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Sommario del 02/12/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa riceve Netanyahu: auspicata soluzione giusta e duratura per israeliani e palestinesi
  • Il Papa ai vescovi olandesi: su famiglia, matrimonio, fine vita, siate presenti nel dibattito pubblico
  • Visita ad Limina dei vescovi olandesi. Il card. Eijk: diminuisce la quantità dei fedeli ma non la qualità
  • Papa Francesco: Natale è lasciarsi incontrare da Gesù col cuore aperto perché ci rinnovi la vita
  • Cordoglio del Papa per la tragedia di Glasgow. Nove le vittime dello schianto sul pub
  • Tweet del Papa: se i tuoi peccati sono grandi, dì al Signore di trasformare il tuo cuore
  • Gesù cerca quanti hanno bisogno di essere guariti: così il Papa nella Parrocchia di San Cirillo Alessandrino
  • Altre udienze di Papa Francesco
  • Il card. Filoni nelle Antille: “Preparati, vigilanti e impegnati nella missione di Cristo”
  • "Evangelii Gaudium". Mons. Bregantini: i poveri, protagonisti del Vangelo
  • Concerto di solidarietà in Vaticano con Bocelli per l'Ospedale pediatrico Bambin Gesù
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il vescovo di Prato: condizioni disumane per i lavoratori cinesi, calpestata dignità
  • Coprifuoco violato in Thailandia. Manifestazioni e scontri antigovernativi
  • Approvata la bozza della nuova Costituzione in Egitto
  • Referendum Croazia: ‘no’ a nozze gay. Belletti: chi crede nella famiglia deve farsi sentire
  • Nasce il comitato "Sì alla famiglia". Obiettivo: la tutela del matrimonio tra uomo e donna
  • Giornata contro la schiavitù. Suor Bonetti: il Papa ci incoraggia a sconfiggere questa piaga
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Agenzia Sana: jihadisti rapiscono alcune suore nel villaggio cristiano di Maalula
  • India: card. Gracias fra i poveri di Dharavi per l'inizio dell'Avvento
  • Venezuela. Messaggio finale del Cam 4: “America Missionaria, condividi la tua fede!”
  • Centrafrica: soldati congolesi e francesi a Bangui. Ribelli in fuga
  • Congo. Kabila a Goma: "La lotta non è finita"
  • Africa: i rischi di "cure miracolose" per l'Aids
  • Lotta alle mine anti-persona. Un anno da record
  • Repubblica Dominicana: la Chiesa è pronta a mediare sulla questione degli immigrati haitiani
  • Indonesia. Nord Sumatra: centinaia di islamisti attaccano comunità protestante
  • Filippine: premio al movimento “Silsilah” per il dialogo cristiano islamico
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa riceve Netanyahu: auspicata soluzione giusta e duratura per israeliani e palestinesi

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani in Vaticano il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Durante il cordiale colloquio, durato circa 25 minuti, informa una nota della Sala Stampa vaticana, “è stata affrontata la complessa situazione politica e sociale del Medio Oriente, con particolare riferimento alla ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi, auspicando che si possa giungere quanto prima ad una soluzione giusta e duratura, nel rispetto dei diritti di ambedue le Parti”. Oltre ad “accennare al progetto di pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa – si legge ancora nel comunicato – sono state affrontate alcune questioni riguardanti i rapporti tra le autorità statali e le comunità cattoliche locali, nonché tra lo Stato d’Israele e la Santa Sede, con l’auspicio di una pronta conclusione dell’Accordo da tempo in preparazione”.

    Il premier israeliano ha regalato al Papa un libro in spagnolo sull'Inquisizione, scritto da suo padre, uno storico. E ha inoltre donato una hanukkiah, ovvero un candelabro ebraico in argento a nove bracci. Dal canto suo, il Pontefice ha regalato a Netanyahu una formella in bronzo raffigurante San Paolo. Dopo il colloquio con Papa Francesco, il premier israeliano ha incontrato il segretario di Stato vaticano, mons. Pietro Parolin, con il quale ha avuto un colloquio di circa un'ora.

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    Il Papa ai vescovi olandesi: su famiglia, matrimonio, fine vita, siate presenti nel dibattito pubblico

    ◊   La Chiesa e i fedeli in Olanda siano "presenti nel dibattito pubblico", in tutti gli ambiti "nei quali è in causa l’uomo": in una società fortemente secolarizzata, potranno così portare il loro contributo nelle "grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita". Così Papa Francesco nel discorso che ha consegnato ai vescovi olandesi, in visita ad Limina, in cui ha pure espresso la propria compassione e la propria preghiera per le vittime di abusi sessuali. Il servizio di Giada Aquilino:

    In una società fortemente segnata dalla secolarizzazione e in “circostanze spesso ardue”, non è facile conservare la speranza. Ma il compito della Chiesa è quello del “bene umano” e dello “sviluppo sociale”. Lo ha ricordato il Papa nel discorso ai vescovi dei Paesi Bassi. Per i cristiani, ha proseguito, l’educazione delle coscienze diventa allora “prioritaria”, “specialmente mediante la formazione del giudizio critico, pur avendo un approccio positivo sulle realtà sociali: si eviterà così la superficialità dei giudizi e la rassegnazione all’indifferenza”.

    L’invito del Pontefice è dunque quello ad “essere presenti nel dibattito pubblico”, in tutti gli ambiti “nei quali è in causa l’uomo, per rendere visibile la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura”. D’altra parte, ha aggiunto, “la Chiesa si espande non per proselitismo, ma per attrazione”. Essa è quindi “inviata dappertutto per svegliare, risvegliare, mantenere la speranza”. I fedeli d’Olanda vanno perciò incoraggiati “a cogliere le occasioni di dialogo, rendendosi presenti nei luoghi in cui si decide il futuro”: in tal modo potranno “portare il loro contributo nei dibattiti sulle grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita”.

    Affinché la Chiesa “con pazienza materna” prosegua gli sforzi “per rispondere alle inquietudini di tanti uomini e donne che sperimentano l’angoscia e lo scoraggiamento davanti al futuro”, è necessario - ha proseguito il Santo Padre - che “cattolici, sacerdoti, persone consacrate, laici acquisiscano una formazione solida e di qualità”, proponendo la fede in “maniera autentica, comprensibile e pastorale”. “L’antropologia cristiana e la dottrina sociale della Chiesa - ha aggiunto il Papa - fanno parte del patrimonio di esperienza e di umanità su cui si fonda la civiltà europea ed esse possono aiutare a riaffermare concretamente il primato dell’uomo sulla tecnica e sulle strutture”: e questo primato “presuppone l’apertura alla trascendenza”. Se questa dimensione viene a mancare, “una cultura si impoverisce, mentre essa dovrebbe mostrare la possibilità di collegare in costante armonia fede e ragione, verità e libertà”.

    In un Paese ricco “sotto tanti aspetti”, ha notato il Pontefice, la povertà tocca un numero crescente di persone: “valorizzate la generosità dei fedeli – ha esortato Papa Francesco - per portare la luce e la compassione di Cristo nei luoghi dove l’aspettano e in particolare alle persone più emarginate”. Un pensiero speciale è andato poi al futuro della Chiesa: “è urgente suscitare una pastorale vocazionale vigorosa e attraente”, come pure la “riscoperta della preghiera”. Un ruolo particolare spetta ai laici, che “vanno fortemente sostenuti”. Come pure alla scuola cattolica, che “continuerà a favorire la formazione umana e spirituale, col dialogo e la fraternità. Di qui pure la “necessità di avanzare sulla via dell’ecumenismo” e un invito all’accoglienza, andando incontro anche “a quelli che non si avvicinano”.

    Infine il Papa ha espresso la propria “compassione” e ha assicurato la propria preghiera per ciascuna delle “persone vittime di abusi sessuali” e per le loro famiglie. “Vi chiedo - ha concluso - di continuare a sostenerle nel loro doloroso cammino di guarigione, intrapreso con coraggio”, nella prospettiva “di difendere e far crescere l’unità in tutto e tra tutti”.

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    Visita ad Limina dei vescovi olandesi. Il card. Eijk: diminuisce la quantità dei fedeli ma non la qualità

    ◊   I presuli della Conferenza episcopale dei Paesi Bassi hanno dunque iniziato oggi la visita ad Limina. Al centro degli incontri in Vaticano le sfide di questa Chiesa in un Paese in cui gli atei sono il 50% della popolazione. Al microfono di Lisa Zengarini, il cardinale Willem Jacobus Eijk, presidente dei vescovi olandesi e stamani a colloquio con Papa Francesco, si sofferma sulla forte secolarizzazione nel Paese, sulla diminuzione dei fedeli, delle vocazioni e della pratica religiosa:

    R. - Ci sono due tipi di cifre. Abbiamo l’Istituto statistico ufficiale della Chiesa, il Kaski, i cui dati si basano sugli archivi delle parrocchie, e che dice che il 24-25% della popolazione olandese è cattolica. Poi ci sono le cifre dell’Ufficio Nazionale di Statistica che sono molto più basse: nel 2010 quasi il 16% della popolazione olandese si è dichiarato cattolico e si stima che nel 2020 scenderà più o meno al 10%. In quello stesso anno si prevede che l’Islam diventerà la seconda religione in Olanda, mentre i protestanti saranno appena il 4 o 5%. La Chiesa protestante nei Paesi Bassi ha cominciato a conoscere un processo di secolarizzazione già nella prima parte del secolo scorso, mentre per quella cattolica questo è avvenuto a partire dagli anni Sessanta. Però, già nell’immediato dopoguerra, si vedevano problemi anche tra i cattolici: si stava perdendo il rapporto con la dottrina e la fede non toccava più la vita quotidiana.

    D. - E voi come state affrontando questo problema? Avete parlato di una Chiesa “in ricostruzione”…

    R. - Purtroppo adesso dobbiamo dedicare molto tempo e attenzione alla ristrutturazione e alla riorganizzazione della Chiesa. Ad esempio, nella mia arcidiocesi abbiamo fuso le parrocchie, che da 326 sono diventate 49 molto grandi. In tutte queste parrocchie ho indicato una chiesa come un centro eucaristico. Oggi mancano i preti per celebrare la Messa in ogni chiesa, quindi abbiamo centralizzato la celebrazione dell’Eucaristia in una sola. Purtroppo abbiamo dovuto anche chiudere molte chiese. Prevediamo che prima del 2020 saranno chiuse un terzo di quelle attuali. Mancano i cattolici che praticano la fede e mancano mezzi finanziari. La Chiesa in Olanda dipende da contributi volontari dei fedeli che sono generosi, ma il loro numero è sempre più ridotto. Comunque spesso dico che, se la quantità dei fedeli diminuisce, la qualità dei fedeli sta migliorando: i fedeli che rimangono nella Chiesa hanno un rapporto personale con Cristo, pregano e si interessano alla fede, la prendono sul serio e questo è per noi un segno di speranza.

    D. - La prossima Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi a Roma sarà dedicata al tema delle sfide della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione: come hanno accolto i vescovi questa notizia e il documento preparatorio presentato il 5 novembre?

    R. - Abbiamo distribuito il questionario a tutti i sacerdoti, diaconi e operatori pastorali laici ai quali abbiamo chiesto di discuterne nei consigli parrocchiali, di informarsi direttamente e di non pubblicare le risposte, ma darle ai vescovi per poterle passare al Sinodo. C'è da dire che in Olanda ci sono molte coppie gay, coppie che convivono, e abbiamo sempre meno matrimoni religiosi cattolici. Si tratta di un calo considerevole che indica chiaramente che la pastorale della famiglia deve essere una priorità nel nostro Paese.

    D. - C’è una tendenza generale ad emarginare la Chiesa e la religione dal dibattito pubblico, in particolare su temi etici come eutanasia, aborto, famiglia. Come cerca di far sentire la sua voce la Chiesa su questi temi? Qual è la sua presenza sui media?

    R. - Lo Stato dice di fondarsi su valori neutrali, accettabili per tutti, però anche i valori cosiddetti “neutrali “ dello Stato non lo sono affatto perché in realtà si fondano anch’essi su una certa filosofia. La Chiesa cattolica olandese non si fa intimidire. Abbiamo espresso molte volte la nostra visione cattolica su varie questioni, soprattutto circa la legislazione sull'eutanasia. Nel 2002 abbiamo pubblicato in inglese una serie di nostre dichiarazioni sul tema. Anche io ho scritto molti articoli scientifici, anche su giornali nazionali. Quindi cerchiamo di farci sentire il più possibile e la voce della Chiesa si sente.

    D. - Con l’immigrazione, la società olandese è anche diventata multiculturale e multireligiosa con una crescente presenza musulmana: come sono i rapporti con tale comunità?

    R. - Il vescovo emerito di Amsterdam-Haarlem è il nostro referente per il dialogo interreligioso e guida una commissione ad hoc che ha contatti regolari anche con i musulmani. Il problema però è che nel mondo musulmano non c’è un rappresentante unico: ogni moschea e comunità è indipendente e ci sono varie correnti dell’Islam. Nel nostro Paese è più facile avere contatti con le Chiese protestanti o la comunità ebraica, che hanno una struttura e una rappresentanza.

    D. - Anche la Chiesa olandese è stata colpita dallo scandalo della pedofilia. C'è stato il Rapporto della Commissione Deetman nel 2011: cosa è stato fatto da allora?

    R. - Prima della pubblicazione del Rapporto Deetman i media erano molto critici. Queste critiche sono sparite subito dopo la pubblicazione del rapporto, un documento completo, sincero, con tutti i dettagli, anche quelli più dolorosi. La nostra attenzione prioritaria adesso è per le vittime, un aspetto trascurato in passato.

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    Papa Francesco: Natale è lasciarsi incontrare da Gesù col cuore aperto perché ci rinnovi la vita

    ◊   Prepararsi al Natale con la preghiera, la carità e la lode: con un cuore aperto a lasciarsi incontrare dal Signore che tutto rinnova: è l'invito lanciato da Papa Francesco nella Messa presieduta a Santa Marta in questo primo lunedì del Tempo di Avvento. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Commentando il passo del Vangelo del giorno in cui il centurione romano chiede con grande fede a Gesù la guarigione del servo, il Papa ha ricordato che in questi giorni “cominciamo un nuovo cammino”, un “cammino di Chiesa … verso il Natale”. Andiamo incontro al Signore, “perché il Natale – ha precisato - non è soltanto una ricorrenza temporale oppure un ricordo di una cosa bella”:

    “Il Natale è di più: noi andiamo per questa strada per incontrare il Signore. Il Natale è un incontro! E camminiamo per incontrarlo: incontrarlo col cuore, con la vita; incontrarlo vivente, come Lui è; incontrarlo con fede. E non è facile vivere con la fede. Il Signore, nella parola che abbiamo ascoltato, si meravigliò di questo centurione: si meravigliò della fede che lui aveva. Lui aveva fatto un cammino per incontrare il Signore, ma lo aveva fatto con fede. Per questo non solo lui ha incontrato il Signore, ma ha sentito la gioia di essere incontrato dal Signore. E questo è proprio l’incontro che noi vogliamo: l’incontro della fede!”.

    E più che essere noi ad incontrare il Signore – sottolinea il Papa – è importante “lasciarci incontrare da Lui”:

    “Quando noi soltanto incontriamo il Signore, siamo noi - fra virgolette, diciamolo - i padroni di questo incontro; ma quando noi ci lasciamo incontrare da Lui, è Lui che entra dentro di noi, è Lui che ci rifà tutto di nuovo, perché questa è la venuta, quello che significa quando viene il Cristo: rifare tutto di nuovo, rifare il cuore, l’anima, la vita, la speranza, il cammino. Noi siamo in cammino con fede, con la fede di questo centurione, per incontrare il Signore e principalmente per lasciarci incontrare da Lui!”.

    Ma occorre il cuore aperto:

    “Cuore aperto, perché Lui incontri me! E mi dica quello che Lui vuol dirmi, che non sempre è quello che io voglio che mi dica! Lui è il Signore e Lui mi dirà quello ha per me, perché il Signore non ci guarda tutti insieme, come una massa. No, no! Ci guarda ognuno in faccia, negli occhi, perché l’amore non è un amore così, astratto: è amore concreto! Da persona a persona: il Signore, persona, guarda me, persona. Lasciarci incontrare dal Signore è proprio questo: lasciarci amare dal Signore!”.

    In questo cammino verso il Natale – ha concluso il Papa – ci aiutano alcuni atteggiamenti: “la perseveranza nella preghiera, pregare di più; l’operosità nella carità fraterna, avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno; e la gioia nella lode del Signore”. Dunque: “la preghiera, la carità e la lode”, con il cuore aperto “perché il Signore ci incontri”.

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    Cordoglio del Papa per la tragedia di Glasgow. Nove le vittime dello schianto sul pub

    ◊   Preghiera per le vittime e “sincera solidarietà” alle famiglie. Con questi sentimenti Papa Francesco ha voluto farsi vicino con un messaggio alle persone rimaste coinvolte venerdì scorso a Glasgow nella tragedia dell’elicottero della Polizia, precipitato su un pub affollato da gente che assisteva a un concerto. Notizie dell’ultima ora hanno purtroppo aggiornato a nove il numero dei morti, mentre una quindicina sono i feriti causati dallo schianto, ricoverati in gravi condizioni in ospedale. “Vi assicuro la mia preghiera per coloro che hanno tragicamente perso la vita o sono stati feriti così come i loro parenti”, si legge nel testo col quale il nunzio apostolico in Gran Bretagna, mons. Antonio Mennini, esprime il cordoglio del Papa all’arcivescovo di Glasgow, Philip Tartaglia. “Che il Signore – conclude il messaggio – conceda il riposo eterno a coloro che sono morti e conforti i loro parenti e l'intera comunità di Glasgow in questi momenti di angoscia e tristezza”.

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    Tweet del Papa: se i tuoi peccati sono grandi, dì al Signore di trasformare il tuo cuore

    ◊   “I tuoi peccati sono grandi? Di’ al Signore: Perdonami, aiutami a rialzarmi, trasforma il mio cuore!” E’ il tweet di Papa Francesco, pubblicato oggi sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da oltre 10 milioni di follower.

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    Gesù cerca quanti hanno bisogno di essere guariti: così il Papa nella Parrocchia di San Cirillo Alessandrino

    ◊   L’incontro con Gesù è nelle opere buone: così Papa Francesco nella celebrazione eucaristica presieduta domenica pomeriggio nella parrocchia romana di San Cirillo Alessandrino con il rito della Cresima per nove ragazzi. Il Papa, prima della Messa, ha incontrato i malati, i battezzati dell’anno pastorale appena concluso e ha confessato alcuni fedeli. La parrocchia, che si trova nella XVI Prefettura, ha una forte presenza di immigrati. Si tratta della seconda visita di Papa Francesco ad una parrocchia romana, dopo quella svoltasi a maggio scorso, nella Chiesa dei Santi Elisabetta e Zaccaria. Il servizio di Fausta Speranza:

    La vita è un cammino e il regalo più grande è l’incontro con Gesù. E’ il messaggio semplice ma essenziale che Papa Francesco lascia a questa parrocchia di periferia. Sull’incontro con Gesù, Papa Francesco si sofferma tornando più volte a ribadire che Gesù ci ama tanto: “Gesù ci guarda con amore, ci vuole tanto bene e ci guarda sempre”. “Incontrare Gesù – aggiunge - è anche lasciarti guardare da lui”. E Francesco spiega che incontriamo Gesù nei sacramenti e non solo:

    Quando facciamo opere buone, quando visitiamo i malati, quando aiutiamo un povero, quando pensiamo agli altri, quando non siamo egoisti, quando siamo amabili… in queste cose incontriamo sempre Gesù. E il cammino della vita è proprio questo: camminare per incontrare Gesù”.

    In questo cammino i peccati ci frenano e ci scoraggiano ma Francesco ha parole di forte e chiaro incoraggiamento:

    Ma tu sai che le persone che Gesù cercava maggiormente di trovare erano i più peccatori; e lo rimproveravano per questo, e la gente – le persone che si credevano giuste – dicevano: ma questo, questo non è un vero profeta, guarda che bella compagnia che ha! Era con i peccatori… E Lui diceva: Io sono venuto per quelli che hanno bisogno di salute, bisogno di guarigione, e Gesù guarisce i nostri peccati".

    Gesù guarisce i nostri peccati, ci assicura Francesco, ci perdona nelle Confessioni. Poi l’invito: “Siate coraggiosi”.

    “Siate coraggiosi, non abbiate paura! La vita è questo cammino. E il regalo più bello è incontrare Gesù. Avanti, coraggio!".

    Sotto “lo sguardo bello di Gesù possiamo riprendere il cammino”, dice Papa Francesco che aggiunge una raccomandazione: “volendoci bene come fratelli”. Alla conclusione, il saluto affettuoso e sincero:

    “Vi ringrazio di cuore per questo pezzo del cammino che abbiamo fatto insieme. Vi ringrazio per la vostra accoglienza, per la vostra bontà, per la vostra allegria, e vi chiedo di pregare per me, perché ho bisogno!”.

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    Altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani in Vaticano il cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo emerito di Santa Cruz della Sierra.

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    Il card. Filoni nelle Antille: “Preparati, vigilanti e impegnati nella missione di Cristo”

    ◊   Proseguendo la sua visita pastorale nelle Antille, il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha presieduto sabato pomeriggio, la Messa solenne della prima domenica di Avvento nella pro-cattedrale di San Fernando a Port of Spain (Trinidad and Tobago), cui hanno partecipato vescovi, religiosi, religiose e laici delle Antille. Dopo aver sottolineato il contesto liturgico dell’Avvento - riporta l'agenzia Fides - nell’omelia il cardinale ha ricordato le parole di Papa Francesco ai vescovi in Brasile, nel luglio scorso, sulla chiamata rivolta a tutti al “discepolato missionario di Gesù”, ed ha proseguito: “il mondo ha bisogno della proclamazione della Buona Novella di Gesù Cristo e noi siamo inviati ad annunciarlo. Questo senso di urgenza e di attesa è anche un tema centrale durante il periodo dell’Avvento, che ci ricorda che siamo ora in un periodo di attesa, aspettando il Signore che viene di nuovo, per giudicare e portare tutte le cose a compimento. Dobbiamo essere preparati, vigilanti e impegnati nella missione di Cristo”. Una “particolare responsabilità” per questa missione ricade sulla Chiesa di Trinidad e Tobago, considerata la “Chiesa madre” di molte altre Chiese particolari delle Antille, ha ricordato il prefetto del Dicastero Missionario, citando anche le diverse sfide che oggi la Chiesa si trova dinanzi per continuare ad adempiere alla sua missione: prima tra tutti una visione secolaristica del mondo che relativizza la fede ed un numero crescente di poveri. “La molteplicità di impegni missionari e pastorali ci spinge a chiederci se oggi ci siano cristiani generosi ed entusiasti di mettersi a disposizione dei poveri, del Vangelo e del bene” ha affermato il card. Filoni, che ha esortato a non esitare a coinvolgere i giovani ed a chiamarli al sacerdozio, alla vita consacrata, e a molti altri servizi nella Chiesa. Nella cattedrale di Kingston, in Giamaica, dedicata alla Santissima Trinità, il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha presieduto ieri pomeriggio una Messa solenne nella prima domenica di Avvento, per la conclusione dell’Anno della Fede e l’ordinazione presbiterale del diacono Brad Smith. Erano presenti, oltre al nunzio apostolico mons. Nicola Girasoli, diversi vescovi, sacerdoti, religiose e laici, oltre ai rappresentanti delle autorità governative. “Un sacerdote viene ordinato per annunciare il Vangelo, per insegnare la fede in tutta la sua integrità, per amministrare i Sacramenti, rendendo presente Cristo per la santificazione dei fedeli” ha sottolineato il cardinale nell’omelia. “Un sacerdote deve stare in mezzo alla gente, essere un pastore ‘con l’odore delle pecore’ come Papa Francesco ama dire – ha proseguito -. Ma è anche vero che le pecore hanno bisogno di riconoscere in ogni sacerdote il ‘profumo’ del Buon Pastore, nel suo zelo pastorale, nell’integrità personale, nella povertà, nell’obbedienza e nella fedeltà alla promessa del celibato casto”. Celebrando la conclusione dell'Anno della Fede, che ha visto nascere molte iniziative per l'approfondimento e il rafforzamento della fede, il card. Filoni ha esortato: “Preghiamo perché questi sforzi portino molto frutto per la Chiesa in tutto il mondo, ma soprattutto qui in Giamaica!” ed ha concluso: “Cari fratelli e sorelle, non esitate a essere sempre fedeli a Cristo, come so che vi state sforzando di fare”. (R.P.)

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    "Evangelii Gaudium". Mons. Bregantini: i poveri, protagonisti del Vangelo

    ◊   "Esiste un vincolo inseparabile fra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli". E' questa una delle tante indicazioni che Papa Francesco ha inserito nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, sull'annuncio del Vangelo, appena pubblicata. Ma che significato assume questo passaggio dal punto di vista ecclesiale? Fabio Colagrande l'ha chiesto a mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, presidente della Commissione episcopale su famiglia, lavoro, giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana:

    R. - Ponendo il Vangelo al centro è chiaro che i poveri diventano i protagonisti primi del Vangelo. Quindi c’è una correlata interconnessione in tutta l’Esortazione tra l’aspetto teologico, l’aspetto spirituale, l’aspetto pastorale e quello antropologico. E’ un documento molto, molto serrato; facile di lettura; lungo, questo sì, è abbastanza lungo, ma che lascia nel cuore un senso di pienezza per cui i poveri non sono guardati con compassione, ma con restituzione.

    D. - A proposito di giustizia sociale, il Papa scrive anche “non basta non compiere errori dottrinali. Bisogna evitare anche indulgenza o complicità verso situazioni di ingiustizia”. Sono parole molto forti!

    R. - Questo ha riequilibrato tutta una serie di problematiche che abbiamo avuto negli anni passati, dove certi tipi di peccati venivano evidenziati e certi altri venivano taciuti o sottaciuti come se fossero benevolmente capiti: gli affari sono affari, etc… E invece c’è una dimensione del Vangelo che accoglie e raccoglie, cambia e modifica tutta la vita del cristiano, a tutti i livelli, anche l’aspetto sociale e politico, amministrativo: cioè una testimonianza di un cristiano retto nel cuore, retto e chiaro in famiglia, casto e limpido nelle relazioni quotidiane, ma anche trasparente nelle relazioni sociali ed economiche.

    D. - “La Chiesa non è una dogana, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno”. Quali conseguenze deve avere questa affermazione del Papa nella nostra vita ecclesiale?

    R. - Quello che lui chiama la misericordia come vertice di tutte le virtù. Lo abbiamo posto anche noi come diocesi a Campobasso: abbiamo fatto un anno dedicato al riscoprirsi figli di questo Padre di misericordia. Come è bella questa frase! E lo dice anche in relazione al confessionale. Cambia il tono delle prediche, anche se si devono dire cose difficili, non si dicano con condanna; anche se ci si trova davanti a certi preti in difficoltà o preti in situazioni complicate, il compito del vescovo con quel prete non è quello di rimproverare, ma quello di comprendere, di accompagnare. Così il parroco con i suoi fedeli e così i genitori con i loro figli: c’è tutto uno stile di paternità vissuta, fatta gustare, che diventa misericordia e dalla misericordia si fa gioia.

    D. - Ecco, a questo proposito il Papa parla di un documento programmatico, dalle conseguenze importanti e esorta tutti ad applicarlo senza divieti né paure…

    R. - Il rischio in questo momento con Papa Bergoglio - così soprendente - che è un rischio peggiore di altri, non è quello di contestarlo, ma è quello di ignorarlo! Di dire: “Lasciamolo dire, è bravo!”. Io faccio questo paragone: è come se all’improvviso nella partita della Chiesa italiana sia uscito Papa Benedetto, per particolari situazioni di difficoltà fisica, e sia entrato Bergoglio. Bergoglio sta scombinando tutto il gioco, sta facendo un sacco di goal e la Chiesa - la squadra - vince con lui. C’è il rischio, però, che poiché i goal li fa tutti lui, lasciamo fare solo lui. Questo è il rischio: che non giochiamo noi! Ed è questo l’appello pressante - lo si sente - quasi come dire: “Non lasciatemi solo! Il gioco non lo faccio io. Lo ho impostato, lo ho rilanciato, la squadra vince, ma vince se siamo compatti. Non basta che ci sia il goleador. Ci occorre una squadra d’insieme”. Ed è quello che appare benissimo da tutto il documento.

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    Concerto di solidarietà in Vaticano con Bocelli per l'Ospedale pediatrico Bambin Gesù

    ◊   Torna “La luce dei bambini” , il concerto solidale di stasera nell'Aula Paolo VI, in Vaticano, con la voce di Andrea Bocelli accompagnata dall’orchestra sinfonica Rossini di Pesaro e dalla Corale Quadriclavio di Bologna. L’appuntamento biennale, promosso con la collaborazione della Segreteria di Stato, quest’anno sostiene il rinnovamento infrastrutturale e tecnologico della Terapia Intensiva Cardiochirurgica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, nell’ambito della campagna sociale 2013 “Mettici il cuore”. Presente al concerto, giunto alla sua quarta edizione, il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin. Le musiche eseguite vanno dall’Ave Maria di Schubert a Panis Angelicus di César Franck. Oltre a Bocelli, sono presenti solisti di fama internazionale come il mezzosoprano Annalisa Stroppa, il baritono Mauro Bonfanti, il soprano Laura Giordano, la violinista Anastasiya Petryshak, il duo chitarristico classico “Carisma”, il cantante Davide Carbone e il giovane attore Giampiero Mancini per dare voce ai messaggi di speranza dei piccoli pazienti dello stesso ospedale. A presentare la serata la conduttrice Antonella Clerici. Suggestive le coreografie di un gruppo di giovani ballerini del Balletto di Roma e delle atlete di ginnastica ritmica della Polisportiva Sempione. Riconosciuta come un’area di eccellenza nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale, la Terapia Intensiva Cardiochirurgica del Bambino Gesù è l’unico reparto intensivo di cardiologia pediatrica del Centro Italia, in grado di accogliere circa 600 piccoli pazienti ogni anno. Grazie alla generosità di tante persone, ciascun posto letto della TIC diventerà un’unità ad alta intensità di cura, per il monitoraggio e il supporto delle funzioni vitali dei bambini con malformazioni cardiache e scompenso di cuore, prima e dopo l’intervento chirurgico. (D.D.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, “Scommessa sulla pace”. All’Angelus della Prima Domenica di Avvento, Papa Francesco indica l’orizzonte della speranza; e ai fedeli di San Cirillo Alessandrino ricorda che la vita è un cammino verso Gesù. Sempre in prima pagina: “Lavoro ridotto a prigionia” dedicato al tragico rogo di Prato. Di spalla, “Per il rispetto dei diritti di tutti”, l’incontro tra il Papa e Benjamin Netanyahu, primo ministro dello Stato d’Israele, avvenuto nella mattina di lunedì 2 dicembre. A fondo pagina, l'acquerello di Isabella Ducrot, "La relazione amorosa" (2013), copertina del nuovo numero del mensile "donne chiesa mondo" allegato al giornale.

    Nelle pagine della cultura, “Il miracolo di Trento”, del cardinale Walter Brandmüller, l’inviato di Papa Francesco per il quattrocentocinquantesimo anniversario della chiusura del concilio tridentino, “L’immensa Asia è accerchiata da un uomo minuscolo”, di Inos Biffi, su Francesco Saverio nella poesia di Paul Claudel e una segnalazione del ciclo di letture-spettacoli "Le città invisibili; maestri e culture in dialogo" la Fondazione Adriano Bernareggi di Bergamo, che sarà inaugurato il 5 dicembre da "Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola" a cura di Gabriele Vacis e Laura Curino.

    A pagina 5, “Da Oxford alla Vaticana. In rete manoscritti e incunaboli del Polonsky Foundation Digitization Project” di Cesare Pasini, e “Costantino a Genova. Tra storia e leggenda” sul convegno in corso nella città ligure, a millesettecento anni di distanza dall’editto di tolleranza promulgato a Milano nel febbraio del 313.

    A pagina 7, “A guardia bassa incontro a Gesù”, la sintesi dell'omelia della Messa celebrata lunedì 2 dicembre, nella cappella di Santa Marta, mentre nella pagina seguente, sotto il titolo “La vita è un cammino” viene riportata l'omelia di Papa Francesco durante la messa celebrata domenica nella parrocchia romana di San Cirillo Alessandrino.

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    Oggi in Primo Piano



    Il vescovo di Prato: condizioni disumane per i lavoratori cinesi, calpestata dignità

    ◊   "Noi non possiamo permettere che in Toscana ci siano uomini e donne ridotti in una condizione di schiavitù”. Così il governatore della Regione Toscana Enrico Rossi, che ha anche chiesto un incontro a porte chiuse con il premier Enrico Letta e il ministro degli Interni Angelino Alfano, dopo l’incendio di ieri in una fabbrica che ha fatto sette morti di nazionalità cinese, due ustionati gravi e due feriti lievi. Il rogo è scoppiato in uno stabilimento di moda del Macrolotto, la zona industriale alle porte del capoluogo toscano a denso insediamento di manodopera cinese. Molte le polemiche. Antonella Palermo ha intervistato il vescovo di Prato, Franco Agostinelli:

    R. - Siamo rimasti tutti sgomenti di fronte a questo fatto inaudito, a questa tragedia. Da parte nostra c’è un moto di indignazione di fronte a quello che avviene e non possiamo altro che denunciare un certo comportamento, lo sfruttamento, che calpesta la dignità delle persone. Questa gente viene dalle zone più povere della Cina, vengono per lavorare come “matti” e per mettere insieme quattro soldi sufficienti per quando torneranno in Cina per avere un tenore di vita un po’ più dignitoso. Ma a quale prezzo? Qui non c’è orario di lavoro perché si lavora di giorno come di notte; non c’è nessuna tutela da parte sindacale e nessuno la cerca, nessuno la vuole. Le condizioni in cui vivono queste persone sono veramente disumane; ho avuto modo di parlare in maniera privata - con molte tergiversazioni e molta fatica – con qualcuno di loro: vivono quasi in “loculi”, in spazi minimi dove dormono e fanno da mangiare; talvolta vengono anche chiusi nel capannone perché stiano lì. Non è un fatto che fa onore a nessuno. Viene calpestata la dignità dell’uomo negli aspetti più essenziali.

    D. – Prato, la capitale del manifatturiero in Italia che soffre ormai da anni di una grave crisi e questo è un po’ il rovescio della medaglia…

    R. – Prato sta attraversando un periodo veramente faticoso dal punto di vista lavorativo. Viviamo in una situazione in cui il tessile purtroppo sta scadendo sempre di più, perché ovviamente all’estero la manodopera costa molto meno. Qui la legge non è che li tuteli molto, anche gli imprenditori devono fare salti mortali per mantenersi ancora sul mercato. Rimangono appunto i cinesi perché - mi sembra di poter dire – che sono “oltre la legge”. Queste situazioni a Prato sono ordinarie ma lo sanno tutti, le istituzioni, i legislatori, i politici, lo sanno tutti. Ma ci si straccia le vesti quando questi fatti avvengono ... La Chiesa pratese le ha sempre dette queste cose…

    D. – C'è chi afferma che serve più dialogo tra le autorità dei due Paesi e più spirito critico per istituzioni, società civile e sindacati. E’ d’accordo?

    R. – Certo che occorre più dialogo perché un dialogo mi sembra che ci sia poco, per lo meno a livello istituzionale, poi non so a quali altri livelli ci può essere il dialogo.

    D. – Come è impegnata la Chiesa locale sul fronte proprio della pastorale dei migranti?

    R. – Noi abbiamo prima di tutto una parrocchia dove ci sono strutture per i cattolici cinesi, abbiamo sacerdoti che vivono nel quartiere dei cinesi, due francescani che vivono in mezzo a loro. Certo, il dialogo con loro non è facile perché è un mondo chiuso, anche in mezzo ai pochi cattolici cinesi. Quando c’è il periodo del lavoro noi ce ne accorgiamo subito perché loro spariscono: può essere Pasqua, Natale ma loro spariscono dalla circolazione. Quindi, capiamo che ci sono commesse da soddisfare ed allora sono tutti al lavoro.

    D. – “Lavoratori invisibili”, così vengono definiti…

    R. - Lavoratori “invisibili” perché sono nel chiuso di un “ghetto” che è il loro posto di lavoro, ovvero il capannone dove lavorano e da dove evidentemente escono poco perché sono impegnati a lavorare e le poche ore di libertà che hanno le devono sfruttare per riposarsi un po’.

    D. – Nei dormitori anche i bambini…

    R. – Certo, ma non sempre ci sono. A quanto mi dicono, i bambini che arrivano vengono rimandati in Cina e vengono accuditi dai nonni. I genitori li vedranno tra 5 o 6 anni, quando anche loro torneranno in patria e si ricongiungeranno con i loro figli. Qui non possono accudirli perché non hanno tempo, hanno da lavorare.

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    Coprifuoco violato in Thailandia. Manifestazioni e scontri antigovernativi

    ◊   In Thailandia, non si placano le proteste antigovernative iniziate la scorsa settimana. Violato nella notte il coprifuoco. In atto lo stato d'emergenza. A Bangkok sono proseguiti gli scontri e l'assedio al Palazzo del governo. Il servizio di Stefano Vecchia:

    La giornata è stata aperta da scontri finora limitati attorno al Palazzo del governo e con quelli più aspri presso la sede metropolitana della polizia, ma altrove la metropoli vede una certa normalità nonostante la chiamata allo sciopero generale. Molte attività amministrative sono ferme, come pure tante scuole e otto delle università cittadine. Rappresentanti del governo e della polizia sono poco fa in televisione per rassicurare sulla solidità dell'esecutivo e minacciare punizioni per i manifestanti. Ieri, doveva essere il giorno della “vittoria del popolo” per la protesta, con l'invasione definitiva delle maggiori sedi amministrative, di alcuni sedi televisive e del comando nazionale ella polizia, invece è stata una giornata di continui scontri sulle barriere di cemento e filo spinato erette attorno al Palazzo del governo e altrove, dove la polizia ha usato in modo massiccio i lacrimogeni e gli idranti ma anche, viene segnalato nelle ultime ore, proiettili ricoperti di gomma. Una sessantina i ricoverati in ospedale, intossicati o feriti. La giornata di oggi si annuncia complessivamente di attesa, verso la scadenza di 48 ore data dal leader delle protesta anti-governative in corso, Suthep Thaugsuban alla premier Yingluck Shinawatra ieri sera, davanti ai capi delle forze armate. Suthep ha escluso ogni possibilità di trattativa, considerando ormai squalificato il governo per le sue azioni e sfiduciato il premier per la sua parentela con Thaksin Shinawatra, ritenuto dalle opposizone il “burattinaio” del sistema di potere che oggi governa il Paese. 48 ore che scadranno nella serata di domani in cui il governo avrà la possibilità soltanto di uscire di scena oppure di chiamare alla repressione. In questo secondo caso, diventerebbe essenziale il ruolo dei militari. Un ruolo finora di mediazione, sottolineato anche ieri dalla presenza al tavolo dell'incontro tra i due leader del comandante dell'esercito, generale Prayuth Chan-ocha, di un'istituzione però tradizionalmente favorevole all'ideologia nazionalistica, filomonarchica e conservatrice delle parti politiche e sociali che sono ora a capo della protesta. Esercito che da ieri affianca con migliaia di uomini disarmati i poliziotti in diverse località. Con un compito significativo, di tutela anche dei manifestanti. Sono infatti duvuti intervenire gli uomini in divisa per evacuare ieri miglia di studenti intrappolati all'interno dell'università Ramkhamhaeng dopo che ignoti personaggi avevano sparato a più riprese in modo indiscriminato uccidendo cinque studenti e ferendone decine quando questi avevano tentato di opporsi all'arrivo di decine di migliaia di Camicie Rosse filo-governative nel vicino stadio Rajamangala.

    Per un'analisi della crisi in Thailandia, Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Raffaele Marchetti, esperto dell'area e docente di relazioni internazionali dell'Università Luiss:

    R. – Il problema principale è quello della polarizzazione: noi abbiamo abbiamo da un lato una città e il sud che sono dietro alle proteste, mentre dall’altro una c'è grande fetta di elettorato che si trova nelle campagne e che ha sostenuto fortemente il governo di Shinawatra. Il Paese è diviso e quindi quello di cui c’è bisogno, in una situazione del genere, naturalmente, è un tentativo di ricomposizione e riunificazione nazionale. Ovviamente, c’è anche la questione economica: la Thailandia è un Paese con una certa crescita, ma naturalmente è anche un Paese fragile e questo tipo di proteste così prolungate hanno un impatto significativo e rilevante sull’economia nazionale.

    D. – Determinante è anche il ruolo dei militari che finora hanno avuto un ruolo di mediazione che ora potrebbe cambiare?

    R. – Già in passato si sono schierati contro la famiglia Shinawatra. Questo crea un problema in termini di credibilità e ogni qual volta i militari debbano intervenire, il regime perde in termini di stabilità e di credibilità internazionale. Però, questo sembra a oggi uno degli esiti più probabili: molti commentatori si aspettano l’intervento di una terza forza in campo a garantire stabilità al Paese.

    D. – La premier Shinawatra in un intervento televisivo ha ribadito: “Sono disposta a fare qualunque cosa affinché questa situazione si risolva, ma la Costituzione non prevede la mia uscita di scena”. Stando così le cose, per la premier potersi dimettere è davvero impossibile?

    R. – Naturalmente, si potrebbero convocare nuove elezioni, c’è sempre questa possibilità. L’argomento utilizzato dal governo per evitare il ricorso alle urne è che la situazione, essendo così instabile, non presenta le condizioni di pacificazione sociale che permettano elezioni regolari. La premier ha detto: al momento questo non è possibile; per il futuro, se la situazione si calma è possibile pensare di andare a nuove elezioni. Ma certamente questo significa posporre a data indefinita, indeterminata, le elezioni che naturalmente l’opposizione non accetta. Di fatto, quello che chiede l’opposizione è andare oltre l’idea elettorale per stabilire una sorta di Consiglio del Popolo nell’ambito del quale i leader della protesta possano accedere al potere attraverso canali alternativi. La situazione è sempre più polarizzata, perché è una situazione che non è nata negli ultimi giorni ma ha una storia molto lunga, che ha a che fare con la famiglia Sinawatra, che è una famiglia che è stata al potere per anni, deposta da una mobilitazione popolare qualche anno fa, successivamente il fratello della premier attuale è andato in esilio volontario per sfuggire ad un processo per corruzione… Uno dei motivi principali di questa protesta è proprio il collegamento che tutti intuiscono, tra la premier – oggi – e il fratello in esilio a Dubai.

    D. – Questa crisi che si sta vivendo in Thailandia viene raccontata dai vari media internazionali; però non c’è un intervento di nessun tipo e neanche si profila. Perché?

    R. – Uno dei motivi ha a che vedere con la forma istituzionale dell’alleanza regionale di cui fa parte la Thailandia. L’Asean è un’organizzazione regionale molto “sovranista”: il principio della non-interferenza negli affari nazionali è un principio cardine dell’organizzazione. Quindi, mancano gli strumenti istituzionali che permettano ai vicini di intervenire per pacificare la situazione. A livello internazionale più ampio: naturalmente c’è una tensione. L’Unione Europea è interessata ma non riesce a trovare la modalità giusta per intervenire; gli Stati Uniti sono un attore importante e però anche la Cina, naturalmente, segue con attenzione l’evolversi della situazione.

    D. – Senza intervenire, però, in questo momento?

    R. – No, certamente no: senza intervenire. Però, è chiaro che Pechino sta osservando con attenzione tutto ciò che avviene nel Sudest asiatico, che è in qualche modo un’area nella quale ha un grande interesse e affari crescenti.

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    Approvata la bozza della nuova Costituzione in Egitto

    ◊   Il Comitato dei 50 "saggi" egiziani incaricati dai militari di rivedere il testo della Costituzione ha approvato ieri la bozza della carta fondamentale che sarà sottoposta a referendum entro la fine dell’anno, prima tappa fissata dalle Forze armate per il ritorno alla democrazia dopo la destituzione del presidente Morsi. La nuova Costituzione conferisce ai militari nuovi poteri, fra i quali quello di giudicare i civili. La bozza prevede inoltre che né il Parlamento né il governo abbiano poteri di controllo sul budget dell'esercito. Come si può definire il nuovo testo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Francesca Paci, inviata del quotidiano La Stampa:

    R. - Definire questo testo è molto complicato, nel senso che gli egiziani ne stanno già discutendo. Ci sono chiaramente i religiosi che si riconoscono nei Fratelli Musulmani che non sono contenti, e questo è ovvio. Infatti Piazza Tahrir è di nuovo blindata. Neanche i salafiti sono contentissimi; tra l’altro uno di loro era all’interno della Costituente. Questo ci fa pensare che qualche cosa rispetto alle pesanti concessioni islamiste che erano state fatte lo scorso anno dai Fratelli Musulmani siano state tolte. Il vero dubbio dei Liberal è quale sarà il peso delle Forze armate in questa nuova Carta costituzionale.

    D. - Che tipo di peso ci sarà?

    R. - Anche qui è abbastanza difficile dirlo. Chiaramente c’è un articolo, quello più controverso e comunque più contestato dai Liberal; è quello che prevede la competenza dei tribunali militari anche per i civili che attacchino postazioni militari, basi militari o militari in generale. Allora dov’è il problema? Il problema è che se fosse scritto soltanto, questo significherebbe che confrontarsi con l’esercito porterebbe il cittadino ad essere giudicato dal tribunale militare. In realtà la definizione è molto ambigua, perché si dice che non possono essere attaccati, pena il tribunale militare, tutte le postazioni dell’esercito, anche i territori messi sotto controllo dall’esercito. Che cosa significa? Se domani l’esercito decide che Piazza Tahrir è sotto il controllo dell’esercito, uno scontro in Piazza Tahrir può finire al tribunale militare. E questo è veramente l’articolo che preoccupa più di tutti.

    D. - E' la strada giusta questa per "normalizzare" il Paese?

    R. - Un po’ tutto il Medio Oriente, ma l’Egitto più di tutti gli altri Paesi, ci ha insegnato che non si possono fare previsioni; il massimo che si può fare è cercare di leggere la cronaca e ascoltare più voci possibili. Gli egiziani hanno fatto due rivoluzioni - loro dicono tre –, in due anni hanno cambiato tre Costituzioni, e si preparano nuovamente ad andare al referendum. Certamente il Paese da una parte è molto spaccato, ma la spaccatura non riguarda più Fratelli Musulmani contro esercito, perché i Fratelli sono veramente solo i Fratelli in questo momento. La maggior parte del Paese vuole sicurezza, anche a costo di perdere un po’ di libertà. La vera spaccatura riguarda il tipo di futuro che avrà il Paese: se i militari decideranno di fare un passo indietro, se ancora considerano che l’Egitto sia una specie di Paese all’infanzia della coscienza che ha bisogno del padre padrone, o se i Liberal – e quando diciamo Liberal non è come da noi: ci sono anche religiosi, musulmani osservanti, ma non sono integralisti e sono per un equilibrio dei poteri dello Stato – saranno in grado di organizzarsi, di presentare partiti politici. Un altro grande nodo è la presentazione delle liste: quando ci si candida alle elezioni si va per lista o si va per uninominale. Il problema è che si va due terzi per uninominale e un terzo per lista; questo chiaramente è a svantaggio dei nuovi partiti, le nuove formazioni, mentre è a vantaggio delle vecchie famiglie, delle vecchie oligarchie. Quindi il vero scontro non è tanto con i Fratelli Musulmani che ormai, è triste dirlo, stanno combattendo una battaglia di retroguardia, ma è sul futuro “sotto tutela dell’esercito del Paese”.

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    Referendum Croazia: ‘no’ a nozze gay. Belletti: chi crede nella famiglia deve farsi sentire

    ◊   La Croazia dice "no" alle nozze omosessuali. Interpellata da un referendum, stabilisce che il matrimonio sia definito nella Costituzione come unione esclusiva tra un uomo e una donna. Polemiche sulla bassa affluenza al voto. Sconfitto il premier Zoran Milanovic, contrario alla consultazione. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Questo referendum è una cosa molto triste”, aveva detto il premier croato Milanovic, ma la vittoria è andata all’organizzazione “Nel nome della famiglia”, che ha promosso l’iniziativa, sostenuta dalla Chiesa cattolica. Netta la vittoria sul quesito costituzionale: il 65,77% dei votanti ha detto sì alla definizione esclusiva di matrimonio eterosessuale, contro il 33,62% dei ‘no’. Bassa l’affluenza alle urne: il 38% dei 3,8 milioni circa di aventi diritto al voto. Ciò non invalida il Referendum, che in Croazia non prevede quorum di partecipazione. La modifica referendaria alla Costituzione allinea la Croazia alla Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria, i cinque Paesi dell’Unione Europea che hanno già una definizione costituzionale esclusivamente eterosessuale di matrimonio. A nulla sono dunque valsi gli appelli contro il Referendum lanciati nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica, Ivo Josipović, da diversi esponenti del mondo accademico e da larga parte dei media croati, che hanno boicottato l’informazione sull’esito del voto in risposta al rifiuto dei promotori di accreditare nel loro quartier generale testate liberali e Tv pubblica. Piccata la reazione del governo di Zagabria, che definisce “inutile” la vittoria dei sì, annunciando entro un paio di settimane una nuova legge sulle unioni civili tra coppie dello stesso sesso.

    Ma perché i fautori delle nozze gay paventano il ricorso al voto refendario su temi che certo toccano la vita sociale di un Paese e la vita personale dei cittadini? Abbiamo girato la domanda al sociologo Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni familiari.

    R. - Questo referendum dimostra che il sentire popolare, che l’atteggiamento delle persone rispetto al tema del matrimonio e dell’identità della famiglia è molto cauto, molto attento a custodire una storia e una tradizione millenaria che è quella dell’identità sessuale, del maschile e del femminile, delle responsabilità dei genitori rispetto ai figli. Quindi è la conferma che alcune posizioni - diciamo - estreme che chiedono l’assimilazione, il matrimonio per le persone omosessuali, sono contro il sentire comune: quella che - potremo definire - la sapienza popolare. Sono interventi - diciamo - elitari, di un pezzo di cultura, che nel mondo dei media, nel mondo della politica riesce ad avere molta più voce di quanto non abbia davanti alla gente comune.

    D. - Effettivamente anche in Croazia, oltre ai partiti di centrosinistra, diversi esponenti del mondo accademico e larga parte della stampa si erano detti contrari a questa consultazione…

    R. - Guardi, qui è il corto circuito dell’intellualismo. Secondo me, queste posizioni ideologiche non riescono a fare la differenza tra il rispetto, che è dovuto ad ogni persona e quindi anche secondo l’orientamento sessuale ai singoli individui omosessuali o eterosessuali che siano - e questo va garantito sempre e comunque! - e l’idea, invece, che questo renda automatico il riconoscimento della famiglia e del matrimonio come possibile sempre e comunque. Invece il popolo croato ha detto: ‘il matrimonio e la famiglia sono una cosa molto precisa, costruita, nella nostra storia, sull’amore tra l’uomo e la donna e sull’apertura alla vita. Questo vogliamo difendere!’. Nessun atteggiamento omofobo, nessun pregiudizio nei confronti della dignità della persona, ma la netta distinzione e, in un certo senso, il difendere il significato delle parole: nella parola ‘famiglia’ c’è da sempre la differenza sessuale. Chi la vuole cancellare fa un’operazione ideologica. Per fortuna il popolo riesce ancora a distinguere.

    D. - La Croazia diventa il sesto Paese in Europa - insieme a Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria - che avrà una definizione costituzionale di matrimonio esclusivamente eterosessuale. Quindi, questa è la strada giusta per evitare interventi ‘imposti’ dall’alto?

    R. - E’ una strada possibile, che sta diventando più importante di quanto non pensassimo qualche decennio fa. In effetti nella nostra Costituzione italiana non è stato scritto nell’art. 29 che il matrimonio è fondato sulla differenza sessuale, perché era talmente e oggettivamente riconosciuto da tutti, che non ce ne era bisogno. Oggi sembra che ce ne sia bisogno! E’ una delle strade per difendere giuridicamente quella che è una verità naturale, che appartiene al senso comune. La nostra Costituzione parlava di famiglia come società naturale, fondata sul matrimonio, ed era automatico che fosse anche tra un uomo e una donna, ed ora dovremo aggiungerlo, per difenderlo nel linguaggio giuridico, probabilmente anche nella normativa.

    D. - Il risultato referendario della Croazia può anche incoraggiare altri Paesi a chiedere consultazioni su questi temi così rilevanti?

    R. - Guardi, io mi aspetto, da adesso in poi, una pioggia di critiche, di accuse di oscurantismo rispetto ai croati, di non essere un popolo moderno… Ci sarà un grandissimo dibattito. E temo che le aule europee dei vari Parlamenti e delle varie Corti di giustizia saranno molto aggressive nei confronti di questa scelta. Grazie al cielo la nostra Europa si basa sul principio di sussidiarietà: le politiche familiari e il tema famiglia sta in capo ai singoli Paesi. Quindi, l’esempio di questa consultazione è un esempio che dà conforto, nel senso che quando le persone riescono ad esprimersi, a parlare, a dire veramente ciò in cui credono su temi così fondativi dell’umano, allora viene fuori una verità più chiara di quanto non venga fuori nelle ‘imboscate’, nelle serrate degli emendamenti di legge o in tante aule di Parlamenti nazionali, regionali, comunali o anche europei. Quindi, c’è un problema di cittadinanza attiva: le persone che credono nel valore della famiglia devono farsi sentire!

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    Nasce il comitato "Sì alla famiglia". Obiettivo: la tutela del matrimonio tra uomo e donna

    ◊   Si è costituito ieri a Torino il comitato “Sì alla famiglia”: 16 le associazioni coinvolte: da Alleanza Cattolica al Forum delle famiglie, dall’Agesci al Movimento Cristiano lavoratori. Il manifesto presentato, ieri pomeriggio, nasce da una riflessione sul Magistero della Chiesa e sugli interventi di Papa Francesco. Tre i capisaldi: tutela del matrimonio tra uomo e donna, sì all’accoglienza delle persone omosessuali, no a norme che creino reati di opinione. Paolo Ondarza ha intervistato il coordinatore del Comitato, Massimo Introvigne, già rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione presso l’Osce:

    R. - La famiglia ha bisogno di essere tutelata. Ha detto il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Bagnasco, che “chiamare ‘famiglia’ altre formazioni sociali, finisce per indebolire il modello della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”. Noi pensiamo anche che i bambini abbiano diritto, per la loro formazione integrale, ad avere un papà e una mamma. Questa non è discriminazione: è un giudizio fondato su una certa antropologia.

    D. - Alla base di “Sì alla famiglia” c’è una riflessione sul Magistero della Chiesa e sugli insegnamenti di Papa Francesco…

    R. - Ci siamo lasciati interrogare da quelle frasi che hanno colpito il mondo intero, secondo cui le persone omosessuali non devono essere giudicate - “Chi sono io per giudicarle?” - che abbiamo approfondito con i rimandi che il Papa stesso fa al Catechismo. Ancora nella recente Esortazione apostolica Evangelii gaudium rivendica fortemente il diritto della Chiesa e dei cattolici di prendere posizione sulle questioni politiche e sociali. Quindi, da una parte “Chi siamo noi per giudicare le persone?”, ma dall’altra “Chi siamo noi per non giudicare le leggi e per sottrarci al nostro dovere di cristiani e di cittadini di dire un ‘sì’ o un ‘no’ quando sono sul tappeto delle proposte di tipo legislativo?”.

    D. - Il manifesto “Sì alla famiglia” è favorevole a colpire in modo esemplare le violenze, le minacce e gli insulti agli omosessuali, è invece contrario a norme sull’omofobia che creino reati di opinione…

    R. - Qual è il problema? Il problema è che la nozione di omofobia in tutte questi leggi, che già esistono in alcuni Paesi europei, è vaga e mi si consenta di dire - dato che nel 2011 sono stato rappresentante dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa per la lotta al razzismo e alla discriminazioni religiose - che ho visto molti casi concreti di leggi sull’omofobia applicate per punire delle opinioni che erano, non sulle persone, ma su comportamenti omosessuali, come avviene da parte di molte grandi religioni. Molti casi europei riguardano l’islam. Allora non vogliamo che chi si oppone alle conseguenze giuridiche della cosiddetta ideologia di genere debba temere di andare in prigione.

    D. - Vi ricollegate, nel vostro manifesto, a quanto pronunciato dall’allora cardinale Bergoglio in una lettera del 2010 ai laici argentini, in occasione dell’approvazione di una legge che introduceva il matrimonio e le adozioni omosessuali nel Paese…

    R. - Sì, quella marcia dei laici argentini aveva una piattaforma molto simile alla nostra: mansuetudine nei toni e stile cristiano; massimo rispetto per le persone, senza giudicarle - e lo dice anche il Vangelo - ma giudizio molto fermo sul dire “no” alle leggi che pretendono di introdurre il matrimonio omosessuale e l’adozione omosessuale. Su questo siamo molto chiari. Noi non sosteniamo affatto che i bambini affidati a coppie omosessuali abbiano maggiori possibilità di essere maltrattati o molestati: queste sono affermazioni che non sono sostenute dal dato statistico, né le abbiamo mai formulate! Diciamo semplicemente che un bambino che cresce con due papà o con due mamme, anziché con una mamma e con un papà, non riuscirà facilmente ad apprezzare la bellezza e la differenza sessuale che, sulla base dell’antropologia cristiana, è un bene per il bambino.

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    Giornata contro la schiavitù. Suor Bonetti: il Papa ci incoraggia a sconfiggere questa piaga

    ◊   Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù, in memoria del 2 dicembre 1949, giorno in cui l’Assemblea generale Onu approvò la Convenzione per la repressione del traffico di persone. Nel messaggio per l’occasione, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, esorta la comunità internazionale a rafforzare l’impegno contro la moderna schiavitù. Un fenomeno aberrante che, purtroppo, è tutt’altro che sconfitto come sottolinea suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, simbolo della lotta alla tratta di esseri umani. L’intervista è di Alessandro Gisotti:

    R. - Ne continuiamo a parlare, ma i numeri aumentano. Ultimamente c’è stato questo grande convegno organizzato dal Vaticano voluto dal Papa su questa terribile piaga della tratta di esseri umani che è poi quella che favorisce la schiavitù. Abbiamo scoperto che gli schiavi di oggi sono circa 30 milioni, molti di più degli schiavi di una volta! Noi oggi ci vergogniamo di quella schiavitù, ma di quella di oggi non ce ne vergogniamo più: è diventata una cosa normale, una cosa accettata perché ormai è diventata parte di una cultura il fatto che una persona si possa vendere o comprare. Abbiamo tantissime forme di schiavitù: la più terribile, la schiavitù sessuale per le donne e per i minori, ma ancora la schiavitù per il lavoro, quella dell’accattonaggio, degli organi, dei bambini soldato ... La schiavitù di oggi è causata da una terribile situazione di povertà. Ma noi ancora una volta sfruttiamo questa stessa povertà, queste stesse situazioni per creare i nuovi schiavi di oggi.

    D. - C’è un problema sicuramente di indifferenza e quindi c’è anche un lavoro molto grande e profondo di formazione, di educazione ...

    R. – Certamente! Papa Francesco parla della globalizzazione dell’indifferenza. Quando noi abbiamo incontrato - come piccolo gruppo di suore che operano in questo settore – il Papa, gli abbiamo chiesto che potessimo avere una giornata all’anno a livello ecclesiale per sensibilizzare maggiormente sia le conferenze episcopali che le scuole, le parrocchie, con i mezzi di comunicazione sociale, con le famiglie, in modo da affrontare veramente questo problema e affrontarlo anche in modo positivo per dire: “Mai più schiavi!”. L’anno scorso - noi come gruppo di religiosi insieme ai laici ed altre persone - abbiamo sentito il bisogno di creare una nuova associazione “Slaves no more!”, “Mai più schiavi!”, proprio per combattere la schiavitù di oggi ed offrire - in modo particolare, a tante donne che noi incontriamo sia sulle strade, che nelle case famiglia, nei centri di identificazione ed esplosione - l’opportunità di ritornare nei loro Paesi con dignità ed iniziare una vita nuova attraverso il lavoro di reintegrazione, di assistenza, di aiuto finanziario perché possano vivere. Queste sono le cose positive che noi dobbiamo pensare, sapere e sostenere. Ultimamente quando abbiamo chiesto al Papa di avere questa giornata gli abbiamo proposto che fosse nella festa liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, perché lei era una schiava. E allora ci ricorda, ancora una volta, che la schiavitù si deve e si può abolire.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Agenzia Sana: jihadisti rapiscono alcune suore nel villaggio cristiano di Maalula

    ◊   In Siria, miliziani jihadisti sarebbero entrati nel convento ortodosso di Santa Tecla, nel villaggio a maggioranza cristiana di Maalula, a 60 km a nord di Damasco. Lo sostiene l'agenzia del regime Sana, secondo cui "fonti locali hanno detto che i ribelli hanno fatto irruzione nel convento prendendo in ostaggio la madre superiora, Pelagia Sayyaf, e altre suore". Maalula è nell'area montuosa di Qalamun, dove nelle ultime settimane si sono intensificati gli scontri tra forze armate governative e le milizie ribelli. L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (organizzazione vicina all'opposizione anti-Assad con base a Londra) ha confermato che i ribelli hanno ripreso il controllo di Maalula, ma non ha parlato della presa in ostaggio delle religiose nel convento. I jihadisti si erano impadroniti una prima volta del villaggio in settembre e ne avevano danneggiato le chiese. Successivamente erano stati respinti dalle forze lealiste e da milizie cristiane armate, ma erano rimasti sulle alture circostanti e i loro cecchini avevano continuato a colpire il centro.

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    India: card. Gracias fra i poveri di Dharavi per l'inizio dell'Avvento

    ◊   Una visita pastorale tra i poveri dello slum di Dharavi, per celebrare l'inizio dell'Avvento e rispondere ai bisogni di chi è in difficoltà. È così che il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), ha lanciato la Campagna per l'Avvento contro la fame e la malattia. Nata da una collaborazione con la Caritas India, l'iniziativa ha l'obiettivo di creare maggiore consapevolezza nella società verso i poveri che vivono nei grandi nuclei urbani, seguendo il tema "Lotta per la sopravvivenza - Portare speranza ai poveri della città". Il porporato ha visitato lo slum di Mumbai il 22 novembre scorso. Dharavi è considerata la baraccopoli più grande dell'Asia. Creata nel 1880 in pieno colonialismo britannico, oggi conta una popolazione numerosissima (tra i 300mila e il milione di abitanti), multi-religiosa e multi-etnica. Da un certo punto di vista, racchiude molti aspetti negativi dell'India: fogne a cielo aperto, pile di immondizia ovunque, sporcizia e baracche pericolanti. "Papa Francesco - ha spiegato il cardinale lanciando l'iniziativa - ha dedicato il suo pontificato alla giustizia economica, l'uguaglianza e la pace. Nelle sue visite alle comunità meno abbienti, egli ha elogiato il coraggio dei poveri, esortando la società ad accoglierli con amore e compassione". Dentro Dharavi sorge la parrocchia di sant'Antonio, e nel raggio di circa 300 metri vi sono sei cappelle. Alla chiesa fanno riferimento due comunità cristiane in particolare: una di etnia tamil (circa 5mila persone) e una di etnia koli (circa mille persone). Il 22 novembre il card. Gracias ha visitato la parrocchia e le sei cappelle, fermandosi a pregare e a benedire ogni fedele che incontrava sul suo cammino. La gente ha detto di sentirsi "molto toccata dalla presenza dell'arcivescovo e dal suo modo dimesso di incontrare i più poveri tra i poveri". (R.P.)

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    Venezuela. Messaggio finale del Cam 4: “America Missionaria, condividi la tua fede!”

    ◊   "Rendiamo grazie a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo per questi giorni insieme, di riflessione, di preghiera e di proposte per agire verso e dalle Chiese particolari della nostra America. Cinque conferenze, 22 forum, celebrazioni liturgiche e molte testimonianze missionarie sono diventate un nuovo impulso per continuare nella nostra evangelizzazione verso l'interno (inter gentes) e verso l'esterno (ad gentes). I Forum si sono sviluppati attorno a 5 temi guida: discepolato, conversione, secolarizzazione, multiculturalità e missione ad gentes". Sono le prime parole del Messaggio di chiusura del Quarto Congresso Missionario Americano (Cam 4) e Nono Congresso Missionario Latino-americano (Comla 9) che si è concluso ieri, con l’invio missionario e l’annuncio della sede del prossimo Cam: la Bolivia nel 2018. Nel Messaggio si ringrazia, in modo speciale, Papa Francesco per aver ricordato l'impegno della Missione Continentale promossa da Aparecida, e per la presenza del suo Inviato speciale, il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il quale "ci ha ricordato che la missione ad gentes è compito di tutta la Chiesa". I partecipanti si dicono certi che “lo Spirito di Gesù ci dona l’ardore e la creatività per realizzare nelle nostre comunità gli orientamenti pastorali emersi da questo Congresso”, quindi elencano: Discepolato: incontrare Gesù e predicarlo come discepoli missionari. Conversione: ascoltare la Parola e denunciare l'ingiustizia. Secolarizzazione: preparare un dialogo con tutti per promuovere lo sviluppo nella vita politica, sociale, economica, culturale ed ecologica delle società. Multiculturalità: promuovere una pastorale e una liturgia che considerino la realtà culturale dei popoli, specialmente quella dei popoli indigeni e culturalmente emergenti. Missione Ad Gentes: le Conferenze episcopali, nell’arco di 5 anni, scelgano un luogo di missione dove inviare, dopo una formazione adeguata, religiosi, sacerdoti e laici. Il Messaggio si conclude con questa invocazione: “La Madonna di Guadalupe, San Juan Diego, Santa Teresina del Bambino Gesù, San Francesco Saverio illuminino la nuova tappa di evangelizzazione alla quale ci invita Papa Francesco: America missionaria, condividi la tua fede”. (R.P.)

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    Centrafrica: soldati congolesi e francesi a Bangui. Ribelli in fuga

    ◊   Sono stati dispiegati ieri a Bangui, con un volo proveniente da Brazzaville, 500 militari congolesi nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca), il contingente panafricano che sta subentrando alla forza militare dell’Africa centrale (Fomac). Berretti neri e passaporto di servizio in tasca, i 500 soldati messi a disposizione della Repubblica del Congo hanno raggiunto i 350 colleghi già operativi nel Paese. La loro missione, dalla durata minima prevista di sei mesi, è “ristabilire la pace in Centrafrica”, sempre più instabile dal colpo di stato della coalizione ribelle Seleka che lo scorso 24 marzo ha portato al potere Michel Djotodia. Il comando della Misca, per il momento una forza panafricana, è stato affidato al generale congolese Jean-Marie Mokoko. A oggi la Misca può contare su 2500 elementi ma a pieno regime il contingente dovrebbe raggiungere i 3600 uomini. Difficoltà logistiche e finanziarie stanno rallentando il dispiegamento e la piena operatività della missione. A suo sostegno Parigi sta dispiegando rinforzi a Bangui: nel fine settimana sono arrivati 200 uomini che si aggiungono ai 400 soldati già presenti nella capitale. Nelle ultime ore hanno avviato lavori di sistemazione e ampliamento nei pressi dell’aeroporto internazionale M’poko per adattare le infrastrutture alle necessità di un prossimo intervento armato in Centrafrica. A giorni il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe approvare una risoluzione – presentata dalla Francia – che autorizzerà “l’uso del forza” da parte delle truppe africane e francesi e potrebbe dare il via libera al dispiegamento di caschi blu. Prospettive che, secondo alcune fonti di stampa locale, hanno già spinto esponenti della ribellione Seleka – sulla carta già sciolta da Djotodia – a ritirarsi da Bangui. Una mossa tattica che fa temere una nuova ondata di violenza e che rischia di complicare ulteriormente le operazioni dei contingenti stranieri. “I Seleka stanno lasciando Bangui, ma chi andrà a cacciarli e disarmarli nelle remote foreste al confine con Ciad, Sudan e Repubblica Democratica del Congo? Sarà una prova difficile” hanno già sottolineato fonti locali della società civile. Intanto per lottare all’insicurezza nella capitale, il ministero della Difesa ha ristabilito il coprifuoco nella capitale dalle 18 alle 5, vietando anche la circolazione delle motociclette. Una nota diffusa dal ministero fa riferimento a “progetti criminali preparati da ex membri della vecchia guardia presidenziale contro le nuove autorità” ma bloccati in tempo. Il governo di Djotodia è tornato a puntare il dito contro i gruppi di autodifesa ‘Anti-Balaka’, finora attivi solo nelle regioni centro-occidentali. Questi gruppi si starebbero però avvicinando alla capitale: pochi giorni fa hanno attaccato un villaggio a 55 chilometri da Bangui, causando quattro morti e una decina di feriti, tutti della comunità musulmana. In occasione del 55° anniversario dell’indipendenza, che ricorreva ieri, Djotodia – ex capo militare della Seleka – ha promesso di convocare una conferenza nazionale per “consentire ai centrafricani di ritrovarsi e di parlarsi per trovare i rimedi ai problemi che affliggono la nostra nazione”, insistendo sul fatto che “la riconciliazione è l’unica strada da percorrere”. In merito alla forza militare internazionale che si sta dispiegando, il Presidente di transizione ha sottolineato che “dovrà restaurare a qualsiasi prezzo la sicurezza di cui i centrafricani hanno bisogno per vivere tranquilli e lavorare regolarmente”. (R.P.)

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    Congo. Kabila a Goma: "La lotta non è finita"

    ◊   “La lotta ai gruppi armati non è terminata. Solo una fase della guerra è terminata ma corriamo sempre il rischio che si apra un nuovo conflitto. Per questo motivo continueremo a prepararci per avere un esercito forte e dissuasivo”: sono queste le parole pronunciate dal presidente Joseph Kabila nell’atteso discorso tenuto ieri a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Il capo dello Stato ha chiesto alla popolazione di “rimanere vigile per non essere sorpresa se un’altra guerra dovesse cominciare”, augurandosi che i congolesi siano “pronti a combattere e a vincere”. Kabila è impegnato in una visita nell’est del Paese, un percorso di 1200 chilometri cominciato il 20 novembre dopo la sconfitta all’inizio del mese scorso della ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) da parte delle truppe regolari (Fardc), sostenute dalla locale missione Onu (Monusco). Il capo dello Stato ha lanciato un ultimatum a tutte le milizie ancora attive, avvertendo che “in caso di mancato disarmo volontario saranno disarmate con la forza”. Dopo aver sottolineato che “la più grande promessa è stata realizzata, quella della pace”, Kabila ha annunciato che è giunta l’ora dello sviluppo per il Nord Kivu, impegnandosi a lanciare una serie di “progetti di sviluppo entro il prossimo trimestre”. Al di là della crisi umanitaria in atto, nella ricca regione mineraria mancano servizi e infrastrutture. Nel suo discorso il presidente ha anche puntato il dito contro i Paesi confinanti, senza però nominarli, accusando “i vicini di utilizzare il Nord Kivu come una porta di accesso al Congo”. Proprio oggi Kabila è atteso a Kampala dove incontrerà il suo omologo ugandese Yoweri Museveni, mediatore nei colloqui sospesi da tre settimane tra Kinshasa e i ribelli dell’M23 che si sono arresi lo scorso 5 novembre. Le due parti, come auspicato dalla comunità regionale ed internazionale, devono ancora firmare un accordo per sancire la fine delle ostilità in Nord Kivu. La ribellione filo-tutsi, nata nell’aprile 2012, ha goduto del sostegno politico, finanziario e militare del Rwanda e dell’Uganda. Intanto la missione Onu in Congo ha annunciato che droni (aerei senza pilota) “saranno operativi a partire dalla prossima settimana” per sorvegliare la frontiera. Secondo il vice segretario delle Nazioni Unite incaricato delle operazioni di mantenimento della pace, Hervé Ladsous, “si tratta di uno strumento essenziale per progredire sul piano militare”. Dopo la sconfitta dell’M23, i Caschi blu e i soldati congolesi hanno annunciato come prioritaria la lotta ai ribelli ruandesi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr) e , in prospettiva, alla ribellione ugandese delle Adf-Nalu. Al di là di questi due gruppi, una quarantina di milizie locali è ancora attiva nell’est del Congo; alcune di queste hanno aderito da poche settimane al processo di disarmo volontario. (R.P.)

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    Africa: i rischi di "cure miracolose" per l'Aids

    ◊   Una “nuova generazione di chiese” che promettono "cure miracolose" sta avendo un impatto deleterio nella lotta all’Hiv/Aids. Lo afferma il Ministro della Salute della Liberia, David Logan, secondo il quale il diffondersi di nuovi culti che fanno leva sulle credenze tradizionali in guarigioni "miracolose" fa sì che un numero crescente di persone non richieda cure adeguate. “A differenza della Chiesa cattolica, luterana o episcopale, le nuove Chiese affermano di essere in grado di offrire una liberazione spirituale, attraverso la quale ottenere guarigioni miracolose. Si tratta di un’opzione allettante per diverse persone che vivono nella Liberia del dopo guerra” ha affermato il Ministro alla Thomson Reuters Foundation. “I costi dei trasporti insieme al marchio derivante dal rivelare di essere affetti dal virus dell’Hiv comporta che i pazienti delle comunità periferiche sono più propensi a cercare aiuto nelle vicine nuove Chiese locali piuttosto che nei Centri medici basati nella capitale” ha aggiunto il Ministro. In Liberia, che si sta ancora riprendendo da quasi 15 anni di guerra civile, vivono circa 18.000 persone che hanno bisogno di una terapia anti-retrovirale (Art). L’accoglienza delle persone affette dal virus Hiv e dei malati di Aids è stato il tema centrale del messaggio di Caritas Dakar in occasione della Giornata Mondiale della lotta all’Aids, che si è celebrata ieri. “Le persone che vivono con l’Hiv o sono colpite dall’Aids sono ancora oggetto di pregiudizi e discriminazioni” afferma il comunicato inviato a Fides. “Non si possono tollerare queste abitudini che offendono le persone nella loro dignità umana e le dissuadono dal farsi sottomettere ai controlli e alle cure”. La Caritas Senegal attraverso la delegazione diocesana di Dakar e particolarmente con la sua antenna del Pari (Point d’Accueil des Réfugiés et Immigrés) è da tempo impegnata nel sostenere le persone affette da Hiv/Aids. (R.P.)

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    Lotta alle mine anti-persona. Un anno da record

    ◊   Meno vittime, più fondi e più opere di bonifica: sono le tendenze rilevate in un rapporto che fa il punto sulla lotta contro le mine anti-persona a 16 anni dalla firma del Trattato di Ottawa per la messa al bando di questo tipo di ordigni. Secondo il Landmine Monitor 2013, diffuso a Ginevra dalla Campagna internazionale per la messa al bando delle mine, tra il 2011 e il 2012 il numero di persone uccise o ferite dall’esplosione di questo tipo di ordigni o da frammenti di bombe a grappolo è diminuito da 4.474 a 3.628. Si tratta - riporta l'agenzia Misna - del livello più basso dall’inizio delle rilevazioni 14 anni fa. Le note positive riguardano anche le estensioni di territorio bonificato. Tra il 2011 e il 2012 si è passati da 190 a 281 chilometri quadrati. Anche in questo caso un record, che grazie a stanziamenti complessivi per 681 milioni di dollari ha permesso di distruggere ben 240.000 ordigni. Secondo i responsabili della Campagna, “in conseguenza dell’approvazione del Trattato di Ottawa l’uso delle mine anti-persona si è ridotto in modo evidente ma non è ancora cessato”. Particolarmente critica la situazione nello Yemen, dove tra il 2011 e il 2012 il numero di vittime degli ordigni è aumentato da 19 a 263. Tra lo scorso anno e l’inizio del 2013, del resto, mine sono esplose in Myanmar, Siria, Afghanistan, Colombia, Pakistan, Thailandia e Tunisia. Al Trattato di Ottawa hanno aderito 160 Paesi, ma non potenze mondiali o regionali come Stati Uniti, Russia, Cina, India e Pakistan. Il Landmine Monitor 2013 è stato diffuso prima dell’inizio, lunedì a Ginevra, della tredicesima riunione degli Stati firmatari dell’accordo. (R.P.)

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    Repubblica Dominicana: la Chiesa è pronta a mediare sulla questione degli immigrati haitiani

    ◊   Il nuovo nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana, mons. Jude Thaddeus Okolo, nominato il 7 ottobre, ha chiesto ieri la ripresa del dialogo tra Repubblica Dominicana e Haiti. Qualora entrambi i Paesi lo ritenessero necessario, la Chiesa cattolica è disponibile a mediare. Mons. Okolo si è espresso anche sulla sentenza 168-13 del Tribunale Costituzionale, che prevede la revoca della cittadinanza dominicana agli immigrati haitiani figli di irregolari che sta provocando tensioni tra i due Paesi. "Vogliamo il dialogo tra le due parti, e anche trovare una soluzione umana, oltre a questa sentenza", ha sottolineato il rappresentante diplomatico del Vaticano nella sua prima dichiarazione pubblica ai giornalisti dominicani dopo aver assunto il suo incarico. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, il nunzio ha parlato alla stampa dopo la cerimonia di inaugurazione del primo Centro di Assistenza Integrale (Caid), un'iniziativa dell'Ufficio della Prima Donna del Paese, Candida Montilla de Medina, che era presente insieme al Presidente Danilo Medina. Rispondendo ai giornalisti sulla possibile mediazione per il ripristino del dialogo tra le due nazioni, l’arcivescovo ha risposto : "Questo si vedrà, prima dobbiamo lasciare fare loro. Ci sono degli esperti e dobbiamo lasciarli lavorare. Solo in seguito la Chiesa vedrà cosa può fare". All’insistenza dei giornalisti sull’argomento, mons. Okolo ha detto: "Comunque, se le parti lo vogliono, la Chiesa è sempre pronta". (R.P.)

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    Indonesia. Nord Sumatra: centinaia di islamisti attaccano comunità protestante

    ◊   Un gruppo di estremisti appartenenti al Fronte di difesa islamico ha attaccato e interrotto la funzione domenicale della Huria Kristen Batak Protestant (Hkbp) di Tandem, nella città di Binjai, provincia indonesiana di North Sumatra. Investiti da una selva di minacce provenienti da esponenti della frangia fondamentalista, centinaia di fedeli della locale comunità cristiana hanno dovuto abbandonare la loro chiesa - ufficiale e riconosciuta - e chiudere in anticipo il tradizionale rito del fine settimana. Essi hanno fatto rientro nelle loro abitazioni, scortati dalle forze di polizia in assetto anti-sommossa. Testimoni oculari riferiscono che all'assalto di ieri mattina ai danni della comunità cristiana protestante hanno preso parte centinaia di membri del Fpi, sostenuti da alcuni gruppi islamisti locali. Gli assalitori - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno esclamato a gran voce che la "chiesa" non è legale; le autorità della zona, secondo gli estremisti, non avrebbero preso alcuna decisione in merito alla eventuale legittimità di "attività finalizzate al culto" all'interno dell'edificio. L'attacco degli islamisti arriva in concomitanza con la decisione delle autorità locali, che devono stabilire se il luogo di culto cristiano possiede o meno i requisiti di validità. Il caso è ancora pendente e l'azione a sorpresa delle frange estremiste potrebbe essere finalizzata a mettere pressione sui giudici. Ahmad Nasir, coordinatore Fpi, sottolinea che dietro l'interruzione delle funzioni della Hkbp vi è il "sostegno" politico delle autorità locali, come in precedenza assicurato nel corso di una speciale sessione del 27 novembre 2013. Durante l'incontro si è discusso della questione con i vertici di Binjai. Gli islamisti affermano che la "chiesa" non è legale, perché il caso "è tuttora pendente in aula" e non avrebbe ricevuto il benestare della popolazione della zona. Zainnudin Purba, parlamentare di Binjai, punta il dito contro l'amministrazione locale che in cinque anni non ha saputo prendere una decisione in merito. L'Indonesia è la nazione musulmana più popolosa al mondo (l'86% professa l'islam) e, pur garantendo fra i principi costituzionali le libertà personali di base (fra cui il culto), diventa sempre più teatro di violenze e abusi contro le minoranze. I cristiani sono il 5,7% della popolazione, i cattolici poco più del 3%, l'1,8% è indù e il 3,4% professa un'altra religione. Nella provincia di Aceh - unica nell'arcipelago - vige la legge islamica e in molte altre aree si fa sempre più radicale ed estrema l'influenza della religione musulmana nella vita dei cittadini. In prima fila nella campagna di "islamizzazione" vi sono i membri del Fronte di difesa islamico (Fpi) che dettano legge in diverse zone imponendo norme e regolamenti ispirati alla sharia, come il divieto di bevande alcoliche e altri regolamenti in tema di morale sessuale. Il gruppo - osteggiato da gran parte della popolazione civile è accusato anche di bloccare la costruzione di chiese e di usare la violenza per raggiungere i propri obiettivi: in passato ha lanciato una serie di attacchi a partire dal 2000, che hanno colpito fra gli altri l'ambasciata degli Stati Uniti e bar, nightclub e circoli privati, soprattutto un occasione del Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera. (R.P.)

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    Filippine: premio al movimento “Silsilah” per il dialogo cristiano islamico

    ◊   “Abbiamo scelto la strada stretta di chi vive e promuove una cultura del dialogo a partire da una trasformazione personale, in mezzo alle divisioni e conflitti. Questo è per noi il modo migliore di lavorare insieme per la trasformazione sociale, verso una visione di pace”. Così si è espresso padre Sebastiano D’Ambra, missionario Pime, ricevendo, a nome del movimento “Silsilah”, attivo delle Filippine Sud dal 1984, il prestigioso “Goi Peace Award 2013”. Il premio è stato assegnato il 27 novembre scorso a Tokyo, in una celebrazione organizzata dalla “Goi Foundation”, e intitolata “Costruire una cultura del dialogo per la pace”. Fra gli apostoli e i testimoni che hanno operato nel movimento “Silsilah” (che significa “catena”), p. D’Ambra ha citato, nel discorso inviato all’agenzia Fides, il suo confratello del Pime padre Salvatore Carzedda, ucciso a Zamboanga il 20 maggio 1992, proprio durante un corso estivo per il dialogo islamo-cristiano, organizzato da Silsilah. Ha ricordato, poi, tutti gli altri soci, operatori e volontari che in quasi 30 anni di attività hanno profuso impegno, energie e tutta la vita per l’opera del movimento. Il motto del “Silsialh” è “Padayon!”, che significa “Andiamo avanti!”, per esprimere la determinazione a vivere e promuovere la cultura del dialogo nella società. La Fondazione Goi ha riconosciuto a “Silsilah” di aver non solo contribuito a “far progredire il processo verso una pace duratura nelle vostre comunità”, ma anche di aver ispirato molte persone in tutto il mondo “con l’esempio di vero dialogo basato su valori spirituali”. “Vi ringrazio molto per aver apprezzato il nostro sforzo e la nostra missione, basata su valori spirituali”, ha detto D’Ambra. “Continuiamo a credere che il dialogo e la pace devono basarsi su valori spirituali. Il dialogo spesso è considerato una strategia, ma per noi il dialogo è, prima di tutto, una spiritualità perché riteniamo il dialogo un'espressione dell’amore in azione, del silenzio e dell'armonia”. “Guidati dalla consapevolezza che il dialogo parte da Dio e conduce le persone a Dio, promuoviamo una spiritualità della ‘vita-in-dialogo’, che sfida tutti noi, persone di diverse culture e religioni, a camminare i insieme per l'armonia , la solidarietà e la pace”, ha spiegato. Il missionario ha ricordato quanti soffrono per la violenza in Siria, in Egitto, in Pakistan e in molte altre parti del mondo dove “l'avidità di potere, spesso aggravata da differenze culturali e religiose , sta trasformando la casa comune di questo mondo in una casa divisa. Il grido dei poveri e le tante vittime della violenza ci ricordano l’urgente necessità di lavorare insieme per il bene comune”. Padre D’Ambra ha lanciato un appello: “E’ tempo per noi di ricominciare a invitare musulmani e cristiani a ricostruire la cultura del dialogo basato su valori spirituali. La cultura del dialogo è dinamica, ma inizia dal punto in cui ci troviamo, la nostra cultura e dalla nostra religione, e va oltre la paura e il conflitto”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 336

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.