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Sommario del 24/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa riceve “padre Pepe”, sacerdote delle favelas di Buenos Aires
  • Il Papa il 10 settembre al Centro Astalli dai rifugiati. P. La Manna: la sua visita è un segno per tutta la Chiesa
  • Medio Oriente. P. Pizzaballa: cristiani e musulmani non perdano la speranza della pace
  • Il Papa nomina mons. Sciacca segretario aggiunto del Tribunale della Segnatura Apostolica
  • Il Papa nomina il card. Tauran suo inviato alle celebrazioni del centenario dell'arcidiocesi di Lille
  • Francesco, il Papa della semplicità che apre i cuori al linguaggio di Dio
  • Il card. Tauran: la fede è una forza per costruire la pace, senza religione l'uomo diventa una merce
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: vertice in corso a Washington. L'Iran: "No a interventi militari"
  • Giornata di preghiera per il mondo arabo. L'arcivescovo di Tunisi: i credenti di ogni fede rifiutino ideologie ed estremismi
  • Meeting di Rimini. Guarnieri: ognuno ha dato suo contributo, continua la raccolta firme per i cristiani perseguitati
  • Al Meeting di Rimini una mostra parla dell’inscindibile legame tra l’Armenia e la fede cristiana
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Malaysia. Governo contro Chiesa sull’uso del termine “Allah” per i cristiani: parte il processo di appello
  • Indonesia. Cresce l’intolleranza religiosa, il presidente Yudhoyono: è responsabilità collettiva
  • Filippine: corruzione, al via la riforma dei fondi per i parlamentari
  • Bolivia. Violenze nel carcere di Palmasola: 30 morti. I vescovi: risolvere questione sovraffollamento
  • Burkina Faso. Visita dell'arcivescovo di Ouagadougou nel carcere della capitale
  • Congo. Colpi di mortaio sulla popolazione civile a Goma, 2 vittime
  • Angola. L'arcidiocesi di Lubango promuove l'incontro delle scuole cattoliche
  • Mongolia. La Chiesa commemora i rapporti diplomatici con la Francia avviati dal re San Luigi IX
  • A Bergamo la 64.ma Settimana liturgica nazionale sul tema "Cose nuove e cose antiche"
  • Assisi. Settimana nazionale di formazione e spiritualità missionaria organizzata dalla Cei
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa riceve “padre Pepe”, sacerdote delle favelas di Buenos Aires

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto in udienza, questa mattina, padre Josè Maria Di Paola, sacerdote argentino da sempre impegnato per i più emarginati del suo Paese. Conosciuto da tutti affettuosamente come “padre Pepe”, il sacerdote vive in una delle villas miserias, le favelas di Buenos Aires. Proprio l’allora arcivescovo della capitale argentina, Jorge Mario Bergoglio, sostenne e incoraggiò la pastorale nelle baraccopoli della metropoli porteňa, raddoppiando il numero di sacerdoti per la favelas. “Padre Pepe”, figura molto legata a Papa Francesco, ha portato avanti il suo impegno per gli emarginati delle favelas, nonostante pesanti minacce di morte da parte dei narcotrafficanti che il sacerdote ha denunciato con coraggio, in particolare in un documento pubblicato nel 2010. In quei momenti difficili, ha affermato il sacerdote in una recente intervista alla nostra emittente, il cardinale Bergoglio “è sempre stato al nostro fianco”. Mercoledì scorso, padre Di Paola aveva partecipato ad una tavola rotonda al Meeting di Rimini sul tema “Papa Francesco: con la Lumen Fidei alle periferie dell’esistenza”. (A.G.)

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    Il Papa il 10 settembre al Centro Astalli dai rifugiati. P. La Manna: la sua visita è un segno per tutta la Chiesa

    ◊   “Il Papa è stato invitato è ha risposto personalmente che sarebbe venuto. Ora tutto questo si realizza.” Così padre Giovanni la Manna, presidente del Centro Astalli, riguardo alla visita che il prossimo 10 settembre, intorno alle 15.30, il Papa farà alla struttura italiana dei gesuiti che, nel cuore di Roma, si dedica all’accoglienza dei rifugiati. Sarà una visita privata di cui si stanno definendo i dettagli, ma resta il significato della scelta compiuta dal Pontefice, in linea col suo operato e la sua testimonianza, come sottolinea lo stesso padre La Manna al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. – E’ un ulteriore segno di una continuità nella vicinanza a persone che sono costrette a lasciare la propria terra a causa di guerre e persecuzioni; è una continuità quotidiana fatta di gesti semplici, concreti che però sono uno stimolo, sono un invito a tutti noi di seguire il suo esempio.

    D. – Il Papa insiste molto proprio sulla prossimità: anche il recarsi fisicamente nei posti ha un rilievo particolare …

    R. – Io direi, è disponibilità a incontrare. Il Papa parla di globalizzazione dell’indifferenza: ebbene, non possiamo più fare finta di non sapere. Con coraggio, il Papa ci invita ad uscire da noi stessi: dall’incontro con l’altro nasce qualcosa che è positivo per tutti. Se ci sottraiamo, perdiamo il senso di essere parte di un’unica comunità. E’ una sollecitazione forte anche per noi Chiesa. Il Papa è stato chiaro: “Abbiamo bisogno di testimoni e non di maestri.

    D. – Più o meno che realtà troverà il Papa? Quanti rifugiati? E che tipo di servizio? Avrete fatto un po’ il punto per presentare al Papa la vostra struttura?

    R. – Il Papa potrà incontrare i rifugiati che arrivano a Roma e sono tanti, perché Roma è un luogo di secondo approdo. Sono persone che hanno bisogno di mangiare, di poter fare la doccia, di poter incontrare un medico, ricevere un farmaco, assistenza legale e sociale … In media, alla mensa ogni giorno arrivano 450 persone, che non è il numero effettivo, perché donne, bambini, persone con problemi non fanno la fila.

    D. – Più o meno, quali sono le loro nazionalità?

    R. – Prevalentemente, in questo momento, vengono dall’Africa con un incremento di egiziani e di siriani, soprattutto nuclei familiari che scappano: i siriani, dalla guerra, e gli egiziani di religione copta che hanno problemi, in questo momento in Egitto, si mettono in salvo cercando di arrivare in Italia e passano da Roma.

    D. - Dinanzi a questi flussi migratori che un po' stanno cambiando rotta - ora si va verso le coste orientali della Sicilia, in questi giorni arrivano tanti profughi, e sono siriani - lei cosa pensa?

    R. - Gli ultimi esempi di cambi di rotta e di modalità di arrivo ci dimostrano che i trafficanti continuano a guadagnare su queste persone in difficoltà con la nostra complicità.

    D. – Ritornando a voi, al Centro Astalli: immagino che lei sia felice di questa giornata, anche se sarà un momento impegnativo …

    R. – Io sono molto contento che il Vescovo di Roma, il Vicario di Cristo, realizzi il suo incontro con i rifugiati al Centro Astalli: per me è la scuola che mi tiene vivo, mi insegna a riconoscere Cristo, a capire cosa è veramente importante nella vita e soprattutto a riconoscere una cosa che non figura nei nostri bilanci, che è la Provvidenza di Dio che si concretizza lì dove non ci si preoccupa di cercare profitto ma dove si è capaci di condividere prima di tutto ciò che si è e poi quello che si ha.

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    Medio Oriente. P. Pizzaballa: cristiani e musulmani non perdano la speranza della pace

    ◊   I popoli del Medio Oriente non si lascino rubare la speranza della pace. Riecheggia Papa Francesco il Custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, che sottolinea quanto gli appelli di pace del Pontefice siano accolti con gioia non solo dai cristiani ma anche dai musulmani dei Paesi della regione travolti dalla guerra. Intervistato da Alessandro Gisotti, padre Pizzaballa racconta come si viva, e a volte sopravviva, in un tempo di così grande sofferenza:

    R. – Quello che sentiamo – noi siamo in contatto quasi ogni giorno un po’ con tutto il territorio – è tanta paura, tanta desolazione da parte della gente, ma anche un po’ di rabbia per tutto quello che sta accadendo: è una guerra che passa sopra le teste della gente, come sempre …

    D. – A rimetterci, bambini, donne … questi dati impressionanti di profughi, di morti …

    R. – La gente non vuole questa guerra, la gente vuole semplicemente vivere serenamente nella propria terra, in libertà; vedono, invece, tutti questi giochi di potere che stanno creando una situazione molto pesante. Ci sono tantissimi morti, profughi in Libano e in Giordania ma soprattutto rifugiati all’interno della Siria, che sono ormai quasi due milioni e che vivono in condizioni molto precarie, creando una situazione quasi esplosiva, dal punto di vista sociale.

    D. – In questo contesto così difficile – perché poi, ovviamente, ogni Paese ha la sua realtà – c’è anche chi soffia sul fuoco in modo strumentale su uno “scontro di religioni” che invece vediamo essere proprio rifiutato da cristiani e musulmani …

    R. – Molto spesso, quando si parla di Medio Oriente, si usa la religione in maniera strumentale; in realtà, sono lotte di potere tra fazioni, tra Paesi – Paesi stranieri, naturalmente – che vogliono avere il controllo delle vie di trasporto o semplicemente per avere più potere. Non sono né l’islam né il cristianesimo che stanno alimentando queste guerre atroci.

    D. – In questo senso c’è stato anche da ultimo questo messaggio del Papa per la fine del Ramadan …

    R. – Tutto il mondo musulmano – che comunque è un mondo molto composito – ha accolto in maniera molto positiva l’appello del Papa e anche la figura del Papa, in maniera molto aperta, con grande entusiasmo. E questo è di buon auspicio. Bisogna lavorare su quell’ambito, cioè dell’incontro con al realtà del territorio, con le persone semplici cercando di evitare ogni forma di strumentalizzazione.

    D. – Questo aspetto proprio della quotidianità, della vita insieme dei cristiani e dei musulmani, questo resta nonostante tutto quello che succede attorno?

    R. – Sì, la vita prevale in ogni caso e sempre. Abbiamo visto chiese distrutte anche in Egitto, oltre che in Siria; situazioni oggettivamente problematiche e difficili ma non dobbiamo fermarci a questo. Sono molti di più gli esempi di collaborazione e di aiuto e di convivenza storica, tradizionale tra le due comunità, che deve continuare e deve prevalere.

    D. – Che tipo di pensiero di pace si sente di fare?

    R. – Quello che mi sento di dire è che soprattutto le persone che lavorano nel territorio, che ancora credono e sono convinte, per esperienza, che si vive insieme e che si deve vivere insieme, che non perdano la speranza nella preghiera comune, di trovare la forza per continuare, nonostante tutto, a stare insieme e a dare testimonianza di comune umanità.

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    Il Papa nomina mons. Sciacca segretario aggiunto del Tribunale della Segnatura Apostolica

    ◊   Il Papa ha nominato segretario aggiunto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica mons. Giuseppe Sciacca, vescovo tit. di Fondi, finora segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

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    Il Papa nomina il card. Tauran suo inviato alle celebrazioni del centenario dell'arcidiocesi di Lille

    ◊   Il Santo Padre ha nominato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, suo Inviato speciale alle celebrazioni del primo centenario dell’Arcidiocesi di Lille (Francia), che avranno luogo nei giorni 26 e 27 ottobre 2013.

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    Francesco, il Papa della semplicità che apre i cuori al linguaggio di Dio

    ◊   Riscoprire la “grammatica della semplicità”. È uno dei tanti inviti che hanno costellato gli interventi di Papa Francesco durante gli eventi della Gmg di Rio. Se la Chiesa si allontana dalla semplicità, ha affermato, “resta fuori dalla porta del Mistero” e rischia di non farsi capire dal mondo. Ma la semplicità è anche un tratto distintivo della personalità e del magistero di Papa Francesco, come sottolinea Alessandro De Carolis in questo servizio:

    Spogliarsi degli orpelli esteriori, dei sofismi espressivi, perché il vestito di Dio, la lingua di Dio, è la semplicità. Ciò che dall’avvio del Pontificato Papa Francesco sta insegnando ogni giorno col suo esempio alla Chiesa e al singolo cristiano riporta per singolare analogia alla memoria il gesto che anche l’“altro” Francesco aveva compiuto all’inizio della sua missione. Togliersi i vestiti e riconsegnarli al genitore, per il Povero di Assisi aveva avuto il significato di rendere visibile di quale Padre si sentisse davvero figlio e di quali beni volesse vivere. Una rinuncia di povertà che fu guadagno di libertà. La stessa libertà che affascina del comportamento di Papa Francesco e che, anche nel suo caso, è resa manifesta da una sobrietà di vita e da una semplicità di stile divenuti proverbiali in nemmeno quattro mesi di Pontificato. Un ingrediente basilare dell’anima, la semplicità. E anche il sale di un’azione pastorale che sappia scuotere, perché non offre una proposta di fede fredda, ma chiede di aprire la mente al cuore, bussandovi con dolcezza. Il Papa lo ha ribadito pochi giorni fa ai vescovi del Brasile, nella cattedrale di Rio:

    “Un’altra lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente, non riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che non possono darsi da sé, cioè Dio”. (Discorso all’episcopato brasiliano, 27 luglio 2013)

    Semplicità è anche normalità. Per i vaticanisti a bordo dell’aereo papale di ritorno da Rio de Janeiro e testimoni della più straordinaria intervista mai rilasciata da un Papa dev’essere stato uno choc toccare con mano di quanta genuina schiettezza e quanta disponibilità immediata e non mediata poteva essere capace un Successore di Pietro. Una sincerità adamantina, quella di Papa Francesco, anche sulle questioni più spinose, che ha spiazzato i cronisti presenti avvezzi all’antico abito mentale per cui le cose vaticane sono difficilmente conoscibili e qualche volta un po’ torbide. Così, la replica sorridente di Papa Francesco al giornalista che gli chiedeva di svelare i segreti della sua valigetta non solo si fa simpaticamente beffe del vecchio pregiudizio, ma diventa una soave lezione sul valore della semplicità:

    “Non c’era la chiave della bomba atomica! Mah! La portavo perché sempre ho fatto così: io, quando viaggio, la porto. E dentro, cosa c’è? C’è il rasoio, c’è il breviario, c’è l’agenda, c’è un libro da leggere – ne ho portato uno su Santa Teresina di cui io sono devoto. Io sono andato sempre con la borsa quando viaggio: è normale. Ma dobbiamo essere normali (…) Dobbiamo abituarci ad essere normali. La normalità della vita”. (Intervista sul volo papale, 28 luglio 2013)

    Ma forse lo zenit di cosa voglia dire “semplicità”, nella concezione del Papa venuto dall’altra parte del mondo, sta in quel capolavoro di affetto e umanità con cui durante la lunga intervista aerea si riferisce a Benedetto XVI. Una risposta di tale amabile spontaneità – ed era il Papa che parlava del suo rapporto con un Papa emerito al cospetto dei media, cioè dell’incredibile davanti all’inimmaginabile! – da disintegrare in un amen quella ritrosia un po’ sdegnosa che nell’immaginario collettivo viene spesso associata al modo di porsi in pubblico del prelato di rango:

    “Lui adesso abita in Vaticano, e alcuni mi dicono: ma come si può fare questo? Due Papi in Vaticano! Ma, non ti ingombra lui? Ma lui non ti fa la rivoluzione contro? Tutte queste cose che dicono, no? Io ho trovato una frase per dire questo: ‘E’ come avere il nonno a casa’, ma il nonno saggio. Quando in una famiglia il nonno è a casa, è venerato, è amato, è ascoltato. Lui è un uomo di una prudenza! Non si immischia. Io gli ho detto tante volte: ‘Santità, lei riceva, faccia la sua vita, venga con noi’. E’ venuto per l’inaugurazione e la benedizione della statua di San Michele. Ecco, quella frase dice tutto. Per me è come avere il nonno a casa: il mio papà”.
    (Intervista sul volo papale, 28 luglio 2013)

    Ecco come parla un vescovo che non ha la mania del “principe”. È un esempio plastico: perfino con i temuti operatori dei media un Papa può essere semplice, diretto. Umile anche. Ed è in questo tipo di semplicità invocata e dimostrata da Papa Francesco che si coglie un che di profondamente cristiano. Perché in essa il continuo slancio della carità verso le persone – accompagnato da un calore sempre vivo, non importa che la circostanza sia eccellente o banale – non viene mai frenato dai meccanismi del protocollo, non soggiace a codici regali che vogliono passettini e pose austere, secondo quella secolare estetica della distanza che separa il Pontefice dalla gente e che i Papi dal Concilio in poi hanno via via ridimensionato. Con le udienze generali del mercoledì, come nell’ininterrotta apoteosi dei giorni di Copacabana, Papa Francesco il semplice ha ulteriormente eroso metri quadrati – ma che nelle abitudini vaticane valgono chilometri – a questa per lui insopportabile distanza tra sé e il suo popolo. Perché un pastore – va ripetendo – può stare avanti, in mezzo o dietro al suo gregge. Mai più in alto. Dunque, si può dire che la semplicità per Papa Francesco è una questione di spazio. È un luogo fisico, perché “Dio – ha detto – appare negli incroci”. Ed è un luogo dell’anima, cioè l’arena in cui la Chiesa vince o perde la sua partita:

    “A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile ‘pescare’ Dio nelle acque profonde del suo Mistero”. (Discorso all’episcopato brasiliano, 27 luglio 2013)

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    Il card. Tauran: la fede è una forza per costruire la pace, senza religione l'uomo diventa una merce

    ◊   La cruciale tematica della libertà religiosa, esplorata nella sua dimensione di diritto umano fondamentale minacciato da attacchi non solo cruenti ma anche subdoli, è stata al centro dell’intervento, ieri al Meeting di Rimini, del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La libertà religiosa è “un diritto umano fondamentale” ben definito dalla legislazione internazionale. Non viene concessa dallo Stato né da un governo, ma “appartiene ad ogni persona” che può esercitarla, in maniera individuale o collettiva, senza altro limite che “quello di non ledere i diritti degli altri cittadini”. La libertà di religione consiste nella possibilità, per la persona, “di scegliere una relazione con Dio” e di “decidere di vivere conformemente ad essa”. Ma questa libertà, in varie regioni del mondo, è minata da gravi insidie. Ricordando i soprusi sfociati anche negli ultimi giorni in persecuzioni e discriminazioni, il cardinale Jean-Louis Tauran ha sottolineato che sono i cristiani a vedere maggiormente lesa questa libertà. La persecuzione – ha aggiunto – può essere anche “subdola”, soprattutto nei Paesi occidentali dove sono molteplici i “tentativi di confinare la religione nel privato”. Si deve anche rilevare che i mass media, in realtà, affrontano sempre più spesso il tema della libertà religiosa:

    “Dio, che le ideologie del secolo scorso avevano estromesso, è tornato sulla scena pubblica. Dico ‘Dio’, e non parlo del ‘cristianesimo’. Inoltre, la presenza sempre più visibile dell’islam in Europa, e le azioni violente perpetrate da alcuni membri traviati di quella grande religione, sono all’origine del ritorno del ‘religioso’ in occidente, ma anche della paura che le religioni inducono spesso nella mente dell’uomo secolarizzato”.

    Una condanna precisa del terrorismo di matrice religiosa – ha poi spiegato il porporato – è quella formulata da Papa Benedetto nel 2006. “Il terrorismo – diceva – non esita a colpire persone inermi, senza alcuna distinzione, o a porre in essere ricatti disumani”. “Nessuna circostanza – aggiungeva il Papa – vale a giustificare tale attività criminosa” che è tanto più deprecabile “quando si fa scudo di una religione”. Non si può comunque prescindere da Dio – ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso – perché “l’uomo è per natura un animale religioso”: è “l’unica creatura che interroga e si interroga”. Ma mentre la religione esprime una “relazione di dipendenza della creatura rispetto al Creatore”, nel caso delle sette è “l’essere umano che pretende di dominare le forze soprannaturali a proprio beneficio”. Il vero tesoro per il credente è la fede:

    “La fede, in realtà è una forza per costruire la pace. Quando si crede che ogni persona umana ha ricevuto dal Creatore una dignità unica, che ciascuno di noi è soggetto di diritti e libertà inalienabili, che servire il prossimo significa crescere in umanità, si può comprendere quale capitale costituiscano le comunità di credenti nella costruzione di un mondo pacificato e pacifico”.

    I credenti che si incontrano, malgrado le loro diversità, costituiscono “un vantaggio per la società”: quasi tutte le religioni, infatti, predicano “la fraternità e rifiutano la violenza gratuita”. Ma oltre al contributo alla pace e all’armonia sociale, il patrimonio spirituale assicura altre ricchezze. I seguaci delle religioni – ha concluso il cardinale Tauran – possono richiamare con la loro coerenza di vita la “priorità dell’etica sulle ideologie, il primato della persona sulle cose, la superiorità della mente sulla materia”. “Togliete la religione dalla società – ha detto il porporato ricordando le parole del gesuita Luigi Taparelli – e l’uomo diventerà presto una merce”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   "La violenza nel Vicino Oriente minaccia il processo di pace", un articolo dedicato al duplice attentato in Libano, che rischia di bloccare il negoziato tra israeliani e palestinesi ripreso quest'estate dopo tre anni di interruzione.

    Grave situazione in Nigeria, dove l’esercito riferisce di decine di morti in un attacco di Boko Haran, mentre tra le due Coree ci sono segnali di disgelo; è stato riattivato il programma di ricongiunzione delle famiglie separate dalla guerra.

    Ampio spazio viene dedicato a Papa Luciani nell'anniversario della sua elezione al Soglio di Pietro, in particolare al suo pensiero sulla figura del catechista.

    "L'arte non è un capriccio", sull'opera pittorica di Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato.

    Un nuovo atto di vandalismo si è verificato nei giorni scorsi in Terra Santa ai danni della comunità cattolica; il monastero di Beit Jamal, si legge a pagina 6, è stato preso di mira da un gruppo di assalitori che hanno tentato di appiccare un incendio. La struttura sorge sul sito venerato secondo la tradizione come la tomba del protomartire Stefano ed è visitato ogni anno da migliaia di pellegrini e turisti.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: vertice in corso a Washington. L'Iran: "No a interventi militari"

    ◊   In Siria, governo e ribelli si accusano reciprocamente da giorni dell’uso di armi chimiche. La questione divide anche le diplomazie internazionali. Secondo il ministro degli Esteri francese, Fabius, tutto indica che c’è stato “un massacro chimico nei pressi di Damasco e che il regime di Assad ne è all’origine”. Il ministro ha dunque prospettato “una reazione forte”. Ma la tv di Stato siriana ha ribattuto accusando i ribelli di un nuovo attacco chimico nella regione di Damasco, nelle scorse ore. Il governo iraniano ha inoltre parlato di “prove” secondo cui i ribelli possiederebbero e avrebbero utilizzato armi di questo tipo e ha messo in guardia contro “qualsiasi intervento armato” in Siria. E la regione mediorientale, scossa anche dagli attentati di ieri a Tripoli, in Libano, costati la vita a quasi 50 persone, è l’oggetto di un vertice in corso tra il presidente statunitense Barack Obama e i suoi consiglieri. “Tutte le opzioni sono in campo”, secondo la Casa Bianca. Sugli scenari che si aprono nell’area, Davide Maggiore ha raccolto il commento di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera:

    R. – E’ tutto esplosivo e tutto ancora incerto, nonostante le pressioni della Gran Bretagna ma soprattutto della Francia: le pressioni della Francia somigliano molto a quelle che ai tempo di Sarkozy si fecero contro la Libia, ma una guerra in Siria sarebbe veramente devastante. Anche per gli Stati Uniti, qualora si dovesse decidere per un intervento armato, si rischierebbe non solo di compromettere tutti i precari equilibri della regione, ma di favorire chiaramente e apertamente un fronte sunnita con all’interno componenti estremiste. E quello che sta accadendo in Libano sta dimostrando che lo scontro è ormai diventato uno scontro assai più preoccupante tra sunniti e sciiti.

    D. – Appunto, la situazione del Libano si può descrivere come una situazione di incertezza completa: quali scenari si aprono?

    R. – Purtroppo, il coinvolgimento del Libano è – come è sempre stato – come terreno di scontro per conto terzi: nell’area di Tripoli, dove c’è una forte componente sunnita e dove anche sono barricati i sostenitori delle forze di opposizione siriane, il rischio di una proliferazione di attentati è altissimo e per il Libano sarebbe ancora una volta il precipitare in una situazione di guerra.

    D. – Le notizie che arrivano dal Libano, negli ultimi giorni, non hanno riguardato solamente il Nord libanese, dunque l’area di Tripoli, ma anche il Sud, quindi il confine con Israele. Quale ruolo può avere Israele in questo scenario che abbiamo descritto?

    R. – Israele era enormemente preoccupato della situazione egiziana: per Israele, il rischio di un Egitto destabilizzato era altissimo! L’Egitto confina – lo sappiamo – con la Striscia di Gaza e un regime molto possibilista e molto "tenero" nei confronti di Hamas avrebbe creato problemi nel suo meridione. Israele è preoccupato per la situazione siriana: se per l’Egitto oggi Israele è più garantito con la presenza dei militari di al-Sisi, in Siria – tutto sommato – meglio per Israele un Bashar al-Assad che lasciare il Paese nelle mani di una maggioranza sunnita dentro la quale sono ben evidenti forze estremiste, pericolose per lo Stato ebraico. Il segnale che è arrivato da Hezbollah con il lancio di qualche razzo nel Nord di Israele, con immediata risposta dello Stato ebraico, lascia intendere che nel caso di allargamento del conflitto torneremo a scenari che pensavamo definitivamente cassati: cioè gli scenari dell’inizio degli anni Ottanta.

    D. – C’è un arco di instabilità regionale che ormai va dal Nord della Siria fino a tutto l’Egitto. In questo scenario esiste una qualche forza – statale o non statale – che possa beneficiare della situazione o uscirne rafforzata?

    R. – Come abbiamo visto, ci sono delle scomposizioni molto strane. Per esempio, il Qatar, assieme all’Arabia Saudita, ha sostenuto il presidente egiziano Morsi, però dopo quanto è accaduto il 3 luglio il Qatar continua a sostenere Morsi mentre l’Arabia Saudita è passata a sostenere al-Sisi. Allora, abbiamo un fronte sunnita che guarda molto ad una nuova stabilità, guidato dall’Arabia Saudita, quindi sicuramente di questa situazione potranno beneficiare i sauditi. Certo, i sauditi vogliono cacciare Bashar al Assad, quindi direi che già è difficile capire il presente e fino a quando non si saranno sciolti certi nodi sarà quasi impossibile predire il futuro …

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    Giornata di preghiera per il mondo arabo. L'arcivescovo di Tunisi: i credenti di ogni fede rifiutino ideologie ed estremismi

    ◊   La Chiesa in Tunisia ha proclamato per domani una giornata di preghiera e digiuno per la pace nei Paesi arabi, teatro di violenze e scontri causati dall’instabilità politica. Alle comunità cristiane viene chiesto di esortare i fedeli, nelle omelie di domenica, a prendere parte a questa iniziativa, pregando per cristiani e musulmani. Al microfono di Elisa Sartarelli, mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi:

    R. – E’ vero che la Chiesa in Tunisia è una piccola Chiesa, però dal cuore grande. Non siamo assolutamente insensibili a quello che succede nei Pesi arabi, prima di tutto perché la Tunisia è un Paese arabo e ciò che capita ai nostri fratelli arabi – che siano cristiani o musulmani – ci riguarda da vicino. Secondo, abbiamo assistito alla sofferenza dei nostri fratelli cristiani in Egitto, in Libano, in Iraq, in tutti quei Paesi dove i cristiani stanno soffrendo. Non voglio parlare di persecuzione, perché non c’è una persecuzione vera e propria, però la sofferenza c’è. Per questo ci siamo sentiti in obbligo di offrire preghiere e digiuno al Signore, affinché metta fine a tutto questo e dia soprattutto la forza ai cristiani e ai nostri fratelli musulmani di arrivare ad un accordo e di capire che, dopotutto, sono fratelli e che adorano tutti lo stesso Dio. Siamo tutti figli dello stesso Dio e non c’è nessun motivo di combattere in una tale maniera.

    D. – Una domenica consacrata proprio alla preghiera e al digiuno per la pace nel mondo arabo…

    R. – Mi ha fatto piacere vedere che ci sono altri Paesi arabi che hanno preso questa iniziativa e l’hanno poi adottata per i loro fedeli. Come ho detto, siamo tutti figli dello stesso popolo - popolo arabo, cristiano e musulmano - e la sofferenza rimane una sofferenza per tutti.

    D. – Papa Francesco ha chiesto di pregare per l’Egitto che sta vivendo una situazione difficile…

    R. – E’ chiaro che l’Egitto in questo momento deve aver un posto particolare delle nostre preghiere. Abbiamo sentito quante chiese sono state bruciate e abbiamo anche visto come il popolo cristiano egiziano si sia comportato con grande onore e non si sia mai vendicato. Sta vivendo il Vangelo della sofferenza. Il Signore lo aveva già detto: “Sarete perseguitati anche voi e, come io porto la mia croce, la dovrete portare anche voi”. Credo sia giunto il momento per il popolo egiziano di portare la sofferenza per amore di Cristo crocifisso e dobbiamo aiutarlo noi, con la nostra preghiera e con il digiuno, affinché il Signore gli dia forza e coraggio. Preghiamo anche per i musulmani, perché anche loro soffronrifuo e sono vittime di un’ideologia che non è quella del popolo musulmano, che per natura è ancora un popolo fraterno al quale piace vivere in pace con tutti quanti. Ci sono però delle ideologie che a volte ne approfittano e che portano i fedeli all’estremismo. Questo noi lo rifiutiamo completamente, da qualsiasi parte venga.

    D. – Qual è la situazione della Tunisia in questo momento?

    R. – Attualmente, a livello politico, stiamo sul “chi va là”: la Costituzione non è stata ancora fatta e non sappiamo che piega possa prendere. Sappiamo però che la maggioranza del popolo vuole la pace e lo dice con coraggio, prendendo anche posizioni contro il governo che a volte assume pieghe un po’ estremiste. Aspettiamo, viviamo giorno per giorno. Anche qui c’è bisogno di un momento di preghiera per la pace, in modo che il futuro sia di pace anche per la Tunisia.

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    Meeting di Rimini. Guarnieri: ognuno ha dato suo contributo, continua la raccolta firme per i cristiani perseguitati

    ◊   Si sta per chiudere il Meeting di Cl a Rimini, dedicato quest'anno al tema "Emergenza Uomo". Sette giorni di dibattiti e incontri sui temi più svariati: dalla politica all'economia, passando per la libertà religiosa. Tante le personalità intervenute, che hanno ribadito l'importanza di questo avvenimento. Annunciato anche il tema della prossima edizione: "Verso le periferie del mondo e dell'esistenza. Il destino non ha lasciato solo l'uomo". Alessandro Guarasci ha intervistato Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l'Amicizia dei Popoli:

    R. - C’era tanto pubblico e sono intervenuti relatori di alto profilo. Questo è uno dei fattori che mettiamo fortemente in evidenza quest’anno. Tutti i contenuti che sono stati portati, da quelli più specificatamente culturali, ecclesiali, spirituali, fino a quelli di carattere politico ed economico sono stati reali: in questo meeting, non c’è stata passerella, neanche da parte dei ministri, delle personalità di carattere istituzionale. Hanno portato contributi pertinenti su ciò che veniva chiesto loro, che il tema fosse la scuola, piuttosto che il lavoro, l’economia, la ripresa …

    D. - Le famiglie italiane e l’Italia hanno bisogno in questo momento di stabilità?

    R. - Assolutamente sì. Le famiglie italiane, la gente, tutti, hanno bisogno di stabilità. In Italia è evidente anche ai non addetti ai lavori, ce lo continua a ridire il contesto europeo, siamo di fronte al semestre di presidenza italiana ... Sono tutte cose che vanno in un certo tipo di direzione, quella della stabilità.

    D. - Un tema importantissimo è stato quello della libertà religiosa: questo Meeting, quale aiuto può dare, affinché i cristiani siano considerati dei veri cittadini anche nei Paesi musulmani e non solo? Pensiamo all’Europa …

    R. - C’è una forma fortissima di emarginazione, di ostracismo nei confronti dell’esperienza cristiana. Tra l’altro, Papa Francesco lo ha fortemente ribadito nel messaggio che ha inviato per l’apertura del meeting, quando ha parlato di povertà dell’uomo, di mendicanza, quando ha parlato con estrema forza del fatto che il potere tende ad impossessarsi dell’uomo. Quindi che sia in atto tutto questo è chiarissimo, così come è altrettanto evidente la violenza in alcuni Paesi musulmani, la forza con la quale si tenta di impedire loro di vivere tranquillamente distruggendo chiese … Dal Meeting parte un’amicizia reale tra cristiani e musulmani, c’è stima reciproca, c’è un lavoro comune. L’altro giorno, abbiamo avuto il nostro amico Wael Farouq, egiziano musulmano, lanciare l’appello per i cristiani perseguitati. Perché appunto, da questo Meeting parte anche questo appello per i cristiani perseguitati firmato prima di tutto dal premier Letta il primo giorno in cui è venuto; firmato da tutti i personaggi, le personalità politiche ed istituzionali e culturali che sono intervenute qui al Neeting, e che è stato già firmato da decine di migliaia di persone. L’appello e la raccolta di firme continuerà anche nei prossimi mesi perché vorremmo proprio che questo contenuto sia una richiesta del riconoscimento dell’esperienza dei cristiani, della vita dei cristiani in tanti posti, come un fattore di bene per tutti, come garanzia di libertà per tutti. Vorremmo che questo appello diventasse uno dei punti importanti della presidenza italiana in Europa nel prossimo semestre.

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    Al Meeting di Rimini una mostra parla dell’inscindibile legame tra l’Armenia e la fede cristiana

    ◊   Il Meeting di Rimini il cui tema quest’anno è stato: “Emergenza uomo” ha offerto uno spazio espositivo speciale all’Armenia, terra di cultura antichissima e prima nazione ad abbracciare il cristianesimo. Titolo della mostra curata da Graziella Vigo: “Armenia, culla della cristianità”. Luca Collodi ne ha parlato con Mikayel Minasyan, ambasciatore residenziale dell'Armenia presso la Santa Sede:

    D. – L’Armenia ha una storia molto particolare vissuta ai confini di una serie di grandi imperi: l’Impero romano, l’Impero persiano, quello arabo, l’ottomano, ma anche quello russo. E’ un popolo che però ha avuto una grande resistenza. La fede quanto ha contato in questo vostro mantenere l’identità cristiana?

    R. – E’ molto difficile per un armeno esprimere cosa vuol dire essere armeno e non essere cristiano: non ci sono armeni non cristiani; se non sei cristiano, non sei più armeno.

    D. – Perché questo forte collegamento tra fede e identità?

    R. – Perché noi siamo un popolo molto antico, ma abbiamo sempre vissuto in un andirivieni, in un crocevia. L’unico modo per mantenere la nostra identità è stato l’attaccamento ai nostri valori. I nostri valori sono quelli che adesso noi chiamiamo valori cristiani. Lei deve capire anche che il popolo armeno non è un popolo attaccato al territorio, perché in realtà il territorio per noi è tutto il mondo. Ora siamo più o meno 3 milioni in Armenia e, secondo le statistiche, nove milioni nel mondo.

    D. – Come vedete, con questa cultura, con questa fede, il momento che sta attraversando l’Occidente?

    R. – Non è un caso che la mostra sull’Armenia e sul Nagorno Karabakh sia ospitata dal Meeting di Rimini del 2013, perché il Meeting è sull’uomo, sull’uomo nel mondo moderno, sul ritrovarsi dell’uomo. Noi guardiamo con gioia a questo tentativo dell’Europa di ritrovare se stessa, perché viviamo una realtà dove l’uomo è al centro dell’Universo. Siccome – ripeto – non avevamo uno Stato forte, non avevamo una filosofia politica forte, tutto ciò che avevamo era l’essere umano, la famiglia, i valori. Noi diciamo che, andando verso il futuro insieme, troveremo i nostri antichi valori, i nostri veri valori e con questi sarà più facile vivere.

    D. – Che tipo di Chiesa troviamo in Armenia?

    R. – E’ una Chiesa che aiuta a pensare, è una Chiesa che aiuta a pregare, forse una Chiesa molto all’antica; dal punto di vista architettonico è una Chiesa molto più solida, molto più robusta, perché costruita in modo tale da non essere distrutta: è una chiesa scavata nella roccia, è una Chiesa molto, molto sobria; è una Chiesa, se vogliamo, che sa di nonna e nello stesso tempo che sa d’infanzia.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella 21.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù afferma che nel regno dei cieli si entra per la porta stretta e che molti cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno:

    “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Il Vangelo di oggi è una pagina di “capovolgimenti divini”, che non sono un gioco letterario, ma toccano esistenzialmente la vita: da una parte Gesù chiede di sforzarsi di entrare per la porta stretta, perché “molti” cercheranno di entrare e non vi riusciranno; dall’altra afferma: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio”. A questi “pochi” che entrano, si contrappongono i “molti” che accorrono gioiosamente da tutte le parti! Ancora: da una parte c’è chi si sente già col biglietto d’ingresso assicurato – perché pensa di far parte del popolo di Dio –, che si sente dire duramente: “Voi, non so di dove siete! Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Dall’altra c’è la gioiosa, gratuita esultanza di chi da “ultimo”, si vede posto tra i “primi”. Capovolgimento evangelico, dicevamo: chi ha considerato il combattimento per la vita divina in noi una cosa da non prendere troppo sul serio, o addirittura una perdita di tempo, ora è come addormentato, trascinato via da altre cose e giunge quando la porta di casa è già stata chiusa; mentre i “molti” che si sono affrettati ad entrare, sono ora seduti gioiosamente a mensa nel Regno di Dio. L’annuncio del Vangelo ci dice che il tempo si è fatto breve. Il popolo che prende posto al banchetto, già anticipato nella mensa eucaristica, è un popolo nuovo, senza la polvere delle cose sul cuore, un popolo pieno di Dio: gioioso di obbedire alla grazia del suo battesimo. Affrettiamoci, lottiamo anche noi, se non vogliamo correre il rischio di restare fuori!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Malaysia. Governo contro Chiesa sull’uso del termine “Allah” per i cristiani: parte il processo di appello

    ◊   La controversia giudiziaria sull’uso del termine “Allah” nelle pubblicazioni cristiane sarà esaminata nel processo di appello nell’udienza del prossimo 10 settembre. Come riferito da Fides, è questo il risultato della decisione della Corte di Appello di Putrajaya, che ha convalidato il ricorso presentato dal governo malaysiano, dando il via al processo di appello. L’appello è contro una sentenza del 31 dicembre 2009, che autorizza i cristiani a usare la parola “Allah” nelle loro pubblicazioni in lingua malay. A circa tre anni da quella sentenza, la questione restava aperta e sospesa. La Chiesa cattolica, nella persona del suo rappresentante, mons. Murphy Pakiam, arcivescovo di Kuala Lumpur, aveva chiesto, per cercare di sbloccarla, l’annullamento del ricorso inoltrato dal governo. La convalida da parte della Corte apre ora la strada a un giudizio di merito sulla questione che, secondo la Chiesa cattolica malaysiana, tocca la sfera dei diritti e della libertà religiosa. Il processo vedrà opposti da un lato l’arcivescovo di Kuala Lumpur, in qualità di responsabile del settimanale cattolico diocesano “Herald”, e dall’altro il governo malaysiano. P. Lawrence Andrew, direttore dell’Herald, ha dichiarato che “la Chiesa non ne ha mai voluto fare un caso politico né un motivo di conflitto religioso”. Ma attivisti di “Perkasa”, organizzazione nazionalista musulmana, hanno manifestato pubblicamente cercando di influenzare i giudici e il caso potrebbe essere facilmente strumentalizzato. Il segretario generale di Perkasa, Syed Hassan Syed Ali, ha alzato i toni chiedendo “l’unità di tutti i musulmani della Malaysia per la causa di Allah”. In tal modo “ha alimentato tensioni religiose creando paura e confusione fra i fedeli musulmani, affermando che la Chiesa minaccia la santità dell’islam”, nota p. Andrew, rimarcando che la Chiesa “invita le autorità competenti a prendere provvedimenti verso quanti creano instabilità e inquietudine, sfruttando la questione che circonda l'uso della parola Allah”. Il primo ministro Najib Razak nei giorni scorsi ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica, dicendo che “la Malaysia non è diventata uno Stato islamico ortodosso” è che “è importante capire le sensibilità religiosa di tutti”. Il caso era scoppiato nel 2008 quando il Ministero dell'Interno minacciò di revocare al settimanale diocesano di Kuala Lumpur, “Herald”, il permesso di utilizzare nella sua pubblicazione il termine “Allah”, l’unico che indica “Dio” nel lingua locale malay. Questo spinse la Chiesa cattolica ad avviare un procedimento giudiziario. Nel 2009 il verdetto del Tribunale diede ragione alla Chiesa, e il governo presentò domanda di appello finora rimasta sospesa, senza cioè che la Corte fissasse una udienza.

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    Indonesia. Cresce l’intolleranza religiosa, il presidente Yudhoyono: è responsabilità collettiva

    ◊   Il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono si è detto preoccupato dalla crescente intolleranza religiosa in Indonesia e ha promesso che il paese difenderà le minoranze religiose e la libertà religiosa. La questione della crescente intolleranza religiosa, che ha agitato l’Indonesia nell’ultimo anno, è stata al centro del recente discorso annuale del presidente al Parlamento, che ha un valore programmatico per il governo. Visto il verificarsi di attacchi sempre più violenti contro le minoranze religiose, come cristiani, musulmani sciiti e ahmadi (piccola setta considerata eretica dall’islam), nei mesi scorsi leader religiosi hanno criticato apertamente il presidente definendolo “complice del clima d’intolleranza”, e stigmatizzando l’inerzia del governo nel prevenire e fermare tali attacchi. “Sono molto preoccupato per i continui episodi di intolleranza e di conflitto fra comunità”, ha detto Yudhoyono ha detto nel suo discorso, inviato a Fides. “Dobbiamo essere in grado di prevenirli”, ha affermato, invocando una “responsabilità collettiva di governo e istituzioni religiose”. “Non possiamo giustificare l'imposizione del credo religioso su una minoranza” ha detto, aggiungendo che “ogni cittadino deve rispettare la Costituzione che garantisce la libertà di religione”. L’Indonesia, ha ribadito, è un paese pluralista che è sempre stato campione di dialogo fra civiltà e religioni: per questo “urge evitare scontri e violenze, che possono disturbare la pace nella nostra società e la nostra unità nazionale”. Le osservazioni del presidente giungono mentre la sua amministrazione è criticata per non aver arginato i casi di intolleranza, aumentati costantemente negli ultimi quattro anni. Secondo un Rapporto del “Wahid Institute”, che promuove il pluralismo e l'islam pacifico, i casi di intolleranza religiosa in Indonesia sono stati 274 nel 2012, 267 del 2011, 184 nel 2010 e 121 nel 2009.

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    Filippine: corruzione, al via la riforma dei fondi per i parlamentari

    ◊   Davanti alla crescente ostilità popolare e dei media e al rischio di una manifestazione che secondo i promotori potrebbe portare lunedì davanti al palazzo presidenziale un milione di filippini, il presidente Benigno Aquino III ha acconsentito alla riforma del sistema che finora ha permesso ai parlamentari di utilizzare in modo discrezionale nei loro distretti elettorali milioni di dollari di fondi per le emergenze e lo sviluppo. Ampi sprechi del denaro - spiega la Misna - pubblico erano già stati denunciati in passato ma il fenomeno si è accentuato negli ultimi tempi fino allo scandalo che ha visto coinvolta una nota donna d’affari del paese che avrebbe aiutato diversi politici a incanalare fondi pubblici in attività illegali. Una verifica contabile ha dimostrato che nell’ultimo triennio, 141 milioni di dollari sono finiti a istituzioni o progetti fantasma, comunque lontani dagli scopi per cui il fondo è stato costituito. In particolare negli ultimi giorni, una parte consistente della stampa, della società civile e la Chiesa si è detta contraria a un’istituzione che alimenta la corruzione e – come sottolineato da un duro intervento del cardinale e arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle – “va ancora una volta a scapito dei poveri che dovrebbero essere i primi referenti degli eletti in parlamento”.

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    Bolivia. Violenze nel carcere di Palmasola: 30 morti. I vescovi: risolvere questione sovraffollamento

    ◊   Piena condanna e profondo rammarico per la violenza ma anche critiche e preoccupazioni per la questione del sovraffollamento di detenuti nelle carceri: è quanto hanno espresso i vescovi boliviani in un comunicato che stigmatizza la violenza esplosa nel carcere di Palmasola, nella città di Santa Cruz, che ha causato oltre 30 morti (fra i quali un bambino) e numerosi feriti. Secondo le ricostruzioni della polizia, si è trattato di una lite fra detenuti che è sfociata nell’incendio di una sezione del carcere, che ospita oltre 5.000 detenuti. La Chiesa boliviana, in un nota ufficiale inviata a Fides, “condanna la violenza, da qualunque parte provenga e in tutte le sue forme. I boliviani devono perseverare nel dialogo responsabile e nella pratica del perdono e della riconciliazione tra fratelli”, si legge. “Questi eventi – prosegue la nota ufficiale, firmata mons. Eugenio Scarpellini, segretario generale della Conferenza Episcopale Boliviana – evidenziano ancora una volta la carenza di infrastrutture e il grave sovraffollamento carcerario, che può essere un innesco potente per la violenza e per tragedie come questa”. Dicendosi “solidali con le famiglie delle vittime e dei feriti” ed elevando “preghiere di suffragio per le vittime e la pronta guarigione dei feriti”, la Conferenza Episcopale esprime alle autorità del governo “piena disponibilità a fornire assistenza tempestiva per le riforme necessarie al sistema giudiziario e carcerario, al fine di affrontare le cause strutturali di tali eventi”. Sono “episodi dolorosi” che devono essere “una lezione per migliorare l’amministrazione della giustizia e del sistema carcerario nel nostro paese”. I vescovi “aggiungono la loro voce alle molte richieste di chiarimento, al fine di individuare cause e responsabili”, e chiedono che tali episodi non si ripetano in futuro. “Ai fratelli detenuti, figli di Dio – dicono i vescovi – rivolgiamo l’invito a crescere nella fraternità, nella solidarietà e nel rifiuto di odio, brama di potere e di vendetta”.

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    Burkina Faso. Visita dell'arcivescovo di Ouagadougou nel carcere della capitale

    ◊   Le persone emarginate contano agli occhi di Dio e meritano attenzione: è quanto ha affermato mons. Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou, nel Burkina Faso, che la scorsa settimana ha fatto visita ai detenuti del carcere della sua arcidiocesi. Il presule, riferisce il portale www.lepays.bf, ha celebrato una Messa ed ha poi offerto il pranzo agli ospiti della struttura penitenziaria, grazie alla generosità di diversi fedeli. Mons. Ouédraogo, che ogni anno fa visita ai detenuti in occasione del Natale, della Pasqua e dell’Assunzione, ha esortato a vivere nella fede, nell’amore e nella carità. Roger Gouba, rappresentante dei detenuti, ha espresso particolare apprezzamento per l’iniziativa dell’arcivescovo Ouédraogo ed ha affermato che le visite frequenti del presule interpellano ad una conversione vera. (T.C.)

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    Congo. Colpi di mortaio sulla popolazione civile a Goma, 2 vittime

    ◊   Nuovi scontri a Goma, nella Repubblica democratica del Congo: negli ultimi tre giorni sono caduti diversi colpi di artiglieria su zone civili residenziali e sui campi profughi. Il bilancio, al momento, è di due vittime. Il lancio dei proiettili d'artiglieria contro la popolazione segue la ripresa degli scontri tra i ribelli indipendentisti del gruppo M23 e l'esercito regolare. L’Onu non è riuscito a verificare l’origine del fuoco ma il portavoce dei ribelli ha accusato la controparte di aver lanciato l’attacco, sostenendo che i colpi fossero diretti contro una comunità di Goma proveniente dal Ruanda. La situazione nello Stato congolese del Nord-Kivu, di cui la città di Goma è la capitale, è sempre più tesa: i ribelli sono attivi dal maggio 2012 e sono arrivati ad assediare a più riprese la città. La popolazione è allo stremo, le campagne sono incolte mentre i campi profughi intorno a città e villaggi sono pieni oltre l’immaginabile. Anche sul piano internazionale il conflitto potrebbe estendersi ancora, perché il governo della Repubblica democratica del Congo accusa Ruanda e Uganda di sostenere i ribelli M23 per approfittare della ricca area del Nord-Kivu. (D.P.)

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    Angola. L'arcidiocesi di Lubango promuove l'incontro delle scuole cattoliche

    ◊   Nell’arcidiocesi di Lubango, una delle più grandi dell'Angola, è in corso l'incontro delle scuole cattoliche. Circa 120 rappresentanti degli istituti formativi dell'arcidiocesi presenti. Il tema dell'incontro riflette sui lineamenti della Chiesa per le scuole cattoliche e i nuovi protocolli firmati tra Chiesa e governo nell'ambito del Piano educativo, come spiega il responsabile pastorale, padre Armindo Wilson dos Santos Dunguionga: "Vogliamo chiarire alcuni punti che ancora mi sembrano non siano stati ben capiti da alcune scuole". Durante la Settimana Nazionale delle Scuole Cattoliche che ha avuto luogo nella capitale Luanda nello scorso mese di giugno, sono state rese pubbliche informazioni aggiornate sul panorama dell'educazione cattolica nel Paese. Nel periodo tra il 2009 e il 2012, la Chiesa angolana ha costruito cinquanta nuove scuole primarie e più di venti scuole medie nel Paese. Il vicario episcopale per le Scuole Cattoliche dell'Arcidiocesi di Luanda, padre Orlando Martins, ha anche riferito che soltanto nella capitale sono state costruite dieci scuole. "Gli sforzi della Chiesa non si limitano a costruire scuole. Vogliamo promuovere lo sviluppo etico, morale, civico e patriottico dei nostri allievi". (R.B.)

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    Mongolia. La Chiesa commemora i rapporti diplomatici con la Francia avviati dal re San Luigi IX

    ◊   Una Messa in francese celebrata nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Ulan Bator: così la Chiesa della Mongolia commemora, questa domenica, l’inizio dei rapporti diplomatici con la Francia, avviati nel XIII sec. dal re Luigi IX, canonizzato poi da Papa Bonifacio VIII. Era, infatti, il 1249 quando il re di Francia, impegnato nella settima Crociata, inviò in Mongolia il padre domenicano André de Longjumeau, alla ricerca di un’alleanza militare contro il mondo islamico. Una seconda missione diplomatica fu inviata nel 1253, accompagnata da un altro domenicano, padre Barthélémy de Crèmone, al quale fu permesso di entrare, primo missionario cristiano d’Occidente, nella capitale mongola di Karakorum. I rapporti diplomatici tra Francia e Mongolia proseguirono, quindi, fino al regno di Filippo il Bello, che rimase sul trono dal 1268 al 1314. Seguirà, poi, un periodo in cui i legami tra i due Paesi si faranno sempre più tenui, fino al 1965, quando la Francia riconoscerà ufficialmente la Mongolia. L’anno seguente, a Ulan Bator, viene aperta ufficialmente l’ambasciata francese. Dopo la rivoluzione democratica del 1990, le relazioni franco-mongole si sono ulteriormente sviluppate, anche dal punto di vista economico, grazie all’apertura di imprese d’Oltralpe nel Paese asiatico. Un uguale sviluppo si è riscontrato nella Chiesa cattolica, che nel 2012 ha celebrato i vent’anni di presenza nel Paese. La prima missione, infatti, venne avviata nel 1992 da mons. Wenceslao Padilla, allora Nunzio apostolico in Corea del Sud, che arrivò a Ulan Bator insieme a due confratelli della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria. Oggi sono 64 i missionari, provenienti da diciotto nazioni, che lavorano con la comunità locale. Sei le parrocchie presenti nel Paese, di cui l’ultima, intitolata a Santa Sofia, è stata inaugurata proprio lo scorso anno. Esistono inoltre diverse scuole cattoliche, soprattutto per i meno abbienti, ed un Centro tecnico Don Bosco, che offre un'alternativa agli studi classici. Quanto ai cristiani, secondo le ultime stime sono pari al 2% della popolazione, mentre i cattolici battezzati raggiungono le 835 unità. (I.P.)

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    A Bergamo la 64.ma Settimana liturgica nazionale sul tema "Cose nuove e cose antiche"

    ◊   Comincia lunedì 26 agosto a Bergamo la 64.ma Settimana liturgica nazionale, sul tema “Cose nuove e cose antiche. La liturgia a 50 anni dal Concilio”. “Nell’anno che celebra l’anniversario dell’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II -si legge in una nota - sembra una scelta quasi dovuta quella di dedicare la Settimana Liturgica a una memoria ragionata della riforma liturgica, primo frutto concreto dei lavori conciliari, e un bilancio sereno e obiettivo della sua applicazione pastorale. I due momenti (quello delle intenzioni profonde della riforma e quello della sua attuazione) si sono, difatti, susseguiti con una repentinità che certamente ha impresso slancio e cordialità immediati al bisogno di una riforma della liturgia per la vita della Chiesa ma, nello stesso tempo, ha portato con sé un impeto talvolta impermeabile al bisogno di un paziente e prolungato accompagnamento teologico e pastorale. La Settimana Liturgica intende quindi entrare nel merito di una ripresa della riforma liturgica sotto questo duplice profilo: mettere in evidenza il senso teologico dei principali aspetti dell’evento conciliare e verificare la posta in gioco del significato del linguaggio liturgico nell’attuale contesto culturale.

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    Assisi. Settimana nazionale di formazione e spiritualità missionaria organizzata dalla Cei

    ◊   Lunedì 26 agosto si apre ad Assisi, l’11.ma Settimana nazionale di formazione e spiritualità missionaria, organizzata dalla Conferenza episcopale italiana, sul tema “Sulle strade del mondo – Con il Vangelo nelle ricerche degli uomini”. “I cristiani - si legge in un comunicato - si accompagnano a uomini che tracciano strade buone, vivono in mezzo a loro e come loro. Questa la condizione imprescindibile dell'annuncio del Vangelo affinché parli agli uomini e alle donne di oggi”. “Le strade del mondo – prosegue il testo - dicono la vita quotidiana, la speranza, e talvolta anche lo smarrimento dell'uomo contemporaneo. Non si tratta di abdicare all'istanza critica del Vangelo - che prima di tutto investe noi - ma di fare dell'uomo e della storia, in fedeltà al Maestro di Nazaret, le vie maestre della missione”. Questa la proposta rivolta a tutti gli operatori della missione: “Prima di tutto ai missionari e alle missionarie che si trovano in Italia per le vacanze o per qualche servizio ai propri Istituti; ai Centri Missionari delle diocesi e ai loro direttori e collaboratori; a gruppi, movimenti, ONG e aggregazioni ecclesiali impegnati nel vasto campo missionario (per noi europei mai così vasto, visto che ormai riguarda in tutta evidenza anche l'Europa, come hanno detto i Vescovi nel recente Sinodo sulla nuova evangelizzazione!); agli animatori missionari dei gruppi parrocchiali e dei vari gruppi di sostegno alle missioni presenti ovunque nella nostra ancora generosa Italia. Insomma, ci rivolgiamo ai molti che hanno a cuore il Vangelo e il suo annuncio di fraternità per tutti”.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 236

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.