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Sommario del 26/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Commozione in Siria per l’appello del Papa. Il vescovo di Aleppo: gravissimi rischi da un intervento militare
  • 35.mo dell’elezione di Giovanni Paolo I. Falasca: grande consonanza tra Luciani e Bergoglio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: attaccati ispettori Onu. Comunità internazionale divisa sulla soluzione alla crisi
  • Egitto: nonostante gli attacchi i cristiani impegnati a non rispondere con la violenza
  • Iraq: dopo l'escalation di attentati, Al Maliki chiede più sostegno dagli Usa
  • Haiti, emergenza umanitaria: appello dell’Onu, 2 milioni di persone minacciate dalla fame
  • La riforma della liturgia a 50 anni dal Concilio al centro della Settimana liturgica nazionale
  • Settimana di formazione missionaria ad Assisi. Don Brignoli: essere una Chiesa di strada
  • Campagna per i diritti dell'embrione, Carlo Casini: verso il milione di firme
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: al monastero di Deir Mar Musa preghiera e digiuno per padre Dall’Oglio
  • Oltre 15mila curdi siriani fuggono in Iraq. L'arcivescovo di Erbil: "Aiutateci"
  • Card. Raï: le bombe a Roueiss e a Tripoli un crimine contro Dio, l'umanità e il Libano
  • Addis Abeba: nuovo workshop interreligioso promosso dal Kaiciid
  • Card. Gracias: lo stupro di gruppo a Mumbai, declino spirituale e sociale dell’India
  • Raggiunto un accordo tra Nord e Sud Sudan: si ritirano i soldati dai confini
  • Il Congo accusa: “Goma colpita dal territorio rwandese”
  • Indonesia: a Jakarta cattolici in festa per l’ordinazione di nove sacerdoti
  • Mons. Bianchi al Sinodo Valdese: "Insieme per le sfide dell'Italia"
  • Guatemala: l’impunità nel Paese si riduce di più del 20%
  • Costa Rica: allarme per maltrattamenti e violenze sui minori
  • Il Papa e la Santa Sede



    Commozione in Siria per l’appello del Papa. Il vescovo di Aleppo: gravissimi rischi da un intervento militare

    ◊   Ha toccato il cuore di tante persone in Siria l’appello del Papa alla pace, rivolto ieri all’Angelus. Papa Francesco ha espresso “grande sofferenza e preoccupazione” parlando di “una guerra tra fratelli”. Ha fatto appello alla “comunità Internazionale perché si mostri più sensibile” verso quella che ha definito “la tragica situazione” in Siria e ha chiesto che la comunità internazionale “metta tutto il suo impegno per aiutare la amata Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte”. Della forte commozione in Siria per l’appello di Papa Francesco e del possibile ruolo della comunità internazionale, Fausta Speranza ha parlato con mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria:

    R. - Ho avuto l’opportunità di ascoltare in diretta l’Angelus del Santo Padre. Ero veramente molto contento per aver sentito che il Santo Padre è accanto a noi, ha parlato della Siria, di questa "amata nazione", ha espresso la sua sofferenza e il suo impegno per aiutare la Siria. Ha chiesto alla comunità internazionale di fare tutto quanto sia possibile per la pace, per il dialogo tra le differenti parti in conflitto. E’ stata veramente una cosa molto personale, molto chiara, molto diretta… Questo dà fiducia a tutti noi che adesso siamo, soprattutto in Aleppo, in una situazione molto difficile. Il messaggio del Santo Padre è molto, molto positivo, ed è stato molto apprezzato da gran parte della popolazione.

    D. - Mons. Audo, che cosa aspettarsi ancora dalla Comunità internazionale? C’è qualcuno che ipotizza un intervento militare: ma può essere questa la soluzione da auspicare?

    R. - Se ci fosse un intervento militare, questo vorrebbe dire - per il mio sentire - una guerra mondiale. Di nuovo c’è questo rischio… La cosa non è così facile! Speriamo che l’intervento del Papa per favorire un vero dialogo tra le differenti parti in conflitto, per trovare una soluzione sia il primo passo per non usare armi, ma per far sì che la gente possa essere libera di muoversi, di viaggiare, di comunicare, di lavorare… Tutto il Paese è in guerra adesso! Questo è quello che aspettiamo: una forza internazionale che aiuti a dialogare e non a fare la guerra.

    D. - Mons. Audo, che cosa sa delle altre zone del Paese e com’è, invece, la situazione ad Aleppo rispetto ad altre zone?

    R. - Come situazione adesso ad Aleppo è la peggiore! Tutti dicono così, facendo il paragone con le altre zone del Paese. A Damasco - per esempio - si può viaggiare, c’è l’aeroporto, possono andare verso il Libano, mentre ad Aleppo non ci si può muovere! Generalmente nella regione del litorale si vive tranquillamente, tanta gente da Aleppo è fuggita verso questa regione.

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    35.mo dell’elezione di Giovanni Paolo I. Falasca: grande consonanza tra Luciani e Bergoglio

    ◊   Il 26 agosto di 35 anni fa veniva eletto alla Cattedra di Pietro, Giovanni Paolo I. Un pontificato brevissimo il suo, solo 33 giorni, eppure straordinariamente fecondo. Umiltà, dolcezza e semplicità furono le doti umane di Albino Luciani che i fedeli di tutto il mondo impararono ad amare nelle poche settimane prima della morte avvenuta il 29 settembre del 1978. Sull’impatto che l’elezione di Giovanni Paolo I ebbe sulla Chiesa, Alessandro Gisotti ha intervistato la giornalista Stefania Falasca, vicepostulatrice della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Papa Luciani:

    R. - Continuo a considerare il pontificato di Luciani come quello di un Papa inedito; ha avuto un’efficacia ed una forza, anche innovativa, grandissima. Nello stesso tempo Luciani, in quel mese di pontificato – solo 33 giorni – ha lasciato un segno indelebile nella Chiesa. Era un uomo che veniva da una formazione solida, tradizionale del Veneto, cattolico, ma allo stesso tempo era un uomo che ha partecipato e vissuto intensamente la stagione del Concilio. Il suo modo di porsi e presentarsi al mondo, il modo in cui il mondo l’ha conosciuto in quell’occasione, è stato quello come di una ventata di una nuova primavera per la Chiesa.

    D. - Giovanni Paolo II disse che l’importanza del pontificato di Luciani fu inversamente proporzionale alla sua durata. Lo dicevi anche tu, una ventata forte…

    R. – Sì, inversamente proporzionale: però di quello che sappiamo di lui - del suo spessore, del suo pensiero, del suo magistero - abbiamo potuto vedere solamente una piccola parte. Il “sommerso” era tutta la sua vita precedente e che ha ripresentato come la “punta di un iceberg” in quei 33 giorni. Si capisce Luciani alla luce di tutto quello che lui ha fatto anche precedentemente e l’avremmo conosciuto così. Avrebbe continuato quello che ha fatto da vescovo e patriarca a Venezia.

    D. – Molti trovano forti analogie tra Papa Luciani e Papa Bergoglio…

    R. – La sera stessa dell’elezione di Papa Bergoglio - mi trovavo in Piazza San Pietro - appena lui si affacciò e disse “buonasera” avevo dietro di me alcune persone anziane che dissero: “E’ come Papa Luciani”. Questo mi ha colpito; quindi anche per la gente che ha conosciuto Papa Luciani è stata questa l’impressione proprio per quella sua espressione e per quel suo modo di presentarsi. A mio avviso, credo ci siano consonanze molto profonde; per esempio, proprio il costante richiamo alla “misericordia”. Tratto caratterizzante di Luciani, distintivo di quel suo magistero, così suadente e suasivo, è stato proprio quello di aver saputo innanzitutto trasmettere con accenti di rara efficacia e di autentica umanità l’amore di Dio. Lui ha reso visibile - con la parola e con la vita - la tenerezza e la misericordia nel farsi prossimo a tutti. Legato a questo c’era l’umiltà.

    D. – Era perfino il motto episcopale: l’humilitas…

    R. – Sì, è quella che ci viene proprio da Cristo stesso, perché le altre virtù – anche in epoca classica – non sono propriamente cristiane. L’umiltà è quella che ha portato Cristo ed in questo tratto trovo molte analogie con Luciani. Luciani è stato il primo ad avere ed usare con forza l’oralità, quell’oralità che sembrava perduta nella Chiesa ed è anche la forza di Papa Francesco, come abbiamo visto nelle prediche mattutine e nel suo parlare. Quindi, il tono colloquiale era quella sapienza del porgere – ricercata anche dai Padri della Chiesa – quella forma dell’accessibilità che egli adottò per arrivare a tutti, come modulo espressivo più consono nella Chiesa che vuole essere “amica” degli uomini del suo tempo. Credo che Francesco completi, o porti avanti quello che Luciani aveva iniziato.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'appello del Papa per la fine delle atrocità in Siria.

    La Serbia cambia passo: nell'informazione internazionale, Pierluigi Natalia sulla svolta nei rapporti con Washington e con il Kosovo.

    Della sofferenza e dell'umanità: in cultura, Giulia Galeotti sui racconti di Eric-Emmanuel Schmitt.

    A proposito del costante richiamo di Papa Francesco, un articolo di Paolo Pecorari su come ripensare la solidarietà.

    Un articolo di Lucio Coco dal titolo "Il vero medico": i padri della Chiesa e l'azione salvifica di Gesù.

    Quando la Padania era etrusca: Maurizio Sannibale su una mostra a Parma.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: attaccati ispettori Onu. Comunità internazionale divisa sulla soluzione alla crisi

    ◊   Alcuni cecchini hanno colpito il convoglio degli osservatori Onu che questa mattina hanno lasciato Damasco alla volta di dell'oasi di Ghouta, teatro del presunto attacco lealista con missili al gas nervino, costato la vita a centinaia di persone. Intanto, la diplomazia internazionale è al lavoro per trovare una possibile soluzione alla crisi, ma le posizioni delle cancellerie restano piuttosto distanti tra loro. Il servizio di Salvatore Sabatino:

    Al via, nella tensione, l’attesa missione degli osservatori Onu presso l’area rurale alla periferia orientale di Damasco, che mercoledì scorso sarebbe stata teatro del presunto attacco lealista con missili al gas nervino. Il loro convoglio, secondo un portavoce del Palazzo di Vetro, è stato colpito da alcuni cecchini. Nessuno degli ispettori sarebbe, comunque, rimasto ferito. Un’ispezione, la loro, attorno alla quale si moltiplicano le polemiche; troppo “tardiva”, secondo gli Stati Uniti, che denunciano la possibile distruzione delle prove da parte del regime di Assad. Lo stesso che poche ore prima aveva assicurato “piena collaborazione agli ispettori Onu, compreso il fermo totale delle ostilità nella zona interessata”. Una mano tesa, questa, che non allenta la tensione nella comunità internazionale, che resta più che mai divisa di fronte alla crisi. Da una parte l’interventismo di Gran Bretagna e Turchia, che parlano di un possibile attacco anche senza l'unanimità del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dall’altra l’attendismo della Russia, il no della Germania e la posizione cauta degli Stati Uniti, che dicono sì ad un attacco, ma solo dopo un voto pieno al Palazzo di Vetro.

    Sulle divisioni in seno alla comunità internazionale, Salvatore Sabatino ha intervistato Antonio Papisca, titolare della cattedra Unesco per i diritti umani, la democrazia e la pace presso l'Università di Padova:

    R. – Per l’ennesima volta ci troviamo in ritardo: la comunità internazionale che non è coesa, non funzionano le istituzioni multilaterali come dovrebbero, e quindi si è presi per la gola … L’ennesima occasione in cui sorgono problemi di coscienza. Quindi: situazione molto imbarazzante. C’è il pressing su Obama: Obama, secondo me, ha agito correttamente, cioè in maniera prudente.

    D. – Gli scenari che si aprono, a questo punto, quali sono?

    R. – Si possono aprire diversi scenari; bisogna vedere cosa accertano e se riescono ad accertare, gli ispettori delle Nazioni Unite. C’è chi dice che sia ormai troppo tardi per verificare scientificamente la presenza o meno dell’uso di armi chimiche, e comunque io darei fiducia, intanto, alla missione delle Nazioni Unite. Quello che bisogna evitare in ogni caso è l’intervento armato.

    D. – Il ministro degli esteri britannico William Hague ha detto che una risposta all’uso di armi chimiche da parte del regime è possibile anche senza l’unanimità del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sarebbe possibile, questo, tecnicamente?

    R. – Ma, qualcuno dice: “C’è il precedente del Kosovo”. In quel caso, è stata la Nato che ha agito. Ma tra l’altro, la Nato non soltanto bypassando le Nazioni Unite, ma anche violando il proprio statuto. C’è da ricordare questo, per il Kosovo! Io direi, in ogni caso bisogna attenersi strettamente alla legalità internazionale che è quella della Carta delle Nazioni Unite, illuminata dal Codice internazionale dei Diritti umani.

    D. – Dalla Russia, l’appello a non ripetere gli errori dell’Iraq: ci sono delle similitudini reali con quanto avvenuto nel Paese del Golfo?

    R. - Io direi, similitudini con prospettive ancora più allarmanti, tenuto conto di ciò che significa l’alleanza e l’appoggio che viene direttamente ad Assad dall’Iran, oltre che dalla Russia. In questo caso, io direi: atteniamoci, intanto, al modo di procedere del presidente Obama, che mi sembra molto corretto, intanto, in punto di diritto.

    D. – Quella siriana può rappresentare una vera miccia per tutto lo scacchiere mediorientale, così come paventato anche dall’Iran. Un pericolo reale, insomma?

    R. – Infatti! Ci sono problemi che si aggiungono a problemi! Anche la stessa situazione interna all’Iraq non è affatto pacificata: teniamo presente anche quello che sta succedendo in Egitto, quello che preoccupa in Turchia, la non pacificata situazione in Libia, i negoziati appena iniziati tra Israele e Palestina … Quindi, è un momento estremamente delicato in cui veramente bisogna riconoscere autorità all’Organizzazione delle Nazioni Unite perché a sua volta agisca nel rispetto letterale delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite.

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    Egitto: nonostante gli attacchi i cristiani impegnati a non rispondere con la violenza

    ◊   In Egitto, le forze di sicurezza hanno arrestato l'ex ministro della Gioventù del governo islamista e il segretario dei Fratelli musulmani. Nel Sinai, intanto, si sono registrati 8 assalti da parte di uomini armati contro commissariati e la sede della radio locale. In un agguato è stato ucciso un cristiano copto. Negli ultimi giorni, d'altro canto, sono stati molteplici gli edifici cristiani bersaglio di attacchi da parte di integralisti. Il giornalista Cristiano Tinazzi si è recato proprio oggi, a Sud del Cairo, nel centro ‘Amici della Bibbia’, gestito da cristiani, incendiato da un gruppo di fondamentalisti. Amedeo Lomonaco ha raccolto la testimonianza del giornalista:

    R. – Quello che ho trovato è un edificio completamente distrutto: era un edificio che serviva circa 7/8 mila persone, soprattutto giovani che venivano a fare teatro, attività ricreative e anche gruppi di studio e altre attività in questo centro, che è stato incendiato la notte del 14 agosto. Circa 3 mila persone sono partite da una moschea che si trova proprio dall’altra parte della strada, hanno circondato la zona ed hanno incominciato ad assaltare l’edificio. Un cristiano, che era il custode, è stato salvato da un musulmano che abita nel palazzo di fronte e che l’ha portato fuori, garantendo che non fosse un cristiano ma un musulmano. Ed è riuscito a salvarlo …

    D. – Questa storia del cittadino musulmano che aiuta il cristiano in grave difficoltà è un po’ il simbolo di quello che sta vivendo l’Egitto: il fatto di voler porre un argine all’integralismo, musulmani moderati e cristiani sono uniti su questo fronte …

    R. – Sì, assolutamente. Addirittura, poi, nei giorni seguenti hanno fatto una manifestazione, una "catena umana" fatta da cristiani e musulmani appunto per protestare contro la violenza di ogni tipo, la violenza settaria. Hanno lasciato delle scritte, i ragazzi. Era esemplificativo che all’interno della struttura ci fossero raffigurazioni di Gesù sui muri. E qualcuno, sul muro annerito, ha scritto: “Ama il tuo nemico”. E il leitmotiv di questa manifestazione è stato proprio questo: ama il tuo nemico e lascia correre, non rispondere con la violenza alla violenza.

    D. – L’Egitto, e in particolare la comunità cristiana, stanno vivendo giorni molto difficili; c’è però sicuramente della speranza proprio nella comunità cristiana …

    R. – Assolutamente sì! I cristiani sono una parte attiva della popolazione egiziana. Non vogliono essere messi da parte: sono una minoranza però sono anche loro ‘Egitto’. I Fratelli musulmani, poi, li hanno usati come capro espiatorio: sono diventati la forza più debole da colpire in una situazione di questo tipo.

    D. – C’è la sensazione che le proteste, da parte dei Fratelli musulmani, possano in qualche modo affievolirsi, oppure è un’ondata che continua sempre con grande consistenza?

    R. – I Fratelli musulmani in questo momento sono braccati, ricercati dalla polizia; non tutti sono propensi a farsi arrestare o a rimanere zitti; ci saranno delle frange estreme che cercheranno sicuramente di far qualcosa. Altre formazioni salafite, al momento stanno aspettando di vedere cosa sta succedendo, soprattutto se verrà modificata la Costituzione, appunto, che mette al bando i partiti religiosi. E allora lì la situazione potrebbe incancrenirsi ancora di più.

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    Iraq: dopo l'escalation di attentati, Al Maliki chiede più sostegno dagli Usa

    ◊   E’ stata una domenica di sangue quella appena trascorsa in Iraq. Attacchi in tutto il Paese, da Nord a Sud con autobomba piazzate lungo le strade di Baghdad, Mosul e Baquba. Numerose anche le sparatorie: il bilancio non è chiaro, ma si parla di oltre 45 vittime che porta a 3600 il numero delle persone uccise dall’inizio dell’anno. Dietro la violenza lo scontro tra sunniti e sciiti, lo sconfinamento della crisi siriana, e il rafforzamento dell’incidenza del terrorismo internazionale, tanto che il premier Al Maliki avrebbe nuovamente chiesto a Washington armi e droni per combattere i miliziani. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Francesca Manfroni, giornalista di Osservatorio per l’Iraq:

    R. - In questo momento in Iraq stanno agendo diversi gruppi di terroristi non in accordo tra loro. Ad esempio, si parla molto di Abu al-Baghdadi, il leader dello Stato islamico in Iraq, che in questo momento opera in modo molto feroce, sia nel territorio iracheno che su quello siriano, tant’è che stiamo assistendo, nuovamente, alla nascita dei "Consigli del Risveglio", dei consigli creati dalle tribù sunnite dell’Anbar - quindi anche quelle in contrasto con il governo centrale guidato da al-Maliki - che però si opponevano alla violenza perpetrata dalle milizie di al-Zarqawi, altro gruppo terroristico iracheno. Quindi, si sta ricreando una situazione di caos totale come abbiamo assistito in quel periodo. Questo è profondamente drammatico, perché è "un tutti contro tutti" e i morti, così, non potranno che salire nei prossimi mesi.

    D. - Quindi la matrice terroristica di questi attentati, ma anche ovviamente il peso della crisi siriana, si sta facendo sempre di più sentire in Iraq ...

    R. - In questo momento tutto ciò che opera in Iraq si sta rafforzando grazie alla visibilità, al circuito di soldi che sta girando grazie alle operazioni sul territorio siriano; diciamo che l’insorgenza irachena si sta alimentando del conflitto siriano per riprendere vigore anche sul territorio iracheno. Questo comunque dimostra che il passaggio di consegne tra gli Stati Uniti e l’esercito iracheno non ha funzionato e che il Paese è assolutamente governato da piccole fazioni.

    D. - Ricordiamoci poi che c’è questa figura "scomoda" del premier al-Maliki attorno al quale le lotte per il potere si sono intensificate ...

    R. - Ci sono spaccature ovunque. All’interno degli stessi sunniti ci sono spaccature, così come sul fronte sciita, perché vorrei ricordare che Maliki vorrebbe correre per il terzo mandato e persino il suo partito si sta opponendo a questa ipotesi. Il pericolo è che l’attuale primo ministro venga un po’ - come è successo in passato - usato come capro espiatorio per non risolvere il vero problema: l’Iraq è un Paese che non può andare avanti per quote confessionali e per aree di influenza, perché era un Paese essenzialmente unito prima e adesso è diviso in tre parti controllate rispettivamente da tre gruppi.

    D. - A due anni dal ritiro delle truppe statunitensi, il governo di al-Maliki avrebbe - tra l’altro - chiesto a Washington armi, droni ed altri mezzi per combattere sia i miliziani sunniti, sia Al Qaeda; una richiesta “particolare” ...

    R. - Una richiesta che sostanzialmente non fa che avvalorare tutto quello che abbiamo detto finora, perché comunque il potere sa che il territorio non è sotto controllo. A tutto questo però ci tengo a contrapporre una società civile irachena sempre più sfiancata dalle violenze, ma che continua a farsi forza, nonostante questo scenario di violenze; ricordo che le principali vittime di questa violenza sono civili assolutamente inermi che prendono il caffè al bar di Baghdad, o che passeggiano per strada.

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    Haiti, emergenza umanitaria: appello dell’Onu, 2 milioni di persone minacciate dalla fame

    ◊   Oltre 2 milioni di persone sono minacciate dalla fame e 100 mila rischiano di contrarre il colera ad Haiti, quando è appena iniziata la stagione degli uragani. Da qui un appello urgente lanciato nei giorni scorsi dall’Onu e dal governo del Paese caraibico per raccogliere 100 milioni di dollari, utili a fronteggiare le necessità della popolazione, colpita nel gennaio 2010 da un devastante terremoto e nell’ottobre scorso dall’uragano Sandy. Roberta Gisotti ha intervistato Luca Guerneri, responsabile di Terre des Hommes per i progetti in aiuto di Haiti:

    D. – Qual è la situazione: sappiamo che sono arrivati in passato aiuti ad Haiti ma con quali risultati?

    R. – Ad Haiti sono stati promessi dopo il terremoto e dopo l’epidemia di colera, qualcosa come 9 miliardi e mezzo di dollari ma non tutti sono arrivati; si calcola un 65% di soldi che sono effettivamente giunti nel Paese. E, i risultati non sempre sono andati a buon fine, soprattutto in due settori: la prevenzione delle catastrofi, dove è stato fatto molto ma per quanto riguarda le ricostruzioni non è stato fatto abbastanza; e la pandemia di colera, perché mancando tutte le strutture di base in molte città di Haiti - soprattutto nelle periferie di Port-au-Prince – sarà molto difficile debellare la malattia in breve tempo, perché effettivamente ciò che manca di essenziale sono i servizi fognari, le latrine per ogni famiglia e soprattutto la capacità di portare l’acqua nelle case, fondamentale per bloccare l’epidemia.

    D. – Di chi è la colpa di questo fallimento riguardo gli aiuti? Ci è arrivata eco di contestazioni da parte della popolazione, anche contro organizzazioni non governative presenti ad Haiti…

    R. – Confermo che c’è una certa insoddisfazione, che però non deve essere legata direttamente al buono o cattivo successo degli aiuti della macchina umanitaria. Molte di queste contestazioni nascono dal fatto che molte ong dopo la prima fase nella quale hanno assunto parecchio personale, se ne sono altrettanto velocemente liberati, un po’ per eccesso di ‘elefantismo’ nella gestione degli aiuti, un po’ perché non si poteva andare avanti con ong che davano lavoro da 3 a 5 mila persone. Ma penso che bisogna riflettere sul segnale che la popolazione dà quando manifesta contro le Nazioni Unite o contro le ong. Effettivamente molti soldi ad Haiti sono stati spesi ‘a pioggia’. Ancora oggi abbiamo circa 300 mila persone che vivono in alloggi temporanei, ovvero case che hanno sostituito le tende, ma che sono fatte di legno con una durata di circa due anni. Allora bisogna interrogarsi sul perché non si è affrontato il problema della ricostruzione ripartendo da norme che potevano poi adattarsi alla situazione contingente degli uragani e delle varie problematiche che Haiti ha. Il problema è chiedersi se valeva la pena di spendere, nel corso di tre anni e mezzo, un equivalente per le famiglie ospitate in alloggi temporanei che poteva benissimo servire nel giro di sei mesi per costruire case definitive e magari avere anche una pianificazione urbana che portasse fognature ed acqua potabile alla popolazione.

    D. – Sappiamo che Haiti ha sofferto di lunghi periodi di instabilità politica. Come si sta comportando il governo attuale rispetto alla situazione umanitaria?

    R. – Il governo molto spesso dà la colpa alle ong o alle organizzazioni internazionali dei propri insuccessi; allo stesso tempo non si rende conto che forse la cosa più necessaria sarebbe stata quella di investire in risorse umane: dotare il Paese di un sistema di funzionari e dirigenti che potevano fare la differenza nell’utilizzo dei fondi. Attualmente abbiamo un governo che da un lato dice cose molto corrette – come quando il presidente Martelly dice che bisognerebbe rivedere alla radice il meccanismo di spesa degli aiuti umanitari – dall’altro non si dice però che le ong e le organizzazioni internazionali si sono trovate troppo spesso a supplire una mancanza di linee guida da parte del governo. Ovviamente, questo non può essere solo colpa delle organizzazioni non governative, o delle Nazioni Unite ma il Parlamento ed il governo di Haiti dovrebbero prendere in mano il proprio futuro e dotare anche le organizzazioni non governative di un indirizzo che attualmente non hanno.

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    La riforma della liturgia a 50 anni dal Concilio al centro della Settimana liturgica nazionale

    ◊   Al via oggi a Bergamo la 64.ma Settimana liturgica nazionale, sul tema “Cose nuove e cose antiche. La liturgia a 50 anni dal Concilio”. Sugli obbiettivi di questo appuntamento, Davide Pagnanelli ha sentito mons. Felice di Molfetta, presidente del Centro di Azione Liturgica:

    R. – La 64.ma Settimana liturgica mira a fare memoria della riforma e un bilancio sereno e obiettivo di tutto quello che è avvenuto in questi 50 anni. Per quanto riflette l’articolazione tematica, tutto è stato architettato su tre temi generatori: la Chiesa, la Parola, il rito. Facendo riferimento alla Chiesa, la riscoperta dell’assemblea celebrante, del “noi” ecclesiale, ci permette di capire quanto sia importante questa dimensione assembleare. C’é poi la Parola. Infatti, nella storia della Chiesa ritengo non ci sia mai stata una così grande conoscenza della Parola di Dio. Il terzo aspetto, il terzo tema generatore, è stato rappresentato dalla parola “rito”, perché una fede ripensata teologicamente venga anche riletta con un linguaggio più accessibile.

    D. – La riforma liturgica di cui abbiamo parlato, proposta dal Concilio Vaticano II, è già stata assorbita integralmente nella Chiesa o offre ancora spunti di rinnovamento?

    R. – C’è ancora da riproporre tutti i principi ispiratori della riforma liturgica, perché c’è sempre da dire. Tutte le realtà umane non sempre rispondono a quelli che possono essere i disegni perfettivi. Il problema, infatti, molto importante, della partecipazione attiva non può essere disgiunto dalla formazione alla vita liturgica e davvero alla partecipazione, al senso del celebrare.

    D. – Riguardo alla partecipazione e al rinnovamento della liturgia, che spunti offre il Pontificato di Papa Francesco agli studi liturgici?

    R. – Non possiamo compiere questo sdoppiamento tra quello che è avvenuto in Papa Benedetto e quello che sta avvenendo in Papa Francesco. Per questa ermeneutica della fede, quindi, per tutto quello che ha rappresentato come cultura, come solida teologia liturgica di Papa Benedetto, non possiamo non essere grati. Papa Francesco è un emblema di una liturgia che parla nella serialità dei gesti, ma con quella pregnanza di una testimonianza orante dello stesso Pontefice. Le due realtà costituiscono grossi punti di riferimento. Quello che sta avvenendo con Papa Francesco è l’applicazione del come vivere e come presiedere una celebrazione liturgica, che sia degna di questa nobile semplicità, che non scende mai nella sciatteria e nel pressapochismo.

    D. – Per i nostri ascoltatori, come spiegare che cos’è la liturgia?

    R. – La liturgia è l’agire di Cristo nel tempo e nello spazio, è il prolungamento del suo essere nell’oggi, di tutto quello che Egli, con parole e gesti, ha compiuto nella sua vita terrena.

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    Settimana di formazione missionaria ad Assisi. Don Brignoli: essere una Chiesa di strada

    ◊   Fare dell’uomo e della storia le vie maestre della missione. E’ la proposta rivolta a tutti gli operatori delle missioni che partecipano all’11.ma Settimana nazionale di formazione e spiritualità missionaria organizzata ad Assisi, dalla Conferenza episcopale italiana, da oggi al 31 agosto. “Sulle strade del mondo – Con il Vangelo nelle ricerche degli uomini” è il tema dei lavori. Gabriella Ceraso ne ha parlato con don Alberto Brignoli della Fondazione Missio della Cei:

    R. - La caratteristica della settimana è quella di aprire l’anno pastorale dal punto di vista della sensibilità missionaria e lo facciamo attraverso la riflessione sul tema dell’anno che è questo tema della strada, del mondo, che poi è la prospettiva che Papa Francesco ci regala ossia che la Chiesa deve essere una Chiesa di strada, che incontra gli uomini nelle realtà in cui essi vivono. Il missionario si pone proprio in questo atteggiamento di accompagnamento, non di giudizio o di superiorità e su quelle strade che l’uomo percorre cerca di essere testimone della presenza di Dio.

    D. – Missionarietà che – come dice il Papa – è anche sempre comunione con la Chiesa…

    R. – Nella formazione un aspetto importante è proprio la dimensione dell’ecclesialità: riteniamo importante che il missionario abbia sempre presente di essere missionario a nome di una Chiesa, per una Chiesa, verso una Chiesa e da una Chiesa. Il rischio di avere testimoni molto validi, bravi ed anche spiritualmente molto formati, ma che agiscono un po’ da “battitori liberi”, è molto forte. Ripeto, non è necessario essere all’interno della Chiesa per fare del bene – su questo non ci piove – ma per essere missionari sì. Quindi, vogliamo ribadire innanzitutto, nella formazione, il riferimento all’ecclesialità: a quella piccola o grande realtà che ognuno vive nella propria diocesi, all’interno della propria congregazione religiosa, all’interno di un organismo di volontariato che lo invia. Sapere che io in missione non vado a mio nome, non vado a nome o a titolo personale; vado sempre a nome di un popolo, di una Chiesa, di un popolo di Dio che mi accompagna e sempre verso un popolo che mi accoglie. Tutto questo mi aiuta anche ad avere una formazione che diventa rispetto dell’altro, conoscenza della sua cultura, del suo mondo.

    D. – Secondo le parole di Papa Francesco siamo tutti - in quanto cristiani, battezzati - chiamati all’evangelizzazione…

    R. – Certamente sì. La missione non è andare lontano; la missione è andare ai lontani ma i primi lontani siamo noi. Siamo proprio noi che facciamo fatica nel nostro piccolo quotidiano della vita di ogni giorno a vivere l’annuncio del Vangelo. Siamo quindi missionari innanzitutto per noi stessi e comunque è a noi che viene data in dono questa aria nuova, questo respiro nuovo del vivere la fede, che poi ci porta con maggiore facilità a condividerlo con gli altri.

    D. – Pensando ai missionari, che spesso si trasformano in veri e propri martiri, il Papa ha detto che oggi ce ne sono di più che nei primi secoli della vita cristiana. Questo è un fattore che scoraggia?

    R. – In molti casi c’è dell’ostilità nei confronti del messaggio del Vangelo. Ma anche là dove non c’è ostilità esplicita il martirio si gioca proprio nella difficoltà dello scalfire questa coltre di indifferenza, di freddezza che, a volte, abbiamo nei confronti non solo del Vangelo ma anche verso tutta quella che è la realtà della spiritualità. Ma guardiamo anche alla forza che tanta testimonianza cristiana – a volte nell’anonimato, nella solitudine e nel silenzio – vive come una sorta di martirio. In questo senso dico che è una cosa molto confortante.

    D. – Quando si parla proprio di spiritualità missionaria cosa si vuole indicare o ribadire?

    R. – Con il concetto di spiritualità vogliamo ribadire che se un missionario, se un testimone del Vangelo non ha una forte dimensione spirituale - quindi un attaccamento alla parola - difficilmente riesce ad essere un testimone. Fare volontariato, fare del bene è una cosa che piace a tanti, che fa piacere, una cosa che tanti fanno; ma farlo con una dimensione spirituale - attraverso soprattutto la dimensione della lectio, del contatto con i testi e del confronto con una comunità che è la Chiesa che cammina insieme a noi – pensiamo che sia necessario ribadirlo ogni volta.

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    Campagna per i diritti dell'embrione, Carlo Casini: verso il milione di firme

    ◊   La campagna di sostegno all’iniziativa europea “Uno di noi” in difesa dei diritti dell’embrione umano non è andata in vacanza quest’estate, anzi l’impegno di raccolta firme si è intensificata in tutta l’area dell’Unione raggiungendo la quota di 900 mila adesioni. L’obiettivo è raccogliere almeno il milione di sottoscrizioni richiesto per legge, per dare il maggior peso politico possibile al riconoscimento formale del bambino non nato quale titolare di diritti umani. Luca Collodi ne ha parlato con il presidente del Movimento per la Vita in Italia, Carlo Casini:

    R. – Sì, il traguardo è un milione di firme entro il primo di novembre, ma questo è veramente un traguardo minimo, un traguardo giuridico, cioè quello che rende obbligatoria la discussione in Parlamento sulle cose che noi chiediamo. In Parlamento è davanti alla Commissione europea, ma noi vorremmo dare forza a questa nostra richiesta, quindi ci auguriamo che le adesioni siano molto più numerose. Abbiamo davanti a noi ancora due mesi.

    D. – La campagna “Uno di noi” chiede all’Europa di fermare gli esperimenti che eliminano gli embrioni umani. Che cosa sta succedendo al momento?

    R. – Questa domanda specifica riguarda in particolare le famose cellule staminali embrionali, che non servono assolutamente a nulla. C’è una grande confusione: le cellule staminali sono cellule presenti in tutte le parti del corpo, molto utili per la ricerca e per guarire le malattie; ma mentre le cellule del corpo umano - diverse da quelle embrionali - già ora sono utilizzabili ed utilizzate di fatto, le cellule staminali dell’embrione nei primissimi giorni di vita – quando si trovano ancora in provetta – non servono assolutamente a nulla. Questo è un dato scientifico certo; eppure si continua, per ragioni ideologiche, a voler chiedere soldi all’Europa per sperimentare su queste cellule, perché se passa il fatto che con i soldi europei si possono distruggere gli embrioni, vuol dire che gli embrioni non sono esseri umani.

    D. – Negli altri Paesi europei come sta andando la raccolta firme?

    R. – Oggi sono 28 i Paesi dell’Unione Europea e la cosa bella è che in tutti i 28 si stanno raccogliendo firme. Il regolamento che disciplina questa materia dice che non basta un milione di firme, ma che le adesioni devono essere raccolte in almeno sette Paesi - non una sola firma ma un numero minimo – e questo numero minimo è stato già raccolto in dieci Paesi. Quindi, l’obiettivo è quello di raggiungere in tutti i 28 Paesi - dove già ci sono adesioni - il numero minimo, in modo che si possa dire che il consenso è generale per tutti i Paesi europei.

    D. – Va di moda oggi “l’utero in affitto” in molti Paesi del mondo. A livello europeo come stiamo?

    R. – Per fortuna l’affitto di utero in Europa non è permesso legalmente, almeno nell’Europa che io conosco, quella comunitaria. Proprio io, nel 1989, sono stato il promotore e relatore di una risoluzione che impegnava l’Europa a non consentire mai l’affitto di utero. Quindi, questo in Europa per ora non avviene. La maternità è una cosa troppo importante per diventare oggetto di commercio. In Europa non si consente che il corpo umano possa essere oggetto di commercio. Questo è ancora poco per riconoscere la vita umana di tutti, però è almeno qualche cosa; è un gradino per raggiungere nel tempo obiettivi più ambiziosi, come quello appunto di riconoscere il diritto alla vita di tutti fin dal concepimento, come chiede l’iniziativa “Uno di noi”.

    D. – L’obiezione di coscienza resta un diritto per il cittadino italiano ed europeo?

    R. – Sacrosanto! Stabilito a livello italiano dalla Costituzione, riconosciuto dalla Corte costituzionale; riconosciuto in Europa dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, di recente. Fortemente attaccata è l’obiezione di coscienza, in Italia ed in Europa, perché l’obiezione di coscienza del medico è fastidiosa per chi vorrebbe avere le “mani libere” sull’embrione. Per avere le “mani libere” bisogna credere o far credere che non si tratta di un essere umano ma di una cosa, che non è un soggetto ma un oggetto e, per far credere questo e per crederlo auto-ingannandosi, bisogna considerare “stupidi” coloro che dicono diversamente. Ecco perché l’aggressione contro l’obiezione di coscienza non è mirata a fare un maggior numero di aborti, ma è mirata ideologicamente ad impedire la testimonianza di coloro che se ne intendono sulla vita, ovvero i medici.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: al monastero di Deir Mar Musa preghiera e digiuno per padre Dall’Oglio

    ◊   Al monastero di Deir Mar Musa, ovvero il monastero di San Mosè l’Etiope in Siria, il 27 agosto, alla vigilia della festa liturgia di San Mosè (che cade il 28 agosto), si prega e si digiuna per la liberazione di padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato circa un mese fa nell’area di Raqqa, e per la pace in Siria. Lo riferisce all’agenzia Fides padre Jaques Mourad, responsabile della storica comunità monastica di rito cattolico siriano, rifondata nel 1982 dal gesuita Dall’Oglio, e che attualmente ospita dieci monaci. Negli anni il monastero si è aperto a ospitare aderenti di altre confessioni cristiane e ha avviato una comunità spirituale ecumenica mista, che promuove il dialogo tra cristianesimo e islam. Contattato dall'agenzia Fides, padre Mourad spiega: “Il 27 agosto, vigilia della festività di San Mosè l’Etiope, festa annuale per nostra comunità e il nostro monastero, noi monaci vivremo una speciale giornata di digiuno, meditazione e preghiera, a cui parteciperanno fedeli cristiani e musulmani. Offriremo la nostra preghiera in particolare chiedendo a Dio la protezione e la liberazione del nostro confratello padre Paolo. Non sappiamo chi l’abbia rapito e non abbiamo notizie di lui. Viviamo con tristezza e trepidazione queste ore, siamo preoccupati ma restiamo nella speranza. Chiediamo a tutti i fedeli sparsi nel mondo di unirsi al nostro digiuno e alla nostra preghiera e lanciamo un accorato appello per il suo rilascio”. Come riferisce sempre l'agenzia Fides, a Raqqa i giovani del "Free Youth Committee", legati all'opposizione siriana, continuano le ricerche, in una situazione molto tesa. "Sappiamo con certezza solo che padre Paolo e' in grave pericolo", dicono. L'ultima volta in cui padre Dall'Oglio e' stato visto ufficialmente e' stato a un banchetto con lo sceicco della tribu' Avadilat, Mouhammad Faycal Al Houeidi. Lo sceicco era un parlamentare che, schieratosi contro il governo, è riuscito a rendere Raqqa “prima città indipendente della rivoluzione siriana”. Padre Mourad, cattolico siriano originario di Aleppo, aggiunge: “Vogliamo anche impetrare da Dio il dono della pace per la Siria, martoriata dalla guerra. Deploriamo ogni forma di violenza, che non è mai la soluzione. Speriamo si possa avviare un dialogo e una nuova era di riconciliazione per il popolo siriano”. In questi due anni di guerra, la comunità di Deir Mar Musa, monastero 80 km a nord di Damasco, “è rimasta fedele al suo carisma di preghiera, lavoro, dialogo, accoglienza dell’altro, di pace e di riconciliazione”, spiega padre Mourad. La comunità è presente in altri due monasteri: uno in Siria, il monastero di Sant’Elia a Qaryatain (fra Homs a Palmira); uno nel Kurdistan iracheno, il monastero della Vergine Maria a Sulaymaniyah. San Mosè l’Etiope, da noto brigante divenne celebre anacoreta, convertì molti e li condusse con sé in monastero. Il martirologio romano lo ricorda il 28 agosto. (R.P.)

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    Oltre 15mila curdi siriani fuggono in Iraq. L'arcivescovo di Erbil: "Aiutateci"

    ◊   Oltre 15mila profughi di etnia curda hanno attraversato nei giorni scorsi la frontiera con l'Iraq per cercare rifugio nel Kurdistan iracheno. L'esodo è il più grande nella storia recente del popolo curdo. Mons. Bashar Warda, arcivescovo di Erbil, una della città che sta ospitando il maggior numero di rifugiati, racconta all'agenzia AsiaNews: "Queste persone hanno lasciato le loro abitazioni e i loro averi in Siria. Hanno bisogno di tutto: cibo, acqua, medicinali e un riparo sotto cui dormire". Il prelato spiega che la maggior parte sono donne, anziani e bambini. Gli uomini e i figli più grandi sono rimasti in Siria a combattere contro le milizie islamiste che in questi mesi hanno tentato di conquistare la regione. "Da quando è iniziato l'esodo - continua mons. Warda - la diocesi di Erbil ha dato il via a una campagna di aiuti, raccogliendo beni di prima necessità e creando luoghi in cui accogliere i rifugiati". Per gestire la situazione, la diocesi ha creato un apposito comitato, il Mercy Charitable Committee, con sede ad Ankawa (Erbil) che si occuperà di inviare ogni giorno viveri e beni ai campi allestiti dal governo. Dall'inizio del conflitto siriano l'Iraq, e in particolare la regione del Kurdistan, ha ospitato oltre 300mila profughi. Mons. Warda lancia un appello per sostenere la popolazione rifugiata: "Abbiamo bisogno di aiuti. Apprezziamo tutti coloro che desiderano aiutarci a sfamare e curare queste famiglie bisognose". Il prelato sottolinea che la Chiesa caldea, attraverso il suo comitato, compie regolari visite ai campi, per verificare l'effettiva distribuzione dei viveri. "Saremmo grati a tutti coloro che vogliono sostenerci". La migrazione di massa preoccupa il governo regionale del Kurdistan, incapace per il momento di assorbire il numero di persone che arrivano nella zona. Secondo una fonte interna al Partito democratico curdo (Pyd), in questi mesi il governo regionale ha tentato di controllare il valico, dando il benestare solo agli scambi commerciali. Tuttavia, nessuno si aspettava un esodo della popolazione di tali dimensioni. Per le autorità curde se tale esito continuerà il Kurdistan siriano resterà deserto. (R.P.)

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    Card. Raï: le bombe a Roueiss e a Tripoli un crimine contro Dio, l'umanità e il Libano

    ◊   Il Patriarca maronita del Libano, card. Béchara Raï ha stigmatizzato come "un crimine contro Dio, contro l'umanità, contro il Libano" gli attentati alle moschee di Tripoli e quella a Roueiss, nella banlieue sud della capitale. Nell'omelia tenuta ieri a Dimane, la residenza estiva del patriarca - riferisce l'agenzia AsiaNews - egli ha espresso solidarietà e preghiere alle vittime e alle famiglie delle due regioni, invocando l'unità nazionale, esortando i capi politici a far uscire il Paese dall'empasse. Da mesi il Libano non ha un governo, per gli ostacoli e le richieste che gli Hezbollah pongono sul tavolo e per le diverse posizioni dei partiti sulla situazione siriana. Puntando il dito verso la classe politica, egli ha detto: "Di fronte alla mostruosità che ha toccato il Libano, dal sud di Beirut fino al cuore del Nord, gli uomini al potere e le parti in conflitto che rifiutano di sedersi al tavolo del dialogo, che bloccano la formazione di un nuovo governo, paralizzano il parlamento e sospendono la vita pubblica, devono prendere coscienza che sono essi i responsabili del caos sulla sicurezza, della proliferazione delle armi illegali, delle auto-bomba itineranti, delle esplosioni e del sangue dei martiri innocenti. La loro pesante responsabilità davanti a queste catastrofi nazionali impone loro il dovere di far uscire il Paese dalle coordinate del conflitto confessionale regionale, liberandolo dalle direttive straniere e separandolo dagli sviluppi siriani". "Il dialogo è l'obbiettivo che può salvare - ha aggiunto - promette risultati positivi e supera tutte le condizioni. Questo è l'appello delle vittime innocenti". Egli ha anche ricordato che la popolazione vive già la riconciliazione di cui i partiti e il Paese hanno bisogno: "Siamo stati molto toccati dalle donne e dai bambini della banlieue sud [dove è avvenuto un attentato], che hanno distribuito rose in segno di solidarietà con i figli di Tripoli [dove sono avvenuti gli ultimi due attentati]". Dopo la Messa, il patriarca si è recato a Tripoli, alla moschea al-Taqwa, uno dei due luoghi colpiti, per offrire le sue condoglianze per la morte di 45 persone e circa 900 feriti. "Dopo 10 giorni dalle bombe di Roueiss - ha detto il card. Rai - la stessa mano ha orchestrato le bombe a Tripoli e io, a nome della Chiesa maronita, vi dico che la tragedia di Dahieh e quella di Tripoli sono nostre tragedie, perché siamo un solo corpo e una sola famiglia". (R.P.)

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    Addis Abeba: nuovo workshop interreligioso promosso dal Kaiciid

    ◊   “Come dare un’immagine obiettiva dell’altro?”: questa la domanda essenziale posta all’origine dell’incontro che si tiene oggi ad Addis Abeba, in Etiopia, presso la sede dell’Unione Africana. L’evento si inserisce nell’ambito del programma "The Image of the Other" (“L’immagine dell’altro”) promosso dal Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale “Re Abdullah Bin Abdulaziz” (King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue - KAiciid) fondato da Arabia Saudita, Spagna e Austria con la Santa Sede nel ruolo di organismo osservatore e fondatore. Il programma intende rispondere alla sfida che sarà sviluppata nell’arco di tre anni: per il 2013, si guarderà all’educazione, il prossimo anno al contesto dei mass media e nel 2015 alla sfera di Internet. Dopo il primo workshop per l'Europa e il Medio Oriente celebrato a Vienna, il 22 maggio scorso e dedicato in particolare all’educazione interreligiosa e interculturale, questo nuovo incontro sarà dedicato all’Africa. Seguiranno nei prossimi mesi altri workshop a livello continentale su Asia e Americhe, che si concluderanno con una Global Conference in programma sempre a Vienna il 18 e 19 novembre prossimo. Già lo scorso febbraio, a Madrid, si era tenuto un primo incontro del Board direttivo del Kaiciid, in occasione del 20.mo anniversario degli accordi di cooperazione tra la Spagna e le confessioni evangeliche, ebree e musulmane. Inaugurato ufficialmente il 26 novembre 2012, il Centro Kaiciid è stato fondato per facilitare, rafforzare ed incoraggiare il dialogo tra i seguaci delle diverse religioni e culture del mondo, così da migliore la cooperazione, il rispetto delle diversità, la giustizia e la pace. Alla cerimonia inaugurale dello scorso anno aveva preso parte il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il quale ha definito il Centro “un’opportunità per aprire un dialogo su molti temi”, tra cui quello della “libertà religiosa in tutte le sue forme, per ogni uomo, per ogni comunità, ovunque”. Sempre nel novembre scorso, spiegando l’iniziativa, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, aveva detto: “È importante osservare che il nuovo Centro non si qualifica come un’istituzione propria del Regno dell’Arabia Saudita, ma come Organizzazione internazionale indipendente, riconosciuta dalle Nazioni Unite”, “un’opportunità e uno spazio di dialogo” in cui “mettere ulteriormente a frutto l’esperienza e l’autorevolezza della Santa Sede nel campo del dialogo interreligioso”. Da ricordare, infine, che il Re d’Arabia, Abdullah Bin Abdulaziz, aveva informato personalmente l’allora Pontefice Benedetto XVI del progetto relativo al Kaiciid il 6 novembre 2007, durante un’udienza in Vaticano. (I.P. - L.Z.)

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    Card. Gracias: lo stupro di gruppo a Mumbai, declino spirituale e sociale dell’India

    ◊   Il brutale stupro di gruppo commesso contro una giovane fotoreporter di Mumbai "riflette il declino spirituale, sociale e culturale del nostro Paese. È urgente riportare Dio al centro delle nostre vite: in famiglia, in società, nei posti di lavoro, e condurci secondo i valori del Vangelo". È così che il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, commenta all'agenzia AsiaNews il nuovo caso di violenza sessuale, avvenuto il 22 agosto scorso, che ha sconvolto il Paese. Una notizia accolta "con profonda angoscia e collera: è la peggiore aggressione che una donna possa subire. Lo stupro è terrorismo fisico e psicologico, un crimine abominevole contro l'onore delle donne". La vittima è una giovane fotoreporter di 22 anni, stagista di una rivista in lingua inglese con base a Mumbai. Accompagnata da un collega, quel giorno si era recata alla Shakti Mills - ex fabbrica tessile ora in stato di abbandono - per realizzare un servizio fotografico. L'attacco si è svolto al termine del lavoro: mentre uscivano, sono stati circondati da tre uomini, che hanno detto loro che non avevano il permesso di fotografare. La ragazza ha chiamato il proprio capo, che ha suggerito di andarsene in fretta. La situazione è degenerata: gli uomini, cinque in tutto, hanno picchiato e legato il collega, poi hanno trascinato la ragazza dietro a un muro. Hanno spento il suo cellulare e l'hanno violentata a turno. Secondo le ricostruzioni della polizia - che in questi giorni ha arrestato tutti i sospetti - gli aggressori hanno anche costretto la vittima a pulire la scena del suo stesso sangue. La giovane è in ospedale, ma in condizioni stabili. Il chief minister del Maharashtra ha ordinato un processo rapido contro i cinque, che hanno tra i 18 e i 23 anni. Il caso ricorda il grave stupro di gruppo di New Delhi, avvenuto nel dicembre del 2012. "Purtroppo - sottolinea ad AsiaNews il card. Gracias - le nostre donne e le nostre bambine subiscono violenze e abusi persino nelle loro famiglie, oltre che nella società, che le umilia, le svilisce, le discrimina, le esclude e le sfrutta. La corrosione della morale e la corruzione dei valori dimostra che il nostro sistema di valori è stato seriamente compromesso". Come presidente della Conferenza episcopale dell'India (Cbci), il porporato ricorda: "La Chiesa è uno strumento per servire la società e la nazione attraverso l'educazione e le nostre strutture. Ho già chiesto alle nostre scuole di inculcare i valori della giustizia e del rispetto di genere non solo agli studenti, ma anche ai genitori. È importante sensibilizzare madri e padri su come trattiamo le donne nelle nostre famiglie. La Chiesa di Mumbai e di tutta l'India servirà per dare inizio a una cultura e una società nobile, costruite sull'uguaglianza, la giustizia e il rispetto tra uomini e donne". Da decenni la Chiesa indiana dedica l'8 settembre, festa della Natività di Maria, alle bambine. (R.P.)

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    Raggiunto un accordo tra Nord e Sud Sudan: si ritirano i soldati dai confini

    ◊   I governi di Khartoum, Nord Sudan, e Juba, Sud Sudan, hanno trovato un accordo per “cessare le ostilità” e sospendere ogni forma di sostegno ai vari gruppi ribelli operanti nel terreno l’uno dell’altro. L’accordo, riporta l'agenzia Misna, è stato firmato dai responsabili dei due Paesi durante l’incontro del Comitato di sicurezza congiunto. Nel documento si legge che le forze armate di Nord e Sud Sudan “accettano di ritirarsi dalla frontiera, entro i limiti stabiliti dall’Unione Africana” e questo ritiro dovrà avvenire entro una settimana. Contestualmente al ritiro delle truppe, i firmatari si applicano per una migliore comunicazione tra le intelligence dei due Paesi, per agevolare i rapporti diplomatici ed evitare nuovi incidenti. L’accordo rappresenta un grande passo verso la pacificazione dell’area, al centro di ampi conflitti per la spartizione della zona petrolifera che si trova al confine. I colloqui riprenderanno il 17 settembre a Juba. (D.P.)

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    Il Congo accusa: “Goma colpita dal territorio rwandese”

    ◊   Si alza la tensione tra Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e Rwanda dopo che il governo congolese ha accusato Kigali di aver colpito Goma, capoluogo del Nord Kivu (nel nord-est del Paese), con alcuni tiri di artiglieria partiti direttamente dal territorio rwandese. Il portavoce del governo di Kinshasa, Lambert Mende, ha qualificato “l’azione del Rwanda contro le popolazioni civili come crimini di guerra e contro l’umanità”. L’episodio - riferisce l'agenzia Fides - risale al 22 agosto, quando alcuni colpi di artiglieria “non provenienti dall’interno del Congo”, come hanno subito affermato le autorità locali, hanno provocato 4 morti e 12 feriti, secondo il bilancio ufficiale. Nel Nord Kivu le forze armate congolesi (Fardc) hanno avviato un’offensiva contro i diversi gruppi di guerriglia che vi operano, il principale dei quali è l’M23, che Kinshasa afferma essere sponsorizzato dal Rwanda. L’offensiva congolese è appoggiata dalla brigata speciale di intervento dell’Onu e dai Caschi Blu della Monusco (Missione Onu nella Rdc). Dopo le esplosione degli obici, la popolazione di Goma è scesa nelle strada della città per reclamare la protezione dei Caschi Blu. La protesta è degenerata in un assalto alla sede della Monusco, e due manifestanti sono rimasti uccisi. È stata aperta un’inchiesta per accertare se i dimostranti sono stati colpiti dai militari del contingente uruguayano dell’Onu oppure dalla polizia congolese. “Questo ultimo episodio è un’ulteriore indicazione dell’esasperazione della popolazione del Nord Kivu” dicono a Fides fonti locali. Della disperazione della popolazione locale ha riferito una delegazione della società civile del Nord Kivu che ha incontrato a Washington rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti e della Casa Bianca. “Osservando l’inosservanza da parte di Rwanda e Uganda dell’applicazione dell’Accordo Quadro di Addis Abeba e la passività della Brigata d’Intervento dell’Onu nell’agire contro le forze negative nel Nord Kivu, la società civile avverte gli Usa che la popolazione stremata presto prenderà le cose nelle sue mani” afferma un comunicato pervenuto a Fides. “Una presa in mano che non potrà essere gestita né dagli animatori della società civile né dal governo congolese”. La crisi nel Nord Kivu rischia infine di coinvolgere altri Stati dopo che il governo di Kinshasa ha sottoscritto un accordo tripartito con Angola e Sudafrica, per la “stabilizzazione della Regione dei Grandi Laghi”. In base alle intese Luanda e Pretoria si impegnano a fornire assistenza alle forze armate e di polizia congolesi. (R.P.)

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    Indonesia: a Jakarta cattolici in festa per l’ordinazione di nove sacerdoti

    ◊   "Spero con tutto il cuore che voi, novelli sacerdoti, sappiate estendere il vostro servizio agli altri con i fatti, piuttosto che con le parole". È questo l'appello lanciato da mons. Ignatius Suharyo Pr, arcivescovo di Jakarta, ai nove preti ordinati il 22 agosto scorso nella parrocchia di Sant'Arnoldo a Bekasi, East Jakarta. La cerimonia di ordinazione si è tenuta in una chiesa periferica della capitale con l'obiettivo di incentivare le vocazioni fra i giovani seguendo l'esempio dei novelli sacerdoti. "Si tratta di un compito essenziale - ha aggiunto il prelato - perché [essi] sono chiamati a imitare Cristo, il più grande sacerdote della storia". Nei giorni scorsi i cattolici della capitale hanno salutato l'ordinazione dei nuovi sacerdoti, otto diocesani e uno della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (Cicm), che contribuiranno al lavoro pastorale nella capitale indonesiana. Con il calo delle nascite, un fenomeno che ha investito anche l'Indonesia sebbene in tono minore rispetto all'Europa, diminuiscono anche le famiglie con figli che scelgono la vita consacrata. In passato, soprattutto negli anni '70, era consuetudine che ogni casa - in particolare a Java - avesse molti figli, fino a 10 e oltre. Tuttavia, nel recente passato si è registrata una decisa inversione di tendenza, con al massimo due o tre figli per nucleo familiare. Fra le ragioni che spiegano il fenomeno, l'aumento del costo della vita e gli ostacoli a livello sociale e finanziario, che finiscono per colpire le famiglie più numerose. Soprattutto le rette scolastiche e il costo dei libri e del materiale correlato finiscono per incidere sul bilancio; tanto che molti si vedono costretti a svendere beni, case, proprietà o terreni pur di dare un'istruzione alla prole. In questo contesto difficile emerge il modello del seminario minore Wacana Bhakti, di proprietà dell'arcidiocesi di Jakarta. Attivo da oltre 25 anni grazie all'impegno dei gesuiti e dei sacerdoti diocesani della capitale, esso garantisce possibilità di studio e formazione anche ai meno abbienti, così come il vicino Gonzaga College Senior High School, anch'esso gestito dai cattolici. Molte famiglie cattoliche di Jakarta affidano a questi due istituti la formazione scolastica dei figli, con lezioni regolari al mattino secondo il curriculum previsto dal ministero dell'Istruzione. Al pomeriggio, invece, si tengono corsi di latino, inglese, Sacre Scritture, Storia della Chiesa e altre materie legate alla tradizione cristiana. In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione totale. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto per in occasione della devastante alluvione del gennaio scorso. (R.P.)

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    Mons. Bianchi al Sinodo Valdese: "Insieme per le sfide dell'Italia"

    ◊   “Un saluto non di 'circostanza' ma espressione del sentimento di un cristiano in mezzo ad altri cristiani che con loro condivide preoccupazioni e sfide davanti all’orizzonte del mondo e del nostro Paese”. Così si è espresso mons. Mansueto Bianchi, presidente della Commissione per il dialogo ecumenico e interreligioso della Conferenza episcopale italiana (Cei), rivolgendosi al Sinodo delle chiese metodiste e valdesi apertosi oggi a Torre Pellice (To). “Insieme alla comunità ebraica, credo che i valdesi siano stati 'l’altro' che ha accompagnato, pur nelle contraddizioni della storia, il processo di formazione dell’’ethos’ nazionale”, ha sottolineato Bianchi in un discorso accolto da un caloroso applauso da parte dei membri del Sinodo di cui l’agenzia Nev riporta alcuni stralci. L’esponente della Cei - riferisce l'agenzia Sir - ha proseguito ricordando le sfide che oggi in Italia “interrogano noi cattolici come voi valdesi”; in particolare, le questioni della multiculturalità e della multireligiosità, della nuova evangelizzazione, del rapporto tra il cristianesimo del Nord e del Sud del mondo, quello da cui proviene, in ambito cattolico, Papa Francesco, e in cui si afferma, in ambito protestante, la vivace realtà dei movimenti pentecostali. “La crisi che la Chiesa attraversa - ha proseguito Bianchi - è legata più ampiamente a quella dell’Europa e dell’Occidente. Altrove il cristianesimo vive invece una stagione di grande vivacità. Come italiani e come europei dobbiamo chiederci come vivere questa stagione nuova del cristianesimo in cui altre sensibilità si affacciano”. Secondo Bianchi, nel contesto della crisi che l’Occidente vive oggi, le Chiese sono chiamate a offrire “un originale contributo per immaginare altre vie di sviluppo e di crescita”, rispettose del Creato, attraverso “il loro patrimonio di valori e con la loro esperienza capillare di solidarietà e carità”. Queste sfide comuni, in un momento in cui il dialogo ecumenico sui contenuti della fede è in stallo, rappresentano “le occasioni per sviluppare un dialogo sul mondo, un dialogo sull’impegno, un dialogo sulla e nella responsabilità”, ha concluso mons. Bianchi. (R.P.)

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    Guatemala: l’impunità nel Paese si riduce di più del 20%

    ◊   In Guatemala, la Commissione internazionale contro l’impunità, la Cicig, ha ottenuto ottimi risultati nel ridurre il fenomeno dell’impunità per reati commessi nel Paese dalla politica e la pubblica amministrazione. “Sei anni fa il livello di impunità era pari al 93%, oggi è del 70%” ha detto il capo della Cicig, Francisco Dall’Anese, alla presentazione del rapporto per l’anno 2012-2013. Il giurista, riporta l'agenzia Misna, ha però precisato che la Cicig “non può risolvere da sola i problemi e la ciliegina sulla torta devono metterla i guatemaltechi”. La Cicig, che opera sotto mandato dell’Onu ed è un ente unico nel suo genere, è in azione dal 2006 e da quella data “non ha perso un solo caso”. Per dare un esempio della sua efficienza, nel processo all’ex-presidente, Alfonso Portillo, pur non riuscendo ad arrivare ad una condanna in patria, è riuscita ad ottenere l’estradizione dell’imputato verso gli stati uniti, per essere processato per vari reati di riciclaggio. Ancora molto lavoro resta da fare in Guatemala perché il sistema giudiziario riesca ad assicurare anche i più “protetti”, le vicende più rilevanti non arrivano infatti in tribunale a causa della collusione dei giudici. La Cicig stessa ha ricevuto, in questi anni di attività, ben 95 denunce da funzionari pubblici e per 31 si è già arrivati ad una sentenza a favore dell’ente internazionale. A questa onda di denunce la Cicig ha risposto con dossier e denunce verso 25 funzionari pubblici di cui 16 giudici. L’obbiettivo della Cicig è però portare il Paese verso una situazione di normalità e quindi a una dissoluzione dell'ente nel momento in cui la legge in Guatemala sarà veramente uguale per tutti. (D.P.)

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    Costa Rica: allarme per maltrattamenti e violenze sui minori

    ◊   Nel 2013 sono stati assistiti, secondo i dati dell’Ospedale Nazionale Pediatrico, 1.115 bambini che hanno subito aggressioni fisiche. Il dato di questi primi 8 mesi del 2013, come riporta l’agenzia Fides è tristemente vicino alla media annuale di 1.500 casi l’anno, si preannuncia quindi un anno di incremento per il fenomeno della violenza sui minori. A crescere, oltre al mero dato numerico, è l’intensità dei maltrattamenti, le violenze sessuali e le lesioni riportate dai bambini e i ragazzi colpiti. Le stime dell’Ospedale Nazionale Pediatrico sono, per il patronato nazionale dell’infanzia, da rivedere al rialzo. All’Ospedale Nazionale Pediatrico arrivano, infatti, oltre 13.000 denunce l’anno e già nel 2010 l’associazione aveva denunciato una situazione insostenibile in cui il 74% degli adulti nel Paese maltrattava verbalmente i propri figli, mentre oltre il 65% aggiungeva aggressioni fisiche e maltrattamenti. A questi dati si aggiungono il 32% delle donne e il 13% degli uomini adulti che hanno dichiarato di aver subito violenze sessuali quando ancora erano bambini. (D.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 238

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.