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Sommario del 22/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco promuove un incontro in Vaticano sulla piaga del traffico di esseri umani
  • Guerra in Siria. Mons. Tomasi: sì al dialogo, no a intervento armato
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il regime siriano nega il ricorso alle armi chimiche. Parigi: se attacco confermato, usare la forza
  • Egitto: scarcerazione dell'ex presidente Mubarak, cortei di protesta al Cairo
  • Il vescovo copto di Luxor: "Si ascolti l'appello di pace del Papa per l'Egitto"
  • Mons. Machado: i cristiani dell'Orissa vivono nella paura, ma la Chiesa lavora per la riconciliazione
  • Crisi in Centrafrica. La testimonianza di una suora comboniana: la gente in preda al terrore
  • La vicenda Berlusconi al Meeting di Rimini, braccio di ferro tra Pd e Pdl
  • Meeting di Rimini, Mario Mauro: l'impegno di pace dell'Italia all'estero prosegue
  • Save the Children: nel mondo sono 5 milioni i minori vittime della tratta
  • Focolaio di aviaria nel Bolognese, 500mila galline da abbattere
  • Si è concluso il pellegrinaggio dei giovani cattolici di lingua ebraica sulle orme di San Paolo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Solidarietà dei vescovi svizzeri per i cristiani in Egitto
  • Nigeria. Appello di pace dei leader cristiani e musulmani dello Stato del Plateau
  • Nuova Zelanda. I vescovi: Costituzione faccia riferimento a dignità persona e rispetto vita
  • Corea del Nord. Prima visita dopo 21 anni del presidente della Croce Rossa internazionale
  • Ecuador: nel Paese lavorano 4,2 milioni di minori, il 10% in attività ad alto rischio
  • Cuba. Nuova dedicazione della Cappella di San Tarcisio, a Manzanillo, tornata alla Chiesa cattolica
  • L’arcivescovo di Kampala ai sacerdoti: rafforzare il sacramento della riconciliazione
  • Francia. L’Oeuvre d’Orient organizza tre mostre dedicate ai cristiani orientali
  • Castel Gandolfo: sabato le celebrazioni per la Madonna del Lago presiedute da mons. Gänswein
  • Italia. Siglato protocollo d’intesa tra la Tavola valdese e il Ministero dei Beni culturali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco promuove un incontro in Vaticano sulla piaga del traffico di esseri umani

    ◊   Seguendo un desiderio espresso da Papa Francesco, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, insieme alla FIAMC (Federazione Mondiale delle Associazioni Mediche Cattoliche) organizzano, presso la Casina Pio IV, il 2 e 3 novembre 2013, un gruppo di lavoro preparatorio per analizzare il traffico di esseri umani e la schiavitù moderna e stabilirne sia la reale situazione che un piano d'azione per combatterli.

    Oggi - spiega mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze – “le scienze naturali possono fornire nuovi strumenti da impiegare contro questa nuova forma di schiavitù, quali un registro digitale per confrontare il DNA dei bambini scomparsi non identificati (inclusi i casi di adozione illegale) con quello dei loro familiari che ne hanno denunciato la scomparsa”. Nessuno – prosegue - può negare che "la tratta di esseri umani costituisce un terribile reato contro la dignità umana e una grave violazione dei diritti umani fondamentali" e che, in questo nuovo secolo, funge da acceleratore della creazione di patrimoni criminali. Il Concilio Vaticano II affermava già che "la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili" sono "vergognose", "guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano" e "ledono grandemente l'onore del Creatore". In uno dei pochi documenti del Magistero dei Papi su questo tema, citato in apertura, il Beato Giovanni Paolo II ha aggiunto che "queste situazioni sono un affronto ai valori fondamentali condivisi da tutte le culture e da tutti i popoli, valori radicati nella natura stessa della persona umana", affermando inoltre che l'argomento è di importanza centrale per le scienze sociali e le scienze naturali nel contesto della globalizzazione. "L'aumento allarmante del commercio di esseri umani è uno dei pressanti problemi economici, sociali e politici associati al processo di globalizzazione. È una grave minaccia per la sicurezza delle singole nazioni e un'improcrastinabile questione di giustizia internazionale".

    Secondo il recente Rapporto dell'UNODC 2012 sul Traffico di Esseri Umani – afferma mons. Sorondo - l'ONU ha iniziato ad essere consapevole di questo crimine crescente solo nel 2000, insieme con gli effetti emergenti della globalizzazione e ha, successivamente, preparato un Protocollo sulla Prevenzione, Soppressione e Persecuzione del Traffico di Esseri Umani, in particolar modo donne e bambini, adottato congiuntamente alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale, firmato da 117 parti. Secondo il Rapporto 2012, tra il 2002 e il 2010 l'Organizzazione Internazionale del Lavoro stima "che, globalmente, sono 20,9 milioni le vittime del lavoro forzato. Questa stima include anche le vittime della tratta di persone a scopo di manodopera e sfruttamento sessuale". Ogni anno, secondo le stime, circa 2 milioni di persone sono vittime del traffico sessuale, il 60% delle quali sono ragazze. Il traffico di organi umani raggiunge quasi l'1% di questa cifra, colpendo quindi circa 20.000 persone a cui, con diverse forme di inganno, vengono estratti, in maniera illegale, organi come fegato, reni, pancreas, cornea, polmone e persino il cuore, non senza la complicità di medici, infermieri e altro personale, che si sono invece impegnati a seguire il giuramento di Ippocrate: Primum non nocere. Ma queste cifre agghiaccianti "rappresentano solo la punta dell'iceberg, dal momento che i criminali in genere fanno di tutto per non far scoprire le loro attività".

    Alcuni osservatori – sottolinea mons. Sorondo - sostengono che, tra pochi anni, la tratta di persone supererà il traffico di droga e di armi, diventando così l'attività criminale più lucrativa del mondo. Tuttavia le tendenze recenti indicano che il traffico di esseri umani abbia già raggiunto il primo posto, perché, lungi dall'essere un crimine sociale in declino, la sua presenza si fa sempre più minacciosa. La tratta internazionale a sfondo sessuale non è limitata alle zone povere e sottosviluppate ma si estende virtualmente a tutte le regioni del mondo. Mentre i paesi con una grande (spesso legale) industria del sesso generano la domanda della tratta di donne, ragazze e bambine, sono i paesi economicamente più depressi quelli che li riforniscono maggiormente. È qui, infatti, che i trafficanti possono reclutare le vittime con maggior facilità. Le regioni d'origine della maggior parte delle vittime dello sfruttamento sessuale sono le ex repubbliche sovietiche, l'Asia e l'America Latina.

    A causa dello scandalo umano e morale che incarnano e degli interessi coinvolti, che portano al pessimismo e alla rassegnazione, molte istituzioni internazionali hanno voltato le spalle a questa tragedia. “E' quindi importante per la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e la Federazione Mondiale delle Associazioni Mediche Cattoliche – prosegue mons. Sorondo - seguire direttamente, sine glossa, il desiderio del Papa”. “Dobbiamo quindi essere grati a Papa Francesco di aver individuato uno dei più importanti drammi sociali del nostro tempo e di aver avuto abbastanza fiducia nelle nostre istituzioni cattoliche da chiederci di organizzare questo gruppo di lavoro.

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    Guerra in Siria. Mons. Tomasi: sì al dialogo, no a intervento armato

    ◊   La crisi in Siria si aggrava e rischia di allargarsi dopo le immagini sconvolgenti di morte giunte ieri dal Paese con la possibilità che siano state usate armi chimiche contro i civili, compresi donne e bambini. Civili che stanno sempre più fuggendo dalla Siria creando un dramma nel dramma. Ascoltiamo in proposito la riflessione di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, al microfono di Sergio Centofanti:

    R. – La comunità internazionale si sta giustamente preoccupando per gli ultimi sviluppi in Siria, che hanno fatto decine e decine di morti. Primo punto da osservare mi pare sia quello che il Santo Padre ha già sottolineato e cioè che la violenza non porta a nessuna soluzione e che quindi bisogna riprendere il dialogo per poter arrivare a Ginevra 2, dove i rappresentanti di tutte le componenti della società siriana possano essere presenti, esporre le loro ragioni e insieme creare una specie di governo di transizione. Per ottenere quest’obiettivo non si possono mettere condizioni che rendano di fatto impossibile questa iniziativa, come escludere l’uno o l’altro dei gruppi che sono coinvolti. Mi pare che questo sforzo sia assolutamente necessario per fermare la violenza. Occorre anche non continuare ad inviare armi sia all’opposizione che al governo. Non si crea certamente la pace, infatti, portando nuove armi a questa gente. Mi pare poi che per arrivare ad una giusta soluzione si debba evitare una lettura parziale della realtà della Siria e del Medio Oriente in generale. Ho l’impressione che la stampa e i grandi mezzi di comunicazione non considerino tutti gli aspetti che creano questa situazione di violenza e di continuo conflitto. Abbiamo visto in Egitto il caso dei Fratelli Musulmani, dove l’appoggio indiscriminato a loro ha portato ad altra violenza. Ci sono degli interessi ovvi: chi vuole un governo sunnita in Siria; chi vuole mantenere una partecipazione di tutte le minoranze. Bisognerebbe, quindi, partire dal concetto di cittadinanza, rispettare ogni cittadino come cittadino del Paese, e poi lasciare che le identità religiose, etniche, politiche, si sviluppino in un contesto di dialogo.

    D. – In Siria ora si parla di attacchi con armi chimiche, anche se Damasco smentisce categoricamente...

    R. – Non bisogna accelerare un giudizio senza avere sufficiente evidenza. La comunità internazionale, attraverso gli osservatori delle Nazioni Unite, che sono già presenti in Siria, potrebbe far luce su questa nuova tragedia. Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?

    D. – C’è addirittura chi parla d’intervento armato, se fosse confermato l’attacco chimico...

    R. – L’esperienza di simili interventi in Medio Oriente, in Iraq, in Afghanistan, mostrano che la strada dell’intervento armato non ha portato nessun risultato costruttivo. Rimane valido il principio: con la guerra si perde tutto.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per un Egitto unito e tollerante: appello dei Patriarchi e dei capi delle Chiese in Gerusalemme.

    In fuga da guerra e miseria, alla ricerca di un futuro: nell'informazione vaticana, il vescovo Joseph Kalthiparambil, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, su soluzioni durevoli al dramma di profughi e rifugiati.

    Sul conflitto siriano l'ombra delle armi chimiche.

    Pensieri in libera uscita: in cultura, Oddone Camerana sugli antichi Greci e l'interpretazione dei sogni.

    Storia senz'anima: Eugenio Capozzi riguardo alla non convincente analisi di Ian F. W. Beckett sulla Grande Guerra.

    Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo "Furia iconoclasta nella terra dei faraoni": dall'Egitto un grido d'allarme per il patrimonio culturale in pericolo.

    Un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Nell'abisso del male con gioielli in nero": i dieci film noir che hanno fatto la storia del cinema.

    Artista dei nuovi linguaggi: Micol Forti ricorda Paolo Rosa, uno dei fondatori di Studio Azzurro a Milano.

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    Oggi in Primo Piano



    Il regime siriano nega il ricorso alle armi chimiche. Parigi: se attacco confermato, usare la forza

    ◊   Una grave escalation del conflitto in Siria. Così l’Onu ha commentato il possibile impiego di armi chimiche nel Paese, dopo la denuncia dell’opposizione di un attacco con gas nervino, vicino Damasco, che avrebbe provocato oltre 1200 morti. “Si tratterebbe di un suicidio politico”, replica il governo siriano che, secondo Mosca, sarebbe pronto alla massima collaborazione con gli ispettori Onu presenti nel Paese. Proprio alle Nazioni Unite si è rivolta la Lega Araba chiedendo di convocare d'urgenza una sessione del Consiglio di Sicurezza per adottare il cessate il fuoco. Da parte sua, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha affermato che se gli attacchi con armi chimiche in Siria fossero confermati, sarebbe necessario rispondere con la forza. Ma è plausibile il ricorso alle armi chimiche da parte di Assad? Al microfono di Benedetta Capelli risponde Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:

    R. – In guerra, purtroppo, avviene di tutto. In primo luogo, la prima vittima è la verità e quindi tutte le informazioni che arrivano sulle stragi perpetrate da una parte e dall’altra, vanno prese con estrema cautela. Pertanto, mi sembra giusto e doveroso che ci sia una commissione internazionale veramente indipendente che appuri quello che è successo. Detto questo, va ricordato che certamente la Siria è uno di quei Paesi che non ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche, e ha un arsenale di queste armi: ma non è l’unico Paese che non ha firmato. Israele e Myanmar, per esempio, non l’hanno ratificata, altri Paesi come Angola, Egitto, Corea del Nord, Sud Sudan non hanno firmato la Convenzione … Né va dimenticato, però, che le armi chimiche – purtroppo – uccidono analogamente ad un bombardamento di tipo convenzionale. Le vittime, in queste guerre senza confini, senza limiti, combattute in modo anche terroristico sono per l’80 per cento civili.

    D. – In Siria, ci sono gli ispettori Onu che stanno valutando proprio l’uso di armi chimiche in questo conflitto. Non è un caso che questo attacco arrivi proprio in concomitanza con questa missione?

    R. – Questo può essere, può rientrare in quella dietrologia per cui può essere qualcun altro che l’ha usato per mettere in difficoltà il regime che comunque riesce a resistere alla rivolta armata. Anche nel caso in cui fosse dimostrato che Assad abbia usato le armi chimiche contro la propria popolazione, il che mostrerebbe un cinismo pari a quello delle armi convenzionali, che cosa si vuole fare? Si vuole mandare un nuovo corpo di spedizione militare ad incrementare il conflitto che c’è in quel territorio? O si ritiene invece più opportuno cercare di fare un’azione diplomatica sempre più stringente su tutte e due le parti? Non dimentichiamo, infatti, che i massacri vengono compiuti da una parte e dall’altra, purtroppo …

    D. – La Francia ha affermato che se gli attacchi con armi chimiche in Siria fossero confermati e il Consiglio di Sicurezza non riuscisse a prendere alcuna decisione, sarebbe necessario rispondere con la forza. Siamo proprio ad un punto di svolta del conflitto, secondo lei?

    R. – Potrebbe essere: non è la prima volta che la Francia preme per un intervento militare armato, diretto o indiretto. Da tempo si è detto che se fosse stato provato l’uso delle armi chimiche, la comunità internazionale sarebbe intervenuta. Il problema è, ancora una volta, che se le Nazioni Unite non decidono, decide qualcun altro al posto loro: è un’ulteriore delegittimazione di questo organismo internazionale ma anche rispetto all’Unione Europea. La posizione della Francia infatti non è la posizione dell’Unione Europea, che non si è espressa in tal senso e quindi è anche un’ulteriore delegittimazione – purtroppo – dell’Unione Europea.

    D. – E la linea rossa di Obama – intervento in Siria di fronte all’uso di armi chimiche – è stata, secondo lei, oltrepassata?

    R. – Può darsi che gli Stati Uniti vogliano in qualche modo intervenire, ma almeno finora abbiamo visto un Obama molto prudente, tutto considerato, rispetto a questa vicenda. Quello che sappiamo è che sicuramente c’è un sostegno di forniture di armamenti, c’è un sostegno dal punto di vista della disponibilità di consiglieri … ma non dimentichiamo che in quell’area si sta giocando una partita che non è solamente locale, ma in cui c’entra l’Iran, c’entra la Russia – alleato storico della Siria – e quindi il gioco è molto più complesso e la partita geopolitica è molto più ampia.

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    Egitto: scarcerazione dell'ex presidente Mubarak, cortei di protesta al Cairo

    ◊   Gli occhi della comunità internazionale sono puntati anche sull’Egitto, dove oggi è stata avviata la scarcerazione di Hosni Mubarak. L'ex presidente verrà trasferito in ospedale a causa delle sue condizioni di salute per poi recarsi in una sua villa a Sharm el Sheik sul Mar Rosso per rimanere agli arresti domiciliari fino ad una nuova sentenza che potrebbe ridargli la libertà definitiva. Cortei di protesta sono in corso al Cairo. Ma l’uscita dalla prigione dell’ex raìs può portare a nuove divisioni nello scenario politico egiziano? Davide Maggiore lo ha chiesto al giornalista freelance Cristiano Tinazzi, che si trova al Cairo:

    R. – E’ probabile: la situazione ha portato anche il fronte di Tamarod (anti-Morsi) a dividersi, perché alcuni gruppi – come l’Unione dei Giovani Rivoluzionari - hanno deciso di rimanere con i militari. Ieri parlavo con uno dei loro leader che non riteneva essere così determinante la liberazione di Mubarak, quanto lo “schiacciare” il problema del terrorismo. Questo però crea ancora più confusione nel panorama politico egiziano perché sembra quasi una guerra di “tutti contro tutti”, dove i militari hanno saldamente in mano il potere e hanno però l’appoggio di una parte della popolazione che magari non scende in piazza, ma che si sente più sicura con i militari nelle strade, a presidiare gli incroci… Quindi, gli stanno dando carta bianca.

    D. – Quindi, almeno per il momento, non possiamo dire che i militari stiano perdendo consenso?

    R. – Credo che ci sia da fare dei distinguo: da una parte ci sono gli attivisti veri e propri che si sono compattati sotto il fronte anti-Morsi scendendo in piazza; dall'altra parte c'è la popolazione normale, i normali cittadini che non hanno velleità politiche e che comunque non sembrano così sconvolti dalla situazione che si sta prospettando in Egitto. Anche l’accusa nei confronti di El Baradei è stata vista da molti – anche persone legate a Tamarod – come qualcosa che non è così rilevante: sono convinti che comunque non andrà avanti.

    D. – E’ possibile che la scarcerazione di Mubarak possa dare nuova vitalità e nuovo impulso a quello che è diventato noto come il Movimento dei giovani di Piazza Tahrir che in queste ore ed in questi giorni era invece sembrato ai margini?

    R. – Sicuramente. Sembra che i militari stiano riportando l’Egitto ad uno stato precedente alla rivoluzione, però si rischia veramente di creare uno scollamento da quello che è il resto della popolazione. E' sempre aperta la questione del terrorismo che ormai è diventato motivo imperante in Egitto.

    D. – E’ arrivata nelle scorse ore la notizia che l’Unione Europea ha deciso di bloccare l’invio di armi verso l’Egitto. Quanto è efficace questo approccio, considerando che l’Egitto ha altre fonti anche da questo punto di vista?

    R. – Adesso, con l’aiuto che sta arrivando dall’Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo, l’Egitto non ha problemi di questo tipo, per l’approvvigionamento di armi o di materiale che possono utilizzare i servizi di sicurezza del Paese. Credo che sia abbastanza velleitaria questa decisione e non credo ci saranno ripercussioni da questo punto di vista.

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    Il vescovo copto di Luxor: "Si ascolti l'appello di pace del Papa per l'Egitto"

    ◊   “L’appello alla preghiera e alla pace di Papa Francesco sostiene e allevia le sofferenze della comunità egiziana”. Sono le parole di mons. Youhannes Zakaria, vescovo copto cattolico di Luxor. Parole serene rispetto alle sofferenze patite nei giorni scorsi, quando il presule è stato vittima di attentati e minacce da parte di uomini armati. La sua testimonianza al microfono di Gabriella Ceraso:

    R. - Ho sentito una solidarietà che mi ha commosso moltissimo. Tutti pregano per noi; è questo il senso vero della Chiesa! E voglio ringraziare il Santo Padre per questo suo gentile pensiero e chiedo di continuare a pregare per noi.

    D. - Quali, secondo lei, gli effetti della scarcerazione di Mubarak?

    R. - Ci saranno altri processi contro di lui, ma certamente ci saranno dei risultati negativi e positivi. Di negativo quello dei fondamentalisti, che vedono come l’Egitto stia ritornando indietro; quello positivo, per la parte laica - i sostenitori di Mubarak - che sarà gioiosa per questo fatto.

    D. - Per voi oggi è la Festa dell’Assunta. Qual è la preghiera che intende rivolgere a Maria per tutta la sua comunità?

    R. - Chiedo la sua intercessione, affinché la pace e un rapporto d’amore regni tra tutti gli abitanti del mondo.

    D. - Quindi il suo messaggio anche per la sua gente, per i fedeli che la seguono, qual è in questo affidamento a Maria?

    R. - Non perdere mai la speranza! Anche se noi siamo una minoranza in questo oceano, siamo testimoni dell’amore e anche testimoni di perdono.

    D. - Dopo tutti questi giorni vissuti nella difficoltà, nell’isolamento - sappiamo che la vostra comunità ha vissuto così per tanto tempo, anche nella paura - come ne uscite? Cosa siete riusciti anche a testimoniare?

    R. - È triste raccontare questa esperienza di odio e di violenza. Ma dall’altra parte, c’è un fatto positivo: questa esperienza del dolore ci ha dato la forza e la convinzione che questa fede non è una fede teorica ma una fede pratica. Noi dobbiamo viverla come Cristo, portando le nostre croci, consapevoli che alla fine di questa via dolorosa, c’è sempre il momento della gioia, il momento della risurrezione.

    D. - Quale futuro augura all’Egitto …

    R. - Partendo dal carattere dell’egiziano. L’egiziano musulmano, cristiano è figlio di una civiltà di settemila anni. Ha un valore dentro di sé! L’egiziano è sempre un amico della pace. Allora il mio augurio per il futuro è di avere un rapporto di rispetto e di dialogo tra musulmani e cristiani, perché insieme si possano aiutare per costruire il futuro dell’Egitto, affinché diventi un Paese al servizio dell’uomo e, in particolare, delle generazioni future.

    D. - Contate sull’intervento dell’Europa?

    R. - Se i governanti di tutto il mondo ascoltano il pensiero del Santo Padre, seguono i suoi appelli e ascoltano cosa dice, il mondo cambierà.

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    Mons. Machado: i cristiani dell'Orissa vivono nella paura, ma la Chiesa lavora per la riconciliazione

    ◊   Si sta avvicinando in India il quinto anniversario dell’inizio dei pogrom anticristiani, scoppiati il 25 agosto del 2008 nel distretto di Kandahamal, nello Stato dell’Orissa. I morti furono più di 100, migliaia i feriti e gli edifici distrutti. Ma come è la situazione in questo momento? Debora Donnini lo ha chiesto al vescovo di Vasai e presidente dell’Ufficio per il dialogo e l’ecumenismo della Conferenza episcopale indiana, mons. Felix Anthony Machado:

    R. - La situazione è abbastanza buona, nel senso che la Chiesa ha lavorato moltissimo per arrivare ad una riconciliazione tra il popolo. Prima di tutto, ha lavorato per ricostruire i cuori della gente; poi ha fatto molto per aiutare la gente che è stata colpita, le persone che avevano perso le loro proprietà, le case, la gente che è stata sradicata dal suo Paese. Anche la Caritas ha lavorato molto; poi tanti altri hanno aiutato per ricostruire materialmente la vita quotidiana della gente.

    D. – Dalle notizie che ci sono, però, i cristiani vivono ancora nella paura…

    R. – Sì, è vero perché quello che è successo è stato un vero trauma. La gente è povera e vive ancora in questa paura, anche perché questi piccoli gruppi di fondamentalisti incutono ancora paura tra la gente che così si sente in pericolo.

    D. – Questi piccoli gruppi di fondamentalisti indù cosa fanno?

    R. – Nel 2014 ci saranno le elezioni. C’è una campagna elettorale molto aggressiva da parte di questi fondamentalisti perché vogliono ottenere il potere politico. Per questo motivo si stanno preparando e stanno diffondendo paura tra la gente. Dato che noi, la Chiesa, siamo numericamente in minoranza ed in alcuni luoghi i cristiani sono veramente in minoranza, allora prendono seriamente in considerazione questa paura perché se è successo una volta, potrà succedere ancora; loro pensano questo. Per me non è possibile che lo possano fare ancora – e spero che non lo faranno – ma nessuno può saperlo perché con questa aggressività con la quale fanno la campagna elettorale per il 2014, la gente ha paura. I cristiani che si trovano nelle città, in quei luoghi dove il cristianesimo ha una sostanziale maggioranza non sentono questa paura. Quindi, questo non vale per tutti i cristiani in India. Noi però siamo molto dispiaciuti perché i nostri fratelli e sorelle più poveri sono trattati così e vivono in questo dramma della paura.

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    Crisi in Centrafrica. La testimonianza di una suora comboniana: la gente in preda al terrore

    ◊   Nella Repubblica Centrafricana resta sempre alto il livello di tensione. E' di almeno 11 morti e circa 30 feriti il bilancio delle vittime di un’operazione militare delle forze del nuovo governo che mirava al disarmo dei partigiani del deposto presidente, François Bozizé. Intanto, stenta a partire il processo di stabilizzazione che dovrebbe culminare in elezioni democratiche, secondo quanto detto dal neo-presidente Djotodia, capo del movimento ribelle Seleka, autore del golpe di fine marzo; ma di fatto la popolazione è oggetto di violenze e soprusi continui. Sulla situazione Giancarlo La Vella ha raccolto la testimonianza della religiosa comboniana, suor Elianna, da due anni missionaria a Bangui:

    R. - Il Paese è fondamentalmente bloccato. Le persone vivono ancora costantemente nella precarietà e nella paura, perché, nonostante sia iniziato il disarmo per opera del gruppo Seleka, le persone continuano ad essere rapite, continuano i saccheggi, i furti, le violenze e le ingiustizie verso la popolazione. Quindi il clima in cui purtroppo vive ancora la maggior parte delle persone è, come dicevo, un clima di paura e di precarietà; non si possono fare programmi a lungo termine, manca la libertà di espressione e anche una vera liberà di movimento. Inoltre la situazione sociale è molto difficile. Il momento in cui il Seleka ha invaso il Paese era quello della semina, della coltivazione e della cura del raccolto. Queste cose non sono state fatte, quindi il denaro non circola e le persone vivono già una grande crisi alimentare.

    D. - Quindi, povertà che si somma alla paura in un clima quasi ancora da “resa dei conti”?

    R. - Sì. E purtroppo questo stillicidio quotidiano per la popolazione sta generando anche nuovi sentimenti di odio e di vendetta. C’è questo rischio concreto di una spaccatura sociale tra cristiani e musulmani, anche se c’è uno sforzo continuo e costante da parte della Chiesa, cattolica, protestante e dei leader musulmani di evitare questo. Ci sono costantemente iniziative comuni di dialogo, di formazione, per invitare al dialogo, al rispetto reciproco, ad un futuro insieme.

    D. - Un processo di democratizzazione - quello promesso dal neopresidente Djotodia - che quindi è ancora lontano?

    R. - Purtroppo c’è una grande divergenza tra quello che i responsabili dicono e quello che la popolazione vive ogni giorno. Ciò che succede nei fatti è il terrore a cui la popolazione è soggetta. Molte persone hanno ripreso a fuggire. Quindi direi che quello che si sta vivendo in questo momento è purtroppo il contrario di quello che si sta promettendo.

    D. - Per uscire da questa situazione che cosa ci vorrebbe?

    R. - La situazione è molto complessa. Quello che i vescovi chiedono, quello che la società civile chiede è, comunque, l’aiuto di una forza internazionale, per poter fare uscire dal Paese tutte le milizie mercenarie per la maggior parte e creare le possibilità, perché le forze armate centrafricane tornino a prendere il controllo della situazione.

    D. - Molti osservatori parlavano anche di un pericolo di islamizzazione …

    R. - Sì. Di questo si è parlato fin dall’inizio. Ma lo sforzo dei responsabili religiosi è sempre stato quello di dire: “Non facciamo trasformare questa guerra, che è fondamentalmente politica ed economica, in una guerra di religione”. Quello che possiamo dire è che effettivamente la parte più colpita da questa ribellione è tutta la componente cristiano-cattolica del Paese, ma - ripeto - lo sforzo di tutti i leader religiosi è quello di dire: “Non mettiamo a questa guerra politico-economica altre etichette”.

    D. - Voi missionari come operate in Repubblica Centrafricana in questo difficile momento?

    R. - Posso dire che sono fiera della testimonianza che la Chiesa sta dando. La Chiesa è stata la prima ed unica a muoversi, attraverso l’arcivescovo di Bangui, mons. Nzapalainga, che è riuscito a catalizzare intorno a sé le forze vive della Chiesa e delle congregazioni. Sicuramente, senza la presenza della Chiesa in questo momento, probabilmente la situazione sarebbe stato molto più drammatica. Noi cerchiamo di riprendere le nostre attività, di fare tutto quello che si può, per dare un segno di speranza e di volontà, per andare avanti e ricostruire e per dare al Paese la possibilità di una vita e di un futuro.

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    La vicenda Berlusconi al Meeting di Rimini, braccio di ferro tra Pd e Pdl

    ◊   Il dibattito politico irrompe al Meeting di Cl a Rimini. In un’intervista al settimanale Tempi, Berlusconi ha detto che “nessuno” può togliergli “la parola e il ruolo di leader, il diritto di essere riferimento per milioni di italiani, finché questi cittadini liberamente lo vorranno”. E appunto a Rimini su questo tema è intervenuto il vicepremier Alfano che ha chiesto al Pd di riflettere prima di votare sulla decadenza di Berlusconi”. In gioco c'è la tenuta del governo. Alessandro Guarasci:

    L’atmosfera è quella di un confronto duro sul destino di Silvio Berlusconi dopo la condanna confermata dalla Cassazione. Appena arrivato a Rimini il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano, ha detto che nel pomeriggio vedrà il cavaliere e che il confronto di ieri sera col premier Enrico Letta è stato molto schietto, ma comunque le differenze di vedute rimangono. In sostanza, Alfano chiede al Pd di riflettere bene prima di votare la decadenza di Berlusconi. Ascoltiamolo:

    “Noi chiediamo che la vicenda della decadenza in Giunta al Senato venga trattata come se riguardasse uno dei senatori, perché vogliamo che il Partito democratico approfondisca la questione giuridica nel merito e che non pronunzi una sentenza politica sull’avversario storico”.

    Il Pd da Roma risponde che sarà solo applicata la legge e dice no a una caduta del governo. Nel dibattito di oggi al Meeting però si è parlato anche di immigrazione e Alfano ha detto che “ben vengano i richiami della Ue in tema di immigrazione, ma non può imporci tanto e darci troppo poco”. Sulle carceri ha parlato il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri affermando che il decreto del governo che interviene sul sovraffollamento nei penitenziari “non svuota un bel niente, ha solo alleggerito la pressione".

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    Meeting di Rimini, Mario Mauro: l'impegno di pace dell'Italia all'estero prosegue

    ◊   Al meeting di Rimini è intervenuto anche il ministro della Difesa Mario Mauro che ha sottolineato in particolare la preoccupante situazione dei cristiani in Egitto. Sul caso dei marò ha precisato che i quattro fucilieri della Marina, che potrebbero testimoniare nel caso dei due colleghi arrestati in India, potranno essere ascoltati in Italia o in videoconferenza. L’ampio intervento di Mauro si è incentrato però su sicurezza e educazione nelle missioni di pace. Luca Collodi, ha chiesto al ministro se è importante che queste missioni proseguano e se raggiungono risultati validi:

    R. – Senz’altro, non c’è nessun dubbio, perché non dobbiamo dimenticare che costantemente le centrali terroristiche cercano di impadronirsi di alcune nazioni, per potere avere una base dalla quale partire per le proprie missioni di morte. Era stato il caso dell’Afghanistan prima del 2001. Quindi, proprio in quella circostanza, portando sul terreno i nostri uomini, noi abbiamo contribuito in 10 anni di Isaf a restituire all’Afghanistan la propria libertà e la propria dignità. Questo vuol dire tante cose: vuol dire 7 milioni e mezzo di studenti, tra cui il 35 per cento donne e il 20 per cento di studentesse universitarie; vuol dire 120 ospedali costruiti dall’inizio di Isaf; vuol dire migliaia di chilometri di strade e ferrovie realizzate; vuol dire imprese aperte; vuol dire ripresa di una società civile, che era stata messa in ginocchio dal furore ideologico degli studenti islamisti.

    D. – L’impegno dell’Italia all’estero, quindi, proseguirà...

    R. – L’impegno dell’Italia all’estero prosegue. Oggi è articolato su 23 nazioni in 33 differenti missioni. Oggi siamo 3200 in Afghanistan e siamo 5600 complessivamente. Ma vi sono anche missioni, dove siamo una o due persone, perché l’apporto di conoscenze, di know-how tecnologico e di capacità di comando dei nostri militari è, in tante circostanze, parimenti utile quanto presenze più articolate.

    D. – A livello di supporto logistico, in questo quadro di proseguimento delle missioni, ad esempio, nuovi aerei – e qui parliamo di F35 – sono utili?

    R. – In realtà lì c’è un aspetto forse più facilmente comprensibile se teniamo conto del fatto che 254 aerei della forza dell’Aviazione italiana vanno in pensione. Non saranno semplicemente più in grado, a breve, di poter volare. Ne sostituiamo 254 con 90: non penso sia un segno particolare di esibizione muscolare.

    D. – La Difesa guarda con preoccupazione alla sicurezza anche dei migranti che circolano in questo momento nel Mediterraneo...

    R. – Direi che fa molto di più che guardare. Negli ultimi dieci anni, infatti, abbiamo tratto in salvo 110 mila persone tra Marina Militare e Capitaneria di Porto, e questo è un enorme credito di gratitudine che, non solo gli italiani, ma gli europei, e direi i cittadini di tutto il mondo, devono alle nostre Forze Armate. Se pensiamo invece a quanti in mare si sono persi, capiamo quanto sia essenziale questo ruolo.

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    Save the Children: nel mondo sono 5 milioni i minori vittime della tratta

    ◊   Dalle giovani prostitute romene ai ragazzini egiziani impiegati nei mercati ortofrutticoli. Sono solo alcuni drammatici ambiti del fenomeno della tratta e dello sfruttamento dei minori di cui offre uno spaccato “I piccoli schiavi invisibili”, dossier su scala europea diffuso oggi da Save the Childred Italia. Marco Guerra ne ha parlato con Carlotta Bellini, responsabile dell’area protezione minori dell’organizzazione umanitaria:

    R. – Da rapporti molto recenti delle Nazioni Unite e anche dell’Unione Europea, emerge che purtroppo la tratta e lo sfruttamento sono fenomeni costanti e, anzi, in aumento; in particolare, l’Organizzazione internazionale per il lavoro dice che sono quasi 21 milioni le persone vittime di lavoro forzato nel mondo. Tra queste, vi sono casi anche di sfruttamento sessuale oltreché lavorativo. Tra le vittime, ben 5 milioni sono minori. L’Unione Europea ha reso note recentemente alcune statistiche relativamente agli anni 2008-2010: pare che nel 2010, le vittime di tratta e sfruttamento siano state 9.500. Ed è un numero in aumento rispetto al 2008. Tra queste vittime, il 15 per cento sono minori. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2010 le vittime identificate della tratta sono state 2.381 ed è il dato più alto tra i Paesi dell’Unione Europea.

    D. – Chi sono i minori più esposti a questo fenomeno, a questo dramma?

    R. – Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, sono soprattutto di nazionalità nigeriana o romena e sono prevalentemente ragazze di un’età compresa tra i 15 e i 17 anni. Gran parte di loro, chiaramente, proviene da contesti di povertà; peraltro, spesso hanno perso i genitori e quindi sono più vulnerabili. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, invece, parliamo di minori che provengono prevalentemente dall’Egitto ma, recentemente, vi è anche una presunzione che possano essere sfruttati anche minori cinesi. Un recente rapporto di Eurostat sottolinea che le vittime sono soprattutto comunitarie mentre per quanto riguarda, invece, i Paesi non comunitari parliamo di Cina e Nigeria.

    D. – Nel rapporto sostenete che si tratta di un fenomeno di difficile emersione: quindi quale tipo di lotta bisogna intraprendere per contrastarlo?

    R. – La cosa più importante, in questo momento, è avviare un piano nazionale contro la tratta e lo sfruttamento, insieme ad un osservatorio che, in Italia, si occupi in modo specifico di questi fenomeni. E’ fondamentale, poi, il lavoro degli operatori sociali: moltissimi di loro, peraltro, coinvolti nella nostra indagine hanno dato un contributo enorme. Infatti, sono loro che sono più vicini alle vittime e sono loro che riescono a raggiungere anche quelle più nascoste … Nel caso di sfruttamento sessuale nel chiuso di appartamenti, ad esempio, gli operatori sociali riescono a raggiungere le vittime, a informarle sulla loro condizione e sulle possibilità di supporto di cui possono usufruire e, dopo un lavoro molto lungo in alcuni casi le minori sono riuscite ad uscire da questo circuito di sfruttamento. E’ necessario, ovviamente, che il lavoro degli operatori sociali sia coordinato con quello delle forze dell’ordine: a loro, infatti, spetta l’identificazione delle vittime. Anche questo lavoro ha dato buoni risultati: molte persone sono state identificate, anche se moltissime rimangono ancora invisibili.

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    Focolaio di aviaria nel Bolognese, 500mila galline da abbattere

    ◊   Nuovo focolaio di influenza aviaria a Mordano, nel Bolognese, dopo quello di Ostellato, in provincia di Ferrara: entrambi allevamenti che fanno capo al gruppo Eurovo. A Mordano saranno abbattute 500mila galline. L’accertamento del nuovo focolaio è avvenuto grazie a una stretta rete di sorveglianza sanitaria. Nessuna limitazione per il consumo di carni e uova avicole: è quindi da evitare una nuova psicosi legata all’aviaria. Lo afferma Rolando Manfredini, responsabile della Sicurezza Alimentare della Coldiretti, al microfono di Elisa Sartarelli:

    R. - Io direi che proprio in questo caso l’Italia si pone all’avanguardia nel campo dei controlli e lo ha dimostrato ancora una volta intervenendo in maniera assolutamente tempestiva per limitare - ovviamente - il propagarsi dell’influenza.

    D. - Si tratta di galline ovaiole: ci sono rischi collegati al consumo, non solo delle carni avicole, ma anche delle uova?

    R. - Diciamo che il rischio è molto remoto, anche perché si tratta di un’influenza che per l’uomo - riteniamo - sia ancora da considerare a bassa patogenicità e quindi non è previsto il trasferimento, il salto interspecifico, di questo sierotipo. Certamente il fatto che gli animali vengano abbattuti e in qualche modo l’intera area venga bonificata, la dice lunga sul fatto di come si debbano, in ogni caso, limitare le questioni. Secondo me per l’uomo non ci sono dei problemi. Si tratta soltanto di prendere misure precauzionali che in un qualche modo possano limitare un eventuale contatto. La misura più importante è quella di mangiare la carne di pollo cotta. Questa semplice precauzione non permette la penetrazione dell’influenza. Credo che nessuno in Italia mangi il pollo crudo, quindi questa è già una cosa che limita fortemente l’influenza e rassicura l’uomo.

    D. - Lo stesso vale per le uova?

    R. - Certamente.

    D. - Il danno economico è ingente. Quali saranno le ripercussioni per questo settore?

    R. - Dovrebbero essere minime, evitando appunto che si inneschi il meccanismo speculativo, come purtroppo è successo nel passato. L’azienda in questione è una grande azienda che va messa in condizioni - dopo essere stata bonificata - di poter continuare a produrre, per sfruttare poi quelli che sono gli incentivi necessari per rimettere in piedi la produzione ed evitare all’azienda stessa, ma anche a tutti gli altri settori, dei danni.

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    Si è concluso il pellegrinaggio dei giovani cattolici di lingua ebraica sulle orme di San Paolo

    ◊   Si è concluso lunedì a Roma il pellegrinaggio de "I fiori del deserto", un gruppo giovanile cattolico di lingua ebraica. I ragazzi hanno ripercorso i passi dell'apostolo Paolo fino a Roma e hanno poi fatto ritorno in Israele. Davide Pagnanelli ha sentito Benedetto di Bitonto, il seminarista che li ha accompagnati, sull'esito dell'iniziativa e sull'interessante mondo della pastorale in lingua ebraica:

    R. – La prima difficoltà è proprio quella linguistica, perché noi ci troviamo a svolgere un lavoro pastorale in una lingua che non è nata per rispondere alle esigenze del cristianesimo: la lingua ebraica è una lingua assolutamente funzionale alla mentalità, alla cultura ed anche alla religione ebraica. Da 60 anni a questa parte, quindi, la comunità è impegnata in una traduzione o in una versione in ebraico di tutto ciò che ha a che fare con la fede cristiana cattolica. Siamo costretti a coniare noi alcuni termini, per rispondere alle nostre esigenze. La difficoltà, forse, può essere quella di costituire un gruppo di minoranza, all’interno della minoranza cristiana. Siamo una comunità molto, molto piccola e i nostri fratelli sono tutti arabi e quindi hanno già una tradizione che conta svariati secoli. Noi siamo piccoli, pochi e anche giovani.

    D. – Quali sono i vostri rapporti con la Chiesa araba?

    R. – I rapporti sono molto fraterni. Io sono seminarista nel Patriarcato latino, che è tutto arabo: vi studiano giovani per la maggior parte giordani, ma poi anche palestinesi o arabi della Galilea. Abbiamo un rapporto molto, molto buono.

    D. – Parlaci del gruppo giovanile “I fiori del deserto”. Cos’è e quando è nato?

    R. – “I fiori del deserto” sono nati tre anni fa, in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid. Mi fu chiesto, insieme a padre Apollinari, di cominciare a coagulare i giovani sparpagliati nelle nostre piccole comunità. Noi siamo sparsi in sette diverse comunità e da questi incontri mensili, che abbiamo fatto in preparazione di Madrid, è venuto fuori un gruppo molto bello, fresco, fraterno, con il desiderio di continuare. Di ritorno da quell’esperienza, quindi, abbiamo rilanciato la proposta di continuare un cammino fisso, sempre a scadenze mensili, e i ragazzi hanno accettato. Nel corso dei mesi se ne sono aggiunti sempre altri, per cui oggi contiamo un numero di giovani che varia dai 20 ai 25, forse anche 30. Lo scopo è quello di continuare a stare insieme e di rafforzarci nella fede. Per molti di loro, infatti, questa esperienza di gruppo, una volta al mese, è l’unico modo che hanno per consolidare la propria identità e la propria fede cristiana. Noi cerchiamo alla fine di ogni percorso annuale di proporre loro un’esperienza all’estero e quest’anno, nell’Anno della fede, ci sembrava opportuno ripercorrere il cammino degli apostoli, che da Gerusalemme sono venuti ad offrire la loro vita per il Vangelo, nella grande capitale mondiale che era Roma.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Solidarietà dei vescovi svizzeri per i cristiani in Egitto

    ◊   Solidarietà nei confronti dei cristiani dell’Egitto e del Medio Oriente è stata espressa oggi dalla Conferenza episcopale svizzera (Ces): in una nota a firma di mons. Markus Büchel, presidente della Ces, viene sottolineata “con indignazione e tristezza la drammatica situazione che vive attualmente l’Egitto, insieme ad altri Paesi del Medio Oriente, come la Siria”. Ribadendo che “le comunità cristiane in Egitto sono particolarmente vulnerabili”, mons. Büchel invita tutti i cattolici svizzeri a pregare per le vittime della violenza, soprattutto nel corso delle Messe di sabato e domenica prossima. Sempre domenica, inoltre, alle ore 20.00, si terrà una Veglia di preghiera nell’Abbazia di Einsielden. Alla celebrazione saranno presenti anche alcuni esponenti copti residenti in Svizzera, “per condividere la preghiera e la solidarietà nei confronti delle vittime della follia umana”. Quindi, la nota episcopale ribadisce che i vescovi elvetici “considerano molto seriamente” l’aggravarsi della situazione al Cairo ed invitano, quindi, tutte le parrocchie e le comunità religiose del Paese “ad affidare a Dio tutte le persone vittime di violenza ed ingiustizia”, affinché “i cuori degli uomini si aprano alla pace che è in Dio, perché Dio è la pace”. “Una violenza ed un terrore inaccettabili – continua la Ces – prendono di mira tutta la popolazione, persone di ogni età, di ogni religione e di ogni schieramento politico”, senza dimenticare il saccheggio di circa “80 Chiese, monasteri, conventi, scuole cristiane, ospedali ed altre istituzioni”. Allo stesso tempo, mons. Büchel si dice “profondamente toccato, in senso positivo, dal vedere che in Egitto alcuni musulmani si impegnano, fianco a fianco con i cristiani, nella difesa delle Chiese e dei fedeli”. Infine, la Conferenza episcopale elvetica chiede al governo locale di intraprendere tutte le vie diplomatiche possibili in favore di una soluzione alla crisi egiziana e del rispetto della libertà religiosa. Ulteriori aiuti, conclude la nota, possono essere inviati tramite la Caritas. (I.P.)

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    Nigeria. Appello di pace dei leader cristiani e musulmani dello Stato del Plateau

    ◊   Ricostruire insieme le chiese e le moschee distrutte dagli scontri di questi anni nello Stato del Plateau per promuovere la riconciliazione e la ripristinare la pacifica convivenza tra i gruppi etnici e religiosi nella regione. E’ l’invito lanciato a cristiani e musulmani dall’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Kaigama, e dall’imam della moschea centrale della città, lo sceicco Balarabe Daoud, al termine di un incontro interreligioso svoltosi in questi giorni presso il “Centro per il dialogo, la riconciliazione e la pace” di Rayfield. “Abbiamo deciso di essere la punta della lotta contro la polarizzazione e la spaccatura delle nostre due comunità”, hanno dichiarato i due leader religiosi, secondo quanto riporta l'agenzia Apic. Durante l’incontro, al quale hanno partecipato diversi esponenti religiosi e rappresentanti di associazioni cristiane e musulmane, è stata sottolineata l’importanza dell’educazione dei credenti delle due comunità al valore della convivenza pacifica e dell’accettazione reciproca. Situato nella parte centro-settentrionale della Nigeria, lo Stato Plateau è da anni teatro di scontri armati tra agricoltori di religione cristiana, maggioritari, e allevatori di religione islamica. Si tratta di conflitti di carattere tribale, legati non tanto alle differenze religiose, quanto piuttosto al controllo delle terre e dei pascoli, in cui tuttavia la religione viene sempre più strumentalizzata da parte di chi incita alle violenze. Una strumentalizzazione contro la quale si batte con forza la Chiesa. Quello del Plateau non è l’unico Stato nigeriano segnato dalle violenze di carattere religioso che, come è noto, in quest’ultimo anno hanno subito una drammatica escalation con la spinta di gruppi jihadisti come il Boko Aram. Dal 2007, nel Nord del Paese più di 900 cristiani hanno perso la vita e oltre 100 chiese sono state distrutte. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Nuova Zelanda. I vescovi: Costituzione faccia riferimento a dignità persona e rispetto vita

    ◊   “Ci impegniamo per una sana cultura nazionale attraverso il rispetto dell’innata dignità della persona e la tutela della vita”: è quanto scrive la Conferenza episcopale della Nuova Zelanda, presentando la sua proposta di preambolo alla Costituzione del Paese. Facente ancora capo alla corona britannica, la quale nomina un governatore generale, la Nuova Zelanda è, infatti, priva di una formale Costituzione scritta, e possiede solo un corpus di documenti amministrativi e di atti giuridici su cui si fonda la direzione del governo. Per ovviare alla situazione, è stato istituito un Comitato consultivo nazionale, composto da dodici membri nominati nell’agosto 2011, che dovrà – entro la fine del 2013 – raccogliere le proposte e i suggerimenti di tutti i settori della società e presentarli al governo, affinché si provveda alla stesura di una nuova Costituzione. Per tanto, la Conferenza episcopale ha elaborato un preambolo, a firma del suo presidente, l’arcivescovo John Dew, in cui suggerisce alcuni punti fondamentali da inserire nella nuova Carta fondamentale: tra questi, risaltano il riconoscimento dei diritti dei Maori come “popolo nativo del Paese”; la promozione del bene comune; la difesa dell’unità nazionale e la tutela della libertà, intesa non come ricerca esclusiva ed egoistica di una gratificazione personale, ma come rispetto dei diritti e dei doveri reciproci. I vescovi suggeriscono anche di esplicitare, nella Carta fondamentale, “l’impegno alla giustizia, alla pace, alla verità ed alla riconciliazione” e chiedono che i governi che si avvicenderanno al potere abbiano “il diritto ed il dovere di creare condizioni sociali ed economiche adatte per permettere ai cittadini di essere artefici del proprio destino e di contribuire alla società”, sostenendo “anche i meno abili”. Altri principi ribaditi dai presuli di Wellington sono il rispetto delle opinioni altrui, qualunque esse siano, ed il dialogo, perché “non c’è alcuna circostanza che giustifica l’odio a causa della diversità di punti di vista”. E ancora, la Chiesa neozelandese invoca “l’esercizio responsabile della libertà, l’esperienza della solidarietà, la creazione di pari opportunità, la pratica del perdono e della compassione nei rapporti personali e nell’ambito economico, e la salvaguardia del Creato”. Infine, viene ribadita con forza la necessità di tutelare la persona umana nella sua dignità e nel suo diritto alla vita, “qualunque siano le sue azioni, le sue origini ed il suo credo”. Il preambolo alla Costituzione proposto dalla Conferenza episcopale si conclude quindi con un proverbio in lingua maori, che recita: “Qual è la cosa più importante al mondo? Le persone, le persone, le persone”. (A cura di Isabella Piro)

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    Corea del Nord. Prima visita dopo 21 anni del presidente della Croce Rossa internazionale

    ◊   Nuovo segnale di distensione dalla Corea del Nord. Il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa Internazionale, Peter Maurer è in visita a Pyongyang: erano oltre 20 anni che non accadeva. Domani Maurer si recherà nella capitale sudcoreana, Seoul. Al centro delle discussioni con le autorità dei due Stati, in particolare la questione della riunificazione delle migliaia di famiglie separate dalla guerra del 1950-1953, quindi da 60 anni. Il viaggio del presidente della Croce Rossa avviene dopo l’accordo raggiunto recentemente tra le due Coree sulla riapertura dell’impianto industriale congiunto di Kaesong, simbolo della cooperazione tra i due Paesi e dove sono impiegate 53 mila persone.

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    Ecuador: nel Paese lavorano 4,2 milioni di minori, il 10% in attività ad alto rischio

    ◊   L’istituto Ecuadoregno di statistica e censimento ha pubblicato uno studio da cui emerge che 4,2 milioni di minori, tra i 5 e 17 anni, sono impiegati nel mercato del lavoro e di questi 359.597, quasi il 10%, sono impiegati in attività ad alto rischio. Il fenomeno, riferisce l’agenzia Fides, è particolarmente esteso nelle zone rurali, nelle province di Cotopaxi, Bolivar e Chimborazo, dove il salario medio di questi piccoli lavoratori è di circa 100 dollari al mese. Le autorità hanno rinnovato il loro impegno per salvaguardare questa fascia della popolazione, soprattutto per non privarli del diritto allo studio e all’infanzia. A testimonianza di questo impegno, è stato vietato il lavoro minorile nelle discariche, una delle occupazioni più degradanti e pericolose a cui i minori erano esposti. Il traguardo della completa cessazione del fenomeno del lavoro minorile nel Paese è stato spostato al 2020. (D.P.)

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    Cuba. Nuova dedicazione della Cappella di San Tarcisio, a Manzanillo, tornata alla Chiesa cattolica

    ◊   In occasione della memoria liturgica di San Tarcisio, che ricorre il 15 agosto, mons. Álvaro Beyra Luarca, vescovo della diocesi del Santísimo Salvador de Bayamo-Manzanillo, a Cuba, ha presieduto la cerimonia di dedicazione della Cappella cittadina dedicata proprio a questo Santo. La Cappella, infatti, è stata restituita alla Chiesa cattolica solo nel gennaio di quest’anno, cinquantadue anni dopo la confisca da parte dello Stato. Nella sua omelia, il presule ha sottolineato l’importanza, per i cristiani, di poter nuovamente contare su un luogo in cui glorificare e rendere grazie a Dio, vivere la fraternità e presentare al Signore le proprie necessità. La Santa Messa di dedicazione è stata animata dal Coro locale di Santa Cecilia. Infine, è stato annunciato che, d’ora in poi, nella Cappella si celebrerà la Messa settimanalmente e verranno avviati corsi di catechesi per adulti e bambini. Costruita intorno agli anni ’50 grazie all’iniziativa del padre francescano Jesús Iraola, con l’aiuto materiale dei fedeli e delle comunità cristiane della zona, la Cappella era stata confiscata alla Chiesa e nazionalizzata dal regime rivoluzionario cubano del 1961. All’epoca, infatti, passarono allo stato 339 scuole cattoliche e le università cattoliche Villanueva e La Salle, all'Avana. Nel gennaio scorso, commentando la restituzione, mons. Beyra Luarca aveva parlato di un gesto "totalmente positivo" che la Chiesa accoglieva "con il suo beneplacito". Sette mesi fa, il governo aveva inoltre assegnato alla Chiesa un altro terreno per costruire un luogo di culto per le popolazioni di Cauto Embarcadero e Rio Cauto, luoghi in cui – spiegava il presule - "non c’è nessuna assistenza religiosa o è molto scarsa, proprio a causa della mancanza di infrastrutture". (I.P.)

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    L’arcivescovo di Kampala ai sacerdoti: rafforzare il sacramento della riconciliazione

    ◊   “Ascoltare e perdonare i peccati”: è questo il compito primario di un sacerdote, ribadito in questi giorni da mons. Cyprian Kizito Lwanga, arcivescovo di Kampala, in Uganda. Durante la Santa Messa di ordinazione di dieci sacerdoti, celebrata a Kabulamuliro, il presule ha evidenziato come il perdono dei peccati sia radicato nelle Sacre Scritture ed ha citato il passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù dice agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. (Gv 20, 22-23). Infine, il presule ha esortato i cristiani a rafforzarsi nella fede, proprio oggi che si viene “bombardati da messaggi conflittuali” di vario genere. L’invito di mons. Kizito Lwanga fa così eco ai tanti appelli lanciati da Papa Francesco ai fedeli, affinché ricorrano alla misericordia di Dio. Basti citare il primo Angelus, pronunciato il 17 marzo scorso, a quattro giorni dall’elezione al soglio pontificio, il cui il Pontefice sottolineava che “Dio mai si stanca di perdonarci, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi”. (I.P.)

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    Francia. L’Oeuvre d’Orient organizza tre mostre dedicate ai cristiani orientali

    ◊   Far conoscere meglio i cristiani d’Oriente: con questo obiettivo, l’Oeuvre d’Orient, associazione cristiana francese dedita all’aiuto dei fedeli delle regioni orientali, ha organizzato tre mostre allestite in diverse città della Francia. La prima, intitolata “La grande avventura dei cristiani d’oriente”, visitabile fino al 16 ottobre, racconta la nascita della Chiesa di Gerusalemme, inclusa la separazione e la riconciliazione con la Chiesa di Roma, spiegandone le diverse tradizioni ed i diversi riti come il maronita, il caldeo, il copto o il melchita. In particolare, il 13 ottobre a La Rochelle la mostra vedrà la celebrazione di una Messa in rito maronita nella Cattedrale di San Luigi, concelebrata da mons. Bernard Housset, vescovo locale, e da mons. Nasser Gemayel, vescovo dell’Eparchia di Nostra Signora del Libano dei maroniti. La seconda esposizione è invece dedicata al tema “Armenia, la fede delle montagne”: visitabile a Carnac fino al 31 agosto, la mostra descrive la storia del primo Stato cristiano al mondo, dato che l’Armenia è statoil primo Paese a convertirsi e abbracciare e ad abbracciare ufficialmente il cristianesimo nel 301. Dopo Carnac, la rassegna artistica si sposterà a Tours e a Lyone, fino al 26 settembre. Il primo settembre, invece, ad Aiguebelle è possibile ammirare l’esposizione “Il mistero Copto”, ovvero un percorso didattico alla scoperta della cultura copta, che oggi conta 10 milioni di fedeli, per lo più ortodossi. Infine, qualche dato su L’Oeuvre d’Oriente: presente in ventitré Paesi, tra cui alcuni del Corno d’Africa e dell’Europa Orientale, questa associazione si dedica principalmente a tre missioni, ovvero l’educazione, la promozione sociale e l’azione pastorale. Sostenuta dall’aiuto di 100mila donatori, l’Opera sostiene a sua volta l’azione pastorale di vescovi e sacerdoti di circa dodici Chiese orientali cattoliche e di oltre sessanta congregazioni religiose. Istituita nel 1856, l’associazione è stata riconosciuta da Papa Pio IX nel 1858 e oggi è sotto la protezione dell'Arcivescovado di Parigi. (I.P.)

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    Castel Gandolfo: sabato le celebrazioni per la Madonna del Lago presiedute da mons. Gänswein

    ◊   Fervono i preparativi, a Castel Gandolfo, per il 36.mo anniversario dell’inaugurazione della Chiesa della Madonna del Lago. Alle ore 18.30 di sabato prossimo, 24 agosto, mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, presiederà la Santa Messa nel giardino della Chiesa. Al termine della celebrazione, la statua della Vergine verrà portata in processione fino al porticciolo della cittadina e da lì verrà posta su un battello per una seconda processione, seguita da barche e canoe. Quindi, i fedeli si sposteranno verso il pontile, all’altezza della Chiesa, per assistere ad un’esibizione del Coro e della Banda musicale. Infine, sulla spiaggia, lo scultore Alessandro Romano donerà al parroco locale, don Pietro Diletti, una statua bronzea dell’Angelo Custode, che sarà collocata nella Chiesa della Madonna del Lago. L’iniziativa di questa giornata celebrativa viene promossa dalla parrocchia pontificia locale, intitolata a “San Tommaso da Villanova”, affidata ai salesiani, che proprio trentacinque anni fa ricevette da Paolo VI la missione del servizio pastorale nella chiesa della Madonna del Lago. L’origine di questa festa risale agli anni ’50 quando l’allora parroco di San Tommaso da Villanova, don Dino Sella, ancor prima della costruzione della Chiesa, decise di dedicare un momento di preghiera e di ringraziamento per la Madonna. Nacque così la tradizione della processione sulle rive del Lago. Negli anni ’60, poi, Paolo VI diede uno stimolo alla costruzione della chiesa sulle rive del Lago. Il 15 agosto 1977 Papa Montini inaugurò la chiesa “Madonna del Lago” ed esortò i fedeli ad ammirarla e a comprendere pienamente il significato di luogo di incontro spirituale, a vedere in essa un segno della premura della Chiesa nel fare di tutto un corpo solo di preghiera, di sentimenti, di propositi, di equilibrio, di sviluppo civile ordinato, tranquillo e unanime. Il Pontefice salutò i fedeli dicendo: “ Chissà se avrò ancora io – vecchio come sono – il bene di celebrare con voi questa festa. Vedo approssimarsi le soglie dell’Al di là e perciò prendo occasione da questo incontro felicissimo per salutarvi tutti, per benedire voi, le vostre famiglie, i vostri lavori, le vostre fatiche, le vostre sofferenze, le vostre speranze, le vostre preghiere. La Madonna dia a queste mie preghiere l’efficacia e la realtà che desidero abbiano. Siate benedetti nel nome di Maria”. Il 2 settembre 1979 anche Giovanni Paolo II visitò la “Madonna del Lago” e vi celebrò la Santa Messa. (I.P.)

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    Italia. Siglato protocollo d’intesa tra la Tavola valdese e il Ministero dei Beni culturali

    ◊   Il ministro italiano dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, Massimo Bray, e il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini, hanno firmato un protocollo di collaborazione nelle attività di inventariazione, catalogazione e valorizzazione del patrimonio culturale delle comunità valdesi e metodiste, riunite fino al 30 agosto nel Sinodo annuale. La premessa giuridica di questo accordo — riferisce L’Osservatore Romano — si trova nell’intesa del 1984 tra il Governo italiano e la Tavola valdese con la quale, ciascuno per la sua parte, si impegnava «a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale» delle comunità metodista e valdese. Si tratta di un articolo che si è concretizzato solo quest’anno, quando l’ultima delle Commissioni bilaterali costituitesi nel tempo è riuscita a concordare e a mettere a punto una strategia per la gestione e la valorizzazione del consistente patrimonio culturale dell’«Unione delle Chiese metodiste e valdesi» che consiste, fra l’altro, in biblioteche, archivi, musei, immobili e luoghi storici di grande interesse sia per il grande pubblico sia per studiosi e ricercatori. Il ministero — che offrirà la «collaborazione tecnica» per tutte le attività connesse alla corretta gestione del patrimonio culturale valdese e metodista — e la Tavola valdese, oltre ad assicurare il «reciproco accesso alle rispettive banche dati», collaboreranno per «il recupero e il restauro dei beni» e per «la salvaguardia dei contesti culturali e paesaggistici in cui sono inseriti» i beni stessi. Uno specifico articolo, inoltre, impegna le parti a valorizzare il patrimonio dei beni culturali valdesi e metodisti «affinché si diffonda la consapevolezza del suo valore storico e culturale, si assicuri la continuità delle tradizioni e la conservazione della memoria, si rafforzi l’integrazione con il patrimonio culturale della nazione». Il protocollo prevede, infine, la costituzione di una Commissione mista che si incontri regolarmente con il mandato di definire e concertare le misure e gli interventi. Il ministro Bray ha sottolineato che il protocollo «rafforza ulteriormente le iniziative avviate dal ministero, culminate nell’emanazione di un decreto, proiettate verso il rilancio della tutela e della valorizzazione dei beni culturali». Il moderatore della Tavola valdese ha aggiunto: «Quello che ho avuto l’onore di firmare insieme al ministro Bray è un protocollo di grande importanza che valorizza il patrimonio culturale delle chiese valdesi e metodiste che viene così riconosciuto come un bene a disposizione di tutto il Paese, un tassello storicamente rilevante del pluralismo culturale e religioso dell’Italia di ieri e di oggi». Le comunità valdesi e metodiste lavorano in stretta collaborazione con altre comunità evangeliche in Italia nel quadro della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Inoltre, mantengono relazioni molto strette con le comunità protestanti nel mondo partecipando al Consiglio ecumenico delle Chiese. La Tavola valdese, composta da sette membri e presieduta dal moderatore, è l’organo che rappresenta ufficialmente le comunità metodiste e valdesi nei rapporti con lo Stato e con le organizzazioni ecumeniche.


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 234

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.