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Sommario del 28/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa del Papa per il Capitolo degli agostiniani. Il vicario dell'Ordine: momento speciale per affrontare le nuove sfide
  • Il Papa incontra i giovani di Piacenza. Mons. Ambrosio: momento di gioia che fa rivivere la Gmg
  • Altre udienze di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il Patriarca Sako: basta violenza, attacco in Siria sarebbe un disastro come in Iraq
  • Si stringe il cerchio su Assad, ma l'Italia frena sull'intervento armato
  • Egitto: aumentano le violenze anticristiane, gravi danni al centro dei gesuiti a Minya
  • Repubblica Ceca: il presidente scioglie la Camera bassa, elezioni anticipate a ottobre
  • California: non si arresta il devastante incendio alle porte del parco Yosemite
  • “I have dream” compie 50 anni. Giovagnoli: Martin Luther King parla ancora agli uomini del nostro tempo
  • AiBi: in crisi adozioni e affido in Italia, rilanciare cultura dell'accoglienza
  • Perdonanza. Il rettore della Basilica di Collemaggio: il Papa ci ricorda che il padre mai si stanca di perdonare i suoi figli
  • Al via la 70.ma edizione del Festival del Cinema di Venezia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: il patriarca Gregorio III condanna un eventuale attacco Usa
  • Siria. Appello da Deir Mar Musa: “No all’intervento militare e a ogni forma di violenza”
  • Appello del Consiglio Mondiale delle Chiese: in Siria intervenga l'Onu
  • Messico: denuncia di un sacerdote per il deragliamento del treno dei migranti
  • Usa: nuova campagna dei vescovi per l'approvazione della riforma dell'immigrazione
  • Usa. Il card. Chaput: i leader cattolici ispanici siano efficaci testimoni della fede contro la secolarizzazione
  • Gmg Cracovia: i vescovi polacchi propongono la seconda metà di luglio 2016
  • Colombia: rilasciato dai guerriglieri dopo sette mesi ostaggio canadese
  • Bolivia: intervento della Chiesa sulla situazione carceraria
  • Sud Corea. Mese dei Martiri: le iniziative dell’arcidiocesi di Seoul
  • Filippine: al via incontro interreligioso nell’area simbolo dei terroristi "Abu Sayyaf"
  • India: saranno ricostruite dal governo le moschee distrutte dagli estremisti indù nel Gujarat
  • Benin: i vescovi contrari ad una revisione costituzionale che divide
  • Uganda: rifugiati congolesi morti per grave incidente stradale
  • Tanzania: migliaia di bambini lavorano nelle miniere d’oro
  • Celebrazioni a Siracusa per i 60 anni della Madonna delle Lacrime
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa del Papa per il Capitolo degli agostiniani. Il vicario dell'Ordine: momento speciale per affrontare le nuove sfide

    ◊   Nell’odierna memoria liturgica di Sant’Agostino, Papa Francesco celebrerà, alle ore 18, una Messa nella Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio a Roma. La celebrazione, attesa con trepidazione dalla comunità degli agostiniani, avviene in occasione dell’apertura del 184.mo Capitolo generale dell’Ordine. Proprio sull’importanza di questo Capitolo, Federico Piana ha intervistato il vicario generale degli agostiniani, padre Michael Di Gregorio:

    R. - Questo è un momento in cui cerchiamo di aggiornarci su tutte le questioni che ci appartengono e di prendere delle decisioni per il futuro dell’Ordine. È un momento molto speciale, perché diversi membri dell’Ordine si riuniscono qui a Roma - saremo circa 90 - in rappresentanza di tutti i membri dell’Ordine che si trovano nel mondo.

    D. - Quali sono i compiti di questo Capitolo Generale?

    R. - Sono diversi. C’è il compito di prendere le decisioni sulle opere dell’Ordine, cercare di rafforzare il nostro carisma, determinare un programma per l’immediato futuro e - molto importante - eleggere un nuovo priore generale e il suo consiglio.

    D. - Quali sono le sfide che si prospettano?

    R. - Sono diverse. Abbiamo già formulato un Instrumentum Laboris che vuole proporre ai membri del Capitolo e a tutto l’Ordine una visione per il futuro. Parliamo in modo particolare della comunione e della comunità, che ha un ruolo molto importante nel nostro carisma, e della ricerca dei mezzi per arrivare a questa comunione a un livello molto più profondo. All’interno di questo tema, troviamo anche molte opportunità per portare avanti le opere che appartengono all’Ordine.

    D. - Possiamo dire che alcune sfide sono in Europa e anche in Africa...

    R. - Certo! Forse sono un po’ diverse tra un continente e l’altro. In Europa vediamo - come vedono anche altre congregazioni ed altri ordini - un numero sempre più inferiore di persone che entrano nell’Ordine. Le vocazioni in questo momento sono poche, anche se comunque ci sono. In Africa, invece, notiamo una crescita e le vocazioni all’Ordine sono in aumento costante. L’Ordine in Africa è molto giovane, quindi la possibilità di rispondere a queste sfide segue una dinamica un po’ diversa.

    D. - Queste sono le sfide, ma le difficoltà quali sono?

    R. - Le difficoltà sono in questo senso: siamo un Ordine che esiste da secoli - l’Ordine è stato fondato 1244 - quindi le nostre strutture a volte hanno una storia molto lunga. A volte, per noi è difficile riuscire ad aggiornare le nostre strutture per essere più preparati ad affrontare il presente. Questa è la nostra sfida principale.

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    Il Papa incontra i giovani di Piacenza. Mons. Ambrosio: momento di gioia che fa rivivere la Gmg

    ◊   Papa Francesco incontrerà oggi pomeriggio nella Basilica Vaticana un gruppo di circa 500 giovani della diocesi di Piacenza-Bobbio. Il pellegrinaggio si colloca nell’ambito dell’Anno della Fede ed ha per tema “Su questa pietra”. Sull’attesa per questo incontro, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Piacenza, mons. Gianni Ambrosio, che guida i giovani della sua diocesi nel pellegrinaggio a Roma:

    R. – Nell’Anno della fede il nostro pellegrinaggio s’inserisce soprattutto in un percorso di varie tappe, che ha il momento culmine proprio qui nell’incontro con il Santo Padre nella Basilica di San Pietro. Siamo davvero in trepidazione per l’incontro con il Papa, per confessare la fede cattolica, apostolica, insieme a colui che è il Successore di Pietro. Quindi è un cammino lungo, articolato, che abbiamo fatto e che trova appunto il suo momento più gioioso, più bello per i giovani proprio qui in San Pietro con Papa Francesco.

    D. – Cosa le dicono i giovani della sua diocesi di Papa Francesco e di questo incontro ormai imminente?

    R. – Vivono questa attesa con una certa trepidazione, ma anche riconoscendo nel Papa il loro papà! Mi hanno detto di rivolgermi a lui, chiamandolo “Carissimo Papa Francesco”, ed io volentieri ascolto il loro suggerimento e mi rivolgerò al Santo Padre chiamandolo così, in modo affettuoso, perché desiderano esprimere il loro amore filiale nei confronti del Papa, il legame, la scelta di appartenenza alla Chiesa, quella Chiesa che trova appunto in Cristo il nostro unico Salvatore. Un momento, quindi, in cui innalziamo il nostro sguardo verso il cielo, verso il Signore Gesù, sapendo che il Signore Gesù è presente qui nella sua Chiesa attraverso la figura del Papa, attraverso la figura dei vescovi, attraverso le grandi figure dei Santi, che sono i fari della nostra Chiesa, Popolo di Dio in cammino.

    D. – Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore le immagini della Gmg di Rio, che in qualche modo questo incontro prosegue, anche perché ovviamente Rio de Janeiro è lontana e non tutti i giovani hanno avuto l’occasione di andare alla Gmg...

    R. – Esatto. Ci sono alcuni giovani che con me hanno partecipato alla Giornata mondiale della gioventù, ma anche coloro che non hanno potuto partecipare si sono ritrovati tutti insieme per la Veglia del sabato e la Messa della domenica... quindi, si conclude in qualche modo qui la nostra Giornata mondiale della gioventù, nell’incontro con il Santo Padre. Un momento davvero di trepidazione e di gioia, ma anche di fede profonda, espressa pure attraverso l’affetto nei confronti del Papa.

    D. – Quali frutti lei, come pastore di questi giovani, si aspetta di vedere maturare, dopo questo incontro con Papa Francesco?

    R. – Io ho detto ai giovani che questa esperienza deve illuminare innanzitutto il nostro cammino: sapere che il nostro cammino è illuminato e ci sono tante persone che ci hanno preceduto, che ci hanno consegnato la luce della fede e nella luce della fede noi dobbiamo camminare. E non solo: siamo anche sempre accompagnati dalla presenza del Risorto in mezzo a noi e dalla Chiesa che continua la missione di Gesù, che è quella di offrire ai figli di Dio la possibilità di un cammino che porta alla meta, alla salvezza. Quindi, vivere il cammino della fede nella luce, nella gioia e in grande compagnia: con il Signore, con il Papa, con i vescovi e con tutto il popolo del Signore.

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    Altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Il Papa ha ricevuto oggi in udienza presso la Domus Sanctae Marthae, mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Il Papa ha ricevuto, sempre oggi, in udienza presso la Domus Sanctae Marthae, il padre Fernando Vérgez Alzaga, L.C., direttore della Direzione delle Telecomunicazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Ieri, il Santo Padre ha ricevuto in udienza presso la Domus Sanctae Marthae, il cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Una questione mondiale", sulla condizione dei profughi, anche in riferimento al conflitto siriano.

    "Ore critiche per la Siria" è il titolo dell'articolo principale.

    Agostiniani sulle frontiere della missione: in un'intervista di Nicola Gori, il priore generale Robert Francis Prevost sottolinea il significato della visita del Papa.

    In cultura, un articolo di Felice Accrocca dal titolo "Quanti indizi in un diadema": il 29 agosto 1294 veniva incoronato Celestino V.

    Silone conquistato da Francesco: Sabino Caronia sulla figura del Santo eremita Pietro da Morrone e gli insegnamenti di don Orione nell'opera dello scrittore abruzzese.

    Cercatori di una patria lontana: l'arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, sulla fede e il dialogo con i non credenti.

    Tra i sogni di un bimbo stregato dalla foresta: Sandro Barbagallo recensisce una mostra, a Basilea, dedicata all'eccentrico surrealismo di Max Ernst.

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    Oggi in Primo Piano



    Il Patriarca Sako: basta violenza, attacco in Siria sarebbe un disastro come in Iraq

    ◊   In Iraq, continua a salire il numero delle vittime di una serie di attentati che hanno devastato Baghdad oggi, dove si contano oltre 70 morti e 200 feriti. E’ l’ennesimo atto della violenza tra i sunniti e gli sciiti iracheni. E un appello a mettere fine a sanguinose faide e soprattutto a scongiurare un intervento armato in Siria arriva dal patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Rapahel I Sako, al microfono di Francesca Sabatinelli:

    R. - La sicurezza è peggiorata negli ultimi due mesi, anche in vista delle elezioni (le politiche del 2014 ndr), inoltre a incidere è anche la situazione in Siria e in Egitto; tutto questo gioca sul terreno iracheno, come in Libano. Questo preoccupa molto noi cristiani e anche gli altri, perché non ci sono spiegazioni a tutto questo male. C’è una lotta tra sciiti e sunniti: nell’area mediorientale ognuno vuole imporsi ed avere il potere, non c’è un vero dialogo. E ciò che accade viene sfruttato da fuori. Ci sono anche forze straniere dietro queste lotte per indebolire gli islamisti fondamentalisti e per dire che non possono governare così. E' accaduto in Egitto e adesso in Iraq, in Siria, in Libano. C’è una lotta tra i musulmani ma è un po’ “fabbricata”; non si sa il perché visto che tutti sono musulmani e prima vivevano insieme... Ora il sentimento della popolazione viene sfruttato dai politici: non si parla più di un’unica cittadinanza, tutti siamo cittadini, ma si parla di Fratelli musulmani, sunniti, sciiti e drusi. E non finirà…

    D. – Forse siamo alla vigilia di quello che sembra ormai un attacco nei confronti della Siria. Cosa significherebbe?

    R. – Per me sarebbe un disastro! Abbiamo avuto anche noi lo stesso scenario. Trovare delle scuse è molto facile, ma devono cercare anche la verità e la giustizia se vogliono raggiungere una soluzione. La guerra non aiuta mai, anzi complica la situazione. Noi, in Iraq, dopo l’invasione degli americani, dopo dieci anni, dove stiamo andando? Dove va il Paese? E’ diviso, ci sono problemi di sicurezza, di lavoro, di corruzione, tutto viene creato in maniera “confessionale”. Dove sono la democrazia e la libertà? Sono questi i progetti? Se l’Occidente vuole aiutare questi Paesi a trasformarsi in democrazie aperte, devono educare la gente, e non con le bombe! Devono pensare anche alle conseguenze per la Siria ma anche per l’Iraq, per il Libano e per l’Iran. È facile bombardare un Paese, dopo però bisogna fare i conti con la coscienza.

    D. – Bombardare la Siria in questo momento completerebbe un processo di destabilizzazione che forse si vuole adottare per tutta l’area geografica?

    R. – Complicherà ancora di più la situazione perché ci sono già divisioni tra gruppi etnici e politici. Si parla dell’opposizione (in Siria ndr) ed è vero che c’è un’opposizione, ma ci sono anche jihadisti ed altri gruppi, l’opposizione non è unita. Perché non aiutano a trovare una soluzione politica? Perché vogliono solo una soluzione militare?

    D. – Qualche giorno fa l’arcivescovo di Erbil, nel Kurdistan iracheno, mons. Bashar Warda ha lanciato un appello, perché è difficilissimo sostenere tutti i rifugiati siriani che stanno arrivando nel Nord dell’Iraq…

    R. – Durante una mia recente visita pastorale sono andato in 40 villaggi nel Nord del Kurdistan, lì la Chiesa ed anche la gente aiuta questi profughi, ma sono numerosi. Penso che il governo curdo abbia dei progetti per accoglierli e aiutarli. Io rivolgo un appello per la pace, la stabilità ed il dialogo. Il dialogo è una soluzione civile degna dell’uomo e non la guerra! La guerra è sempre cattiva e non risolve i problemi, anzi li complica profondamente, mette barriere tra gli uomini e tra i gruppi. Meglio aiutare a raggiungere una soluzione politica, positiva, nella quale tutti possono essere integrati.

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    Si stringe il cerchio su Assad, ma l'Italia frena sull'intervento armato

    ◊   Grande attesa per gli sviluppi della crisi siriana. Dopo che nella notte si è riunito a Washington il Consiglio per la Sicurezza Nazionale e a Londra il governo è stato convocato d’urgenza, fonti di stampa danno per possibile un attacco militare già domani. Proprio domani l'intelligence americana dovrebbe rendere noto il rapporto che proverebbe la responsabilità del regime di Assad nell'uso di armi chimiche il 21 agosto, mentre Damasco rigira queste accuse ai ribelli. Si parla sempre più insistentemente di intervento militare mentre l'inviato Onu Brahimi conferma che Usa e Russia continuano a lavorare comunque per la Conferenza di pace Ginevra 2. L'Italia frena su un eventuale intervento: il ministro degli Esteri Bonino afferma che una partecipazione italiana non è automatica anche se ci fosse il via libera dell'Onu. Il servizio di Fausta Speranza:

    Per Washington è una certezza: il regime siriano ha usato i gas. E’ lo stesso vice-presidente Joe Biden ad affermare: “Non c’è dubbio che armi chimiche siano state usate e il regime è l’unico ad averle”. Gran Bretagna e Francia sono compatte con gli Stati Uniti nel ribadire che non si può restare a guardare. E il premier britannico Cameron presenta oggi stesso la proposta di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu, ''per l'autorizzazione di misure necessarie alla protezione di civili'' in Siria. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, parla di “momento più grave del conflitto”, lancia un appello ai membri del Consiglio di sicurezza stesso ad "agire per la pace", e chiede “tempo per gli ispettori inviati in Siria". Il presidente del Parlamento europeo, Schultz, ribadisce che c’è sempre spazio per la diplomazia. Tra i contrari, il ministro degli Esteri russo, Lavrov, avverte che "qualsiasi uso della forza militare contro la Siria non farà altro che destabilizzare ulteriormente il Paese e la regione”.

    Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia sembrano essere i Paesi protagonisti della drammatica partita in gioco delle scelte della comunità internazionale in questa fase della crisi siriana, ma non si possono dimenticare gli altri attori in campo. Li ricorda Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Ci sono dei giocatori locali e dei giocatori globali. I giocatori locali sono naturalmente la Siria, per ovvie ragioni, ma ci sono anche due Paesi, molto vicini, che sono Israele e l’Iran. Gioca un ruolo anche il Libano, ma come Paese passivo. Poi, per quanto riguarda i giocatori globali, a prescindere da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che sembrano ultimamente i più attivi sul campo, c’è comunque ancora la posizione di Putin di cui bisogna assolutamente tener conto.

    D. – Il ministro degli Esteri russo Lavrov avverte: “qualsiasi uso della forza militare contro la Siria non farà altro che destabilizzare ulteriormente il Paese e la regione”. In tanti pensano che le conseguenze possano essere davvero drammatiche…

    R. – Se ci dovesse essere un attacco verso la Siria, il primo Paese cui guarderei è l’Iran. Tra gli annunci e poi le prove di forza bisogna far passare del tempo e a volte non c’è neanche la prova di forza. Visti, però, i legami, i forti legami, tra il regime di Damasco e quello di Teheran, credo che l’Iran sarebbe il primo Paese a muoversi. Non potendolo fare sul campo siriano e avendone le capacità, probabilmente potrebbe portare un attacco nei confronti di Israele. Ora questo aprirebbe uno scenario enorme, perché Israele non starebbe al suo posto, molto probabilmente. Questo è sicuramente lo scenario più importante: un conflitto che si apre all’Iran e ad Israele. Poi bisogna vedere le formazioni sciite e come si muove Hezbollah, che è immediatamente al confine con Israele. La guerra non si svolgerà in Siria: la guerra si potrebbe svolgere da altre parti. Questa è la preoccupazione maggiore. Bisognerà vedere, quindi, queste altre parti, cioè Israele, cosa faranno.

    D. – Gran Bretagna e Francia non fanno altro che ribadire che non sarebbe una missione di guerra stile Iraq, ma sarebbe invece un intervento delimitato in un tempo brevissimo stile Libia. Ma davvero è pensabile una cosa del genere per la Siria?

    R. – Io credo che l’ultima “guerra lampo” che ha avuto successo è stata la “Blitzkrieg” di Adolf Hitler nei confronti della Polonia, dopo non ce ne sono state altre. Forse c’è stata la Seconda Guerra del Golfo, quella del ’91, ma lì è stata una “guerra lampo” perché ad un certo punto i sauditi hanno fermato gli americani. Io non credo molto alle operazioni di “polizia”. Una cosa l’Iraq l’ha insegnata: non si può stare sul campo. Se si deve stare sul campo, le forze devono essere enormi. Uno degli errori che commise Rumsfeld come segretario alla Difesa, e gli fu rinfacciato varie volte, era stato quello di sottovalutare il conflitto e di impiegare poche migliaia di soldati sul campo, quando ce ne sarebbero dovuti essere, immediatamente, quantomeno 500 mila. E’ pensabile che ci potranno essere almeno 500 mila soldati della coalizione sul campo in Siria? Io credo proprio di no. Quindi, cosa facciamo: solo attacchi aerei, attacchi mirati? E dove? Se già l’Iraq aveva spostato le fantomatiche armi di distruzione di massa, anche Assad potrebbe farlo. Diventa quindi estremamente complicato trovare gli obiettivi, a meno che non si voglia bombardare e radere al suolo il palazzo presidenziale così come è stato fatto con il palazzo di Gheddafi, ma questa è un’altra questione. La guerra in Libia era un’altra cosa. La guerra in Siria è estremamente complicata e totalmente diversa.

    D. – Ban Ki-moon raccomanda di lasciar lavorare gli ispettori sul campo. Quindi ancora il margine di dubbio che armi chimiche possano essere in mano anche ad altri ci dovrebbe essere, o no?

    R. – Assolutamente sì. Le armi chimiche non sono soltanto nelle mani dei siriani: chiunque nell’area, in un modo o in un altro, ha delle armi chimiche, per esperimenti propri o per altre ragioni. Dunque sicuramente le armi sono sul campo e si trovano da una parte e dell’altra, visto che questa non è una guerra convenzionale, non ci sono due eserciti sul campo, con due divise precise che si scontrano: questa è una guerra molto asimmetrica. E una tipica espressione della guerra asimmetrica è usare le armi sporche.

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    Egitto: aumentano le violenze anticristiane, gravi danni al centro dei gesuiti a Minya

    ◊   In Egitto è sempre altissima la tensione in attesa della nuova grande manifestazione dei Fratelli Musulmani di venerdì. Anche oggi si registrano vittime. Almeno due sostenitori del presidente deposto Morsi sono rimasti uccisi in scontri di piazza nella città meridionale di Beni Suef. Anche nell’abitato di Minya si vive nel terrore dopo l’attacco di alcuni giorni fa. Gravi danni anche nel centro religioso “Jesuit's & brothers association for development”, dove oggi si è recato Cristian Tinazzi. Giancarlo La Vella lo ha intervistato.

    R. – E’ da un giorno o due, forse, che sono tornati per ripulire la struttura attaccata. Non erano ancora iniziati i lavori di riparazione, perché c’era paura e perché la zona ancora non era sicura. La polizia, infatti, non si è mai fatta vedere, neanche per valutare i danni. Ho parlato con il direttore della formazione, che mi ha raccontato come sono andati gli eventi. Il 14 agosto scorso, verso le dieci del mattino, sono arrivate 300 persone armate, quando all’interno della struttura si trovavano 5 religiosi, che erano stati però avvertiti dai vicini di una possibile aggressione alcuni minuti prima e si erano quindi rifugiati nei piani alti. La prima ondata di attacchi è avvenuta all’entrata principale, ma gli aggressori non sono riusciti a passare, per cui sono andati nella parte posteriore di questa che è comunque una grande struttura, che comprende una scuola, un centro per disabili, un teatro. Sono, dunque, riusciti ad entrare nella parte posteriore con pistole e coltelli e hanno dato fuoco a diversi ambienti, compresa una libreria, per grandezza e importanza la seconda di Minya, che aveva anche numerosi testi islamici molto importanti. E’ giusto ricordare che anche questo centro era comunque un luogo di confronto e dialogo interculturale. E’ stato, dunque, un danno portato a tutta la popolazione.

    D. – Quali testimonianze hai raccolto lì nel centro o anche nella città di questo attacco?

    R. – Nei giorni scorsi abbiamo incontrato diversi preti copti che sono rimasti stupiti da quest’ondata di violenza: ancora non riescono a rendersi conto dell’ondata di odio che ha colpito i copti, accusati di essere coinvolti nella deposizione di Morsi.

    D. – Le forze dell’ordine hanno puntato il dito contro i gruppi fondamentalisti islamici per questo attacco. Che cosa si pensa a Minya della Fratellanza Musulmana, in particolare?

    R. – La Fratellanza ormai è vista come un’associazione fuorilegge, violenta ed estremista. Bisogna ricordare anche che Minya è uno dei capisaldi di Jam'a al-Islamiya, che però pare non sia stata coinvolta in questa ondata di attacchi. E’ difficile capire chi sia stato. La polizia non ha arrestato nessuno. Sono pochissime, infatti, le persone fermate e sono state tutte prese a caso. Tra l’altro qui vicino c’è un villaggio, da dove le famiglie cristiane ed anche un prete cattolico sono fuggiti, perché pare addirittura abbiano tentato di istituire un califfato e che ci sia uno scontro in atto con l’esercito.

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    Repubblica Ceca: il presidente scioglie la Camera bassa, elezioni anticipate a ottobre

    ◊   Crisi politica in Repubblica Ceca. Dopo la caduta del governo di destra, in seguito ad uno scandalo di corruzione e abuso di potere, il presidente Milos Zeman ha sciolto formalmente la Camera bassa del Parlamento, e messo in agenda per ottobre le elezioni anticipate, anche se resta l’incognita su quello che potrebbe fare il partito di maggioranza, le future alleanze, le tante emergenze che il Paese deve fronteggiare. Al microfono di Cecilia Seppia il commento di Matteo Tacconi, giornalista esperto di Europa dell’Est:

    R. – L’impressione generale è che, attualmente, non ci sia un partito capace di emergere, di formare una maggioranza chiara. Questo è in linea con quanto successo in tutte le altre votazioni recenti della storia della Repubblica Ceca: non si è mai creato un governo stabile.

    D. – I sondaggi, però, registrano una possibile svolta a sinistra: quindi, forse, il partito più votato potrebbe essere quello dei socialdemocratici. Questo potrebbe cambiare anche la politica estera della Repubblica Ceca e dare quindi un impulso all’interazione tra Praga e Mosca?

    R. – Per quanto riguarda i sondaggi, è vero che sono in testa i socialdemocratici, però da soli è difficile che riescano a formare una maggioranza stabile, tant’è che si parla di alleanza con il partito comunista della Repubblica Ceca, che è un partito che è quasi sempre andato in doppia cifra. Non c’è mai stato un binomio del genere: ho i miei dubbi sull’eventuale stabilità di una simile coalizione. Per quanto riguarda la politica estera, potrebbe essere un’oscillazione verso Mosca, però fondamentalmente la politica estera della Repubblica Ceca è sempre stata così negli ultimi dieci anni e non c’è mai stato un rapporto conflittuale con Mosca: tra i Paesi dell’Europa Centrale, la Repubblica Ceca è quello che probabilmente vanta un rapporto più aperto con la Federazione Russa. O si flirta un po’ con l’Europa e un po’ con la Russia a seconda dei casi e delle convenienze: delle volte si è europeisti e delle altre euroscettici; delle volte si fanno affari con Mosca e delle altre si manifestano delle riserve.

    D. – Repubblica Ceca che entra nell’Unione Europea pensando anche di risolvere la crisi economica, ma di fatto così non è stato…

    R. – Sicuramente vedevano nell’Unione Europea una grossa cornucopia: un modo cioè per avere soldi. Poi si sono resi conto che l’Europa non è solo questo! In generale tramite fondi strutturali, fondi di coesione e tramite il mercato unico europeo ci sono delle possibilità per migliorare i propri standard economici. La Repubblica Ceca, considerando che ha anche un buon settore manifatturiero non è andata male economicamente. E’ pur vero che ha avuto diversi trimestri recessivi ultimamente, però - proprio con gli ultimi dati della Commissione europea - è venuto fuori che è uscita dalla recessione e tornerà a crescere.

    D. – La Repubblica Ceca è anche un Paese segnato da una forte corruzione. Su questo punto le promesse del governo di destra sono state ampiamente deluse...

    R. – L’ultimo esecutivo è andato giù proprio per un discorso di corruzione! E’ un problema serio e va risolto in un’ottica sicuramente di medio periodo. Le promesse della politica, dall’oggi al domani, non servono a niente: bisogna fare leggi, bisogna fare riforme, bisogna creare un ambiente che riesca a tener testa, dal punto di vista aziendale e politico, alla piaga della corruzione.

    D. – Molti osservatori pensano che si andrà – forse – verso la repubblica presidenziale in Repubblica Ceca: è possibile questo?

    R. – Questo è un tema molto interessante, nel senso che l’attuale presidente, Zeman, ha interpretato il nuovo mandato presidenziale – che per la prima volta si basa su un’elezione diretta popolare – in senso molto estensivo: lui vuole e sta intervenendo in politica. Per cui – sì - c’è una rimodulazione: una presidenza cioè che sarà ancora più incisiva.

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    California: non si arresta il devastante incendio alle porte del parco Yosemite

    ◊   Continua da oltre dieci giorni il devastante incendio divampato in California alle porte del celebre Yosemite Park. Le fiamme hanno coperto circa 700 kmq distruggendo boschi e abitazioni in quello che è il setttimo incendio più vasto della storia della California. Il servizio di Davide Pagnanelli:

    Sono oltre 3700 le squadre di vigili del fuoco all’opera per arginare l’incendio che ormai dal 17 agosto sta devastando la California, al momento però i pompieri sono riusciti a tenere sotto controllo non più del 20% del fronte delle fiamme. La situazione evolve più lentamente rispetto ai giorni scorsi grazie ai fossati e agli argini scavati dai pompieri e al procedere delle fiamme in una zona dove il bosco è meno fitto, ma un miglioramento significativo si avrà solamente questa fine settimana quando è previsto un abbassamento delle alte temperature che hanno contribuito all’espandersi delle fiamme. E intanto si cominciano già a contare i danni di questa catastrofe dalle cause ancora incerte, al momento sembrerebbe che le fiamme abbiano avvolto circa 170 kmq dello Yosemite Park, oltre ad aver distrutto alcune abitazioni e aver costretto decine di persone a lasciare le proprie case. Il bilancio dei danni però è ancora assolutamente provvisorio perché proprio in queste ore l’incendio avanza in maniera preoccupante verso il bacino idroelettrico che alimenta San Francisco di energia e acqua potabile. Le fiamme lontane appena un miglio dal bacino hanno già causato il fermo della produzione elettrica e ora si teme che la cenere possa contaminare l’acqua.

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    “I have dream” compie 50 anni. Giovagnoli: Martin Luther King parla ancora agli uomini del nostro tempo

    ◊   Ricorre oggi il 50.mo anniversario del discorso “I have a dream” di Martin Luther King. L’evento, che diede una forte spinta alla promozione dei diritti dei neri d’America, verrà oggi ricordato con una solenne celebrazione a Washington a cui prenderà parte anche Barack Obama, primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Sull’importanza di questo discorso e il suo orizzonte sempre attuale, Alessandro Gisotti ha intervistato lo storico Agostino Giovagnoli:

    R. - Certamente questo discorso ha avuto un enorme impatto nel contesto specifico del tempo, nel senso di spingere per abolire, superare ogni discriminazione tra neri e bianchi. Ma è chiaro che contiene anche un sogno universale, perché questo discorso fa riferimento ad esempio, al "tavolo della fratellanza", al tema dell’uguaglianza, alla possibilità che uomini diversi vivano insieme, i figli degli schiavi e quelli di coloro che hanno avuto schiavi. Dunque è qualche cosa che non riguarda solo la discriminazione tra neri e bianchi negli Stati Uniti nel 1963, ma tantissime situazioni della storia, del mondo ed anche altre presenti - purtroppo - ancora oggi.

    D. - 50 anni dopo gli Stati Uniti hanno un presidente, Barack Obama, afro-americano. C’è però ancora molto da fare. Ci sono ancora delle fratture profonde nella società americana...

    R. - Si queste fratture ci sono. Sono fratture profonde che seguono delle faglie piuttosto variegate. La differenza tra bianchi e neri si confonde con la differenza tra le classi sociali o di condizioni economiche. Quindi è chiaro che non basta abolire le leggi che discriminano ufficialmente perché poi si producano effetti nella vita quotidiana. Ecco perché il discorso di Martin Luther King è così ancora attuale; è un discorso che in realtà ha una fortissima impronta religiosa, in quanto si rivolge non solo a chi governa, agli uomini che fanno le leggi, ma anche ad ogni individuo. Non a caso, quel discorso invitava i neri stessi ad evitare la violenza, il sangue.

    D. – “I have a dream” sembra quasi più una preghiera che un discorso, se uno va proprio a leggere in profondità le parole. La dimensione religiosa è fondamentale per comprendere non solo la battaglia personale di Martin Luther King, ma di tutto il movimento per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti …

    R. - Certamente. Questo discorso non solo somiglia ad una preghiera - forse lo è anche per molti aspetti -, ma riprende un discorso schiettamente biblico dove all’interno dello stesso c’è un riferimento esplicito a Dio, ma - direi - proprio la sua spinta profonda è, in sostanza, una spinta religiosa, escatologica, in cui il cambiamento non è affidato al "gradualismo degli uomini" – come dice Martin Luther King – ma è invece affidato alla potenza, alla forza più profonda che anima la storia. Si tratta, appunto, di quella forza escatologica per la quale il futuro del Regno di Dio in realtà comincia già oggi.

    D. - Quel sogno in realtà appartiene ancora a tutti noi. È questa forse la sua grande forza, è un sogno di pace, di fratellanza che si può allargare ad ogni contesto. "I have a dream" parla di valori universali …

    R. - È così. E c’è anche un senso profondo di una speranza fondata su una promessa, tipico di un approccio biblico che Martin Luther King applica alla promessa fatta dai Padri pellegrini, i Padri fondatori degli Stati Uniti, che in qualche modo, come lui dice: “Avevano già previsto che prima o poi tutti i cittadini americani, bianchi o neri, avrebbero vissuto di uguali diritti”. Quindi questo senso di una promessa che fonda una speranza, quindi di un futuro che non è affidato semplicemente alle illusioni, ma non è neanche ripiegato tristemente nel realismo del presente, è qualche cosa di universale che anche oggi risponde ad un bisogno profondo di molti, credenti e non credenti.

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    AiBi: in crisi adozioni e affido in Italia, rilanciare cultura dell'accoglienza

    ◊   Un “fondo dell’accoglienza” alimentato da donazioni private e lasciti testamentari: è una delle iniziative lanciate dall’AiBi, Associazione Amici dei Bambini, per favorire le adozioni internazionali in un Paese, l’Italia, che vede questa pratica drammaticamente in crisi. Non solo le adozioni concluse nel 2012 sono calate di oltre il 22% rispetto al 2011, ma anche l’affido segna il passo. Quali le cause? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marco Griffini, presidente dell’associazione che in questi giorni è riunita a Gabicce, nelle Marche, per l’annuale Settimana di formazione e studi:

    R. - Nel caso delle adozioni internazionali i motivi sono essenzialmente due. E’ una crisi che abbiamo definito “culturale”, cioè una fuga dal concetto di adozione perché è diventato - purtroppo - un cammino di sofferenza. Le coppie non vengono più viste dagli operatori e dai giudici come una grande risorsa per un bambino abbandonato, ma purtroppo come coppie che addirittura compiono un atto egoistico, in quanto vogliono un figlio perché non possono averlo. Questo fatto ha determinato proprio una negatività, una fuga delle coppie. L’altro fattore è di tipo economico: non tutti possono investire i 15- 20 mila euro necessari per accogliere un bambino abbandonato. Sul fronte dell’affido, invece, è questa tendenza a fare dell’affido non più uno strumento di accoglienza temporanea, ma uno strumento senza data, cioè i bambini vengono dati in affido per un periodo che invece di durare ad esempio due anni, dura addirittura fino al compimento del diciottesimo anno d’età. Questi tre fattori hanno determinato questa crisi dell’accoglienza. Per cui, noi italiani, che siamo sempre stati indicati come le famiglie più accoglienti, ora, purtroppo, stiamo assistendo ad un crollo di fiducia in questi due strumenti.

    D. - Un affido troppo lungo, quindi, perché generalmente le coppie che desiderano prendere in affido un bambino lo fanno per un certo tempo …

    R. - Certamente. La famiglia affidataria non è la famiglia adottiva. La famiglia affidataria può dire: “Noi investiamo due, al massimo quattro anni della nostra vita per fare un atto di accoglienza”. Ma al di là di questo, è proprio lo strumento che è in crisi, perché l’affido è fatto proprio per sospendere l’abbandono, ma l’abbandono può essere sospeso solo per un certo periodo di tempo, perché il bambino ha bisogno di una situazione definitiva. Il papà e la mamma naturali non ci sono! E i genitori affidatari non sono i genitori!

    D. - Però non tutti i bambini sono adottabili, perché magari hanno ancora qualche legame con i familiari. Per questo c’è l’istituto dell’affido …

    R. - Sì, ma dopo un certo periodo di tempo bisogna decidere: se il bambino non può rientrare nella famiglia di origine, deve essere adottato. Allora si può sospendere in attesa di un recupero dei genitori, ma non per tutta la vita, altrimenti si crea un danno insanabile.

    D. - La sua associazione presenta molte proposte concrete per incentivare la pratica dell’accoglienza. Quali sono le più importanti?

    R. - Innanzi tutto una riforma dell’adozione internazionale che deve andare a risolvere questi due punti che ho menzionato prima. Quindi cambiare la cultura: l’Italia, ad esempio, è rimasto l’unico Paese europeo ad avere ancora questo passaggio, che io definisco “medioevale”, secondo il quale è un giudice che deve stabilire l’idoneità di una coppia. Bisogna passare invece al concetto che la coppia in quanto risorsa non va selezionata, ma va accompagnata. La seconda cosa è la gratuità dell’adozione internazionale. Noi abbiamo presentato in questa riforma un progetto per rendere l’adozione gratuita almeno per le fasce meno abbienti. Ma qui, l’ Aibi non resterà ad aspettare perché noi dal primo gennaio 2014, cercheremo di anticipare questa riforma di legge. Abbiamo iniziato a costituire un fondo che abbiamo chiamato “fondo dell’accoglienza” con cui noi saremo in grado di stabilire delle fasce di costi in relazione al reddito fino ad arrivare, per quelli meno abbienti, alla totale gratuità.

    D. - Come pensate di poter finanziare questo “fondo per l’accoglienza”?

    R. - L’Aibi riceve periodicamente dei fondi, dei lasciti… Vogliamo destinare tutti questi fondi, questi lasciti, queste eredità come contributo alle coppie con minore disponibilità economica che desiderano adottare dei bambini. Poi lanceremo anche questa proposta: chiederemo alle famiglie abbienti che si rivolgono a noi per fare un’adozione internazionale, se se la sentono di sostenere economicamente un’altra famiglia che vuole adottare un bambino. Sono convito che molte famiglie risponderanno a questo nostro appello.

    D. - Può dirci qualcosa su come si articola la richiesta che l’Aibi avanza invece per quanto riguarda l’affido?

    R. - Il primo punto è la gestione dell’affido alle associazioni del privato sociale; l’altro è la chiusura delle comunità educative entro il 31 dicembre 2017. Mi riferisco a quelle comunità gestite solamente da operatori, a favore delle famiglie affidatarie e delle case famiglie. Qual è il concetto base di questa proposta di legge? Che ogni bambino, anche se allontanato dalla propria famiglia di origine, non debba stare neanche una notte al di fuori di un’altra famiglia.

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    Perdonanza. Il rettore della Basilica di Collemaggio: il Papa ci ricorda che il padre mai si stanca di perdonare i suoi figli

    ◊   Grande attesa, oggi, a L’Aquila per la 719.ma edizione della Perdonanza Celestiniana. Alle ore 18.00, con una Messa solenne presieduta dal cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, si terrà il rito di apertura della “Porta Santa” della Basilica di Santa Maria di Collemaggio. Quest’anno, il rito segue un andamento diverso, a causa della messa in sicurezza della Basilica, danneggiata dal sisma del 2009, e in vista delle operazioni di restauro. Isabella Piro ne ha parlato con don Nunzio Spinelli, rettore di Collemaggio:

    R. - È stato limitato il tragitto: invece di entrare ed uscire dalla Basilica, attraverso la Porta Santa si entrerà in una sorta di camera e si uscirà dallo stesso punto in cui si entra. E questo andrà fatto con attenzione, perché non devono esserci più di dieci-quindici persone alla volta che entrano ed escono dalla Porta Santa. Questa soluzione è stata pensata proprio per dare il senso della Perdonanza, del guadagno dell’indulgenza che avviene tramite il passaggio della Porta Santa.

    D. - Quindi è stato creato, possiamo dire, un sorta di piccolo tunnel attraverso il quale si passa?

    R. - Sì, una piccola stanza.

    D. - Sempre in vista del restauro della Basilica di Collemaggio, sono state traslate le spoglie di Celestino V, il Papa che istituì la Perdonanza nel XIII secolo. Attualmente dove sono esposte?

    R. - Attualmente le spoglie sono esposte nella Basilica minore di San Giuseppe Artigiano che si trova vicino al Duomo, al centro della città. Questa sera verranno trasportate sul piazzale della Basilica di Collemaggio per la Messa di apertura della Porta Santa. Le spoglie verranno portate dai vigili del fuoco e poi domani sera torneranno nella Basilica di San Giuseppe. Resteranno lì per breve tempo, non sappiamo quanto.

    D. - I restauri della Basilica di Collemaggio sono iniziati?

    R. - No, non sono iniziati. La gara di appalto verrà preparata il 5 dicembre; poi, passeranno novanta giorni. Quindi, i restauri inizieranno verso il mese di aprile o di maggio.

    D. - Ad otto secoli dalla sua morte, Celestino V cosa dice all’uomo contemporaneo?

    R. - Celestino V ha sempre parlato all’uomo moderno tramite la Bolla della Perdonanza, la bolla del perdono che egli ha voluto estendere a tutti i cittadini dell’Aquila. E questo è diventato un fatto sia spirituale che, in un certo senso, materiale perché è stata data la possibilità, a tutti gli uomini, di poter usufruire dell’indulgenza plenaria, grazie al passaggio attraverso la Porta Santa.

    D. - Papa Francesco ricorda sempre la necessità che l’uomo chieda perdono a Dio, perché Dio non si stanca mai di perdonarci.

    R. - Certamente, sì. E questo è proprio il tema della Perdonanza di quest’anno: il Padre non si stanca mai di perdonare tutti i suoi figli, anche se commettono errori gravi!

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    Al via la 70.ma edizione del Festival del Cinema di Venezia

    ◊   Cerimonia di apertura questa sera in Sala Grande al Lido di Venezia della 70.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica che presenterà una vasta scelta di titoli provenienti da molte aree geografiche e culturali del mondo. Anche se diversamente declinati, i temi che affiorano sono la crisi, l’ansia, la paura e le preoccupazioni della nostra società, insieme alla vulnerabilità dell’uomo. Un programma ricco e intenso che si svolgerà fino al prossimo 8 settembre. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Inaugurazione nel segno dello spazio, della solitudine e del coraggio: dopo che il presidente della Biennale Paolo Baratta avrà ufficialmente aperto la Mostra e che il direttore Alberto Barbera avrà presentato le tre giurie ufficiali, saranno le immagini di “Gravity” di Alfonso Cuarón a portare il pubblico della Sala Grande al centro di una drammatica e sconfinata avventura, quella capitata a due astronauti – sono George Clooney e Sandra Bullock – alle prese con una disperata lotta per la sopravvivenza. Nel silenzio, senza aria e tra mille pericoli. Il film dimostra di avere una caratteristica affascinante: tutto è legato fortemente alla scienza, tutto si concentra sull’ansia per la vita che impegna i due protagonisti. Mettono tutto il loro sapere e la loro volontà a servizio di un unico scopo: non morire, tornare sulla terra, dai figli, dagli amici. E’ la natura umana e il film, senza mai un attimo di flessione, la proietta sullo sfondo di un pianeta terra mai visto in tale splendore, mentre il buio che lo circonda è mistero, è infinito. Molto legata alla terra, invece, al nostro Paese e al grande cinema del passato è stata la pre-inaugurazione di ieri sera con la proiezione, pur sotto la pioggia, della copia restaurata di “Mani sulla città”, il capolavoro di Francesco Rosi col quale vinse nel 1963 il Leone d’Oro. Il Maestro novantunenne del nostro cinema era presente. E ha ricordato tanti suoi film di denuncia della criminalità che già allora s’insinuava nella vita quotidiana degli italiani. Un cinema di impegno che forse oggi ha meno presa sul pubblico e che lo stesso Rosi ricorda e rilancia con queste parole:

    “Il cinema di impegno civile è nato proprio dopo il neorealismo, che era il cinema sulla realtà, sulla realtà che si viveva, ogni giorno. Poi è venuto fuori e non voglio dire di essere stato io agli inizi di questo voler indagare nella cultura della realtà. La cultura della realtà offre tante, tante possibilità di poter conoscere meglio il proprio Paese, chi lo vive, chi si interessa della politica veramente, chi invece la politica la fa come un pretesto e un’occasione per poter fare meglio i propri affari, capisce?”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: il patriarca Gregorio III condanna un eventuale attacco Usa

    ◊   "Ascoltiamo l'appello del Papa per la pace in Siria. Se i Paesi occidentali vogliono creare una vera democrazia devono costruirla con la riconciliazione, con il dialogo fra cristiani e musulmani, non con le armi. L'attacco pianificato dagli Stati Uniti è un atto criminale, che mieterà altre vittime, oltre alle migliaia di questi due anni di guerra. Ciò farà crollare la fiducia del mondo arabo verso il mondo occidentale". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia, di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti. L'appello giunge a poche ore dalle voci di un attacco imminente degli Stati Uniti contro Damasco. L'operazione è appoggiata da altri Paesi: Francia, Gran Bretagna, Turchia e Lega Araba. In questi giorni il prelato ha diffuso in tutte le parrocchie della Siria l'appello pronunciato lo scorso 25 agosto da Papa Francesco. "La voce dei cristiani - afferma il patriarca - è quella del Santo Padre. In questo momento occorre essere pragmatici. La Siria ha bisogno di stabilità e non ha senso un attacco armato contro il governo". Gregorio III si domanda: "Quali sono le parti che hanno condotto la Siria a questa linea rossa? Chi ha portato la Siria a questo punto di non ritorno? Chi ha creato questo inferno in cui vive da mesi la popolazione?". "Ogni giorno - spiega - in Siria entrano estremisti islamici provenienti da tutto il mondo con l'unico intento di uccidere e nessun Paese ha fatto nulla per fermarli, anzi gli Stati Uniti hanno deciso di inviare ancora più armi". Il prelato sottolinea che l'attacco pianificato dagli Usa colpirà soprattutto la popolazione siriana e non è meno grave dell'uso di armi chimiche. Secondo il patriarca, i Paesi occidentali continuano a sostenere un opposizione che non esiste, che non ha alcuna autorità sul campo. "I lavori per la conferenza di Ginevra 2 - sottolinea - sono fermi. La parola dialogo è ormai dimenticata. Per mesi i Paesi occidentali hanno perso tempo a discutere, mentre la gente moriva sotto le bombe di Assad e per gli attacchi degli estremisti islamici di al-Qaeda". Gregorio III avverte che una eventuale vittoria degli islamisti darà vita a un Paese diviso in piccole enclavi, confinando i cristiani in un ghetto. "La nostra comunità si riduce ogni giorno. I giovani fuggono, le famiglie abbandonano le loro case e i loro villaggi". Per il prelato "la scomparsa dei cristiani è un pericolo non solo per la Siria, ma per tutta l'Europa". "La nostra presenza - afferma - è la condizione essenziale per avere un islam moderato, che esiste grazie ai cristiani. Se noi andiamo via, non potrà esservi in Siria alcuna democrazia. Tale tesi è sostenuta anche dagli stessi musulmani, che temono la follia islamista. In molti affermano che non si può vivere dove non vi sono i cristiani". (R.P.)

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    Siria. Appello da Deir Mar Musa: “No all’intervento militare e a ogni forma di violenza”

    ◊   Mentre sembra imminente un attacco militare delle forze armate occidentali in Siria, “un appello per la pace e per il rifiuto di ogni violenza” si alza dal monastero di Deir Mar Musa (il monastero di San Mosè l’etiope), oasi di preghiera a nord di Damasco, rifondato dal padre gesuita Paolo Dall’Oglio, sequestrato un mese fa nell’area di Raqqa. I monaci e le monache della comunità residente nel monastero, impegnata in un’opera di dialogo e di avvicinamento spirituale fra islam e cristianesimo, hanno appena vissuto ieri una “speciale Giornata di preghiera e digiuno”, per il rilascio di padre Paolo e per la pace in Siria. Padre Jaques Mourad, responsabile della comunità, dice all'agenzia Fides: “Abbiamo vissuto questa giornata con gioia e serenità spirituale. Abbiamo pregato: rimettiamo la nostra vita nelle mani di Dio e diciamo a Lui: sia fatta la tua volontà”. Sull’imminente azione militare dei Paesi occidentali in Sira, padre Mourad dice: “Siamo in una fase di estrema sofferenza. Auspichiamo che i Paesi occidentali assumano una posizione giusta davanti a questa tremenda crisi siriana. La posizione ‘giusta’ significa rifiutare ogni forma di violenza, fermare le armi, non mettere gli uni contro gli altri, difendere e proteggere i diritti umani”. Suor Houda Fadoul, responsabile della comunità femminile a Dei Mar Musa, conferma a Fides: “Non possiamo accettare o apprezzare un intervento armato di potenze straniere. Continuiamo nella nostra missione che è quella di alzare a Dio un culto spirituale, soprattutto per educare i giovani al dialogo e alla pace. Crediamo che oggi, anche in questo acerrimo conflitto, la preghiera resti un mezzo potente per resistere al male ed è l’unico strumento che alimenta la speranza”. (R.P.)

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    Appello del Consiglio Mondiale delle Chiese: in Siria intervenga l'Onu

    ◊   Forte condanna del Consiglio mondiale delle Chiese all’uso delle armi chimiche nel conflitto siriano e appello alle Nazioni Unite perché “adempia alla sua responsabilità di proteggere il popolo siriano da gravi violazioni dei diritti umani”. È il segretario generale del Wcc Olav Fykse Tveit - organismo che coordina 345 Chiese membro, tra cui anche le Chiese siriane - a chiedere l’intervento dell’Onu dopo il tragico ricorso alle armi chimiche usate di recente nel conflitto in Siria contro i civili. “Non importa chi c’è dietro questo attacco - dice dagli uffici di Ginevra il segretario generale del Wcc -, è assolutamente inconcepibile che armi chimiche possano aver trovato la loro strada nel conflitto in Siria”. “Come Consiglio Mondiale delle Chiese, tra cui le chiese in Siria che hanno sofferto molto durante la guerra, noi condanniamo l’uso di armi chimiche, in ogni caso e da entrambe le parti. Non ci sono scuse”. “Questi ultimi giorni - prosegue Tveit - hanno dimostrato ancora una volta la brutalità di questa guerra, in cui persone innocenti stanno pagando un prezzo insostenibile”. Il Consiglio Mondiale delle Chiese - riferisce l'agenzia Sir - ricorda che quasi 1.300 persone sono morte il 21 agosto, a Ghouta, un sobborgo della capitale siriana, Damasco, a causa di quello che sembra essere stato un attacco di gas. Ma i morti del conflitto siriano sono già diventati più di 100.000 mentre 1,7 milioni di persone hanno lasciato da profughi la Siria e 1,5 milioni sono sfollati all’interno del Paese. La metà di questi profughi e sfollati - ricorda sempre il segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese - sono di età inferiore ai 18 anni. Per non contare poi le persone scomparse e rapite, tra cui due vescovi, mons. Mar Gregorios Yohanna Ibrahim dalla Chiesa siro-ortodossa e l’arcivescovo Paolo Yazigi dalla Chiesa greco-ortodossa, e tre sacerdoti, l’ultimo dei quali il padre gesuita Paolo Dall’Oglio. Tveit si appella pertanto alle Nazioni Unite affinchè svolga al più presto “un’indagine approfondita e imparziale” sull’attacco di gas e chiede al governo siriano di “svolgere il suo ruolo di proteggere i suoi cittadini. È importante - dice Tveit - che l’Onu possa avere pieno accesso per la sua indagine”. Altrettanto importante, aggiunge, è che gli Stati membri dell’Onu e la comunità internazionale “cooperino mettendo in atto ogni mezzo politico e negoziale per trovare una soluzione pacifica a questo conflitto”. (R.P.)

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    Messico: denuncia di un sacerdote per il deragliamento del treno dei migranti

    ◊   Una linea ferroviaria in stato d’abbandono, che più volte ha registrato furti di pezzi di rotaie, secondo testimoni anche poche ore prima della tragedia: per padre Alejandro Solalinde, un sacerdote conosciuto in tutto il Messico per la sua missione al fianco dei migranti, va ricercata essenzialmente nella mancanza di manutenzione la causa del deragliamento del treno merci conosciuto come ‘La Bestia’, che nelle prime ore di domenica, sotto una pioggia torrenziale, è uscito dai binari in una zona paludosa dello Stato meridionale di Tabasco. Sui tetti dei vagoni, secondo testimoni - riferisce l'agenzia Misna - viaggiavano numerosi migranti ‘irregolari’ – fino a 600 riferiscono fonti locali – com’è normale per ‘La Bestia’, mezzo diffusamente usato dai centroamericani per attraversare il Messico e raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti: il bilancio, ancora provvisorio, parla di sette vittime, tutti cittadini honduregni, e diversi feriti, ma potrebbe rivelarsi più grave una volta completate le operazioni di ricerca, rallentate dalle difficoltà di accesso al luogo. Per padre Solalinde, che gestisce l’ostello per migranti ‘Hermanos en el Camino’, spettava sia all’azienda che gestisce la rete ferroviaria locale, Ferrocarriles del Istmo, che alle autorità – trattandosi di un servizio federale – garantire la corretta manutenzione della strada ferrata. “La situazione legale dei migranti è altra cosa rispetto alla responsabilità ineludibile di proteggere l’integrità fisica delle persone che si trovano nel territorio nazionale” ha detto il sacerdote al quotidiano Milenio. Riguardo ai furti di pezzi di rotaie, ha detto, “non sappiamo se sono stati prelevati per essere venduti come ferri vecchi o per altri scopi, ma è necessario indagare”. Per evitare tragedie simili, padre Solalinde ha proposto l’istituzione di un permesso di transito della validità di 180 giorni che consenta ai migranti ‘irregolari’ di circolare legalmente per il Messico nella loro rotta verso nord. “Così potrebbero percorrere il territorio messicano come vogliono – in aereo, in treno, in autobus, in macchina – e non sarebbero obbligati a utilizzare rotte clandestine dove finiscono preda di qualsiasi azione: estorsioni, sequestri e deragliamenti” ha insistito padre Solalinde. ‘La Bestia’ è un treno merci che attraversa una vasta area a tratti controllata dalla criminalità organizzata, ormai usa ad assaltare i migranti ‘irregolari’ per derubarli dei propri averi o a sequestrarli per poi chiedere un riscatto alle famiglie. Negli ultimi anni in diversi Comuni della frontiera settentrionale sono state rinvenute fosse comuni contenenti i corpi senza vita di migranti: se le famiglie non pagano, ‘narcos’ e contrabbandieri non esitano a uccidere. (R.P.)

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    Usa: nuova campagna dei vescovi per l'approvazione della riforma dell'immigrazione

    ◊   Continua negli Stati Uniti la mobilitazione della Chiesa per l’approvazione della riforma dell’immigrazione che a giugno ha ottenuto il sì del Senato e attende ora l’approvazione della Camera dei Rappresentanti. Il prossimo 8 settembre nelle parrocchie di una dozzina di diocesi americane saranno celebrate messe speciali per la rapida approvazione della legge che permetterebbe a circa 8 degli 11 milioni di immigrati illegali presenti nel Paese di accedere a un programma di progressiva regolarizzazione, finalizzata all’ottenimento della cittadinanza. L’iniziativa rientra nella nuova campagna di sensibilizzazione lanciata il 15 agosto, Festa dell’Assunzione, per convincere in particolare i membri cattolici del Partito Repubblicano dove maggiore l’ostilità al provvedimento. La campagna prevede marce di preghiera e lobbying telefonico con i membri del Congresso. La Conferenza episcopale ha inoltre pubblicato sul suo sito una petizione in cui chiede oltre alla concessione agli immigrati della possibilità di ottenere la cittadinanza e il ricongiungimento familiare, opportunità di lavoro per i lavoratori stranieri con basse qualifiche professionali, il miglioramento delle tutele giuridiche dei migranti e politiche che affrontino le cause dei fenomeni migratori, segnatamente la povertà e le persecuzioni nei Paesi di origine. I vescovi hanno sottolineato a più riprese che il loro interessamento alla questione è dettato dagli insegnamenti del Vangelo, ma anche dalla considerazione che gli immigrati latino-americani rappresentano una parte sempre più importante dei fedeli cattolici negli Stati Uniti. Secondo il “New York Times”, la nuova campagna dei vescovi lascerà un segno, considerato che il 30% dei membri della Camera dei Rappresentanti è cattolico e di questi il 60% sono del Partito Repubblicano, dove più forte è l’opposizione ad un ammorbidimento della legislazione sull’immigrazione. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Usa. Il card. Chaput: i leader cattolici ispanici siano efficaci testimoni della fede contro la secolarizzazione

    ◊   Portare i valori del Vangelo con una forte e convinta testimonianza personale: questo il compito al quale sono chiamati oggi i leader cattolici ispanici negli Stati Uniti di fronte alla sfida della secolarizzazione. Lo ha detto il card. Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, intervenendo nei giorni scorsi a Los Angeles al congresso annuale della “Catholic Association of Latino Leaders” (Call, in sigla), l’associazione di professionisti ed imprenditori ispanofoni lanciata a Denver nel 2007 con il sostegno dello stesso Chaput e dell’arcivescovo di Los Angeles José Gomez, per promuovere la formazione spirituale dei leader cattolici ispano-americani. Una missione questa tanto più vitale – ha sottolineato nel suo intervento, ripreso dal National Catholic Register, il card. Chaput – di fronte a un processo di secolarizzazione che sta toccando profondamente anche le comunità ispaniche, come testimonia, tra l’altro, il crescente numero di fedeli di discendenza latina che lascia la Chiesa cattolica. Oggi appena il 40% degli ispanici di terza generazione sono cattolici, a fronte del 70% degli immigrati nati nei Paesi latino-americani. Queste statistiche - ha osservato l’arcivescovo di Philadelphia - ci ricordano che la crescente presenza di ispanici negli Stati Uniti non basta da sola a riportare la società americana ai suoi valori fondativi: “Il profilo sociale e politico degli ispanici si distingue appena dagli orientamenti morali oggi prevalenti della società americana”. Di fronte a questo quadro preoccupante non mancano peraltro motivi di speranza nel mondo, una speranza che può essere sorretta solo dalla fede. Di qui l’appello ai leader ispanici a una forte testimonianza personale: “Se vi sosterrete reciprocamente nella vostra fede e nella vostra vocazione di leader cristiani, Dio vi sosterrà e vi userà per portare nuova vita alla nostra Nazione”, ha concluso il card. Chaput. (L.Z.)

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    Gmg Cracovia: i vescovi polacchi propongono la seconda metà di luglio 2016

    ◊   L’episcopato polacco propone come termine della prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia la seconda metà di luglio 2016. Lo rende noto il comunicato finale dell’incontro dei vescovi riunitisi a Czestochowa il 26 agosto. Il comitato responsabile per la visita di Papa Francesco in Polonia per la Gmg di Cracovia, operativo già da settembre, sarà presieduto dal cardinale Stanislaw Dziwisz. Per l'evento si prevedono almeno due milioni di giovani di tutto il mondo. “La Chiesa polacca ha bisogno di un tale impulso nuovo e di un nuovo tocco dello Spirito santo”, afferma mons. Stanislaw Budzik, assicurando che “i vescovi accettano con gioia tutte le difficoltà legate alla organizzazione della Gmg in Polonia poiché anch’esse costituiscono un’eccezionale opportunità pastorale”. Le giornate di Cracovia - riferisce l'agenzia Sir - si svolgeranno nel 25° anniversario del raduno dei giovani con Giovanni Paolo II a Czestochowa, e in concomitanza con le celebrazioni del 1050° anniversario della cristianizzazione della Polonia. I vescovi nel comunicato rilevano inoltre che “la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, prevedibile in primavera, renderà possibile una preparazione spirituale più approfondita” e incoraggiano già da ora le specifiche iniziative nelle parrocchie e comunità ecclesiali. (R.P.)

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    Colombia: rilasciato dai guerriglieri dopo sette mesi ostaggio canadese

    ◊   L’Eln, esercito di liberazione nazionale, ha rilasciato nella giornata di ieri un ostaggio canadese catturato lo scorso 18 gennaio nel dipartimento di Bolivar. I ribelli, dopo aver consegnato Jernoc Wobert, l’ostaggio catturato, agli emissari della Croce Rossa, hanno dichiarato che il rilascio è avvenuto per motivi umanitari e come “contributo per la pace in Colombia”. L’Eln, riferisce l’agenzia Misna, è, per importanza, la seconda sigla di guerriglieri dopo le più note “Farc”, che al momento sono al tavolo delle trattative con il governo presso la zona neutrale di l’Avana. L’ostaggio lavorava presso la miniera d’oro della Braeval Mining, nella Colombia settentrionale, ed era stato catturato per ottenere la restituzione dei diritti di sfruttamento alla popolazione locale e il ritiro della Braeval Mining dalla regione. (D.P.)

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    Bolivia: intervento della Chiesa sulla situazione carceraria

    ◊   Il coordinatore nazionale della pastorale penitenziaria dell’episcopato boliviano, padre Leonardo Da Silva ha affermato che il Paese con il maggiore indice di ritardi nell’amministrazione di giustizia in America Latina è la Bolivia, seguita dal Perù. Secondo le statistiche presentate da padre Da Silva nella rivista Voci della Pastorale Penitenziaria, dai 14 mila 272 detenuti, l’83% sono in detenzione preventiva, vale a dire che solo 2.362 reclusi hanno una condanna. L’articolo del sacerdote ha destato l’interesse dell’opinione pubblica ancora scossa dall’attacco al carcere di Palmasola, venerdì scorso, nel quale 31 persone, tra cui un bambino di un anno, sono morte e 63 sono rimaste ferite in una guerra tra bande interne. Paradossalmente, 28 delle vittime mortali erano in carcere in attesa digiudizio. Padre Da Silva afferma che le carceri del Paese sono collassate dalla quantità di persone che non ha una sentenza, di conseguenza l’affollamento, la violenza interna, le lotte di potere e i ritardi nella giustizia, sono prodotto di una politica e un sistema penitenziario inefficiente. La negligenza penitenziaria è la causa di tutte le violazioni dei diritti umani dei detenuti in Bolivia e il detonante di tragedie come quella di Palmasola. Secondo il coordinatore della pastorale penitenziaria dell’episcopato, le carceri con più carenze sono quelle della regione centrale del Paese, cioè La Paz, Cochabamba e Santa Cruz, sovraffolllate e senza alcuna politica di reinserimento sociale. In questo senso padre Da Silva ha sottolineato che una trasformazione strutturale penitenziaria implica volontà politica e risorse economiche, che dovrà iniziare da una riforma del Codice Penale e la depoliticizzazione del sistema penitenziario. Il coordinatore della pastorale penitenziaria boliviana ha proposto la classifica dei sistemi carcerari, secondo i tipi di delitto e l’applicazione di programmi di crescita personale e reinserimento sociale a carico delle autorità municipali e nazionali, insieme alle istituzioni ecclesiali, l’Assemblea dei Diritti Umani e i Difensori del Popolo. Infine, il sacerdote boliviano ha fatto un appello agli operatori dell’organismo giudiziario e al Ministero Pubblico per velocizzare le pratiche dei detenuti in attesa di giudizio. (A cura di Alina Tufani)

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    Sud Corea. Mese dei Martiri: le iniziative dell’arcidiocesi di Seoul

    ◊   Settembre per la Chiesa coreana è il “Mese dei martiri” e in tutto il Paese si moltiplicano le iniziative per commemorare coloro che hanno testimoniato la propria fede nonostante la persecuzione. Con lo slogan “Io sono la via, la verità e la vita”, l’arcidiocesi di Seoul darà il via, il 2 settembre prossimo, ad un singolare pellegrinaggio cittadino che toccherà i luoghi sacri e i santuari della capitale sud coreana. La cerimonia avrà inizio alle 10 con la messa presieduta dall’arcivescovo mons. Yeom Soo-jung e concelebrata dai presbiteri responsabili dei siti interessati. Al termine, il presule percorrerà con i cinquecento fedeli che già hanno aderito all’iniziativa, un itinerario di due chilometri, dalla cattedrale di Myeongdong alla Chiesa di Jongno. Contestualmente, l’arcidiocesi continua a sostenere la beatificazione e la canonizzazione dei martiri coreani. Tra questi Padre Choi Yang-oeb e i suoi 124 compagni uccisi in odio alla fede durante le persecuzioni del XVIII e del XIX secolo. “Sono diversi i luoghi storici nella città che la nostra gente ignora” ha detto mons. Yeom Soo-jung, aggiungendo che: “E’ triste, ma è la verità. Proprio a Seosum c’è il monumento più rappresentativo: il più grande santuario del Paese dove riposano 44 delle 103 persone canonizzate in Corea. Attraverso la celebrazione del Mese dei Martiri e il Pellegrinaggio cittadino” ha aggiunto il presule “Vogliamo rivivere le storie di coloro che hanno sacrificato la propria vita per il Vangelo. Vogliamo così offrire ai fedeli l’opportunità di ripensare il loro rapporto con Dio”. Per l’occasione partirà un nuovo sito internet - http://holyplace.catholic.kr - unitamente ad una app. L’obiettivo è quello di aiutare i giovani a conoscere meglio l’iniziativa ed ottenere informazioni dettagliate sul pellegrinaggio. Ai più anziani verranno distribuiti gratuitamente opuscoli che a breve verranno inviati a ciascuna parrocchia. (A cura di Davide Dionisi)

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    Filippine: al via incontro interreligioso nell’area simbolo dei terroristi "Abu Sayyaf"

    ◊   Nelle isole Sulu, piccolo arcipelago a sud delle Filippine, si è aperto il “Consiglio religioso dei Leader delle Sulu”, tavola interreligiosa che promuoverà il dialogo e la collaborazione tra i fedeli cristiani e musulmani. Il nuovo consiglio, riporta l'agenzia Fides, avrà lo scopo di “promuovere una migliore comprensione nelle relazioni fra cristiani e musulmani in questa provincia” e si impegnerà “per il bene comune della comunità”. Le isole Sulu sono il centro del gruppo terrorista islamico “Abu Sayyaf”, responsabile di svariati attentati e rapimenti dal 1991 ad oggi, con l’obiettivo della creazione di uno Stato islamico. Il nuovo consiglio interreligioso prende spunto da un’iniziativa promossa dal Centro per il dialogo “Silsilah che, con Centri analoghi aveva ottenuto buoni risultati nelle isole di Mindanao e Basila. (D.P.)

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    India: saranno ricostruite dal governo le moschee distrutte dagli estremisti indù nel Gujarat

    ◊   Il governo dello Stato indiano del Gujarat contribuirà al restauro e alla ricostruzione delle moschee distrutte dagli estremisti indù durante i massacri del 2002, quando morirono oltre 2000 musulmani e vennero distrutti 535 luoghi di culto islamici. L’intervento, riferisce l’agenzia AsiaNews, rappresenta, dopo 10 anni di battaglie legali, un improvviso cambio d’opinione da parte del governo e le autorità islamiche sospettano una mossa elettorale per le elezioni del 2014. "Attendiamo di vedere cosa presenterà il governo” ha commentato Shakeel Ahmed, esponente del mondo islamico locale, che ha concluso “ci sembra un chiaro tentativo di cancellare una grave macchia sull'amministrazione di Modi", facendo riferimento al presidente dello Stato del Gujarat, e membro del partito ultranazionalista indù, ritenuto responsabile per aver fomentato la violenza inter-religiosa nel 2002. Gli scontri del 2002 erano iniziati dopo un attacco dei musulmani che avevano dato fuoco ad un treno pieno di indù di ritorno da un’ex-moschea trasformata in luogo di culto induista, nell’attacco erano morti 58 indù e l’episodio ha scatenato la violenza che ha portato alla morte di centinaia di persone di cui 2000 musulmani. (D.P.)

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    Benin: i vescovi contrari ad una revisione costituzionale che divide

    ◊   “Il Benin vive attualmente in un clima di forte tensione, di aperte divisioni, di malessere profondo. Sentiamo ogni giorno le grida della gente, di ogni tendenza. L’angoscia, l’inquietudine e la diffidenza abitando pericolosamente nei cuori” afferma la lettera pastorale, con la quale i vescovi del Benin prendono posizione sullo scontro sulla riforma della Costituzione. Il punto in discussione è l’abolizione della norma che impone al Capo dello Stato in carica non più di due mandati. Il Presidente Thomas Boni Yayi (il cui secondo mandato scade nel 2016) vorrebbe modificare la Carta Costituzione per poter presentarsi alle elezioni per cercare di ottenere un terzo mandato. Nel documento, inviato all’agenzia Fides, si ricorda che la Chiesa “ha il dovere morale di rimarcare che in un regime democratico, qualsiasi riforma che suscita forti tensioni e contestazioni non ha mai portato beneficio al popolo che divide. A che cosa serve la revisione nella divisione, se non a mettere in pericolo la pace della Nazione?”. I vescovi sottolineano che il dibattito sulla revisione costituzionale avviene in un contesto sociale caratterizzato “dalla povertà, se non dalla miseria, di una larga fascia della popolazione cui manca drammaticamente il minimo per vivere, di fronte all’opulenza di una minoranza”. Ad aggravare la mancanza della coesione sociale vi sono inoltre “la crescente disoccupazione giovanile; le pratiche regionaliste, portanti discriminazioni e divisioni; le accuse di avvelenamento e di complotto contro il Presidente della Repubblica”. Nel ricordare che “la Chiesa non porta soluzioni tecniche o politiche” i vescovi invitano tutti al dialogo per superare le divisioni nazionali. Citando l’appello lanciato ai governanti africani da Benedetto XVI nel discorso del 19 novembre 2011 al Palazzo della Repubblica, in occasione della sua visita in Benin, il messaggio conclude: “Non private i vostri popoli della speranza. Non amputateli del loro avvenire mutilandoli del loro presente”. (R.P.)

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    Uganda: rifugiati congolesi morti per grave incidente stradale

    ◊   Un autobus carico di rifugiati congolesi in fuga dalla regione di Beni, nel nord Kivu, in cui imperversano i ribelli ugandesi dell’Adf-Nalu, si è ribaltato e nell’incidente sono morte 17 persone e altre 30 sono rimaste gravemente ferite. I civili, riferisce l'agenzia Fides, si stavano allontanando dal confine tra Congo e Uganda per andare verso una zona più sicura quando l’autobus si è ribaltato con i suoi 92 passeggeri 17 dei quali sono morti sul colpo. L’amministrazione del Nord Kivu ha chiesto al governo congolese la massima cura per garantire il rispetto dei morti e l’assistenza per i feriti. Secondo le stime dell’Unicef sono oltre 66.000 i congolesi che si sono rifugiati in Uganda per la violenza dei miliziani dell’Adf-Nalu, formazione ugandese che rivendica parte del territorio del Nord-Kivu, gli scontri più recenti, anche se piccoli focolai sono sempre in azione, risalgono al luglio di quest’anno, quando i ribelli hanno ingaggiato l’esercito regolare congolese. (D.P.)

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    Tanzania: migliaia di bambini lavorano nelle miniere d’oro

    ◊   Nelle miniere d’oro della Tanzania, quarto esportatore africano del prezioso metallo, lavorano migliaia di bambini, alcuni anche di soli 8 anni, che corrono gravissimi rischi per la salute. Il fenomeno, riporta l’agenzia Misna, è stato denunciato dall’associazione Human Rights Watch, che ha visitato 11 impianti estrattivi in tutta la Tanzania e ha scritto in un rapporto: “Migliaia di bambini lavorano in miniere d’oro autorizzate o illegali per lo più di piccole dimensioni.” Sottolineando poco dopo che l’impiego di bambini nelle miniere “costituisce una delle forme peggiori di sfruttamento ai sensi di leggi internazionali sul lavoro sottoscritte anche dalla Tanzania”. L’attività di estrazione aurifera è molto rischiosa perché, oltre ai rischi oggettivi e tipici dell’attività mineraria, per separare l’oro dalle impurità vengono utilizzate grandi quantità di mercurio ed altre sostanze velenose come il cianuro. La Tanzania deve alle sue miniere d’oro la grandissima parte dei suoi fondi in valuta estera e, solamente nel primo semestre del 2013, le esportazioni auree hanno fruttato 1,8 miliardi di dollari. (D.P.)

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    Celebrazioni a Siracusa per i 60 anni della Madonna delle Lacrime

    ◊   Entrano nel vivo oggi a Siracusa, le celebrazioni per il 60.mo anniversario della Lacrimazione di Maria, avvenuta tra il 29 agosto e il primo settembre 1953: per quattro giorni, un quadretto di gesso, raffigurante il cuore immacolato della Vergine, posto come capezzale del letto matrimoniale, nella casa di una giovane coppia di sposi, Angelo Iannuso e Antonina Giusto, cominciò a versare lacrime umane. Il fenomeno si verificò, ad intervalli più o meno lunghi, sia all’interno che all’esterno della casa. Il primo settembre una Commissione di medici e di analisti, per incarico della Curia arcivescovile di Siracusa, dopo aver prelevato il liquido che sgorgava dagli occhi del quadretto, lo sottopose ad analisi microscopica: si trattava di lacrime umane. Terminata l’indagine scientifica il quadretto smise di piangere. La giornata di ricordo è iniziata con la Celebrazione eucaristica presieduta stamani dall’arcivescovo della città, mons. Salvatore Pappalardo, in via degli Orti, alla presenza dei testimoni oculari dell’evento. A guidare alle 19.00 la Messa Solenne nel Santuario della Madonna delle Lacrime, il cardinale Dario Castrillon Hoyos, presidente emerito della Pontificia commissione “Ecclesia Dei”. Domani, 30 agosto, presiederà la solenne celebrazione il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, mentre il 31 agosto, sarà la volta di mons. Savio Hon Tai-Fai, segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Infine, il primo settembre sarà a Siracusa per la conclusione delle celebrazioni il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Nell’occasione, verrà scoperta una lapide in memoria della visita dell’allora arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla: il 2 settembre del 1964, infatti, durante una pausa dei lavori del Concilio Vaticano II, il futuro Pontefice si recò a Siracusa e lasciò una firma sul registro delle presenze del Santuario. Inoltre, è stata realizzata una speciale teca che custodisce il prezioso Reliquiario delle lacrime di Maria e in particolare: un panno utilizzato per coprire il quadretto; la metà di un fazzoletto impregnato di lacrime; la provetta in cui fu riposto il liquido prelevato dagli occhi del quadretto dalla commissione scientifica nel 1953; alcuni batuffoli di cotone. Il Reliquiario verrà poi portato in pellegrinaggio nelle diverse parrocchie d’Italia dai sacerdoti del Santuario.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 240

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