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Sommario del 29/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa riceve il re di Giordania: via del dialogo unica opzione per risolvere il conflitto in Siria
  • Mons. Lahham: no all'attacco in Siria, prevalga la ragione
  • Tweet del Papa: l'amore Dio non è qualcosa di vago, è Gesù Cristo
  • Il Papa agli Agostiniani: l'inquietudine dell'amore ci spinga ad andare per primi verso gli altri
  • Costruite un mondo di bellezza, bontà e verità: così il Papa ai giovani di Piacenza
  • Il Papa al Simposio intercristiano: Stato e Chiesa collaborino per il bene comune. Messaggio di Bartolomeo
  • Corea. Messaggio del Papa per il Mese dei Martiri: ravvivare fede e impegno nell'evangelizzazione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: la Comunità internazionale prende tempo su intervento armato. Assad: vinceremo lo scontro
  • Iraq: nuova ondata di attentati. Baghdad rivive l'incubo del 2006
  • Centrafrica: in migliaia nell'aeroporto di Bangui per sfuggire alle violenze dei guerriglieri
  • Colombia: sì della Corte Costituzionale all’ingresso in politica dei guerriglieri che depongono le armi
  • Giornata contro i test nucleari. Ban Ki-moon: restano una minaccia all’umanità
  • Letta difende l'abolizione dell'Imu, ma l'Ue chiede di fare attenzione ai conti
  • Il Festival del Cinema di Venezia ricorda il cardinale Martini a un anno dalla scomparsa
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Il patriarca Twal: "Con quale autorizzazione attaccare un Paese?"
  • L’intera comunità cristiana disapprova l’attacco alla Siria
  • Siria: le preghiere di Aleppo affinché sia scongiurato l'intervento militare
  • Congo. A Goma l’esercito attacca i ribelli, in campo anche l’Onu
  • Congo. Appello alla pace del vescovo di Goma: lasciateci vivere!
  • Nigeria: “I veri credenti lavorano per la pace”, affermano leader cristiani e musulmani
  • Un calice per Papa Francesco con i colpi di scalpello di 7 milioni di argentini
  • Colombia. Colloqui governo-Farc: dalle vittime proposte per la pace
  • Pakistan: il governo di Nawaz Sharif ferma il boia
  • India: Seminario sul dialogo interreligioso alla luce del Concilio Vaticano II
  • Thailandia: vescovi a confronto sui compiti delle scuole cattoliche
  • Guinea Equatoriale: il governo preoccupato dal proliferare delle nuove sette cristiane
  • Il card. Calcagno a Collemaggio: "Non si può invocare la misericordia di Dio e vivere come se Lui non ci fosse"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa riceve il re di Giordania: via del dialogo unica opzione per risolvere il conflitto in Siria

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani in Vaticano il Re di Giordania, Abdullah II, e la Regina Rania con il seguito. Nel corso del colloquio, è stata ribadita la necessità di ricercare una via pacifica per la soluzione della crisi siriana. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Papa Francesco e il re di Giordania, afferma una nota della Sala Stampa vaticana, hanno riservato “speciale attenzione” alla “tragica situazione in cui versa la Siria”. Al riguardo, “è stato riaffermato che la via del dialogo e della negoziazione fra tutti i componenti della società siriana, con il sostegno della comunità internazionale, è l’unica opzione per porre fine al conflitto e alle violenze che ogni giorno causano la perdita di tante vite umane, soprattutto fra la popolazione inerme”. Il Pontefice e il Re giordano si sono soffermati inoltre sulla “promozione della pace e della stabilità nel Medio Oriente, con particolare riferimento alla ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi e alla questione di Gerusalemme”. E’ stato, inoltre, espresso apprezzamento per l’impegno di Re Abdullah “nel campo del dialogo interreligioso e per l’iniziativa di convocare ad Amman, all’inizio del mese di settembre, una Conferenza sulle sfide che i Cristiani nel Medio Oriente devono affrontare, particolarmente durante questo periodo di cambiamenti socio-politici”. Infine, conclude la nota, è stato “rilevato il positivo contributo che le comunità cristiane apportano alle società della Regione, di cui sono una parte integrante”.

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    Mons. Lahham: no all'attacco in Siria, prevalga la ragione

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani in Vaticano il re Abdallah di Giordania e la regina Rania. In occasione di questo importante incontro, in un momento così delicato per tutto il Medio Oriente, Alessandro Gisotti ha intervistato l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme:

    R. – La Giordania è un Paese che ispira pace, anche se ha paura di quello che si sta preparando. Speriamo che non capiti. Penso che la visita del Re al Pontefice sia un’occasione prima di tutto per parlare della pace in Terra Santa e in Giordania, ma specialmente in Siria, con tutte le minacce che stiamo sentendo. Per quello che sta accadendo, la Giordania, nonostante sia un piccolo Paese, gioca un ruolo importante per la pace siriana. Speriamo che questi "grandi" arrivino alla pace, invece di fare la guerra, e trovino una soluzione pacifica. E speriamo che la Giordania possa giocare un ruolo positivo, unendosi alla posizione della Santa Sede.

    D. – Ovviamente c’è una speranza di pace, mentre si parla di questo intervento militare...

    R. – Mamma mia, è tremendo! Sì, abbiamo veramente paura!

    D. – Paura che si estenda poi ad una situazione già così drammatica e complicata...

    R. – Assolutamente, perché la violenza genera sempre violenza. E a questo interesse da parte degli Stati Uniti o dell’Europa per i diritti dell’uomo o per la difesa dei più deboli nessuno crede. Nessuno lo crede! Tutti cercano i loro interessi politici ed economici. Siccome nessuno crede, dunque, alla loro buona volontà, non vogliamo che questa volontà di guerra sia applicata in Siria. Speriamo che la voce della ragione, e per noi della fede, prevalga e che la crisi siriana trovi una soluzione politica.

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    Tweet del Papa: l'amore Dio non è qualcosa di vago, è Gesù Cristo

    ◊   “L’amore di Dio non è qualcosa di vago, di generico; l’amore di Dio ha un nome e un volto: Gesù Cristo”: è il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex in 9 lingue, seguito da quasi 9 milioni di follower.

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    Il Papa agli Agostiniani: l'inquietudine dell'amore ci spinga ad andare per primi verso gli altri

    ◊   L’inquietudine del cuore è ciò che porta a Dio e all’amore. Papa Francesco ha lasciato questo messaggio agli Agostiniani aprendo con una Messa il loro Capitolo generale nella Basilica romana di Sant’Agostino. Alla celebrazione hanno preso parte agostiniani dai 5 continenti, religiose e consacrati che seguono la regola del vescovo di Ippona e alcuni laici. Il Papa - che prima di entrare nella Basilica si è fermato in strada a salutare tanta gente che lo attendeva da ore - ha più volte invitato a lasciarsi sospingere dall’inquietudine personale per conoscere Cristo e dall’inquietudine delle necessità altrui per rispondere all’amore. Nella Basilica di Sant’Agostino c’era per noi Tiziana Campisi:

    “Quali inquietudini ci invita a suscitare e a mantenere vive nella nostra vita” Sant’Agostino? E’ il primo interrogativo che Papa Francesco ha posto ricordando il percorso di ricerca del vescovo di Ippona, infaticabile pensatore e pastore dall’inesauribile anelito di verità. L’invito del Pontefice è a riflettere proprio sull’inquietudine che ha caratterizzato la vita del grande padre della Chiesa sotto tre diversi aspetti: “l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore”. Poi ha aggiunto:

    “Vorrei dire a chi si sente indifferente verso Dio, verso la fede, a chi è lontano da Dio o l’ha abbandonato, anche a noi, con le nostre ‘lontananze’ e i nostri ‘abbandoni’ verso Dio, piccoli, forse, ma ce ne sono tanti nella vita quotidiana: guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose?”.

    Se l’inquietudine della ricerca spirituale induce a gettare lo sguardo sulla propria interiorità, alla ricerca di sè e del senso della vita, il passo ulteriore è l’incontro con Cristo, ha proseguito il Papa. E’ stata questa l’esperienza di Agostino, che trovato Dio vicino al proprio cuore, non si è chiuso poi in se stesso:

    “Anche nella scoperta e nell’incontro con Dio, Agostino non si ferma, non si adagia, non si chiude in se stesso come chi è già arrivato, ma continua il cammino. L’inquietudine della ricerca della verità, della ricerca di Dio, diventa l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri. E’ proprio l’inquietudine dell’amore”.

    E ha insistito Papa Francesco su questa inquietudine, che trovando risposte si è fatta man mano pastorale:

    “E Agostino si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore, cerca di essere immagine di Gesù Buon Pastore che conosce le sue pecore (cfr Gv 10,14), anzi, come amo ripetere, che ‘sente l’odore del suo gregge’ ed esce a cercare quelle smarrite. Agostino vive quello che san Paolo indica a Timoteo e a ciascuno di noi: annuncia la parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, annuncia il Vangelo con il cuore magnanimo, grande (cfr 2 Tm 4,2) di un Pastore che è inquieto per le sue pecore".

    Quindi, così il Pontefice ha sintetizzato ciò che ha contraddistinto la personalità di Sant’Agostino:

    "Il tesoro di Agostino è proprio questo atteggiamento: uscire sempre verso Dio, uscire sempre verso il gregge…è un uomo in tensione tra queste due uscite … non 'privatizzare' l’amore… sempre in cammino! (….) Sempre inquieto! E questa è la pace dell’inquietudine”.

    Ma inquietudine è anche amore, “cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime”. “L’inquietudine dell’amore – ha concluso Papa Francesco - spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno”.

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    Costruite un mondo di bellezza, bontà e verità: così il Papa ai giovani di Piacenza

    ◊   Costruite un mondo di bellezza, di bontà e di verità: è l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ieri pomeriggio nella Basilica Vaticana a un gruppo di circa 500 giovani della diocesi di Piacenza-Bobbio, in pellegrinaggio a Roma in occasione dell’Anno della Fede. A guidare il pellegrinaggio, il vescovo di Piacenza, mons. Gianni Ambrosio. Il servizio di Sergio Centofanti:

    I giovani – ha detto il Papa – sono “portatori di speranza” e “artefici del futuro”, questa è la loro gioia ma anche la loro responsabilità:

    “Quando a me dicono: ‘Ma, Padre, che brutti tempi, questi… Guarda, non si può fare niente!’. Come non si può fare niente? E spiego che si può fare tanto! Ma quando un giovane mi dice: ‘Che brutti tempi, questi, Padre, non si può fare niente!’ Mah! Lo mando dallo psichiatra! Perché, è vero, non si capisce! Non si capisce un giovane, un ragazzo, una ragazza, che non vogliano fare una cosa grande, scommettere su ideali grandi, grandi per il futuro. Poi faranno quello che possono, ma, la scommessa è per cose grandi e belle”.

    Nel cuore dei giovani – ha proseguito Papa Francesco – ci sono tre desideri: la bellezza, la bontà, la verità. I giovani sono “ricercatori di bellezza”, sono “profeti di bontà” e la “bontà è contagiosa”, e hanno “sete di Verità”, una verità che non si possiede ma si incontra perché la Verità è Dio. Questa è la sfida che i giovani devono affrontare vincendo le tentazioni della pigrizia e della tristezza:

    “Scommettere su un grande ideale, e l’ideale di fare un mondo di bontà, bellezza e verità. Questo, voi potete farlo: voi avete il potere di farlo!”.

    Di qui il suo incoraggiamento:

    “Coraggio, andate avanti, fate rumore. Dove sono i giovani deve esserci rumore. Poi, si regolano le cose, ma l’illusione di un giovane è fare rumore sempre. Andate avanti! Nella vita ci saranno sempre persone che vi faranno proposte per frenare, per bloccare la vostra strada. Per favore, andate controcorrente. Siate coraggiosi, coraggiose: andare controcorrente. Mi dicono: ‘No, ma, questo, mah… prendi un po’ d’alcol, prendi un po’ di droga’. No! Andate controcorrente a questa civilizzazione che ci sta facendo tanto male. Capito, questo? Andare controcorrente; e questo significa fare rumore, andare avanti, ma con i valori della bellezza, della bontà e della verità”.

    Il Papa augura ai giovani “tutto il bene, un bel lavoro, gioia nel cuore” e insieme con loro prega la Madonna, che “è la Madre della bellezza, la Madre della bontà e la Madre della Verità” perché “ci dia la grazia del coraggio per andare avanti e controcorrente”. E, infine, chiede di pregare per lui:

    "E vi chiedo di pregare per me, perché questo lavoro è un lavoro “insalubre”, non fa bene… [ride]. Pregate per me!".

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    Il Papa al Simposio intercristiano: Stato e Chiesa collaborino per il bene comune. Messaggio di Bartolomeo

    ◊   “La vita dei cristiani e il potere civile. Questioni storiche e prospettive attuali in Oriente ed Occidente” è il tema del XIII Simposio intercristiano, inquadrato nell’Anno Costantiniano, a 1700 anni dall’Editto di Milano nel 313. L’incontro, inaugurato ieri nella sede ambrosiana dell’Università cattolica, è promosso dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma, insieme con la Facoltà teologica ortodossa dell’Università “Aristotele” di Salonicco. Buoni auspici per i lavori sono giunti da Papa Francesco e dal Patriarca Bartolomeo I, in due messaggi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “La storica decisione” di Costantino - sottolinea il Papa nel suo messaggio - con la quale veniva decretata la libertà religiosa per i cristiani, aprì nuove strade alla diffusione del Vangelo e contribuì in maniera determinante alla nascita della civiltà europea”. Bene dunque fare “memoria di quell’avvenimento”, che sia in Oriente che Occidente, ha tramandato – ricorda Francesco “la convinzione che il potere civile trova il suo limite di fronte alla Legge di Dio, la rivendicazione del giusto spazio di autonomia per la coscienza, la consapevolezza che l’autorità ecclesiastica e il potere civile sono chiamati a collaborare per il bene integrale della comunità umana.” Cosi anche Bartolomeo I nel suo messaggio rimarca l’importanza dell’Editto costantiniano che permise ai cristiani “l’esercizio libero dei loro doveri culturali e religiosi”, “tema attuale – osserva il Patriarca di Costantinopoli - anche nei nostri giorni, nei quali da una parte la tentazione del potere influenza in certi casi la vita dei cristiani dall’altra certe forme di potere politico nel mondo contemporaneo operano negativamente oppure mettono in pericolo la loro vita”. Qual è dunque l'intento sotteso del Simposio? Lo abbiamo chiesto a padre Paolo Martinelli, preside dell’Antonianum:

    R. – L’idea è quella di mettersi in ascolto delle vicendevoli tradizioni, in Oriente e Occidente, per conoscere di più le diverse tradizioni teologiche, spirituali e anche storiche, consapevoli, da una parte, a partire dall’evento costantiniano, della diversificazione degli approcci che avvengono in Oriente e in Occidente, tra la questione del potere politico e la vita dei cristiani. Dall’altra parte, è proprio l’attualità. Siamo in un mondo sempre più globalizzato; le nostre società sono società plurali e quindi anche le nostre diverse tradizioni si sono così profondamente diversificate nel tempo, e adesso sono chiamate proprio a collaborare di più, per fare in modo che la presenza cristiana nella società sia sempre più significativa, incisiva, all’interno del contesto socio-culturale dei nostri tempi.

    D. – Sarà, dunque, un’indagine storica, teologica, spirituale, che approderà nell’ultimo giorno alle prospettive attuali in Oriente e Occidente. Due parole, oggi, forse, abusate rispetto ai tanti cambiamenti intervenuti nel corso dei secoli, che hanno certamente cambiato la valenza concettuale di Oriente e Occidente...

    R. – Mentre, proprio nella storia, questo tema in particolare ha diversificato molto le tradizioni cattolica e ortodossa, attualmente, di fatto, ci troviamo ad affrontare molto di più temi comuni. Per esempio, uno dei temi che verrà affrontato è proprio quello relativo alla laicità dello Stato, al nuovo concetto di Stato, che l’epoca moderna e la nostra epoca contemporanea ci mette davanti. E’ chiaro che qui le nostre tradizioni possono, da una parte, avere un grande patrimonio, un grande contributo da dare, ma occorre rileggere questa tradizione all’interno delle nuove questioni, che dobbiamo affrontare, soprattutto l’idea di una laicità che appunto può presentarsi in una forma un po’ neutrale, che tende a non dare uno spazio reale e positivo alle diverse tradizioni religiose; mentre la possibilità è invece di pensare ad una laicità che permetta ai diversi soggetti culturali e religiosi di dare un loro contributo alla vita buona di tutti. Questo, senz’altro, è uno dei temi che, attualmente, ci vede più compagni tra Oriente ed Occidente.

    D. – Si discute molto in questi tempi del ruolo dei cristiani, per incidere positivamente nella società, e non tutti sono d’accordo su come debba essere questo ruolo...

    R. – Le nostre tradizioni tra Oriente ed Occidente si sono diversificate molto nell’epoca moderna. Noi, anzitutto, in Occidente, ci siamo confrontati con questa idea moderna dello Stato e della sua laicità, con una grossa differenziazione tra il potere civile e il soggetto ecclesiale, mentre, dall’altra parte, l’Oriente ha vissuto più una sinergia, da un certo punto di vista, radicata nella sua tradizione. Mi sembra che punto interessante di confronto sia proprio l’idea di una fede vissuta, che non possa essere considerata semplicemente ai margini della vita sociale, come un fatto meramente privato o individuale: la vita della fede, la vita dei cristiani ha un suo contributo da dare alla società plurale cui diversi soggetti partecipano. Questa è una cosa che noi ovviamente in Occidente abbiamo sentito in modo marcato in questi ultimi tempi, ma che di fatto si accomuna anche con i cambiamenti che stanno capitando in Oriente.

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    Corea. Messaggio del Papa per il Mese dei Martiri: ravvivare fede e impegno nell'evangelizzazione

    ◊   Papa Francesco ha espresso la sua soddisfazione nell’apprendere che l'arcidiocesi di Seoul ha proclamato in settembre il "Mese dei martiri" in memoria di quanti hanno dato la vita per il Vangelo in Corea. In un messaggio inviato all’arcivescovo di Seoul, mons. Andrew Yeom Soo-jung, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Pontefice auspica che quanti parteciperanno ai pellegrinaggi nel corso di questo mese, “aiutati dalle preghiere e dall'esempio dei martiri, possano approfondire la comunione con il Signore Gesù Cristo che ha dato la sua vita affinché noi potessimo condividere l'inestimabile dono della vita eterna”. Quindi prega perché “questa occasione possa essere per i pellegrini un'opportunità di ravvivare la fede nei loro cuori e così impegnarsi più pienamente al compito urgente dell’evangelizzazione”. La memoria dei Martiri coreani si celebra il 20 settembre, in ricordo dei 103 martiri uccisi in odio alla fede nelle persecuzioni che infuriarono in Corea in ondate successive dal 1839 al 1867. Il “Mese dei Martiri”, che si svolgerà sul tema “Io sono la via, la verità e la vita”(Gv, 14,6), si aprirà il 2 settembre nella Cattedrale di Myeongdong.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Siria, dialogo unica opzione: Papa Francesco riceve il re di Giordania.

    Con l’inquietudine nel cuore: ai capitolari agostiniani il Papa chiede di essere sempre alla ricerca di Dio e degli altri.

    Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo “E dalla sabbia emersero le meraviglie dell'arte copta”: tra il 1901 e il 1905 l'archeologo francese Jean Clédat riportò alla luce in Egitto i resti dell'antico monastero di Bawit.

    Per non “balconear” la vita: Jorge Mila su come parla Jorge Mario Bergoglio.

    Sorella Maria, eremita di confine: Lucetta Scaraffia su Valeria Pignetti, la prima a fondare una comunità monastica ecumenica.

    Un articolo di Alessia Amenta dal titolo “Una piramide in regalo per il Papa”: nel 1846 venne donato a Gregorio XVI un modellino scolpito da un frammento della tomba di Cheope.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: la Comunità internazionale prende tempo su intervento armato. Assad: vinceremo lo scontro

    ◊   Crisi siriana: la Comunità internazionale prende tempo sul possibile intervento armato nel Paese. Russia, Cina e Iran contrarie all’aggressione. La Francia non vede chiusa la porta diplomatica mentre gli Stati Uniti, per ora, non hanno una posizione definitiva. E mentre gli ispettori Onu stanno accertando se siano state usate armi chimiche nei pressi di Damasco, il presidente Assad ribadisce: "Il Paese uscirà vittorioso dallo scontro storico". Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Diplomazie internazionali in fibrillazione per il possibile e imminente intervento militare in Siria. Pechino, Mosca e Teheran si dicono assolutamente contrarie ad azioni di forza, anche se condannano categoricamente l’utilizzo di armi chimiche, quelle che sarebbero state usate il 21 agosto scorso nei pressi di Damasco. Gli ispettori dell’Onu, che sabato lasceranno il Paese, hanno il compito di capire se ad uccidere oltre 1300 persone siano stati proprio i gas letali, poi verrà la questione sulle eventuali responsabilità da parte del regime di Assad. Per la Francia, favorevole all’intervento armato, è ancora possibile la via diplomatica e l’Italia non darà basi militari se non sotto l’egida dell’Onu. Solo ieri Russia e Cina hanno bocciato in Consiglio di Sicurezza la bozza di risoluzione presentata da Londra e Parigi che le avrebbe autorizzate a prendere “misure necessarie” per proteggere i civili siriani, in riferimento al capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite. Intanto, lo Sato di Israele si dice estraneo alla guerra civile, ma pronto a rispondere ad eventuali attacchi. Dalla Siria però il presidente Assad tuona: “Il Paese uscirà vittorioso dallo scontro storico”, mentre sei aerei da caccia britannici, per precauzione, dice il ministero della Difesa di Londra, sono stati dispiegati a Cipro e una nave lanciamissili statunitense ha attraversato il canale di Suez, diretta verso le coste siriane.


    Ma quando è possibile un intervento armato sotto egida Onu? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Luisa Vierucci ricercatrice presso il Dipartimento di scienze giuridiche all’università di Firenze:

    R. - Un intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Uniti è possibile solo qualora ricorrano i presupposti previsti nel noto Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite: quindi, in particolare, quando siamo in presenza di un atto di aggressione o di una minaccia alla pace. In questo caso l’organo supremo delle Nazioni Unite - quindi il Consiglio di sicurezza - ha il potere di adottare una Risoluzione con la quale o decide di intervenire direttamente con i propri mezzi militari contro lo Stato, oppure autorizza altri Stati a porre in essere un’azione di natura militare.

    D. - Quando parliamo di minaccia alla pace, parliamo solo di una minaccia alla pace internazionale, o si guarda anche la realtà interna di un Paese?

    R. - La prassi internazionale, dal momento dell’adozione della Carta delle Nazioni Unite e cioè dal ’45 ad oggi, ha subito una grossa evoluzione: se nel ’45 per minaccia alla pace si intendeva solo la minaccia alla pace internazionale ad oggi non vi è dubbio che anche situazioni di minaccia alla pace interna - e con questo “interno” intendo gravi violazioni dei diritti umani che siano compiuti all’interno di un singolo Paese - si possano qualificare come minaccia alla pace, tali da consentire l’intervento del Consiglio di sicurezza.

    D. - In questo senso dunque l’aspetto umanitario viene preso in considerazione?

    R. – Certamente qui abbiamo un precedente molto recente: l’intervento in Libia - quello del marzo del 2011 - in cui le Nazioni Unite, sempre il Consiglio di sicurezza, avendo riscontrato violazioni gravissime e ripetute dei diritti umani, ha adottato una Risoluzione con la quale ha autorizzato alcuni Stati - gli "Stati volenterosi" - ad intervenire a tutela della popolazione civile contro i gravi abusi che stava subendo.

    D. - Francia e Gran Bretagna hanno presentato una bozza di Risoluzione per un intervento armato che, di fatto, è stato bocciato: il riferimento è sempre al Capitolo 7 della Carta dell’Onu, ovvero quello che ribadisce “L’azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace e agli atti di aggressione”. Perché questo riferimento, secondo lei, e perché questa decisione?

    R. - Questa decisione, secondo me, non è giustificabile in punto di diritto. Come dicevo sono numerosi i precedenti simili a quelli dell’attuale situazione siriana, in cui si stavano quindi compiendo gravi violazioni dei diritti umani e in cui una situazione simile a quella siriana è stata definita come minaccia alla pace dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il fatto che ad oggi, invece, la situazione siriana non venga qualificata da alcuni Stati come “minaccia alla pace” è basata su valutazioni di natura politica e non di natura giuridica.

    D. - Dal punto di vista sempre del diritto internazionale, come valutare invece un intervento unilaterale o di alcuni Stati in questa crisi?

    R. - Un intervento senza egida Onu sarebbe legittimo solamente qualora si basasse sulla legittima difesa, ma la legittima difesa è esperibile solo qualora ci sia una aggressione armata di uno Stato contro un altro Stato: un esempio è l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. Non è sicuramente questo il caso siriano ad oggi. Un intervento unilaterale - cioè senza egida Onu - sarebbe sicuramente illegittimo dal punto di vista del diritto internazionale.

    D. - Eppure la storia - anche recente - ci racconta molti episodi di questo tipo e cioè di attacchi unilaterali: il caso iracheno, soltanto per fare un esempio…

    R. - Direi che i precedenti più recenti sono il caso del Kosovo, dove c’è stata una legittimazione del Consiglio di Sicurezza ex-post; e il caso, appunto, iracheno. Ma non è che la violazione del diritto porta, a lungo andare, ad una legittimazione di certe azioni. Quindi direi che ad oggi i due precedenti del Kosovo e dell’Iraq, sono rimasti non solo isolati, ma talmente criticati da molti Stati e anche - devo dire - dalla dottrina giuridica, per cui non si può parlare della creazione o dello svilupparsi di una norma che legittima l’intervento unilaterale, senza quindi alcuna autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza, anche in caso di gravi violazioni dei diritti umani.

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    Iraq: nuova ondata di attentati. Baghdad rivive l'incubo del 2006

    ◊   Nuova ondata di attentati in Iraq dove diverse esplosioni hanno mietuto più di 80 vittime, facendo sprofondare di nuovo il Paese negli incubi del 2006-2008, trennio di sangue per la città di Baghdad. Il servizio di Davide Pagnanelli:

    86 morti e 263 feriti è il terribile bilancio di una sola giornata di attentati che hanno colpito la zona di Baghdad, nel sud dell’Iraq dove una serie di autobombe ha riaperto l’incubo del 2006-2008 quando la città era straziata da attentati di ogni tipo. Le esplosioni sarebbero state circa una dozzina, localizzate in alcuni quartieri sciiti, e sarebbero avvenute in sequenza verso le 10 del mattino. A scatenare le violenze, il clima di tensione tra le comunità islamiche sciite e sunnite, che ha mietuto, solamente nel mese di luglio, più di mille vittime, rendendo lo scorso mese il peggiore dal 2008. Il tributo di sangue agli odi settari in Iraq è terribile, dall’inizio dell’anno oltre 4000 persone hanno perso la vita. Ad infiammare ulteriormente gli animi è la situazione siriana che ha spinto decine di migliaia di profughi ad attraversare il confine e ci sono già testimonianze su internet di violenze settarie contro musulmani alawiti, setta a cui appartiene il presidente siriano Assad. La violenza in Iraq è aumentata in modo esponenziale specialmente dopo il ritiro del contingente americano, ormai 18 mesi fa, e le Forze di sicurezza interne non sembrano in grado di fare nulla per arginare la violenza.

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    Centrafrica: in migliaia nell'aeroporto di Bangui per sfuggire alle violenze dei guerriglieri

    ◊   Da, ieri sera, migliaia di persone occupano la pista dell’aeroporto di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, per sfuggire ad un attacco dei guerriglieri "Seleka" contro il quartiere in cui vivono. I civili, che ribadiscono il loro sostegno al governo, denunciano una situazione di instabilità, chiedendo pace e sicurezza. Su questo episodio, Salvatore Sabatino ha intervistato, la missionaria comboniana in Centrafrica suor Elianna:

    R. – I ribelli sono entrati nel quartiere e hanno cominciato a sparare, a fare atti di saccheggio, di furto. La popolazione, quindi, è scappata. I francesi, addetti alla sicurezza dell’aeroporto, hanno lasciato passare queste persone e le hanno soccorse, perché in difficoltà.

    D. – Ovviamente l’aeroporto in questo momento è bloccato. Sono stati cancellati tutti i voli in partenza ed in arrivo per Bangui...

    R. – Sì, i voli sono stati bloccati da ieri e le persone continuano ad aumentare: oltre a quelle che sono inizialmente fuggite dal quartiere attaccato, sono arrivate quelle di altri quartieri, che si sono aggiunte per solidarietà e per un atto forte nei confronti del governo, perché questa insicurezza continua, questa precarietà, possano terminare.

    D. – Questo ci dice ovviamente che la gente è stanca di questa situazione e questo episodio è anche emblematico di una situazione, che è molto al di là della normalizzazione...

    R. – Sicuramente. Nonostante il presidente avesse prestato il suo giuramento due domeniche fa, il giorno dopo i ribelli avevano attaccato già questo quartiere. Questa gente è semplice: non sono intellettuali, non sono leader politici, ma gente semplice del quartiere che si è organizzata e sta aspettando di essere ricevuta dal presidente e dal primo ministro. So che i capi religiosi, l’arcivescovo di Bangui, i pastori e così via si stanno prestando per la mediazione tra la popolazione e i capi politici.

    D. – La Chiesa locale, dunque, continua a svolgere un ruolo importantissimo...

    R. – Sì, ha un compito essenziale. E senza la mediazione della Chiesa - che anche a causa di questo comincia a subire degli attacchi ipocriti – senza questa mediazione, sicuramente la situazione sarebbe peggiore allo stato attuale.

    D. – Nei mesi scorsi ci sono stati assalti alle comunità e alle Chiese. Si sono ripetuti in quest’ultimo periodo?

    R. – Non ci sono stati grandi attacchi, ma un mese fa circa è stata assaltata la macchina della Caritas nazionale ed è stato ferito anche il responsabile nazionale con un colpo di arma da fuoco. Adesso si sta riprendendo. Quindi, comunque, anche la Chiesa continua a non sentirsi tranquilla.

    D. – Di tutta questa situazione a pagare il prezzo più alto sono sempre i più deboli, pensiamo agli anziani, ma soprattutto ai bambini, che per lei sono una ferita al cuore...

    R. – Sì. Leggevo in un’altra notizia di questi giorni delle migliaia di persone che sono sfollate e che hanno trovato rifugio in ospedale. Non ci sono le misure minime per l’assistenza: ci sono cinque o sei persone al giorno che continuano a morire e ci sono difficoltà a trovare cosa dare da mangiare a questi bambini, che continuano a subire traumi psicologici, che se non sono presi in tempo dalla comunità educativa, dalla comunità internazionale, potranno avere ripercussioni anche nel loro modo di essere adulti di domani.

    D. – Quella della Repubblica Centrafricana è sicuramente una delle tante crisi dimenticate, di cui si parla pochissimo. Cosa fare per mantenere alta l’attenzione?

    R. – Sicuramente è una grande responsabilità quella che hanno i mass media, che purtroppo, soprattutto a livello di televisione o stampa, sono attaccati alle foto che mostrano il sangue e la violenza. La responsabilità, dunque, dei mass media è quella di seguire da vicino, cercare notizie, continuare a dire quello che succede, perché un popolo è da molti mesi preso in ostaggio e il suo futuro fino ad oggi è ancora estremamente incerto.

    D. – Come vede il futuro della Repubblica Centrafricana?

    R. – Con gli occhi della fede sarà sicuramente un futuro di pace e un futuro di comunione. Sicuramente questo passa per la via della Croce e richiederà certamente molto tempo, ma si arriverà, perché questa è la promessa che Dio fa al suo popolo.

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    Colombia: sì della Corte Costituzionale all’ingresso in politica dei guerriglieri che depongono le armi

    ◊   In Colombia la Corte Costituzionale ha autorizzato una riforma della Costituzione che prevede l’ingresso in politica dei guerriglieri che avranno deposto le armi al termine del processo di pace. “Un passo importante per tutto il Paese” ha commentato il presidente Juan Manuel Santos che si è detto anche pronto ad iniziare negoziati con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo più importante movimento di guerriglia dopo le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Sulla portata di questa decisione della Corte, Cecilia Seppia ha raccolto il commento Niccolò Locatelli, esperto di America Latina per la rivista di Geopolitica Limes:

    R. - Si tratta di una vittoria per il governo. È una legge che è stata molto contestata dalle organizzazioni dei diritti umani e anche da una certa parte della magistratura, perché potenzialmente lascia aperta la strada all’impunità, alla non persecuzione di crimini come per esempio il genocidio. Però, è fondamentale nell’ottica, almeno questa è l’idea del governo, della ricerca di un compromesso, di una pace, per arrivare alla fine delle violenze. Ricordiamo che il conflitto in Colombia dura dal 1948, ancor prima della costituzione delle Farc e ha provocato migliaia di vittime, anche civili. É chiaro che un compromesso, per quanto doloroso, è necessario.

    D. - Tra l’altro, la Consulta ha precisato che l’emendamento intitolato “Inquadramento giuridico per la pace” era già stato approvato dal Congresso nel 2012. Poi, ovviamente, questi continui stop ai negoziati tra governo e Farc ne avevano in qualche modo impedito l’attuazione. A che punto siamo sul fronte dei colloqui e quali attori internazionali stanno intervenendo?

    R. - La speranza del presidente Santos e del governo è quella di chiudere entro l’anno, o comunque entro l’anno prossimo, perché ci sono poi nuove elezioni presidenziali nel 2014. Nei colloqui che sono ripresi – che tra l’altro, hanno avuto una brevissima pausa la settimana scorsa, ma sono appena ripresi - emerge con chiarezza come la posizione forte sia proprio quella del governo di Bogotà. Le Farc sono arrivate a queste trattative estremamente indebolite più che da Santos, dalla politica del suo predecessore, il presidente Uribe, che ha praticamente decimato anche l’apparato militare di questa guerriglia. Per quanto riguarda l’aspetto internazionale, è interessante sottolineare quello che è accaduto nel novembre 2012, quando hanno aperto questo tavolo di trattative e due Stati hanno avuto un ruolo più importante di altri. Malgrado infatti le trattative siano ufficialmente iniziate in Norvegia, queste stanno procedendo a Cuba, con l’accompagnamento oltre che del Cile, soprattutto del Venezuela. Il governo venezuelano ha facilitato l’inizio di questa trattativa proprio per segnalare non soltanto il riavvicinamento alla Colombia di Santos, ma anche il suo passaggio da una fase se vogliamo anti-sistema - tutti ricordiamo Chavez per le sue invettive contro gli Stati Uniti e per i suoi progetti anti-egemonici nell’area – ad una fase più costruttiva per cercare una partnership con gli altri Stati dell’area.

    D. - Colloqui di pace, probabile ricandidatura del presidente Santos, ma anche le manifestazioni e gli scioperi di questi giorni. C’è un filo rosso tra questi elementi?

    R. - Sicuramente c’è un filo rosso tra il tentativo di Santos di chiudere in tempi rapidi, le presidenziali dell’anno prossimo e la volontà di ricandidarsi – come appare scontato – alle elezioni come presidente della pace. Le manifestazioni di questi giorni che hanno coinvolto principalmente il settore agrario, quindi la parte extraurbana della Colombia, dimostrano che però, al di là della questione dei colloqui di pace con le Farc, ci sono una serie di dossier aperti sul piano sociale ed economico che evidentemente lo stesso Santos non è stato in grado di affrontare o, se li ha affrontati, non ha saputo dare una risposta soddisfacente.

    D. - Altro punto l’apertura dei negoziati con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). La condizione imposta dal presidente Santos era la liberazione di Jernoc Wobert, l’ingegnere canadese rapito a gennaio, il cui rilascio è avvenuto ieri. Quindi, si continua un po’ con la politica del do ut des

    R. - Sì. In realtà il governo colombiano ha detto che i negoziati non possono iniziare prima della liberazione completa di tutti gli ostaggi attualmente detenuti dall’Eln. Quindi, sicuramente, la mossa che riguarda l’ingegnere canadese è stato un gesto di buona volontà. D’altra parte, è vero che si può ipotizzare che il raggiungimento di un accordo con le Farc sarà seguito, a distanza non troppo lunga, da un accordo simile con quest’altra guerriglia.

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    Giornata contro i test nucleari. Ban Ki-moon: restano una minaccia all’umanità

    ◊   I test nucleari restano una minaccia contro l’umanità e la stabilità globale: questo il monito del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nella Giornata contro i test nucleari voluta dall’Onu dal 2010. La Giornata cade il 29 agosto perché in questo giorno del 1989 il Kazakhstan decideva di bloccare tutto il suo arsenale nucleare con un gesto che metteva fine a 40 anni di sperimentazioni sovietiche sul suo territorio. E il giorno non era scelto a caso: proprio il 29 agosto del 1949 scoppiava la prima bomba nucleare dell’Urss, che rincorreva l’arsenale Usa. Dopo tanti anni dalla cosiddetta "Guerra Fredda" esistono trattati per la messa al bando dei test nucleari ma non vengono rispettati, come spiega nell’intervista di Fausta Speranza, Maurizio Simoncelli dell’Archivio Disarmo:

    R. – Sulla carta noi, a livello internazionale, abbiamo due ottimi trattati. Da un lato, il Trattato di non proliferazione nucleare che dovrebbe spingere i Paesi che hanno le armi nucleari a distruggerle, a ridurle. Un altro Trattato – il Ctbt, il Trattato sul bando totale degli esperimenti nucleari – che dovrebbe puntare a eliminare ogni tipo di iniziativa, anche scientifica, per realizzare nuove armi nucleari. Tra l’altro, ad oggi, abbiamo ben 180 adesioni e il Trattato è del 1996. Ma il problema di questo Trattato è che oltre ad essere firmato, dev’essere anche ratificato; in particolare, dev’essere ratificato da quei 44 Paesi che hanno delle capacità nucleari. In poche parole, non solo quelli che hanno le armi nucleari, ma anche quelli che hanno le tecnologie nucleari utili e potrebbero quindi fare questi esperimenti nucleari.

    D. – Facciamo qualche nome?

    R. – Stati Uniti, Pakistan, Israele, l’Iran, l’India, l’Egitto, la Corea del Nord e la Cina. Alcuni di questi Paesi hanno le armi nucleari, altri non le hanno ma hanno la tecnologia nucleare; altri stanno ipotizzando di poter avere queste tecnologie nucleari o armi nucleari in relazione magari a situazioni di tensioni regionali. Pensiamo per esempio alla posizione dell’Egitto nei confronti di un vicino non alleato come è Israele, per cui c’è una tensione, purtroppo, altalenante nel corso dei decenni e quindi, di fronte al fatto che Israele ha le armi nucleari, non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare e tanto meno il Ctbt, allora anche l’Egitto – anche se poi, di fatto, non ha tecnologie nucleari e tantomeno armi nucleari – comunque si è voluto tenere le mani libere. Questo ha comportato purtroppo che questo Trattato, che sulla carta è un’ottima cosa, nei fatti non sia mai entrato in vigore. Pertanto, ci troviamo con una normativa che è in attesa che qualcuno si decida finalmente a ratificarla e a passare dalle parole ai fatti.

    D. – Sappiamo che c’è una rete internazionale di parlamentari di tutto il mondo che ogni anno celebra questa giornata cercando di alzare la voce rispetto ai governi. Ma perché questa voce non arriva?

    R. – Esistono addirittura intere zone del nostro pianeta completamente denuclearizzate, i cui governi hanno deciso di non avere sul proprio territorio armi nucleari. Pensiamo all’intera America Latina, dal Messico in giù, all’Africa, all’Asia centrale, a zone del Sudest asiatico. Quindi, passi significativi da questo punto di vista ci sono, sia dal punto di vista dei parlamentari sia dal punto di vista di molti governi nel mondo. Il problema è che anche il Trattato, purtroppo, è oggetto di discussione da parte di quei Paesi che non hanno aderito proprio perché – per esempio – alcuni vogliono tenersi le mani libere per poter fare esperimenti di tipo informatico, avendo delle tecnologie per il cui esperimento non serve più quella che noi conosciamo come esplosione in superficie o sotterranea o così via, ma possono limitarsi a fare esperimenti a livello teorico con il computer. Ovviamente, questa è una posizione contestata dall’India che dice: i Paesi più avanzati tecnologicamente possono fare questi esperimenti informatici e quindi nei fatti continuare a testare le proprie capacità nucleari, mentre i Paesi che sono più arretrati da questo punto di vista si troverebbero, nel firmare il Trattato, sprovvisti di qualunque garanzia. E questo è uno dei punti di discussione del Trattato. E non dimentichiamo, infatti, che anche l’India è una delle grandi potenze nucleari al di fuori, per di più, del Trattato di non proliferazione nucleare che non ha mai firmato.

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    Letta difende l'abolizione dell'Imu, ma l'Ue chiede di fare attenzione ai conti

    ◊   "Il governo” ha “varato misure importanti da cui l'Italia può trovare grande giovamento”. Lo ha affermato il premier Enrico Letta, riferendosi al provvedimento sull’abolizione dell’Imu. Dal Commissario europeo Olli Rehn però arriva un avvertimento: E' "assolutamente essenziale" che l'Italia assicuri la sostenibilità della finanza pubblica. Alessandro Guarasci:

    Letta difende il provvedimento sull’Imu. Il premier dice che le famiglie avranno una riduzione fiscale importante e dalla nuova service tax nel 2014 ci sarà più equità, soprattutto per le famiglie numerose. Secondo la Cgia di Mestre a beneficiare del nuovo regime fiscale sulla prima casa saranno soprattutto gli abitanti di Lazio e Liguria. Meno ottimista il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, convinto che alla fine la service tax porterà a un aumento delle tasse locali messe dai comuni. E l’Unione inquilini paventa addirittura “uno tsunami degli sfratti”, perché in tanti non potranno permettersi di pagarla. Antonio Satta, dell’ufficio di presidenza dell’Anci, l’associazione dei comuni:

    R. - Noi ci battiamo, ormai da diverso tempo e oggi in maniera ancora più determinata, affinché i Comuni abbiano le risorse giuste per poter rispondere ai servizi fondamentali dei cittadini. Non è pensabile che lo Stato possa, attraverso l’istituzione di nuove tasse, che hanno diversi nomi e molte volte sono anche difficili da ricordare, non garantire ai Comuni quelle che sono le risorse che permettono loro di svolgere quelle funzioni fondamentali che sono, poi, le risposte ai problemi vitali di ogni cittadino: riuscire a portare avanti la sua famiglia di giorno in giorno.

    D. - Bonanni della Cisl ha detto: “I Comuni, in questi anni, sono stati dei ‘pozzi di San Patrizio’. Serve trasparenza!”. Voi siete disposti a dare più spiegazioni ai cittadini su come vengono spesi i soldi?

    R. - Come sindaco dico che i piccoli comuni, altro che trasparenza… Le risorse che arrivano sono sotto gli occhi di tutti, i problemi sono sotto gli occhi di tutti. Lo sforzo è di far sì che quelle poche risorse possano aiutare a far vivere e a far mangiare le famiglie che, in questo momento, hanno solo la disperazione! L’attacco verso le autonomie locali sarebbe ora di metterlo da parte e forse - e non voglio andare oltre! - sarebbe opportuno che finalmente si parli invece di quello che avviene nelle Regioni che non solo hanno le risorse in più, ma che svolgono addirittura ruoli che sono propri.

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    Il Festival del Cinema di Venezia ricorda il cardinale Martini a un anno dalla scomparsa

    ◊   Alla Mostra del Cinema di Venezia sono stati presentati questa mattina nello spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo il DVD del film-dossier di Salvatore Nocita “Un uomo di Dio” e il volume “Il silenzio della parola” delle Edizioni San Paolo, due importanti iniziative che ricostruiscono la figura e il pensiero del cardinale Carlo Maria Martini a un anno dalla scomparsa. Un pastore amato da tutta la Diocesi di Milano e che viene ricordato al Festival come un grande comunicatore della Parola di Dio. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Fu un ricordo particolare, quello che si svolse lo scorso anno alla Mostra veneziana: nel momento dei suoi funerali, il cardinale Martini trovava commossa accoglienza da parte del mondo del cinema. Attori, registi, amici si erano ritrovati attorno a questa figura di pastore capace di costruire grandi ponti con tutti gli uomini di buona volontà, anche i non credenti, diventando l’esempio di uomo del dialogo, della comprensione e dell’accoglienza. A un anno dalla scomparsa, la Fondazione Ente dello Spettacolo ha voluto commemorare nuovamente questa straordinaria figura della Chiesa italiana con un incontro cui hanno partecipato, tra gli altri, don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, e mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, che ha fornito per il film un’intervista inedita al cardinale. Gli abbiamo chiesto quali sono i motivi della sua forza comunicativa:

    “A un anno dalla morte, si ricorda il cardinale Martini e in particolare il tema della comunicazione, che è una innervatura del suo magistero, del suo episcopato, almeno per tre livelli: il primo è un livello con il quale il cardinale Martini conosceva bene le portate simboliche dei gesti. Penso, ad esempio, al suo ingresso in Milano con in mano il Vangelo. Non ha raccontato l’importanza del Vangelo, l’importanza di leggere la Storia a partire dal Vangelo, ma di fatto lo ha posto, come gesto. Il secondo, con la consapevolezza delle strategie della comunicazione. Penso, ad esempio, ad alcune scelte importanti come la 'Cattedra dei non credenti', la 'Scuola della Parola' dove, attraverso il racconto della Parola, c’è – di fatto – l’induzione a una ristrutturazione della propria identità rispetto alla Parola stessa di Dio. Il terzo è il livello di contenuto: il cardinale è intervenuto sul tema della comunicazione in maniera esplicita con la Lettera pastorale 'In principio è la Parola'; certamente con le due Lettere pastorali 'Effatà' e 'Il lembo del mantello' e non lo ha dimenticato negli aspetti più propriamente educativi nella sua lettera 'Itinerari educativi' dove, appunto, pone a tema la questione della comunicazione”.

    Don Davide Milani, responsabile delle Comunicazioni sociali della Diocesi di Milano, riflettendo sulla figura del cardinale Martini, aggiunge:

    R. – In un recente intervento il cardinale Scola, successore a Milano del cardinale Martini, ha definito Martini come il volto che cerca il volto di Cristo. Ecco: il cardinale Martini è stato un grande comunicatore perché ha messo in gioco il suo volto, la sua persona, la sua storia in ogni incontro: nei grandi incontri ecumenici, nella “Cattedra dei non credenti”, nelle grandi adunate in Duomo ma anche negli incontri personali. La sua comunicazione – il segreto della sua comunicazione – sta in questo: ha messo in gioco il suo volto, la sua storia, la sua fede, la sua identità, la sua persona.

    D. – La diocesi di Milano lo ricorda quindi anche alla Mostra del Cinema di Venezia …

    R. – Siamo alla Mostra del Cinema perché spontaneamente l’anno scorso, in occasione della morte, venne organizzato un piccolo incontro di preghiera e di commemorazione. La diocesi lo ricorderà sabato sera 31 agosto in Duomo, alle 17.30, con la Messa solenne presieduta dal cardinale Scola, con i preti diocesani e il popolo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Il patriarca Twal: "Con quale autorizzazione attaccare un Paese?"

    ◊   Un appello alla prudenza per la stabilità di tutta la regione: a lanciarlo è mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme nell’imminenza di un possibile attacco militare occidentale contro il regime siriano accusato di aver utilizzato armi chimiche nella sua guerra contro i ribelli. In una nota diffusa dal Patriarcato e ripresa dall'agenzia Sir, mons.Twal eleva “la sua preghiera allo Spirito Santo affinché illumini i cuori di coloro che hanno tra le mani il destino delle popolazioni”. Rivolgendosi a questi leader ricorda loro “di non dimenticare l’aspetto umano nelle loro decisioni”. Constatando che “gli Israeliani stanno facendo ressa nei Centri di distribuzione di maschere a gas e gli abitanti del Medio Oriente incominciano a raccogliere viveri e riserve”, il patriarca si interroga seriamente sui rischi di una escalation della violenza nella regione. “Perché dichiarare una guerra quando gli esperti dell’Onu non hanno ancora consegnato le conclusioni definitive sulla natura chimica dell’attacco e sull’identità formale dei suoi mandanti? Si assiste - ricorda il patriarca - ad una logica che ricorda la preparazione della guerra in Iraq nel 2003, una commedia delle armi di distruzione di massa in Iraq quando in realtà non ce ne erano. Oggi questo Paese è ancora in una situazione molto critica”. Nella nota Twal incalza: “Come decidere di attaccare un Paese? Con quale autorizzazione? Certo, il Presidente americano ha il potere di lanciare solo degli attacchi aerei contro la Siria, ma che ne è della Lega araba e del Consiglio di sicurezza dell’Onu? I nostri amici dell’Occidente e degli Usa non sono stati attaccati dalla Siria. Con quale legittimità osano attaccare un Paese? Chi li ha nominati polizia della democrazia in Medio Oriente?”. Netta la denuncia: “Chi ha pensato alle conseguenze di una tale guerra per la Siria e per i Paesi vicini? C’è bisogno di aumentare il numero dei morti oltre i 100mila? È necessario - ammonisce - ascoltare tutte queste anime che vivono in Siria e che gridano il loro dolore che dura da più di due anni e mezzo. Hanno pensato alle mamme, ai bambini, agli innocenti? Ed i Paesi che attaccano la Siria hanno preso in considerazione il fatto che i loro cittadini in tutto il mondo, che le loro ambasciate e consolati possono essere bersaglio di attentati in rappresaglia?”. Per tutte queste ragioni il patriarca Twal invita alla prudenza augurando “la pace e la sicurezza a tutta questa regione del mondo che ha già troppo sofferto”. E aggiunge: “Come cristiani di Terra Santa ricordiamo nelle nostre preghiere i siriani di cui vediamo tutte le sofferenze quando vengono a rifugiarsi nella nostra diocesi in Giordania”. (R.P.)

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    L’intera comunità cristiana disapprova l’attacco alla Siria

    ◊   Nuove voci si sono alzate nell'intero panorama cristiano contro l’eventualità di un intervento militare in Siria. Dopo le aspre critiche dei giorni scorsi da parte del patriarca di Mosca, si sono pronunciati oggi l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, massima autorità della Chiesa anglicana, dopo la regina, che ha mostrato apprensione per le dichiarazioni del governo inglese a favore di un intervento armato, chiedendosi innanzitutto “siamo sicuri dei fatti sul terreno?” e quali saranno le “ramificazioni imprevedibili in tutto l’intero mondo arabo e musulmano? L’arcivescovo, grande conoscitore della realtà mediorientale, è reduce da un recente viaggio in Siria dove ha palpato la tensione della popolazione, terrorizzata da ulteriori escalation militari. La voce dell’arcivescovo si accompagna a quella di Guy Liagre, segretario generale della Conferenza delle Chiese d’Europa, la Kek, della quale fanno parte 115 tra chiese ortodosse, protestanti, anglicane e vetero-cattoliche. Il segretario della Kek ha augurato che l’Onu “consideri principalmente il bene del popolo siriano e non le esigenze della politica” e, pur condannando l’uso di armi chimiche, al culmine di una violenza che dura ormai da due anni e mezzo, indica che “Ogni sforzo messo in atto dai leader mondiali deve essere compiuto con la finalità di raggiungere un consenso illuminato su come affrontare gli attacchi chimici ricorrendo al diritto internazionale e alle istituzioni preposte”, invitando quindi i fedeli a “pregare per la fine del conflitto in Siria e la tutela dei diritti dei più deboli”. Voci di rilievo anche dal mondo cattolico con il card. Bagnasco che invita alla prudenza osservando: “la prima cosa come sempre, e la storia recente ce lo insegna, è che bisogna essere molto sicuri, assolutamente certi di queste cose per non aggiungere errori su errori”. Nel frattempo la chiesa siriana schiera la potente arma della preghiera: nel monastero di San Giacomo, nella città di Qarah, suore e monaci, provenienti da ogni parte del mondo, insieme con la comunità locale, hanno aperto un periodo di adorazione notturna al Santissimo Sacramento "coscienti della forza della preghiera e con fede nella provvidenza di Dio". (D.P.)

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    Siria: le preghiere di Aleppo affinché sia scongiurato l'intervento militare

    ◊   “Qui la gente vive nell'incertezza e nella sofferenza, ma nessuno aspetta la liberazione dalle bombe e dai missili di un intervento militare esterno. Anche per me sarebbe una pazzia fare azioni di guerra elevando la bandiera della pace. Tutti pregano perchè l'intervento non ci sia, e torni davvero la pace”. Cosi il parroco David Fernandez, missionario cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato, descrive all'agenzia Fides la reazione dei suoi fedeli di Aleppo davanti alle voci su un imminente attacco contro le postazioni dell'esercito di Assad da parte di forze straniere. Nel racconto di don David, Aleppo viene di nuovo descritta come una città sotto assedio delle milizie ribelli, dove “i forni sono chiusi perchè manca anche la farina per fare il pane” mentre non si riesce a dormire né di giorno né di notte per il fragore degli scontri e dei bombardamenti in atto nei sobborghi periferici. In tutto questo – aggiunge a Fides padre David - “tante persone portano la loro croce con fede e fortezza, chiedendo il dono della pace a Dio, l'unico a cui ancora affidano le proprie speranze”. Nel mese di agosto, in Aleppo assediata, presso la parrocchia cattolica di rito latino sono stati predicati esercizi spirituali per i giovani, per le suore e per le madri. In questi giorni sono in corso quelli rivolti ai preti, a cui partecipano sacerdoti di diversi riti. (R.P.)

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    Congo. A Goma l’esercito attacca i ribelli, in campo anche l’Onu

    ◊   L’esercito della Repubblica Democratica del Congo è impegnato da ieri mattina in una vasta offensiva per sradicare i miliziani del gruppo ribelle M23 dalle colline del Kibati, nei dintorni di Goma, capoluogo dello stato del Nord Kivu. Fonti dell’esercito, riportate dall’agenzia Misna, dichiarano che l’attacco “sta evolvendo in modo positivo”, mentre ulteriori dettagli vengono dal presidente del M23 che descrive: “l’esercito governativo sostenuto dalle Nazioni Unite ha attaccato le nostre posizioni alle porte di Goma con artiglieria, blindati e bombardamenti aerei”. L’Onu sarebbe coinvolto con bombardamenti aerei e schierando sul fronte la brigata di intervento, composta da truppe africane degli Stati del Sud Africa, Tanzania e Malawi, che ha agito al fianco dell’esercito regolare. Nei combattimenti, secondo un portavoce dell’Onu, è rimasto ucciso uno dei Caschi blu tanzani, mentre altri tre sono stati feriti. L’M23 sfrutta le colline di Kibati per bombardare anche zone densamente popolate di Goma; scopo della missione è interrompere il lancio di proiettili d'artiglieria sulla popolazione. Il capo della Missione Onu in Congo, la Monusco, ha commentatp la situazione complessa, che insanguina il Nord Kivu ormai dal 1994, dicendo: “questo conflitto non può avere una soluzione militare anche se stiamo utilizzando mezzi militari contro l’M23”. Al momento la situazione è in evoluzione ma una sconfitta del gruppo ribelle in un solo attacco è improbabile, secondo fonti dell'agenzia Fides, da dietro il confine con il Ruanda due grossi contingenti dell'esercito regolare Ruandese starebbero infatti coprendo la ritirata del gruppo ribelle che però avrebbe subito ingenti perdite materiali e umane. Considerata la situazione, il presidente della Monusco, è giustamente poco fiducioso in un risultato "magico" di un intervento militare e ha auspicato una ripresa del dialogo con M23 per giungere ad una soluzione diplomatica. (D.P.)

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    Congo. Appello alla pace del vescovo di Goma: lasciateci vivere!

    ◊   “In nome di Dio, lasciateci vivere!”: è un appello accorato, ripetuto per tre volte e rivolto “ai responsabili ed alle autorità” quello lanciato da mons. Théophile Kaboy, vescovo di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. In un messaggio diffuso in questi giorni, il presule si sofferma sulla drammatica situazione del Nord Kivu, dove continuano gli scontri tra le forze governative e i ribelli del “Movimento del 23 marzo” (M23), delineando un scenario tragico: vittime, sfollati, diritti umani violati, bambini costretti ad arruolarsi nei gruppi armati, donne stuprate. Non solo: mons. Kaboy punta il dito contro tutti coloro che hanno illuso la popolazione con promesse di “un avvenire radioso”, in nome di “ideologie e false ambizioni” e ribadisce che “la gente non ha bisogno di assistere ai giochi politici come se fosse spettatrice di una messa in scena teatrale”. È tempo, allora, sottolinea il vescovo di Goma, di “impegnarsi per la pace totale”, così da “costruire un mondo più bello di prima”. Di qui, l’esortazione a “raddoppiare gli sforzi nella preghiera” ed a “non cadere nella trappola di coloro che vogliono creare il caos totale, attaccando cittadini pacifici”. Infine, il presule ricorda che “siamo tutti fratelli” ed invita tutte le parti in causa a “prendere sul serio le risoluzioni già stabilite per raggiungere la pace”, così da “privilegiare gli interessi dell’intera nazione”. (A cura di Isabella Piro)

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    Nigeria: “I veri credenti lavorano per la pace”, affermano leader cristiani e musulmani

    ◊   “Chi afferma di conoscere Dio deve amare il suo prossimo e vivere in pace con tutti” ha sottolineato il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja al seminario interreligioso tenutosi presso la Moschea centrale della capitale nigeriana. L’incontro tra giovani cristiani e musulmani, organizzato dal National Council of Muslim Youth Organizations e dalla Catholic Youth Organization - riferisce l'agenzia Fides - era incentrato sui temi del dialogo e della pace. Nel suo intervento intitolato “L’ignoranza delle Scrittura è ignoranza del Dio Onnipotente, una prospettiva cristiana”, il card. Onaiyekan ha rimarcato che “il grande valore in ogni religione e in ogni società umana è di andare oltre la coesistenza e di lavorare per la cooperazione e la solidarietà. Tutti noi che in Nigeria prendiamo la religione sul serio, dobbiamo lavorare per l’armonia religiosa, la pacifica coesistenza e la solidarietà. Solo così la religione non sarà una maledizione ma una benedizione che viene da Dio”. Gli altri relatori, cristiani e musulmani, hanno messo in evidenza come nella Bibbia e nel Corano si affermino i valori imprescindibili per i credenti della pace e della solidarietà. Alhaji Karshi, Imam della Moschea dell’Area 11 di Abuja ha infine sottolineato che chi annienta vite umane e proprietà nel nome della protezione dell’islam, non è un vero musulmano. (R.P.)

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    Un calice per Papa Francesco con i colpi di scalpello di 7 milioni di argentini

    ◊   Un lingotto di un chilo e mezzo d’argento già sagomato dai colpi di circa 7 milioni di argentini è nelle mani dell’orafo Juan Carlos Pallarols che ha iniziato la lavorazione di un calice che si spera possa essere usato dal Papa, nelle celebrazioni natalizie o per la Solennità dell’Immacolata Concezione, l‘8 dicembre. L’iniziativa è partita ad aprile di quest’anno dallo stesso artista che con il motto: “Uniti incidiamo il calice di Francesco” ha invitato tutti i concittadini a dare una piccola martellata al lingotto che diventerà un omaggio del popolo argentino al primo Papa latinoamericano. Riportato nella capitale argentina pochi giorni fa, il pezzo modellato è stato ricevuto dal Capo del governo della città di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta, dal primo vicepresidente Cristian Ritondo e dallo stesso Pallarols. Anche loro hanno dato un piccolo colpo di martello all’opera collettiva intrapresa dall’orefice argentino, membro della nota famiglia di orefici e amico del cardinale Bergoglio. “Siamo orgogliosi di quest’opera fatta dal popolo argentino per il Papa che è uscito dalla nostra amata città, e che sta trasformando il mondo”, ha detto il legislatore capitolino nell’atto con il quale si è chiuso il lungo percorso del lingotto d’argento attraverso le province di Santiago dell’Estero, Catamarca, Tucumán, Buenos Aires, Entre Ríos, Salta e Córdoba – ma anche per altre città del mondo, tra le quali Toronto, Vancouver, New York, Montevideo, Venezia, Milano e Roma. Infatti, il lingotto d’argento donato dai minatori argentini di Santa Cruz è stato presentato al Papa, da Adrian Pallarols, figlio del noto orefice, per essere benedetto, come vuole la tradizione, insieme alla bozza del progetto, il 17 marzo scorso a Roma. Da allora è iniziato il suo percorso a colpi di scalpello che secondo l’orefice sono stati calcolati da un sensore che registra anche le martellate più delicate date al metallo da ogni persona. Il disegno di Adrian Pallerols, prevede tra le decorazioni: l’immagine della Madonna di Lujan, patrona dell’Argentina; le rose per rappresentare Santa Teresa; la sagoma del Sudamerica e lo stemma nazionale dell’Argentina. Il calice avrà incastonata anche una pietra di rodocrosite donata dai minatori di Catamarca. All’interno sarà bagnato in oro e le sue dimensioni sono di 26 centimetri di altezza, 15 di diametro alla base, 9 al bordo, insieme alla patena di 15 centimetri di diametro che riporta l’immagine della Vergine Desatanudos (“Sciogli nodi”), devozione mariana promossa in Argentina dall’allora cardinale Bergoglio. Infine, nella parte liscia della base, si legge il motto di Papa Francesco: Miserando atque eligendo. (A cura di Alina Tufani)

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    Colombia. Colloqui governo-Farc: dalle vittime proposte per la pace

    ◊   Oltre 4000 proposte per raggiungere la pace, pensate dalle stesse vittime, raccolte fra il 6 maggio e il 12 luglio in nove città, tra cui alcune delle più colpite dal conflitto, da Quibdó, capitale del dipartimento di Chocó (nord-ovest), a Cúcuta, capitale del Norte de Santander (nord-est). Le ha consegnate l’ufficio delle Nazioni Unite in Colombia al Congresso affinché siano inviate alle delegazioni della guerriglia e del governo riunite all’Avana per lo storico negoziato volto, almeno sulla carta, a mettere fine a una guerra che si protrae da decenni con decine di migliaia di vittime e quasi quattro milioni di sfollati; solo nel 2012 sono stati 250.000. Circa 3.000 persone - riferisce l'agenzia Misna - hanno partecipato alla campagna per la raccolta di proposte per la pace organizzata dal Congresso attraverso le ‘Mesas regionales de paz’ (tavoli regionali per la pace), con il sostegno dell’Onu; un’iniziativa per dare spazio alle voci delle vittime sull’agenda del processo di pace, che include il problema della terra, la partecipazione delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) alla vita politica, la questione del narcotraffico, il disarmo dei combattenti, i risarcimenti alla popolazione per le violenze subite. “Le vittime non vogliono più altre vittime e chiedono che il numero di persone colpite dalla guerra non continui a crescere” ha detto il coordinatore dell’Onu in Colombia, Fabrizio Hochschild, sintetizzando il messaggio rivolto dai civili ai protagonisti delle trattative. Insieme alle proposte di pace, al Congresso sono arrivati diversi oggetti donati dalle vittime, dalle catene che hanno accompagnato i lunghi periodi di prigionia di alcuni ostaggi dei ribelli, alla penna di José Antequera, dirigente comunista della Unión Patriótica assassinato a Bogotá nel 1989: memorie destinate anch’esse ai negoziatori impegnati all’Avana. (R.P.)

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    Pakistan: il governo di Nawaz Sharif ferma il boia

    ◊   Il governo pakistano guidato da Nawaz Sharif, esponente della “Pakistan Muslim League –N”, ha sospeso ufficialmente 468 esecuzioni capitali, confermando la moratoria che vige nel Paese da cinque anni. La questione della “pena di morte” è da alcune settimane di nuovo al centro del dibattito pubblico. All’inizio di agosto, il governo aveva prospettato una ripresa delle esecuzioni, generando aspre critiche da Ong come “Amnesty International” e “Human Rights Watch”, ma anche all’interno della nazione. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides, la decisione del governo è frutto delle pressioni delle organizzazioni per i diritti umani e della comunità internazionale. In particolare, per l’Unione Europea, la ripresa delle esecuzioni avrebbe avuto la conseguenza di cancellare il Pakistan dalla lista delle nazioni che hanno “linea preferenziale” negli scambi commerciali con la Ue, come ha dichiarato Ana Gomes, a capo della sottocommissione del Parlamento Europeo per i diritti umani. Analisti e commentatori in Pakistan giudicano la mossa del governo come “atto di pragmatismo politico”, per non far perdere al Pakistan “una porta di accesso nei mercati europei”. Come riferito a Fides, numerosi esponenti della società civile e delle Chiese in Pakistan hanno accolto con favore la decisione del governo, perché “tutela i diritti umani e il valore della vita, anche per i detenuti riconosciuti colpevoli”. Sono 468 i detenuti già condannati a morte da tribunali civili o militari, in attesa di esecuzioni già disposte, molti per “terrorismo”. Nel complesso vi sono circa 8.000 detenuti che hanno esaurito tutti i gradi giudizio e si trovano nel braccio della morte nelle diverse carceri pakistane. Secondo il Codice penale pakistano, 27 reati, tra i quali quello di “blasfemia”, sono punibili con la pena capitale. Fra i detenuti vi è anche la cristiana Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia da un tribunale di primo grado nel 2010 e in attesa di un processo di appello. (R.P.)

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    India: Seminario sul dialogo interreligioso alla luce del Concilio Vaticano II

    ◊   Come guardare a coloro che non condividono la nostra stessa fede? A questa domanda ha voluto rispondere il seminario svoltosi ieri presso il Loyola College di Chennai, nell’India Meridionale. L’Istituto, che si occupa principalmente di dialogo con le culture e le religioni, ha tenuto un incontro sul tema “Io e il mio vicino che non condivide la mia fede: conflitti e/o confluenze alla luce del Concilio Vaticano II”. A carattere ecumenico, il seminario – informa una nota – ha innanzitutto evidenziato che “il dialogo inizia con Dio ed è dono di Dio per tutti”, così come “lo Spirito di Dio opera in ciascuno di noi, a prescindere dalle divisioni nella Chiesa e nell’umanità”. Di qui, l’esortazione ribadita dall’incontro: “Tutti siamo chiamati a costruire l’umanità e ad impegnarci in una fruttuosa coesistenza”. Di fronte alle sfide del “pluralismo e del multiculturalismo”, quindi – continua la nota – “è ancora necessario diffondere l’amore di Dio nella difesa dei diritti e della dignità umana e nell’eliminazione di tutte le forme di oppressione”. Per questo, il Loyola College ha insistito sull’importanza delle celebrazioni ecumeniche, del coinvolgimento dei giovani e della loro formazione interreligiosa. Infine, i sacerdoti sono stati esortati a lavorare a stretto contatto con il loro territorio diocesano, ad avere un atteggiamento inclusivo e ad essere attenti ai valori primari delle altre religioni, così da essere modelli di riferimento nel dimostrare che “il dialogo è inevitabile se si vuole trasformare la vita delle persone”. (I.P.)

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    Thailandia: vescovi a confronto sui compiti delle scuole cattoliche

    ◊   Migliorare sempre più il grado di istruzione e conoscenze offerto dalle scuole cattoliche, per centrare gli standard internazionali, e promuovere al contempo la conoscenza del catechismo e le basi della fede. È questo l'obiettivo fissato dalla Conferenza episcopale thai che, riunita nei giorni scorsi a Pattaya, ha dedicato molta attenzione al tema dell'educazione e al contributo offerto nel settore dalle scuole di ispirazione cristiana. Durante la tre giorni di seminario - riferisce l'agenzia AsiaNews - vescovi, sacerdoti e laici hanno discusso gli standard qualitativi e analizzato i risultati ottenuti dalle scuole in tema di evangelizzazione ed educazione morale e civile. Nel suo intervento mons. Louis Chamnien Shantisukniran, presidente della Conferenza dei vescovi thai, ha sottolineato che è dovere della Chiesa cattolica aiutare le sue istituzioni più rappresentative a "esprimere l'identità cattolica". Il prelato ha ricordato gli obiettivi del Piano pastorale 2010-2015, secondo cui le scuole e i centri educativi sono il punto focale "dell'annuncio del Vangelo". Per questo è dovere degli educatori essere "testimoni viventi" di Gesù fra gli allievi. Padre Francis Xavier Deja Arpornrat, segretario esecutivo della Conferenza episcopale, ricorda che le scuole cattoliche mirano a uno sviluppo "complessivo" della persona, per questo esse godono della "fiducia" dei genitori. Per il futuro è importante "preservare" l'identità mentre si "potenziano" i metodi di insegnamento, al fine di centrare i più elevati standard qualitativi. "Dobbiamo rinnovare i metodi e riformare il sistema - ha aggiunto il sacerdote - adattandoli ai tempi che cambiano". L'intervento dell'arcivescovo di Bangkok, mons. Francis Xavier Kriengsak Kovinthavanij, è stato invece ispirato alla Nuova evangelizzazione e al confronto con i fedeli di altre religioni. "Tutti i discepoli di Cristo - ha ricordato il prelato - sono chiamati ad annunciare e condividere la Buona Novella" con chi ancora non ha incontrato il Vangelo e con quanti non credono. Egli invita i cattolici a promuovere in prima persona il dialogo interreligioso, che è parte integrante e "riveste un ruolo di primo piano nella Nuova evangelizzazione". Da ultimo, l'arcivescovo rilancia i valori del Vangelo fra cui moralità e virtù, aiuto agli studenti, cultura e vita che sono parte essenziale del programma di un istituto di ispirazione cristiana assieme alla tecnologia, ai media e al rispetto per l'ambiente. La presenza dei cattolici in Thailandia ha una percentuale davvero esigua, appena dello 0,1% su una popolazione totale di 66,7 milioni di abitanti, ma è ricca di vitalità e spirito di iniziativa soprattutto nel sociale e nel settore dell'istruzione. All'incontro di Pattaya hanno partecipato 400 educatori, provenienti da 10 diocesi del Paese. In tutto lo Stato vi sono circa 300 istituti cattolici, frequentati da oltre mezzo milione di studenti, di fedi religiose diverse. (R.P.)

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    Guinea Equatoriale: il governo preoccupato dal proliferare delle nuove sette cristiane

    ◊   Il governo della Guinea Equatoriale ha deciso di fare un censimento delle nuove sette cristiane che proliferano nel Paese, le cosiddette “Chiese del Risveglio”. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa africana Apa una speciale Commissione del Ministero della giustizia e per il culto ha già avviato un’indagine a livello nazionale. L’obiettivo è di conoscere meglio questa realtà e garantire il rispetto della legalità. A determinare la decisione, infatti sono diversi decessi avvenuti durante riti di esorcismo e il moltiplicarsi delle denunce di appropriazioni indebite da parte di alcuni predicatori-pastori dei soldi raccolti tra i fedeli per la costruzione di chiese e scuole. Come in altri Paesi del continente africano, e non solo, la proliferazione delle nuove Chiese cristiane sta assumendo dimensioni preoccupanti anche in questa ex colonia spagnola, situata tra il Gabon e il Camerun. “Pane di Dio”, “Chiesa Cristiana del Cielo” “Chiesa della vita”: sono solo alcune delle denominazioni di queste sette fondate e guidate da predicatori provenienti per lo più dalla Nigeria, dal Ghana, dal Camerun o anche dalla Repubblica Democratica del Congo. Predicatori che riescono ad attirare sempre più adepti soprattutto tra i cattolici che, almeno sulla carta, secondo le statistiche ufficiali della Chiesa, rappresentano circa il 96% della popolazione. Secondo un sociologo contattato dall’Apic a frequentare queste Chiese sono soprattutto donne. (L.Z.)

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    Il card. Calcagno a Collemaggio: "Non si può invocare la misericordia di Dio e vivere come se Lui non ci fosse"

    ◊   “Non si può invocare la misericordia e la giustizia di Dio e vivere come se Lui non ci fosse”. È il monito lanciato ieri sera dal card. Domenico Calcagno, presidente dell'Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, nell’omelia pronunciata in occasione della messa di apertura della porta santa di Collemaggio, a L’Aquila. Richiamando il significato della Perdonanza celestiniana, istituita da Celestino V il 29 agosto 1294, “tempi difficili per le tensioni in ambito civile e anche all’interno della Chiesa, non diversamente da quanto accade oggi” - riferisce l'agenzia Sir - il delegato pontificio ha spiegato: “L’evento giubilare è un atto religioso della Chiesa che si rivolge a Dio, affinché per la sua misericordia” voglia “concordare i doni spirituali che gioveranno alla vita futura. È il dono dell’indulgenza chiesta alla misericordia di Dio per la purificazione delle pene meritate con il peccato”. Naturalmente, ha precisato Calcagno, “perché la misericordia di Dio possa purificare il cuore nostro e colmarlo di grazia, occorre che noi ascoltiamo la voce del Signore e lo seguiamo”. Di qui l’avvertimento del cardinale: “Ascoltare la parola di Dio e seguire Gesù comporta innanzitutto la conversione del cuore. Non si può invocare la misericordia e la giustizia di Dio e vivere come se Lui non ci fosse, facendo il male e provocando sofferenze”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 241

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