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Sommario del 04/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Appello del Papa per le suore rapite in Siria. Una religiosa: al Paese serve ritrovare unità
  • Udienza generale. Il Papa: la risurrezione dei morti è vera perché Gesù è risorto
  • Commissione di cardinali: incontrato mons. Parolin, al vaglio i dicasteri vaticani
  • Nomine
  • Tweet del Papa a 50 anni dall'"Inter Mirifica": portiamo a Cristo quanti incontriamo
  • Vigilia della plenaria dei laici. Card. Rylko: le reti digitali, grande campo di missione
  • Mons. Tomasi su uso dei droni: macchine non rispettano principio di umanità
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Grecia verso la ripresa. Il premier Samaras: "il peggio è passato"
  • Brasile. Gli indigeni Guarani Kaiowá chiedono tutele dopo la morte del loro leader
  • Convegno su profughi a Lampedusa. La Caritas: tutto è come prima
  • Il presidente Napolitano: sulle carceri il parlamento sia più responsabile, sì a indulto
  • Terra dei fuochi. Don Patriciello: decreto primo passo, risanare economia sommersa
  • “Dio asciugherà ogni lacrima": in un libro una particolare testimonianza di fede nella malattia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Torino. Mons. Nosiglia: nel 2015 una nuova straordinaria ostensione della Sindone
  • Filippine: tra le emergenze del post Haiyan anche la difesa di donne e bambini
  • Guadalupa. Il card. Filoni: "riaccendete l'entusiasmo per l'evangelizzazione”
  • 50° Inter Mirifica. Mons. Dal Covolo: carta d'identità della comunicazione
  • Vescovi indonesiani: lotta alla droga e programmi di recupero per le vittime
  • Bangladesh. La Chiesa dice basta morti e violenze, i leader politici devono dialogare
  • Myanmar: ci sono ancora bambini-soldato nelle truppe birmane
  • Russia: in un anno, sette chiese bruciate in Tatarstan
  • Argentina: il vescovo di Oberá chiede il referendum sulla costruzione di due dighe idroelettriche
  • Giappone. La Chiesa contro la legge sul segreto di Stato: un attacco alla pace
  • Togo. I vescovi: “Non perdiamo la speranza nonostante le inquietudine sociali”
  • Ciad: consacrata la cattedrale di Mongo, in un’area a maggioranza musulmana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Appello del Papa per le suore rapite in Siria. Una religiosa: al Paese serve ritrovare unità

    ◊   Nuovo accorato appello del Papa per la Siria oggi, al termine dell’udienza generale. Il Pontefice chiede di pregare in particolare per le cinque suore ortodosse portate via con la forza da Ma’lula, probabilmente dai ribelli del Fronte Al Nusra, affiliati di Al Qaeda. La città è devastata dagli islamisti e le religiose – secondo quanto riferisce anche il Patriarcato greco ortodosso a Damasco – sarebbero in buone condizioni. Sul terreno, intanto, ancora violenza con 4 vittime a Damasco e 18 ad Aleppo mentre il dialogo in vista della Conferenza "Ginevra 2" diventa sempre più difficile. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    “Desidero ora invitare tutti a pregare per le monache del Monastero greco-ortodosso di Santa Tecla a Ma’lula, in Siria, che due giorni fa sono state portate via con la forza da uomini armati. Preghiamo per queste sorelle e per tutte le persone sequestrate a causa del conflitto in corso. Continuiamo a pregare e a operare insieme per la pace”.

    Dunque, preghiera e opere, per una pace già tante volte invocata dal Papa, assieme al dialogo, sempre più difficile in Siria. Proprio oggi, mentre l’Onu insiste perché il governo apra corridoi umanitari per due milioni e mezzo di siriani non raggiunti dalle Ong, il ministro dell’Informazione a Damasco sfida nuovamente l’opposizione, dicendo che sarà il presidente Assad a guidare qualsiasi governo di transizione che emergerà dalla Conferenza internazionale di gennaio a Ginevra. In questo clima, e soprattutto dopo l’allontanamento forzato delle suore, tutti i religiosi in Siria si stringono al Papa, come commenta ai nostri microfoni una suora di un monastero trappista del Paese:

    R. – Noi, in un certo senso, siamo nella stessa situazione, solo che siamo in un Paese prevalentemente alawita, quindi corriamo meno rischi che non le sorelle che si sono trovate accerchiate dai sunniti. Le capiamo tantissimo, così come quelle comunità che sono state toccate dall’odio. Noi le abbiamo sempre nel cuore e preghiamo per loro.

    D. – Il Papa chiede di pregare e anche di continuare a operare per la pace...

    R. – In un certo senso, il nostro modo di vivere, i contatti che abbiamo con tutto il circondario, sono un modo di operare per la pace. Il fatto semplicemente di essere qui e pregare per loro ha un grandissimo significato. E poi, il fatto che ci vedano accoglienti: questo è il nostro modo di mantenere desta la speranza. Il grosso problema, infatti, è che se la speranza decade, la gente non si muove più. Per fortuna, qui le persone sentono la vita che viene dalla terra e vogliono vivere in questa terra.

    D. – Arrivano aiuti dalla comunità internazionale?

    R. – In genere, sono le chiese che cercano di sostenere e anche noi siamo un punto di sostegno, occupandoci anche noi degli sfollati e della gente, che è rimasta senza niente e così via, con gli aiuti che ci vengono direttamente dall’Italia. Gli aiuti internazionali, quindi, non si sa mai dove arrivino e da chi siano sfruttati.

    D. – Tutti, in questo momento, parlano a livello politico di questo appuntamento di Ginevra di fine gennaio. L’auspicio è che la preghiera che ha chiesto oggi il Papa vada anche a quello che è il futuro politico della Siria...

    R. – Non c’è da fare semplicemente una pace politica, occorre pensare a una ripresa del popolo, una ripresa dell’unità che c’era prima, a far sparire le paure, a far reincontrare la gente. Prima che succedesse tutto questo – sono quasi ormai tre anni – nemmeno si sapeva di che religione fosse l’amico che abitava vicino a te. Non era necessario saperlo, infatti: l’importante era essere siriani insieme. Adesso, hanno paura gli uni degli altri. E poi tutta la violenza che accade sotto gli occhi dei piccoli. Io mi chiedo quanta gente, di quella che siederà al tavolo delle trattative a "Ginevra 2", vorrà veramente il bene del popolo della Siria. E questo è il tragico della situazione: ciascuno si siederà avendo le sue idee in testa e i suoi interessi. Questa è una cosa molto grossa, difficile da ottenere.

    D. – Per questo occorre pregare...

    R. – Certo, infatti siamo qui per questo.

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    Udienza generale. Il Papa: la risurrezione dei morti è vera perché Gesù è risorto

    ◊   “Perché Gesù è risorto, noi risusciteremo”. Con questa affermazione, più volte ribadita e condivisa con le circa 30 mila persone presenti in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha affrontato all’udienza generale di questa mattina una delle realtà ultime della fede, professata nel Credo: la “risurrezione della carne”. Credere nella risurrezione, ha aggiunto, aiuta a essere “meno prigionieri dell’effimero” e più disposti alla misericordia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La prova inoppugnabile è incisa in una pietra rotolata via e nel sepolcro vuoto di un’alba di Pasqua di duemila anni fa. La prova della speranza cristiana: la risurrezione dai morti è vera perché Gesù è risorto da morte. In un mercoledì di sole splendente, che per un istante fa quasi dimenticare l’inverno alle porte, Papa Francesco spiega l’essenza della fede in Cristo e in quel giorno in cui dopo la vita inizierà una vita nuova, e in cui – afferma – Dio “restituirà la vita al nostro corpo riunendolo all’anima”:

    “Questa è la spiegazione fondamentale: perché Gesù è risorto noi resusciteremo; noi abbiamo la speranza nella risurrezione perché Lui ci ha aperto la porta a questa risurrezione. E questa trasformazione, questa trasfigurazione del nostro corpo viene preparata in questa vita dal rapporto con Gesù, nei Sacramenti, specialmente l’Eucaristia”.

    Il Papa non lascia che la folla assorba le sue parole con superficialità o distacco. La verità sulla risurrezione non è “semplice e tutt’altro che ovvia” perché, riconosce, “vivendo immersi in questo mondo, non è facile comprendere le realtà future”. E allora, come spesso gli accade, i fogli col testo ufficiale vengono tirati via ed è direttamente il cuore di Papa Francesco a cercare la gente e a rivestire con parole semplici la verità della Risurrezione:

    “Questa non è una bugia! Questo è vero. Noi crediamo che Gesù è risorto, che Gesù è vivo in questo momento. Ma voi credete che Gesù è vivo? E se Gesù è vivo, voi pensate che ci lascerà morire e non ci risusciterà? No! Lui ci aspetta, e perché Lui è risorto, la forza della sua risurrezione risusciterà tutti noi”.

    Poi, con la concretezza che distingue il suo stile pastorale, Papa Francesco ricorda che la Risurrezione non è solo cosa che riguardi la vita eterna. La vita eterna, asserisce, “incomincia già in questo momento, incomincia durante tutta la vita”. Per questo, prosegue, i cristiani hanno in sé un “seme di Risurrezione” che coinvolge il corpo oltre che l’anima:

    “Per questo anche il corpo di ciascuno di noi è risonanza di eternità, quindi va sempre rispettato; e soprattutto va rispettata e amata la vita di quanti soffrono, perché sentano la vicinanza del Regno di Dio, di quella condizione di vita eterna verso la quale camminiamo”.

    Dunque, “questa attesa – ribadisce Papa Francesco – è la fonte e la ragione della nostra speranza”. Una speranza che, “se coltivata e custodita”…

    “…diventa luce per illuminare la nostra storia personale e anche la storia comunitaria. Ricordiamolo sempre: siamo discepoli di Colui che è venuto, viene ogni giorno e verrà alla fine. Se riuscissimo ad avere più presente questa realtà, saremmo meno affaticati dal quotidiano, meno prigionieri dell’effimero e più disposti a camminare con cuore misericordioso sulla via della salvezza”.

    I saluti finali del Papa sono andati, tra gli altri, ai partecipanti al Seminario su etica e valori promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ai membri di vari corpi militari presenti in Piazza, a una delegazione dell’Opera Romana in partenza per l’Iraq e a numerose associazioni, tra cui quella denominata “Spina-Bifida e Idrocefalo” e gli “Amici di Raoul Follereau”, impegnate nell’aiuto ai malati.

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    Commissione di cardinali: incontrato mons. Parolin, al vaglio i dicasteri vaticani

    ◊   Sono proseguite anche stamani, presso la Domus Sanctae Marthae, le riunioni del Consiglio di cardinali, il gruppo di otto porporati che ha il compito di coadiuvare il Pontefice nel governo della Chiesa. Papa Francesco non ha partecipato, per l’impegno dell’udienza generale. L’orientamento ai lavori, come emerso nei primi incontri dell’ottobre scorso, non è una semplice revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, bensì la preparazione di una nuova Costituzione. Le riunioni termineranno domani, per poi riprendere a febbraio 2014. In tarda mattinata, si è tenuto in Sala Stampa della Santa Sede, il briefing del direttore, padre Federico Lombardi. Il servizio di Giada Aquilino:

    Entro domani il gruppo di otto cardinali concluderà il giro di consultazioni di questa tornata di riunioni, in cui al centro dei lavori ci sono i diversi dicasteri della Curia. Dopo un incontro ieri pomeriggio con il segretario di Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin, per un saluto e per esprimere la “volontà di collaborare”, le riunioni sono proseguite oggi: il Papa non ha preso parte per tenere l’udienza generale, mentre ieri pomeriggio era presente.

    “Nella mattina di oggi, il lavoro è continuato, prendendo in considerazione le diverse Congregazioni, cioè i diversi dicasteri. So che per esempio hanno parlato anche delle Cause dei Santi, dell’Educazione cattolica, dell’Evangelizzazione dei popoli. Probabilmente con oggi e domani, almeno sulle Congregazioni, i cardinali avranno fatto una prima considerazione, un primo giro di riflessioni”.

    A proposito di eventuali incontri dei cardinali, negli intervalli tra una riunione e l’altra con i capi dicastero, padre Lombardi ha ricordato il costante contatto del Papa con la Curia:

    “Il Papa incontra regolarmente e abbastanza frequentemente, anche in modo prolungato, i capi dicastero. Il Papa ha sempre a Roma, vicino a lui, tutti i capi dicastero e la Curia. C’è già questa via, oltre a quella della possibilità di presentare documenti, opinioni, memorandum, informazioni per iscritto o anche agli otto cardinali. Tanto più che gli otto cardinali si sono distribuiti degli argomenti principali su cui riferiscono al gruppo”.

    Su un termine dei lavori del Consiglio, il portavoce vaticano ha rimandato ogni previsione:

    “Il mese di febbraio è una tappa che ci aspettiamo significativa, essendoci la terza riunione del Consiglio di cardinali e il Concistoro. Questo, però, non vuole affatto dire che ci sia un’idea che, a febbraio, ci sarà chissà quale conclusione”.

    Alle domande dei giornalisti circa casi di abusi su minori, padre Lombardi ha ricordato che la Santa Sede ha inviato risposte riguardanti il proprio precedente Rapporto al Comitato internazionale sui diritti del fanciullo di Ginevra e ha precisato:

    “Le risposte mandate, come anche il Rapporto, sono presenti sul sito di Ginevra della Convenzione dei diritti del fanciullo. Per esempio, se ci sono delle domande che riguardano dei fatti concreti avvenuti in Irlanda, dato che la Convenzione agisce su base territoriale, la Santa Sede dice che la competenza di questi fatti è dell’Irlanda, del governo irlandese e delle leggi irlandesi, che procedono su tale fatto”.

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    Nomine

    ◊   Il Santo Padre ha nominato capo-ufficio nella Congregazione per la Dottrina della Fede mons. Alejandro Cifres Giménez, finora aiutante di Studio nel medesimo Dicastero.

    Il Papa ha nominato membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche la prof.ssa Maria de Lurdes Correia Fernandes, docente ordinario presso la Facoltà di Lettere e vice-rettore dell’Università di Porto (Portogallo).

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    Tweet del Papa a 50 anni dall'"Inter Mirifica": portiamo a Cristo quanti incontriamo

    ◊   Con un tweet lanciato questa mattina dal suo account @Pontifex, Papa Francesco ha voluto ricordare il mezzo secolo trascorso dall’approvazione, in sede conciliare, del Decreto Inter Mirifica dedicato agli strumenti della comunicazione sociale. Questo il testo del Papa: “50 anni fa il Vaticano II ha parlato di comunicazione. Ascoltiamo, dialoghiamo e portiamo a Cristo tutti coloro che incontriamo nella vita”.

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    Vigilia della plenaria dei laici. Card. Rylko: le reti digitali, grande campo di missione

    ◊   “Annunciare Cristo nell’era digitale”. Con questo titolo si apre domani a Roma la 26.ma Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici. Nel corso di tre giorni di dibattito studiosi, laici e religiosi si confronteranno sulle opportunità offerte dai nuovi media alla missione della nuova evangelizzazione. L’ambiente digitale dunque rappresenta una nuova sfida per la natura missionaria della Chiesa. Ascoltiamo al riguardo il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del dicastero, intervistato da Stefano Leszczynski:

    R. – Nell’affrontare la grande sfida della nuova evangelizzazione, la Chiesa deve tener conto dei nuovi scenari socioculturali del mondo globalizzato, tra i quali lo sviluppo vertiginoso dei mezzi digitali di comunicazione occupa un posto di particolare rilievo. È un fenomeno che non va ridotto solo alle nuove tecnologie di comunicazione. Si tratta piuttosto di una potente corrente, di una vera e propria “cultura digitale”, di cui indiscussi protagonisti sono le giovani generazioni, i cosiddetti “nativi digitali”. È un mondo molto complesso che suscita tanto interesse, perché apre davanti a noi orizzonti completamente nuovi e opportunità inedite. Secondo il Papa Francesco, esso può diventare uno strumento prezioso per costruire un mondo più fraterno e più solidale. Ma, purtroppo, non mancano anche dei seri rischi, che non vanno sottovalutati. Penso, ad esempio, al pericolo di diventare schiavi del mondo virtuale e incapaci di stabilire relazioni autentiche con le persone che ci stanno accanto, senza parlare poi dei contenuti distruttivi che la rete trasmette, come la pornografia oppure l’incitamento alla violenza e a comportamenti devianti. Quanti suicidi di adolescenti avvengono a causa del cyber-bullismo nella rete! La rete, dunque, ha volti molto diversi e richiede perciò una grande capacità di discernimento. Il mondo digitale è una sfida che soprattutto noi cristiani dobbiamo saper cogliere con coraggio. Il Papa Francesco ci sollecita: "È importante saper dialogare, entrando, con discernimento, anche negli ambiti creati dalle nuove tecnologie, nelle reti sociali, per far emergere una presenza, una presenza che ascolta, dialoga e incoraggia...". Anzi, la rete può diventare un potente mezzo per un annuncio evangelico di raggio planetario. Per la Chiesa, si è aperto quindi un grande campo di missione, un grande areopago dove la nostra presenza in quanto cristiani non può mancare.

    D. – Perché l’esigenza di dedicare a questo tema la 26.ma Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici?

    R. – Il nostro Consiglio, in quanto dicastero per i laici, si sente particolarmente interpellato ad affrontare questa tematica. Perché sono proprio loro – i laici – i veri protagonisti di questa “rivoluzione digitale”. La grande sfida da raccogliere è racchiusa nella domanda: come vivere da cittadini in questo nuovo mondo digitale, senza perdere la propria identità cristiana, essendo cioè “sale della terra” e “luce del mondo”? La risposta non è semplice. Penso, che bisogna innanzitutto conoscere questa realtà fino in fondo, essere consapevoli delle sue luci e delle sue ombre, rifiutando pregiudizi e timori eccessivi. E come secondo passo, occorre un serio processo educativo dei cristiani in grado di generare una matura capacità di discernere tra le vere opportunità e i rischi che si corrono in questo ambiente. Sicuramente, qui si apre un vasto campo per l’azione pastorale della Chiesa. Dobbiamo difenderci quindi, come cristiani, dalle visioni catastrofiche e apocalittiche del mondo digitale. Secondo Papa Francesco, questo porterebbe a una pericolosa paralisi dell’intelligenza e della volontà. La “conversione missionaria”, alla quale il Papa invita tutta la Chiesa, consiste anche nel riconoscere delle vie di speranza all’interno di questo nuovo mondo, che è ancora tutto da scoprire. In sintesi, capire, discernere e agire di conseguenza: questo è il cammino che la nostra Assemblea plenaria vuole proporre ai fedeli laici in questo campo così decisivo per il futuro dell’umanità.

    D. – Quanto ci si può fidare del messaggio evangelico che viaggia in Internet spesso senza mediazioni e senza possibilità di verifiche?

    R. – Nel formulare questa domanda, lei ha già dato anche la risposta... Nell’annuncio evangelico c’è bisogno di mediazioni personali e di verifiche autentiche che nella rete spesso mancano. Misurare la riuscita di un’iniziativa evangelizzatrice, considerando il numero di “contatti”, di “amicizie Facebook” o di “followers” sarebbe un errore veramente grossolano. Certo, la rete può diventare uno strumento di trasmissione del Vangelo a vasto raggio. Ormai, la maggioranza delle diocesi, delle parrocchie, delle singole istituzioni ecclesiali, delle associazioni e dei movimenti hanno un proprio sito Internet. E lo stesso Papa Francesco ci sprona in questo senso, quando ci chiede: siamo capaci, anche in questo campo, di portare Cristo, o meglio di portare all’incontro di Cristo? Di camminare col pellegrino esistenziale, ma come camminava Gesù con quelli di Emmaus, riscaldando il cuore, facendo trovare loro il Signore? Non bisogna dimenticare, però, che l’incontro con Cristo è un incontro personale e anche oggi continua ad essere fondamentale l’annuncio del Vangelo “da persona a persona”. I mezzi tecnologici, pur importanti, non sono sufficienti, perché davanti a Dio contano soprattutto le persone... Sarebbe un grave errore voler delegare il compito missionario ai soli mezzi tecnologici, anche se sono potenti come la rete. Cristo affida il suo mandato missionario a ciascuno di noi personalmente e questo è un dato importante e fondamentale, che non possiamo trascurare.

    D. – Internet è un luogo spesso pieno di insidie, oltre che di opportunità. Come sensibilizzare al riguardo quei laici che si trovano al di fuori della rete dei movimenti organizzati dalla Chiesa?

    R. – Come abbiamo detto, nella rete insidie e pericoli non mancano e perciò è necessaria una vasta campagna di sensibilizzazione e di educazione. E, sia chiaro, educare non significa spaventare con prospettive terrificanti e scoraggiare l’uso di Internet. Bisogna invece educare – sia nella scuola sia in famiglia – a un utilizzo corretto di questo strumento: spiegare come e quando utilizzarlo, aiutare – soprattutto le giovani generazioni – a fare le scelte giuste. Bisogna far tutto il possibile perché questo mezzo diventi uno strumento di crescita personale – anche nella fede! – e non un fattore distruttivo delle persone. E qui si apre un grande spazio per l’azione educativa delle comunità ecclesiali, delle associazioni, dei movimenti... Come dicevo, un’attenzione particolare meritano i giovani – i “nativi digitali” – che sono i più esposti agli influssi devastanti della rete, soprattutto per quanto riguarda la dipendenza compulsiva da Internet (c’è chi sta davanti allo schermo più di 5 ore al giorno!). So di un’interessante campagna rivolta proprio ai giovani basata sullo slogan: “Disconnettiti da Internet per connetterti con la vita”. Certamente, abbiamo bisogno oggi di un’apposita pastorale delle rete, o meglio di una pastorale del popolo della rete.

    D. – In definitiva, quale può essere il ruolo dei laici nel governare in maniera virtuosa la trasmissione della fede nell’era digitale?

    R. – Penso che questa sia oggi una delle priorità dell’apostolato dei laici: sono loro i veri cittadini del mondo digitale e non pochi di loro sono veri esperti in materia. L’importante è che imparino ad abitare questo mondo senza perdere la loro identità cristiana e senza rinunciare a tener viva quella “fantasia missionaria” nel cercare vie sempre nuove per testimoniare la bellezza di essere discepoli di Cristo. Il Beato Giovanni Paolo II ci incoraggiava: "Non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono “tra le cose meravigliose” – "Inter Mirifica" – che Dio ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno. Non abbiate paura dell’opposizione del mondo! Gesù ci ha assicurato “Io ho vinto il mondo!”.

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    Mons. Tomasi su uso dei droni: macchine non rispettano principio di umanità

    ◊   Per la prima volta ieri le Nazioni Unite hanno utilizzato un drone, ovvero un aereo senza pilota, nell’ambito di una missione di pace nella regione orientale del Congo, dove operano gruppi armati ribelli. La notizia apre nuove riflessioni sull’uso pacifico dei droni, frequentemente usati negli ultimi anni a scopo militare, con gravi implicazioni etiche e umanitarie che sono state messe in evidenza dal rappresentante Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, mons. Silvano Tomasi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Intervenuto nell’incontro annuale dei Paesi firmatari della Convenzione per interdire o limitare l’uso di armi dagli effetti traumatici eccessivi o indiscriminati, come i droni armati, l’arcivescovo Tomasi ha sollecitato la comunità internazionale a ragionare “sull’incapacità dei sistemi tecnici automatici preprogrammati di dare giudizi morali su vita e morte, di rispettare i diritti umani e di osservare il principio di umanità”. Infatti, “quando un drone armato viene pilotato a migliaia di miglia di distanza, chi ha la responsabilità delle violazioni umanitarie compiute attraverso il suo utilizzo?” E “quando informazioni vitali relative all’uso di droni armati vengono sottratte alla verifica, come si può appurare la conformità con il diritto internazionale, il diritto umanitario internazionale e gli standard etici?”, si è chiesto il presule.

    Inoltre, “la mancanza di rischi militari e la presunta precisione dei droni armati” potrebbero indurre “a compiere attacchi” più rischiosi per i civili. Sono dunque fondamentali “una maggiore trasparenza e una responsabilità più chiara nel loro uso”. S’impone inoltre di preparare gli operatori remoti di sistemi robotici e di garantire loro il “tempo necessario per riflettere” su “decisione” da prendere davanti a uno schermo “che riguardano la vita e la morte”. Quasi il 30% dei piloti di droni sperimenta infatti "crisi esistenziali". Chiediamoci infine, ha detto mons. Tomasi, se “questo contesto di guerra disumanizzata” può rendere “più attraente entrare in guerra”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quando comincia l'eternità: all'udienza generale il Papa parla della resurrezione della carne.

    Proseguono i lavori del Consiglio di cardinali: martedì pomeriggio l'incontro con il segretario di Stato.

    La visita dell'arcivescovo Dominique Mamberti in Giordania.

    Il vero motore di una riforma nella Chiesa: in cultura, l'arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, sul concilio di trento 450 anni dopo.

    Realtà falsificata: Lucetta Scaraffia recensisce il libro di Melania Mazzucco "Sei come sei", che affronta il problema della parentalità omosessuale.

    Roberto Papini sull'epoca nuova compresa da Maritain: dal Vaticano II all'"Evangelii gaudium".

    Il vessillo dell'architetto: il cardinale Gianfraco Ravasi su centralità e bellezza dello spazio sacro.

    Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "A Larino il primo seminario": secondo una testimonianza di Angelo Giuseppe Roncalli.

    Marcello Filotei sugli "ultrà bambini".

    Perché il sogno non diventi un incubo: nell'informazione religiosa, un articolo sull'incontro, a Malta, del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (Ccee) dedicato alla pastorale per i migranti e i rifugiati.

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    Oggi in Primo Piano



    Grecia verso la ripresa. Il premier Samaras: "il peggio è passato"

    ◊   “Il peggio è passato, l'anno prossimo per l'economia della Grecia sarà un anno di ripresa". E' quanto ha detto il premier greco Samaras, alla vigilia dell’incontro di oggi con il presidente della Commissione Europea Barroso. "Il prezzo pagato è stato alto – ha aggiunto il capo del governo di Atene – ed ora dobbiamo curare le ferite della società". Un messaggio, insomma, rassicurante. Ma si può guardare al futuro del Paese ellenico con uno sguardo davvero positivo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Economia Politica Europea presso l’Università Bocconi di Milano:

    R. - Da un punto di vista economico, sì. La Grecia finirà la sua lunga discesa nella recessione quest’anno e l’anno prossimo dovrebbe finalmente essere molto vicina al segno più per poi continuare a crescere nel 2015. Quindi sicuramente il peggio è passato e si inizia ad intravedere un minimo di crescita nell’economia greca. Ci sono due considerazioni da fare. La prima: questa crescita evidentemente non è né abbastanza per recuperare il terreno perduto, né probabilmente abbastanza per stabilizzare il rapporto debito-Pil. Quindi, sicuramente dovremmo ancora in qualche modo negoziare con la Grecia una via d’uscita dall’indebitamento dilazionando ulteriormente le condizioni o comunque consentendo al Paese di avere un accesso ai mercati finanziari in qualche modo agevolato dai fondi europei. Secondo punto, e sono d’accordo con Samaras, il prezzo pagato è stato altissimo, quasi il 25 percento del Pil in meno; forse troppo.

    D. - Nel Paese ci sono enormi problemi sociali. Quanto questi potranno rallentare la ripresa?

    R. - Evidentemente quando le tensioni sociali esplodono, poi rischiano, in qualche modo, di buttare via il bambino con l’acqua sporca, nel senso che alla fine la protesta cieca blocca il funzionamento del Paese, avvita il Paese stesso in crisi ancora più gravi con ripercussioni da un punto di vista del voto e dello schieramento partitico; sappiamo che in Grecia i due partiti di estrema destra e di estrema sinistra - quello che ci fa più paura ovviamente quello di estrema destra - sono in qualche modo ben forti, e questo evidentemente è poco compatibile con il modello di sviluppo economico che ci siamo dati. Ritengo, tuttavia, che sia ben gestita, quindi contrariamente ai primi anni, la crisi greca potrà iniziare a dare un segno più anche da un punto di vista sociale; quindi sarà compito del governo e delle istituzioni europee fare in modo che questa pace sociale, che bene o male in Grecia fino ad oggi è stata preservata, possa continuare.

    D. - Quali misure metterà in campo il governo di Atene per poter portare avanti in Paese verso questo agognata ripresa?

    R. - La strada è sempre quella del recupero della competitività. In Grecia sono sicuramente stati compressi i salari, il costo unitario del lavoro è sceso … Ovviamente questo è stato fatto tutto a carico del numeratore, nel senso che si è proceduto ad una brutale riduzione dei prezzi e dei salari. Quello che oggi occorrerebbe fare è aumentare il denominatore, cioè recuperare produttività. Questo vuol dire - evidentemente - mobilitare ancora di più il mercato del lavoro che in Grecia comunque continua ad essere ancora abbastanza ingessato ed ancorato a vecchie regole e sistemi che in qualche misura faticano - anche se approvate - a trovare posto nella società. Inoltre, bisogna far affluire maggiormente i capitali da parte delle banche nel settore privato attraverso regole di liberalizzazione che continuano ad essere ostracizzate da larga parte del sistema politico greco e aumentare la base imponibile. Nonostante tutto, quello greco continua comunque ad essere un popolo che pervicacemente rifiuta di pagare le tasse. Queste sono tutte cose che il governo greco deve continuare a fare, soprattutto se ha interesse a continuare a preservare la pace sociale.

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    Brasile. Gli indigeni Guarani Kaiowá chiedono tutele dopo la morte del loro leader

    ◊   “E’ necessaria una mobilitazione internazionale per difendere i popoli nativi”. E’ l’appello lanciato dal movimento per i popoli indigeni “Survival Internazional”, dopo l’uccisione, domenica scorsa, di Ambrósio Vilhalva, leader dei Guarani Kaiowá, in Brasile. Ambrósio, noto anche per essere stato il protagonista del film di Marco Bechis “Birdwatchers - La terra degli uomini rossi”, da decenni lottava per il rispetto del diritto, a oggi calpestato, a vivere nella terra ancestrale. Di morte “triste e complessa” parla il Consiglio indigenista missionario del Brasile. Per ora, i mandanti e gli autori dell'assassinio restano sconosciuti. Massimiliano Menichetti ha fatto il punto della situazione con Francesca Casella di Survival Internazional Italia:

    R. – La situazione attuale in Brasile è veramente drammatica, perché il governo sta pianificando tutta una serie di nuove leggi ed emendamenti costituzionali, che mineranno completamente i diritti indigeni e renderanno molto più complesso nel futuro – ma anche già adesso – ottenere un riconoscimento dei loro territori.

    D. - In questo scenario, la drammatica notizia dell’uccisione nei giorni scorsi del leader dei Guaranì, Ambrosio Vilhalva…

    R. – Siamo ovviamente scioccati da questa notizia, perché abbiamo lavorato per molti anni con Ambrosio e come tanti altri guaranì, che si stavano da anni impegnando per ottenere e riconquistare le terre ancestrali, riceveva continuamente minacce di morte dai latifondisti: allevatori e coltivatori, soprattutto di canna di zucchero, che hanno nel corso degli ultimi decenni occupato quasi integralmente le loro terre, costringendoli a vivere ai margini di quelli che un tempo erano i loro territori ancestrali.

    D. – Ambrosio era stato anche il protagonista del film “Birdwatchers – La terra degli uomini rossi” proprio sui Guaranì…

    R. – Il film è stato dedicato all’uccisione di un leader indigeno: tragicamente paradossale è il fatto che lui sia morto esattamente come il vero ispiratore del film e il protagonista della pellicola. Quindi, una tragedia che prima si fa finzione e poi, da finzione, torna realtà...

    D. – Voi ribadite: i Guaranì soffrono uno dei tassi più alti di omicidio nel mondo. E’ così?

    R. – Quattro volte superiore al tasso di omicidi nel Paese. Nella maggior parte dei casi, si tratta di uccisioni ordinate dai latifondisti – quindi da allevatori e imprenditori agricoli – che hanno occupato le loro terre. Non solo: i Guaranì soffrono anche il tasso di suicidi fra i più alti al mondo, si stima che una persona a settimana compia questo terribile gesto.

    D. – Questo perché accade?

    R. – Perché i Guaranì non hanno più nulla! Hanno tolto loro tutte le loro terre, perse negli ultimi decenni proprio a favore – soprattutto oggi – delle coltivazioni di biocarburanti, soprattutto canna da zucchero. Non dobbiamo dimenticare che il Brasile è oggi uno dei maggiori produttori di biocarburanti al mondo.

    D. – Di quante persone stiamo parlando? Che realtà è il popolo Guaranì?

    R. – Complessivamente, sono un milione e mezzo tra Paraguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Ma quelli di cui stiamo parlando noi oggi, che sono anche quelli con la situazione più grave, i Gauaranì-Kaiowá del Mato Groso do Sul sono circa 30 mila persone. Sono tutti determinati a mantenere le loro terre e come anche Ambrosio aveva detto: “Noi non smetteremo mai di lottare, a costo della nostra vita!”.

    D. – Però, esattamente, dove vivono oggi? In che condizioni?

    R. – In condizioni disperate, ai margini dei loro territorio o in riserve sovraffollate o, molto più spesso, accampati nel senso letterate del termine ai margini delle superstrade che fiancheggiano le piantagioni. Senza acqua potabile e soprattutto in condizioni di totale mancanza di acqua pulita, di cibo sufficiente e di condizioni sanitarie adeguate. In modo particolare a contaminare le loro risorse sono tutti i pesticidi e i prodotti chimici utilizzati dalle piantagioni, che vengono addirittura in molti casi irrorati da aerei che sorvolano i loro territori.
    D. – Come organizzazione siete prima linea: cosa state facendo e cosa farete?

    R. – Stiamo esercitando una pressione fortissima sul governo brasiliano, affinché anzitutto rispetti i suoi impegni legali – sia quelli imposti dalla Costituzione brasiliana stessa, sia anche dalla legge internazionale – e demarchi quindi tutti i territori indigeni, che sono già stati riconosciuti come tali, ma che da decenni aspettano di essere restituiti ai loro legittimi proprietari. Stiamo anche chiedendo che non vengano modificate le leggi che tutelano i diritti umani e territoriali degli indigeni, così come il governo sta adesso pianificando di fare. Stiamo anche sostenendo ogni singola tribù del Brasile che ci chiede aiuto, mobilitando l’opinione pubblica, fornendo assistenza legale sul posto e portando il nostro aiuto ovunque sia possibile per superare le situazioni di emergenza. Tra l’altro, chiunque può aiutarci a fare questo: esercitare pressioni, per esempio, sulle compagnie che ancora oggi si approvvigionano di canna da zucchero nelle terre dei Guaranì, macchiando di sangue i loro prodotti. Chiunque può aiutarci collegandosi al nostro sito e partecipare alla nostra mobilitazione.

    D. – Sul vostro sito è presente anche la possibilità di firmare una lettera da inviare al governo brasiliano. Perché è utile?

    R. – Le grandi battaglie che Survival ha vinto, nel corso dei suoi quasi ormai 45 anni di vita nel mondo, sono state vinte grazie alla pressione dell’opinione pubblica, che oggi è l’unica in grado di contrastare i grandi interessi politici ed economici che minano i diritti dei popoli indigeni e il loro futuro. In particolare, in questo momento il governo brasiliano è più vulnerabile che mai perché è sotto i riflettori internazionali, visto che ospiterà la Coppa del Mondo, ci saranno i Giochi olimpici… Per cui, il Brasile non può permettersi – noi crediamo – di danneggiare la sua immagine a livello internazionale, rendendosi complice e responsabile di questi terribili crimini che anche l’Onu ha definito come “i più silenziosi olocausti della storia dell’umanità”.


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    Convegno su profughi a Lampedusa. La Caritas: tutto è come prima

    ◊   L'isola di Lampedusa ''è stata lasciata sola da tutta Europa''. Lo torna a dire il presidente del Consiglio, Enrico Letta, a due mesi dal tragico naufragio del 3 ottobre in cui morirono 366 migranti. Mentre una proposta di legge è pronta per far diventare il 3 ottobre “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, il ministro Cécile Kyenge ha presieduto oggi il convegno "Emergenza profughi a Lampedusa. Cosa è cambiato?". Cecilia Sabelli ha posto lo stesso interrogativo a Oliviero Forti di Caritas italiana:

    R. – Dire che sia cambiato qualcosa, sarebbe dire una bugia. Non organizzarsi tempestivamente per affrontare una questione, che non è più straordinaria ma ordinaria – ogni anno abbiamo questi numeri, ogni anno abbiamo gli arrivi – è un problema però tipicamente italiano. In questo caso, poco c’entra l’Europa. Sembra sempre di riscoprire di volta in volta un tema che invece ormai fa parte del nostro essere Italia in mezzo al Mediterraneo, e a Lampedusa ancor di più.

    D. – Abbiamo ancora impresse le immagini di questi centri di prima accoglienza, gremiti, dove pioveva sulle teste di quanti erano scampati. Qual è la situazione attuale?

    R. – Le persone sono state poi correttamente trasferite, perché questo prevede la procedura. Il problema è la tempistica. Vengono mantenute per giorni e giorni, se non settimane, in quelle condizioni, in quel centro, che doveva, perché aveva i finanziamenti già stanziati, essere ristrutturato per accogliere fino a 800 persone. Invece, la tragedia, quella del 3 ottobre, si è consumata sulle coste di un’isola che ancora aveva un centro all’epoca in grado di ospitare non più di 250 persone. E’ difficile fare un richiamo all’Europa quando non siamo stati in grado, nel momento del primo approdo, che è quello spesso, anche per il migrante, emotivamente più forte di garantire quello che invece un Paese come l’Italia dovrebbe poter garantire a queste persone.

    D. – E che differenza c’è tra l’Italia e gli altri Paesi europei?

    R. – Sono Paesi che si sono attrezzati in tempo e adeguatamente, con sistemi di accoglienza in grado di assorbire flussi anche eccezionali, come sta avvenendo per la Svezia con riferimento ai siriani. Noi a questi siriani cosa stiamo offrendo in questa fase storica per mettersi in salvo? Nulla se non gli aiuti umanitari previsti direttamente nei Paesi confinanti con il Libano. Discorso a parte hanno fatto altri Paesi, come la Germania, che hanno aperto dei canali umanitari e hanno previsto – e questo lavoro è stato fatto con la Caritas tedesca – l’ingresso di migliaia di cittadini siriani a determinate condizioni, andando però sostanzialmente a prenderli direttamente nei campi profughi. Di fronte a realtà come questa, allora un ragionamento con l'Europa diventa legittimo e anche utile.

    D. – Nella sua visita a Lampedusa, poco prima della tragedia, Papa Francesco denunciò una globalizzazione dell’indifferenza, a cui a quanto pare non abbiamo smesso di partecipare...

    R. – Assolutamente. Nessuno, ripeto, oggi ha proposto un ingresso protetto delle persone, almeno dei più vulnerabili. Parliamo, infatti, di milioni di persone, tra le quali ci sono tante persone malate, tante persone anziane, bambini, insomma persone che meriterebbero chiaramente un tipo cura che ad oggi, purtroppo, non viene garantita.

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    Il presidente Napolitano: sulle carceri il parlamento sia più responsabile, sì a indulto

    ◊   Sull’indulto il parlamento sia responsabile: il presidente Napolitano oggi, nel corso di un convegno sulle carceri, a Roma, ha di nuovo richiamato le Camere a decidere su un provvedimento di clemenza, affinché si metta rimedio alla situazione di sovraffollamento delle carceri e si ottemperi alle raccomandazioni della Corte dei diritti di Strasburgo, che nel gennaio scorso aveva condannato l’Italia per le condizioni inumane e degradanti degli istituti di pena. Francesca Sabatinelli:

    Il parlamento è assolutamente libero, ma deve avere il senso di responsabilità necessario per dire che vuole fare un indulto. Giorgio Napolitano di nuovo lancia un richiamo per arrivare a una soluzione al terribile sovraffollamento delle carceri italiane, e quindi si appella ancora una volta, come già due mesi fa, a Montecitorio e Palazzo Madama. Stesse parole dal presidente del Senato, Pietro Grasso, che presente allo stesso convegno, precisa che presto sarà in aula al Senato il ddl sulle pene alternative. Ascoltiamo il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella:

    R. - È incredibile che il parlamento ancora non ne discuta perché c’è un messaggio alle Camere rivolto dal presidente della Repubblica che impone che se ne discuta! Poi ciascuna delle Camere ha la responsabilità di dire “No”, oppure si assume la responsabilità - in questo caso condivisa - di dire “Sì” per rimettere mano ad un sistema che oggi è fuori dalla legalità. Tra l’altro, ciò che ha detto Napolitano oggi si accompagna alle parole del ministro della Giustizia Cancellieri, la quale ha pronunciato una serie di misure che comunque andranno a finire in un prossimo decreto legge. Si tratta di misure dirette sia a ridurre la portata afflittiva del carcere, sia misure dirette a tutelare i diritti. Ha inoltre preannunciato l’istituzione del garante dei diritti dei detenuti, figura che noi, dal lontano ’97, auspichiamo l’Italia inserisca nell’ordinamento. Il parlamento con un sussulto d’orgoglio deve aprire una sessione di discussione su questo tema. Oggi non c’è una persona di buonsenso, a conoscenza del sistema, che sia contraria che si prendano provvedimenti urgenti: quali provvedimenti? Deve essere il parlamento ad assumersi la responsabilità di deciderlo.

    D. - Il presidente della Repubblica Napolitano questa volta ha parlato solo di indulto e non di amnistia …

    R. – Probabilmente perché ci sono state tante polemiche nei giorni in cui aveva parlato di indulto e di amnistia, qualcuno temeva che potesse essere usato - in qualche modo – per anestetizzare la vicenda berlusconiana, per cui ha parlato, al momento, solo di indulto. E in questo modo, nessuno può dire che serva a Berlusconi, perché l’indulto cancella la pena e non cancella la pena accessoria.

    D. - Ricordiamo ciò che è accaduto l’8 gennaio scorso e le fortissime raccomandazioni della Corte di Strasburgo, entro maggio l’Italia dovrà dare delle risposte...

    R. - L’Italia ha l’obbligo di porre rimedio ad una situazione che è oltre la legalità interna ed internazionale, perché abbiamo circa 25 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari, non riusciamo ad assicurare lo spazio minimo vitale, e le condizioni di vita interna sono dure. Si è cercato, in questa fase storica, di mettere mano proponendo - ci sono delle commissioni a lavoro - una diversa qualità della vita interna, e quindi: aumentare le ore di socialità, assicurare opportunità di lavoro, di studio che siano reali e non fittizie. Contemporaneamente bisogna deflazionare il sistema, ovvero fare in modo che ci siano tanti detenuti quanti posti letto. Il 28 maggio del 2014, l’Italia dovrà rendicontare agli organismi di giustizia internazionale. Quando l’Europa ci dà i diktat in economia si abbassa la testa, quando l’Europa ci dà i diktat sui diritti umani bisogna ugualmente abbassare la testa, rispettare l’Europa, e poi ripartire con un sistema più democratico e più avanzato.

    D. - Accanto a leggi estremamente positive ma non applicate, come la Legge Smuraglia, quella sulle norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti, citata da Grasso, ci sono leggi che, sempre il presidente del Senato, ha definito “carcerogene”. Di cosa si parla?

    R. - Stiamo parlando - e ne sono abbastanza sicuro - di tre leggi: quelle sull’immigrazione, sulle droghe e sulla recidiva, che nel sistema nel tempo hanno prodotto tanta carcerazione senza aver nulla a che fare con la sicurezza. Il 40% dei detenuti italiani si trova in carcere per aver violato una delle norme presenti nella legge sulle droghe. Poi, abbiamo tutto il sistema dell’immigrazione pensato solo per vessare, per penalizzare, per render dura la vita delle persone immigrate. Abbiamo un reato di immigrazione irregolare che se anche non produce carcerazione è comunque simbolicamente il segno dell’assenza dell’accoglienza. Infine, abbiamo una legge, quella sulla recidiva (ex Cirielli n.d.r.), che con i suoi tempi di prescrizione breve per i reati dei colletti bianchi e invece gli aggravi di pena per i recidivi che commettono dei piccoli reati, è il segno di una giustizia inclemente con i poveri e clemente con i ricchi. Di questo, in passato, ne hanno parlato le grandi istituzioni della Chiesa, di questo, oggi, ha accennato fra le righe il presidente Grasso, e questo è quello che diciamo tutti noi operatori penitenziari.

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    Terra dei fuochi. Don Patriciello: decreto primo passo, risanare economia sommersa

    ◊   Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge sulla cosiddetta "Terra dei fuochi", la zona compresa tra Napoli e Caserta, per contrastare l’emergenza legata ai roghi tossici e allo smaltimento illegale di rifiuti industriali, gestito per decenni dalla camorra. Per la prima volta – sottolinea il premier Enrico Letta - il governo affronta il problema. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’introduzione del reato di combustione dei rifiuti, l’inasprimento delle sanzioni, tra cui anche il carcere, la mappatura delle aree interessate dall’emergenza e l’accelerazione delle attività di bonifica. Sono alcune delle misure contenute nel decreto che prevede anche entro 150 giorni, non escludendo la possibilità di utilizzare i militari, il controllo di tutti i terreni. Le aree agricole non saranno più coltivabili per fini alimentari se non saranno consentite le verifiche. Inoltre, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Sul decreto, il commento di don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, in prima linea nella lotta contro i roghi tossici e gli sversamenti illegali di rifiuti:

    R. – Logicamente, siamo ai primi passi di un discorso più lungo. C’è tutto il discorso che riguarda la sanità, la salute delle persone. Però, si comincia bene. Siamo molto contenti per la mappatura dei terreni, che per noi è fondamentale per ridare respiro all’agricoltura. Questa storia si è abbattuta con mano pesante sull’economia agricola. Abbiamo veramente gli agricoltori con l’acqua alla gola. Se ci sono territori avvelenati, la gente ha il diritto di saperlo e questi territori devono diventare "no food", devono essere coltivati non per fini alimentari. E poi siamo molto contenti per quanto riguarda l’inasprimento delle pene: era veramente ridicolo che chi veniva colto in fragrante a bruciare o a sversare nei terreni agricoli fosse solamente multato. Per quanto riguarda l’inasprimento delle pene, noi andiamo a toccare l’ultima ruota di questo carro. E’ importantissimo, ma dobbiamo arrivare alla prima ruota di questo carro: la produzione in "nero". Se ci sono fabbriche che lavorano in nero – producono borse, scarpe e tessuti in nero – poi hanno l’esigenza di smaltire, in nero, gli scarti della loro produzione.

    D. – Dunque, un’economia sana è proprio un elemento cruciale per fare in modo che in prospettiva, speriamo il prima possibile, si possano vedere gli effetti anche in termini di salute del territorio…

    R. – D’altronde, questo converrebbe da tutti i punti di vista, anche da un punto di vista meramente economico. Quanto costa un malato di tumore alla nostra sanità pubblica? Se noi abbiamo un aumento di tumori in Campania dovuto anche a questo problema, al di là del dramma umanitario che per me rimane la cosa principale, quanto ci viene a costare? Ma conviene questo scempio? Una filiera legale di industrie certamente a lungo andare, anche dal punto di vista economico, converrebbe di più.

    Il provvedimento – scrive il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando – afferma un principio fondamentale: la tutela dell’ambiente è “tutt’uno con lotta alla criminalità organizzata”. Per la prima volta, aggiunge il premier Enrico Letta, il governo “affronta il problema della terra dei fuochi”. Si tratta di “una risposta senza precedenti” - sottolinea infine Letta - per recuperare il tempo perduto.

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    “Dio asciugherà ogni lacrima": in un libro una particolare testimonianza di fede nella malattia

    ◊   “Dio asciugherà ogni lacrima” (Edizioni Velar) è il titolo dell’ultimo libro di mons. Luigi Ginami, nelle librerie da oggi. Sarà presentato il 9 dicembre, a Roma alle 18.30 a Palazzo Altieri, in un incontro con padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, che ha scritto la prefazione al volume; il cardinale Angelo Comastri e, tra gli altri, il dottor Carlo Nicora. Il servizio di Fausta Speranza:

    Il volume riassume la vicenda della madre di mons. Ginami, Santina Zucchinelli, morta il 4 dicembre 2012, dopo aver dato particolarissima testimonianza di fede. Vicenda che ha dato vita all’Associazione Onlus a lei intitolata che, in occasione dell’uscita del libro, annuncia il primo progetto realizzato: il finanziamento dei locali per una cucina nel rione Novos Alagados, nella periferia di Salvador de Bahia, in Brasile. E’ per un gruppo di ragazze e giovani madri che da gennaio potranno offrire anche servizi di catering. L’idea del progetto è di padre Pietro Parcelli, missionario della Consolata da anni in quel territorio. Tutto è raccontato nel volume. Stiamo parlando di un’anziana scomparsa dopo 8 anni di calvario e di semi immobilità in seguito alle complicazioni post-operatorie di interventi al cuore. Padre Lombardi scrive che tantissimi anziani vivono situazioni analoghe, ma che “la vicenda di questa donna aiuta a leggerne il senso più in profondità”. La donna che l’ha accudita nella malattia, Olinda, semplicemente ci dice:

    “Il ricordo che ho della signora Santina è di una persona buona, sorridente, sempre. Aveva il sorriso sulle labbra, non si lamentava mai. Ha accettato questa malattia con il sorriso. Era completamente disabile. Ricordo la preghiera: lei pregava tanto tutte le mattine e noi andavamo a Messa”.

    Il sorriso torna nelle testimonianze di tutti coloro che hanno conosciuto questa madre e nonna di Bergamo che tanto di bene ha seminato e le cui spoglie riposano a Gerusalemme: e “Sorriso di luce in paradiso” è il titolo scelto per il Dvd che ripropone la sceneggiatura audiovisiva del capitolo centrale del libro: quello in cui si immagina l’arrivo di Santina in Paradiso. Il messaggio di mons. Ginami in definitiva è proprio questo: il Paradiso ci aspetta. Non è una notizia ma è un messaggio in grado di cambiare la vita di ognuno.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Torino. Mons. Nosiglia: nel 2015 una nuova straordinaria ostensione della Sindone

    ◊   Una nuova straordinaria ostensione della Sindone nel 2015. L’annuncio è stato dato questa mattina da monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e custode pontificio del sacro Lino. “Nei giorni scorsi - ha riferito in conferenza stampa l’arcivescovo - ho ricevuto dalla Segreteria di Stato della Santa Sede la comunicazione dell’assenso, da parte del Santo Padre, a tale ostensione pubblica nell’ambito delle celebrazioni per il secondo centenario della nascita di san Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani, il cui fecondo carisma è oggi più attuale e vitale che mai, anche nelle opere da lui avviate e nel servizio che i suoi figli e le sue figlie delle Congregazioni salesiane svolgono a favore della Chiesa universale”. L’ostensione - riporta l'agenzia Sir - si svolgerà nella primavera del 2015 tra il tempo pasquale e la chiusura delle iniziative per il bicentenario di don Bosco, prevista il 16 agosto, per circa 45 giorni. “Confidiamo - ha aggiunto l’arcivescovo - che venga Papa Francesco”. La precedente Ostensione si è tenuta nel 2010, nel giorno di sabato santo di quest’anno in Duomo si è svolta una mini-ostensione televisiva. (R.P.)

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    Filippine: tra le emergenze del post Haiyan anche la difesa di donne e bambini

    ◊   Un nuovo allarme sulla sorte di donne e di minori a rischio di abuso e sfruttamento è stato lanciato ieri negli Stati Uniti dal parlamentare repubblicano Chris Smith. Smith, che ha guidato una delegazione di tre membri del Congresso nelle aree devastate l’8 novembre dal tifone Haiyan, ha aggiornato sulla situazione il sottocomitato per gli Affari esteri della Camera dei rappresentanti e sottolineato come siano ancora in molti, in particolare i più deboli, a rischiare abusi in una situazione non solo difficile sul territorio, ma complicata - riferisce l'agenzia Misna - dalla separazione di molti nuclei familiari tra aree del Paese anche molto distanti tra loro. Vi sarebbe, secondo Smith, il rischio concreto che, in particolare i minori, cadano vittime di trafficanti. “I più vulnerabili sono coloro che possono avere perso la speranza con il tempo”, ha sottolineato il politico statunitense. Occorre per questo che si accentui l’attenzione verso coloro che possono approfittare della situazione di caos e garantire tutto il sostegno possibile alle potenziali vittime. Un allarme che echeggia quello già lanciato dall’Unesco e anche dal dipartimento per gli Affari sociali e lo Sviluppo del governo filippino. Quelli che i mass media filippini definiscono “gli orfani di Yolanda” (Haiyan, secondo la classificazione internazionale) sarebbero secondo le fonti governative, nel mirino “di sciacalli che potrebbero sequestrarli a scopo di pedofilia o traffico di esseri umani”. Una prospettiva purtroppo non nuova in caso di calamità naturali e che si ripresenta anche nella devastazione delle aree centrali dell’arcipelago filippino dove sono poco meno di 8 milioni le donne e i bambini coinvolti dal disastro su quasi 14 milioni complessivi. Le autorità sono coscienti del rischio e hanno segnalato agli operatori umanitari “l’alto rischio del traffico di bambini” nelle zone devastate dove l’opera di soccorso è in pieno svolgimento ma dove appare sempre più grave l’estensione dei danni e delle conseguenze anche sociali. (R.P.)

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    Guadalupa. Il card. Filoni: "riaccendete l'entusiasmo per l'evangelizzazione”

    ◊   “E’ giunto il momento, è suonata l’ora per questa Chiesa locale di riaccendere l'entusiasmo per l'evangelizzazione. Approfondire la fede di coloro che sono già battezzati e condividerla con chi si è allontanato dalla Chiesa, ecco l'urgenza pastorale che spetta alla vostra Comunità ecclesiale diocesana”. E’ la consegna che il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il card. Fernado Filoni, ha lasciato alla comunità cattolica dell’isola di Guadalupa, ultima tappa della sua visita pastorale nelle Antille, dove ha celebrato la Messa solenne ieri pomeriggio, nella festa di San Francesco Saverio, Patrono delle Missioni. Nella cattedrale della diocesi di Basse-Terre e Pointe-à-Pitre, dove erano riuniti vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, il cardinale ha evidenziato che San Francesco Saverio “è, senza dubbio, con l'eccezione di Paolo, il più grande missionario della storia della Chiesa”. Dal 1541 - riferisce l'agenzia Fides - quando lasciò Lisbona per non rivederla mai più, “ha trascorso ogni istante della sua vita al servizio dell’annuncio del Vangelo”. Il prefetto del Dicastero Missionario ha proseguito: “Nella sua ascensione al Padre, il Signore ha lasciato ai suoi discepoli il grande mandato di evangelizzare il mondo intero… E San Francesco Saverio ci aiuta a vedere più chiaramente quello che un uomo con un cuore missionario può compiere. In soli undici anni infatti, è riuscito ad evangelizzare Goa, la parte meridionale dell’India, l’Indonesia e il Giappone”. Nella sua omelia il cardinale ha ricordato che “l'evangelizzazione dell'isola di Guadalupa è iniziata nel 1635. Oggi l’84% della popolazione è cattolica, con una Chiesa locale ben stabilita e le tradizioni cristiane che hanno impregnato la vita. Tuttavia il compito missionario è lungi dall'essere completato. Infatti, una Chiesa locale ben consolidata è sempre in pericolo di perdere il suo zelo missionario iniziale, vale a dire il suo slancio a partire per la propagazione della fede”. Quindi il prefetto del Dicastero Missionario ha richiamato l’esortazione di Papa Francesco nella recente Giornata Missionaria Mondiale a diffondere ovunque nel mondo la luce della fede e ad essere testimoni di Gesù Cristo, ed ha esortato la comunità locale: “E’ tempo di incoraggiare nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata e di invitare i laici a partecipare attivamente nei vari campi della vita pastorale della diocesi, come la catechesi e le opere di carità. E’ anche il momento di incoraggiare nuove vocazioni missionarie tra sacerdoti, religiosi, religiose e anche laici, per aiutare la Chiesa universale ad evangelizzare le regioni del mondo che hanno un grande bisogno del Vangelo”. (R.P.)

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    50° Inter Mirifica. Mons. Dal Covolo: carta d'identità della comunicazione

    ◊   “Un percorso che nell’arco dei decenni ha fornito una 'carta d’identità’ ai mezzi di comunicazione sociale nella vita della Chiesa”. Così il rettore dell’Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, ha aperto stamani, nell’aula Paolo VI dell’ateneo pontificio, il convegno “Inter Mirifica. Cinquant’anni tra le meraviglie”. La promulgazione di questo documento, ha proseguito il rettore, “ha significato una svolta epocale per l’assemblea conciliare, in quanto per la prima volta un Concilio ecumenico ha affermato che questi 'strumenti’ sono fondamentali per la missione della Chiesa”. Con “Inter Mirifica”, la cui stesura fu travagliata, il Concilio ha riconosciuto la “dimensione kerigmatica dei media come strumenti di evangelizzazione”, sebbene sullo stesso tema fossero già stati pubblicati alcuni documenti pontifici. “Inter Mirifica” ha avuto il merito, secondo mons. Dal Covolo, di “impostare un progetto a lungo termine, che cominciò a realizzarsi fin da subito e che in questi decenni sta sempre più sviluppandosi”. Ancora, non va trascurata la dimensione “profetica di Inter Mirifica, che ha preso atto dell’importanza che i media stavano assumendo nella società tecnologizzata”, preparandoci “a leggere i segni dei tempi nell’ambito comunicativo, e a camminare al ritmo di un pellegrino, sui sentieri non ancora battuti delle comunicazioni sociali”. La concezione strumentale dei mezzi di comunicazione, ha evidenziato mons. Dal Covolo, dalla “magna charta” che è Inter Mirifica, “ha accompagnato il magistero pontificio praticamente fino al pontificato di papa Giovanni Paolo II” per maturare in una visione culturale “di più ampio respiro” e arrivare a una definizione dei media come “ambiente comunicativo”, in cui oggi la Chiesa chiama ciascuno di noi “ad abitare, portando il lieto annuncio del Vangelo”. Le commissioni dedite allo sviluppo delle comunicazioni sociali sparse per tutto il mondo, le associazioni e le varie reti di comunicazioni - locali, nazionali o internazionali - sono, per il rettore della Lateranense, “senza dubbio l’esito di questo decreto conciliare”. Il vescovo ha poi fatto riferimento alle Giornate mondiali delle comunicazioni sociali, stabilite proprio da Inter Mirifica, attraverso le quali si aprono riflessioni che “illuminano la missione evangelizzatrice e permettono di scoprire la qualità dell’itinerario comunicativo che si sta compiendo”. Non meno importante, ha concluso mons. Dal Covolo, “è l’ambito della formazione alla comunicazione nei diversi settori della Chiesa, che continua a rappresentare una grande sfida per le nuove e le vecchie generazioni”. (R.P.)

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    Vescovi indonesiani: lotta alla droga e programmi di recupero per le vittime

    ◊   I vescovi indonesiani lanciano una guerra a tutto campo contro la droga e chiedono programmi mirati per il recupero delle vittime. Al contempo, i prelati sottolineano che il carcere non è la soluzione giusta per i tossicodipendenti, i quali vanno invece aiutati ad abbandonare ogni tipo di sostanza stupefacente e a reinserirsi in modo attivo in società. L'iniziativa è emersa con forza nel corso dell'incontro annuale della Conferenza episcopale (Kwi), che si è tenuto a metà novembre a Jakarta; a distanza di due settimane, i vescovi hanno diffuso una "esortazione" pastorale che richiama "tutti i cattolici indonesiani" a "mostrare il forte attaccamento alla vita, mediante una lotta senza confini alla droga". Una questione urgente e delicata, visto che fonti Kwi dietro anonimato rivelano che vi è un nutrito numero di cattolici e cristiani tanto fra i tossicodipendenti, quanto fra i produttori di sostanze stupefacenti. Per i vescovi indonesiani il traffico di qualsiasi tipo di droga è "un crimine sociale gravissimo", che "non deve passare sotto silenzio". A confermare l'attualità del problema, i dati forniti dal generale Anang Iskandar dell'Agenzia nazionale anti-droga: nel 2013 il numero di tossicodipendenti ha superato i 4,9 milioni, la maggior parte dei quali dedita al consumo di cannabis. La droga è presente ad ogni livello, compresi studenti, professionisti e persino politici. Tuttavia, la maggioranza appartiene a uno strato sociale "più alto" e che può permettersi il costo dei "beni illegali". Oltretutto, l'abuso di sostanze stupefacenti ha "dato vita" a una "catena di violenze e devastazioni" che interessa tutta la popolazione. I prelati bollano come "criminali" tanto i produttori, quanto i trafficanti di sostanze illecite e, di contro, invitano a "trattare con cura" quelle che sono le vittime, ovvero i tossicodipendenti. "La prigione - avvertono - non è certo la soluzione migliore. Dobbiamo fare qualcosa assieme alle altre parti in causa, per affrontare questa piaga sociale". E cercare di restituire "buona salute fisica e psicologica", perché possano ripartire con una seconda vita. La Conferenza episcopale auspica la formazione di un movimento nazionale, che parta proprio dall'impegno del singolo individuo, delle famiglie, delle scuole e di gruppi che siano presenti in seno alle comunità. E una maggiore presenza a livello di "parrocchie e diocesi". In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto per in occasione della devastante alluvione del gennaio scorso. (R.P.)

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    Bangladesh. La Chiesa dice basta morti e violenze, i leader politici devono dialogare

    ◊   "Non possiamo tollerare l'assassinio di persone innocenti. Il popolo vuole la pace. I politici devono essere patriottici e responsabili: siedano insieme e inizino a dialogare". È l'invito fatto attraverso l'agenzia AsiaNews da mons. Gervas Rozario, vescovo della diocesi di Rajshahi, ai leader politici del Bangladesh, per porre fine alla crisi e alle violenze in corso da mesi. Nelle ultime settimane 40 persone sono state uccise nei disordini scatenati dai continui hartal (scioperi). Dall'inizio dell'anno, le vittime sono 347 e il 95% di queste sono civili, che nulla avevano a che fare con la politica. L'opposizione, capeggiata dal Bangladesh Nationalist Party (Bnp, partito nazionalista), continua a chiedere al primo ministro Sheikh Hasina (Awami League, partito laico e socialista) di sciogliere il suo esecutivo per permettere la creazione di un caretaker government, governo provvisorio e apartitico che organizzi le elezioni generali del 5 gennaio 2014. La premier ha rifiutato questa possibilità, e in tutta risposta il Bnp ha invitato sostenitori e alleati a scendere in strada e a continuare le proteste. Secondo mons. Rozario, bisogna sbloccare questa situazione di stallo il prima possibile: "La popolazione non ha niente a che fare con la battaglia per il potere che hanno ingaggiato governo e opposizione. Vuole la pace a tutti i costi e il dialogo tra le parti è lo strumento migliore per ottenerla". (R.P.)

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    Myanmar: ci sono ancora bambini-soldato nelle truppe birmane

    ◊   Nonostante l’impegno del governo a eliminare dal Paese la piaga dei bambini-soldato entro il 1° dicembre e leggi che garantiscono ai minori arruolati la possibilità di disimpegnarsi a seguito di procedimenti a loro favore da parte di attivisti sociali e organizzazioni internazionali, un numero imprecisato di minori continua a far parte delle truppe regolari birmane. Soprattutto nelle aree di conflitto dove i giovani e adolescenti sono sovente arruolati con la forza. Incerto il numero di quanti restano arruolati. Approssimativamente - riferisce l'agenzia Misna - sono stati 500 quelli congedati negli ultimi anni. Alcuni anche di 11 anni, ma in maggioranza tra i 14 e i 16 anni d’età. Tuttavia, come avverte Steve Marshall, direttore dell’Organizzazione internazionale del lavoro, che negli anni ha contribuito a risolvere le pratiche necessarie al congedo di molti minorenni, “si tratta di una piccola parte” dei bambini-soldato birmani. “Tempo fa il governo ha smesso di negare la situazione, un fatto in sé positivo, e ora ha regole certe sul fenomeno – prosegue Marshall -. E’ però fondamentale riuscire a farle applicare”. L’accordo, che dovrebbe portare tra meno di un mese alla fine di questa piaga, contrasta con le notizie di arruolamenti avvenuti ancora pochi mesi fa. Una situazione che non dipende solo dal sequestro di reclute da utilizzare in sostanza al servizio delle truppe oppure in azioni di particolare pericolo. Le Forze armate birmane contano 400.000 effettivi e negli anni sono state usate non solo contro le etnie ribelli ma anche in funzione repressiva verso l’opposizione democratica. A indottrinamento e privilegi corrispondono però, soprattutto ai livelli più bassi, una scarsa efficienza e professionalità. Paese tra i più poveri e tra quelli con il più alto tasso di disoccupazione in Asia, il Myanmar vede, soprattutto nelle aree più sottosviluppate, la ricerca di reclute da parte di mediatori, dato che i pur bassi stipendi dell’esercito (equivalenti a 40 euro mensili per la truppa) sono in molti casi una manna per le famiglie in stato di bisogno. (R.P.)

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    Russia: in un anno, sette chiese bruciate in Tatarstan

    ◊   Chiese date alle fiamme, sventati attentati, pressione sui fedeli cristiani perché si convertano all'islam. In Tatarstan - repubblica autonoma della Federazione russa, a maggioranza musulmana - aumenta l'allarme estremismo. Tanto che il presidente Rustam Minnikhanov ha espresso preoccupazione e ha promesso di seguire personalmente le inchieste aperte a riguardo. Per quanto riguarda gli incendi, registrati in diverse zone della regione, le accuse formalizzate sono di vandalismo, incendio doloso, violazione della libertà di coscienza e religione. Gli inquirenti insistono, però, affinché vengano considerati come "atti di terrorismo". Nell'ultimo anno - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono state sette le parrocchie cristiane date alle fiamme. Gli ultimi due episodi sono accaduti lo scorso 28 e 29 novembre, come riporta l'agenzia Regnum.ru. Nel 2012 non si era verificato nemmeno un caso simile. La procura generale ha puntato il dito contro "estremisti non identificati" e i colpevoli rischiano ora fino a 20 anni di detenzione. Secondo quanto riportato dal quotidiano Komsomolskaya Pravda, per gli incendi alle chiese gli inquirenti stanno seguendo la pista dei gruppi wahabiti. Che i responsabili degli attacchi siano musulmani aderenti a questo islam radicale lo sostiene anche parte del clero locale. Intervistato da Interfax, padre Dmitri Sizov, parroco nella zona di Pestrechinsky, ha raccontato che "tutta la comunità sa che è opera degli wahabiti". A suo dire, in alcuni villaggi a maggioranza cristiana del Tatarstan si aggirano "agitatori fondamentalisti, che offrono ai fedeli di convertirsi all'islam". "I sacerdoti rimangono in silenzio, perché hanno paura di essere accusati d'istigazione all'odio religioso", ha aggiunto padre Sizov. Il presidente Minnikhanov ha offerto una ricompensa di un milione di rubli per chi fornirà informazioni utili a individuare i responsabili degli incidenti, mentre è stata aperta un'inchiesta penale per complotto terroristico, dopo il ritrovamento di ordigni inesplosi nei distretti di Alexeyevsky e Nizhnekamsk, a fine novembre. Dal canto loro, i leader religiosi locali - musulmani e ortodossi - hanno lanciato un appello alle rispettive comunità perché non raccolgano quella che definiscono una "provocazione", volta a "distruggere le buone relazioni interreligiose sviluppate nel corso dei secoli nella regione del Volga". "Il vandalismo contro oggetti e luoghi di culto è un insulto diretto ai sentimenti dei fedeli e i responsabili di questi atti meritano un'ampia condanna pubblica", hanno scritto in una dichiarazione congiunta il metropolita del Tatarstan Anastasio e il mufti Kamil Samigullin. (R.P.)

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    Argentina: il vescovo di Oberá chiede il referendum sulla costruzione di due dighe idroelettriche

    ◊   La diocesi argentina di Oberá ha inviato una petizione ufficiale al governo locale e alla Camera dei Rappresentanti della Provincia di Misiones, chiedendo un referendum su due progetti idroelettrici che potrebbero danneggiare le popolazioni costiere del sud-est della provincia. Il vescovo della diocesi, mons. Damián Santiago Bitar, nella nota pervenuta all’agenzia Fides ricorda che la legge provinciale IV-N.56 impone una consultazione obbligatoria, vincolante e irrevocabile, al completamento di progetti idroelettrici e dighe. “Noi, come Chiesa, siamo la voce delle famiglie del nostro territorio diocesano, molto preoccupate perché vedono arrivare grosse macchine per i primi studi della zona e vedono come i loro campi siano allagati. Per questo chiediamo che si metta in moto il meccanismo diplomatico” ha detto il vescovo all’agenzia Aica. Il governo di Misiones e quello di Corrientes, insieme allo stato brasiliano di Rio Grande do Sul, hanno in progetto la costruzione di due dighe idroelettriche sul fiume Uruguay, nella giurisdizione di Corrientes, proprio nel paesino di Garabi e nella città di Panami (Misiones). (R.P.)

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    Giappone. La Chiesa contro la legge sul segreto di Stato: un attacco alla pace

    ◊   La legge speciale sul Segreto di Stato "attacca il concetto stesso di pace, che la nostra Costituzione garantisce e che è il fondamento della nostra società". Lo scrive la Commissione episcopale Giustizia e Pace della Chiesa giapponese in una lettera aperta indirizzata al primo ministro nipponico Shinzo Abe. Il testo è firmato dal presidente della Commissione, il vescovo ausiliare di Osaka mons. Michele Goro Matsuura, e da gruppi cattolici e singoli fedeli. Nella lettera, la Commissione scrive: "Ci opponiamo alla bozza di legge in discussione dal punto di vista di coloro che rispettano i principi-base della Costituzione giapponese e di chi vuole una società libera e pacifica, dove la dignità umana è protetta". Secondo la bozza, il governo può decidere in maniera arbitraria quale inchiesta vada coperta dal segreto di Stato: "In assenza di informazioni chiare, la materia diventa troppo ampia e copre non solo i funzionari di Stato ma persino i civili e i deputati della Dieta". La legge è in discussione al Parlamento e verrà votata il prossimo 6 dicembre dai deputati. Ma secondo la Chiesa è "troppo pericolosa. Se il ministro della Difesa decide di applicarla, allora varrà anche per le operazioni militari congiunte con gli Stati Uniti, che però rappresentano una violazione all'articolo 9 della Costituzione giapponese [che prevede l'abbandono di ogni attività bellica, fatte salve le operazioni di auto-difesa nda]". Secondo la Commissione, ci sono anche altri problemi: "Le informazioni sui disastri naturali o su quelli compiuti dall'uomo, come il disastro di Fukushima, potranno essere nascosti dagli occhi del pubblico. Inoltre il Parlamento, che dovrebbe essere l'organismo statale più importante, diventerà possibile oggetto di indagine da parte di organi amministrativi. Infine sarà inibita l'attività dei mass media, e quindi il diritto alle notizie difeso dalla Costituzione sarà molto limitato". Insomma, conclude la lettera, "se questa bozza diventa legge scuoterà dalle fondamenta tutto ciò in cui crediamo, re-interpretando la nostra Costituzione. Non possiamo dimenticare l'annuncio di pace che facemmo al mondo: 'Noi, il popolo giapponese, ci impegniamo affinché mai più avvengano gli orrori della guerra attraverso l'azione del nostro governo". (R.P.)

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    Togo. I vescovi: “Non perdiamo la speranza nonostante le inquietudine sociali”

    ◊   “Si può parlare di speranza mentre così tanti interrogativi investono gli spiriti e mentre i segnali socio-politici sembrano alquanto inquietanti?” chiedono i vescovi del Togo nella lettera pastorale pubblicata per l’Avvento, incentrata sulla speranza cristiana. Nel documento si sottolineano i segnali di speranza come le elezioni legislative del luglio 2013, svoltesi “in un clima pacifico e sereno” ma si ricordano pure “le sfide che dobbiamo ancora affrontare: a quando le elezioni locali? A quando le riforme istituzionali e locali? A quando la verità sugli incendi dei mercati di Kara e Lomé?”. Gli incendi di origine dolosa definiti “barbari” dai Vescovi “ non solo hanno portato un colpo fatale alla nostra economia ma hanno aggravato il clima di diffidenza tra i togolesi”. Per questo i vescovi “raccomandano vivamente che le autorità giudiziarie, in tutta indipendenza e imparzialità, perseguano con celerità le indagini al fine che siano identificate i responsabili e di conseguenza la cittadinanza sia informata”. “In questo modo - continua il messaggio - finiranno le denunce di detenzione arbitraria formulate dagli uni e le accuse di diffamazione presentate dagli altri”. Nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 2013 un incendio ha distrutto il mercato di Kara, mentre la notte successiva è andato a fuoco il grande mercato di Lomé, la capitale. Diversi appartenenti alla coalizione dell’opposizione Cst (Collectif Sauvons le Togo) sono stati arrestati e poi rimessi in libertà provvisoria con l’accusa di essere implicati nei due fatti dolosi. A loro volta i leader della Cst hanno accusato alcuni importanti membri del governo e dell’amministrazione pubblica di essere responsabili degli incendi. (R.P.)

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    Ciad: consacrata la cattedrale di Mongo, in un’area a maggioranza musulmana

    ◊   “I cristiani del vicariato apostolico di Mongo, a 500 km da N’djamena, la capitale del Ciad, hanno vissuto un evento ecclesiale particolare: la consacrazione della cattedrale di Sant’Ignazio”, scrive all’agenzia Fides padre Clément Marie Bonou, dei Francescani di Maria Immacolata. La cattedrale sorge ai piedi della montagna, in una regione al 94% musulmana. L’edificio, definito dal governatore della regione “un gioiello architettonico” è a forma ortogonale con quattro absidi e può accogliere almeno 600 fedeli. Gli affreschi che adornano i muri interni raffigurano i grandi eventi biblici dalla Genesi all’Apocalisse. Vi sono anche alcune immagini che ricordano la vita della Chiesa locale, in particolare “la testimonianza dei cristiani durante gli anni della guerra in Ciad, in questa zona conosciuta per essere stata un feudo dei ribelli”. Una testimonianza così intensa che il vicario apostolico del luogo, mons. Henri Coudrey, ha definito “gli atti degli apostoli di Mongo”. L’edificio è stato costruito con le pietre provenienti dalle montagne locali, ma Mons. Coudrey ha ricordato che la cattedrale è l’espressione della testimonianza di fede dei cristiani locali, che costituiscono una casa di “pietre vive”. Il vicario apostolico ha infine ringraziato i donatori che hanno permesso la realizzazione del luogo di culto: le Pontificie Opere Missionarie, Aiuto alla Chiesa che Soffre, e alcune diocesi straniere. Ma pure i fedeli locali hanno apportato il loro contributo attraverso un’apposita colletta, “come le due monetine della povera vedova del tempio di cui parla il Vangelo”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 338

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