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Sommario del 19/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Congresso missionario argentino. Il Papa: annunciate Gesù liberi dalla tentazione delle comodità
  • Tweet del Papa: Gesù è presente in tutto quello che facciamo, no ai cristiani part-time
  • Meeting di Rimini. Guarnieri: "Il Papa interprete del grido d'amore dell'umanità"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: annunciata prossima liberazione di Mubarak, nuovi scontri nel Paese
  • Siria: migliaia in fuga verso l'Iraq. Mons. Warduni: cristiani in prima linea nell'assistenza
  • In Iraq, la riunione della Conferenza nazionale curda
  • Intimidazioni camorriste contro sacerdote a Caserta. Don Giaquinto: "Vado avanti"
  • Da oggi parte il redditometro. L'esperto: rafforzare la tracciabilità dei pagamenti
  • Fondazione Ashpi: impegnarsi per l'inserimento dei disabili nel mondo del lavoro
  • Giornata mondiale aiuti umanitari. Il commissario europeo Georgieva: nessun Paese deve essere abbandonato
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: sconcerto tra i cristiani per l’assoluzione dell’imam che aveva accusato falsamente Rimsha
  • India: estremisti indù attaccano famiglia cristiana a Jaipur
  • Argentina: al via i lavori del Comitato permanente dei vescovi
  • L'arcivescovo di San Salvador: serve piano contro la violenza delle bande
  • L’arcivescovo di Seoul: è tempo di pace per le due Coree
  • Amazzonia: avviate le celebrazioni per il centenario di presenza salesiana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Congresso missionario argentino. Il Papa: annunciate Gesù liberi dalla tentazione delle comodità

    ◊   Uscite “da voi stessi per andare alle periferie geografiche ed esistenziali, per annunciare Gesù e far riconoscere il suo messaggio”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio al IV Congresso nazionale missionario dell’Argentina, apertosi ieri nella città di Catamarca. Il Papa ringrazia i partecipanti per lo zelo dimostrato e auspica che il Congresso li aiuti a crescere nella missionarietà. Lo Spirito Santo, è il suo auspicio, “vi doni forza e coraggio per agire senza paura e con ardimento e che vi liberi dalla tentazione della comodità”. Il Congresso, al quale prendono parte oltre mille missionari argentini, è presieduto dal vescovo di Catamarca mons. Luis Urbanc, e vede anche la partecipazione di numerosi vescovi dell’Argentina e presuli del Brasile, Venezuela, Messico, Guatemala, Ecuador, El Salvador. (A.G.)

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    Tweet del Papa: Gesù è presente in tutto quello che facciamo, no ai cristiani part-time

    ◊   Il Papa oggi ha lanciato un nuovo tweet: “Non possiamo essere cristiani part-time – scrive il Pontefice - Se Cristo è al centro della nostra vita, Lui è presente in tutto ciò che facciamo”. Papa Francesco è tornato più volte su questa espressione. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    L’aveva usata durante la Veglia della Gmg a Copacabana il 27 luglio scorso, invitando i giovani a non essere cristiani “inamidati, di facciata, ma autentici”, cristiani che puntano “in alto, a scelte definitive che diano senso pieno alla vita”. E l’aveva utilizzata nella Messa a Santa Marta il 6 luglio:

    “Essere cristiano significa lasciarsi rinnovare da Gesù in questa nuova vita. Io sono un buon cristiano, tutte le domeniche, dalle 11 a mezzogiorno vado a Messa e faccio questo, faccio questo… Come se fosse una collezione. Ma la vita cristiana non è un collage di cose. E’ una totalità armonica, armoniosa, e la fa lo Spirito Santo! Rinnova tutto: rinnova il nostro cuore, la nostra vita e ci fa vivere in uno stile diverso, ma in uno stile che prende la totalità della vita. Non si può essere cristiano a pezzi, part-time. Il cristiano part-time non va! Tutto, la totalità, a tempo pieno. Questo rinnovamento lo fa lo Spirito. Essere cristiano alla fine non significa fare cose, ma lasciarsi rinnovare dallo Spirito Santo”.

    I cristiani part-time - afferma Papa Francesco – non hanno sete di annunciare Cristo, magari amano parlare tanto di Gesù, ma senza scomodarsi troppo:

    “Anche ci sono i cristiani da salotto, no? Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annunzio e il fervore apostolico. Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore”. (Messa a Santa Marta, 16 maggio 2013)

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    Meeting di Rimini. Guarnieri: "Il Papa interprete del grido d'amore dell'umanità"

    ◊   In pieno svolgimento il Meeting di Rimini sul tema: “Emergenza uomo”. Ieri mattina l’apertura con la Messa ed il messaggio di Papa Francesco. Il Pontefice ha ribadito che il potere teme chi dialoga con Dio perché ciò rende liberi. Su questo passaggio ascoltiamo al microfono dell’inviato Luca Collodi, Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione del Meeting per l'Amicizia tra i Popoli:

    R. – Sicuramente è una frase molto forte, una frase che ci ha commosso. Proprio da questo Meeting stiamo lanciando un appello contro la persecuzione dei cristiani. In qualche modo facciamo riecheggiare quello che il Santo Padre ha detto, cioè che la presenza dei cristiani è comunque un antidoto contro il potere; proprio perché i cristiani, gli uomini che credono di avere un rapporto con il “Mistero” - come dice il Santo Padre - sono una realtà irriducibile.

    D. – Le parole del Papa non vi fanno sentire più responsabili come laicato impegnato all’interno della Chiesa?

    R. – Certo. Il Papa, parlando della Chiesa, ci dice che responsabilità abbiamo e ne abbiamo sicuramente! Io credo che ce ne stiamo rendendo conto, la storia ce ne fa rendere conto, ed è quello che il Papa ha detto in questo messaggio e ci sta ripetendo in questi mesi: “Il mondo ha proprio bisogno di un tessuto di umanità nuova”. Questo amore di cui il Papa parla di continuo, questo bisogno di accoglienza, di andare incontro a tutti, è come se il Papa si facesse interprete del grido di un’umanità che ha bisogno di amore. Ma c’è bisogno di incontrare un umano diverso, un umano che ama prima, che ama a prescindere da come è l’altro, che ama solo perché l’altro esiste. Questa è la testimonianza a cui credo i cristiani siano chiamati e questa è anche la testimonianza che proviamo a dare in qualche modo con l’esperienza del Meeting.

    D. – Ieri, nella giornata inaugurale, il saluto videoregistrato del presidente della Repubblica Napolitano che ha sottolineato il contributo della Chiesa nella vita spirituale e sociale dell’Italia e dell’Europa…

    R. – “Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersene” ha detto il presidente. Questo è molto bello, ci ha riempito ovviamente di gioia e riecheggia questa sensibilità alta che il presidente Napolitano ha nei confronti - da una parte - di tutto ciò che rappresenta una risorsa positiva per il nostro Paese ed in generale per il mondo e - dall’altra parte - credo che esprima anche una stima nei confronti delle esperienze religiose ed in particolare delle esperienze della Chiesa. Inoltre, il suo rapporto con Benedetto XVI credo che sia stato un fatto storico, grande e che ha lasciato un segno. Qui al Meeting stiamo presentando un libro con i discorsi politico-giuridici di Benedetto XVI ed i curatori hanno chiesto proprio al presidente Napolitano un’introduzione.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Fede e violenza sono incompatibili: All’Angelus Papa Francesco ricorda che la vera forza del cristiano è la mitezza.

    Bruxelles avverte Il Cairo: nell'informazione culturale, in primo piano il vertice straordinario Ue sulla crisi in Egitto.

    La politica delle sottolineature: in cultura Roberto Pertici ricorda la figura di Alcide De Gasperi, lo statista italiano morto il 19 agosto 1954. Sullo stesso tema articoli di Nello Vian e di Giorgio Levi Della Vida.

    Quel borgo un po’ predone e un po’ santo: Serena Sillitto su Gerace, la Gerusalemme dello Jonio.

    Con lo stile del gesuita: Giovanni Giudici ricorda la figura del cardinale Carlo Maria Martini a un anno dalla morte.

    La generazione della pace: Riccardo Burigana sull'incontro dell’Ecumenical Youth Council in Europe.

    Diritti e dignità per i senza terra colombiani: un'iniziativa della conferenza episcopale e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: annunciata prossima liberazione di Mubarak, nuovi scontri nel Paese

    ◊   A sorpresa, nella crisi in Egitto, arriva la notizia della prossima scarcerazione dell’ex presidente Mubarak. Sul terreno intanto proseguono le violenze: nel Sinai è stato chiuso il valico con Gaza, dopo l’uccisione di 25 poliziotti e di un generale in due distinti attacchi. Occhi puntati anche su Bruxelles dove si è tenuta una riunione d’emergenza sull’Egitto degli ambasciatori dei 28 Paesi Ue. Il servizio di Marco Guerra:

    L'ex presidente egiziano, Hosni Mubarak, sarà libero anche dagli arresti domiciliari entro 48 ore. Lo ha detto uno dei suoi avvocati e lo confermano fonti della procura, spiegando che per l’ex rais sono cadute due delle tre imputazioni per casi di corruzione mentre la condanna per uccisione dei manifestanti è stata annullata con rinvio ad un nuovo processo. La notizia potrebbe agitare ulteriormente le piazze che da ieri tacciono per via della tregua armata imposta dall’esercito, nonostante nuovi raduni convocati dai Fratelli musulmani. Ma anche oggi sul terreno non sono mancate le violenze: due autobus che trasportavano poliziotti sono stati attaccati a colpi di razzi nel Sinai: 25 i morti. Sempre nella penisola desertica un generale è stato ucciso da un cecchino. Gli episodi, che hanno determinato la chiusura del valico con Gaza, sono avvenuti in una zona non nuova alle azioni di gruppi jihadisti. E resta alto il timore di nuovi attacchi alla comunità cristiana, mentre è aggiornato a 58 il bilancio di chiese ed edifici cristiani assaltati e distrutti nei giorni scorsi dagli estremisti islamici. Intanto l’Europa prova a intervenire con una sola voce. Stamane, a Bruxelles si sono tenuti in corso la riunione dei 28 ambasciatori Ue, in preparazione dell’imminente consiglio straordinario dei ministri degli Esteri. Sul tavolo la possibilità di sospendere importanti programmi di cooperazione economica con Il Cairo e un eventuale embargo alla vendita di armi.

    Sulla crisi egiziana, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Gabriele Iacovino responsabile analisti del Centro Studi Internazionali:

    R. – Questo scontro per ora non sembra avere soluzioni; sta diventando sempre più una crisi che va a minare alle basi e la solidità dell’Egitto, un Paese importante non solo per l’area mediorientale, ma anche per tutto il bacino Mediterraneo.

    D. – Questa crisi fa pensare a quella del 1952, la detronizzazione del re egiziano Farouk: allora, l’esercito e la Fratellanza musulmana agirono insieme, a capo della Fratellanza c’era il generale Naguib che poi, come Morsi, venne destituito dopo un anno di potere …

    R. – Dalla salita al potere di Nasser in poi, nei confronti della Fratellanza da parte dell’esercito – o comunque del regime – c’è sempre stato un controllo, una chiusura che solo negli anni del regime di Mubarak si è andata ammorbidendo, facendo sì che anche gli esponenti della Fratellanza musulmana – non organizzati in partito, ma come indipendenti – potessero partecipare alle elezioni. In queste settimane, lo scontro è aperto anche perché la Fratellanza, dopo la caduta di Mubarak, ha visto la possibilità di un percorso verso l’islamizzazione della politica. E naturalmente il colpo di Stato da parte dell’esercito ha di nuovo riacceso la dinamica di scontro tra i militari e la Fratellanza.

    D. – I militari, lo ricordiamo, in Egitto gestiscono i gangli vitali dell’economia: in un certo qual modo hanno, da sempre, guidato il Paese, anche se non direttamente …

    R. – Il potere dell’esercito egiziano è al di là del potere istituzionale. Si parla della gestione di industrie che vanno dall’imbottigliamento dell’acqua all’assemblaggio delle automobili, quindi un quadro economico a 360 gradi. Da qui, il peso dell’esercito: presente sia nella caduta di Mubarak, sia nella destituzione di Morsi dopo un anno di governo in cui sia la Fratellanza musulmana, sia l’opposizione politica alla Fratellanza musulmana non sono state in grado di riavviare le dinamiche istituzionali e democratiche del Paese.

    D. – La situazione egiziana ha ricadute pesanti anche in altri Stati come Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Qatar, da una parte; vediamo anche le preoccupazioni degli Stati Uniti e della Russia …

    R. – Per anni l’Egitto e l’Arabia Saudita si sono contesi lo scettro di potenza della regione mediorientale, e le difficoltà delle istituzioni egiziane in questo momento destabilizzano l’intera area. Ci sono anche Paesi come il Qatar che hanno scommesso sulla Fratellanza musulmana in Egitto, per diventare un nuovo protagonista; ma la crisi pone problematiche e interrogativi anche per gli Stati Uniti che, nel corso degli ultimi 20 anni, hanno sempre avuto nell’Egitto uno dei capisaldi della politica nell’intera regione.

    D. – In questo quadro, anche gli incontri dell’Unione Europea per decidere una posizione contro la crisi?

    R. – A livello europeo si parla di possibili sanzioni economiche nei confronti dell’Egitto. Questa decisione però potrebbe avere come risultato un ulteriore aggravio della situazione economica. Il rischio è che le difficoltà siano sfruttate da chi guarda a quel jihadismo globale, il cui punto fondamentale è al Qaeda, per destabilizzare ulteriormente l’Egitto e prendere il sopravvento nel Paese.

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    Siria: migliaia in fuga verso l'Iraq. Mons. Warduni: cristiani in prima linea nell'assistenza

    ◊   Migliaia di curdi siriani continuano ad attraversare la frontiera che divide la Siria dal Kurdistan iracheno, in fuga dalla guerra e dalle privazioni. Le oltre 15 mila persone che hanno oltrepassato il confine si aggiungono ai 154 mila rifugiati già presenti in territorio iracheno. Sulla situazione umanitaria, Davide Maggiore ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad e presidente di Caritas Iraq:

    R. – Adesso siamo in visita pastorale, con il Patriarca, nel Nord dell’Iraq. Abbiamo visitato una trentina di famiglie di rifugiati che sono ospitate dai nostri cristiani. Inoltre, qui ci sono due campi e il governo del Nord cerca di fare il possibile per aiutare questa gente.

    D. – Che tipo di assistenza viene data a queste persone?

    R. – I nostri cristiani danno loro assistenza facendo il possibile. Ma non è facile così, nell’immediato, perché c’è poco disponibile subito: qui ci troviamo di fronte a necessità straordinarie. In Siria, ci sono grandi difficoltà e le persone vanno nel posto più vicino a loro dove trovano disponibilità. Come facevano i nostri iracheni, quando c’erano grandi difficoltà: andavano a trovarsi un posto più sicuro dove poter andare avanti e vivere con tranquillità.

    D. – Nonostante tutte queste difficoltà nel dare assistenza immediata, l’Iraq è uno dei Paesi che accoglie più rifugiati dalla Siria …

    R. – Anche la Siria, quando noi eravamo in grandi difficoltà, ha accolto tantissimi cristiani nelle sue città: ad Aleppo, a Damasco … Quindi, ringraziamo Dio che c’è questo spirito di aiutare gli altri: questo è il punto!

    D. – Questa preoccupazione per i profughi che arrivano dalla Siria si aggiunge ad un’altra preoccupazione per le vicende interne dell’Iraq, scosso da numerosi attacchi e da numerose minacce alla sicurezza …

    R. – Siamo in grande difficoltà, e non sappiamo cosa fare. Perciò, noi preghiamo insieme. Noi, sempre, gridiamo a tutto il mondo: “Aiutateci a fare la pace, a creare la sicurezza, a trasmettere questo senso cristiano dell’amore in modo che tutti insieme possiamo fare qualcosa!”. Questo è quello che Cristo ci chiede, questo la Chiesa deve viverlo!

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    In Iraq, la riunione della Conferenza nazionale curda

    ◊   Torna in evidenza la questione del Kurdistan. Oggi ad Erbil, in Iraq, la riunione della Conferenza Nazionale Curda, l’organismo formato dai rappresentanti di Turchia, Iran, Iraq e Siria, Paesi tra i quali è diviso il popolo curdo, che solo nella parte irachena gode di una certa autonomia. Di fronte alle altre emergenze internazionali, che posto occupa oggi la questione curda? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Alberto Rosselli, giornalista esperto dell’area mediorientale:

    R. – La questione curda, se la analizziamo contestualmente a ciò che sta accadendo in Medio Oriente, può sembrare un’appendice quasi, perché non se ne parla da parecchio tempo. Però, c’è da dire che è un grosso problema irrisolto: il Kurdistan, di fatto, esiste dal punto di vista culturale ed etnico, ma non esiste dal punto di vista politico: quattro nazioni non riconoscono l’autonomia amministrativa né tantomeno un progetto di autonomia politica.

    D. – Che interessi ci sono dietro all’impossibilità di costituire se non una situazione di indipendenza, almeno di autonomia per i curdi?

    R. – Proprio i recentissimi avvenimenti di questi giorni, che vedono una contrapposizione in Siria tra al Qaeda e le minoranze curde che prima erano vessate dal regime di Assad, ma adesso è possibile ipotizzare che se riuscirà ad avere l’appoggio della minoranza curda, che non è proprio una minoranza irrilevante, possa dimostrare una certa riconoscenza – posto che lui riesca a stare al potere e a mantenere la sua posizione di predominio; la stragrande maggioranza della regione kurdistana si trova in territorio turco: è il 30 per cento, praticamente. Il problema è che la Turchia considera la comunità curda facente parte della “umma”, cioè della comunità. Però, teniamo anche conto che la Repubblica turca fondata da Atatürk, era predisposta per una laicizzazione dello Stato ma in nome dell’unità del popolo turco, cioè di un’unità anche etnica. A questo punto, i curdi si sono trovati praticamente fuori dalla famiglia turca pur condividendo la stessa religione... In questi anni, la Turchia forse è stato il Paese maggiormente rigido nei confronti di una possibile autonomia, e teniamo anche conto che il non-riconoscimento della minoranza curda come popolo è anche uno degli ostacoli ad un’eventuale entrata della Turchia in Europa.

    D. – Tra le varie istanze del popolo curdo, la Conferenza nazionale quali può portare avanti con sufficiente concretezza?

    R. – Teniamo conto che il movimento indipendentista curdo è frammentato, cioè ricordiamoci sempre che i rapporti tra minoranza curda e governo di Teheran sono di un certo tipo, e sono diverse da quelle che sussistono tra minoranza curda siriana e governo di Assad, e sono diverse ancora tra quelle tra governo di Ankara e minoranza curda turca.

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    Intimidazioni camorriste contro sacerdote a Caserta. Don Giaquinto: "Vado avanti"

    ◊   Terza intimidazione in due mesi a Casagiove in provincia di Caserta per don Stefano Giaquinto, il parroco che dal pulpito ha più volte fatto nomi e cognomi di camorristi, denunciando traffico di droga, pizzo e illegalità. Nella notte di ferragosto un rogo è stato appiccato davanti al centro per tossicodipendenti “Il Nazareno” legato alla parrocchia di Santa Maria della Vittoria. “Non mi fermeranno , credo in una Chiesa che denuncia per annunciare” spiega don Giaquinto al microfono di Paolo Ondarza:

    R. - Io sono un prete e non faccio niente di straordinario; sono cose ordinarie. “Io sono un povero viandante in questa vigna”, come diceva il Papa emerito, in questa terra bella che è il Mezzogiorno. Io dico questo alla gente: “Non lasciatevi rubare la speranza”, perché la camorra è un piccolo numero, noi siamo più della camorra! Noi siamo di più di coloro che vendono morte, di chi fa la tratta… noi siamo più di loro, perché a capo della nostra squadra c’è un coach che - torno a dirvelo con il cuore - è Gesù di Nazareth, un giovane che - vogliate o non vogliate - è stato il primo diffidato della storia.

    D. - Lei ha denunciato in passato, e continua a farlo. Non ha mancato di fare nomi, e forse è questo che più di tutto ha dato fastidio …

    R. - Certo. Quando dall’altare si fanno i nomi e cognomi si dà fastidio. Come faccio a dire Messa se a quattro passi, a un chilometro, a dieci chilometri, a venti chilometri si vende morte? Venti giorni fa hanno fatto un blitz e hanno sequestrato otto chili di droga: cocaina purissima. Il Papa ci dice: “Dovete sentire l’odore del vostro gregge”; noi dobbiamo avere la forza di denunciare per annunciare. Ma se non annunciamo nelle nostre strutture … - Io amo la Chiesa! La amo da morire! - abbiamo fallito.

    D. - Se la denuncia provoca minacce questo non deve fermare …

    R. - Noi siamo preti. Noi abbiamo fatto una scelta radicale. Quel giovane di 33 anni, si è fatto appendere all’albero della vergogna, si è fatto mettere in croce! Noi, come Chiesa dobbiamo andare dove si trovano questi ragazzi; non dobbiamo aspettare che vengano da noi, a casa nostra. E non basta - faccio il mea culpa - avere tanti giovani di questo movimento o di quell’associazione. No! Gli altri giovani, perché non frequentano? Ci dobbiamo chiedere questo. Oggi, la camorra è l’unico esercito, l’unica azienda che arruola.

    D. - Don Stefano, lei in soli due mesi ha ricevuto tre intimidazioni. C’è addirittura chi è entrato armato in chiesa. E nonostante questo, lei ha rifiutato la scorta …

    R. - Lo dico con tutto il cuore, ma quale scorta! Io sono prete! Sono un prete e devo fare il prete. La gente è la mia compagnia; i giovani sono i miei pilastri. Io faccio il prete!

    D. - E la sua gente ha bisogno delle parole che lei rivolge loro. E lo si vede dalla Messe che sono affollatissime. Anche l’ultima in occasione della Festa dell’Assunta … La chiesa non è stata sufficiente, avete dovuto celebrare la Messa all’aperto … C’erano più di mille persone.

    R. - Sì. Soprattutto giovani. La chiesa è sulla strada. Guardi, le faccio velocemente un esempio banale: quando si diventa preti, la propria parrocchia qual è? La propria parrocchia - come quella di tutti i battezzati - si chiama strada. La strada è la nostra parrocchia! Dobbiamo andare lì, in quella strada, in quei viottoli, là dentro come ha fatto Papa Francesco, nell’ultimo viaggio con i giovani. Quell’uomo vestito di bianco, con quella borsa nera, nelle zone povere del Brasile, nelle favelas, non immaginate come sacerdote che ricarica spirituale sia stata per me! Per me quell’uomo è la benzina spirituale!

    D. - “Credo in una Chiesa che denuncia per annunciare”. Questo è quello che lei ha detto. Oltre alla denuncia lei, da sempre, è impegnato anche in attività di formazione, di educazione all’interno della sua parrocchia. Pensiamo anche alle attività di raccolta differenziata che ha avviato…

    R. - Certo. Abbiamo una squadra che aiuta le famiglie, quelle famiglie che riescono a fare più o meno la raccolta, pensiamo agli anziani ... Pensi che abbiamo fatto una raccolta di plastica per sette mesi e la somma che abbiamo ricavato l’abbiamo destinata ai poveri.

    D. – In diciotto anni di sacerdozio ha sperimentato la conversione di persone che appartenevano alla camorra?

    R. - Ho sperimentato tante bellezze; per questo non mi tiro indietro. Le racconto un episodio: un boss di camorra, appena uscito venne a confessarsi. Ora, la moglie è impegnata attivamente nella parrocchia insieme ai figli.

    D. - E questo dà molto fastidio alla camorra…

    R. - A me non interessa. Devo raccogliere tutti i cocci che incontro lungo la strada. Sono un prete di questa Chiesa che amo!

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    Da oggi parte il redditometro. L'esperto: rafforzare la tracciabilità dei pagamenti

    ◊   Da oggi è entrato in vigore, in Italia, il nuovo redditometro, che tiene conto di dati più dettagliati per ricostruire quanto guadagna un cittadino. Il sistema si applica agli accertamenti relativi ai redditi dichiarati dal 2009 in poi. Il servizio di Alessandro Guarasci.

    Il fisco affila le armi per scovare gli evasori. Nel 2013 l''Agenzia delle Entrate pensa di recuperare non meno di 13 miliardi, ma evidentemente non basta. Il nuovo redditometro sostituisce il vecchio, non più efficace. In pratica saranno presi in considerazione il reddito dichiarato di un soggetto e le sue spese: se lo scostamento tra queste due voci supera il 20% allora scattano i controlli e il contribuente è chiamato a dare giustificazioni. Il commento di Oreste Saccone, dell’associazione "Fisco Equo":

    R. - Il Redditometro rileva solo ai fini dell’imposta diretta, sull’Irpef, mentre salva l’Iva, l’Irap ed i contributi previdenziali. Questo significa che un imprenditore che dichiara 30 e guadagna di fatto 100, ha tutto l’interesse qualora venisse preso con un controllo, ad avere come forma di controllo il Redditometro, anziché un controllo ordinario di tipo analitico. Il primo strumento di lotta all’evasione non è il controllo, ma la prevenzione.

    D. - Lei intende, in questo caso, la tracciabilità dei pagamenti?

    R. - Sicuramente. Oggi siamo molto indietro. Pensiamo ai professionisti: un pagamento tracciato, vuol dire che - come per il dipendente – si oggettivizza il momento dell’operazione economica. Se lo stesso sistema si applicasse - come sarebbe naturale - per i professionisti e le piccole imprese, avremmo risolto il problema.

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    Fondazione Ashpi: impegnarsi per l'inserimento dei disabili nel mondo del lavoro

    ◊   In Italia solo il 16% delle persone con disabilità fra i 15 e i 74 anni lavora: è il dato fornito dalla Fish, Federazione italiana superamento handicap. Sui ritardi dell'Italia in materia di integrazione dei disabili nel mondo del lavoro, Federica Baioni ha raccolto il parere di Andrea Magalotti, segretario generale di Asphi onlus, fondazione che si occupa proprio di inserimento lavorativo dei disabili:

    R. – Questo è un problema abbastanza generale per il nostro Paese: le norme ci sono e sarebbero abbastanza buone, ma l’attuazione è molto lenta. La stessa legge sulla flessibilità, che è una buona legge e che è una delle poche – credo - che in Italia sia stata approvata all’unanimità dal Parlamento, in termini applicativi poi è andata abbastanza a rilento. Per quanto riguarda il lavoro, c’è sempre stata – e c’è – una certa resistenza da parte delle aziende ad assumere persone con disabilità. Rispetto, però, ai tempi da cui noi siamo partiti – oltre 30 anni fa – le cose sono molto migliorate. L’atteggiamento non è più quello di una resistenza totale all’inserimento di persone con disabilità in azienda, che c’era a quei tempi. Anche perché l’informatica aiuta molto da questo punto di vista.

    D. –Che cosa fa Asphi Onlus per aiutare un disabile ad inserirsi nel mondo del lavoro?

    R. – All’origine la nostra fu una sfida totale: quella di mettere una persona non vedente in condizioni di fare il programmatore di calcolatori elettronici. In realtà, attraverso l’aiuto della tecnologia dell’informazione e della comunicazione questo è stato possibile: allora con strumenti rudimentali ed oggi con strumenti come quello della sintesi vocale, che permettono alla persona non vedente di ascoltare sostanzialmente i testi scritti su uno schermo. Cerchiamo di dare alle persone con disabilità gli strumenti per potersi inserire nelle professioni informatiche, che ormai sono tante, perché viviamo in un mondo tutto tecnologico, in cui l’informatica e le comunicazioni permeano tutto. Quindi la prima cosa di cui ci preoccupiamo è quella della preparazione; la seconda cosa è quella dell’inserimento in azienda – e qui abbiamo contatti con molte aziende – e la proposta consiste nell’aiutarli a preparare l’ambiente per accogliere una persona con disabilità. Non la si può inserire, infatti, in maniera automatica e bisogna prepararla ad un ambiente di manager e tecnologie. Una terza iniziativa, che noi chiamiamo “valorizzazione delle persone disabili in azienda”, consiste invece nel cercare, nel momento in cui si hanno delle persone con disabilità all’interno, di non dimenticarsene e di portarle avanti, facendogli "fare carriera" come a tutte le altre persone, aggiornandole, tenendole al passo con quella che è la tecnologia, con quella che è l’evoluzione del mondo e della società.

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    Giornata mondiale aiuti umanitari. Il commissario europeo Georgieva: nessun Paese deve essere abbandonato

    ◊   Il 19 agosto 2003 nell’attacco terroristico contro la sede delle Nazioni Unite a Baghdad perdevano la vita 22 persone,t ra di loro anche l’inviato dell’Onu in Iraq, il diplomatico brasiliano, Sergio Vieira de Mello. Nel decimo anniversario, il Palazzo di Vetro ospiterà oggi una cerimonia commemorativa. Da allora ogni anno in questa data si celebra la Giornata mondiale degli aiuti umanitari. Fausta Speranza ha intervistato in proposito Kristalina Georgieva, Commissario europeo per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi:

    R. – Unfortunately we had seen an increasing...
    Purtroppo abbiamo visto aumentare la violenza contro quelle persone che rischiano la loro vita per salvare quella altrui. Negli ultimi dieci anni, 880 operatori umanitari sono stati uccisi e circa 1.500 sono stati feriti o rapiti: tre volte di più rispetto al periodo precedente la guerra in Iraq. Questo perché ci sono state più situazioni di violenza, e questo mi porta a pensare direttamente alla Siria. In Siria, infatti, è in corso il conflitto più violento nel quale la garanzia di sicurezza di medici e operatori umanitari è completamente ignorata. Le ambulanze vengono colpite, gli ospedali bombardati, i convogli che trasportano cibo e medicinali salvavita vengono bloccati da uomini armati che rubano i kit chirurgici: questo significa che la gente muore per colpa della violenza esercitata nei riguardi degli operatori umanitari!

    D. – E’ stata in Siria?

    R. – I have been numerous times in the neighbouring Countries...
    Sono stata numerose volte nei Paesi vicini, dove ho incontrato i rifugiati siriani. Sono stata, di notte, al confine tra la Giordania e la Siria e ho visto persone arrivare senza nulla, con i soli vestiti che indossavano, sui volti il terrore per quello che hanno lasciato alle spalle. Non sono stata in Siria, perché questo richiede un permesso da parte del governo di Assad. In qualità di Commissario per le questioni umanitarie do molto valore al principio di neutralità, imparzialità e indipendenza e questo significa che in ogni conflitto, incluso quello siriano, non prendiamo posizione: ci preoccupiamo solo del destino della gente, le cui vite sono a rischio a causa dei combattimenti e della sicurezza degli operatori umanitari che sono lì per aiutarli. La crisi siriana è forse la peggiore degli ultimi decenni, con oltre 100 mila morti e 1 milione e 700 mila rifugiati nei Paesi vicini, ma anche oltre 5 milioni di sfollati all’interno del Paese.

    D. – La Siria è un’emergenza assoluta, è una tragedia, ma ci sono altre aree in crisi da ricordare.
    R. – You are so right. I went very recently…
    Sì, sono stata recentemente nella Repubblica centrafricana: un Paese di 4 milioni e 600 mila abitanti, tutti colpiti dal conflitto! Sono stata nella cittadina di Kaga-Bandoro, nel cuore della Repubblica Centrafricana, con una popolazione di 26 mila persone, dove ho visitato un ospedale. Nella struttura non c’era assolutamente nulla: né elettricità, né strumenti medici, né medicinali, né cibo, né materassi. Un uomo in quell’ospedale mi ha chiesto: “Come mai il mondo ha dimenticato che esistiamo?”. Posso trovare la risposta solo parlando per conto delle persone del Centrafrica e facendo tutto il possibile per aiutarle. Noi abbiamo significativamente aumentato l’aiuto umanitario per questo Paese: l’anno scorso abbiamo procurato 8 milioni di euro e quest’anno forniremo 20 milioni di euro e forse anche di più. Stiamo lavorando molto duramente per ottenere l’attenzione delle Nazioni Unite, in modo da fornire una maggiore sicurezza al Paese. Nessun Paese dovrebbe essere abbandonato, perché l’abbandono significa una sofferenza enorme per i suoi abitanti, ma significa anche mancanza di sicurezza per i Paesi vicini e per tutto il mondo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: sconcerto tra i cristiani per l’assoluzione dell’imam che aveva accusato falsamente Rimsha

    ◊   Sconcerto e amarezza nella comunità cristiana in Pakistan, dopo che sabato scorso un tribunale di Islamabad ha assolto Khalid Chishti, l’imam che aveva formulato le false accuse di blasfemia contro la ragazza cattolica disabile mentale Rimsha Masih. A un anno dai fatti, il caso, dell’agosto-settembre 2012, aveva suscitato grande scalpore in Pakistan e in tutto il mondo ed era stato indicato come esempio di abuso della legge di blasfemia. Il giudice ha assolto l’imam dopo che sei testimoni oculari hanno ritirato le dichiarazioni che lo accusavano di aver ordito il complotto. In seguito alle false accuse, musulmani radicali avevano attaccato il quartiere cristiano di Mehrabadi (dove viveva la famiglia di Rimsha) e numerose famiglie cristiane sono dovute fuggire per salvare le loro vite. In una dichiarazione inviata a Fides, l'avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, direttore dell’Ong cristiana“Legal Evangelical Assistance and Development” (LEAD) si dice “profondamente deluso dal giudizio della Corte, data la evidente e provata colpevolezza di Chishti”. La sua assoluzione, infatti “non farà altro che generare nuova impunità e assecondare quanti continuano ad abusare della legge di blasfemia”. L’avvocato domanda al governo del Pakistan “di abrogare tutte le leggi discriminatorie, compresa la legge sulla blasfemia”. Nei casi di supposta blasfemia, le persone accusate e i loro familiari – tanto più se membri delle minoranze religiose – sono in costante pericolo di vita, per possibili uccisioni extragiudiziali. Attualmente, Rimsha e la sua famiglia hanno trovato asilo in Canada, dato che erano comunque in pericolo di vita. Inoltre nelle indagini e nei processi, la polizia e la magistratura subiscono le pressioni dei gruppi estremisti islamici e spesso salvaguardano o parteggiano per imputati musulmani.

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    India: estremisti indù attaccano famiglia cristiana a Jaipur

    ◊   “Se non vi convertite all'induismo vi uccideremo e vi faremo a pezzi”: con questa terribile minaccia un gruppo di ultranazionalisti indù ha aggredito e picchiato un'anziana signora cristiana, a Jaipur, nello Stato indiano del Rajasthan. Gli uomini cercavano il figlio - un pastore pentecostale - e la moglie. La donna ha riportato gravi ferite a testa e braccia. Al momento dell'attacco – riferisce AsiaNews - la donna era sola in casa del figlio, il reverendo Vishaal Behl. L'abitazione funge anche da sala di preghiera per la Fire of God Ministries, la comunità pentecostale guidata dal pastore. L’aggressione è avvenuta il 13 agosto scorso, quando quattro uomini hanno suonato alla porta, con i volti coperti da caschi. Il gruppo ha fatto irruzione, distruggendo varie suppellettili e minacciando l'anziana madre affinché rivelasse dove si trovavano i due. La donna ha detto di non sapere dove fossero, e per questo è stata picchiata. Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), ha espresso “profonda tristezza” per l'aggressione, che testimonia “la crescente intolleranza e ostilità verso i cristiani, il silenzio delle autorità e l'assenza di condanne” per i colpevoli. “Con un occhio alle elezioni generali del 2014 - spiega il leader cristiano - le forze estremiste hindutva pensano che fomentare le tensioni tra le diverse comunità e aizzare la società contro la minoranza cristiana possa aiutarle a ottenere voti”. (M.G.)

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    Argentina: al via i lavori del Comitato permanente dei vescovi

    ◊   La valutazione della partecipazione argentina alla Gmg di Rio e la fase finale preparatoria della beatificazione del Cura Brochero che si svolgerà il 14 settembre nella cittadina del “prete gaucho”, Rosario Brochero. Sono questi i punti più rilevanti dell’agenda al centro della 165.ma sessione del Comitato Permanente dell'Episcopato argentino, che si terrà dal 20 al 22 agosto, presieduta dall'arcivescovo di Santa Fé, mons. José María Arancedo, presidente dell'episcopato. L’incontro è considerato uno dei più impegnativi degli ultimi anni, poiché vede la partecipazione di tutti i vescovi presidenti delle Commissioni episcopali e i delegati delle regioni pastorali ed è il primo dopo l'elezione del cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, al Soglio di Pietro. L’episcopato argentino è chiamato discutere altri temi di grande rilevanza: le risposte al Pontificio Consiglio "Cor Unum" sulle questioni riguardanti il servizio della Carità nella Chiesa; la Colletta Nazionale "Más por Menos" dell'8 settembre prossimo e dunque la definizione delle diocesi più bisognose e i progetti da sostenere. Per concludere, il Comitato Permanente dovrà valutare l'andamento delle iniziative pastorali a sostegno della vita e della famiglia, in particolare il progetto "Senderos de Vida". La sessione dovrà infine fissare l'agenda della Plenaria episcopale di novembre prossimo. Nel corso della tradizionale panoramica della situazione nazionale sicuramente i vescovi si soffermeranno sui risultati delle elezioni politiche primarie di domenica 11 che hanno segnato un consistente arretramento del "Justicialismo" (partito peronista) che appoggia la Presidente Cristina Fernández de Kirchner. (M.G.)

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    L'arcivescovo di San Salvador: serve piano contro la violenza delle bande

    ◊   L’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, si è pronunciato ieri spronando i candidati alle elezioni del 2 febbraio 2014 a occuparsi del problema della violenza nelle strade dovuta soprattutto ai “maras”, bande di ragazzi che imperversano nelle strade del Salvador. “È opportuno che i candidati presidenziali presentino un piano”, ha affermato il presule, “per risolvere il problema ma deve essere una soluzione integrale, vera e trasparente”. La “violenza delinquenziale”, ha poi aggiunto, “è il nostro problema maggiore e richiede quindi una soluzione urgente". “Maras” è il nome con cui si designa un’intera categoria di bande di strada che combattono in vere guerriglie urbane per contendersi il territorio. Dal marzo 2012, grazie alla mediazione di un politico e di un vescovo che hanno aiutato le bande a raggiungere un accordo tra di loro, la violenza ad El Salvador è diminuita passando da 12 a 5 omicidi al giorno. (D.P.)

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    L’arcivescovo di Seoul: è tempo di pace per le due Coree

    ◊   L’arcivescovo di Seoul mons. Andrew Yeom Soo-Jung ha affidato alla protezione della Madonna la pace e la riconciliazione tra Corea del Nord e Corea del Sud. L’arcivescovo, riporta l’agenzia Fides, ha pregato la Vergine “madre della riconciliazione fra la Corea del Nord e la Corea del Sud” affidandole “la promozione della pace nella penisola coreana”. In un messaggio il presule chiede di riavviare le “riunificazioni familiari” - il ricongiungimento delle famiglie divise dalla frontiera. “La riconciliazione fra Nord e Corea del Sud - si legge nel messaggio - non è solo una questione della penisola, ma anche via per la pace nel mondo. Ecco perché dovremmo accantonare il passato e guardare verso un futuro luminoso di speranza”. “Prego – aggiunge il presule - affinché siano applicate politiche più sagge, secondo criteri di umanità e che i dialoghi possano riprendere fino al giorno in cui Nord e Sud Corea possano aprire i cuori a vicenda”. L’arcivescovo conclude il suo messaggio invitando i cristiani a pregare e a trovare nella preghiera il modo di mettere da parte divisioni e odio perché anche la Corea sia “in grado di iniziare un brillante futuro di amore e di pace”. (D.P.)

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    Amazzonia: avviate le celebrazioni per il centenario di presenza salesiana

    ◊   I salesiani di Don Bosco dell’Ispettoria di Manaus hanno aperto le celebrazioni per il centenario di presenza salesiana nell’Amazzonia brasiliana (1915-2015). E’ quanto riporta l’agenzia Ans. L’atto principale delle celebrazioni, che si chiuderanno nel 2015, è consistito nella solenne Eucaristia presieduta dal Consigliere per l’America Cono sud, don Natale Vitali, in questi giorni nella Visita Straordinaria all’Ispettoria di Manaus. La prima opera che i salesiani eressero nella regione, nel 1914, fu la missione di “São Gabriel da Cachoeira”; successivamente i Figli di Don Bosco si sono sparsi in tutta la regione, con scuole, oratori, centri giovanili, opere per ragazzi a rischio, centri professionali, parrocchie, e ultimamente anche con la facoltà universitaria salesiana. L’evangelizzazione, l’educazione e la promozione umana sono stati i fronti apostolici dei salesiani di ieri e di oggi. La ricchezza del carisma salesiano ha preso il volto brasiliano e amazzonico. “Siamo davvero riconoscenti del lavoro fatto dei primi salesiani e di quelli che poi sono stati attratti da Cristo e da Don Bosco al servizio dei giovani – ha scritto in una lettera don Francisco Alves de Lima, ispettore di Manaus – Vogliamo far memoria della vita dei salesiani, dei giovani, dei laici che hanno incarnato nella nostra realtà il cuore pastorale di Don Bosco. E, inoltre, vogliamo impegnarci sempre di più per andare andare incontro ai giovani, soprattutto ai più poveri”. Come tema della celebrazione è stato scelto infatti: “Salesiani nell’Amazzonia: 100 anni di missione!”; motto dell’iniziativa è: “Il seme ha dato buoni frutti”. (A.G.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 231

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.