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Sommario del 17/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: cessi la violenza in Egitto, si scelga via del dialogo e della riconciliazione
  • Il vescovo di Giza: bruciate decine di chiese, cresce la preoccupazione tra i cristiani
  • Tweet del Papa: non possiamo dormire tranquilli con bambini che muoiono di fame e anziani senza cure
  • Mons. Paglia: il Papa chiede un legame tra generazioni, contro lo sfarinamento della società
  • Tragedia del mare nelle Filippine, 200 dispersi: il dolore del Papa
  • Nomine di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: l'esercito attacca i sostenitori di Morsi nella moschea di al-Fatah
  • Afghanistan: serie di attentati talebani, lunedì la festa dell'indipendenza
  • Autobomba in Libano contro Hezbollah. Il leader degli sciiti: evitare guerra civile
  • Vincere indifferenza, egoismo e ingiustizia: 110 anni fa nasceva Raoul Follereau, apostolo dei lebbrosi
  • Meeting di Rimini sul tema dell'emergenza uomo: la riflessione di Emilia Guarnieri
  • Continuano gli sbarchi in Sicilia. La Caritas di Noto: la nostra vocazione è l'accoglienza
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • I vescovi boliviani: no alla depenalizzazione dell’aborto
  • Appello dei vescovi del Benin per la revisione della Costituzione
  • Congo: 82 bambini soldato restituiti alle famiglie
  • Nigeria: 11 morti in un nuovo attacco di "Boko Haram"
  • Attacco degli Shabaab somali in Kenya: centinaia di civili in fuga
  • Siria: combattimenti in tutto il Paese, decine di morti
  • Il card. Bačkis alle celebrazioni del 1025.mo del “battesimo”della Rus’ ucraina
  • Grecia: visita dei i vescovi umbri alla Chiesa cattolica e a quella ortodossa
  • Cina: almeno 25 morti per le inondazioni nel Nord
  • Spazio. Passeggiata da record sulla stazione spaziale internazionale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: cessi la violenza in Egitto, si scelga via del dialogo e della riconciliazione

    ◊   Il Papa “continua a seguire con crescente preoccupazione le gravi notizie che giungono dall'Egitto e continua a pregare perché cessi la violenza e affinché le parti scelgano la via del dialogo e della riconciliazione”: è quanto ha riferito il vicedirettore della Sala Stampa, padre Ciro Benedettini. Già all'Angelus della Solennità dell'Assunta Papa Francesco aveva lanciato un accorato appello di pace per l'Egitto, assicurando le sue preghiere "per le vittime, i loro familiari, i feriti e quanti soffrono".

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    Il vescovo di Giza: bruciate decine di chiese, cresce la preoccupazione tra i cristiani

    ◊   Sono almeno 30 le chiese (copte, cattoliche, ortodosse e protestanti) date alle fiamme in questi giorni in Egitto. E poi sono stati presi di mira anche case, scuole, monasteri e negozi gestiti dai cristiani, da Suez a Minya, da Sohag ad Assiut. Della situazione in Egitto, delle preoccupazioni della popolazione e dei cristiani, Fausta Speranza ha parlato con il vescovo di Giza, mons. Antonious Aziz Mina:

    R. - La preoccupazione è grande. Tutto il popolo è compatto, tranne questi Fratelli Musulmani che hanno governato per un anno facendo vedere il peggio di quello che hanno da esprimere. Le statistiche dicono che gli appartenenti al gruppo non sono più di 700 mila. Adesso emerge che sono legati ad Al Qaeda, un’organizzazione terroristica, e anche ad Hamas. Non hanno alcun interesse, né per il Paese, né per gli egiziani, per nessuno. Hanno un unico interesse: quello dei Fratelli Musulmani. In questi ultimi giorni sono state bruciate decine di chiese tra cattoliche, ortodosse e protestanti. Pensano che, in questo modo, i cristiani entreranno in conflitto con il governo e con l’esercito e pensano dunque di seminare il disordine in tutto il Paese. Invece, i cristiani sono consapevoli che c’è un prezzo da pagare per isolare queste fazioni che non hanno alcuna forza ed esperienza politica. La forza che hanno è solamente terroristica.

    D. - Qual è il filo che tiene uniti i cristiani?

    R. - Noi siamo uniti in Cristo nella preghiera. In ogni Paese la situazione dei cristiani è diversa. Non si può paragonare la situazione dei cristiani in Libano con quella dei cristiani in Egitto, in Iraq, in Siria. In ogni Paese la situazione è differente. In Egitto, c’è una grande presenza cristiana, anche se non cattolica. Ma all’interno, questa presenza dei cristiani - cattolici, ortodossi, protestanti - è compatta. Hanno sempre le stesse posizioni e oggi li vediamo tutti compatti per dire: “No al terrorismo, no a questa violenza!”. E questo ‘no’ è molto pacifico.

    D. - Lei ci dice di un Paese non spaccato, non fratricida, però all’interno del mondo musulmano, un fermento ed un contrasto c’è…

    R. - Si vede che ci sono interessi - oserei dire - internazionali che sostengono questi Fratelli Musulmani. La verità ha mille facce. Finora l’Egitto era l’equilibrio di tutto il Medio Oriente, e non so chi sia interessato a distruggerlo.

    D. - Che cosa direbbe a chi afferma che l’Egitto è sull’orlo della guerra civile?

    R. - Non c’è una guerra civile! Si parla di guerra civile quando ci sono due fazioni ben distinte. Se queste fazioni manifestassero pacificamente nessuno direbbe nulla! Invece, vediamo bruciare, torturare, uccidere, distruggere… Non c’è una guerra civile!

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    Tweet del Papa: non possiamo dormire tranquilli con bambini che muoiono di fame e anziani senza cure

    ◊   “Non possiamo dormire tranquilli mentre bambini muoiono di fame e anziani non hanno assistenza medica”. E’ il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex seguito da oltre 8,5 milioni di follower. In molte occasioni, il Pontefice ha messo l’accento sulla tutela dei più deboli, criticando radicalmente la “cultura dello scarto”. Riproponiamo alcune parole del Papa nel servizio di Alessandro Gisotti:

    Custodire i più deboli, i poveri perché loro sono “la carne sofferente di Cristo”. Papa Francesco, con le parole e ancor più con gesti come la visita a Lampedusa e alla favela di Varginha, sta testimoniando quanto sia importante non rimanere indifferenti alle sofferenze degli esclusi. Un’attenzione particolare il Papa la rivolge proprio ai bambini e agli anziani, distanti anagraficamente eppure così vicini nella loro fragilità, nella necessità di amore, di custodia appunto. Sono loro, ha avvertito Papa Francesco, le prime vittime della “cultura dello scarto”: i bambini poveri, i bimbi non nati e gli anziani come i disabili, persone che diventano invisibili agli occhi di una società che tiene in conto solo chi produce. La vita che vale meno di un titolo in Borsa:

    Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! (…) Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti”. (Udienza generale, 5 giugno)

    Le persone, invece, è il monito del Papa, vanno sempre custodite, mai rifiutate. E significativamente, alla Gmg di Rio de Janeiro, Papa Francesco coglie l’occasione di una tribuna planetaria di giovani per ricordare che proprio la gioventù ha tanto da imparare dagli anziani. Il Papa, che ama citare la nonna materna quale esempio di saggezza, chiede ai giovani di non escludere gli anziani così preziosi nel trasmettere fede, valori, memoria:

    “Uno podría pensar que podría haber una especie de eutanasia escondida…”
    “Uno – osserva il Papa parlando ai giovani argentini, nella Cattedrale di Rio - potrebbe pensare che ci sia una specie di eutanasia nascosta, cioè non ci si prende cura degli anziani”. Ma, denuncia, “c’è anche un’eutanasia culturale, perché non li si lascia parlare, non li si lascia agire”. Allora, è l’esortazione del Papa, “i giovani devono emergere, devono farsi valere” e “gli anziani devono aprire la bocca” e “insegnarci”, devono “trasmettere la saggezza dei popoli”.

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    Mons. Paglia: il Papa chiede un legame tra generazioni, contro lo sfarinamento della società

    ◊   Bambini e anziani: Papa Francesco è tornato, con il tweet di oggi, a parlare di un binomio a lui molto caro. Sull’importanza che Papa Francesco attribuisce al legame tra le diverse generazioni, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

    R. – Io credo che il Papa con grande intuito pastorale continui a porre in rapporto stretto i bambini e gli anziani per parlare della famiglia e della vita in generale, proprio perché tra questi due estremi si snoda l’intero arco della vita della società, come anche della Chiesa. In questo senso, potremmo dire che non è negoziabile eliminare l’infanzia o eliminare la vita degli anziani, magari non facendo nascere i piccoli o con l’eutanasia, eliminando gli anziani.

    D. – Il Papa radicalmente critica proprio questa cultura dello scarto, per cui se non si è produttivi in qualche modo – i bambini e gli anziani – si è esclusi…

    R. – In questo senso, infatti, uno potrebbe bollare questa affermazione superficialmente come buonismo, ma in realtà il Papa tocca uno dei cardini della incultura contemporanea, cioè di quella cultura dell’indifferenza e dello scarto che sta rendendo amara la vita di tutti, di tutti. Pensiamo anche al discorso che ha fatto a Lampedusa. Ecco perché uno dei compiti fondamentali della Chiesa e dei cristiani all’inizio di questo nuovo millennio è quello, se mi è permesso, di ricomporre l’icona della famiglia, che comprende appunto i bambini, i giovani, gli adulti, gli anziani, i sani e i malati. In questo senso, una vita che escludesse i piccoli e gli anziani sarebbe come quella di un albero che escludesse le radici, i frutti e le foglie: sarebbe un tronco.

    D. – C’è anche un altro aspetto che colpisce. In un momento in cui, anche stancamente, soprattutto in Occidente, si parla di scontro intergenerazionale, il Papa ci sottolinea invece che non può esserci nessun futuro senza un patto generazionale…

    R. – Esatto. Questo, secondo me, è un altro punto importante. Con questo richiamo il Papa denuncia quel fossato che si sta ponendo tra le generazioni. E’ come se ogni età fosse abbandonata a se stessa, senza più il legame che potremmo dire appunto intergenerazionale, che è la storia, che è la cultura, che è la vita di un popolo. In realtà noi rischiamo di sfarinare la società: ognuno per sé. Ma una cultura che sottolinea l’io e che condanna il noi è terribile, perché crea non solo indifferenza, ma anche crudeltà. Ecco perché il legame tra le generazioni è la condizione per lo sviluppo, per l’incontro, per una vita che sia più pacifica e più serena. Questo tweet in realtà è una finestra spalancata sulla società, che ci chiede di guardare con attenzione l’intero arco della vita, che tutti siamo chiamati a vivere nella serenità, nella pace ed anche nella fatica.

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    Tragedia del mare nelle Filippine, 200 dispersi: il dolore del Papa

    ◊   Il Papa ha espresso il suo profondo dolore “per la tragica perdita di vite umane” in seguito all’affondamento di un traghetto al largo del porto di Cebu, nelle Filippine. Al momento, degli 841 passeggeri del traghetto, si sono salvate circa 600 persone, ma sono oltre 200 i dispersi: 26 i corpi recuperati. Papa Francesco, nel telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato all’arcivescovo di Cebu, mons. Jose S. Palma, assicura “la sua vicinanza nella preghiera e affida le vittime alla misericordia amorevole di Dio Onnipotente” invocando “la forza e la consolazione divina sulle famiglie in lutto, i feriti e coloro che sono impegnati nelle operazioni di soccorso”.

    L’incidente è avvenuto la notte scorsa a causa di una collisione con una porta-container che stava rientrando in porto. I passeggeri del traghetto si sono buttati in mare con i salvagente per essere recuperati dai pescherecci e dalle navi che passavano; i sommozzatori stanno lavorando alla ricerca di eventuali sopravvissuti. Le autorità stanno interrogando i capitani delle navi per far luce sull’accaduto.

    Nelle Filippine, un arcipelago di più di 7.000 isole, il mezzo di trasporto più comune è il traghetto e nel passato si sono verificati altri incidenti catastrofici, il più grave quello del 1987 al largo di Manila, quando morirono 4300 persone.

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    Nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha nominato Nunzio Apostolico in Ghana il Rev.do Mons. Jean-Marie Speich, finora Consigliere di Nunziatura presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Sulci, con dignità di Arcivescovo.

    Il Papa ha nominato il Card. Joachim Meisner, Arcivescovo di Köln, Suo Inviato Speciale alle celebrazioni del 750.mo anniversario della posa della prima pietra del Duomo di Xanten, che avranno luogo il 13 ottobre 2013.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Pace e riconciliazione per l’Egitto: l’appello d Papa Francesco all’Angelus dell’Assunta.

    In prima pagina, un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo “Un ruolo grande e importante”: Papa Francesco parla ancora delle donne nella Chiesa.

    Solidarietà più forte dei pregiudizi: in Sicilia bagnanti mettono in salvo oltre cento migranti.

    Non è un’alternativa alla vita quotidiana: sul significato del monastero, Giuliano Zanchi recensisce il libro “Mentre vi guardo” di Ignazia Angelini.

    Pompeo ed Ercolano a Londra: Alessandro Scafi sul grande successo della mostra al British Museum.

    Uno stralcio dal volume di Cristiana Dobner “Che cosa sono queste pietre? Ascoltare la presenza silente”.

    Quei dati scomodi sui farmaci che è tanto facile ignorare: Cristian Martini Grimaldi sulla “fabbrica delle medicine” nell’analisi di Ben Goldacre.

    Un articolo di Enrico Reggiani dal titolo “Un gigantesco Quinbus Flestrin tutto da scoprire”: la monumentale biografia di G.K. Chesterton scritta da Ian Ker.

    I cerchi concentrici di Taizé: Fratel Emile su ecumenismo ed ecclesiologia della comunità fondata da frere Roger.

    Nessuno è lasciato senza questo dono: Inos Biffi sulla “Lumen fidei”.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: l'esercito attacca i sostenitori di Morsi nella moschea di al-Fatah

    ◊   Non accenna a diminuire la tensione in Egitto: al Cairo, scaduto l’ultimatum, le forze dell’ordine sono intervenute per sgomberare i manifestanti favorevoli all’ex presidente Morsi, asserragliati nella moschea di al-Fatah. Ad aumentare la rabbia tra le file della fratellanza nusulmana anche la conferma che tra i circa 170 morti della cosiddetta “giornata della Collera” di ieri, c’è anche uno dei figli del loro leader, Mohamed Badie. Il ragazzo sarebbe stato colpito da un proiettile durante le proteste. Lo scioglimento della fratellanza sarebbe intanto stato proposto dal premier egiziano e il governo, secondo quanto si apprende, starebbe valutando la proposta. Secondo fonti della sicurezza, inoltre, è stato arrestato il fratello del leader di al-Qaeda, al-Zawahiri, accusato di sostenere Morsi. Continuano i timori anche per i cristiani locali, dopo le molte chiese assaltate negli scorsi giorni: il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha lanciato un appello per la protezione dei copti. Sulla complessa situazione dell'Egitto, e sulle forze in campo, Davide Maggiore ha ascoltato Massimo Campanini, docente di islam contemporaneo all'Università di Trento:

    R. – Sono sconfitti i militari perché dimostrano ancora una volta di non essere affidabili dal punto di vista democratico; ne escono sconfitti i Fratelli musulmani perché evidentemente stanno pagando un altissimo prezzo di sangue e oltretutto avranno anche difficoltà nel prossimo futuro a riorganizzarsi. Ritengo che chi risulta maggiormente sconfitto sia quella che era una volta l’opposizione laica che, certamente, governerà ma “sulla punta delle baionette”, per così dire. Non credo che in questo modo si riuscirà ad arrivare ad un autentico momento di riconciliazione.

    D. – C’è a livello internazionale o anche a livello interno dell’Egitto, qualcuno che può fungere da attore che favorisca la pace?

    R. – Credo che si debba aspettare una decantazione della situazione e la tranquillità nelle piazze. Credo che la via maestra sia quella di arrivare al più presto possibile a nuove elezioni senza che vi siano interferenze esterne che possano spingere o risolvere la situazione da una parte o dall’altra.

    D. – Vediamo, tra l’altro, che il mondo arabo e, più in generale, il mondo islamico si è diviso: alcuni Paesi, come il Qatar e la Turchia, sono a favore dei Fratelli musulmani, altri – come il Kuwait e l’Arabia Saudita – hanno mostrato un supporto per le azioni del governo. Perché avviene questa divisione?

    R. – E’ un complesso gioco di ricerca di egemonia all’interno del mondo arabo e all’interno del mondo islamico. Il modello della Turchia e l’attivismo diplomatico del governo Erdogan dopo le primavere arabe è stato indicativo di un certo modo con cui questo Paese emergente avrebbe intenzione di prendere un po’ la guida del Medio Oriente; dall’altro punto di vista, è la stessa posizione dell’Arabia Saudita, che non ha mai visto di buon occhio il governo dei Fratelli musulmani in Egitto. Di conseguenza, è un gioco molto complesso, di interessi internazionali, in cui l’Islam viene utilizzato in maniera strumentale – nel senso che il problema non è tanto un problema religioso, di schieramenti e di prese di posizione religiose, quanto un problema squisitamente politico.

    D. – La situazione egiziana può in qualche modo influenzare il quadro mediorientale più ampio?

    R. – Naturalmente, sì. Per molte ragioni: innanzitutto, perché l’Egitto è il pilastro del mondo arabo dato il suo peso economico-politico-militare e sociale; Morsi e il governo dei Fratelli musulmani avevano aperto, naturalmente, ai palestinesi, avevano preso distanza dall’atteggiamento che Mubarak aveva tenuto nei confronti di Israele e nei confronti della politica americana in Medio Oriente. Quindi, da questo punto di vista, un Egitto instabile, un Egitto che non abbia la possibilità di far sentire il peso della sua capacità economica e politica e militare, evidentemente è un elemento di instabilità e di promozione di nuovi accordi, di nuovi equilibri mediorientali.

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    Afghanistan: serie di attentati talebani, lunedì la festa dell'indipendenza

    ◊   Giornata di violenza in Afghanistan: una ventina le vittime in diversi attacchi condotti dai talebani in diverse province del Paese asiatico; il più grave a Herat con l’uccisione di alcuni operai addetti alla costruzione di una strada. Lunedì, l’Afghanistan ricorderà l’indipendenza dal controllo britannico ma stavolta la ricorrenza è segnata da un clima di tensione e dal numero crescente di attentati. Come mai questo Paese non riesce a trovare una via d’uscita? Benedetta Capelli lo ha chiesto ad Antonello Biagini, ordinario di Storia dell’Europa orientale all’Università di Roma “La Sapienza”:

    R. – La mia opinione è che non sia stata trovata una soluzione giusta, coerente anche con gli usi, i costumi e le tradizioni del Paese stesso. Un piccolo accenno storico è necessario: l’Afghanistan era un Paese strutturato su un sistema tribale e le poche volte che ha funzionato è stato quando il consiglio dei capi tribù ha trovato soluzioni comuni. Poi, è stato sempre un crocevia e un punto strategico interessante, per cui ci hanno provato gli inglesi, prima - che poi non sono mai riusciti a controllarlo veramente - quindi, tutto il periodo sovietico e di nuovo l’implosione dell’Unione Sovietica e la caduta del regime comunista in Afghanistan. Si sono, dunque, prodotti questi effetti con la ripresa anche dell’islamismo politico estremista e quindi l’esigenza – per un verso necessaria, per altro verso forse si sarebbero potute trovare altre strade – di questo intervento della comunità internazionale che ha certamente ripristinato un sistema “democratico” ma tipicamente occidentale, con le elezioni, il parlamento che è sostanzialmente abbastanza estraneo a queste realtà… Questo è un errore che l’Occidente fa spesso, in molti Paesi, dove ritiene che il nostro modello – posto che funzioni bene da noi – possa funzionare anche da altre parti …

    D. – Mesi fa si è parlato di negoziati tra governo di Kabul e talebani, sotto l’egida degli Stati Uniti. Poi, tutto è saltato ed il presidente Karzai, ultimamente, ha rilanciato l’ipotesi. Le trattative tra le parti continuano oppure no?

    R. – C’è un paradosso, in tutto questo, perché è come se un governo “legittimo” instaurasse una trattativa con una guerriglia, quindi con un’opposizione armata, che vuole distruggerlo. Ora, queste trattative – secondo me – andranno avanti, perché è un po’ una strada obbligata; ma è il risultato delle trattative che non è detto che dia gli esiti sperati. Bisogna tener conto di queste forze politiche che si rifanno all’Islam, ma in maniera strumentale perché predicano l’estremismo religioso in realtà per avere un consenso di carattere politico; a questo poi si unisce l’odio o il rancore verso tutte le varie forme di colonialismo passate e di neocolonialismo attuale... è dunque un contesto nel quale l’estremismo può facilmente fare breccia nella popolazione. La trattativa dovrà andare avanti per forza. Un dato è certo: non c’è una stabilizzazione dovuta alla presenza delle forze armate straniere internazionali; non c’è nemmeno una stabilizzazione che viene dall’interno e quindi tutto questo fa prevedere un prolungamento della crisi se, soprattutto, non viene risolto questo grande nodo, che ormai attanaglia tutta la politica e che è lo scontro con queste forme di Al Qaeda, di estremismo politico terrorista e, al tempo stesso, però, con un certo seguito nel mondo islamico.

    D. – Secondo le Nazioni Unite, il numero delle vittime civili nel Paese, quest’anno è aumentato del 23 per cento…

    R. – E’ una cifra spaventosa se pensiamo a tutto quello che è stato investito proprio per evitare questo: questa cifra del 23 per cento è sicuramente una cifra molto alta e non bisogna dimenticare che ci sono zone dello stesso Afghanistan che sono ancora – a quanto ci risulta – totalmente controllate dai talebani, quindi dove le forze di pace non sono riuscite nemmeno a intervenire…

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    Autobomba in Libano contro Hezbollah. Il leader degli sciiti: evitare guerra civile

    ◊   Dopo l’autobomba di giovedì scorso a Beirut contro Hezbollah, che ha causato 24 morti, il leader del movimento sciita Nasrallah attenua i toni, non accusando i rivali sunniti e invitando a “evitare che il Libano venga trascinato in una guerra civile”. L’attentato è stato rivendicato da un gruppuscolo sconosciuto che si dice alleato dei ribelli siriani. Xavier Sartre ha sentito il commento di mons. Paul Nabil Sayyah, vicario generale del Patriarcato maronita, raggiunto telefonicamente a Beirut:

    R. - Je croit que le Hezbollah, ce n’est pas dans son intérêt …
    Penso non sia nell’interesse di Hezbollah innescare una catena di azioni e di reazioni tra sciiti e sunniti. Non si possono fare previsioni, ma io credo che Hezbollah sia abbastanza saggio da sapere che una sua azione potrebbe innescare una catena di reazioni che, sul terreno, si tradurrebbe in una guerra tra sunniti e sciiti che tutti vorrebbero evitare. Ora, il problema è che lo stesso gruppo che ha compiuto l’attentato nel quartiere sciita, potrebbe compierne un altro in un quartiere sunnita. Il nostro problema, in Libano, è che purtroppo sono forze esterne a condurre il gioco, e in questo momento – per dirla in termini chiari – la partita è tra Arabia Saudita e l’Iran, o tra la Turchia e l’Iran. Sono la fazione sciita e quella sunnita che conducono il gioco, nella Regione, e purtroppo il Libano è vittima di questo conflitto regionale che pure ha dimensioni internazionali: e anche questo è evidente! Non riusciamo a capire, ad esempio, perché si insista ad inviare armi in Siria, sia ai ribelli che al governo. Quello che bisogna fare, è fermare la guerra, smettere di inviare armi a chiunque sia! Ma io ho i miei dubbi: credo che la guerra sia un interesse di molti. La stessa comunità internazionale non sembra preoccuparsi particolarmente di ciò che accade, delle vittime, della distruzione. E questo veramente non riusciamo ad accettarlo né a comprenderlo…

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    Vincere indifferenza, egoismo e ingiustizia: 110 anni fa nasceva Raoul Follereau, apostolo dei lebbrosi

    ◊   Oggi ricorre il 110.mo anniversario dalla nascita di Raoul Follereau, giornalista cattolico francese e apostolo dei lebbrosi, che portò tra l’altro all’istituzione della Giornata mondiale dei malati di Lebbra, giunta quest’anno alla 60.ma edizione. Follereau cambiò la sua vita durante un safari in Africa nel 1935, quando s’imbattè in un gruppo di lebbrosi piagati e affamati. Sconvolto da quell’incontro, cominciò a girare il mondo accompagnato dalla moglie Madeleine per raccogliere fondi per questa causa. Così ricorda i due coniugi Yvon Pinson, primo presidente del Movimento per la Canonizzazione di Raoul e Madeleine Follereau, al micorofono di Elisa Sartarelli:

    R. - Les lépreux appelaient Raoul e Madeleine "papa Raoul” e “maman Madeleine”…
    I malati di lebbra li chiamavano “papà Raoul” e “mamma Madeleine”, come se per i malati fossero un padre e una madre spirituali. E Raul e Madeleine insieme hanno abbracciato i lebbrosi vincendo la paura del contagio. Dissero: “No, il rischio di contagio è minimo: si possono abbracciare i malati di lebbra, e considerarli come malati ordinari e curarli allo stesso modo”. Oggi, curiamo i lebbrosi fino alla completa guarigione.

    D. - Follereau ha detto che ci sono tre tipi lebbra: l’indifferenza, l’egoismo e l’ingiustizia …

    R. - …e poi ci sono anche la vigliaccheria e la povertà. Lui diceva “le lebbre”, cioè le conseguenze del peccato degli uomini: quei mali ancora non sono guariti. C’è bisogno di tanti “Follereau” che si impegnino, che facciano sentire la loro voce, che tocchino il cuore delle persone, affinché gli uomini cambino attitudine, aiutino i poveri e seguano l’esempio di Cristo; per avvicinarsi, essere come il Buon Samaritano, colui che si avvicina al malato, che non ha paura di andarli a trovare. Questo hanno fatto i Follereau. Oggi, tutte le lebbre sono le conseguenze del peccato: che Follereau ci dia il coraggio di andare ovunque ci sia il peccato per portare la fraternità.

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    Meeting di Rimini sul tema dell'emergenza uomo: la riflessione di Emilia Guarnieri

    ◊   Al via questa domenica a Rimini la 34.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli sul tema “Emergenza uomo”. Ad inaugurare l’evento, organizzato da Comunione e Liberazione, la Messa celebrata dal vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi. Al microfono di Luca Collodi, Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione del Meeting per l'Amicizia tra i Popoli:

    R. – Il Meeting lancia questo grido che è “Emergenza uomo” con il quale vogliamo dire che in questa situazione nazionale e drammaticamente, tragicamente, internazionale di crisi, la questione, il punto è ridare dignità all’uomo, ridare identità all’uomo; rendersi conto che ciò che può muovere la storia in maniera diversa è l’uomo, il suo desiderio, la sua capacità di libertà e di giudizio sulla realtà. Anche tutte le vicende internazionali credo che rimandino in maniera drammatica a questo.

    D. – Il Meeting, negli ultimi mesi, ha guardato con grande interesse all’Egitto. Tra l’altro, il vice presidente del Meeting del Cairo sarà presente all’edizione del Meeting di quest’anno …

    R. – E’ una consapevolezza di un popolo che ha lottato per la sua libertà, a cui oggi forse è difficile togliere questo anelito e questa esperienza di libertà. Tra l’altro, questo è quello che il vice presidente del Meeting del Cairo continuamente ci ripete: è un popolo che ormai ha assaporato l’esperienza della libertà e che sarà difficile far tornare indietro rispetto a questa esperienza. Anche se questo dovesse costare tanto sangue e purtroppo il sangue è quello che oggi stiamo vedendo.

    D. – Il Meeting si caratterizza tantissimo per le testimonianze di persone che arrivano da culture e Paesi diversi. Ce la farà in questo quadro di crisi nazionale e internazionale a far capire che forse l’uomo deve cambiare mentalità, deve guardare al mondo in un altro modo? Forse deve guardare dentro se stesso per trovare la forza per costruire un mondo nuovo?

    R. – Ciò che può mettere ordine è ritrovare veramente la natura dell’uomo, perché nel momento in cui si ritrova l’uomo come cuore, come desiderio, si ritrova un uomo che è uguale tutti gli altri uomini: infatti, è su questo punto essenziale e fondante che in questi 33 anni noi siamo diventati amici dei musulmani, degli ortodossi, degli anglicani, di uomini di fedi e di culture diverse, di tantissimi laici, anche, che comunque nel momento in cui vengono al Meeting esprimono questo anelito alla verità e al bene. Il Meeting vuole, anche quest’anno, riaffermare questo: c’è un punto su cui gli uomini possono diventare amici e questa è l’identità dell’uomo.

    D. – Questa edizione del Meeting è la prima sotto il pontificato di Papa Francesco …

    R. – Sì, questa è la prima. E abbiamo cercato in questi mesi di ascoltare Papa Francesco e abbiamo sentito anche, in maniera molto consolante, riecheggiare tantissime volte in Papa Francesco questo tema dell’uomo, dell’emergenza-uomo, dell’esigenza di ritrovare l’identità dell’uomo, una cultura dell’incontro, una cultura del dialogo, l’apertura di frontiere, le periferie dell’esistenza … Il cuore di continuo si allarga, ascoltando Papa Francesco, e soprattutto guardando come Papa Francesco guarda agli uomini e come guarda ai popoli.

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    Continuano gli sbarchi in Sicilia. La Caritas di Noto: la nostra vocazione è l'accoglienza

    ◊   Nuovi sbarchi sulle coste siciliane: un barcone con oltre 250 persone a bordo, in maggioranza eritrei, è arrivato a Portopalo di Capo Passero, nel siracusano. Tra loro donne e bambini, tutti in buone condizioni fisiche. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Somalia ed Eritrea, da lì arrivano la maggior parte delle persone giunte nelle ultime ore in Sicilia, tra loro, forse, anche egiziani. Il barcone è stato intercettato nella notte a circa 55 miglia a sud di Capo Passero. Per ora si trovano tutti nello spazio esterno dell’ex mercato ittico, a Portopalo, sul molo, dopo la prima assistenza e l’identificazione saranno trasferiti in centri di accoglienza. “I migranti sono in discrete condizioni” ha precisato il sindaco di Portopalo, Michele Taccone:

    R. – Non faremo mancare mai l’assistenza a queste persone. Sicuramente le forze, è ovvio, vanno a scemare. Le belle parole che riceviamo dal presidente della Repubblica, così come anche dalle altre forze politiche e da chi ha responsabilità, ci riempiono di gioia e ci danno la forza di reagire, ma sicuramente è necessario un raccordo tra tutte le forze, è necessaria una concentrazione di tutte le risorse, così come anche di un intervento, perché da soli – tra forze di polizia e volontariato – secondo me, non si può riuscire a dare dei risultati in una situazione che può precipitare.

    D. – Che cosa intende, esattamente?

    R. – E’ una sensazione, perché abbiamo il sentore che sia da parte della zona libica, e adesso anche per quello che sta accadendo in Egitto, si possa andare oltre le normali attività, che quindi si possano prevedere esodi di massa.

    D. – Lei ha detto: “Le forze vengono a mancare”, parla di forze concrete, materiali, o parla anche della sopportazione della popolazione?

    R. – No, no, il problema, qua sul territorio, della sopportazione non esiste, perché noi siamo un paese abituato ad accogliere, un paese che ha dimostrato nel corso degli anni, e non soltanto in brevi situazioni, di essere disponibile. A me, come amministrazione, vengono a mancare le risorse finanziarie per far fronte a questa emergenza, così come anche da parte del volontariato che noi utilizziamo in misura maggiore. Però, abbiamo bisogno – e questo è il grido che ho lanciato più di un mese fa al governo nazionale e al governo regionale – di quelle piccole cose che ci servono per sopperire alle difficoltà organizzative: perché parliamo di bambini, di donne, di persone che hanno necessità e bisogni. Non sono soprammobili che possiamo spostare o gestire secondo convenienza, a seconda se siamo o meno organizzati. Dobbiamo garantire il minimo dell’accoglienza, ma con servizi efficaci.

    Il giorno dell'Assunta 160 persone erano sbarcate in zona, sulla spiaggia di Morghella-Pachino, soccorsi dai bagnanti che li avevano aiutati a raggiungere la riva. Immagini di grande solidarietà che “fanno onore all’Italia” ha sottolineato ieri il presidente Napolitano in una nota. Maurilio Assenza, direttore della Caritas diocesana di Noto che include Pachino:

    R. – La nostra vocazione non è quella di respingere ma è quella di accogliere, è nell’emergenza che si vede chi siamo veramente. In qualche sbarco precedente ci sono stati momenti di “impressione”: da una parte si vedevano i bagnanti, come è stato a Catania, e dall’altra i morti sulla spiaggia. Qui c’è un riscatto del nostro Paese con questi bagnanti che hanno interrotto per un attimo la loro vacanza ed hanno accolto i rifugiati. È significativo che questo sia accaduto nel giorno dell’Assunta e sia accaduto in questa area del Mediterraneo che, come diceva Giorgio La Pira, deve diventare un “mare di pace”. Le parole del presidente Giorgio Napolitano esprimono un riconoscimento, ma anche una “chiamata”. L’impegno continuerà.

    D. – Sono tantissime le persone che arrivano. Come le assistete, cosa chiedete e cosa vi occorre?

    R. – Quella di Pachino è stata un’accoglienza immediata. Poi c’è stato il trasferimento al Centro Umberto I, di Siracusa e lì c’è stato anche un appello del prefetto, soprattutto per aiuti di carattere medico, perché oltre al cibo ed ai vestiti che servono subito, c’è bisogno anche di cure sanitarie. A Portopalo c’è stata invece la presa in carico da parte della parrocchia e del comune, soprattutto dei minori non accompagnati. L’impegno più ordinario però è quello che riguarda la presenza degli immigrati che restano con noi e che devono diventare cittadini, parte della nostra comunità, c’è un impegno quotidiano per cercare loro una casa, un lavoro e perché sia riconosciuta loro la cittadinanza. Per cui c’è l’emergenza e c’è la vita ordinaria, ma anche il tentativo di unire questi due momenti e di farli diventare un segno dei tempi per noi cristiani. Dobbiamo imparare a vivere con umanità, a misura di famiglia umana. La guerra in Siria e quello che sta accadendo in Egitto non ci è estraneo, e questi sono i volti che devono diventare volti privilegiati, le persone privilegiate per noi cristiani.

    D. – Quello che è accaduto il giorno dell’Assunta, a Pachino, e l’impegno che voi testimoniate ogni giorno a sostegno di queste persone, che messaggio devono essere per l’Italia tutta, anche per quella parte che ancora una volta non ha mancato di polemizzare sull’accoglienza?

    R. – Per chi polemizza il messaggio è in questi termini: cosa e chi vogliamo essere! Quella parte di Italia che polemizza dimostra ignoranza, mancanza di memoria storica e dimostra anche “disumanità”. Questo però fa risaltare che la vera questione è restare umani, che la sfida in gioco non è soltanto l’assistenza immediata ma è quella di capire chi vogliamo essere. Capire e ricordarsi che il nostro Paese è stato un Paese di emigranti, e che ora è chiamato a vivere una sfida di civiltà nelle coordinate della costituzione per tutti. Per quanto riguarda i cristiani certamente c’è una grave incompatibilità tra il Vangelo e qualsiasi forma di razzismo implicito. Il Vangelo, l’ha detto il Papa a Lampedusa, ci fa sentire partecipi e ci fa interrogare se abbiamo fatto abbastanza e ci chiede di fare di più.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella 20.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù rivolge ai suoi discepoli queste parole:

    "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione".

    Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Questa parola, piuttosto sconvolgente, ci coglie nel bel mezzo delle vacanze e ci obbliga ad una riflessione. Siamo davanti alla pagina più drammatica dell’evangelista Luca e forse anche alla più decisiva. Gesù è venuto a gettare fuoco sulla terra, per incendiare la terra del fuoco di Dio, il fuoco della vita divina, che è lo Spirito Santo. E la terra non è più come prima. Lì dove l’ombra del peccato e della morte impediva l’amore – perché il peccato paralizza l’uomo, lo rende incapace di donarsi –, ora, mediante il dono divino dell’Amore, anche l’uomo può farsi dono all’altro, dono al fratello, ma anche al nemico. E questa è la divisione che il Signore porta tra gli uomini. È la divisione tra chi ha questo fuoco dentro di sé e ama, ama al di sopra di tutto e nonostante tutto. E perdona; e chi questo fuoco lo rifiuta, e non ama, non può amare, vive nell’odio e nella solitudine. Gesù ha fatto della sua vita un battesimo. Le “grandi acque” del peccato e della morte si sono rovesciate su di Lui, nel tentativo di estinguere l’Amore di Dio, ma non hanno vinto. A questo odio il Signore ha risposto – e continua a rispondere oggi con la vita di tanti cristiani, innamorati di Dio e dell’uomo – con l’amore, donando la pace del perdono. Questa è la grazia del battesimo, della vita divina in noi, che il mondo attende e desidera. Mangiamo questo amore nell’Eucaristia perché possiamo testimoniarlo con la vita.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    I vescovi boliviani: no alla depenalizzazione dell’aborto

    ◊   No alla depenalizzazione dell’aborto e sì alla promozione del diritto alla vita: è quanto scrive la Conferenza episcopale boliviana in un documento consegnato ieri al Tribunale Costituzionale. Come annunciato in precedenza, la Chiesa di La Paz è intervenuta in qualità di “amicus curiae”- ovvero non come parte in causa, ma come chiunque offra volontariamente informazioni su un aspetto della legge per aiutare il Tribunale a decidere nell’ambito del dibattito pubblico seguito alla proposta presentata dalla deputata Patricia Mancilla, insieme con l’ong statunitense Ipas. Nella proposta si chiede la dichiarazione d’incostituzionalità di 13 articoli del Codice penale, così da depenalizzare l’aborto. “Non esiste alcun argomento reale – scrivono invece i vescovi – che dimostri l’incostituzionalità degli articoli in questione. Al contrario, tanto la normativa nazionale che quella internazionale manifestano la chiara volontà di proteggere la vita, senza distinzioni”. Ribadendo quindi “il diritto umano alla vita che tutte le persone, nessuna esclusa, hanno per il solo fatto di essere state concepite”, la Conferenza episcopale boliviana sottolinea che “nessuno dei Paesi che ha depenalizzato o legalizzato l’aborto ha visto diminuire il tasso di mortalità materna”. Infine, la Chiesa di La Paz afferma, “con assoluta certezza, che la vita ha inizio dal momento del concepimento” e quindi “sia dal punto di vista medico-scientifico, culturale, familiare, giuridico-legale, socio-politico, sia alla luce della fede cattolica, non esiste motivo che giustifichi l’assassinio di un essere umano, a maggior ragione quando esso è indifeso e non può far valere i suoi diritti”. Ed è per questo, si conclude nel documento, che “la Chiesa cattolica manifesta la sua sacra vocazione a promuovere la vita umana, nell’accettazione piena e responsabile del diritto ad essa”. (I.P.)

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    Appello dei vescovi del Benin per la revisione della Costituzione

    ◊   È “un appello pressante al dialogo, alla pace, alla fiducia reciproca in favore della coesione nazionale” quello lanciato ieri dalla Conferenza episcopale del Benin. In un messaggio indirizzato ai “fedeli ed ai cittadini di buona volontà”, i presuli si soffermano, in particolare, sulla proposta di revisione della Costituzione, sostenuta dal capo dello Stato, Yayi Boni. Tale progetto, molto dibattuto, prevede, tra l’altro, il rafforzamento del potere del presidente e del Tribunale costituzionale. “La Chiesa – scrivono i presuli – non offre alcuna soluzione tecnica né politica”. “Tuttavia, ha il dovere morale di ricordare che, in democrazia, nessuna riforma che susciti forti tensioni ed opposizioni potrà favorire il popolo”. Inoltre, di fronte ad un contesto sociale in cui si riscontrano “povertà e miseria di una larga parte della popolazione priva del minimo per sopravvivere e contrapposta all’opulenza di pochi; una crescente disoccupazione giovanile e accuse di complotto contro il presidente della Repubblica”, la Chiesa del Benin richiama la necessità di “costruire la coesione nazionale in uno spirito di servizio, guardando al bene comune e di ciascuno”. Consapevoli del fatto che “i problemi dell’intero Paese non possono essere capiti e risolti da un solo gruppo politico”, i vescovi africani esortano “tutti i responsabili dei diversi settori” alla collaborazione ed alla solidarietà, “in uno spirito costruttivo di verità, onestà e sincerità, e nel rispetto degli accordi raggiunti”. Infine, i presuli ricordano il viaggio di Benedetto XVI in Benin, svoltosi nel novembre 2011, durante il quale l’allora Pontefice disse: “Lancio un appello a tutti i responsabili politici ed economici dei Paesi africani e del resto del mondo: non private i vostri popoli della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il loro presente!”. (I.P.)

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    Congo: 82 bambini soldato restituiti alle famiglie

    ◊   Nella regione del Katang, a est del Congo, 82 bambini soldato sono stati liberati dalle file delle milizie Bakata Katanga. I piccoli soldati, annuncia l’Onu in una nota, avevano tra gli 8 e i 17 anni e tra loro ci sono anche 13 ragazze e sarebbero stati reclutati dai miliziani negli ultimi sei mesi. L’iniziativa è stata portata avanti da diverse agenzie che operano nel campo della tutela dei minori nel periodo che va dal 13 maggio al 15 agosto, il lavoro più difficile è stato nell’identificare i minori e separarli dalla milizia. In questo momento si sta cercando di ricongiungere i bambini alle famiglie e già 40 bambini sono stati riconsegnati i genitori mentre gli altri 42 stanno ricevendo assistenza in attesa di tornare a casa. (D.P.)

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    Nigeria: 11 morti in un nuovo attacco di "Boko Haram"

    ◊   A Damboa, nello Stato del Borno, a Nord della Nigeria, 11 persone sono state uccise dal gruppo armato islamista "Boko Haram". “Quelli che hanno attaccato la nostra gente sono gli stessi che hanno ucciso 44 persone nella vicina località di Konduga. Avevamo allertato le forze di sicurezza ma i rinforzi sono arrivati troppo tardi”, ha dichiarato Ayamu Gwasha, deputato dello Stato del Borno per il parlamento nigeriano. La nuova ondata di violenza dei terroristi è la risposta ad un’offensiva, che dura ormai dal 16 maggio, con la quale il governo si è posto l’obbiettivo di eliminare i miliziani nel nord del Paese. "Boko Haram" combatte per la creazione di uno Stato islamico nel Nord della Nigeria, regione a maggioranza musulmana a differenza del Sud a maggioranza cristiana, e fino ad ora il numero delle vittime di questo gruppo di miliziani, secondo fonti del governo nigeriano, raggiunge le 3 mila persone. (D.P.)

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    Attacco degli Shabaab somali in Kenya: centinaia di civili in fuga

    ◊   In Kenya, un nuovo attacco è stato attribuito ai miliziani integralisti somali di al-Shabaab: quattro persone, tra cui almeno un poliziotto, sono state uccise ieri sera a Garissa, a 50 chilometri dalla frontiera tra i due Paesi, quando un commando di circa 40 uomini armati ha preso di mira un posto di polizia. Per paura di un nuovo attacco, centinaia di persone hanno lasciato le proprie case – riferisce la Croce Rossa locale - e si sono rifugiate nella savana circostante. Non è la prima volta che il Kenya viene colpito da azioni degli Shabaab, gruppo vicino ad Al Qaeda: dal 2011 anche il governo di Nairobi, infatti, ha inviato truppe nel Paese vicino, con cu condivide circa 700 chilometri di frontiera, e che è attraversato da una guerra civile ormai più che ventennale (D.M.)

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    Siria: combattimenti in tutto il Paese, decine di morti

    ◊   Non si fermano i combattimenti in Siria: nelle regioni centrali del Paese, undici persone sono morte in un’azione condotta da miliziani ribelli. Opposte le versioni dei fatti fornite dal governo e dall’opposizione: per le autorità si è trattato di un attacco indiscriminato, mentre gli attivisti contrari al governo di Bashar al-Assad sostengono che gli uccisi fossero per lo più componenti di una milizia filogovernativa che sorvegliavano un checkpoint. Scontri anche nel Nord, nelle regioni di confine con la Turchia. Gruppi d’ispirazione qaedista hanno lanciato un’offensiva contro i combattenti curdi che controllano parte dell’area. I militanti d’opposizione che fanno riferimento all’Osservatorio Siriano per i Diritti dell’Uomo parlano di almeno 17 vittime negli scontri, parte del più ampio confronto che coinvolge le due fazioni armate in quest’area del Paese. Secondo la stessa fonte, questa mattina almeno 15 civili, tra cui quattro bambini, hanno perso la vita ad Aleppo per un bombardamento dell’aviazione governativa. (D.M.)

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    Il card. Bačkis alle celebrazioni del 1025.mo del “battesimo”della Rus’ ucraina

    ◊   Il card. Audrys Juozas Bačkis, arcivescovo emerito di Vilnius, è a Kiev in Ucraina, come Inviato del Santo Padre alle celebrazioni del 1025.mo anniversario del “battesimo” della Rus’ Ucraina. Ad accompagnarlo, padre Justyn Boiko, M.S.U., e don Ihor Shaban, incaricato della Chiesa Greco-Cattolica per i rapporti ecumenici. Le celebrazioni ricordano la conversione definitiva al cristianesimo del Principato di Kyiv, l’attuale Ucraina, alla fine degli anni 980 da parte del Principe Vladimir il Grande dopo il suo battesimo. Il cristianesimo era stato portato agli Slavi Orientali da Bisanzio: questo spiega il forte legame che unisce storicamente le Chiese in Ucraina e in Russia a Costantinopoli. Un legame che la Chiesa greco-cattolica ha voluto ricordare nell’aprile scorso con un pellegrinaggio in Turchia di una delegazione guidata dall’Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk che è stata ricevuta al Fanar dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Diverse le iniziative celebrative promosse dalla Chiesa greco-cattolica ucraina per la ricorrenza. Tra queste, la convocazione di un Sinodo speciale e appunto il grande pellegrinaggio di questo fine settimana per la benedizione della Cattedrale patriarcale della Risurrezione di Cristo al quale partecipano anche gli ucraini della Diaspora (in particolare dal Brasile, dall’Argentina, dalla Russia, dal Kazakistan, dai Paesi baltici, dagli Stati Uniti, dal Canada e persino dall’Australia). Nell’ambito dei festeggiamenti è stato organizzato anche il primo pellegrinaggio ecumenico in bicicletta, che ha preso il via sabato 10 agosto da Zarvanytsia, nell’ovest dell’Ucraina, villaggio dove è venerata un’icona miracolosa della Madre di Dio. Ricordiamo che per le celebrazioni del millennio del Battesimo della Rus' di Kiev nel 1988, il Beato Giovanni Paolo II aveva scritto la Lettera apostolica “Euntes in mundum”. (L.Z.)

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    Grecia: visita dei i vescovi umbri alla Chiesa cattolica e a quella ortodossa

    ◊   Una tradizione che si rinnova, all’insegna della fraternità e della condivisione. E’ la visita che la Conferenza episcopale umbra compie presso la Chiesa cattolica e quella ortodossa nei diversi Paesi del mondo. Da domani al 22 agosto, infatti, la Ceu si recherà in Grecia, che si aggiunge così alla Russia ed alla Romania, visitate rispettivamente nel 2011 e nel 2012. In Grecia, i presuli umbri incontreranno l’arcivescovo cattolico di Atene, mons. Nikólaos Fóscolos, il nunzio apostolico, mons. Edward Joseph Adams, e l’arcivescovo ortodosso Ieronymos II. “I vescovi – informa una nota episcopale – avranno così modo di conoscere da vicino la delicata situazione economica che sta attraversando la Grecia e le modalità con cui la Chiesa, sia cattolica sia ortodossa, si fa prossima alla popolazione che credeva di aver raggiunto un benessere economico e che invece ora vive nell’incertezza assoluta”. La Ceu ricorda poi che “dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2009, è cresciuto in modo esponenziale il numero dei suicidi, sono andati in crisi tutti i valori e si sono diffuse diverse forme di corruzione”. Infine alcuni dati: la Grecia conta oltre undici milioni di abitanti, di cui il 97% è di religione ortodossa. I cattolici sfiorano quota 200 mila. La comunità più numerosa, pari a circa 4mila fedeli, vive nell’arcidiocesi di Corfù. (I.P.)

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    Cina: almeno 25 morti per le inondazioni nel Nord

    ◊   Sono almeno 25 i morti nel nord-est della Cina, colpita in questi giorni da gravi inondazioni. Nelle tre province di Heilongjiang, Liaoning e Jilin sono circa 140 mila le persone che hanno dovuto lasciare le loro case. L’agenzia Xinhua ha stimato in oltre 1 miliardo di dollari i danni. Intanto, in altre zone del Paese asiatico è in corso un’ondata di calore del tutto inusuale, con temperature molto al di sopra delle medie stagionali: nella zona di Zhengzou, al centro del Paese, sono stati superati i 45 gradi. (D.M.)

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    Spazio. Passeggiata da record sulla stazione spaziale internazionale

    ◊   I cosmonauti russi Fyodor Yurchikhin e Aleksandr Misurkin, della stazione spaziale internazionale, hanno lavorato fuori dalla stazione per 7 ore e 29 minuti segnando il nuovo record russo di “passeggiata nello spazio”. “Oggi siamo passacavi”, ha commentato uno dei due astronauti alla fine del lavoro di posa di un cavo che servirà ad alimentare e collegare via ethernet il nuovo laboratorio russo “Nauka”, il cui lancio è previsto per la fine dell’anno. La nuova uscita degli astronauti è avvenuta esattamente un mese dopo che Luca Parmitano, cosmonauta italiano, ha rischiato di annegare nella sua tuta durante i lavori di manutenzione della stazione spaziale. Al momento l’equipaggio della stazione spaziale internazionale è composto da 6 persone: tre russi, due americani e un italiano. (D.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 229

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.