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Sommario del 17/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: Gesù è l’avvocato che ci difende dal male e non ci lascia mai soli
  • Tweet del Papa: entrare nella gloria di Dio esige fedeltà alla sua volontà e sacrificio
  • Cordoglio del Papa per i terremotati in Iran e Pakistan, incerto il numero delle vittime
  • Papa Francesco: no alla Chiesa babysitter, i laici riscoprano la responsabilità di battezzati
  • Il Papa riceve l'ambasciatore saudita latore di un messaggio di Re Abdullah
  • Il Papa nomina due eparchi per la Chiesa maronita in Australia e Argentina
  • “Famiglia, prima impresa”. Convegno promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Boston: identificata la terza vittima. Il dolore dell'Ambasciata Usa in Vaticano
  • Iraq: grave ondata di violenza. Mons. Warduni: non dimenticateci
  • Proteste in Venezuela dopo il voto. L'opposizione contesta un milione di schede
  • Sant'Egidio: Progetto Dream contro la mortalità materna in Africa pe Aids
  • Cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia: favorevole il 71% degli italiani
  • Giornata mondiale dell’emofilia, nel mondo oltre 7 milioni le persone colpite
  • "Viaggio in Italia di J.S. Bach": stasera a Roma concerto di beneficenza della Fondazione Montalcini
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • A Londra, funerali di Stato per l'ex premier Margareth Thatcher
  • Argentina. I vescovi: per la riforma della giustizia occorre profondo discernimento
  • Bolivia: difesa della vita e appello alla pace i temi al centro della Plenaria dei vescovi
  • Centrafrica: il premier chiede aiuti esterni per la popolazione allo stremo
  • Nigeria. Il card. Onaiyekan: amnistia ai Boko Haram solo se si pentono e risarciscono le vittime
  • Congo: Caritas Congo distribuirà i fondi della colletta nazionale per l’est
  • Darfur: l'esercito sudanese conquista una città sotto il controllo dei ribelli
  • Egitto: Tawadros II incontra le vittime di al-Khosous
  • Tibet. Si autoimmola una giovane madre: sale a 115 il numero delle vittime
  • Pakistan: scagionato da leader musulmani il giovane accusato di blasfemia
  • India: in Kashmir false accuse ai cristiani per “conversioni di bambini”
  • Usa: la Chiesa saluta con favore nuove restrizioni all’aborto in Kansas e Virginia
  • Brasile: capi indigeni si battono in parlamento per difendere le loro terre
  • Messico: torture e violenze per un totale di 48.300 persone scomparse dal 2005 al 2012
  • Senegal: migliaia di bambini di strada chiedono l'elemosina
  • Visita dei vescovi inglesi in Zimbabwe e Sud Africa
  • Francia. Il card. Vingt-Trois sulle nozze gay: società divisa. Mons. Pontier nuovo capo dei vescovi
  • La Chiesa inglese e gallese aderisce alla legge di iniziativa popolare europea “Uno di noi"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: Gesù è l’avvocato che ci difende dal male e non ci lascia mai soli

    ◊   La vita cristiana è una sintesi di preghiera e azione, che deve essere condotta nella certezza che Cristo è sempre vicino e ci “difende dalle insidie” del male. Sono alcune delle esortazioni di Papa Francesco all'udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro. Di fronte a circa 80 mila fedeli, il Pontefice ha parlato dell’Ascensione di Gesù affermando che con essa l’uomo ha guadagnato un “avvocato” presso Dio. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis:

    Dio è amore e quindi non un giudice dell’uomo, allo stesso modo in cui suo Figlio non è un accusatore ma un difensore che protegge l’uomo dal male e lo protegge sempre. La lettura che Papa Francesco dà dell’Ascensione colpisce i cuori delle 80 mila persone che riempiono Piazza San Pietro e applaudono a ripetizione le parole del Pontefice. Del quale colpisce pure l’ennesimo, simpatico gesto avvenuto durante il giro iniziale in jeep, quando il Papa scambia il suo zucchetto bianco con un altro che gli tende un uomo da dietro una transenna. Un Pontefice così genuinamente vicino alla gente, che cede il suo copricapo con la stessa spontaneità con cui due giovani farebbero a cambio con i loro cappellini, appare l’esemplificazione di Gesù sempre vicino all’uomo – di più, un “avvocato”, il “nostro difensore presso il Padre” – che Papa Francesco evoca pochi minuti dopo citando San Giovanni:

    “Ma che bello sentire questo, no? Quando uno è chiamato dal giudice o viene in causa, la prima cosa che fa è cercare un avvocato perché lo difenda. Noi ne abbiamo uno, che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati! Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo questo avvocato: non abbiamo paura di andare da Lui a chiedere perdono, a chiedere benedizione, a chiedere misericordia! Lui ci perdona sempre, è il nostro avvocato: ci difende sempre! Non dimenticate questo!".

    Questo è quanto ha prodotto l’Ascensione al cielo di Gesù. E Papa Francesco lo sottolinea un istante dopo con un’altra immagine efficace:

    “Lui è come un capo cordata quando si scala una montagna, che è giunto alla cima e ci attira a sé conducendoci a Dio. Se affidiamo a Lui la nostra vita, se ci lasciamo guidare da Lui siamo certi di essere in mani sicure, in mano del nostro Salvatore, del nostro avvocato”.

    Parlando di Gesù “salito al cielo”, Papa Francesco avanza di un passo lungo la spiegazione settimanale delle varie affermazioni da cui è formata la preghiera del “Credo”. In particolare, l’Ascensione – osserva – ha delle conseguenze pratiche sulla quotidianità della fede:

    “Anche noi dobbiamo avere chiaro, nella nostra vita cristiana, che l’entrare nella gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche quando richiede sacrificio, richiede alle volte di cambiare i nostri programmi”.

    Gli stessi “programmi” che Gesù cambia ascendendo al cielo davanti agli Apostoli, scomparendo alla loro vista ma diventando più vicino a loro e alla loro nascente missione ancor più della prossimità fisica sperimentata nei tre anni precedenti. Anche questo aspetto, mette in chiaro Papa Francesco, è una chiara indicazione di vita per i cristiani di oggi:

    “Cari fratelli e sorelle, l’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo (…) È proprio l’invito a partire dalla contemplazione della Signoria di Gesù, per avere da Lui la forza di portare e testimoniare il Vangelo nella vita di ogni giorno: contemplare e agire, ora et labora insegna san Benedetto, sono entrambi necessari nella nostra vita di cristiani”.

    Gli ormai consueti saluti finali in sette lingue alla folla – con l’alternanza fra le sintesi delle catechesi offerte dagli speaker e le considerazioni in italiano del Papa, eccetto quelle in spagnolo – completano l’udienza generale che vive ancora un altro sussulto quando Papa Francesco si è rivolto ai giovani presenti in Piazza, molti dei quali studenti:

    “Siate pronti a seguirlo con entusiasmo. Non si può capire un giovane senza entusiasmo! Seguire il Signore con entusiasmo, eh?, lasciarsi guardare da Lui”.

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    Tweet del Papa: entrare nella gloria di Dio esige fedeltà alla sua volontà e sacrificio

    ◊   Papa Francesco ha lanciato due nuovi tweet al termine dell’udienza generale: “L’Ascensione al cielo di Gesù - si legge nel primo - non indica la sua assenza, ma che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo, vicino ad ognuno di noi”. Nel secondo tweet, il Pontefice scrive che “entrare nella gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche quando richiede sacrificio”. L'account Twitter del Papa in nove lingue conta oltre 5 milioni e mezzo di follower.

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    Cordoglio del Papa per i terremotati in Iran e Pakistan, incerto il numero delle vittime

    ◊   Il pensiero del Papa è corso stamane alle vittime del terremoto che ha colpito ieri le regioni del Sistan e del Baluchistan, al confine Iran e Pakistan, mentre manca ancora un bilancio certo su morti, feriti e danni materiali. Al momento sarebbe 41 le vittime ed almeno 150 i feriti in territorio pakistano e una sola vittima e 12 feriti nella zona iraniana. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Parole di solidarietà per chi sta soffrendo a causa del sisma: così Papa Francesco al termine dell’udienza generale:

    “Ho appreso con tristezza del violento sisma che ha colpito le popolazioni dell’Iran e del Pakistan, portando morte, sofferenza, distruzione. Innalzo una preghiera a Dio per le vittime e per tutti coloro che sono nel dolore e desidero manifestare al popolo iraniano e a quello pakistano la mia vicinanza”.

    Le notizie che giungono dalle remote zone del terremoto sono ancora incerte, e le poche immagini di devastazioni - che rimandano i media e che hanno preoccupato grandemente la comunità internazionale - non trovano per ora conferme ufficiali di bilanci più gravi, soprattutto sul fronte iraniano. Ma certo la grande distanza delle aree terremotate da Teheran e la scarsa propensione alla trasparenza del governo iraniano inducono a restare in allerta. Intanto aiuti sono stati offerti dagli Stati Uniti ad entrambi i Paesi. E così anche gli organismi umanitari sono pronti ad intervenire se necessario, come ci spiega da Beirut Rosette Hechaime, segretaria della Caritas in Medio Oriente e Nord Africa (Mona), competente per l’Iran:

    R. - Oggi abbiamo appena ricevuto notizie dalla responsabile della Caritas in Iran. Finora non si hanno cifre esatte sul numero delle vittime, che probabilmente non saranno altissime in quanto questa regione non è molto popolata.

    D. - Sì, ma ci sono immagini di interi villaggi rasi al suolo, quindi ci saranno anche sfollati ...

    R. - Ufficialmente non sono stati ancora comunicati dati precisi di quello che può essere accaduto alla popolazione. E' vero, però, sicuramente i danni sono importanti ma per il momento sia il ministero degli Interni sia la Mezzaluna Rossa riescono a fornire il primo aiuto che si rende necessario. Adesso si sa anche che si stanno organizzando aiuti da inviare nella regione di Bushehr, dove si è verificato il primo terremoto.

    D. - Si hanno invece notizie più certe per quanto riguarda le vittime in Pakistan. Forse lì sarà più semplice intervenire ...

    R. - Può darsi. Per il momento non abbiamo informazioni accurate. Quello che è sicuro è che è una situazione di emergenza piuttosto complicata da gestire, perché si tratta di villaggi abbastanza isolati tra loro, situati magari sulle colline dove per il momento è piuttosto difficile intervenire.

    D. - Quali sono al momento i rapporti con le autorità?

    R. - La Caritas in Iran è stata molto apprezzata al momento del terremoto di Bam, quindi oggi si sta riallacciando un rapporto che non si era mai interrotto ma che si rinnova in questa occasione, qualora venisse richiesto un lavoro in comune.

    D. - Resta comunque l'allerta della comunità internazionale per eventuali aiuti ...

    R. - Speriamo che queste tragedie che succedono possano avvicinare i Paesi e le persone. La Caritas in Iran è in allerta ed è disposta a rendersi utile, e sta lavorando per fornire aiuti in generi alimentari e in generi di prima necessità.

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    Papa Francesco: no alla Chiesa babysitter, i laici riscoprano la responsabilità di battezzati

    ◊   La potenza del Battesimo spinge i cristiani al coraggio di annunciare Cristo anche senza sicurezze, anche tra le persecuzioni: lo ha affermato Papa Francesco durante la Messa presieduta stamani nella Domus Sanctae Marthae, alla presenza di un gruppo di dipendenti dello Ior. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Anche oggi l’omelia del Papa ha preso spunto dal brano degli Atti degli Apostoli: la prima comunità cristiana di Gerusalemme vive in pace e nell’amore, ma subito dopo il martirio di Santo Stefano scoppia una violenta persecuzione. “Questo – ha osservato il Pontefice - è un po’ lo stile della vita della Chiesa: fra la pace della carità e la persecuzione”. E’ quello che accade sempre nella storia “perché è lo stile di Gesù”. Con la persecuzione, molti fedeli fuggono nella Giudea e nella Samaria e qui annunciano il Vangelo, anche se sono soli, senza sacerdoti, perché gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme:

    “Hanno lasciato la casa, hanno portato con sé forse poche cose; non avevano sicurezza, ma andarono di luogo in luogo annunciando la Parola. Portavano con sé la ricchezza che avevano: la fede. Quella ricchezza che il Signore aveva dato loro. Sono semplici fedeli, appena battezzati da un anno o poco più, forse. Ma avevano quel coraggio di andare ad annunziare. E gli credevano! E facevano miracoli!”.

    Questi primi cristiani – osserva il Papa - avevano soltanto “la forza del battesimo” che “dava loro questo coraggio apostolico, la forza dello Spirito”:

    “Io penso a noi, battezzati: se noi abbiamo questa forza e penso: ma noi, crediamo in questo? Che il battesimo basti, sia sufficiente per evangelizzare? O ‘speriamo’ che il prete dica, che il vescovo dica … E noi? Poi, la grazia del battesimo è un po’ chiusa, e noi siamo serrati nei nostri pensieri, nelle nostre cose. O a volte pensiamo: ‘No, noi siamo cristiani: ho ricevuto il battesimo, ho fatto la cresima, la prima comunione … la carta d’identità è a posto’. E adesso, dormi tranquillo: sei cristiano. Ma dov’è questa forza dello Spirito che ti porta avanti?”.

    Occorre – afferma il Papa - essere “fedeli allo Spirito per annunciare Gesù con la nostra vita, con la nostra testimonianza e con le nostre parole”:

    “Quando facciamo questo, la Chiesa diventa una Chiesa Madre che genera figli, figli, figli perché noi, figli della Chiesa, portiamo quello. Ma quando non lo facciamo, la Chiesa diventa non madre, ma la Chiesa babysitter, che cura il bambino per farlo addormentare. E’ una Chiesa sopita. Pensiamo al nostro battesimo, alla responsabilità del nostro battesimo”.

    Il Papa ricorda le persecuzioni in Giappone nel 17.mo secolo, quando i missionari cattolici furono cacciati e le comunità cristiane restarono per 200 anni senza preti. Al loro ritorno, i missionari trovarono “tutte le comunità a posto, tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa”. Grazie all’opera dei battezzati:

    “C’è una grande responsabilità per noi, i battezzati: annunciare Cristo, portare avanti la Chiesa, questa maternità feconda della Chiesa. Essere cristiano non è fare una carriera in uno studio per diventare un avvocato o un medico cristiano; no. Essere cristiano … è un dono che ci fa andare avanti con la forza dello Spirito nell’annuncio di Gesù Cristo”.

    Durante la persecuzione dei primi cristiani – ricorda infine il Papa – Maria “pregava tanto” e animava quanti erano battezzati ad andare avanti con coraggio:

    “Chiediamo al Signore la grazia di diventare battezzati coraggiosi e sicuri che lo Spirito che abbiamo in noi, ricevuto dal battesimo, ci spinge sempre ad annunciare Gesù Cristo con la nostra vita, con la nostra testimonianza e anche con le nostre parole. Così sia”.

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    Il Papa riceve l'ambasciatore saudita latore di un messaggio di Re Abdullah

    ◊   Al termine dell’udienza generale, il Papa ha ricevuto nello studio dell’Aula Paolo VI, l’ambasciatore del Regno dell’Arabia Saudita in Italia, Saleh Mohammad Al Ghamdi, latore di un messaggio del Re Abdullah bin Abdulaziz Al Saud.

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    Il Papa nomina due eparchi per la Chiesa maronita in Australia e Argentina

    ◊   In Australia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Saint-Maron of Sydney dei Maroniti, presentata da mons. Ad Abikaram, in conformità al can. 210 – par. 1 del CCEO. Al suo posto, il Pontefice ha nominato padre Antoine Tarabay, dell’Ordine libanese maronita, finora superiore del convento di Saint Charbel in Sydney. Il neo presule è nato il 15 novembre 1967 a Tannourine - Caza de Batroun. Nel 1980 entrato nell’Ordine Libanese Maronita, dove ha emesso la professione perpetua il 17 ottobre 1992 ed stato ordinato sacerdote l’11 luglio 1993. Dopo aver ottenuto il baccellierato in filosofia e teologia all’Università "Saint-Esprit" di Kaslik (1993), ha conseguito la licenza (1996) ed il dottorato in teologia morale alla Pontificia Accademia Alfonsiana di Roma (1999). Si è specializzato in bioetica all’Istituto Giovanni Paolo II per Matrimonio e Famiglia di Roma ed ha ottenuto un diploma di approfondimento dei diritti dell’uomo all’Università Cattolica di Lione (1999). Ha alternato incarichi pastorali a compiti all’interno dell’Ordine. E’ stato cappellano dell’Università "Saint-Esprit" di Kaslik e vice parroco della chiesa "Saint Jean-Marc" di Jbeil (1993-1994); coordinatore del consiglio pastorale dell’Eparchia Maronita di Australia, insegnante e conferenziere nei centri di formazione eparchiali per adulti (2003-2005); responsabile per la formazione dei sacerdoti e seminaristi (2011 ad oggi). E’ stato promotore del centro studi e ricerche strategiche di Sydney (2011). Durante la sua permanenza in Libano, ha insegnato e tenuto conferenze di morale e bioetica all’Università Antonina di Baabda e in quella di "Saint-Esprit" di Kaslik (1999-2002). Nell’Ordine ha ricoperto i seguenti incarichi: cappellano dei monaci studenti del monastero "Notre-Dame des Secours" di Jbeil (1993-1994); direttore della scuola "Saint Charbel" di Sydney (2002-2005); direttore per gli affari degli studenti all’Università "Saint-Esprit" di Kaslik (2005-2007). Dal 2007, Superiore del convento e rettore della chiesa "Saint Charbel" in Sydney. Ha pubblicato diversi articoli. Parla arabo, inglese, francese, italiano e spagnolo.

    In Argentina, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di San Charbel en Buenos Aires dei Maroniti, presentata da mons. Charbel Merhi, M.L., in conformità al can. 210 – par. 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Al suo posto, il Pontefice ha nominato padre Habib Chamieh, dell’Ordine maronita della Beata Maria Vergine, al presente Maestro dei Novizi dell’Ordine Maronita della Beata Vergine Maria, elevandolo alla dignità episcopale ed assegnandogli la sede titolare di Nomento. Nato a Beirut il 7 ottobre 1966, è entrato nell’Ordine Maronita della Beata Maria Vergine a 15 anni. Dopo aver terminato gli studi superiori alla scuola “Notre-Dame de Louizé” a Zouk, è stato inviato a Roma, dove ha ricevuto la formazione filosofica e teologica all’Università Lateranense. Ha conseguito la licenza in teologia dogmatica all’Università Gregoriana. Ha emesso la professione perpetua il 7 settembre 1991 ed è stato ordinato sacerdote il 14 agosto 1992. Ha ricoperto diversi incarichi nel suo Ordine: formatore dei postulanti (1992-1995); vice direttore della scuola “Mar Abda” di Deir el Kamar (1995-1996); maestro dei professi scolastici (1997-1999); segretario generale dell’Ordine (1999-2005); cappellano dei professi scolastici a Roma (2005); economo del Convento “Saint Antoine le Grand” a Roma (2005-2006); maestro dei professi scolastici a Roma (2006-2007); superiore della missione mariamita in Uruguay (2008-2011); maestro dei novizi (dal 2011). Ha svolto attività pastorale nelle parrocchie di Zouk Mosbeh ed Achkout in Libano e di “Notre-Dame du Liban” di Montevideo per tre anni (2008-2011).

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    “Famiglia, prima impresa”. Convegno promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia

    ◊   “Famiglia, prima impresa”. A questo tema è dedicato, nel pomeriggio, il convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. Quello odierno è il primo di quattro incontri incentrati su tematiche specifiche di vita familiare affidate ad esperti, tra cui giuristi, sociologi, economisti, medici e psicologi. Laura De Luca ha intervistato Giovanni Giacobbe, giurista, già presidente del Forum delle associazioni familiari:

    R. – La famiglia non è un costo per lo Stato, ma è un investimento. Da ciò deriva che lo Stato deve predisporre tutte le provvidenze necessarie, perché questo investimento sia produttivo.

    D. – Prof. Giacobbe, come ha visto evolversi il ruolo, l’impatto che la famiglia ha avuto nella società italiana?

    R. – Vi sono elementi di crisi che scaturiscono da una molteplicità di fattori. Sono le condizioni nelle quali la famiglia è chiamata ad operare che hanno determinato una crisi dei rapporti all’interno della famiglia.

    D. – Come trovare una mediazione con le esigenze sempre più diversificate, eufemisticamente parlando, riguardo al tema della famiglia?

    R. – Queste ‘pseudo esigenze’, tanto per essere chiari - per esempio l’identificazione della famiglia anche nelle unioni tra omosessuali o nelle unioni non fondate sul matrimonio - per chi è chiamato ad operare nell’ambito dell’ordinamento italiano sono agevolmente superabili. La nostra Costituzione identifica la famiglia in quello che è il modello tipico, cioè la società naturale fondata sul matrimonio. Ogni altra tipologia fuoriesce dall’ambito della famiglia quale è delineata dalla Costituzione e rientra nel quadro di altre categorie, ispirate al principio di libertà personale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L’avvocato Gesù: all’udienza generale Papa Francesco invita a riflettere sulla figura del Salvatore quale difensore dell’uomo.

    La Chiesa non è una babysitter: messa del Pontefice a Santa Marta.

    Il giorno dal cuore spezzato: nell’informazione internazionale, da Boston, Robert P. Imbelli sul sanguinoso attentato durante la maratona.

    Una regina in Vaticano: in cultura, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e monsignor Cesare Pasini, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, sulla mostra – all’Armeria reale di Stoccolma - dedicata a Cristina di Svezia e ai manoscritti che nel 1690 entrarono nella biblioteca papale.

    Dalla Germania con le matite appuntite: il direttore Stefan Heid sui 125 anni dell’Istituto romano della Goerres-Gesellschaft nel Camposanto Teutonico.

    Un articolo di Davide Carbonaro, postulatore generale dei chierici regolari della Madre di Dio, dal titolo “Con gli occhi fissi sul drappo”: settantacinque anni fa davanti a cinquantamila pellegrini riuniti in piazza San Pietro veniva canonizzato Giovanni Leonardi (1541-1609).

    L’universo parallelo di Marisa Monte: Giuseppe Fiorentino sulla grande cantante brasiliana in concerto a Roma.

    Attraverso l’Arno in bicicletta: Elisabetta Galeffi ricorda Oriana Fallaci.

    E il tempo della fraternità sociale: nell’informazione religiosa, l’arcivescovo presidente José Maria Arancedo all’apertura dell’assemblea plenaria dei vescovi argentini, la prima dopo l’elezione al Soglio di Pietro di Jorge Mario Bergoglio.

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    Oggi in Primo Piano



    Boston: identificata la terza vittima. Il dolore dell'Ambasciata Usa in Vaticano

    ◊   A due giorni dall'attentato a Boston, negli Usa torna l'incubo delle lettere con sostanze velenose. Una missiva contenente ricina, altamente tossica, indirizzata a un senatore repubblicano è stata scoperta prima che venisse recapitata a Capitol Hill. Intanto, proseguono serrate le indagini degli inquirenti. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    E' stata identificata solo oggi la terza vittima dell'attentato di Boston. Si tratta di una studentessa cinese, che stava seguendo la maratona vicino alla linea del traguardo, lì dove sono esplosi i due ordigni, sui quali spuntano particolari inquietanti. Le bombe, infatti, potevano essere costruite con una spesa minima, pari a cento dollari. E’ il Washington Post che rilancia la notizia, facendo riferimento agli investigatori che stanno trattando il caso. Ricostruirne la matrice, però, e risalire al colpevole è una strada tutta in salita, scrive il giornale. Perché a due giorni dall'attentato non è giunta nessuna rivendicazione e non ci sono elementi di rilievo. Ecco perché l’Fbi continua a scandagliare il centro della città, alla ricerca di prove e indicazioni che potrebbero far imboccare la strada giusta. Al momento, sono soprattutto due le piste seguite dagli inquirenti. La prima porta al terrorismo di matrice interna legato alla destra militante. Ferdinando Fasce americanista dell’Università di Genova:

    "Ci sono alcuni elementi, che sono intanto l’anniversario dell’attentato di Oklahoma City e, in secondo luogo, l'aspetto della coincidenza con la data della giornata del pagamento delle tasse. Sotto questo profilo, uno degli argomenti più usati dalle forze dell’estrema destra – che in certi casi arrivano fino a queste forme militanti – è proprio il radicale antifiscalismo, il radicale rifiuto della fiscalità federale".

    L’altra pista, quella esterna, collega l’attentato a gruppi islamisti. Su questa ipostesi investigativa, si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il giornalista Paolo Mastrolilli, americanista del quotidiano ‘La Stampa’:

    "Al Qaeda generalmente operava in maniera diversa da quella che abbiamo visto a Boston. Naturalmente, questo non esclude che l’operazione abbia operato – come si dice – in franchising, cioè affidandosi a gruppi, a persone che si trovano già negli Stati Uniti, a cittadini americani solidali con la causa di al Qaeda. C’è anche la possibilità che al Qaeda abbia deciso di cambiare le proprie tattiche, adeguandosi alla situazione e anche a quello che, operativamente e in questo momento, può fare".

    Le indagini, dunque, proseguono a tutto campo per trovare i responsabili del duplice attacco. Emanuela Campanile ne ha parlato con Chad Miner, segretario dell’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede:

    R. – Le autorità federali e locali stanno conducendo le indagini, cercando indizi utili. Vorrei, però, esprimere le condoglianze da parte dell’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede per le vittime e per le loro famiglie. Condividiamo con loro le nostre preghiere e con il popolo della città di Boston. E’ stato un giorno veramente molto doloroso per i cittadini di Boston e per i cittadini statunitensi.

    D. – C’è stata anche una mobilitazione, come si sentiva dal discorso di Obama, delle forze di primo soccorso...

    R. – Sì, abbiamo letto che una delle vittime è stata un bimbo di otto anni. Apprezziamo anche il messaggio di Papa Francesco al cardinale O’ Malley: che il popolo di Boston e degli Stati Uniti – come ha detto il Papa – affrontino questo male con coraggio e bontà.

    D. – Pensavamo che l’11 settembre, comunque, fosse stato un appuntamento irripetibile, ma la paura sembra tornare con una violenza inaudita...

    R. – Ancora non si sa perché Boston e chi ha compiuto questo atto. Scopriremo, però, il responsabile e la ragione. I responsabili sentiranno la forza della giustizia. Il terzo lunedì di ogni aprile è festa in Massachusetts, il giorno dei patrioti, il giorno che ci fa capire perché Boston è così importante per gli Stati Uniti. Una festa che esprime l’anima indipendente della città. E’ conosciuta, infatti, da tutti gli americani per il famoso “Boston Tea Party”, quando i Figli della Libertà, nel 1773, protestando contro tasse inique, gettarono nel porto di Boston una grande quantità di the, distruggendolo. E due anni dopo, vicino a Boston, a Lexington, si spararono i primi proiettili della nostra guerra rivoluzionaria. Boston per tanti americani è la città dove è nata la storia della nostra indipendenza.

    D. – E’ anche commovente la capacità che gli Stati Uniti hanno di fare fronte comune davanti ad un evento così drammatico...

    R. – Credo che il popolo di Boston e il popolo degli Stati Uniti abbiano la risolutezza e il coraggio di affrontare tutto questo, di unirsi contro un atto di violenza di questo genere, che tocca non solo le vittime e le famiglie delle vittime, ma tutti i cittadini statunitensi.

    A essere colpita, lunedì scorso, è stata dunque la maratona più antica degli Stati Uniti e anche quella più amata, che ogni anno porta a Boston migliaia di atleti da tutto il mondo. Nonostante la paura, i tre morti e gli oltre 170 feriti, l'amore per lo sport con il suo desiderio di ritrovarsi insieme non tramonterà mai: lo afferma e ribadisce Stefano Baldini, campione olimpico Atene 2004. L’intervista è di Emanuela Campanile:

    R. - Per gli americani, Boston è “la" maratona. È la vera maratona degli americani tanto che, televisivamente parlando, è il secondo evento dell’anno per importanza dopo il "Super Bowl" di football. Quindi, è comunque il sogno per tutti gli americani che corrono. Ed è questo probabilmente il motivo per cui è stata scelta proprio la maratona di Boston come momento di protesta, che non si può condividere, ma che ha provocato purtroppo un grande disastro. Penso che il mondo continuerà a correre, e correre ancora più forte già a partire da domenica prossima, quando a Londra 40 mila persone affronteranno la maratona che in Europa registra i numeri più alti. Quindi, è soprattutto perché in tantissime di queste gare - Londra in particolare - si corre per beneficienza e la gente non si ferma. La gente ha voglia di correre, di impadronirsi, almeno per un giorno, di una città che normalmente è occupata da automobili e da mezzi che producono inquinamento. La maratona invece produce benessere, cultura e anche tanta salute.

    D. – Come si può definire la maratona?

    R. – La maratona è lo sport più democratico in assoluto, perché permette a persone di tutti i livelli - dai super campioni al più lento degli amatori - di poter partire dalla stessa linea e gareggiare sullo stesso percorso, davanti allo stesso pubblico e tagliare lo stesso traguardo. Ed è la stessa emozione, sia che per coloro che ci impiegano due ore, sia per quelli che impiegano quattro, cinque o sei ore. Per questo motivo, in questo momento, correre va tanto di moda, è bello ed è alla portata di tutti.

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    Iraq: grave ondata di violenza. Mons. Warduni: non dimenticateci

    ◊   A pochi giorni dalle elezioni provinciali di sabato prossimo, l’Iraq vive un grave momento di tensione. Decine le vittime di vari attentati avvenuti nei giorni scorsi. Solo ieri una decina i morti causati da varie esplosioni a nord e a sud di Baghdad. Intanto, 21 appartenenti ad Al Qaida, riconosciuti colpevoli di atti di terrorismo sono stati messi a morte dalle autorità di Baghdad. Le nuove esecuzioni sono avvenute nonostante gli appelli internazionali per una moratoria. Sui motivi del’aumento del livello di violenza, Giancarlo La Vella ha intervistato il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni:

    R. – In tutte le nazioni, quando ci sono le elezioni, ci sono problemi perché ciascuno difende i suoi interessi, quelli del suo partito e della sua ideologia. Da noi, questo si manifesta in maniera più drammatica. Tutti sanno del livello di violenza e di discordia che c’è tra i partiti iracheni. Gli uni vogliono una cosa, gli altri ne vogliono un’altra, ciascuno vuole qualcosa per se stesso. L’egoismo: ecco qual è il problema. Ma questo è l’uomo quando non ci sono i principi veri, specialmente il credere in Dio e fare la sua volontà, perché la sua volontà è che tutti gli uomini si amino. Speriamo che ciascuno assuma la propria responsabilità, per lavorare tutti insieme, per ricostruire questa nostra Nazione molto, molto provata.

    D. – Queste elezioni ripropongono ancora una volta un problema di rappresentatività: dei 447 seggi in palio, solo nove sono destinati alle minoranze religiose e ancora meno – tre – a quella cristiana …

    R. – Quando non si trova la vera giustizia, l’intenzione di costruire una vera convivenza, queste cose succedono e succederanno sempre e certamente ci saranno ancora difficoltà per le minoranze.

    D. – Comunque, la Chiesa irachena si sta dando molto da fare per creare un clima di pacificazione in questo momento così importante per il Paese …

    R. – Certamente. Per quanto riguarda noi cristiani, i nostri principi sono conosciuti: la pace, la concordia e l’amore. I capi religiosi delle comunità cristiane, sotto la direzione del nuovo Patriarca Louis Raphaël I Sako, hanno presentato un’iniziativa per avvicinare le varie posizioni, per rimuovere gli ostacoli al dialogo che ci sono e tutti hanno promesso di cooperare a questa iniziativa. Speriamo che succeda qualcosa di buono e questo per il bene di tutta la Nazione.

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    Proteste in Venezuela dopo il voto. L'opposizione contesta un milione di schede

    ◊   Resta alta la tensione in Venezuela. Sarebbero un milione i voti contestati dall’opposizione secondo Capriles, il candidato alla presidenza che non ha ancora riconosciuto la vittoria del presidente Maduro. Solo ieri, sono stati 7 i morti, 61 i feriti e 135 gli arresti effettuati a seguito dei disordini scoppiati tra le fazioni rivali. La protesta, a colpi di pentola, non accenna a diminuire. Annullata da Capriles la manifestazione in programma per oggi a Caracas che si doveva concludere davanti la sede del Consiglio nazionale elettorale. Si può parlare di un gesto di distensione da parte dell’opposizione? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Gabriele Iacovino, esperto di Venezuela del Cesi, Centro Studi Internazionali:

    R. – È un primo segnale verso la distensione tra i due contendenti. Per il Venezuela, si apre un periodo di transizione dopo la morte di un leader così carismatico e così importante per la storia di un Paese come Chavez. A questo punto, è sicuramente la stessa classe politica venezuelana che deve trovare un nuovo equilibrio. Questa apertura di Capriles va sicuramente in questa direzione.

    D. – Quale via di uscita per il Paese di fronte all’incertezza emersa dalle elezioni di domenica?

    R. – Quando un’elezione così importante, dopo un periodo di politica portata avanti da un uomo forte, viene vinta per un margine così stretto di voti, è comunque un nuovo passo per la democrazia venezuelana. Gli scontri sono un po’ frutto di questa situazione di poca chiarezza e di riequilibrio all’interno dell’ambito istituzionale venezuelano. La stessa attività delle forze dell’ordine e la loro tenuta è stata in parte causa delle violenze nel Paese. Certo è che il dialogo tra i due candidati, tra le due parti politiche, è necessario per cercare di contenere la violenza e per portare il Venezuela verso una transizione.

    D. – E’ singolare questa protesta, perché da un lato ci sono gli oppositori di Maduro, che utilizzano le pentole per farsi sentire, dall’altra invece c’è un lancio di razzi da parte dei suoi militanti. Si era già assistito a qualcosa del genere in America Latina?

    R. – La storia dell’America Latina, il sentire, il calore politico dell’America Latina comunque già in passato ha avuto delle manifestazioni “sui generis”. Sicuramente, per esempio, l’utilizzo delle pentole è comunque un tratto anche “politico” di alcune manifestazioni che si sono svolte in America Latina. Ricordiamo qualcosa di simile in Argentina, ma lo scenario era assolutamente diverso. Bisogna capire – ma soprattutto i leader politici devono capire – che l’era Chavez è finita e che la democrazia in Venezuela deve passare assolutamente attraverso il dialogo.

    D. – C’è la possibilità di un “effetto domino”, vista l’incertezza nel Venezuela, per altri Paesi che nell’area si accingono a nuove elezioni? Penso per esempio all’Argentina…

    R. – Il contesto venezuelano è abbastanza “sui generis” perché, ripeto, queste elezioni vengono alla fine di un periodo storico importante per il Venezuela dove vi era un uomo politico – Chavez – che aveva raccolto attorno a sé non solo il potere politico, ma comunque un’immagine che travalicava i confini del Venezuela e che ha sviluppato una linea politica legata al bolivarismo poi ripresa da altri Paesi, pensiamo alla Bolivia. L’Argentina sta vivendo una fase politica diversa, assolutamente diversa, dove il contesto democratico non ha visto negli ultimi anni una personalità forte che abbia mantenuto il potere, ma la dialettica democratica è andata avanti.

    D. – La Kirchner, la presidente argentina, ha chiesto agli Stati Uniti di riconoscere la presidenza Maduro per garantire la pace. Per il momento, non c’è stata risposta: questo che cosa significa?

    R. – La transizione al post-Chavez è in atto e indubbiamente gli Stati Uniti giocano un ruolo in quel Sudamerica che non è più quello che, negli anni ’70, veniva definito il “giardino di casa”, ma sta assumendo un’autonomia e un’importanza sempre maggiore, non solo in politica ma anche nei palcoscenici economici internazionali. Gli Stati Uniti sicuramente dovranno agire in direzione di una normalizzazione dei rapporti con il Venezuela, anche per favorire la transizione al post-Chavez.

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    Sant'Egidio: Progetto Dream contro la mortalità materna in Africa pe Aids

    ◊   Un impegno per le madri dell’Africa: è quello che si sono assunti MSD Italia e la Comunità di Sant’Egidio con una collaborazione, presentata ieri a Roma, mirata a ridurre la mortalità materna del 75% entro il 2015. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    287 mila: è il numero di donne morte nel solo 2010 per le complicanze di una gravidanza o di un parto. La stima è dell’Organizzazione mondiale della sanità che avverte: nei prossimi dieci anni il numero di decessi potrebbe salire a tre milioni, e quasi tutti nei Paesi in via di sviluppo. A causa della mortalità materna, si contano oltre un milione di orfani l’anno, inoltre i bimbi che sopravvivono alle loro madri hanno maggiori probabilità di morire prima dei due anni. Il colosso farmaceutico MSD già nel 2011 presentò all’Assemblea generale dell’Onu un progetto di 500 milioni di dollari da investire in dieci anni per salvare tre milioni di vite entro il 2015, il che corrisponde a uno degli Obiettivi del Millennio sanciti dall’Onu, ossia la riduzione della mortalità materna del 75%. Nell’ambito di questo progetto, MSD Italia ha scelto di finanziare con 1 milione e 300 mila dollari il Programma "Dream" della Comunità di Sant’Egidio per la prevenzione e il trattamento dell’Aids in Africa. Partito nel 2002 in Mozambico, oggi "Dream" si è esteso ad altri dieci Paesi africani e si concentra in particolare sulla trasmissione verticale (durante la gravidanza) dell’Hiv tra madri e figli. Ogni anno, in Africa sono circa un milione e 400 mila i casi di gravidanza in donne infette da Hiv, con la conseguente infezione di 350mila neonati. In 11 anni il Programma "Dream" ha seguito e curato 200mila persone, ha creato 38 centri di cura nei Paesi interessati e 20 laboratori, ha formato personale sanitario, ha ridotto al minimo la trasmissione dell’Hiv da mamma a figlio. "Dream" ha raggiunto traguardi strabilianti, dice Paola Germano direttore esecutivo del Programma:

    R. – I risultati sono enormi e neanche noi ci aspettavamo. Il lavoro che abbiamo cominciato a fare si è quasi moltiplicato: abbiamo moltiplicato le energie, gli sforzi e poi soprattutto abbiamo portato con noi tanti africani, che hanno cominciato a lavorare per il Progetto. Quindi, i risultati sono anche dovuti a questo. Soprattutto, sono dovuti anche al fatto che i Paesi, i governi, i Ministeri della sanità di questi Paesi hanno cominciato a capire che il nostro approccio aveva successo, c’erano dei risultati concreti nella vita della gente. Questo ha fatto molto la differenza e ha moltiplicato anche i risultati. Personalmente, una cosa di cui sono molto orgogliosa sono tutti questi medici, infermieri, biologi, attivisti, tutto questo personale sanitario e sociosanitario dei vari Paesi africani formato bene, che oggi è in grado di fare lo stesso lavoro che sono in grado di fare io. Il segreto del successo e del risultato è dovuto anche a questo: avere oggi una generazione di personale sanitario in Africa che è in grado di lavorare bene e ottenere dei risultati efficaci sulla cura. Un’altra cosa molto importante è questa crescita di opinione pubblica, dovuta anche a questa grande associazione di sieropositivi che però è un “ariete”: un “ariete” nei singoli Paesi, un “ariete” all’interno dell’Africa, e anche fuori dall’Africa, per creare un’opinione pubblica non soltanto per la difesa dei diritti umani, del diritto alla salute delle persone con Hiv, ma anche per l’abbattimento dello “stigma”. Queste donne che dall’inizio hanno sposato la causa, che ci hanno messo la faccia, hanno cominciato a non aver paura di dire: “Io sono sieropositiva” e questo ha prodotto un cambiamento culturale enorme nei Paesi, del quale oggi usufruiscono molte donne ed anche molti altri malati.

    D. – Sono dieci i Paesi nei quali "Dream" è attivo. Questo abbattimento dello “stigma”, questo consenso così allargato l’avete trovato ovunque?

    R. – Dipende dai Paesi e dipende dalla storia. Il discorso del Mozambico può essere sovrapponibile sicuramente a quello del Malawi, ma noi abbiamo anche un forte gruppo di lobby, di advocacy in Paesi come la Guinea Conakry. Un Paese quasi completamente musulmano, in cui il lavoro è stato più difficile, e dove però le donne hanno trovato una loro forza, una loro dignità, nel quale vengono fuori delle potenzialità e anche un po’ di coraggio di battersi non solo per sé, ma anche per gli altri.

    Cacilda Isabel Massango, mozambicana, ha 36 anni, dopo la nascita di sua figlia, nel 2002, scopre di essere sieropositiva e con lei anche la bimba. La cura antiretrovirale le ha salvate entrambe. Oggi, è tra gli attivisti dei centri "Dream", il suo coraggio sostiene gli altri malati, la sua testimonianza dà speranza:

    R. – E’ stata una sfida per tutti noi. Grazie a questa associazione che abbiamo creato, abbiamo ripreso le forze. Tutti noi che abbiamo questa malattia siamo riusciti a fare tante cose che si credeva potessero fare solo le persone non malate. Invece, quando noi stessi diventiamo protagonisti della nostra cura, dei nostri trattamenti, diventiamo anche persone di riferimento nella società: allora qualcosa cambia e lo sguardo delle persone si fa più rispettoso.

    D. – Voi siete tutti in cura con il programma "Dream". Come lavorate con la vostra associazione?

    R. – Noi facciamo tante cose nei vari centri "Dream": aiutiamo ad accogliere i pazienti, aiutiamo con la nostra testimonianza coloro che vengono al centro per la prima volta, diciamo loro che tutti possono guarire e li spingiamo a credere che sarà così; spieghiamo alle mamme in gravidanza che è possibile avere un bambino sano e facciamo vedere loro i bambini nati sani grazie al programma. E poi aiutiamo anche i medici, che tante volte non hanno tempo per stare con i pazienti. Insegniamo loro come mangiare bene, come prendere bene i farmaci, come rispettare gli orari. Insegniamo loro anche a curarsi, perché alcuni non vogliono farlo, non vogliono sottoporsi al test, hanno paura dello stigma, della discriminazione, hanno paura perché la maggior parte delle volte si dicono tante cose che non sono vere. Noi aiutiamo a dire la verità: che tutti possono curarsi, e così guadagniamo le vite delle persone.

    D. – E così tu hai guadagnato la tua vita, e quella di tua figlia...

    R. – Sì, con molta forza, con molta gioia e anche con molta speranza. Il mio sguardo non è più quello di dieci anni fa. Sono andata parecchio avanti e sono successe tante cose belle. Ho fatto in modo che tante persone potessero curarsi e che tante donne potessero partorire bambini sani. E’, dunque, una felicità enorme. Ho ogni giorno un motivo in più per vivere.

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    Cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia: favorevole il 71% degli italiani

    ◊   Diminuire da 10 a 5 il numero di anni necessari per la richiesta della cittadinanza italiana per l’immigrato che vive in Italia e soprattutto prevedere il suo acquisto automatico per i figli di stranieri nati in territorio italiano: queste le proposte di modifica dell’attuale normativa su una questione di cui si discute molto, ma che non ha ancora trovato soluzione. Sul tema, si è tenuta ieri a Roma un Convegno con la presenza, tra gli altri, di mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei. Adriana Masotti lo ha intervistato:

    R. - Il tema della cittadinanza ha a che fare con la qualità della nostra democrazia. Infatti, la cittadinanza ma soprattutto il senso di appartenenza a una città a cui la cittadinanza fa riferimento, è uno dei segni più importanti di una crescita della qualità della democrazia di un Paese. Quindi, credo che sia molto importante una riforma della legge della cittadinanza in Italia, su cui lavorare insieme, su cui anche la politica possa garantire la titolarità dei diritti, da un’appartenenza generica a un’appartenenza che invece diventa efficace.

    D. – Il passaggio fondamentale sarebbe quello dallo "ius sanguinis" – cioè un diritto basato sul sangue – allo "ius soli", che sottolinea proprio l’importanza della nascita sul territorio italiano…

    R. – Il cambiamento fondamentale è legare la cittadinanza non a una tematica semplicemente di discendenza, ma a una tematica di territorialità. In altre parole, la città e il vivere in città sono il luogo e il senso del dare la cittadinanza, più che essere di una famiglia italiana o all’interno di un percorso di discendenza di una famiglia italiana. E questo credo sia un passaggio molto importante, perché incrocia questa cittadinanza ormai globale delle persone e delle persone migranti, e questa necessità di un’estensione che è già avvenuta nel dopoguerra, in quel passaggio che abbiamo avuto da una cittadinanza italiana ad una cittadinanza anche europea e che chiede oggi un’ulteriore risemantizzazione del concetto di cittadinanza in un’ottica maggiormente globale.

    D. – Eppure, sia tra le forze politiche, sia anche nell’opinione pubblica ci sono ancora tante resistenze, in nome di una identità – quella italiana, in questo caso – da preservare…

    R. – Occorre distinguere la percezione, il sentire degli italiani in ordine a questo tema rispetto a quella che è, invece, l’opinione di alcuni parlamentari, di alcuni politici. E’ l’indagine dell’Osservatorio politico del Cise, del Centro italiano di studi elettorali dell’Università di Firenze, che ci ha ricordato che il 71% degli italiani si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione secondo cui i figli di immigrati che nascono in Italia dovrebbero ottenere automaticamente la cittadinanza italiana. Addirittura l’81% è d’accordo anche sull’estensione del diritto di voto. Quindi, si tratta oggi di fare incontrare l’opinione della gente con le scelte politiche del Paese. Anche la Chiesa stessa, in Italia, ha ripetuto come il tema della cittadinanza possa essere un tema importante per ridisegnare il nostro Paese, superando quella logica di contrapposizione o quella logica – come dice Bauman – della stratificazione sociale.

    D. – Quindi, si tratta di allargare il più possibile anche a chi deve decidere questo concetto dell’immigrato non come problema ma come un dono, titolo anche di una relazione del Convegno di oggi, “La cittadinanza, da concessione a dono per la città”: sta un po’ in questo il cambio di mentalità…

    R. – Certamente. Il tema del dono incrocia il fatto che di fronte all’incontro, a una relazione fra persone che provengono anche da realtà ed esperienze diverse, il mettere in campo anzitutto non un muro, non una distinzione, non una minorità, ma una differenza che venga riconosciuta anche attraverso lo strumento della cittadinanza è certamente uno dei passaggi fondamentali anche nel nostro Paese.

    D. – Qualcosa, quindi, che fa bene a tutti?

    R. – Qualcosa che fa bene a tutti. In questo senso, anche la discussione sul tema della cittadinanza, oltre che essere efficace per superare quella lettura ideologica dell’immigrazione che tante volte è stata fatta in Italia, è uno strumento importante per educare alla cittadinanza, anche tutti gli italiani.

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    Giornata mondiale dell’emofilia, nel mondo oltre 7 milioni le persone colpite

    ◊   Ricorre oggi la Giornata mondiale dell’emofilia, una patologia che impedisce la coagulazione del sangue provocando emorragie sia interne sia esterne. Quando si formano ematomi, sangue nelle articolazioni, il paziente arriva ad avere serie difficoltà motorie. Nel mondo sono oltre 7 milioni gli emofilici, in Italia circa settemila. Sulle forme di emofilia più frequenti ascoltiamo, al microfono di Eliana Astorri, il prof. Raimondo De Cristofaro, responsabile del Centro Emofilia e del Servizio malattie emorragiche e trombotiche del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

    R. - Entrambe le forme di emofilia più frequenti, cioè l’emofilia A e l’emofilia B, sono dovute a carenza di un singolo fattore della coagulazione. La sintomatologia è ovviamente di tipo emorragico in entrambi i casi, sebbene nell’emofilia A la gravità delle forme emorragiche è maggiore rispetto a quella dell’emofilia B.

    D. - L’emofilico è quella persona che nel caso si ferisca, il suo sangue ha difficoltà a coagularsi, per cui la ferita fa difficoltà a richiudersi…

    R. - Sì. Ma soprattutto i pazienti affetti da emofilia sono soggetti a emorragie profonde, che corrispondono quindi a tessuti muscolari e osseo-articolari. Questo può determinare una fuoriuscita di sangue anche di 600 ml di sangue, sottoponendo poi questi soggetti stessi anche a rischio di anemia.

    D. - Colpisce di più gli uomini, o prettamente gli uomini?

    R. - Colpisce quasi prevalentemente gli uomini, perché nell’emofilia A e B il gene responsabile di questa malattia è presente sul cromosoma sessuale X, e quindi normalmente sono le donne ad essere solamente portatrici del gene.

    D. - Nel caso in cui la cute venga ferita, si vede quello che succede. Ma nell’altro caso, come si fa a capire che è in corso questo processo di emorragia interna?

    R. - Il sintomo fondamentale è il dolore accompagnato - nel caso dell’ematoma muscolare e ancora di più nel caso di questa presenza di sangue nell’articolazione - da da un gonfiore della parte coinvolta. Quindi, le sedi più frequenti - ad esempio - sono la coscia o l’articolazione stessa come quella del ginocchio, o dell’anca, o della caviglia, che si gonfiano e sono responsabili di sintomatologie dolorose molto pesanti, quindi avvertite a volte anche dal paziente prima ancora che abbiano e raggiungano determinate dimensioni.

    D. - Ma la diagnosi è clinica?

    R. - La diagnosi è clinica anche sulla base dell’anamnesi, allorquando interrogando i genitori e soprattutto la mamma, si sappia dell’esistenza di casi analoghi in altri membri della stessa famiglia, soprattutto quando i pazienti colpiti siano prevalentemente di sesso maschile. Questi sintomi accompagnano il paziente affetto, soprattutto intorno al primo anno di vita, quando il bambino colpito dalla malattia comincia a deambulare, a gattonare, esponendo quindi alcune parti del corpo a quei piccoli traumatismi che caratterizzano queste fasi dello sviluppo del bambino.

    D. - Quando si è in pericolo di vita?

    R. - Il pericolo di vita si può presentare quando l’emorragia può colpire territori non comunemente colpiti spontaneamente, come ad esempio quello celebrale. Purtroppo sono stati riscontrati dei casi di decesso anche post partum, quando il parto è stato particolarmente difficoltà e non si sapeva dell’esistenza di tale patologia. E può essere molto grave la situazione di emissione di ingenti quantitativi di sangue nel nostro organismo, tali da determinare il cosiddetto “shock emorragico”: la perdita improvvisa e ingente di quantitativi di sangue tali da determinare un’anemizzazione improvvisa del paziente, con tutte le conseguenze del caso, fino appunto ad arrivare al decesso.

    D. - Quali terapie vengono adottate?

    R. - La terapia ha subito dei miglioramenti incredibili. I pazienti ricevono i fattori carenti - il fattore ottavo e il fattore nono - sia sotto forma di materiale purificato da sangue di donatori, sia il cosiddetto ricombinante, cioè prodotto per ingegneria genetica, ma caratterizzato da elevatissimo grado di purezza e, soprattutto, da notevolissimo grado di sicurezza infettivologica.

    D. - Qual è la qualità della vita di queste persone?

    R. - La qualità della vita è assolutamente paragonabile a quella dei soggetti non emofilici. L’unica limitazione è legata alla modalità di somministrazione di questi fattori che avviene per via endovenosa.

    D. - Lei crede nell’importanza del ruolo di queste giornate che vengono dedicate alle varie patologie?

    R. - Credo assolutamente che queste iniziative siano importantissime, soprattutto per la sensibilizzazione del mondo amministrativo e politico, affinché si raggiunga per quanto riguarda il territorio italiano - ma anche ovviamente presso altre nazioni - lo stesso livello di accuratezza dell’assistenza a questi pazienti, evitando quindi situazioni di squilibro dei livelli di qualità di assistenza nei vari punti del territorio nazionale.

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    "Viaggio in Italia di J.S. Bach": stasera a Roma concerto di beneficenza della Fondazione Montalcini

    ◊   Un modo per ricordare Rita Levi Montalcini, scomparsa nel dicembre scorso, ma anche un’opportunità per sostenere i progetti realizzati in Africa dalla Fondazione intitolata al Premio Nobel. E’ il duplice obiettivo del concerto di questa sera all’Auditorium Parco della musica di Roma, con musiche di Johann Sebastian Bach, autore preferito dalla Montalcini, affidate al pianista Ramin Bahrami. "Un’occasione di solidarietà da non mancare”, dice Iole Cisnetto, presidente della Fondazione InSé e collaboratrice della Montalcini nei progetti in Africa. Gabriella Ceraso l’ha intervistata:

    R. – Ho conosciuto Rita Levi Montalcini circa otto anni fa e da lì è iniziato un meraviglioso cammino assieme a lei, che mi ha fatto sentire decisamente più giovane e più vitale, soprattutto attraverso la sua Fondazione per il sostegno delle donne africane. Diceva: “Se istruisci un uomo avrai un uomo istruito. Oggi, se istruisci una donna avrai una famiglia e una società istruita. Loro sanno trasmettere ai loro figli e quindi sanno far progredire la loro società”.

    D. – Più passione della donna o più raziocinio della scienziata? Cosa prevaleva in lei?

    R. – Direi che, forse, all’inizio prevaleva la componente scientifica, ma quando l’ho conosciuta aveva 98 anni ed era ancora una donna energica e capace, il cuore si è unito con la mente. Era una donna che a cento anni parlava ancora di futuro e guardava oltre. Credo sia un esempio soprattutto per i giovani di oggi, che hanno tanto benessere ma che non credono più in loro stessi.

    D. – Tra i quattro progetti nella Repubblica Democratica del Congo, che il concerto vuole sostenere, c’è un centro medico formativo gestito da una donna un po’ come la Montalcini, Laura Perna, anche lei ormai quasi centenaria, che sta salvando molti giovani ai quali sta dando speranza…

    R. – Sì, oggi sono oltre 800 i giovani - da zero a diciotto anni - ospitati in questa casa. Alcuni hanno problemi fisici e, soprattutto, sono ragazzi che hanno bisogno di un’educazione e di un’istruzione. In questi anni, in Congo ho visto cambiare questi ragazzi ed è una cosa di cui sono molto felice, perché credo che possano avere un futuro in un Paese estremamente ricco, ma anche estremamente violento.

    Protagonista e interprete del concerto, il pianista iraniano Ramin Bahrami tra i maggiori interpreti di J. S. Bach. Il compositore tedesco ha tanto in comune con la Montalcini, dice il maestro Bahrami al microfono di Gabriella Ceraso:

    "Entrambi erano due entusiasti: entusiasti del bello, della ricerca, nei rispettivi campi. Bach, infatti, ha ricercato nella polifonia e Rita Levi Montalcini ha ricercato nella scienza e nello studio. Anche la loro universalità e la loro concentrazione e dedizione più totale li accomuna: ogni volta che vedevo questa raffinatissima signora della scienza, mi commuovevo per la sua eleganza innata e per il suo credo così entusiasta. Questi valori dovrebbero ritornare ad essere la 'A' e la 'Z' dell’educazione in Italia".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    A Londra, funerali di Stato per l'ex premier Margareth Thatcher

    ◊   Giornata di lutto a Londra per i funerali dell’ex premier britannico, Margaret Thatcher, recentemente scomparsa a causa di una malattia. Alla cerimonia nella cattedrale di St Paul's, sono state invitate 2.300 persone, tra cui leader e dignitari di 170 Paesi, presente anche la regina Elisabetta II e il marito il principe Filippo. I rintocchi del Big Ben, eccezionalmente interrotti durante la cerimonia funebre – l’ultima volta era accaduto nel 1965 per i funerali di Churchill – hanno scandito gli istanti delle esequie della Thatcher, la cui salma – per espressa volontà della baronessa britannica – verrà cremata e le ceneri sepolte nel giardino della Casa di riposo per i soldati di Sua Maestà. Non sono mancate anche le polemiche per il costo della cerimonia: il premier Cameron ha chiesto rispetto e, in un’intervista televisiva, ha affermato che ormai i politici sono “tutti thatcheriani” perché alcuni dei suoi grandi temi “adesso sono ampiamente accettati da tutti”. (B.C.)

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    Argentina. I vescovi: per la riforma della giustizia occorre profondo discernimento

    ◊   Per mettere in atto la riforma della giustizia occorrono “un profondo discernimento”, “ampie consultazioni, dibattiti e consensi sui numerosi cambiamenti proposti”: è quanto scrive la Conferenza episcopale argentina in una nota diffusa ieri, nel corso della sua 105.ma Assemblea Plenaria, in programma a Pilar fino al 20 aprile. La nota, intitolato “Giustizia, democrazia e Costituzione nazionale”, fa riferimento alla proposta di riforma della giustizia presentata dal capo di Stato, Cristina Fernandez Kirchner: il testo, già inviato al Congresso, prevede la riforma del Consiglio della magistratura; una legge che garantisca un accesso democratico ai giudici e ai pubblici ministeri; il cambiamento della norma che stabilisce l’obbligo di trasparenza delle azioni esercitate dal potere giudiziario e la creazione di tre camere di Cassazione. Inoltre, i cittadini potranno visualizzare i beni dei funzionari e dei vertici di tutti e tre i poteri dello Stato, mentre ora la possibilità è limitata ai rappresentati dell’esecutivo. Per quanto riguarda il Consiglio della magistratura, i suoi membri saranno eletti dal popolo e si lavorerà per eliminare le cause contro le amministrazioni con blocco preventivo dei beni. “Una trattativa affrettata su riforme tanto significative – scrivono i vescovi – corre il rischio di debilitare la democrazia repubblicana stabilita dalla Costituzione, soprattutto in una delle sue dimensioni essenziali, ovvero l’autonomia dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario”. Nell’agenda dei lavori della Plenaria episcopale sono presenti anche altri temi, tra cui l’elezione di Papa Francesco, primo Pontefice argentino, ed i preparativi per il IV Congresso Missionario nazionale che si aprirà a Catamarca il 17 agosto. (A cura di Isabella Piro)

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    Bolivia: difesa della vita e appello alla pace i temi al centro della Plenaria dei vescovi

    ◊   La difesa della vita umana e l’appello alla pace ed alla riconciliazione del Paese sono stati i temi al centro della 95.ma Assemblea generale dei vescovi boliviani (Ceb), conclusasi ieri a Cochabamba. Nel lungo documento finale, i presuli affermano che, di fronte “all’egoismo, la violenza e le divisioni” che colpiscono la società attuale, è necessario ribadire “il valore inestimabile della vita umana, dal concepimento e fino alla morte naturale, vita che è dono di Dio e che nessuno ha il diritto di violare”. Per questo, la Chiesa boliviana si dice contraria a “leggi dalla formulazione ambigua sulla vita, la gioventù, il matrimonio e la famiglia” e chiede normative che incrementino “la lotta contro il flagello della violenza che danneggia soprattutto donne e bambini”. Tuttavia, continuano i presuli, è “assolutamente necessario promuovere un cambiamento di mentalità nella nostra società, segnata dal maschilismo e dalla tolleranza dell’alcolismo, così da mettere in atto sistemi di prevenzione che coinvolgano la famiglia, la comunità educativa e tutta la società”. Quindi, la Ceb affronta la drammatica situazione carceraria del Paese e sollecita “un gesto umanitario, come l’indulto e l’amnistia”, ribadendo l’urgenza di un intervento statale che migliori “le condizioni disumane in cui vivono i detenuti”, in carceri che spesso sono “scuole di violenza”, piuttosto che “Centri rieducativi”. In “spirito di pace” – si legge nella nota - è fondamentale “superare la strumentalizzazione della giustizia per interesse politici od economici”, anche in base a quanto scriveva, esattamente cinquanta anni fa, Giovanni XXIII nella Pacem in terris: “La pace ha le sua fondamenta nella verità, la giustizia, la libertà e l’amore”. In quest’ambito, i vescovi sottolineano il loro impegno a favore degli abitanti del Tipnis, (Territorio indigeno e Parco nazionale Isiboro Sécure), evidenziando come la presenza missionaria della Chiesa, nel corso di diversi decenni, abbia contribuito alla configurazione sociale, culturale e religiosa di queste comunità, che oggi manifestano la loro identità religiosa e le loro tradizioni con dignità e in libertà. I presuli boliviani guardano, poi, ai numerosi scontri in atto nel Paese, “sia a livello nazionale che familiare” e chiedono a tutte le parti in causa di cercare soluzioni lontane dalla violenza, riponendo la fiducia “nella forza del dialogo, del perdono e della riconciliazione” e guardando anche all’importanza della misericordia, così spesso ricordata da Papa Francesco, “figlio della terra latinoamericana”. Infine, la Ceb ricorda due grandi eventi di prossimo svolgimento: il sesto Congresso missionario nazionale, che avrà luogo a Santa Cruz dal 26 al 30 giugno, sul tema “Bolivia missionaria, condividi la tua fede” e la Giornata mondiale della Gioventù, in programma dal 23 al 28 luglio a Rio de Janeiro, ed alla quale prenderanno parte mille ragazzi boliviani. (I.P.)

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    Centrafrica: il premier chiede aiuti esterni per la popolazione allo stremo

    ◊   In un messaggio radiotelevisivo diffuso ieri sera, il primo ministro centrafricano Nicolas Tiangaye, ha chiesto l’aiuto della Francia e della Forza multinazionale dell’Africa centrale (Fomac) per ristabilire la sicurezza nel Paese. “Numerose famiglie hanno subito perdite umane e saccheggi. Sono fatti che ledono la coesione sociale e il patto di unità nazionale. Di fronte a questa situazione grave, chiedo l’aiuto dei nostri partner, in qualità di forze imparziali, per svolgere le operazioni di sicurezza nella capitale e nelle regioni ancora instabili” ha dichiarato il capo del governo di unità nazionale, membro dell’opposizione all’ex Presidente François Bozizé e difensore dei diritti umani. La richiesta di aiuto esterno formulata da Tiangaye è giunta dopo gli scontri dello scorso fine settimana in alcuni quartieri di Bangui, conclusi con un bilancio compreso tra 13 e 20 morti e decine di feriti. Negli ultimi due giorni sono anche rimasti uccisi nelle violenze sette esponenti della coalizione ribelle Seleka (alleanza in lingua sango) dopo essere stati disarmati da truppe della Fomac. Poche ore prima il nuovo presidente, l’ex capo ribelle Michel Djotodia, aveva annunciato una serie di misure per lottare contro l’insicurezza e “cacciare da Bangui gli intrusi, cioè elementi incontrollabili della Seleka e uomini armati da Bozizé”. Djotodia, al potere dal 24 marzo con un colpo di stato, ha promesso il dispiegamento di rinforzi – 500 poliziotti e 500 gendarmi – oltre ad un rafforzamento della presenza della Seleka su tutto il territorio nazionale “a tutela delle persone e dei beni”. Inoltre il neo Presidente ad interim, in carica per una transizione dalla durata prevista di 18 mesi, prevede di “chiedere ai nostri fratelli ciadiani di aiutarci inviando truppe per sostenerci”. Il portavoce dell’esecutivo Crépin Mboli-Goumba ha invece riferito che le autorità centrafricane hanno chiesto ai paesi della Comunità economica dell’Africa centrale (Ceeac) di mettere a disposizione 1.000 soldati per ristabilire la sicurezza. Di questo e degli ultimi sviluppi politico-istituzionali dovrebbe occuparsi il vertice straordinario dell’organismo regionale in agenda per domani a N’Djamena. “Questi sono tutti discorsi scollegati dalla realtà, sono promesse che finora sono state disattese. C’è una separazione totale tra la gente e il nuovo potere della Seleka. Djotodia è solo un burattino che non ha alcun controllo sui ribelli che, al 90% vengono dal Ciad e dal Sudan, parlano arabo e sono molto ben armati” dice alla MISNA da Bangui una fonte locale della società civile che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza. “La popolazione vive nella paura e nell’incertezza, soprattutto al calare della notte. C’è il coprifuoco, quindi a circolare sono solo gli uomini della Seleka che entrano nelle case per saccheggiare, picchiare e stuprare. Non bastano le truppe della Fomac. Siamo stanchi e ci sentiamo abbandonati” prosegue l’interlocutore dell'agenzia Misna, aggiungendo che “al centro di Bangui c’è una parvenza di vita e di calma, con la gente che alla mattina va al mercato e poi si chiude dentro casa”. Sulle ultime violenze che hanno dilaniato il quartiere popolare di Boy-Rabé (nord di Bangui), ex roccaforte di Bozizé, la fonte locale tiene a precisare che “gli abitanti hanno soltanto cercato di difendersi dai ribelli e laddove hanno delle armi a disposizione, le hanno utilizzate per proteggere persone e beni”. Secondo l’interlocutore appare poco credibile la giustificazione fornita dal potere in base alla quale si è trattato di un’operazione di disarmo finita male. “Come mai i ribelli che ricercavano delle armi uscivano dalle case di povera gente con frigo, sedie e utensili da cucina? C’è qualcosa che non quadra: in realtà continuano i saccheggi laddove fino a pochi giorni fa la Seleka non era ancora riuscita a entrare, cioè nell’ex bastione di Bozizé” conclude la fonte della Misna. (R.P.)

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    Nigeria. Il card. Onaiyekan: amnistia ai Boko Haram solo se si pentono e risarciscono le vittime

    ◊   “Continuare sulla strada della semplice repressione da sola non risolve il problema di Boko Haram. Al contrario peggiora le cose. Quindi dobbiamo almeno considerare la possibilità di un altro modo di agire. L’amnistia per Boko Haram deve essere presa in considerazione come un’opzione per far cessare la violenza. In qualunque guerra ad un certo punto si deve iniziare a parlare tra i contendenti ed io penso che sia giunto questo momento. È meglio parlare che sparare". Così il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, all'agenzia Fides riafferma il suo pensiero in relazione alla possibilità di concedere l’amnistia ai membri della setta Boko Haram, autori di numerosi attentati contro i cristiani. "In un mio recente intervento - osserva il porporato - ho però anche detto chiaramente che non si può parlare di amnistia senza che in primo luogo, coloro ai quali la si concede riconoscano il male che hanno fatto, pentendosi. In secondo luogo, questi devono essere pronti a riparare in un qualche modo al male fatto, rifondendo le vittime. Senza queste due condizioni non si può offrire un’amnistia”. (R.P.)

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    Congo: Caritas Congo distribuirà i fondi della colletta nazionale per l’est

    ◊   Sarà la Caritas Congo a distribuire i fondi raccolti dalla campagna di solidarietà nazionale per le popolazione dell’est della Repubblica Democratica del Congo, avviata il 13 aprile dal governo di Kinshasa. La campagna, intitolata “insieme per l’est”, durerà tre mesi. Il Ministro per gli Affari sociali, l’Azione Umanitaria e la Solidarietà nazionale, Charles Naweji, ha sottolineato che “tutti i nostri partner sociali coinvolti nella campagna hanno preferito che sia Caritas Congo Asbl a custodire i fondi”. I congolesi sono invitati ad essere solidali con gli abitanti dell’est, stremati da almeno 20 anni di conflitti e ad accogliere gli incaricati della colletta nazionale che si recheranno in scuole, università, imprese pubbliche e private, mercati, ecc. Tra i partner coinvolti nella campagna vi sono diverse confessioni religiose, Caritas Congo, la conferenza dei rettori delle università, associazioni di studenti e diverse Ong. (R.P.)

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    Darfur: l'esercito sudanese conquista una città sotto il controllo dei ribelli

    ◊   Almeno quattro civili sono stati uccisi durante “violenti combattimenti” che hanno permesso ieri all’esercito del Sudan di sottrarre a un gruppo ribelle il controllo di una cittadina del Darfur meridionale: lo dice all'agenzia Misna una portavoce di Unamid, la missione di pace dell’Onu e dell’Unione Africana nella regione. Secondo Aicha Elbasri, la cittadina di Labado è stata sottratta ai ribelli dell’Esercito di liberazione del Sudan guidati da Minni Minnawi che l’avevano conquistata il 6 aprile. In questo centro, situato a circa 100 chilometri a est del capoluogo regionale Nyala, erano confluiti nei giorni scorsi almeno 8.000 persone che avevano cercato riparo dalle violenze presso una base dei peacekeeper di Unamid. Secondo la portavoce, oggi la situazione è “molto tesa” anche nei pressi di Muhagiriya, un’altra località conquistata dai ribelli nei giorni scorsi dove starebbero convergendo reparti dell’esercito. “Nei pressi di una seconda base di Unamid in questo settore – sottolinea Elbasri – si sono concentrati altri 10.000 sfollati”. Il Darfur è una regione del Sudan occidentale dove dal 2003 un conflitto armato tra il governo centrale e alcuni gruppi ribelli ha alimentato un’emergenza umanitaria non ancora conclusa. Nonostante la firma di un accordo di pace nel 2011, quest’anno si è assistito a una ripresa dei combattimenti in diverse zone. Elbasri sottolinea che Unamid ha finora chiesto inutilmente al governo di poter accedere ad alcune aree del Darfur meridionale al confine con il Ciad dove sono stati segnalati scontri tra due comunità locali. “Stando a stime che non è stato per ora possibile verificare – sottolinea la portavoce – a causa delle violenze nell’ultima settimana avrebbero abbandonato le loro case 50.000 persone”. (R.P.)

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    Egitto: Tawadros II incontra le vittime di al-Khosous

    ◊   ll patriarca copto-ortodosso Tawadros II interrompe il suo ritiro di preghiera nel monastero di al-Bishoy (Alessandria) e incontra le famiglie delle vittime degli scontri fra cristiani e musulmani avvenuti ad al-Khosous il 7 aprile scorso che hanno fatto sette morti e centinaia di feriti. Avvenuto lunedì sera a porte chiuse, il colloquio - riporta l'agenzia AsiaNews - segna la linea di fermezza nei confronti del governo intrapresa dal capo della Chiesa copta ortodossa, dopo l'attacco contro la cattedrale di San Marco del 9 aprile. Nei giorni scorsi cristiani e musulmani hanno organizzato diverse manifestazioni contro gli scontri settari e gli attacchi deliberati alla cattedrale di San Marco. Padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, spiega che con questo gesto Tawadros II manifesta la sua vicinanza alle vittime e i suoi timori per la condizione della comunità cristiana in Egitto, sottolineato dal suo ritiro nel monastero. Egli aggiunge che le critiche del patriarca nei confronti del governo dei fratelli Musulmani e l'appello al Presidente Morsi a prendere una posizione chiara sugli scontri settari, stanno però portando i primi frutti. Lunedì, il capo di Stato egiziano ha inviato i suoi consulenti a colloquio con una delegazione del patriarcato e spedito un messaggio di scuse, per le illazioni espresse dai suoi consulenti contro i copti accusati ingiustamente di aver provocato gli scontri. Intanto, Tawadros II conferma il suo viaggio a Roma per incontrare papa Francesco. La visita si terrà nella seconda settimana di maggio, dopo i festeggiamenti della Pasqua ortodossa celebrata quest'anno il 5 maggio insieme alla comunità cattolica. (R.P.)

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    Tibet. Si autoimmola una giovane madre: sale a 115 il numero delle vittime

    ◊   Una giovane madre di 20 anni si è auto immolata per protestare contro la politica cinese nel Tibet, chiedere il ritorno del Dalai Lama e una vera libertà religiosa per la regione. La sua morte porta a 115 il numero totale dei tibetani che hanno scelto questa drammatica forma di protesta contro le politiche cinesi. La donna, identificata come Jugtso, lascia il marito e la figlia di 3 anni. Secondo alcune fonti locali riprese dall'agenzia AsiaNews, il suicidio è avvenuto nei pressi del monastero Jonang a Rangtang (Dzamthang in tibetano, nella zona orientale di Ngaba). Si tratta di un'area a maggioranza tibetana della provincia cinese del Sichuan, teatro di un grande numero di auto-immolazioni. Qui sono morti Kalkyi e Rikyo - due donne e madri di 30 e 33 anni - e due cugini. Dopo la morte, i monaci hanno portato il corpo di Jugtso nel luogo di culto per le cerimonie religiose ma le autorità hanno ordinato - andando contro il rito tradizionale - di cremare il corpo della vittima. Migliaia di persone hanno assistito alla cremazione: secondo una fonte locale "è l'unico modo che abbiamo per mostrare solidarietà con la vittima e con la sua famiglia". Alistair Currie, portavoce del gruppo inglese Free Tibet, commenta: "Questa morte dimostra che neanche tutta la forza del governo cinese può impedire al popolo di protestare. L'auto-immolazione è infatti una protesta, non un suicidio, e fino a che le richieste del popolo non saranno ascoltate ogni forma di protesta andrà avanti". Il Dalai Lama - che Pechino accusa di "orchestrare" le immolazioni - ha più volte chiesto ai propri fedeli di "mantenere il valore della vita al primo posto" e ha ricordato che "la protesta può e deve essere portata avanti con altri mezzi". Il leader religioso ha però riconosciuto di "non poter neanche comprendere" tutto il dolore del suo popolo. (R.P.)

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    Pakistan: scagionato da leader musulmani il giovane accusato di blasfemia

    ◊   Era stato incriminato per aver rimosso un poster il 19enne cristiano Philips Masih ma il caso di blasfemia si è concluso in modo positivo, anche grazie all’intervento di alcuni leader musulmani e delle forze dell’ordine. A dare i dettagli della vicenda, svoltasi a Faisalabad, è l’agenzia AsiaNews, spiegando che un vicino di casa musulmano, Muhammad Jameel, aveva richiesto l’intervento di un gruppo armato per punire il ragazzo. Il fatto è avvenuto il 13 aprile nell'area di Daudnagar, a Faisalabad (Punjab), dove nel luglio 2010 due pastori protestanti, Rashid Emmanuel e Sajid Emmanuel, a processo per blasfemia, erano stati da un commando di matrice estremista. Philips Masih, nuova vittima della “legge nera”, aveva la colpa di aver rimosso dalle mura di casa una locandina che riportava l’invito a una conferenza di esperti islamici. L’intervento della polizia ha scongiurato un attacco di massa da parte di un gruppo di musulmani armati, chiamati da Jameel. La polizia ha rafforzato i controlli nell’area, con l’ausilio di agenti in tenuta antisommossa per scongiurare possibili attacchi o pogrom anticristiani. Per motivi di sicurezza, il giovane e la sua famiglia sono stati nascosti in un luogo sicuro per il timore di rappresaglie da parte di frange estremiste islamiche, in attesa che la situazione si sia calmata. Intanto Muhammad Jameel e i suoi compagni hanno cercato di denunciare alla magistratura il giovane cristiano, ma la testimonianza di alcuni abitanti e il decisivo intervento di leader religiosi islamici, tra i quali Muhammad Rehan, membro del Comitato per il Dialogo Interreligioso e il muftì Muhammad Zia Madni, hanno fatto cadere le accuse. L’inchiesta ha anche portato a galla precedenti dissapori tra il giovane cristiano, commerciante in componenti per l’elettronica, e il vicino musulmano, proprietario del locale preso in affitto per il negozio. L'ex parlamentare cristiano Jeol Aamir Sahotra ha manifestato ad AsiaNews la più ferma condanna sull'episodio, davanti a chi continua ad usare le leggi sulla blasfemia per il proprio personale tornaconto, ringraziando al contempo i leader religiosi musulmani, l'amministrazione locale e la polizia. (E.S.)

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    India: in Kashmir false accuse ai cristiani per “conversioni di bambini”

    ◊   La polizia di Srinagar, capitale del Kashmir indiano, ha respinto come “falsa e tendenziosa” una denuncia presentata da alcuni mullah (leader islamici) che accusavano i cristiani di “conversione di bambini”. Come riferiscono fonti di Fides, la denuncia affermava che il personale straniero giunto nella “Casa Agape”, un Centro sociale ed educativo gestito da fedeli cristiani indiani a Srinagar, “cercavano di convertire i bambini musulmani al cristianesimo”. La polizia locale, dopo aver svolto indagini, ha respinto la denuncia dei mullah. Fonti di Fides notano proprio i genitori e i parenti, tutti musulmani, dei bambini che frequentano il Centro hanno espresso forte sostegno nei confronti dei cristiani, elogiando il loro lavoro nel campo dell’istruzione e smentendo ogni accusa. Nei mesi precedenti alcuni mullah avevano preso alcuni bambini che frequentavano “Casa Agape” per unirli alla loro “madrasa” (scuola coranica), anche se i genitori non erano d’accordo. I fedeli cristiani che gestiscono “Casa Agape” – parte della “Agape Mission” avviata nel 2006 da una comunità di cristiani di varie denominazioni – sono stati anche minacciati e intimiditi con irruzioni notturne. Alcuni estremisti hanno anche tentato di dare la Casa alle fiamme, e sono stati fermati dalla polizia. In passato la medesima accusa di “proselitismo di bambini” aveva colpito C.M. Khanna, Pastore protestante della “All Saints Church” di Srinagar. Il Pastore era stato arrestato e una Corte islamica, dopo un processo sommario, lo aveva dichiarato colpevole. L’Alta Corte del Kashmir aveva poi annullato le accuse, liberandolo. Il Kashmir è una regione al 99% musulmana. Alcune organizzazioni islamiche locali la vorrebbero come stato islamico indipendente, governato dalla sharia. (R.P.)

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    Usa: la Chiesa saluta con favore nuove restrizioni all’aborto in Kansas e Virginia

    ◊   Nuovo giro di vite per limitare l’aborto negli Stati Uniti. Dopo l’Arkansas e il Nord Dakota, il Kansas e la Virginia hanno approvato due provvedimenti che regolamentano in senso restrittivo la pratica dell’aborto nelle strutture sanitarie. In Virginia la Commissione statale per la salute ha infatti dato il via libera ad un nuovo regolamento che obbliga anche le cliniche private che praticano aborti a rispettare alcuni standard igienico-sanitari per la tutela della vita delle pazienti previsti per tutte le altre strutture sanitarie nello Stato. Un provvedimento al quale – riferisce l’agenzia Cns - plaude la Conferenza cattolica della Virginia che in una nota rileva che visto che negli Stati Uniti l’aborto rientra nell’assistenza sanitaria è logico che “l’industria dell’aborto sia regolamentata per tutelare la vita delle donne”. La Conferenza cattolica del Kansas ha, da parte sua, dato pieno sostegno ad un progetto di legge approvato a febbraio dal Congresso dello Stato che stabilisce che la vita inizia al momento della “fertilizzazione” dell’ovocita e vieta gli aborti selettivi sulla base del sesso del nascituro. Il provvedimento prevede anche sanzioni finanziarie per chi viola la legge in materia. Con la Virginia e il Kansas salgono a quattro gli Stati che, dall’inizio dell’anno, hanno introdotto norme più restrittive sull’aborto: prima della Virginia e del Kansas, l’Arkansas aveva vietato l’interruzione volontaria della gravidanza dopo la dodicesima settimana dal concepimento, mentre il Nord Dakota lo ha vietato dopo la sesta settimana. (L.Z.)

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    Brasile: capi indigeni si battono in parlamento per difendere le loro terre

    ◊   I missionari li chiamano “i popoli risorti”. Risorti dopo uno sterminio di cui sono stati vittime e che ha rappresentato probabilmente uno dei maggiori genocidi nella storia dell’umanità e risorti dalle continue minacce di sopravvivenza cui sono sottoposti. Sono gli indigeni che abitano oggi il Brasile. Una popolazione enorme composta da quasi 900.000 persone distribuite in 305 etnie che parlano 274 lingue, secondo l’ultimo censimento ufficiale. Sono arrivati da tutto il Brasile - riferisce l'agenzia Misna - per impedire il varo di un pacchetto di riforme mirato ad aumentare il potere del gruppo parlamentare dei ‘ruralistas’, che difende gli interessi dei grandi produttori agricoli, minacciando i loro territori ancestrali. Dopo aver fatto irruzione alla plenaria del Congresso, circa 300 dirigenti nativi di diversi popoli originari hanno ottenuto almeno in parte ciò che volevano: bloccare l’emendamento costituzionale noto come Pec 215 che trasferisce dal governo al Congresso la competenza di approvare e demarcare i territori riservati alle comunità indigene nonché i parchi naturali. “Siamo contrari all’invasione delle nostre terre. Noi siamo i primi abitanti e l’uomo bianco ci sta comandando, questo non ci piace” ha detto in tono solenne e nel suo idioma originario il noto cacique Raoni, capo supremo del popolo Kayapó, figura emblematica della sofferenza delle comunità native. Il presidente della Camera bassa, Henrique Alves, ha proposto che la commissione chiamata a decidere sulla riforma costituzionale sia rinviata al secondo semestre dell’anno e che i popoli indigeni partecipino con una rappresentanza al tavolo del negoziato. L’intesa prevede anche la creazione, oggi stesso, di una commissione incaricata di trattare con i dirigenti nativi. “Mai prima d’ora l’assemblea legislativa aveva incluso gli indigeni nel dibattito sui loro diritti. Vigileremo affinché sia davvero così” ha detto Paulinho Montejo, dell’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib). Le terre indigene rappresentano il 12% del territorio del Brasile e il 20% di quello dell’Amazzonia. (G.F.)

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    Messico: torture e violenze per un totale di 48.300 persone scomparse dal 2005 al 2012

    ◊   Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Commissione nazionale dei Diritti Umani, in Messico, nel periodo che va dal 2005 al 2012, sono scomparse 48.300 persone, inoltre si sono verificati un totale di 48.750 omicidi violenti. Tra tutte le segnalazioni di persone scomparse - riferisce l'agenzia Fides - di 24.091 si sono perse le tracce; 15.921 sono persone non identificate e 726 sono vittime di sparizioni forzate o involontarie. Le statistiche dell’Agenda nazionale dei Diritti Umani 2013 riportano che il 2011 è stato l’anno più violento con 10.696 omicidi. (R.P.)

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    Senegal: migliaia di bambini di strada chiedono l'elemosina

    ◊   Si chiamano talibé, un termine che in arabo significa “colui che cerca e chiede”. Il tâlib è l'allievo di un marabutto; è uno studente dei precetti dell’Islam. Per far diventare i propri figli degli adulti responsabili e dei ferventi fedeli, molte famiglie senegalesi indigenti decidono di “regalare” ai marabutti i figli a cui non riescono a badare: nelle daraas (scuole coraniche) della capitale Dakar, un terzo dei bambini ha meno di 10 anni. Ogni mattina, i giovani discepoli si alzano alle 5.00 e, dopo le preghiere mattutine, prendono i loro barattoli di latta, ed iniziano a vagare per le strade di Dakar in cerca di elemosina. Le strade della capitale senegalese - riferisce l'agenzia Fides - sono ormai invase da quest’esercito di bambini che chiede da mangiare. Secondo la Ong Employment Non-Discrimination Act (Enda), sono oltre 20 mila ogni giorno. A livello mondiale sono oltre 250 milioni. La quota per non essere cacciati dalla scuola e per non essere molestati è di 350 franchi (50 centesimi di euro) al giorno: una somma notevole, se si considera che il 70% della popolazione del Senegal vive con meno di due dollari al giorno. I principi dell’Islam contemplano la raccolta dell’elemosina come attività utile per apprendere la virtù dell’umiltà, ma “se all’inizio i giovani mendicavano per apprendere valori fondamentali per la religione musulmana, oggi lo fanno per conto di un marabutto, dando vita a quello che può essere definito – secondo un rapporto del 2004 dell’Afp - il mercato delle elemosine”. Sette giorni su sette, delle volte perfino di notte, malnutriti, a piedi scalzi, vestiti di stracci, l’unico bene che posseggono è il loro barattolo di latta. Molti talibés non imparano nemmeno a leggere il Corano. Ad aggravare questo fenomeno in Africa e Asia sono l’aumento dei tassi dell’Hiv, i conflitti armati e i disastri naturali che colpiscono questi territori. L’Ong Plan, che si occupa della tutela dei diritti dei minori a livello mondiale, ha anche aggiunto che i bambini che vivono in strada subiscono gravi discriminazioni, venendo considerati delinquenti e prostitute. E’ necessario che la società prenda coscienza della necessità di diminuire la vulnerabilità dei piccoli ‘talibé’ coinvolgendoli nel sistema educativo, migliorando le loro condizioni di vita e la loro tutela generale. (G.F.)

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    Visita dei vescovi inglesi in Zimbabwe e Sud Africa

    ◊   Una visita di sette giorni, dal 3 al 9 aprile, in Zimbabwe e Sud Africa per portare nel continente la vicinanza e la solidarietà della Chiesa del Regno Unito: a compierla è stato mons. Declan Lang, vescovo di Clifton. In una nota diffusa al rientro dal suo viaggio, il presule scrive: “Durante la mia visita in Africa, ho visto innanzitutto la vitalità della Chiesa sudafricana e la coraggiosa testimonianza offerta dai cattolici in Zimbabwe, dove ho avuto modo di parlare delle numerose sfide che il Paese ha davanti, in vista delle elezioni di quest’anno”. A tal proposito, mons. Lang ribadisce che i vescovi dello Zimbabwe hanno dimostrato “una leadership matura nel promuovere la riconciliazione nella nazione”. La loro lettera pastorale sul tema delle consultazioni elettorali, inoltre, “indica il percorso che i politici devono seguire per dare al Paese un futuro giusto e pacifico”. Quanto al Sud Africa, il vescovo di Clifton racconta di aver incontrato “una Chiesa determinata ad avere un ruolo costruttivo nella vita pubblica, ad esempio attraverso l’operato pionieristico portato avanti dall’Ufficio di collegamento con i parlamentari cattolici”, che mira a promuovere il bene comune non solo nella politica, ma anche nell’economia e nella società. In entrambi i Paesi africani, comunque, mons. Lang afferma di aver incontrato “comunità cristiane attive nel Vangelo”: ad esempio, a Kuwadzana il presule inglese ha preso parte alla cerimonia di amministrazione della Cresima a sessanta giovani, mentre a Cape Town ha ascoltato la testimonianza delle religiose della “Casa di Nazareth”, da oltre 30 anni a fianco dei bambini disabili. “Questi esempi – conclude mons. Lang – insieme a molti altri, spesso supportati dalla Chiesa di Inghilterra e Galles, mi hanno dimostrato cosa significhi essere cristiani: è stato un privilegio condividere queste testimonianze”. (I.P.)

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    Francia. Il card. Vingt-Trois sulle nozze gay: società divisa. Mons. Pontier nuovo capo dei vescovi

    ◊   Ciò che preoccupa in modo particolare l’episcopato di Francia è la spaccatura che il progetto di legge Taubira sui matrimoni omosessuali sta provocando nella società francese e la deriva verso una “società” incapace di “armonizzare le differenze in un progetto comune”. Lo ha detto il cardinale André Vingt-Trois, presidente della Conferenza episcopale francese, in apertura ieri dell’Assemblea plenaria dei vescovi. Un discorso molto atteso - riferisce l'agenzia Sir - visto che oggi arriverà dal Senato in Assemblea nazionale, il testo della legge che apre il matrimonio e le adozioni alle coppie gay. “I lunghi mesi di dibattito sul disegno di legge per il matrimonio omosessuale - ha detto l’arcivescovo - hanno rivelato divisioni che erano prevedibili e annunciate”. Sono l’“indicatore di una mutazione di riferimenti culturali. E ne è un segno l’invasione organizzata e militante della teoria del genere in particolare nel settore educativo o, più semplicemente, il tentativo di negare qualsiasi differenza tra i sessi”. Il cardinale ha quindi parlato del “rifiuto della differenza come modalità di identificazione umana, e in particolare della differenza sessuale. È così - incalza l’arcivescovo - che si prepara una società di violenza. Quello che già stiamo vedendo è l’impossibilità di accettare le differenze nella vita sociale e ciò sta conducendo verso la cristallizzazione delle rivendicazioni di piccoli gruppi”. Insomma, argomenta l’arcivescovo, “la nostra società ha perso la sua capacità d’integrazione”. Il card. André Vingt-Trois al suo secondo mandato e dopo sei anni alla guida della Chiesa cattolica francese, ha lasciato l’incarico. Al suo posto i vescovi hanno eletto mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia. Prenderà l’incarico il 1° luglio. Con il presidente, i vescovi hanno anche eletto dalla vice-presidenza, mons. Pascal Delannoy, vescovo di Saint-Denis e mons. Pierre-Marie Carré, arcivescovo di Montpellier. Il nuovo presidente mons. Pontier è nato il 1 maggio 1943 ed è arcivescovo di Marsiglia dal 2006. Ha festeggiato il 20 marzo il 25° anniversario di ordinazione episcopale scegliendo come motto, “ai poveri è predicata la buona novella” (Matteo 11,5). Nella conferenza episcopale francese, ha finora svolto il ruolo di presidente del Comitato “Studi e Progetti”. (R.P.)

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    La Chiesa inglese e gallese aderisce alla legge di iniziativa popolare europea “Uno di noi"

    ◊   Anche la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles aderisce alla legge di iniziativa popolare europea (Eci) “Uno di noi”, promossa dai Movimenti per la Vita dell’Unione Europea per il riconoscimento della dignità della vita umana fin dal concepimento e contro il finanziamento di attività che favoriscano la distruzione di embrioni. Il responsabile del Dipartimento episcopale della cittadinanza e della responsabilità cristiana della Conferenza episcopale, mons. Peter Smith, invita i fedeli cattolici britannici a sottoscrivere l’iniziativa sul sito http://www.oneofus.eu per raggiungere la quota di 57mila firme richieste per il Regno Unito. “Il titolo ‘Uno di noi’ – spiega in una nota – dice tutto: che cioè ogni essere umano merita protezione e rispetto e questo è un modo concreto con cui fare sentire la voce di tutti noi in difesa della vita”. La finalità della proposta – che rientra nelle forme di democrazia diretta previste dal Trattato di Lisbona e entrate in vigore nel 2012 – è infatti quella di raccogliere entro il 1° novembre 2013 almeno un milione di firme in tutta Europa per obbligare la Commissione europea ad considerare la richiesta e a farsene portavoce davanti al Consiglio e al Parlamento Europeo. In Italia l’iniziativa ha già visto l’adesione di gran parte del mondo cattolico: tra gli altri il Forum delle famiglie, i medici e i giuristi cattolici, la Comunità di Sant’Egidio e vari movimenti, tra cui l’Azione Cattolica, Cl, il Rinnovamento nello Spirito, il Cammino Neocatecumenale e i Focolarini. (L.Z.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 107

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.