto bene. Quando si sono fatti gli spostamenti, la piattaforma ha seguito gli spostamenti per sensibilizzare le persone alla riconciliazione e alla pace.

    D. – Esiste un dialogo anche con i ribelli del Séléka, o incutono troppo timore?

    R. – C’est un peux difficile. Je vous donne le cas, par exemple, de la dernière…
    E’ un po’ difficile. Le faccio l’esempio dell’ultima missione. Giunti all’ingresso della città di Bossangoa, nemmeno l’imam è stato accettato dal Séléka. Uno di loro ha detto: “Lasciami in pace, con queste cose”. Abbiamo l’impressione che tra i musulmani ce ne siano che non praticano nemmeno la loro religione, quindi che non ascoltano nemmeno i loro imam: e questo è grave.

    D. – Questo significa che, in qualche modo, ci sono dei mercenari tra loro. Lei pensa che con l’arrivo dei soldati stranieri, questi ultimi possano diventare ancora più aggressivi, sentendosi potenzialmente minacciati?

    R. – Pour le moment, ils ont peur. Certains commencent même a fuir…
    In questo momento, hanno paura. Alcuni si sono anche dati alla fuga. Da cinque giorni ci sono i sudanesi a Yaloké. Yaloké è una provincia a 225 km da Bangui. Erano lì, e lì imponevano le loro leggi. Ma da quando hanno saputo che verrano i soldati francesi, sono saliti sui loro mezzi e se ne sono andati. E la popolazione, che si è rifugiata nella savana, sta incominciando a uscirne. Questo è già un grande sollievo per questa popolazione, che è stata per tanto tempo oppressa e presa in ostaggio. Noi ci auguriamo che lo spiegamento delle forze francesi avvenga quando prima, perché la forza di pace internazionale non ha ancora l’autorizzazione ad intervenire direttamente. I ribelli uccidono le persone direttamente davanti ai loro occhi, violentano le donne… Ecco perché noi auspichiamo vivamente l’arrivo dei militari francesi, affinché ci sia di nuovo la sicurezza nel Paese.

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    Crisi ucraina: tribunale dà 5 giorni ai manifestanti filo-Ue per lo sgombero degli edifici governativi

    ◊   Tra i manifestanti pro-Unione Europea “ci sono forze estremiste che cercano di occupare edifici governativi violando la legge”. Sono parole del premier ucraino Nikolai Azarov in apertura del Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Osce (l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), riunito a Kiev. Un tribunale della capitale ha dato 5 giorni di tempo ai manifestanti per sgomberare gli edifici: dopo. entrerà in azione la polizia. La crisi che prosegue da giorni è scoppiata dopo la decisione della leadership del Paese di rinviare, su pressione della Russia, l'accordo di associazione con Bruxelles. Fausta Speranza ha intervistato Aldo Ferrari dell’Università Ca' Foscari di Venezia e dell’Istituto Ispi:

    R. - L’Ucraina è un Paese complesso. Lo abbiamo visto in questi 20 anni di indipendenza. E’ molto polarizzata al suo interno, anche sulla questione dell’avvicinamento all’Europa e del rapporto con la Russia. Il fatto che questo Paese sia così lacerato, sia così spinto in due direzioni diverse è stato visto come un gioco in cui necessariamente o si vince o si perde. La possibilità di questi colloqui tra europei e russi su un possibile lavoro comune in Ucraina e riguardo all’Ucraina è, secondo me, molto positivo: dà cioè finalmente la possibilità di individuare - sarà difficile, ma c’è possibilità - forme di collaborazione che non costringano l’Ucraina a scegliere in maniera definitiva una strada, chiudendosi all’altra. Quindi, secondo me, si tratta di una innovazione, di una novità importante per cercare di migliorare - al tempo stesso - la situazione interna dell’Ucraina e anche i rapporti tra Russia e Unione Europea.

    D. - Quindi, l’Ucraina è stata proprio la situazione che ha messo un po’ a nudo anche altro nei rapporti tra Bruxelles e Mosca?

    R. - Direi senz’altro di sì! L’Unione Europea ha una volontà di ampliamento economico, ma anche a livello culturale e politico verso territori che tradizionalmente sono stati dell’Impero russo e poi dell’Unione Sovietica. La Russia ha sempre detto esplicitamente di essere contraria a questo processo di ampliamento, comunque lo si voglia valutare e anche se è ben diverso da quello della Nato. Inoltre c’è il problema ineludibile che per la Russia, o perlomeno per molti russi, la distinzione tra Russia ed Ucraina non è del tutto possibile: l’Ucraina non viene sentita dalla maggior parte dei russi come un Paese estraneo e Kiev è sentita come una città storicamente russa, non solo russa, ma russa ed ucraina al tempo stesso. Nell’ottica russa è molto difficile accettare che l’Ucraina sia un Paese completamente straniero, perché va contro secoli di convivenza culturale, politica. Da questo punto di vista la prospettiva è ovviamente diversa rispetto a quella che abbiamo noi europei.

    D. - Però c’è anche da dire della posizione e del punto di vista della popolazione ucraina…

    R. - In generale è una popolazione molto diversificata: è una popolazione di 50 milioni di persone, che ha prospettive politiche, che ha propensioni politiche molto diverse. Attualmente c’è il governo e, frutto di votazioni sostanzialmente corrette, un presidente che rappresentano - almeno in teoria - la parte più filorussa e meno filoeuropea della popolazione. Il fatto che abbiamo vinto le elezioni e che ci sia un presidente eletto a rappresentare questa tendenza indica chiaramente che non certo tutta l’Ucraina è contraria alla Russia e a rapporti privilegiati e comunque profondi con la Russia. All’interno della società ucraina c’è una fortissima polarizzazione su questi temi. Dire che la società ucraina sia compattamente contraria alla collaborazione con la Russia, all’adesione all’Unione euroasiatica, al parlare russo, nel suo complesso mi sembra un’esagerazione. Sembra una non rispondenza alla realtà Ucraina. E’ che molto spesso noi abbiamo una posizione pregiudiziale favorevole all’opposizione - questo lo si è visto già all’epoca della rivoluzione colorata del 2004 - e fatichiamo a sentire le ragioni anche dell’altra Ucraina, di quell’Ucraina che comunque ha dato due volte la vittoria a Janukovyč.

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    Consulta boccia "Porcellum". Savarese: campanello d'allarme per la politica

    ◊   A un giorno dalla bocciatura da parte della Corte Costituzionale della legge elettorale, dichiarata illegittima sia per quanto riguarda il premio di maggioranza che per le liste bloccate, ora la parola passa al parlamento. Pd e Nuovo Centrodestra auspicano subito una riforma, mentre Berlusconi definisce la Consulta un organismo politico della sinistra e auspica una riforma della giustizia. Critiche dalla Lega, secondo la quale “la toppa è peggio del buco”, mentre il Movimento 5 Stelle chiede lo scioglimento della Camere e il ritorno al voto con il "Mattarellum”. Immediata la risposta del presidente della Camera, Laura Boldrini: “Il parlamento è legittimato ad operare”. Per una valutazione politica, Paolo Ondarza ha intervistato Paolo Savarese, docente di Etica Sociale alla Pontificia Università Gregoriana:

    R. – I partiti hanno preso questa pronuncia con la solita mentalità del conflitto e del tentativo di tirare ciascuno acqua al proprio mulino. Io penso che al di là degli aspetti giuridici, che sono complessissimi e anche molto preoccupanti, questo è un grande campanello d’allarme per la politica: è quasi un’ultima chiamata. Io ritengo che si debba affrontare seriamente il disagio degli italiani di fronte al loro sistema rappresentativo.

    D. – Dal punto di vista puramente politico, questo pronunciamento cosa comporterà?

    R. – E’ possibile che ci sia un congelamento degli equilibri politici attuali, ma per quanto tempo possa reggere è il punto interrogativo. E la situazione economica e il disagio profondo degli italiani, premono. Ma la classe politica deve capire che non può continuare con i riflessi condizionati che la stanno dominando.

    D. – Può questo pronunciamento velocizzare il cammino verso la riforma della legge elettorale?

    R. – Questo penso di sì. Lo penso e me lo auguro profondamente. Spero anche che le varie forze in campo la smettano di pensare a riforme elettorali favorevoli al loro bacino elettorale, e pensino all’Italia.

    D. – Ci voleva un ricorso dei cittadini e un pronunciamento della Consulta per stringere sui tempi …

    R. – E’ triste, eh? Ma è così…

    D. – Ma questo pronunciamento potrebbe avere anche un effetto destabilizzante, per quanto riguarda l’attuale quadro politico? Grillo, ad esempio, ha detto: “Si sciolgano le camere e si vada subito al voto con il "Mattarellum”…

    R. – Sarebbe una follia, secondo me. Vede, il problema non è solo la legge elettorale, ma è anche l’architettura delle istituzioni, per cui una nuova legge elettorale che tenga conto dei due punti della Consulta ma non metta mano al quadro istituzionale, rischia di essere l’aspirina per un malato grave…

    Quale invece il valore giuridico del pronunciamento della Consulta? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Gianfranco Garancini, vicepresidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:

    R. – Questa nota della presidenza della Corte costituzionale non ha il valore di sentenza: bisognerà aspettare che la sentenza venga pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, quindi non c’è nessun pericolo per una decadenza di massa del parlamento.

    D. – Il parlamento è chiamato, adesso, a stringere i tempi, a legiferare sulla legge elettorale. Qualora, però, il parlamento non riuscisse ad arrivare a una soluzione, si dovrebbe ritornare al precedente sistema elettorale?

    R. – Proprio su questo c’è stato il contrasto, la discussione all’interno della Corte, cioè se dichiarare incostituzionale la legge nel suo complesso o soltanto dichiarare costituzionali alcune parti della legge, il che è successo. Vuole dire che in realtà resta vigente quella legge lì, alla quale sono state più o meno chirurgicamente tolte alcune parti: la parte relativa al premio di maggioranza e la parte relativa all’espressione della preferenza. Conseguenza pratica è che, se si dovesse votare domani, non succederebbe niente: si applicherebbe il “Porcellum”. Se si dovesse votare dopo la pubblicazione della sentenza, si voterebbe con una legge elettorale tranne le cose che sono state dichiarate incostituzionali. E praticamente si arriverebbe a un proporzionale puro, con le preferenze. La Corte, secondo me, con attenzione e con senso dello Stato, ha dato un po’ di tempo al parlamento perché legiferi, perché faccia una legge elettorale nuova. Non ci sarà mai un vuoto di legislazione: se il parlamento non legifererà, quando sarà pubblicata la sentenza della Corte, si andrà a votare con questo “Porcellum dimagrito"…

    D. – Il valore giuridico di questa sentenza: è corretto definirla "storica"?

    R. – Secondo me, è corretto definirla storica non per ragioni giuridiche, ma per ragioni politiche, perché in realtà con questa sentenza si sono viste due cose. Primo, che il parlamento non è stato in grado di fare una legge nuova e c’è voluto – provvidenziale garanzia costituzionale dell’ordinamento, come si diceva ai tempi della Costituente – questo intervento per dare comunque un’accelerazione, dando anche delle indicazioni precise. Il parlamento potrà votare, potrà fare la legge che vuole, però non potrà più farla con un premio di maggioranza così indifferenziato e non potrà più farla facendo nominare i deputati e i senatori in realtà dalla segreteria dei partiti e non dagli elettori.

    D. – E questo intervento non enfatizza una conflittualità già esistente tra poteri?

    R. – Assolutamente no, perlomeno secondo me. Intanto, perché i giudici della Corte costituzionale non sono poteri a livello conflittuale sul piano orizzontale: la Corte costituzionale nasce come garanzia di rispetto dei principi generali. Quindi, non c’è un conflitto. Anche il potere legislativo ha costituzionalmente un limite. E il guardiano di questo limite è la Corte costituzionale. Meno male che c’è.

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    Giornata del volontariato. Emma Cavallaro: necessario promuovere più solidarietà e giustizia

    ◊   Un profondo cambiamento culturale, per fare dell’Italia un cantiere di solidarietà e di giustizia. È l’appello lanciato dal Convol – Conferenza permanente delle associazioni, federazioni e reti di volontariato – in occasione dell’odierna Giornata internazionale del volontariato. L’organismo, che riunisce 24 realtà nazionali impegnate nel sociale, ha anche diffuso un documento con alcune proposte concrete: un nuovo welfare dei diritti, un sistema di tassazione più giusto e la garanzia di risorse per il Sud. Sul ruolo del volontariato in Italia ai tempi della crisi, Antonella Pilia ha intervistato il presidente della Convol, Emma Cavallaro:

    R. – Noi vediamo sempre più persone che sono totalmente sfiduciate, che non credono più di poter fare niente per impegnarsi nella realtà della città, della nazione e del Paese. In questo contesto, crediamo che bisogna aiutare queste persone a ritrovare la fiducia in se stesse e negli altri. Il volontariato ha come sua tipicità valori come la condivisione, la solidarietà, la sussidiarietà, la partecipazione, l’impegno per la legalità, la denuncia quando serve. Inoltre, il fatto di vivere a contatto con le persone – perché i volontari, secondo Federico Ozanam, sono quelli che salgono le scale delle soffitte tutti i giorni e vanno a trovare le persone – ci da la possibilità anche di spenderci in questa opera di rinascita di fiducia e di speranza.

    R. – Nel documento “Una nuova cultura della solidarietà per un Paese più giusto”, promuovete la necessità di una rivoluzione culturale. In cosa consiste?

    D. – Viviamo in una realtà che oggi discrimina e fa sì che il più forte, il più ricco, il più sano e anche il più bello, sia la persona più importante. Noi vogliamo veramente ridare a ogni persona la sua dignità e la sua capacità di incidere e lavorare. Cambiare la cultura significa anche far sì che ciascuno si senta davvero responsabile nei confronti di tutti, anche e soprattutto in un Paese dove la cultura oggi porta a chiuderti in casa, ad aver paura di chi non conosci; tanto più se si tratta di uno straniero, se ti dicono che è quello che ti sta portando via il lavoro e tanti benefici che potrebbero essere tuoi. Allora noi vorremmo incidere in questo senso, per ritrovare un Paese capace di integrazione, che sia davvero un nuovo cantiere di solidarietà e di giustizia per tutti, ma soprattutto per le nuove generazioni.

    D. – Cosa chiedete allo Stato per aiutarvi a realizzare questo obiettivo?

    R. – Sono tre i punti che abbiamo messo in evidenza. Il primo è un welfare dei diritti: il welfare non è un costo e non è un lusso, non è per i poveri o i meno fortunati; è un investimento che però poi rafforza le condizioni per il benessere e per lo sviluppo della società. È veramente un diritto di ognuno e l’estinzione del Fondo nazionale per le politiche sociali è una cosa gravissima. Dunque ci vuole un welfare che faccia appello a solidarietà allargate: pubbliche, private, nazionali e locali. Chiediamo anche che si torni a una tassazione progressiva e giusta; e un impegno per togliere tutta la corruzione e lo spreco nella spesa pubblica, perché abbiamo appena saputo che in questo modo vanno via 3 miliardi ogni anno, ed è veramente una vergogna! Questi interventi, però, non devono chiaramente intervenire sui diritti come quello della scuola, della sanità e dell’assistenza sociale che, in fondo, sono il modo di rendere reale il principio costituzionale dell’uguaglianza.

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    Giornata nazionale della salute mentale: in Italia 17 milioni le persone con disturbi psichici

    ◊   Si celebra oggi in Italia la Giornata nazionale della salute mentale. i Dipartimenti di Salute Mentale, ricorda la Società italiana di psichiatria, hanno in carico circa il 2% della popolazione, oltre un milione e 200 mila persone. Si tratta dei casi più gravi. Complessivamente, lo scenario legato ai disturbi psichici presenta dati allarmanti, aggravati dalla crisi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Sono 17 milioni gli italiani con problemi di salute mentale, ovvero 4 cittadini su 10 soffrono di qualche disturbo psichico, tra cui ansia, depressione e insonnia. Le donne sono le più colpite. Uno scenario preoccupante aggravato dal perdurare della crisi economica. Secondo una recente ricerca della Società italiana di psichiatria, la prevalenza di disturbi d'ansia è doppia nelle persone con uno status socio-economico basso, come i casi di depressione e di abuso di sostanze. Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria:

    "La crisi sta svolgendo un ruolo di detonatore di una situazione che già conoscevamo da anni. Oggi, calcoliamo che nel nostro Paese ci siano circa otto milioni di persone con gravi disturbi d’ansia, quattro milioni con una depressione, altrettanti con disturbi del sonno significativi, due milioni con problemi legati all’alcol e, via via, gli altri tipi di disturbo. Questo a significare che le problematiche legate alla salute mentale sono la vera sfida del 21.mo secolo. E che le condizioni economiche attuali, che si riversano su tutte le fasce sociali, ovviamente colpiscono di più là dove le fasce sociali sono ancora più basse e ci sono minori fattori protettivi".

    Sono cruciali i servizi territoriali di salute mentale. Ma negli ultimi dieci anni il personale sanitario dedicato all’assistenza e alla cura dei pazienti con disturbi psichiatrici si è ridotto quasi del 50%. Un'assistenza, dunque, meno capillare:

    "Negli anni passati, fondamentalmente, era rivolta solamente ai portatori delle patologie più gravi, come quelle schizzofreniche o bipolari. In realtà, sono aumentate le richieste di altri bisogni. Mi riferisco, in maniera particolare, a persone affette da depressione piuttosto che da gravi disturbi d’ansia. Condizioni per le quali la riduzione del personale rende ancora più difficile, se non a volte addirittura impossibile, il poter rispondere a queste domande. Assistiamo poi, negli ultimi tempi, anche ad ulteriori richieste – e anche queste non possono essere soddisfatte – di un’assistenza nelle carceri. E il nostro timore è che dei servizi, già in difficoltà, siano messi ancora più in difficoltà".

    Aumentano le richieste di assistenza ma restano ancora molte le persone con disturbi psichici che non si avvicinano alle cure a causa dello stigma che pesa sulla malattia mentale. Ancora il dott. Claudio Mencacci:

    "Noi insistiamo su questo messaggio: la malattia mentale esiste ma tutte le malattie sono curabile e anche molte guaribili. E quindi vogliamo togliere quel senso di incurabilità e anche di collegamento, in alcune situazione alla violenza, che proprio niente hanno a che fare con questa sofferenza, della quale vorremo però che le persone sapessero che ci si può curare e che,m soprattutto, si può guarire".

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    PerugiAssisi per la pace: dalla marcia di un giorno a quella di tutti i giorni

    ◊   Ripensare i nostri percorsi di pace di fronte a una crisi che si fa sempre più complessa e pesante. E’ l’obiettivo del seminario che si tiene oggi ad Assisi, dal titolo “Dalla marcia di un giorno alla marcia di tutti giorni”. Promosso dal Comitato che ogni anno organizza nella città di San Francesco una marcia per la Pace, i lavori si concentrano su come rendere la ricerca della pace un impegno quotidiano. Su questa difficile sfida, Cecilia Sabelli ha intervistato Flavio Lotti, coordinatore del Comitato:

    R. – La pace non è un ideale al quale ci si può dedicare ogni tanto, la pace è un dramma per tutte quelle persone che non possono goderne i frutti. E noi, che viviamo ancora nella parte di mondo dove di queste cose si può riflettere e discutere, abbiamo la responsabilità di agire, anche per tutti quelli che non hanno la pace. Penso a quel miliardo e mezzo di persone che non hanno da mangiare, alle persone che sono intrappolate nelle guerre, alle suore di Malu'la, a padre Dall’Olio. Penso anche alle tantissime donne e uomini che in Afghanistan, come in Somalia, sono prigionieri di un mondo dove la pace è una parola vuota.

    D. – Come ognuno di noi può lavorare per questa pace?

    R. – E’ importantissimo promuovere l’educazione alla pace e ai diritti umani, che vuol dire anche promuovere il protagonismo dei giovani. Fare i conti con le scelte concrete che si possono fare nelle nostre città, per esempio lottando contro la povertà, la miseria, la disoccupazione. Cercare di riconoscere i diritti fondamentali delle persone che stanno accanto a noi, ma anche di quelle che stanno più lontane, perché non c’è più la distanza. Non possiamo più permetterci di dire: “Ma noi non lo sapevamo”. Infine, noi vogliamo che tutto questo sia messo in moto prima di arrivare, il prossimo 19 ottobre, a marciare ancora una volta da Perugia ad Assisi.

    D. – Papa Francesco ha dedicato a questo tema anche parte della sua Esortazione apostolica e per la pace in Siria ha proposto una giornata di preghiera e digiuno. In che modo le sue iniziative stimolano la riflessione che state promuovendo?

    R. – Papa Francesco, per credenti e non credenti, per milioni di persone di tutto il mondo, è diventato il faro, il punto di riferimento per tutti i costruttori di pace. La pace, ci dice Papa Francesco, innanzitutto è riscoprire la fraternità. Siamo fratelli e sorelle anche di coloro che sono all’altro capo del mondo. Noi abbiamo bisogno di nutrirci di queste idee. Anche l’ultima Esortazione di Papa Francesco è ricca di stimoli, che noi stiamo rielaborando in modo laico, in questo nostro seminario.

    D. – Parlando di pace, il pensiero va a quanto sta accadendo in Siria e a Lampedusa. Saranno loro i protagonisti della marcia Perugia-Assisi del prossimo anno?

    R. – Assolutamente sì. Noi saremo qui di nuovo, domenica prossima, insieme al sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, che verrà ad accendere l’albero di Natale di Assisi. Insieme a loro, però, non vogliamo soltanto fare una dedica, noi vogliamo costruire delle politiche, dei fatti concreti, perché queste sono persone che hanno dei bisogni oggi. La nostra marcia per la pace, allora, è sicuramente una meta – il prossimo 19 ottobre dovremo essere in tanti – ma è anche uno strumento per lavorare, per cercare di vincere l’indifferenza che troppo spesso ci spinge a guardare queste cose e poi a girargli le spalle.

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    Convegno a 40 anni dalla morte di Jacques Maritain: l’amore per la verità nella libertà

    ◊   “Jacques Maritain e il Concilio Vaticano II” è il titolo del Convegno ospitato oggi dalla Pontificia Università salesiana a Roma, dedicato al filosofo francese. L’iniziativa è stata organizzata dalla Facoltà di Filosofia dell’Ateneo e dall’Istituto internazionale Jaques Maritain. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Piero Viotto dell’Università cattolica di Milano:

    D. – Prof. Viotto: a 40 anni dalla scomparsa di Jacques Maritain, quali aspetti prendono oggi maggiormente luce rispetto agli insegnamenti del Concilio Vaticano II?

    R. – Direi che la linea rossa che porta avanti l’influenza di Maritain sul Concilio Vaticano II e dopo, è la “Dignitatis Humanae”, cioè il problema della libertà religiosa. Maritain ha lavorato una vita ed ha sofferto per questa idea di garantire la verità nel rispetto della libertà. Quindi, il momento centrale della riflessione, sia sulla “Dignitatis Humanae” sia sulla “Gaudium et Spes”, è questa relazione tra la verità e la libertà, per cui occorre garantire la verità nella libertà e la libertà nella verità, evitando da una parte un fondamentalismo che imponga la verità, ma dall’altra parte anche un relativismo che porti l’uomo ad essere scettico di fronte alla verità. Maritain è un maestro, su questa linea: raccordare la verità e la libertà.

    D. – Jacques Maritain ha rappresentato anche un modello di cattolico impegnato, presente, consapevole dei tempi in cui viveva e dell’importanza della testimonianza …

    R. – Sì, Maritain è stato un laico impegnato cristianamente nella cultura e nella politica, per affermare la presenza del cristiano in questa situazione sociale in cui egli è venuto a trovarsi. E’ un atteggiamento fondamentale, che ha portato a definire molto precisamente il ruolo del laicato nella Chiesa e, nello stesso tempo, l’autonomia del laico rispetto alle cose di questo mondo. Maritain parla con insistenza – e da questo punto di vista è molto vicino a La Pira – della missione temporale del cristiano. D’altra parte anche Paolo VI, in una famosa omelia del 1962, parla dei due fini della vita umana: questo mondo e l’altro mondo. E’ chiaro che sono collegati tra di loro, ma non sono opposti e non vanno confusi. Quindi la lezione maritainiana è consistita nell’affermare la verità nella libertà.

    D. – Una lezione che tanto più oggi va riletta, rimeditata, rilanciata …

    R. – Certamente, anche perché oggi ci sono dei momenti di pensiero debole; l’uomo è in difficoltà di fronte alla ricerca della verità. Dopo Kant si è negato all’uomo la capacità di riconoscere la verità, e quindi la filosofia che ne è venuta – l’ermeneutica, la fenomologia, la filosofia analitica – dicono che noi siamo soltanto sulla soglia della verità e mettono l’essere – e quindi Dio – tra parentesi. E’ una situazione molto ambigua contro cui Maritain ha combattuto, soprattutto nel famosissimo volume “Il contadino della Garonna”, in cui ha affermato con necessità che soltanto tornando al realismo di San Tommaso si può ritrovare la via per trovare la verità. Tra l’altro Paolo VI, nel 1974 nella sua Lettera, che è quasi un’enciclica, “Lumen Ecclesiae”, dice appunto che Tommaso è la via privilegiata, non esclusiva ma privilegiata, per raggiungere la verità. Perché se noi neghiamo all’intelligenza la capacità di conoscere la verità, l’esperienza cristiana non ha le sue radici.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Yemen. Attacco kamikaze a Sanaa: oltre 20 morti

    ◊   E' di oltre 20 morti e decine di feriti il bilancio della battaglia scoppiata dopo l'attacco di un commando armato al Ministero della Difesa yemenita, nel cuore di Sanaa. Tra le vittime, ci sono anche sei medici, di cui tre stranieri. Uccisa anche un'infermiera di nazionalità filippina. Dopo un'ora di scontri a fuoco le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo della struttura, hanno riferito fonti militari. L'attacco è iniziato con l'esplosione di un'autobomba guidata da un kamikaze a cui ha fatto seguito l'irruzione del commando di complici del kamikaze nel Ministero, situato nel quartiere centrale di Baba al-Yaman. Il vero obiettivo degli assalitori, che indossavano uniformi dell'Esercito, sarebbe stato l'ospedale integrato nel complesso ministeriale: nella struttura era ricoverato uno dei fratelli del presidente dello Yemen, 99enne, sopravvissuto all’attacco e subito trasferito in un altro ospedale.

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    Siria. Il Patriarca greco-ortodosso Youhanna X Yazigi chiede libertà delle monache di Maaloula

    ◊   Appello "alla coscienza" dei rapitori delle monache di Maaloula del patriarca greco-ortodosso Youhanna X Yazigi, al quale si sono uniti i vescovi maroniti libanesi, mentre dal Paese dei cedri si chiede, oltre alla liberazione, che i luoghi santi cristiani e musulmani della Siria siano considerati "zone neutrali" e che alcuni luoghi storici, come Maaloula e Saydnaya siano posti sotto la protezione dell'Unesco come patrimoni dell'umanità. Nuove voci si uniscono a quella di Papa Francesco per la liberazione delle cinque monache del convento di Santa Tecla, sequestrate domenica scorsa da elementi delle brigate al-Nousra, legate ad al-Qaeda e, a quanto sembra, portate a Yabroud. Si tratterebbe di madre Pelagia Sayyaf e quattro sue consorelle. "Ci appelliamo alla coscienza umana di tutti e a tutti gli uomini di buona volontà - le parole del patriarca Youhanna X Yazigi - per la liberazione delle nostre religiose". "Ci appelliamo alla coscienza della quale il Creatore ha dotato tutti gli uomini, compresi i rapitori, perché le nostre sorelle siano rilasciate sane e salve. Ci rivolgiamo alla comunità internazionale e ai governanti del mondo intero perché intervengano a favore della liberazione degli ostaggi. Il sequestro, che continua malgrado tutti i contatti allacciati, è una violazione flagrante della dignità umana e della via della pace e della preghiera in Siria e in tutto il Machrek (l'Oriente arabo)". Il patriarca chiede anche la liberazione "delle nostre orfanelle", ma in realtà esse sarebbero state allontanate da Maaloula da tempo. (R.P.)

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    Libano: per i vescovi è sotto attacco la sovranità nazionale

    ◊   Certe Nazioni si comportano nei confronti del Libano “come se non fosse uno Stato sovrano”, e pretendono di esercitare nei suoi confronti un “diritto di tutela”. In questo modo, “di fatto, il Libano diviene ostaggio delle prove di forza degli equilibri regionali e delle politiche internazionali”. Così scrivono nero su bianco i vescovi maroniti nel comunicato conclusivo della loro assemblea mensile tenutasi ieri a Bkerkè, sotto la presidenza del patriarca di Antiochia dei Maroniti Bechara Boutros Rai. Nel comunicato, pervenuto all'agenzia Fides, si fa esplicito riferimento agli atti di “pirateria” contro la sovranità dello Stato libanese realizzati da Israele attraverso le sue “reti di spionaggio e la violazione dello spazio aereo”. Ma compaiono anche riferimenti impliciti all'asse tra l'Iran e Hezbollah, il partito degli sciiti libanesi. In Libano - denunciano i vescovi maroniti - “ogni comunità si ripiega nella costruzione di un proprio 'mini-Stato'”, con l'appoggio di alleati esterni al Paese. I vescovi maroniti usano parole dure nei confronti della classe politica libanese, accusata di servilismo, corruzione e clientelismo su base confessionale, mentre esprimono “la loro più alta stima per il ruolo giocato dall'esercito e da tutte le forze dell'ordine” in un momento in cui la paralisi istituzionale e politica pone il Paese a rischio di disintegrazione. (R.P.)

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    Iraq: a Kirkuk assalto al Centro commerciale. Vittime ed ostaggi

    ◊   Sono ancora confuse le notizie che giungono da Kirkuk, teatro di una assalto a un Centro commerciale da parte di uomini armati dov’è in corso un’operazione delle forze di sicurezza irachene. Secondo i primi bilanci in circolazione, attribuiti al responsabile provinciale della Sanità, Sabah Mohamed Amine, almeno sei persone sono state uccise, altre 70 ferite e un numero imprecisato di civili è nelle mani degli assalitori, asserragliati nell’edificio da ieri pomeriggio. Un bilancio ancora provvisorio, hanno precisato le autorità della località settentrionale, e probabilmente destinato ad aggravarsi: due o tre uomini armati che indossano cinture con esplosivi si troverebbero ancora all’interno del Jawahir Mall di Kirkuk, in fiamme. Alcune fonti locali riprese dall'agenzia Misna, sostengono che le vittime sarebbero già 25. In base alla ricostruzione dei fatti riferita da fonti di stampa panaraba e internazionale, l’attacco è cominciato con l’esplosione di un’autobomba verso le 13.30 ora locale nei pressi dell’ufficio dei servizi segreti della polizia, non lontano dal Centro commerciale, seguita da una sparatoria tra forze di sicurezza ed assalitori. In un secondo momento il gruppo di uomini armati, dal numero imprecisato, è penetrato nell’edificio di cinque piani e ha raggiunto il tetto da dove hanno aperto il fuoco contro la polizia, uccidendo alcuni agenti. Nel blitz delle forze di sicurezza in corso al Jawahir Mall – un importante Centro commerciale di 100 negozi che si trova in un quartiere a maggioranza turkmena – almeno 11 persone sono già state liberate e un assalitore è stato arrestato. Il governatore di Kirkuk, Najmaldin Karim, ha assicurato che la polizia è impegnata a “salvare gli altri ostaggi” e a “riprendere il pieno controllo” del Centro commerciale. “Avevo detto alle forze di sicurezza di non sottovalutare la situazione così calma negli ultimi mesi a Kirkuk. Avevamo ricevuto informazioni in merito a un attacco pianificato da terroristi e ora stiamo indagando” ha aggiunto Karim. Altrove tre persone sono rimaste uccise in diversi attacchi a Baghdad, Mossul, Fallujah e nei pressi di Tikrit. L’insolito attacco nella ricca regione petrolifera e multietnica di Kirkuk, che separa il Centro a maggioranza sunnita e il nord per lo più curdo, si inserisce in un contesto di violenza diffusa e crescente. Lo scorso ottobre, il mese più sanguinoso in Iraq dall’aprile 2008, si erano contati 964 morti in attentati che hanno colpito indiscriminatamente civili e militari nei luoghi più vari, dai bar alle moschee ai campi di calcio. Il primo ministro Nuri Al Maliki ha di recente denunciato una “guerra genocida”. Le autorità puntano il dito contro gli insorti sunniti legati alla rete di Al Qaida, rinvigoriti dal conflitto nella confinante Siria. Analisti e diplomatici stranieri ricollegano l’escalation di violenza alla frustrazione della minoranza sunnita che si considera discriminata dal governo di Al Maliki, dominato dai sciiti. (R.P.)

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    Nord Corea: Amnesty chiede la chiusura dei centri di detenzione

    ◊   Nella sua raccolta di informazioni e testimonianze sulla repressione in Corea del Nord, Amnesty International ha ottenuto prove sostanziali su due campi per prigionieri politici di cui chiede apertamente la chiusura. Realtà drammatiche dove la tortura è abituale e dove esecuzioni sommarie sonno utilizzate per eliminare le vittime e i testimoni degli abusi. Sarebbero centinaia di migliaia coloro che si trovano in campi di detenzione o di lavoro nel Paese. Nel rapporto annuale appena diffuso e corredato di immagini satellitari dei campi, il ricercatore dell’organizzazione specializzato sulla situazione nordcoreana, Rajiv Narayan, fa sapere che “sotto la nuova leadership di Kim Jong-un, la Corea del Nord sta violando ogni diritto umano concepibile”. Una situazione le cui prove Amnesty International ha trasmesso alla Commissione d’inchiesta Onu che sta indagando sugli abusi compiuti dal regime di Pyongyang. Nei campi – in particolare quelli conosciuti come Kwanliso 15 e 16, al centro del rapporto – coloro che vi arrivano “non hanno accuse formali, ancora meno hanno avuto un processo. Molti (sono lì) soltanto perché conoscono qualcuno che è caduto in disgrazia”. Una situazione basata su testimonianze dirette, che spinge Amnesty, come fa sapere ancora Narayan, “a chiedere alle autorità nordcoreane di riconoscere l’esistenza dei campi, di chiuderli e di garantire libero accesso a osservatori indipendenti dei diritti umani. (R.P.)

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    Eritrea: l'inferno dei migranti torturati e rapiti dall'esercito

    ◊   Sono circa 30.000 gli eritrei sequestrati in Sinai tra il 2007 e il 2012: a denunciarlo è un’inchiesta che sarà presentata al parlamento europeo oggi pomeriggio, dal titolo “The Human Trafficking Cycle: Sinai and Beyond”, basata sulla testimonianza diretta di 230 eritrei. L’inchiesta, la prima così esaustiva su un fenomeno spesso ignorato dai media, è stata realizzata da tre studiosi – due olandesi e un eritreo residente in Svezia – secondo cui migliaia di giovani eritrei vengono rapiti dagli stessi generali dell’esercito eritreo e deportati in Sudan. Qui, dopo essere stati torturati, i sequestrati devono raccogliere dai familiari il riscatto richiesto dai rapitori per essere liberati con la minaccia di essere venduti ai trafficanti di uomini del Sinai. A volte - riferisce l'agenzia Misna - anche dopo aver pagato il riscatto, l’esercito eritreo li consegna comunque ai trafficanti, che li torturano e chiedono un nuovo riscatto. Si stima che negli ultimi sette anni ai familiari di queste persone siano stati estorti circa 600 milioni di dollari per il pagamento di riscatti. Un ruolo chiave nei rapimenti, secondo quanto rivelano le anticipazioni del rapporto, lo svolge l’Unità eritrea di controllo dei confini, guidata dal generale Teklai Kifle: questi spesso rapiscono i giovani di 16 e 17 anni, costretti dal regime a completare il ciclo di studi prestando servizio militare per un anno nel campo militare di Sawa. Una volta sequestrati - secondo le testimonianze denunciate dal sacerdote eritreo don Zarai, fondatore dell'Associazione Habeshia - gli eritrei vengono torturati e rinchiusi in prigioni sotterranee. Le donne vengono stuprate a ripetizione, spesso anche in pubblico, e ai genitori vengono fatte ascoltare le urla dei figli attraverso telefonate durante le sevizie. Per i giovani eritrei viene di solito chiesto un riscatto di 10.000 dollari. Secondo i tre ricercatori molti eritrei non sopravvivono ai trafficanti e alle torture. “Tra le 5000 e le 10.000 persone muoiono per mano dei trafficanti mentre sono in cattività”, dichiarano i ricercatori al quotidiano britannico The Guardian, secondo cui in molti gruppi almeno la metà perde la vita e spesso tra le vittime ci sono anche bambini di appena due o tre anni. Da anni le associazioni per i diritti umani denunciano le condizioni di vita della popolazione, circa 6 milioni di persone, nell’Eritrea di Isaias Afewerky definendola una “prigione a cielo aperto” e una sorta di “Corea del Nord dell’Africa”. I giovani eritrei, uomini e donne, sono costretti ad un servizio di leva che può durare fino a 40 anni. Il governo di Asmara, tuttavia, permette ai suoi abitanti di scappare, con il rischio di essere catturati dai trafficanti, ma una volta arrivati in un nuovo paese lo Stato pretende da loro una tassa del 2% su tutte le loro rimesse dall’estero. Il tutto, con la distratta complicità dei Paesi in cui molti hanno ottenuto lo status di rifugiati politici. Secondo stime delle Nazioni Unite, sono circa 3000 al mese gli eritrei che lasciano la madre patria. (R.P.)

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    Filippine: sale la conta delle vittime. Ancora emergenza nelle zone isolate

    ◊   Mentre si avvicina, domenica, l’anniversario di un mese dal tragico arrivo del super-tifone Haiyan sulle Filippine centrali, sono stati diffusi altri dati ufficiali che confermano un ulteriore aumento delle vittime. Sono ora 5.719 i morti e 1.779 i dispersi. In maggioranza, 4.882 complessivamente, già abitanti dell’isola-provincia più colpita, quella di Leyte, dove il capoluogo Tacloban è diventato simbolo della catastrofe. A rendere ancor lontana una soluzione per la tragedia - riferisce l'agenzia Misna - sono 26mila feriti e oltre 4 milioni di senzatetto per la devastazione di 1,2 milioni di abitazioni. Cresciuto anche a 803 milioni di dollari il valore dei danni stimati dall’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Unocha), soltanto per agricoltura e infrastrutture. Esistono tuttavia vari livelli di interventi e di emergenza, alcuni dei quali in parte dipendenti dalle caratteristiche dei soccorsi. Unocha ha ieri sottolineato la disparità di penetrazione degli aiuti e il rischio che i filippini che vivono in aree più remote ricevano soccorsi inadeguati. “Coloro che vivono in prossimità delle maggiori vie di comunicazione son in grado di ricevere aiuti sproporzionati”, ha ricordato ieri in un suo comunicato. Una situazione che può aggravare emergenze già acute proprio nelle aree più isolate. Come l’emergere di casi di inquinamento colibatterico da feci in diverse fonti di approvvigionamento di acqua potabile. Il tempo è fattore essenziale, almeno quanto le risorse, ricorda Unocha. Le Nazioni Unite hanno lanciato da tempo un appello per la raccolta di 348 milioni di dollari per programmi di emergenza medico-sanitaria a beneficio di coloro che sono più a rischio. (R.P.)

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    Argentina: violenza e saccheggi a Cordoba. La Chiesa: atti criminali, non dovuti alla povertà

    ◊   A causa dell'ondata di violenza che ha devastato la provincia, il nuovo vescovo ausiliare di Cordoba, mons. Pedro Javier Torres (nominato il 16 novembre) ha definito gli atti violenti come “situazioni di saccheggio e criminalità piuttosto che atti compiuti da un movimento sociale a causa della fame”. “Tutto ciò non è accaduto per la povertà e per la ricerca di cibo - ha detto il vescovo, secondo la nota inviata all’agenzia Fides da una fonte locale - ma per la presenza della criminalità nella provincia". La situazione a Cordoba è diventata caotica in seguito ad una richiesta di adeguamento dei salari da parte della polizia, che si è chiusa nelle caserme, lasciando così che gruppi di vandali e di criminali, cui poi si è unita parte della popolazione, saccheggiassero i negozi di ogni genere. Infatti non sono stati presi di mira solo supermercati di generi alimentari, ma anche rivendite di elettrodomestici e di altri generi. In molti casi i furti sono stati compiuti con violenza e con la distruzione dei locali. Scontri violenti si sono verificati fra i vandali e intere famiglie che volevano proteggere il proprio negozio. Mons. Torres, parlando ad una televisione locale, ha denunciato le autorità del luogo per "il totale abbandono della provincia da parte del governo centrale, cosa che addolora enormemente". Ha poi giudicato "giusta e degna di essere ascoltata" la richiesta presentata dalla polizia di Cordoba, ma ha anche detto che "il fine non giustifica i mezzi. Bisogna mettere fine all'anarchia". La Conferenza episcopale argentina ha inviato un messaggio all'arcivescovo e alla popolazione di Córdoba, esprimendo "vicinanza e sostegno per i gravi atti accaduti nella provincia". Nel testo del Consiglio permanente, inviato all’agenzia Fides, è scritto: “Preghiamo il Signore di infondere la serenità e la calma in questo tempo di Avvento, e che Maria, Regina della pace, protegga tutti i cordobesi". (R.P.)

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    Venezuela: l’arcivescovo di Caracas invita a partecipare alle elezioni comunali

    ◊   “Il voto è un importante obbligo morale. Si tratta di rafforzare la democrazia e assicurare il benessere dei venezuelani in ciascuno dei comuni. Siamo tutti chiamati a partecipare attivamente, in modo deciso e solidale. E' il momento di votare!" Così si legge nel comunicato dell'arcidiocesi di Caracas che invita i fedeli ad esercitare il loro diritto di voto domenica prossima, 8 dicembre, per le elezioni comunali. Nel documento articolato in 6 punti, il card. Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, e i vescovi ausiliari sottolineano alcuni aspetti di questo importante evento della vita nazionale. “Ricordiamo ancora una volta che il voto è segreto. Rigettiamo le minacce indebite. Il voto libero è un diritto che dobbiamo esercitare con coraggio, determinazione e secondo la nostra coscienza. Il Consiglio Nazionale Elettorale è tenuto ad attuare le misure necessarie perché le elezioni, sia nella preparazione che nell'esecuzione, si svolgano con tutte le garanzie di imparzialità, affidabilità e trasparenza. Si deve assolutamente evitare ogni opportunismo, in particolare l'uso di risorse statali per promuovere la vittoria di una parte" è scritto nel testo, inviato all’agenzia Fides dall’arcidiocesi di Caracas. Nell’assolvere alla missione di essere costruttori di pace, i vescovi lanciano un appello per partecipare attivamente a questo momento della vita politica del paese. Il documento si conclude con la benedizione e l'invocazione della protezione della Madonna di Coromoto, patrona del Venezuela. Nella capitale venezuelana il clima è molto teso, in quanto i gruppi dell’opposizione si sono organizzati da tempo per votare contro i rappresentanti del governo. L'attuale sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, ha respinto l'accusa mossa dal governo secondo cui l'opposizione promuove la violenza, e ha detto alla stampa locale che "il popolo ha il diritto di protestare, ma il modo migliore di farlo è andando a votare". (R.P.)

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    Australia: alla Plenaria dei vescovi l'"Evangelii Gaudium" e il ruolo della donna nella Chiesa

    ◊   L’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” è un documento da raccomandare a tutti i fedeli: “Faremo tutto il possibile per garantire che il suo insegnamento sia ampiamente diffuso”: lo affermano una nota dei vescovi australiani e inviata all’agenzia Fides. I vescovi hanno concluso nei giorni scorsi la loro Assemblea plenaria a Sydney e, proprio in quei giorni, hanno avuto modo di apprezzare il nuovo documento di Papa Francesco. “E’ un documento lungo orientato essenzialmente all'azione. Come vescovi, siamo pronti a farlo conoscere e circolare il più possibile. Abbiamo bisogno di un'azione nella nostra vita, nella Chiesa e nella società”, spiega la nota inviata all'agenzia Fides. Quello che scrive il Papa “è impegnativo, soprattutto a noi vescovi. Noi leggiamo e rileggiamo le sue parole come un esame di coscienza. Molto di ciò che scrive il Santo Padre va al cuore del nostro ministero episcopale, e non possiamo ignorarlo”, rimarcano i presuli australiani. “In esso, sentiamo la voce di Cristo. La stessa voce parla a tutta la Chiesa. Pertanto, chiediamo a tutti i battezzati ad ascoltare ciò che dice il Papa, perché possiamo insieme ascoltare più profondamente la voce di Cristo”. In questo momento storico le parole del Papa sono “un incoraggiamento e un ristoro che ci fa andare avanti”, spiegano. Nella recente Assemblea, i vescovi hanno affrontato numerosi argomenti di carattere pastorale. Fra le diverse iniziative previste per il 2014, vi è la diffusione di un e-book titolato “Donna e uomo: in Cristo Gesù”, che sarà lanciato in una giornata di studio dedicata alla partecipazione delle donne nella Chiesa. Inoltre, sul piano della missione nella società, si terrà nel 2014 una speciale Conferenza nazionale titolata “Annunciare”, che intende formare e sensibilizzare tutti gli operatori pastorali, per rendere sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e laici protagonisti della nuova evangelizzazione. (R.P.)

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    Svizzera: conclusa la Plenaria dei vescovi, nel segno dell’"Evangelii Gaudium"

    ◊   Si è svolta all’insegna dell’Evangelii Gaudium – la prima Esortazione apostolica di Papa Francesco – la 302.ma Assemblea ordinaria della Conferenza episcopale svizzera (Ces). Nel comunicato diffuso oggi, al termine dei lavori, i presuli sottolineano “la forza programmatica” del documento pontificio e la sfida, evidenziata dal Papa, di un rinnovamento della Chiesa sulla scia del Concilio Vaticano II, inteso come “l’apertura ad una riforma permanente in fedeltà a Cristo”. Ma al centro della riunione episcopale ci sono stati anche numerosi altri temi: innanzitutto, la visita ad limina che la Ces compirà in Vaticano dal 20 al 22 febbraio 2014, per incontrare il Santo Padre, con il quale si affronteranno “questioni pastorali, ecclesiali e sociali”, insieme a temi come “relazioni Stato-Chiesa, trasmissione della fede, liturgia, ruolo dei laici, ecumenismo e nuova evangelizzazione”. Altro spunto di riflessione della Plenaria della Ces è stato il Sinodo straordinario sulla famiglia, indetto da Papa Francesco dal 5 al 19 ottobre 2014. In particolare, i presuli elvetici si sono soffermati sul questionario contenuto nel documento preparatorio del Sinodo, diffuso il 5 novembre scorso. A tal proposito, la nota della Ces sottolinea: “A completamento di tale questionario, che mira soprattutto a delineare lo ‘status quo’ della Chiesa, e in accordo con la Ces, l’Istituto di sociologia pastorale di San Gallo ha elaborato un sondaggio per conoscere gli auspici dei partecipanti al Sinodo”. Entrambe le consultazioni, che si concluderanno a dicembre, continua la Ces, “hanno suscitato grande attenzione nel pubblico” ed il loro risultato verrà trasmesso alla Segreteria del Sinodo. Sulla base delle risposte raccolte, poi, verrà redatto l’Instrumentum Laboris, ovvero il documento di lavoro dell’Assemblea episcopale straordinaria. E ancora: i vescovi svizzeri hanno discusso sulla nuova traduzione della Bibbia liturgica, redatta dalla Conferenza episcopale francese, con il contributo di tutti gli episcopati francofoni. Presentata a Parigi a fine novembre, dopo 18 anni di lavoro, la nuova traduzione biblica sarà seguita, nel 2016, dalla pubblicazione di un nuovo Messale romano per la liturgia. Da evidenziare che questo nuovo testo presenta una variazione nella preghiera del Padre Nostro che non riporta più il verso “Non ci indurre in tentazione”, bensì quello “Non ci lasciar cadere in tentazione”. Infine, la Ces ha annunciato che l’anno pastorale 2014 sarà dedicato al tema “Uniti nella fede”. Ulteriori approfondimenti saranno esplicati nella “Lettera pastorale sulla Chiesa come Sacramento” che i vescovi elvetici pubblicheranno il 9 marzo del prossimo anno, prima Domenica di Quaresima. (A cura di Isabella Piro)

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    Terra Santa: di qualità le scuole cristiane finanziate dall'Ordine del Santo Sepolcro

    ◊   Le scuole del Patriarcato latino di Gerusalemme danno grandi soddisfazioni ai membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che le finanzia, per i risultati di eccellenza conseguiti nell’ultimo anno: ne ha riferito ieri il patriarca Fouad Twal nella sessione del Gran Magistero del quale è Gran Priore. Fondate a cominciare dalla metà dell’Ottocento, poco dopo la ricostituzione del Patriarcato da parte di Pio IX, oggi accolgono, dagli asili nido alle primarie e superiori, circa 20mila allievi (per il 60% cristiani e il 40% musulmani e drusi) nei 42 istituti presenti in Israele, Territori Palestinesi e Giordania che rappresentano il 40% delle scuole cattoliche di Terra Santa. Parecchi allievi sono risultati i migliori delle loro nazioni nelle materie letterarie, scientifiche o informatiche ed anche nello sport. Tutti hanno continuato a seguire gli speciali programmi di educazione alla coesistenza e alla pace; a Gaza, ove regna uno stato di guerra permanente, sono stati aiutati ad aver speranza in un avvenire migliore. Il patriarca, nel ringraziare “la grande famiglia internazionale dell’Ordine” (circa 30 mila cavalieri e dame in 35 nazioni), ha sottolineato che la Giordania è ormai “il polmone del Patriarcato” in molti campi, non solo in quello dell’ istruzione. Gran parte della sessione del Gran Magistero è stata infatti dedicata alle attività istituzionali del Patriarcato finanziate dall’Ordine : parrocchie, seminario, opere sociali e progetti edilizi. Sono stati appena inaugurati la chiesa parrocchiale di Aqaba, sul Mar Rosso, e l’ampliamento della scuola di Reneh, in Israele. Nel felicitarsene, il Governatore generale Agostino Borromeo ha ricordato che le somme rimesse di recente dal Gran Magistero al Patriarcato per la realizzazione dei progetti e per le spese istituzionali non hanno raggiunto una tale importanza nella storia dell’Ordine. Introducendo i lavori il Gran Maestro ha ricordato grandi eventi recenti, quali la Consulta quinquennale che ha riesaminato lo Statuto e il Pellegrinaggio internazionale nell’Anno della Fede segnato dall’udienza speciale di Papa Francesco, ed il suo viaggio del mese scorso in Australia e Nuova Zelanda. Egli ha insistito sul piano di ringiovanimento dell’Ordine, sulla formazione degli aspiranti membri (oltre un migliaio l’anno) e sulla più estesa responsabilità negli organi direttivi delle Dame, già presenti nel Gran Magistero e al vertice di alcune Luogotenenze. (A cura di Graziano Motta)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 339

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.