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Sommario del 03/04/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: donne e giovani, protagonisti della fede in un mondo che ha bisogno di speranza
  • Il cardinale Scola: ripensare le forme di esercizio del potere nel Paese
  • Messa del Papa: lamentarsi fa male al cuore, confidiamo in Gesù, è vicino anche nei momenti più bui
  • Papa Francesco prega davanti alla tomba di Giovanni Paolo II a 8 anni dalla sua morte
  • Papa Francesco ha telefonato a mons. Capovilla, ex segretario di Giovanni XXIII
  • Pubblicato il calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa in aprile e maggio
  • Plenaria della Pontificia Commissione Biblica sul tema “Ispirazione e verità della Bibbia”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Santa Sede: "notevole risultato" il Trattato Onu sul commercio delle armi
  • Crisi Coree. L'analista: Pyongyang usa ricatto nucleare come grimaldello contro l'Occidente
  • Siria: ancora bombardamenti su Damasco. Continua l'avanzata degli insorti
  • Centrafrica. La testimonianza di una suora: a Bangui regna la paura
  • No a nuove tasse per il pagamento dei debiti alle imprese. Suor Smerilli: attenzione a poveri e famiglie
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: dopo 8 anni di carcere assolto cristiano condannato a morte per blasfemia
  • Coree. L’arcivescovo di Seul: “Grazie e benedizioni sui nostri fratelli del Nord”
  • Congo: appello dei vescovi per la liberazione dei tre religiosi rapiti lo scorso ottobre
  • Sudan: dopo l'annuncio dell'amnistia la Chiesa chiede pace e riconciliazione
  • Grandi Laghi: iniziativa dei Gesuiti contro le armi che alimentano la crisi nella regione
  • 1.300 milioni di persone nel mondo vivono con meno di 1,25 dollari al giorno
  • Afghanistan: genitori costretti a vendere i propri figli per far fronte alla povertà
  • Mali: nasce la Commissione dialogo e riconciliazione. Incertezza a Timbuctù
  • Nigeria: l'arcivescovo di Jos condanna gli assalti ai villaggi
  • Mauritius: solidarietà della Chiesa con le vittime delle inondazioni
  • Bangladesh: messaggio pasquale dell'arcivescovo di Dhaka
  • Il Forum delle famiglie scrive ai dieci saggi incaricati da Napolitano
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: donne e giovani, protagonisti della fede in un mondo che ha bisogno di speranza

    ◊   Le donne del Vangelo sono state le più pronte a credere alla Risurrezione di Gesù. Ora, i giovani hanno il compito di diffonderne la speranza in un mondo “invecchiato” dal male. Si può riassumere così la seconda udienza generale di Papa Francesco, presieduta questa mattina in Piazza San Pietro davanti a migliaia di persone. Il Papa ha ripreso la catechesi sull’Anno della Fede, riflettendo sul versetto del Credo che parla della Risurrezione di Cristo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Avanti giovani!”. L’ultima esclamazione di Papa Francesco scatena l’applauso, l’ennesimo, degli oltre 30 mila assiepati nel colonnato del Bernini. L’appello che scalda il cuore dei ragazzi, e non solo il loro, è lanciato in chiusura di catechesi, con uno dei tipici crescendo di tono e intensità del nuovo Pontefice. Dopo aver dato atto alla capacità tutta femminile di accogliere con prontezza il messaggio della fede, come dimostrano i Vangeli, Papa Francesco affida la propagazione di quel messaggio soprattutto ai giovani, energie fresche capaci di entusiasmo in un mondo vecchio dentro per via della violenza:

    “A voi dico: portate avanti questa certezza, il Signore è vivo e cammina al nostro fianco nella vita. Questa è la vostra missione. Portate avanti questa speranza. Siate ancorati a questa speranza, questa àncora che è nel cielo (...) Portate avanti la testimonianza che Gesù è vivo e questo ci darà speranza e darà speranza a questo mondo un po’ invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani!”.

    L’esortazione ai giovani segue la presa d’atto che Papa Francesco compie, al pari dei suoi predecessori, nei riguardi delle donne, alle quali viene riconosciuto un “ruolo particolare nell’aprire le porte al Signore”. In un’epoca in cui – nota – la storia la scrivevano gli uomini perché le donne, come i bambini, erano ritenute testimoni inaffidabili, sono loro e non i primi compagni di Gesù a credere per prime alla Risurrezione:

    “Gli Apostoli e i discepoli fanno più fatica a credere. Le donne, no. Pietro corre al sepolcro, ma si ferma alla tomba vuota; Tommaso deve toccare con le sue mani le ferite del corpo di Gesù. Anche nel nostro cammino di fede è importante sapere e sentire che Dio ci ama, non aver paura di amarlo: la fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore”.

    I Vangeli, dunque, rovesciano una secolare mentalità e con ciò dimostrano, sottolinea ancora il Papa…

    “…che Dio non sceglie secondo i criteri umani: i primi testimoni della nascita di Gesù sono i pastori, gente semplice e umile; le prime testimoni della Risurrezione sono le donne. E questo è bello, e questo è un po’ la missione delle donne, della mamme, delle nonne. Dare testimonianza ai loro figli, ai loro nipotini, che Gesù è vivo, è vivente, è risorto. Mamme e donne, avanti con questa testimonianza!”.

    Papa Francesco – che riprende la riflessione sul “Credo” da dove l’aveva interrotta Benedetto XVI – spiega alla folla che la verità della fede in duemila anni è stata trasmessa sia a partire dalla professione che ne hanno fatto i primi protagonisti, sia tramite i racconti dell’“evento della Risurrezione”, sul tipo di quello delle donne al sepolcro. Tuttavia, osserva, assieme alle luci anche molte ombre hanno cercato di oscurare questa verità:

    “Purtroppo, spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi. Un po’ quella fede all’acqua di rose, come diciamo noi. Non è la fede forte. Questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della vita”.

    Ma “è proprio la Risurrezione – ha affermato Papa Francesco – che ci apre alla speranza”, alla “felicità piena” e “alla certezza che il male, il peccato e la morte possono essere vinti”:

    “La gioia di sapere che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di 'uscire' per portare questa gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita!”.

    Come mercoledì scorso, Papa Francesco si è rivolto ai vari gruppi nazionali parlando in italiano, dopo una sintesi della catechesi offerta di volta in volta da uno speaker nella lingua di appartenenza dei gruppi. In particolare, il Papa ha salutato i giovani libanesi che hanno preparato le meditazioni della Via Crucis celebrata al Colosseo lo scorso Venerdì Santo. Da registrare la presenza, in Piazza, di un gruppo di cattolici cinesi della diocesi di Tianjin, che ha potuto vivere un momento di comunione con il nuovo Pontefice. Il quale, da parte sua, rispondendo al calore delle circa 10 mila persone della diocesi di Milano presenti all’udienza, ha esclamato sorridendo:

    “Davvero sono entusiasti questi milanesi, eh!”

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    Il cardinale Scola: ripensare le forme di esercizio del potere nel Paese

    ◊   Sul pellegrinaggio della diocesi di Milano a Roma, guidato dal cardinale Angelo Scola, ascoltiamo lo stesso porporato al microfono di Luca Collodi:

    R. – Era un pellegrinaggio che avevamo già previsto da tempo, prima delle dimissioni di Papa Benedetto, con tre obiettivi: la ricerca nell’Anno della Fede della conferma della nostra fede sulla tomba di Pietro e di Paolo; il ringraziamento a Benedetto XVI per la sua venuta a Milano, in occasione della Settima Giornata mondiale delle famiglie; e poi gli eventi ci hanno portato ad esprimere la nostra affezione, la nostra vicinanza, il nostro augurio a Papa Francesco, che incomincia il suo cammino. E’ stato un gesto molto bello. Eravamo circa 10 mila pellegrini, di cui seimila ragazzi e ragazze di 14 anni, come si è visto in piazza. I ragazzi erano entusiasti. Le parole che il Santo Padre ha dedicato loro sono state molto penetranti, molto semplici e credo che adesso i numerosi sacerdoti presenti, i loro educatori, li aiuteranno a riprenderle, a valorizzarle e a renderle accompagnamento stabile del loro cammino di fede.

    D. – Questo Pontificato si apre in un momento storico per la vita del mondo, che presenta sfide molto importanti per la cultura e la proposta cristiana...

    R. – Certamente. Noi abbiamo avuto da parte della Provvidenza un grande segno con la nomina di Papa Francesco, un uomo che sa parlare direttamente al cuore della gente attraverso gesti, attraverso segni oltre che attraverso le parole e la grande attenzione, che è nata fin dalla sua apparizione. Sembra a me un segno di grande speranza per la Provvidenza. Credo che Papa Francesco abbia un’esperienza tale delle periferie, come lui le chiama, delle situazioni di prova, di contraddizione, di fatica e di dolore, che l’umanità sta attraversando oggi, per poter essere una guida luminosa nei confronti di tutte le Chiese di tutti i continenti e per poter aiutare i cristiani in quel compito di testimonianza, che non può non giungere, ovviamente fatte le debite distinzioni, fino anche agli ambiti della vita quotidiana della gente. Penso che certamente la sensibilità sociale di questo Papa si chinerà su queste problematiche e la sua radice italiana lo aiuterà anche a capire la complessità della situazione europea, che è caratterizzata dalla crescita di queste democrazie, chiamiamole “liberali”, con problematiche che derivano dalla natura plurale di questa società, che ci costringono a ripensare a tutto il tema della società civile, del suo nesso con lo Stato, alle modalità di partecipazione, e nello stesso tempo a ripensare il tema della laicità. Credo che realmente il gesto di grande umiltà di Benedetto XVI abbia spalancato alla Chiesa, in piena continuità con i Pontificati del dopoguerra, una nuova pista di cammino. Adesso tocca a tutti noi cristiani percorrerla.

    D. – Lei è pastore di una grande diocesi come Milano, capitale economica italiana. Sul fronte della gestione del bene comune oggi in Italia abbiamo grandi questioni da affrontare. C’è forse una mancanza di responsabilità diretta in chi gestisce la cosa pubblica...

    R. – Io credo che ci sia uno sforzo che debba essere fatto da tutti i cittadini, di crescita non solo nella partecipazione del voto, ma - oserei dire - nella partecipazione quotidiana. Poi, chi ha delle responsabilità a tutti i livelli, e cominciamo pure dal livello ecclesiale - evidentemente con le debite distinzioni – e poi dal livello politico, sociale, dell’impresa economica, della finanza, dell’economia e così via, deve trovare la strada di un confronto, di un paragone a tutto campo - tutti nei confronti di tutti - in modo da offrire adesso, nell’immediato, uno sbocco sufficientemente sicuro al Paese e, in prospettiva, un ripensamento delle forme dell’esercizio del potere in questo Paese.

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    Messa del Papa: lamentarsi fa male al cuore, confidiamo in Gesù, è vicino anche nei momenti più bui

    ◊   L’episodio dei discepoli di Emmaus, che propone la liturgia del Mercoledì nell’Ottava di Pasqua, è stato al centro della breve omelia pronunciata stamani da Papa Francesco durante la Messa presieduta nella Casa Santa Marta. Erano presenti i dipendenti della Domus Romana Sacerdotalis. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il Vangelo di questo mercoledì mostra i due discepoli di Emmaus lasciare Gerusalemme dopo la morte del Maestro. “Avevano paura” – osserva il Papa – tutti i discepoli avevano paura. Ma lungo la strada parlavano sempre delle vicende appena vissute “e si lamentavano”. Anzi, non cessavano di lamentarsi – ha affermato il Papa – “e più si lamentavano, più erano chiusi in se stessi: non avevano orizzonte, solo un muro davanti”. Dopo tanta speranza, provavano il fallimento di tutto ciò in cui avevano creduto: “E cucinavano – per così dire – cucinavano la loro vita nel succo delle loro lamentele, e andavano avanti così, avanti, avanti, avanti con le lamentele. Io penso tante volte che noi – ha aggiunto il Papa - quando succedono cose difficili, anche quando ci visita la Croce, corriamo questo pericolo di chiuderci nelle lamentele. E il Signore anche in questo momento è vicino a noi, ma non lo riconosciamo. E cammina con noi. Ma non lo riconosciamo”. E anche se Gesù ci parla – ha proseguito - e noi sentiamo cose belle, dentro di noi, in fondo continuiamo ad avere paura: sembra “più sicuro il lamento! E’ come una sicurezza: questa è la mia verità, il fallimento. Non c’è più speranza”.

    E’ bello – ha sottolineato il Papa – vedere la pazienza di Gesù con i due discepoli di Emmaus: “Prima li ascolta, poi spiega loro lentamente, lentamente … E poi, alla fine, si fa vedere. Come ha fatto con la Maddalena, al Sepolcro”. “Gesù fa così con noi. Anche nei momenti più oscuri: Lui sempre è con noi, cammina con noi. E alla fine ci fa vedere la sua presenza”.

    Papa Francesco sottolinea un elemento: “Le lamentele sono cattive”: non soltanto quelle contro gli altri, ma anche quello contro noi stessi, quando tutto ci appare amaro. “Sono cattive – afferma - perché ci tolgono la speranza. Non entriamo in questo gioco di vivere dei lamenti” – esorta il Papa – ma se qualcosa non va rifugiamoci nel Signore, confidiamoci con Lui: “non mangiamo lamentele, perché queste tolgono la speranza, tolgono l’orizzonte e ci chiudono come con un muro. E da lì non si può uscire. Ma il Signore ha pazienza – ha aggiunto il Papa - e sa come farci uscire da questa situazione”. Come è successo ai discepoli di Emmaus che l’hanno riconosciuto quando ha spezzato il pane. “Abbiamo fiducia nel Signore – è l’invito del Papa - Lui sempre ci accompagna nel nostro cammino, anche nelle ore più oscure”: “siamo sicuri che il Signore mai ci abbandona: sempre è con noi, anche nel momento difficile. E non cerchiamo rifugio nelle lamentele: ci fanno male. Ci fanno male al cuore”.

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    Papa Francesco prega davanti alla tomba di Giovanni Paolo II a 8 anni dalla sua morte

    ◊   Ieri sera, verso le 19.00, dopo la chiusura serale della Basilica Vaticana, Papa Francesco ha compiuto una visita alla tomba del Beato Papa Giovanni Paolo II, nell’ottavo anniversario della morte. Il Papa era accompagnato dal cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana e dal segretario personale, mons. Alfred Xuereb. Il Papa ha sostato a lungo inginocchiato in preghiera silenziosa davanti alla tomba di Giovanni Paolo II nella Cappella di San Sebastiano, ma ha pure sostato brevemente in raccoglimento alle tombe del Beato Giovanni XXIII e di San Pio X. Come la visita di ieri alla tomba di San Pietro e alle Grotte Vaticane, anche la visita di ieri sera nella Basilica esprime la profonda continuità spirituale del ministero petrino dei Pontefici, che Papa Francesco vive e sente intensamente, come ha dimostrato anche nell’incontro e con i ripetuti colloqui telefonici con il suo predecessore Benedetto XVI.

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    Papa Francesco ha telefonato a mons. Capovilla, ex segretario di Giovanni XXIII

    ◊   Lunedì Papa Francesco ha telefonato all’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, ex-segretario di Giovanni XXIII, che risiede a Ca’ Maitino di Sotto il Monte. Ne dà notizia l’Osservatore Romano. Il Pontefice aveva ricevuto brevi manu il pieghevole "Pasqua di Risurrezione nella luce del Concilio Vaticano II", curato dall’ex segretario di Papa Roncalli. “La vedo con gli occhi del cuore”, ha detto Papa Francesco salutando mons. Capovilla che racconta: “È stata una grandissima sorpresa e amo considerare questa telefonata un gesto indirizzato, più che alla mia persona, a questo luogo dove nacque Giovanni XXIII: un omaggio a lui e alle sue radici”. Nella conversazione il Pontefice ha chiesto a mons. Capovilla di “pregare Giovanni XXIII perché aiuti il Papa e tutti a farsi più buoni”.

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    Pubblicato il calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa in aprile e maggio

    ◊   E' stato pubblicato il calendario delle celebrazioni presiedute da Papa Francesco nei mesi di aprile e maggio. Domenica prossima, 7 aprile, celebrerà alle 17.30 la Messa nella Basilica di San Giovanni in Laterano per il suo insediamento come Vescovo di Roma. Il 14 aprile, terza Domenica di Pasqua, presiederà alle 17.30 la Santa Messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Il 21 aprile, quarta Domenica di Pasqua, presiederà alle 9.30 nella Basilica Vaticana la Messa con ordinazione presbiterale. Il 28 aprile, quinta Domenica di Pasqua, celebrerà in Piazza San Pietro alle 10.00 la Santa Messa con amministrazione della Cresima.

    Sabato 4 maggio guiderà il Santo Rosario, alle 18.00, nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Il 5 maggio, sesta Domenica di Pasqua, presiederà alle 10.00 in Piazza San Pietro la Santa Messa per le Confraternite. Il 12 maggio, settima Domenica di Pasqua, celebrerà la Messa alle 9.30 in Piazza San Pietro per la Canonizzazione dei Beati Antonio Primaldo e Compagni, Laura di Santa Caterina da Siena e Maria Guadalupe García Zavala. Sabato 18 maggio, presiederà in Piazza San Pietro alle 18.00 la Veglia di Pentecoste con i Movimenti ecclesiali. Infine, il19 maggio, celebrerà in Piazza San Pietro alle 10.00 la Messa nella Domenica di Pentecoste sempre con i Movimenti ecclesiali.

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    Plenaria della Pontificia Commissione Biblica sul tema “Ispirazione e verità della Bibbia”

    ◊   La Pontificia Commissione Biblica terrà la sua sessione plenaria annuale dall'8 al 12 aprile presso la Domus Sanctae Marthae, sotto la presidenza di mons. Gerhard Ludwig Müller. Padre Klemens Stock, segretario generale, dirigerà i lavori dell'assemblea. Nel corso della riunione i membri concluderanno lo studio sul tema “Ispirazione e verità della Bibbia”. Da alcuni anni la Commissione ha deciso di concentrare i propri sforzi nel verificare in che modo il tema dell'ispirazione e quello della verità si manifestino nei diversi libri della Sacra Scrittura. Scopo della riflessione è quello di offrire un contributo positivo perché, in una approfondita comprensione dei concetti di ispirazione e verità, la Parola di Dio venga accolta da tutti i fedeli, in un modo sempre più adeguato a questo singolare dono, in cui Dio comunica se stesso e invita gli uomini alla comunione con Lui.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La missione delle donne: all’udienza generale il Papa ricorda le prime testimoni della risurrezione.

    Nell’ottavo anniversario della morte di Giovanni Paolo II, Papa Francesco prega davanti alle tombe dei predecessori.

    L’incontro al bar: il primo capitolo del volume “Dio ha fatto gol. Papa Francesco” che Egidio Picucci, direttore responsabile della rivista “Continenti” della Conferenza italiana ministri provinciali cappuccini, ha dedicato al nuovo Pontefice.

    Un bizantino chiamato Piero della Francesca: in cultura, Jean-Pierre De Rycke sulla risurrezione di Borgo Sansepolcro che rimanda alla ieraticità impersonale della tradizione cristiana orientale, con un articolo di Giorgio Alessandrini dal titolo “Quel duello perennemente in corso”.

    Primula rossa in tonaca: Giovanni Preziosi ricorda don Giuseppe Morosini, il sacerdote romano che salvò centinaia di ebrei, trucidato, sessantanove anni fa, in un’imboscata presso il Forte Bravetta.

    Tombe etrusche in 3D: Maurizio Sannibale sull’installazione - presentata dai Musei Vaticani - dedicata alla ricostruzione della sepoltura Regolini-Galassi di Cerveteri.

    Per prendersi cura di ognuno: nell’informazione religiosa, il messaggio pasquale dei vescovi argentini.

    Armi a circolazione limitata: in rilievo, nell’informazione internazionale, il via libera dell’Onu al Trattato sul commercio.

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    Oggi in Primo Piano



    Santa Sede: "notevole risultato" il Trattato Onu sul commercio delle armi

    ◊   “Un risultato notevole che introduce un principio di legalità”: così il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha commentato l’approvazione all’Onu del primo storico Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali. “Una vittoria per la gente del mondo” ha aggiunto il segretario generale delle Nazioni Unite per il quale ora è più difficile “l'utilizzo di armi letali da parte di criminali, terroristi e signori della guerra”. Il servizio di Benedetta Capelli:

    E’ il fragoroso applauso a sottolineare l’importante passo compiuto. L’Assemblea generale, con 154 i voti a favore, ha approvato il Trattato sul controllo delle armi convenzionali; 23 i Paesi che si sono astenuti, 3 i contrari: Iran, Corea del Nord e Siria, gli scenari che più preoccupano la comunità internazionale. Storico - come molti hanno definito questo documento – è anche il sì degli Stati Uniti, uno dei principali produttori di armi, e che al suo interno continua però a coltivare l’opposizione della “National Rifle Association”, che è appunto la lobby dei produttori di armi. Il documento è arrivato al traguardo dopo quasi dieci anni di trattative, imponendo per la prima volta maggiore trasparenza internazionale a un giro d’affari da 70 miliardi di dollari l’anno. Il principio guida della nuova norma è condizionare la vendita di armi al rispetto dei diritti umani da parte del compratore. Il Trattato chiede dunque ai governi di assicurarsi che i contratti privati non violino l’embargo di armi e non finiscano col mettere strumenti di morte nelle mani di criminali o terroristi. Per questo, il documento impone ai Paesi di adottare regole più severe e attuare maggiori controlli prima di concedere licenze ai commercianti. Per entrare in vigore, occorrerà che almeno 50 Stati ratifichino il Trattato e su questa direzione bisognerà procedere.


    Quello del Trattato sul commercio delle armi è un testo fortemente voluto dalla Santa Sede, che più volte ha fatto appello negli anni perché si varasse un provvedimento “efficace”, imperniato sulla tutela della persona umana. Benedetta Capelli ha chiesto un parere a Vittorio Alberti, officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:

    R. - Il risultato, dal punto di vista storico, è notevole sia in linea di principio che sul piano degli intenti esposti anche dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che si traducono poi in atti storici e politici, e lo è anche in termini di diplomazia. È notevolissimo poiché introduce un principio di legalità lì dove è tendenzialmente assente. Quindi, in questo senso, riteniamo che sia un risultato della Santa Sede e un risultato anche di civiltà.

    D. - La Santa Sede aveva chiesto più volte la possibilità che ci fosse un largo consenso intorno ad "un testo credibile e forte" e soprattutto che si mettesse al centro la persona umana. Sull’ancorare il trattato al rispetto dei diritti umani...qualcosa insomma è stato fatto…

    R. - Sì, sicuramente. È difficile parlare di difesa dei diritti umani, della persona umana, quando si parla di armi. Quindi, bisogna muoversi nel compromesso che non è necessariamente un fatto negativo: l’ideale sarebbe la costruzione politica della pace, come anche auspica l’enciclica Pacem in Terris, della quale quest’anno ricorre l’anniversario. Diciamo che la difesa della persona umana, anche nell’ampio orizzonte di questo trattato, risente di alcune difficoltà storiche ed oggettive, ma sicuramente introdurre un criterio giuridico - come questo trattato ha introdotto - è un fatto decisamente positivo. La dinamica di questo trattato ha maggioranze, minoranze, voti di astensione da parte di grandi potenze - gli Stati Uniti invece l’hanno sostenuto - poi entrando nel dettaglio si possono fare ulteriori commenti, ma il risultato c’è stato e siamo soddisfatti.

    D. - Molti esperti ritengono che questo sia un trattato un po’ al ribasso…

    R. - Si poteva fare di più, ma sul piano storico direi che è comunque un ottimo risultato. La possibilità di aggirare il Trattato è un limite di qualunque legge umana positiva. Speriamo che ciascuno Stato assuma giuridicamente, in termini concreti e di realizzazione, questo principio. La storia avrà il suo corso, ma anche la diplomazia della Santa Sede spingerà continuamente su questo tasto.

    D. - Dicevamo dei Paesi che hanno votato e quelli che si sono astenuti: gli Stati Uniti hanno detto sì. È un cambiamento veramente storico…

    R. - Gli Stati Uniti hanno detto sì, ma gli Stati Uniti perpetuano la loro tradizione democratica in questo senso: a differenza di altre nazioni molto forti, gli Stati Uniti comunque restano una grande democrazia e quindi, in questo senso, c’è un prestare fede alla propria tradizione.


    Sull’importanza del Trattato sul commercio delle armi convenzionali, Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione di Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:

    R. - Certamente è un accordo storico, arrivato dopo circa una decina di anni in cui c’erano state una serie di iniziative che sono partite - non dimentichiamolo - dalla società civile. Siamo arrivati così ad un trattato. Però, purtroppo si presenta estremamente indebolito rispetto a quanto si richiedeva.

    D. - Quali sono allora le criticità di questo accordo sottoscritto?

    R. - Questo è stato praticamente un compromesso a ribasso voluto da diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Russia, India e Cina. Sostanzialmente, abbiamo un trattato che riguarda solo i principali sistemi d’arma: i carri armati, i sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei, elicotteri, navi, sottomarini, missili, nonché le armi leggere ad uso militare. Però, rimangono fuori - con limitate forme di controllo - le munizioni e le componenti di armi, mentre restano totalmente fuori la armi da fuoco che non sono di esclusivo uso militare, le armi elettroniche, radar, satelliti ed i trasferimenti di armi che vengono fatti all’interno di accordi governativi, programmi di assistenza e cooperazione militare… Quindi a volte si può aggirare l’ostacolo realizzando un accordo di cooperazione con il Paese destinatario, ed ecco che in quel caso tale intesa non rientra più nel campo di applicazione di questo trattato. È un trattato che lascia dunque ampi margini di manovra. Il problema è vedere in che modo i Paesi che sono i grandi produttori di armi lo applicheranno e soprattutto se utilizzeranno tutte le possibili vie di fuga che questo trattato consente.

    D. - Però professore, c’è un vincolo importante che è quello legato al rispetto dei diritti umani…

    R. - Sicuramente. Ci sono degli elementi positivi ed una serie di divieti. È un primo piccolo passo. Non è esattamente quello che si voleva, probabilmente ci sarà da lavorare ancora. Il fatto che sia stato approvato nell’ambito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite permetterà successivamente di intervenire e di integrarlo attraverso alcuni protocolli opzionali coinvolgendo l’Assemblea nel miglioramento del trattato. Adesso il problema è quello di riuscire a farlo ratificare al più presto da almeno 50 Stati; a questo punto il trattato diverrebbe effettivamente esecutivo.

    D. - Forse questo trattato è storico anche perché c’è stato - per la prima volta – il sostegno degi Stati Uniti…

    R. - Certamente. Gli Stati Uniti si sono trovati nella sessione precedente la Conferenza - che si è svolta nel luglio del 2012 - a dover subire fortemente le pressioni della lobby dei produttori d’armi statunitensi che aveva inviato una lettera redatta da circa 51 senatori repubblicani e democratici. Nella missiva si intimava il presidente Obama a non aderire a questo trattato perché altrimenti non sarebbe stato ratificato in Senato. Obama in quell’occasione ha ceduto chiedendo un rinvio, anche perché si trovava in piena campagna elettorale. In quest’ultima conferenza che si è conclusa nella settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno mutato la loro posizione e, a questo punto, nell’ultima votazione nell’Assemblea generale hanno deciso di votare il trattato. Certamente la posizione favorevole da parte degli Stati Uniti e comunque l’astensione di altri Paesi come la Russia, la Cina, ha permesso il via libera all’intesa.

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    Crisi Coree. L'analista: Pyongyang usa ricatto nucleare come grimaldello contro l'Occidente

    ◊   E' sempre alta la tensione tra Corea del Nord e Corea del Sud e aumenta la preoccupazione internazionale per una situazione che stamani la Russia ha definito “esplosiva”, dopo l’annuncio di Pyongyang di riaprire la centrale nucleare di Yongbyon, ferma dal 2007, e la decisione di bloccare oggi l’entrata dei lavoratori sudcoreani nel distretto a Kaesong, l’area industriale di sviluppo congiunto tra i due Paesi. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Franco Mazzei, docente emerito all’Università di Studi di Napoli “L’Orientale” e docente di Politica internazionale alla Luiss di Roma.

    D. – Prof. Mazzei, possiamo temere che il leader nord coreano Kim Jong-un cerchi lo scontro armato o che voglia solo alzare il livello della provocazione, per ottenere cosa?

    R. – Io penso che, prima di ogni analisi della crisi nucleare nordcoreana, sia necessario per noi europei ricordare una cosa: la penisola coreana porta ancora le stigmate della Guerra fredda, guerra che in Asia è stata caldissima con decine e decine di milioni di morti. Da più di mezzo secolo, questo fiero e nazionalistico Paese e popolo è diviso in due Stati che sono all’opposto: uno molto avanzato, l’altro arretratissimo, uno ricco, l’altro estremamente povero. Questa crisi è già cominciata nel ’93 e dura ormai da tanto tempo. Cosa sta a significare? E’ quella che viene chiamata brinkmanship, cioè la strategia dell’orlo del burrone, del rischio calcolato. In questo caso, il rischio è quello del ricatto nucleare. L’obiettivo non è l’aggressione, ma è dettato da una serie di ragioni. In primo luogo, la grave difficoltà del Paese, che vive in un’estrema miseria. Secondo, il nuovo leader ha bisogno di legittimità sia internazionale, ma soprattutto all’interno. Il giovane leader ha bisogno di avere consenso e in questi casi è molto più semplice ottenere consenso additando dei nemici, ricorrendo al nazionalismo militaristico e così via. Queste sono le vere cause che spingono il giovane leader a proseguire una strategia, che però era già iniziata da molto tempo.

    D. - Quindi, ha ragione il segretario generale dell’Onu, il sud coreano Ban Ki-moon, che ha parlato di crisi politica-diplomatica, andata "troppo oltre"...

    R. – Indubbiamente la crisi è grave, gravissima e preoccupante. Ma la soluzione migliore rimane ancora il negoziato: il negoziato a sei, cioè le due Coree, gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese, e i due Paesi vicini, Giappone e Russia. Altre soluzioni non sono immaginabili. E’ necessaria saggezza diplomatica. La strategia della Nord Corea deve essere superata attraverso una cooperazione e collaborazione internazionale. Esiste un problema, un vero pericolo reale: l’errore umano. Un errore elementare, tecnologico potrebbe portare la situazione al di fuori di ogni controllo. L’Europa da parte sua, in particolare, deve insistere sulla Cina, perché assuma un ruolo più responsabile in questa crisi.

    D. – La Cina può giocare un ruolo importante. Sul piano diplomatico, si dice preoccupata e ha allertato le truppe al confine nordcoreano. Ma che cosa paventa Pechino?

    R. – Il rapporto tra la Cina e la Corea del Nord è un rapporto particolarissimo tra amici-nemici. Gli strateghi della Cina sono ben abituati all’imprevedibilità del vicino, che è considerato un bulldozer nei confronti degli Stati Uniti, ma anche imprevedibile. Effettivamente, l’atteggiamento, la risposta della Cina a questa nuova iniziativa del nucleare della Corea del Nord è interessante, perché per la prima volta ha cominciato a parlare di preoccupazione. Finora, ha detto solo agli occidentali: “State calmi, state tranquilli”. Adesso, invece, c’è qualche segno di preoccupazione. Questo dovrebbe spingere sia gli Stati Uniti, sia l’Europa a premere sulla Cina, che è l’unica in grado, in qualche modo, di condizionare le scelte della Corea del Nord.

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    Siria: ancora bombardamenti su Damasco. Continua l'avanzata degli insorti

    ◊   Anche oggi proseguono con intensità i bombardamenti dell’esercito siriano sui quartieri della capitale Damasco controllati dalle milizie degli insorti, che rispondono al fuoco con altrettanta forza. Una famiglia di quattro persone è stata sterminata dall'esplosione di un colpo di cannone. Secondo gli osservatori, l’avanzata dei ribelli, prima presenti solo al nord, si sta estendendo a Damasco e ad altre zone del Paese. Antonella Palermo ne ha parlato con Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut, ideatore del sito www.siria-libano.com:

    R. – Sul terreno, anche dai video amatoriali che vengono diffusi su Internet, relativi agli avanzamenti del fronte dei ribelli, sono visibili degli armamenti relativamente nuovi in loro possesso e questo potrebbe essere indizio di un afflusso di armi attraverso la Giordania.

    D. – Qual è l’atteggiamento di Israele di fronte all’avanzata dei ribelli siriani?

    R. – Per Israele, la caduta di Bashar al Assad non sarà mai una buona notizia. Gli israeliani hanno detto più volte che preferiscono Bashar al Assad ai jihadisti o comunque agli estremisti. Questi ribelli hanno una retorica – a differenza del regime di Damasco – e un attivismo chiaramente anti-israeliani. Dicono che, dopo il Golan, vorranno liberare il resto dei territori siriani occupati da Israele. Quindi, per Israele ci sono davvero le condizioni per temere oggi, molto più di quanto non abbia temuto nei 40 anni di regime degli Assad.

    D. – La comunità internazionale come sta guardando alla situazione in Siria?

    R. – Gli Stati Uniti e la Russia sono gli attori che continuano ad avere in mano, anche in questa crisi, il pallino della situazione. E’ lì, a Mosca e a Washington, prima che a Bruxelles o a Teheran, che si decidono attualmente le sorti del conflitto siriano, perché se i russi togliessero il loro cappello protettivo su Bashar al Assad, le cose cambierebbero nell’arco di poche ore. Bisogna quindi domandarsi quale sia la controparte da dare ai russi, perché mettano fine all’appoggio nei confronti del loro storico alleato.

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    Centrafrica. La testimonianza di una suora: a Bangui regna la paura

    ◊   Resta precaria la situazione nella capitale del Centrafrica, mentre il nuovo governo dei ribelli parla di una ripresa dell’attività amministrativa e economica. Oggi c’è attesa per l’incontro a N'Djamena, capitale del Ciad, della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale, in cui si discuterà della crisi a Bangui. A Bangui molti negozi e le banche restano ancora chiusi in un’atmosfera ancora molto tesa con la presenza di uomini armati per le strade. Nel resto del Paese regna la paura, come racconta nell’intervista di Fausta Speranza, una suora dell’Istituto di Clarisse di Bouar:

    R. – Avant hier, ils ont tiré, mais depuis hier et jusqu’à maintenant…
    L’altro ieri ci sono stati molti colpi di arma da fuoco, ma da ieri e fino a ora non ce ne sono più, quindi c’è calma. La settimana scorsa sono state uccise tante persone in città. Ora, c’è un po’ di ordine e quindi anche calma. Ma le persone hanno molta paura, molta paura. La gente ha veramente molta a causa dell’insicurezza che regna nel Paese e nei quartieri. Molte persone vanno a dormire nella brousse, all’aperto tra le piante. Lasciano le loro case e vanno a dormire nei loro campi. Quelli che girano sono veramente dei banditi: prendono le cose della gente, tutto, e, se non basta, sparano. Fanno veramente paura.

    D. – Cosa ci può dire della situazione a Bangui?

    R. – A Bangui il y a aussi beaucoup de l’insécurité; par exemple, ma grande sœur…
    A Bangui, la situazione è altrettanto insicura. Per esempio, sono entrati a casa di mia sorella, hanno rotto la porta e hanno distrutto tutto, hanno portato via tutto quello che c’era. Lei ha perso tutto. Per fortuna era andata via, con suo marito, e così hanno salvato la vita: la loro casa è stata saccheggiata, distrutta. Dicono che per loro è una specie di regolamento dei conti nei riguardi delle persone che hanno qualcosa. Così entrano nelle case, prendono i loro beni, distruggono le abitazioni, fanno grandi danni, prendono anche le macchine: sono danni ingenti per una popolazione che è povera. Ci sono tante persone, a Bangui, che hanno perso tutto e sono rimaste abbandonate a loro stesse…

    D. – Lei ha un’idea di chi siano i ribelli?

    R. – Bon, dans ces rebelles, il y a des étrangers, ce ne sont pas des centrafricains…
    Tra i ribelli ci sono degli stranieri. Non sono tutti centrafricani, anzi sono pochi i centrafricani tra di loro. Ci sono sudanesi, ciadiani e parlano soltanto arabo: non parlano francese. Pochi fra loro parlano il sangho. Tutto questo fa paura: non è la gente del Paese che guida questa rivolta: sono stranieri, sono musulmani. Indossano il turbante dei musulmani… Fanno paura. Contiamo sulla misericordia del Signore, perché soltanto il Signore può proteggerci. Molte persone pregano affinché il Signore protegga la popolazione e ci doni la pace. Noi abbiamo bisogno della pace.

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    No a nuove tasse per il pagamento dei debiti alle imprese. Suor Smerilli: attenzione a poveri e famiglie

    ◊   E' stato rinviato ai prossimi giorni il consiglio dei ministri che oggi doveva definire testo del decreto sui debiti commerciali della PA. Per il governo servono "approfondimenti'' dopo le risoluzioni approvate ieri da Camera e Senato. Escluso comunque un aumento delle addizionali Irpef. Alessandro Guarasci:

    C’è un netto no all’aumento delle tasse per saldare i debiti della Pubblica amministrazione. Un po’ tutti i partiti si esprimono in questo senso. Alle imprese dovrebbero comunque andare 20 miliardi quest’anno e altri 20 nel 2014. Un atto importante per suor Alessandra Smerilli, segretario delle Settimane Sociali e docente di economia politica alla Pontificia facoltà di scienze dell'educazione “Auxilium”:

    R. - Questa restituzione è importantissima - perché in fondo è una restituzione - quindi è assolutamente urgente che si ponga mano a questo tema, come del resto si sta facendo.

    D. - In Italia, però, si sta ponendo davvero un’emergenza occupazione, soprattutto per i giovani. Bisogna investire di più sui talenti e sulla ricerca per far ripartire il lavoro in Italia?

    R. - E’ un tema che dovrebbe vedere azioni non solo nel breve termine - quindi investimento sicuramente sulla ricerca e tutto quello che si può fare per garantire delle occupazioni - ma ci vorrebbero azioni di medio e lungo termine, che dovrebbero rivedere assolutamente tutto il sistema di istruzione, per esempio. Per cui, io credo che come in tanti grandi momenti della storia in cui si è “rinati”, tutto questo si è avuto grazie ad innovazioni da parte di persone che hanno avuto “occhi nuovi” per vedere i bisogni emergenti e porre rimedio.

    D. - Lei ha parlato di “occhi nuovi”: chi sono questi “occhi nuovi” oggi?

    R. - Sicuramente in questo momento non li vedo nella politica e nelle istituzioni. Vedo “occhi nuovi”, per esempio, in tanti imprenditori che stanno facendo cose innovative per il bene comune - penso al sistema di imprese sociali che sta nascendo con il nome di “Welfare Italia” - che stanno cercando di adottare pratiche nuove per la sanità, per il bisogno di cure, senza dipendere dallo Stato, con servizi di qualità e costi che sono inferiori ai prezzi di mercato del 30-40%.

    D. - Un altro dei nodi dell’Italia in questo momento è la forte pressione fiscale. L’aumento dell’Iva, previsto a luglio, secondo lei è assolutamente da scongiurare?

    R. - Secondo me sì, perché in questo modo andiamo in “caduta libera”: aumento dell’Iva vuol dire riduzione ulteriore di consumi e tutto questo andrebbe a pesare in maniera molto forte sulle famiglie, che invece sono un altro soggetto da rimettere al centro della scena italiana. Quindi, c’è bisogno per esempio di forme intelligenti di tassazione dei grandi patrimoni ed altre misure che possono permettere di recuperare soldi e di non gravare sui più poveri. Questo è fondamentale se vogliamo far ripartire l’Italia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: dopo 8 anni di carcere assolto cristiano condannato a morte per blasfemia

    ◊   Younis Masih, cristiano condannato a morte con false accuse di blasfemia, in carcere dal 2005, è stato assolto oggi, dall’Alta Corte di Lahore, a conclusione del processo di appello. Come riferiscono fonti locali dell'agenzia Fides, il tribunale, accogliendo in toto la richiesta della difesa, ha rovesciato la sentenza del tribunale di primo grado, annullando la condanna a morte e la multa di 100.000 rupie comminata. Il collegio giudicante, composto dai giudici Khaja Amtiaz Ahmed e Khalid Mehmood Khan, ha dichiarato Younis Masih innocente e ha ordinato il suo rilascio immediato. L’appello è stato presentato a settembre 2012 grazie a un team di avvocati cristiani e grazie al sostegno dell’Ong Lead (“Legal Evangelical Association Development”). Il processo, nota a Fides Mushtaq Gill, uno degli avvocati, è stato seguito da molti musulmani, presenti anche alla lettura della sentenza. “Siamo grati a Dio perchè, dopo tanti anni, la giustizia ha trionfato per Younis Masih. Siamo fiduciosi possa accadere anche per Asia Bibi”, dice a Fides l’avvocato Gill. Younis Masih, era stato arrestato con l'accusa di blasfemia a Lahore il 10 settembre 2005. Allora aveva 27 anni. Dopo l’accusa si era scatenata un violenza di massa: 400 musulmani armati di bastoni attaccarono e saccheggiarono il quartiere di Chungi Amer Sidhu, dove viveva la famiglia di Younis. Younis e sua moglie Meena furono malmenati, oltre 100 famiglie cristiane fuggirono dalla zona per salvarsi la vita. Younis aveva semplicemente chiesto ad alcuni vicini di casa musulmani di abbassare il volume della musica che proveniva dalla loro casa. Per questo era stato falsamente accusato di blasfemia e le moschee della zona avevano invitato i musulmani ad attaccare e bruciare case cristiane. La polizia, per placare la folla, registrò una denuncia di blasfemia contro Younis e, in un processo tenutosi in carcere per motivi di sicurezza, un tribunale di primo grado lo aveva condannato a morte nel 2007. (R.P.)

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    Coree. L’arcivescovo di Seul: “Grazie e benedizioni sui nostri fratelli del Nord”

    ◊   La risposta alle minacce di guerra sono “abbondanti grazie e benedizioni per i nostri fratelli, divisi da noi, in Corea del Nord”: è quanto afferma, in un messaggio pasquale, l’arcivescovo di Seul, mons. Andrew Yeom Soo-jung, auspicando che la pace possa sempre trionfare nella penisola coreana. Il messaggio, inviato all’agenzia Fides, giunge in un momento di alta tensione politica e militare fra le due Coree. Ricordando che “l'amore e la pace del Signore Risorto hanno inondato il mondo di gioia pasquale”, l’arcivescovo invita tutti a “pregare per chi soffre di dolori materiali e spirituali” e, soprattutto, “per i fratelli della Corea del Nord”. “Con la risurrezione di Gesù Cristo, Dio ci mostra che la morte non è la fine ma un nuovo inizio: passiamo dalle tenebre alla luce, dalla morte in una nuova vita”. Quella “nuova vita” che l’arcivescovo augura a tutto il popolo coreano, nel Nord e nel Sud, invocando: “Viviamo in un momento in cui è necessaria la pace più che mai, e noi cristiani devono diventare lo strumento che porta la pace di Gesù nel mondo. Il nostro Paese è lontano dalla pace a causa della situazione politica instabile e della disputa con la Corea del Nord. Cosa dovremmo fare per diventare strumento di pace? Dobbiamo credere nella Risurrezione di Cristo e vivere la Risurrezione. Rimanere in Cristo con profonda fede di fronte il male o dolore significa abbracciare l’agonia del prossimo e aiutare gli altri a portare la loro croce”. L’arcivescovo rimarca l’attualità della Risurrezione che “non è solo un evento accaduto in passato”: “Il Signore risorto è con noi in questo momento. Se crediamo alla sua presenza, tutto può essere cambiato, nulla è impossibile a Dio”. “L'amore di Dio e la pace sia con tutti voi e con tutta la Corea”, conclude il messaggio. (R.P.)

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    Congo: appello dei vescovi per la liberazione dei tre religiosi rapiti lo scorso ottobre

    ◊   Sono trascorsi sei mesi da quando tre religiosi congolesi della congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione - Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasinkundi e Edmond Bamutute - sono stati rapiti nella diocesi di Butembo-Beni. Da allora, non si ha più alcuna notizia di loro. Per questo, la Conferenza episcopale locale (Cenco) ha lanciato un appello in favore del loro rilascio: “Continuiamo a chiedere la loro liberazione – si legge nel testo – Questi religiosi non hanno fatto nulla per meritare questo”. Di qui, l’auspicio dei vescovi affinché i rapitori “si ravvedano” e “lascino che tali sacerdoti servano Dio”. Rapiti il 19 ottobre in un convento della parrocchia di Nostra Signora dei Poveri a Mbau, a una ventina di chilometri a nord di Beni, i tre religiosi sono stati portati via da non meglio identificati uomini armati, forse una decina. Poco dopo il loro sequestro, proprio a Beni era stata annunciata la costituzione di un nuovo movimento politico-militare, l’Unione per la riabilitazione della democrazia in Congo. Altre due piste erano state poi individuate per le ricerche: quella dei ribelli ugandesi delle Adf-Nalu, attivi nella zona e in passato già responsabili di azioni simili ai danni dei civili nel settore di Mbau-Beni, e un possibile coinvolgimento del Movimento indipendentista “23 marzo” (M23). Anche il Sinodo generale dei vescovi, riunito nella sua 13.ma Assemblea generale l’ottobre scorso, aveva lanciato un appello per la liberazione dei tre religiosi: in particolare, il 23 ottobre mons. Nikola Eterović, segretario generale dell’assise, aveva chiesto il “rilascio immediato e senza condizione” dei tre sacerdoti. (I.P.)

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    Sudan: dopo l'annuncio dell'amnistia la Chiesa chiede pace e riconciliazione

    ◊   “La Chiesa sostiene la riconciliazione tra i partiti e le fazioni e prega per la fine dei conflitti armati nelle regioni dei Monti Nuba e del Nilo Blu”: lo dice all'agenzia Misna mons. Daniel Adwok, vescovo ausiliario di Khartoum, dopo l’annuncio di un’amnistia per i detenuti politici del Sudan. Secondo mons. Adwok, è ancora presto per capire la portata delle decisioni rese note dal presidente Omar Hassan al Bashir con un discorso pronunciato in parlamento. “Ieri sono stati rilasciati alcuni esponenti di partiti e movimenti che aderiscono a una nuova alleanza tesa a rovesciare il governo – sottolinea il vescovo – ma non è chiaro se l’amnistia riguarderà anche i ribelli del Movimento di liberazione popolare del Sudan-Nord o gli ufficiali arrestati nel novembre scorso per un presunto tentativo di golpe”. Mons. Adwok sottolinea che la Chiesa è preoccupata soprattutto dai conflitti armati e dalle violenze in corso in diverse regioni di frontiera, lungo un arco di crisi esteso dal Darfur ai Monti Nuba e al Nilo Blu. “La guerra – dice il vescovo – ha causato centinaia di migliaia di sfollati e sofferenze indicibili alle popolazioni; preghiamo per un processo di riconciliazione che riguardi tutti i partiti e tutte le fazioni e conduca a un accordo di pace per i Monti Nuba e il Nilo Blu”. In queste due regioni l’esercito di Khartoum è impegnato in un conflitto con i ribelli del Movimento di liberazione popolare del Sudan-Nord (Splm-N) che, in meno di due anni, ha costretto più di 200.000 persone a cercare rifugio al di là dei confini con l’Etiopia e il Sud Sudan. Finora, le reazioni dell’Splm-N all’annuncio dell’amnistia sono state per lo più negative. Il governo, è stato detto, vuole “solo legittimarsi” e convincere l’opposizione a partecipare a “un processo costituzionale vuoto” avviato dopo l’indipendenza ottenuta da Juba nel 2011. (R.P.)

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    Grandi Laghi: iniziativa dei Gesuiti contro le armi che alimentano la crisi nella regione

    ◊   Accrescere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale sulla crisi nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e monitorare i flussi di armi che alimentano la guerra nella regione. Sono queste le azioni che verranno condotte nell’ambito della Jesuit Great Lakes Advocacy Initiative, promossa da alcune organizzazioni legate alla Compagnia di Gesù. Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, rappresentanti di Global Ignatian Advocacy Network (Gian), del Jesuit African Social Centers Network, del Jesuit Refugee Service Great Lakes, del Jesuit Refugee Service Eastern Africa, dell’African Jesuit Aids Network (Ajan), e dell’Hekima Institute of Peace and International Relations si sono riuniti a Nairobi (Kenya) dal 24 al 28 marzo per valutare le iniziative da intraprendere per un’azione comune di sensibilizzazione sulla crisi nei Grandi Laghi. “Da quasi 20 anni - afferma il comunicato - conflitti e guerre colpiscono milioni di donne, bambini e uomini nella regione dei Grandi Laghi. Nell’est della Rdc, due milioni di persone continuano a soffrire a causa di imponenti sfollamenti di popolazioni e di violazioni quotidiane dei diritti umani, quali violenze sessuali e reclutamento di bambini soldato”. “Tra le diverse cause di questo conflitto - si ricorda nel documento - la proliferazione e il traffico di armi illegali nella Rdc alimentano l’escalation della violenza e l’instabilità nella regione”. Pur riconoscendo gli sforzi messi in opera dalla comunità internazionale per fermare il conflitto, le organizzazioni promesse dai gesuiti ritengono che “non sono stati intrapresi passi significativi per sradicare la cause che sono ad origine del conflitto”. Per questo è nata la Jesuit Great Lakes Advocacy Initiative che avrà come compito di accrescere la consapevolezza di tutte le parti in causa nella regione del legame tra il conflitto e la proliferazione delle armi, e di tracciare l’origine dei flussi di armi verso l’area, conducendo ricerche approfondite sul campo. (R.P.)

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    1.300 milioni di persone nel mondo vivono con meno di 1,25 dollari al giorno

    ◊   “Le famiglie non sono un semplice settore della società, ma sono la società stessa, ne costituiscono il tessuto, ne hanno assicurato e ne assicurano la tenuta anche nelle situazioni più difficili. Per questo è interesse dell’intera società che le Istituzioni assicurino alle famiglie il giusto riconoscimento e sostegno”. Lo si legge nella lettera inviata dal Forum delle associazioni familiari ai dieci saggi incaricati dal presidente Napolitano di preparare per il governo che verrà, una road map sui temi economici e istituzionali. “La situazione economica e la crisi occupazionale - prosegue il documento ripreso dall'agenzia Sir - hanno messo all’angolo l’intera società, ma c’è chi soffre più degli altri e viene sospinto oltre la soglia della povertà. A queste famiglie è dovuta una cura tutta speciale affidata ad un sistema di welfare che invece è stato annichilito”. Ad esempio, precisa la lettera, “mettendo gli enti locali nelle condizioni di poter finalmente pagare le rette per i servizi delle strutture di solidarietà sociale. Ci sono poi famiglie che se pure non hanno ancora raggiunto la povertà - ricorda il Forum nella lettera - annaspano soprattutto se devono sopportare il carico di figli, anziani o disabili. A queste famiglie è ora di restituire un’equità fiscale che riconosca questi carichi. Nessuna riforma fiscale sarà mai equa se non sarà a misura di famiglia”. “Nell’ambito istituzionale le famiglie chiedono essenzialmente di riconquistare una soggettività politica attraverso un sistema elettorale che garantisca da un lato la vera rappresentatività e dall’altro l’efficacia amministrativa e decisionale alle Istituzioni”, chiarisce il Forum delle associazioni familiari. “La libertà per i cittadini di scegliere tra i candidati indicati dalle forze politiche - chiarisce la lettera - sarebbe in questo senso preziosa”. Per il Forum sono “questioni di ordinaria saggezza che pure nel nostro Paese sono diventate motivo di confronto ideologico. E come tali regolarmente accantonate. Questioni che ovviamente siamo pronti ad approfondire in ogni momento e con ogni strumento riterrete opportuno”. (R.P.)

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    Afghanistan: genitori costretti a vendere i propri figli per far fronte alla povertà

    ◊   La povertà estrema nella quale vive la maggior parte della popolazione afgana ha alimentato il fenomeno del commercio di bambini, in particolare nell’ultimo decennio. Uno degli ultimi episodi riportati dalla stampa locale ripresa dall'agenzia Fides, cita la storia di un uomo della provincia settentrionale afgana di Baghlan che, in seguito alla morte della moglie che aveva da poco partorito due gemelli, si è visto costretto a venderli per far fronte allo stato di povertà nel quale vive che non avrebbe permesso alcuna sopravvivenza ai due piccoli. Il responsabile dell’ospedale de Baghlan, ha riferito che la madre dei gemelli è morta durante il parto perché è arrivata troppo tardi in ospedale. E’ la prima volta che un cittadino della città di Pul-e-Khumri vende i figli per salvare la situazione. (R.P.)

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    Mali: nasce la Commissione dialogo e riconciliazione. Incertezza a Timbuctù

    ◊   L’ex ministro e ambasciatore, noto come uomo di consenso, Mohamed Salia Sokona, è stato scelto come presidente della Commissione dialogo e riconciliazione. Per far fronte al compito cruciale ma difficile che lo aspetta, il Capo di Stato ad interim Dioncounda Traoré gli ha affiancato una donna, Touré Oumou Traoré, presidente del Coordinamento delle associazioni femminili del Mali (Cafo), e un tuareg, Méti Ag Mohamed Rissa, ufficiale del servizio delle dogane in pensione originario della regione settentrionale di Kidal. Le loro nomine – che saranno seguite a breve da quelle dei 30 commissari – sono state accolte positivamente nel Paese e dai partner internazionali del Mali. “E’ una tappa importante verso la riconciliazione politica” ha detto il capo della diplomazia francese Alain Juppé, sottolineando che “con le elezioni, il processo di riconciliazione è il complemento indispensabile dell’azione della comunità internazionale per la sicurezza e lo sviluppo”. Le popolazioni del Mali - riferisce l'agenzia Misna - complesso mosaico di etnie, culture e religioni, sono state messe a dura prova nella crisi cominciata nel gennaio 2012, quando i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) sono partiti alla conquista delle regioni settentrionali dove, presto, sono stati scavalcati da gruppi armati islamici che hanno cercato di imporre con la forza la sharia (legge islamica), dividendo il Paese in due. Dopo l’inizio dell’offensiva militare francese Serval e dei soldati maliani, diversi casi di violenze e violazioni dei diritti ai danni delle minoranze etniche arabe e tuareg sono state denunciate al centro e al nord del Mali, spingendo alla fuga migliaia di persone. “Quello che ci preoccupa è la pace nel Paese, la riconciliazione e l’intesa tra fratelli e sorelle maliani affinché tutti insieme ci rialziamo in piedi per far fronte a tutte le sfide che ci aspettano. E’ una grande responsabilità e una sfida” ha dichiarato il neo-presidente della Commissione. “Le esazioni non fanno parte della cultura del Mali. Il nostro sarà un lavoro di terreno, ma anche un lavoro di informazione e sensibilizzazione. Dobbiamo portare gli uni e gli altri a perdonarsi e a dimenticare. Non ci dovrà essere alcun argomento tabù. Si dovranno affrontare tutti gli argomenti con tatto e rispetto reciproco” ha sottolineato il tuareg Méti Ag Mohamed Rissa. Queste tre nomine, che hanno dato vita all’attesa Commissione dialogo e riconciliazione, sono state annunciate mentre al nord del Paese la situazione è ancora incerta. A finire nel mirino dei jihadisti è stata ancora una volta la città sacra di Timbuctù (nord-ovest), colpita da un nuovo attentato suicida, seguito da combattimenti nei quali sette persone, di cui un civile nigeriano e un soldato maliano, hanno perso la vita. Dopo l’attentato messo a segno sabato, per due giorni le forze di sicurezza di Bamako e Parigi sono state impegnate in operazioni di rastrellamento in cerca di uomini armati infiltrati nel capoluogo. Gli scontri si sono concentrati al centro, nei pressi della moschea storica di Djingareyber, costruita nel trecento, dove si trova il più importante campo militare di Timbuctù. Inoltre due soldati maliani hanno perso la vita nell’esplosione di un ordigno esploso durante il transito del veicolo a bordo del quale viaggiavano sulla strada che collega Ansongo e Menaka, nella zona di Gao (nord). Sempre sul versante militare, è cominciata ieri alla base di Koulikoro (60 km a nord di Bamako) la formazione destinata a 2.700 membri dell’esercito maliano da parte dei 550 addestratori della Missione dell’Unione europea (Eutm), che coinvolge 23 Paesi del vecchio continente con un mandato iniziale di 15 mesi. (R.P.)

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    Nigeria: l'arcivescovo di Jos condanna gli assalti ai villaggi

    ◊   “Siamo stupiti per come queste bande riescono ad attaccare impunemente i villaggi senza che le forze di sicurezza intervengano. Poliziotti e militari appaiono sulla scena solo quando gli attaccanti se ne sono andati. È una situazione veramente sconcertante” dice all’agenzia Fides mons. Ignatius Ayau Kaigama arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, commentando gli ultimi attacchi commessi da bande di allevatori Fulani contro tre villaggi nella Nigeria centrale che hanno provocato, tra sabato Santo e la domenica di Pasqua, 19 morti e 4.500 sfollati. I continui attacchi commessi contro i villaggi negli Stati di Kaduna e di Plateau hanno causato circa 90 morti negli ultimi mesi. Mons. Kaigama si chiede come mai le forze di sicurezza non sono in grado di fermare questa ondata di violenza: “Da dove vengono queste persone? Quali strade prendono per giungere ai villaggi colpiti? Come fanno a portarsi dietro le armi da guerra per condurre i loro attacchi senza attrarre l’attenzione delle forze di polizia?” Chiediamo a mons. Kaigama se ritiene possibile che queste bande siano finanziate da qualcuno a scopi politici. “Non lo so, però posso dire che i pastori fulani che commettono questi crimini in risposta ai furti di bestiame (almeno è quello che affermano), sono in grado di procurarsi armi da guerra perché hanno disponibilità economiche maggiori degli agricoltori da loro attaccati”. (R.P.)

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    Mauritius: solidarietà della Chiesa con le vittime delle inondazioni

    ◊   Sono almeno 11 le vittime delle violente inondazioni che in questi giorni si sono abbattute sulle Mauritius, paralizzando la capitale, Port-Louis. Fonti locali raccontano di valanghe di acqua e fango che hanno invaso le strade, provocando gravi danni strutturali. In questo contesto, la Chiesa locale si è subito attivata, attraverso la Caritas nazionale, per portare aiuto agli sfollati; inoltre, stamani il vescovo di Port-Louis, mons. Maurice Piat, ha presieduto una Messa nella cattedrale della città, nel corso della quale sono stati raccolti fondi da donare alle famiglie delle vittime. La celebrazione, informa il sito diocesano di Port-Louis, si è svolta secondo queste particolari intenzioni: “Per le vittime delle inondazioni e le loro famiglie; per i mauriziani che hanno perduto tutti i loro beni a causa delle alluvioni; per le imprese cittadine che hanno subito gravi danni; per rendere grazie allo slancio di solidarietà che ha unito il Paese in questo terribile momento”. “La terribile sofferenza di tante famiglie – ha detto mons. Piat nella sua omelia – ci ha fatto uscire dal nostro torpore e ci ha ricondotti all’essenziale, facendoci prendere coscienza del fatto che la nostra vita è appesa ad un filo, che abbiamo bisogno l’uno dell’altro per vincere le sfide quotidiane e, soprattutto, che la nostra vera ricchezza nazionale si trova nella magnifica solidarietà del Paese, manifestatasi concretamente al di là delle divisioni etniche e sociali, nella generosità di tutti coloro che non hanno esitato a rimboccarsi le maniche a fianco del prossimo, per ricostruire e donare coraggio; nello sforzo dei mass media per informare, sensibilizzare e partecipare ai primi soccorsi”. Evidenziando, poi, come le inondazioni siano coincise con il tempo pasquale, in cui “Cristo ha vinto la morte”, mons. Piat si è detto certo che “questa coincidenza è portatrice di un messaggio di speranza per tutti”, perché “Cristo ci mostra che le prove della vita non sono destinate ad abbatterci, bensì a risvegliare in noi il vero senso della nostra esistenza, così da ripartire con il piede giusto”. Quindi, l’arcivescovo di Port-Louis ha invitato a riflettere sull’insegnamento da trarre da questo disastro naturale, in particolare sulle “cause umane” che possono averlo provocato: ad esempio, ha evidenziato il presule, è bene interrogarsi sul regolamento edilizio per le rive dei fiumi, sull’efficacia del sistema di drenaggio delle case e delle strade o sull’ostruzione dei canali di scolo. Infine, ribadendo la necessità di “incoraggiare e sostenere con la preghiera le autorità e la popolazione locale”, mons. Piat ha ringraziato la “bella solidarietà interreligiosa ed interetnica che si è manifestata nel Paese” e da cui deriva “la speranza”. (I.P.)

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    Bangladesh: messaggio pasquale dell'arcivescovo di Dhaka

    ◊   "La resurrezione di Cristo è molto importante per l'anno 2013, soprattutto per il modo in cui stiamo facendo esperienza della morte in questi tempi. La situazione politica attuale, la violenza continua e l'estremismo, ci mostrano la morte come una realtà spietata". Questo è il messaggio pasquale trasmesso ai cattolici del Bangladesh da mons. Patrick D'Rozario, arcivescovo di Dhaka. Il prelato paragona le sofferenze della gente, specialmente "delle minoranze", alla morte di Cristo torturato e crocefisso, e la cui morte in croce è "Nuova vita e resurrezione". L'arcivescovo - riferisce l'agenzia AsiaNews - descrive in parallelo le sofferenze di Cristo e quelle della gente del Bangladesh. Il prelato di Dhaka osserva che per gli uomini, nascita, morte e resurrezione rappresentano i tre più grandi misteri; e ricorda che i cristiani credono che Gesù è nato, morto e risorto; e che proprio questi misteri si festeggiano come rito a Pasqua. "Cristo è morto, ma non di morte comune. È stato ucciso perché ha detto 'Io sono la Via, la Verità, la Vita'. Ma il genere umano ha scelto una vita piena di falsità, di immoralità e violenza. Attraverso il digiuno e la meditazione, non soltanto durante la Pasqua ma lungo tutta una vita - aggiunge l'arcivescovo - noi possiamo sconfiggere la tendenza all'autodistruzione e purificare noi stessi per ricevere la grazia della resurrezione. Anche se Cristo è stato ucciso, ha sconfitto la morte ed ha portato nel mondo nuova vita. La morte non è l'ultima parola o il destino per i fedeli. L'annuncio del Cristo risorto - ribadisce l'arcivescovo D'Rozario - è stata il simbolo della Nuova Vita per i cristiani del passato, e la fede nella resurrezione deve essere nel presente uno stimolo alla vita e alla missione: poiché il fedele crede nella resurrezione, nella nuova vita, in nuovo spirito e nella rinascita". Il messaggio pasquale sottolinea anche che "i fedeli che credono in Cristo non possono sopprimere la vita". Infine, l'arcivescovo aggiunge che i fedeli e la nazione rifiutano ogni forma di morte e distruzione. Al contrario, "vogliamo la resurrezione, la vittoria sulla morte e infine la rinascita con Cristo. Preghiamo affinché Cristo risorto porti la pace e una nuova vita tra gli uomini". (R.P.)

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    Il Forum delle famiglie scrive ai dieci saggi incaricati da Napolitano

    ◊   “Le famiglie non sono un semplice settore della società, ma sono la società stessa, ne costituiscono il tessuto, ne hanno assicurato e ne assicurano la tenuta anche nelle situazioni più difficili. Per questo è interesse dell’intera società che le Istituzioni assicurino alle famiglie il giusto riconoscimento e sostegno”. Lo si legge nella lettera inviata dal Forum delle associazioni familiari ai dieci saggi incaricati dal presidente Napolitano di preparare per il governo che verrà, una road map sui temi economici e istituzionali. “La situazione economica e la crisi occupazionale - prosegue il documento ripreso dall'agenzia Sir - hanno messo all’angolo l’intera società, ma c’è chi soffre più degli altri e viene sospinto oltre la soglia della povertà. A queste famiglie è dovuta una cura tutta speciale affidata ad un sistema di welfare che invece è stato annichilito”. Ad esempio, precisa la lettera, “mettendo gli enti locali nelle condizioni di poter finalmente pagare le rette per i servizi delle strutture di solidarietà sociale. Ci sono poi famiglie che se pure non hanno ancora raggiunto la povertà - ricorda il Forum nella lettera - annaspano soprattutto se devono sopportare il carico di figli, anziani o disabili. A queste famiglie è ora di restituire un’equità fiscale che riconosca questi carichi. Nessuna riforma fiscale sarà mai equa se non sarà a misura di famiglia”. “Nell’ambito istituzionale le famiglie chiedono essenzialmente di riconquistare una soggettività politica attraverso un sistema elettorale che garantisca da un lato la vera rappresentatività e dall’altro l’efficacia amministrativa e decisionale alle Istituzioni”, chiarisce il Forum delle associazioni familiari. “La libertà per i cittadini di scegliere tra i candidati indicati dalle forze politiche - chiarisce la lettera - sarebbe in questo senso preziosa”. Per il Forum sono “questioni di ordinaria saggezza che pure nel nostro Paese sono diventate motivo di confronto ideologico. E come tali regolarmente accantonate. Questioni che ovviamente siamo pronti ad approfondire in ogni momento e con ogni strumento riterrete opportuno”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 93

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