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Sommario del 09/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Visita a sorpresa di Papa Francesco nell'area industriale vaticana. La testimonianza di un operaio della Centrale elettrica
  • Tweet del Papa: tutti noi siamo vasi d’argilla, ma in noi c'è un tesoro immenso
  • Festa di Edith Stein, la martire di Auschwitz che insegnò la "scienza della Croce"
  • Nagasaki. Messa del cardinale Turkson: il perdono, primo passo per la pace
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Negoziati per il Medio Oriente: il ruolo dell'Iran nel dialogo tra israeliani e palestinesi
  • I bambini in Afghanistan: il dramma di crescere in guerra
  • Disoccupazione record in Grecia: per Obama e Samaras l'austerità non può essere l'unica strategia
  • Egitto. Ultimatum dell’esercito: sgomberare le piazze, ma gli islamisti non cedono
  • Il maestro generale dei Domenicani: mettersi in ascolto della gente e dare voce ai più vulnerabili
  • Giornata mondiale popoli indigeni. La testimonianza di un missionario in Bangladesh
  • Pesaro, domani apre il Rossini Opera Festival
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Allarme terrorismo: "minacce credibili contro i cittadini statunitensi"
  • Pakistan. Attacchi terroristici insanguinano il Paese
  • Nigeria: Aiuto alla Chiesa che Soffre incontra le vittime di Boko Haram
  • Primarie in Argentina. I vescovi invitano alla partecipazione
  • Centrafrica: violenze sui civili da parte dei ribelli Seleka
  • Congo: processo per i militari responsabili dello scoppio della santabarbara di Mpila
  • India. Mons. Machado: vitale il rispetto tra comunità religiose
  • Sri Lanka. Manifestazione interreligiosa per condannare i fatti di Weliweriya
  • Repubblica Dominicana: l'Unicef lancia l'allarme sulla condizione giovanile
  • I Cappuccini del Brasile festeggiano i 400 anni di missione nel Paese
  • Il Papa e la Santa Sede



    Visita a sorpresa di Papa Francesco nell'area industriale vaticana. La testimonianza di un operaio della Centrale elettrica

    ◊   Papa Francesco ha visitato, stamani, a sorpresa la zona industriale della Città del Vaticano. Il Papa ha salutato, in particolare, gli operai della falegnameria e della Centrale elettrica vaticana, i fabbri e il Laboratorio idraulico. Tanta la gioia anche tra quanti camminando nella zona hanno potuto vedere il Papa da vicino e salutarlo. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Alessandro De Gregori, addetto al quadro manovra della Centrale elettrica:

    R. – Stavamo parlando tra colleghi, qui al reparto dove lavoriamo 24 ore su 24 - per cui copriamo praticamente tutta la giornata – e abbiamo semplicemente visto arrivare questa macchina, una C1. L’abbiamo guardata e abbiamo detto: “Ma come è possibile? Mi sembra il Papa ...”. Effettivamente, era il Santo Padre insieme a Mariotti. Ci ha fatto una visita ben voluta, ben accetta al Centro.... In circa 10 anni di lavoro non mi era mai capitato. È stata un’emozione rincontrarlo, perché come quasi tutti noi dipendenti avevamo già incontrato il Papa in una delle Messe della mattina. È stata veramente una lieta sorpresa.

    D. – Il Papa era felice di visitarvi? La gioia di venire lui da voi…

    R. – Sì, infatti è una cosa che mi ha fatto molto piacere: lui è venuto da noi e non il contrario.

    D. – Qualcuno ha potuto scambiare qualche parola, o semplicemente stringergli la mano?

    R. – Sì. Il Papa si è trattenuto con noi circa cinque minuti; giustamente i reparti erano tanti da visitare. Ci ha chiesto le nostre mansioni e di cosa ci occupiamo.

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    Tweet del Papa: tutti noi siamo vasi d’argilla, ma in noi c'è un tesoro immenso

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet: “Tutti noi – scrive - siamo vasi d’argilla, fragili e poveri, ma nei quali c’è il tesoro immenso che portiamo”. Un tema che richiama quanto detto da San Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi e ripreso più volte da Papa Francesco in questi primi mesi di Pontificato. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”. Queste parole di San Paolo sul tesoro, cioè Cristo, e il contenitore, la nostra fragile umanità, sono per il Papa il punto fondamentale di equilibrio nel nostro cammino di fede:

    “Paolo, tante volte ha parlato – è come un ritornello, no? – dei suoi peccati. ‘Ma, io vi dico questo: io che sono stato un inseguitore della la Chiesa, ho perseguito …’ Torna sempre alla sua memoria di peccato. Si sente peccatore. Ma anche in quel momento non dice: ‘Sono stato, ma adesso sono santo’, no. Anche adesso, una spina di Satana nella mia carne. Ci fa vedere la propria debolezza. Il proprio peccato. E’ un peccatore che accoglie Gesù Cristo”. (Omelia a Santa Marta, 14 giugno 2013)

    Infatti – spiega il Papa - può capitare che quanti ricevono questo tesoro “sanno che sono di creta, ma nell’arco della vita si entusiasmano in modo tale che si dimenticano di essere di creta o si dimenticano che il dono è un dono grande”. La Chiesa - afferma – “soffre molto ogni volta che uno dei chiamati a ricevere il tesoro in vaso di creta … crede di essere migliore, di non essere più di creta” ed è tentato di truccare e abbellire il vaso. Invece – osserva - siamo di creta “fino alla fine, da questo non ci salva nessuno. Ci salva Gesù a modo suo, ma non alla maniera umana … delle apparenze”. (Omelia nella residenza di Sumaré, 25 luglio 2013). Ci aiuta a conservare l’equilibrio tra tesoro e contenitore la grazia della vergogna per i nostri peccati che conduce all’umiltà, utile soprattutto per i sacerdoti:

    “Umiltà che ci rende consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi; umiltà che ci spinge a mettere tutto noi stessi non a servizio nostro o delle nostre idee, ma a servizio di Cristo e della Chiesa, come vasi d’argilla, fragili, inadeguati, insufficienti, ma nei quali c’è un tesoro immenso che portiamo e che comunichiamo”. (Omelia nella Chiesa del Gesù, 31 luglio 2013)

    Solo l’umiltà – afferma il Papa - ci può far “capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù”:

    “Fratelli, noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo Salvatore. La Croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo. Ma lo abbiamo in un vaso di creta. Vantiamoci anche … dei nostri peccati … Gesù Cristo non ci ha salvati con un’idea, con un programma intellettuale, no. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato, fatto uomo, fatto carne fino alla fine. Ma soltanto, solo si può capire, solo si può ricevere, in vasi di creta”. (Omelia a Santa Marta, 14 giugno 2013)

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    Festa di Edith Stein, la martire di Auschwitz che insegnò la "scienza della Croce"

    ◊   "Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza” per “una società veramente fraterna”. Sono le parole del Motu Proprio con le quali, il primo ottobre 1999, Giovanni Paolo II affidava il Vecchio continente alla protezione, tra le altre, di Santa Teresa Benedetta della Croce, ebrea di nascita, convertita al cristianesimo e martire ad Auschwitz. La Chiesa la celebra oggi e molto spesso in passato Papa Wojtyla e Benedetto XVI hanno dedicato a questa figura parole di profonda ammirazione. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    In un giorno qualsiasi, una donna umile, stringendo la cesta della spesa, entra nel Duomo di Francoforte, si inginocchia e prega brevemente e cambia la vita di chi la sta guardando. Chi la osserva è una ragazza ebrea. Di nome fa Edith Stein, è una brillante neolaureata, appassionata di filosofia, intellettualmente autonoma già a 14 anni, quando smette consapevolmente di pregare, perché – afferma – preferisce far conto su di sé piuttosto che su Dio. Eppure, la scena di quella donna con la spesa che prega e se ne va la colpisce a fondo. Lo spiegherà così: “Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l'accaduto”. L’ebrea brillante e in fondo indifferente a Dio ha sfiorato la fede. Che da soffio nell’anima diventa roccia di una scelta nel 1921, quando legge in una notte la storia di Teresa d’Avila e pochi mesi dopo, al culmine di un percorso di ricerca si fa battezzare. Canonizzandola l’11 ottobre 1998, Giovanni Paolo II riassumeva così quel periodo:

    “Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: 'Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio'”.

    Carmelitana. Al fuoco che arde da sempre nella giovane di origine ebrea non è sufficiente la legna di una fede spicciola. Edith Stein vuole tutto della sua nuova vita. E vuole dare tutto. Nel 1933, si presenta alla madre priora del Monastero delle Carmelitane di Colonia e dopo i primi voti prende il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. La croce è quella che il suo Paese sta vivendo in quegli anni. L’orrore esplode il 9 novembre 1938, la “Notte dei cristalli”, quando la furia nazista manifesta nel sangue l’odio antisemita, bruciando sinagoghe, uccidendo e deportando. Edith Stein è in grave pericolo di vita e viene spostata in un monastero olandese. Ma la sua nuova fede - ricorda Giovanni Paolo II - ha già bruciato le tappe ed è più forte della paura:

    “Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: 'Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta'”.

    Il 2 agosto 1942, la Gestapo bussa alla porta del monastero. Nel giro di cinque minuti, suor Teresa Benedetta della Croce deve presentarsi assieme a sua sorella Rosa. Per lei sono le ultime parole di Edith Stein: “ Vieni, andiamo per il nostro popolo”. La prima tappa è il campo di raccolta di Westerbork, con molti altri ebrei convertiti al cristianesimo. All'alba del 7 agosto un carico di 987 ebrei parte in direzione Auschwitz. Il 9 agosto Suor Teresa Benedetta della Croce e sua sorella Rosa entrano nella camera a gas. Davanti alla lapide che la ricorda, Benedetto XVI si ferma nella sua storica visita nel campo di concentramento polacco del 28 maggio 2006:

    “Come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation - come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”.

    Una notte che la sua testimonianza trasforma in una luce potente per molti, che spiove sul mistero dell’amore e del dolore cristiano e, spiega Giovanni Paolo II, li illumina:

    “Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l'offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla ‘scienza della croce’, ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d'amore. L'amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l'amore”.

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    Nagasaki. Messa del cardinale Turkson: il perdono, primo passo per la pace

    ◊   Perdonare è il primo passo da compiere per ricevere la vera pace, dono di Dio. Questo il punto centrale dell’omelia del cardinale Turkson, pronunciata oggi a Nagasaki, in Giappone. Il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace si trova nel Paese asiatico per partecipare alle commemorazioni delle vittime dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, avvenuti il 6 ed il 9 agosto 1945. Il servizio di Isabella Piro:

    Una Messa presieduta insieme all’episcopato giapponese, in suffragio di tutti coloro che persero la vita a causa della bomba atomica sganciata su Nagasaki di 68 anni fa: così il card. Turkson ha ricordato questa drammatica pagina della storia dell’umanità. Nella sua omelia, pronunciata nella cattedrale di Urakami, la zona collinare di periferia più colpita dal bombardamento, il porporato ha lanciato più volte un appello per la pace nel mondo ed in particolare ha ribadito che la pace è frutto di una collaborazione tra Dio e l’umanità, perché se è vero che è Dio ad offrire all’uomo il dono della pacificazione, è altrettanto vero che l’umanità deve “assiduamente lavorare per essa, con amore”. “Il perdono gratuito di Dio - ha spiegato il card. Turkson - ricostruisce l’alleanza con il suo popolo, ma richiede da parte del popolo stesso un cuore contrito ed uno spirito di umiltà”. Poi, il presidente del dicastero vaticano si è soffermato sul passo delle Beatitudini in cui “Gesù insegna ai suoi discepoli che la benedizione del Regno di Dio non è la felicità che di solito indica il mondo”, come “la ricchezza e la popolarità”, ma è qualcosa che la sfera temporale “non riesce a soddisfare”. In sostanza, ha evidenziato il porporato, Gesù insegna che la vera pace e la vera felicità “vanno oltre l’umanità peccatrice” e “vengono elargite dall’amore di Dio che non ci tratta come richiederebbero i nostri peccati”. Di qui, l’invito del card. Turkson a tutti i fedeli affinché “si cerchi incessantemente la pace nella preghiera e si lavori assiduamente ad essa, nella sequela di Cristo”. Con la Santa Messa presieduta a Nagasaki, il porporato ha concluso la sua visita in Giappone, iniziata il 5 agosto, e che lo ha portato anche ad Hiroshima. Il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace si è, infatti, recato nel Paese asiatico per partecipare all’iniziativa “Dieci giorni per la pace”, promossa dalla Conferenza episcopale giapponese ed in programma fino al 15 agosto, in memoria delle vittime dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il mondo visto da Aparecida: in prima pagina, Lucetta Scaraffia sul viaggio di Papa Francesco in Brasile.

    Quella visita che non ti aspetti: Papa Francesco nella zona industriale della Città del Vaticano.

    Un articolo del cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo "Squassato dalla bufera": il credente medita su quello che percepisce come il silenzio di Dio".

    Rota di uditori intorno alla Madonna: Bruno Forastieri sulla tavola di Antoniazzo Romano collocata dal 1964 nella Biblioteca privata del Papa.

    Un articolo di Anna Foa dal titolo "Quando a New York il giornale si leggeva in yiddish": esce in traduzione italiana il romanzo La famiglia Karnoski" di Israel Joshua Singer, fratello del premio Nobel Isaac.

    L'eterno ritorno di Amore e Psiche: Simona Verrazzo recensisce la mostra, a Mantova, sulla rappresentazione artistica nei secoli della favola di Apuleio.

    Irresistibile voglia d'infinito, in "Oltre il visibile" di Enrico Nicolò.

    La Chiesa non è un'associazione di specialisti: il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Amborsio sul Popolo di Dio chiamato alla consapevolezza della missione educativa.

    Il dono della vera pace: il cardinale Turkson conclude la visita in Giappone con la Messa in suffragio delle vittime del bombardamento atomico di Nagasaki.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il Pakistan, ancora sotto il giogo delle violenze.

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    Oggi in Primo Piano



    Negoziati per il Medio Oriente: il ruolo dell'Iran nel dialogo tra israeliani e palestinesi

    ◊   Il 14 agosto a Gerusalemme comincerà la prima fase dei negoziati tra israeliani e palestinesi, con la mediazione degli Stati Uniti. Le trattative, riavviate dopo uno stop di tre anni, coinvolgono indirettamente tutti i Paesi della regione. Tra questi l’Iran, avversario storico di Israele, che proprio in questi giorni sta vivendo una nuova fase politica dopo l’insediamento del neo presidente Rohani. Sulle implicazioni di questo cambio istituzionale, Michele Raviart ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze.

    R. - Il fatto che ci sia un nuovo presidente come Rohani, che ha toni molto diversi da quelli del suo predecessore, toglie a Israele la priorità Iran – che ha sempre avuto in questi anni – e quindi porta in primo piano la priorità Palestina, perché esiste un accordo di pace. L’intera regione, in particolare tutto quanto fa perno intorno ad Israele, è sempre molto instabile.

    D. – Nel suo discorso di inaugurazione, Rohani si è scagliato contro le colonie israeliane in Cisgiordania, lo stesso ha fatto l’Unione Europea. E’ ancora quello il nodo cruciale?

    R. – Purtroppo sì, perché alla fine qualunque trattato di pace ci sia tra Israele e Palestina, qualsiasi siano gli accordi accessori, alla fine bisognerà stabilire una linea di confine. Per il mondo arabo, la linea di confine dev’essere praticamente identica alla linea precedente alla Guerra dei Sei Giorni; Israele, nel frattempo, ha costruito moltissimo e continua a costruire anche in questi giorni e quindi c’è lo scontro tra la politica dei fatti compiuti – che Israele non intende fermare e men che meno cancellare – e le richieste palestinesi, arabe, musulmane di un ritorno a quanto di più vicino ci sia allo status quo ante.

    D. – In generale, Rohani sembra essere più aperto verso gli Stati Uniti, mentre Khamenei lo ha subito redarguito … Qual è il rapporto di potere all’interno dell’Iran?

    R. – In Iran comanda la guida spirituale Khamenei. E’ anche vero che c’è sempre stato un rapporto dialettico tra la guida spirituale e il presidente e infatti, ai tempi di Ahmadinejad il rapporto era molto brusco. Rohani è un clerico e un diplomatico e un uomo di grande esperienza che ha chiaramente le due componenti dell’Iran – quella politica e quella religiosa – si stanno un po’ prendendo le misure, però è anche vero che Rohani è il risultato di un processo elettorale molto particolare, perché i candidati – tutti – sono stati approvati dal Consiglio dei saggi nominato da Khamenei e alla fine l’elettorato iraniano ha preso quello che gli pareva il meno peggio, e da questo punto di vista Rohani è un’ottima scelta: perché è una scelta dell’establishment religioso e contemporaneamente, è una scelta popolare.

    D. – Le aperture al dialogo sul nucleare sono dunque credibili?

    R. – E’ credibile perché Rohani è un moderato, ma soprattutto perché lui ha già condotto in passato – una decina di anni fa – negoziati con gli americani che poi andarono come andarono. Cioè, lui è un esperto sia da un punto di vista che possiamo definire tecnico, sia da un punto di vista politico-diplomatico. Essendo un esperto, non dovrà imparare la materia, conosce molto bene le mosse, anche se l’amministrazione Obama è diversa dall’amministrazione Bush; e soprattutto, nel suo discorso di inaugurazione ha detto una cosa molto importante: che l’Iran è un Paese che vuole rispetto, anche perché è un grande Paese, con una grande storia, una grande tradizione e non lo si può trattare come un soggetto assolutamente ininfluente, neanche su un tema così sensibile.

    D. – Oggi Khamenei è intervenuto sulla situazione egiziana: ha detto che bisogna in qualche modo scongiurare la guerra civile. Che ruolo può avere nella crisi egiziana, l’Iran?

    R. – Sono mondi completamente diversi. E’ chiaro che qualunque disordine di un Paese molto grande come l’Egitto, non può che trasferirsi anche nell’area di un altro Paese grande come l’Iran. L’Iran ha bisogno di stabilità, anche all’esterno, anche nella regione, perché ha gravi problemi economici e quindi qualunque cosa accentui l’instabilità costa al cittadino iraniano molto più di quanto si possa permettere.

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    I bambini in Afghanistan: il dramma di crescere in guerra

    ◊   Hanno fatto il giro del mondo le immagini di alcuni bambini afghani che giocano tra di loro puntandosi alla testa armi vere. Un gioco che spesso si trasforma in tragedia, visto che sono decine i minori che in quel Paese muoiono a causa dell’utilizzo improprio di armi da fuoco. Questo, purtroppo, non fa più scalpore in Afghanistan, che in 12 anni di guerra ha cresciuto un'intera generazione a contatto diretto con la violenza quotidiana. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

    R. – La situazione per i bambini in Afghanistan è drammatica. Abbiamo detto 12 anni di guerra? Sì, ma è solo l’ultima: escono da 30 anni di guerra. Quindi, è più di una generazione di giovani che non ha conosciuto altro che la guerra e la battaglia. E gli strumenti di gioco diventano quelli della quotidianità. Un’arma in casa, un’arma che si è vista usare, ma ancora di più un residuato, come una bomba, diventa una bambolina con la quale giocare. Come se fosse uno strumento qualunque che si trova in giro … Da qui, l’enorme rischio per quei piccoli che crescono in quel Paese.

    D. – Quanto è importante la famiglia così come il sistema educativo, per evitare queste drammatiche distorsioni?

    R. – E’ fondamentale: sia la famiglia, sia il sistema educativo. Con problemi, evidentemente, diversi: la famiglia, sicuramente, sta al centro dell’educazione di ogni giovane e, come abbiamo detto, l’Afghanistan esce da famiglie che non hanno fatto che provare la guerra. Ricordiamoci che i bambini di 12 anni, oggi, sono figli di genitori che a loro volta non hanno mai visto un attimo di pace. Quindi, la famiglia di per sé ha un problema nell’educare alla pace. Dall’altra parte, il sistema educativo è costruito da un Paese che esiste, da uno Stato che esiste, da un governo che governa. Tutte cose che ancora in Afghanistan mancano.

    D. – Un bambino che vive in prima persona la guerra porta con sé un enorme carico di disagi che sicuramente lo farà essere un adulto molto complesso. Come si possono riparare i danni della guerra?

    R. – Ha detto bene: è difficile e complesso, ma è possibile. Noi come Università Cattolica siamo in Afghanistan per contribuire a ricostruire il sistema educativo ma non solo attraverso i percorsi formali. Per esempio, attraverso il supporto degli psicologi dell’Università Cattolica che, insieme a sociologi ed educatori, lavorano proprio per recuperare i traumi che i bambini si portano dentro dopo aver vissuto questi anni. Ormai è una lunga esperienza che l’Università Cattolica ha nei luoghi più disagiati del mondo, proprio per assistere i bambini che, essendo il futuro del mondo, devono innanzitutto imparare a convivere con quel disagio ma poi a farlo diventare uno stimolo perché non sia più disagio per i bambini del futuro.

    D. – Rispetto a questa vostra lunga esperienza, quali sono le maggiori difficoltà che avete riscontrato e quali, invece, i maggiori risultati che avete ottenuto?

    R. – Beh, le difficoltà sono evidentemente economiche e strutturali: teniamo presente che le scuole in Afghanistan chiudono perché fa troppo freddo e perché non c’è la legna, e neppure la stufa per riscaldarsi. Siamo in un Paese che è estremamente caldo o, al contrario, estremamente freddo. Quindi, una difficoltà strutturale. C’è poi una difficoltà educativa: i maestri sono fermi alle competenze date da un’educazione molto di base ed alla loro buona volontà, quindi hanno bisogno di apprendere come insegnare. Ma ci sono anche tanti risvolti positivi. Per esempio due, ancora una volta; uno strutturale: noi seguiamo una scuola che è stata costruita grazie al volere di mons. Moretti, missionario sui iuris in Afghanistan, e dei militari italiani che l’hanno ricostruita; e dall’altra, per quanto riguarda i maestri, un paio di mesi fa siamo tornati in Afghanistan per insegnare ai nostri maestri – come facciamo ogni anno – come educare meglio, ed è stato per noi un enorme risultato sentirsi citati e sentirsi raccontati, perché loro hanno esperito, provato, sperimentato in questo anno le cose che nelle lezioni precedenti avevamo dato loro. Quindi, vuol dire che quello che si dice viene raccolto, rielaborato, utilizzato e quindi il sistema sta crescendo.

    D. – Forse non bisognerebbe neanche dimenticare il grande valore che hanno i bambini: dai bambini si può imparare moltissimo e quindi dai bambini si può ricominciare, per un futuro diverso …

    R. – E’ fondamentale. I bambini sono la speranza. L’Afghanistan è un Paese antico ma giovane perché deve reinventarsi completamente un futuro che ha perduto, che ha cancellato e che ha cancellato grazie alla stoltezza degli adulti: tutti gli adulti. Quindi, soprattutto in Paesi come quelli – come l’Afghanistan – i bambini sono l’unico investimento possibile, e l’educazione sicuramente il primario.

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    Disoccupazione record in Grecia: per Obama e Samaras l'austerità non può essere l'unica strategia

    ◊   Le politiche di austerità non possono essere l’unica strategia contro la crisi greca. È la conclusione raggiunta dopo l’incontro a Washington tra il premier greco Samaras e il presidente statunitense Obama. Intanto, nel Paese ellenico la disoccupazione ha raggiunto un nuovo massimo: il 27,6 per cento. Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza di un cittadino greco, Christos Kasimpinis:

    R. – I giovani non trovano lavoro e dipendono dai pensionati, quali possono essere il padre, o il nonno. Il tutto sormontato dalle tasse. Non si muove niente, né nel commercio, né nelle costruzioni e la gente se la passa molto male...

    D. – Che impatto hanno avuto le misure di austerità economica sulle condizioni di vita della gente sui servizi?

    R. – E’ peggiorato tutto. Molti ospedali hanno chiuso per mancanza di dottori che non possono essere assunti dallo Stato... oppure i privati vanno a lavorare all’estero. Le pensioni sono diminuite e la gente non riesce ad affrontare tutti questi problemi economici della vita. Si è veramente arrivati al limite del possibile...

    D. – Ci sono iniziative da parte di singoli cittadini o gruppi di cittadini che si mettono insieme per cercare di aiutarsi?

    R. – Tutti cerchiamo di aiutare quella gente che non riesce a sopravvivere; anche la Chiesa e le associazioni private offrono il loro aiuto economico a molta gente per mangiare. Chi può, offre anche vestiti. È una situazione che somiglia al periodo del dopo guerra, dove la gente non riusciva a vivere.

    D. – Quali sono a suo parere i bisogni della popolazione più importanti in questo momento?

    R. – Le tasse. A fine agosto bisogna pagarle e molti non ce la fanno. Si perdono addirittura proprietà, case ed altro. La gente ha chiesto anche soldi in prestito dalle banche ma comunque non riesce a sostenere i pagamenti.

    D. – Mi parlava anche di persone che vanno a lavorare all’estero e che lasciano il Paese. È un fenomeno molto diffuso; riguarda solo i giovani, o anche persone più anziane?

    R. – Riguarda più i giovani, ma c’è anche qualche anziano. Vanno a lavorare come medici, per esempio in Inghilterra e in Germania. Molti giovani vanno in Australia, o in Canada; se hanno amici, o parenti cercano di uscire dal Paese. Questa è la verità. Chi prende una laurea qui può solo aprire una pizzeria o lavorare per il comune e raccogliere l’immondizia.

    D. – Quali sono i sentimenti della popolazione?

    R. – Reagisce con sangue freddo e aspetta che succeda qualcosa. Non so cosa potrà succedere. Addirittura ho visto gente che cerca anche alimenti scaduti dei supermarket... aumentano giorno dopo giorno.

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    Egitto. Ultimatum dell’esercito: sgomberare le piazze, ma gli islamisti non cedono

    ◊   Suona come un ultimatum, quello del governo ad interim egiziano a lasciare le piazze, al quale gli islamisti rispondono, però, convocando nuove manifestazioni per oggi, giorno di festivo di preghiera e seconda giornata della ricorrenza dell'Id al-Fitr. “Nessun passo indietro”, è la promessa dell’esercito. Ci aggiorna Roberta Barbi:

    Potrebbe essere una giornata cruciale, oggi, in Egitto, primo venerdì di preghiera dopo la conclusione del Ramádan: i sostenitori dell’ex presidente Morsi, che ieri hanno sfilato in massa al Cairo, ma anche ad Alessandria e a Beni Suef, hanno promesso di tornare in piazza all’uscita dalle moschee per quello che chiamano “il ripristino della legalità”, mentre ieri sera il premier ad interim el Beblaw, tornando a chiedere lo sgombero dei sit-in di protesta, aveva dichiarato: “Ci avviciniamo al momento che vorremmo evitare”. Potrebbe essere un segnale del fallimento della diplomazia, inoltre, la partenza dal Cairo, ieri sera, dell’ultimo mediatore internazionale, l’inviato speciale dell’Ue Bernardino Leon, mentre oggi la Francia torna a sostenere “qualsiasi processo politico che conduca alla riduzione degli scontri” e sul rischio che l’Egitto sprofondi in una “guerra civile” ha messo in guardia anche l’ayatollah iraniano Khamenei. Intanto oggi molte sedi diplomatiche al Cairo restano chiuse e gli stranieri sono invitati a evitare le aree intorno alle ambasciate di Washington e Londra. Intanto è stato tracciato un primo bilancio dell’intensificarsi delle violenze nel Sinai: dal giorno della deposizione di Morsi, il 3 luglio, nell’area sono rimaste uccise 47 persone tra militari e civili.

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    Il maestro generale dei Domenicani: mettersi in ascolto della gente e dare voce ai più vulnerabili

    ◊   Si è concluso ieri a Trogir, in Croazia, il Capitolo generale dei Domenicani. Tra i temi affrontati, l’evangelizzazione e la necessità di adeguare le linee di azione alla luce dei nuovi contesti mondiali. Tale impegno si inserisce in particolare nell’ambito della celebrazione del giubileo dell’Ordine che nel 2016 celebrerà il suo 800.mo anniversario. Ascoltiamo, in proposito, il maestro generale dell'Ordine dei Predicatori, padre Bruno Cadoré, al microfono di Manuella Affejee:

    R. - C’est une occasion pour nous …
    Il giubileo per noi è un’occasione per rendere grazie a Dio prima di tutto per la sua bontà, la sua fedeltà, la sua fiducia; rendere grazie ai nostri fratelli che hanno tramandato questa tradizione bellissima, e allo stesso modo per rendere grazie per la nostra storia. Ma è anche una delle occasioni per tornare alle origini, per una lettura umile della nostre realtà e della nostra storia; quindi di come tener conto degli aspetti positivi e negativi della nostra storia dai quali trarre insegnamento. Umile perché ancora una volta questo giubileo è un’occasione una volta di più di rendersi conto che abbiamo ricevuto una vocazione, siamo stati inviati: non sono nostri i meriti di quello che facciamo. È quindi ritornare ad attingere alla propria fonte e la fonte dell’Ordine è la misericordia di Dio. Questo ritorno alle origini è un’occasione per chiedere nuovamente la fedeltà creatrice al carisma dell’Ordine che è quello di servire la predicazione della Chiesa; valutare nuovamente in che modo siamo inviati per l’annuncio del Vangelo, la fiducia e l’esigenza che questo implica, e novità di questa missione nel mondo di oggi.

    D. - Il carisma della predicazione è una caratteristica fondamentale dei Domenicani. Come conciliare questo carisma della predicazione e le esigenze così concrete del mondo attuale?

    R. - Un peu comme toujours …
    Un po’ come sempre: quando di tratta di predicare bisogna prima di tutto ascoltare, questo è risultato dal Capitolo generale dell’Ordine. Bisogna dotarsi di strumenti per ascoltare la gente o ascoltare l’appello della gente, le richieste di verità, di autenticità, di felicità. Vorremmo riuscire a dare qualche linea guida di attenzione al mondo d’oggi: come ascoltare il mondo e imparare a comprenderlo? A partire da questi tre punti: dare voce ai più vulnerabili, dare spazio alla comprensione degli aspetti postivi e agli aspetti più rischiosi della secolarizzazione di oggi, e dare spazio, importanza e attenzione al bisogno delle persone di sentirsi considerate. Perché? Perché tornare alle nostre origini è riscoprire che uno dei segni importanti che, alla scuola di San Domenico, siamo chiamati a dare – o a cercare di dare – è il segno della comunione.

    D. - Mi permetta di tornare a quello che ha detto prima: ha parlato della necessità di ascoltare, di essere attenti alle comunità dei più vulnerabili, a coloro che chiedono di essere ascoltati. Ci fa qualche esempio?

    R. - Oui. Dans certain lieux ou les frères et le sœurs travaillent …
    Sì. In alcuni luoghi dove i fratelli e le sorelle della famiglia domenicana operano, ci sono popoli indigeni che sono veramente molto emarginati; alcuni gruppi sociali, nel mondo contemporaneo, si sentono molto emarginati … Alcuni gruppi non hanno lo stesso accesso alla cultura, all’istruzione, alla libertà d’espressione … Pensiamo alle popolazioni migranti, ormai un fenomeno generale nel mondo: non sempre hanno l’accoglienza a cui hanno diritto. In che modo agire? In che modo riservare l’attenzione dovuta, in alcune popolazioni, a coloro che sono meno attivi? Vede, al mondo ci sono persone che – per diverse ragioni – finiscono per essere meno attive, e in un mondo in cui l’attività e la produttività sono importanti, questi gruppi rischiano di finire tra i dimenticati. Mi sembra anche che in certi ambienti culturali si ritenga importante dare importanza alla voce delle donne, alla speranza dei giovani nella costruzione di un mondo nuovo: tutte voci che hanno valenze differenti, secondo le diverse culture, ma che tutte meritano l’attenzione di tutti.

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    Giornata mondiale popoli indigeni. La testimonianza di un missionario in Bangladesh

    ◊   Gli Stati devono prendere “misure concrete" per evitare la marginalizzazione e l’esclusione dei popoli indigeni: lo scrive il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel messaggio in occasione della giornata internazionale a loro dedicata. Tra i Paesi che ospitano queste popolazioni c’è il Bangladesh. Nell’intervista di Davide Maggiore, il missionario saveriano padre Giacomo Gobbi ne descrive il modo di vita. Ascoltiamo:

    R. - Il loro modo di vita tradizionale nei loro villaggi nella zona collinosa è molto semplice: dediti all’agricoltura e alla caccia, sono ben organizzati anche come struttura sociale dove è molto sentita la protezione del più debole, come le vedove. Anche nella zona del Nord, dove ci sono quelli provenienti dal Pacifico, sono abbastanza organizzati. Una struttura che è veramente interessante, dove i capi si danno da fare affinché tutti vengano rispettati nei loro diritti.

    D. – Queste minoranze però non sono riconosciute come popoli indigeni…

    R. – E’ vero che questi gruppi non sono da sempre in Bangladesh, però hanno occupato queste zone, o sono stati portati là, da qualche secolo. Il governo però non riconosce questa identità, preferiscono chiamarli “minoranze etniche”.

    D. – Quali sono le conseguenze pratiche?

    R. – Devono adattarsi alla cultura bengalese come lingua e come “tutto”. È vero che devono fare questo sforzo di integrazione nella società più ampia della nazione del Bangladesh, però non vengono riconosciuti tutti i diritti che potrebbero avere, come studiare i libri nella loro lingua. Anche noi missionari siamo stati al loro fianco perché i loro diritti vengano rispettati.

    D. – Come missionari saveriani voi puntate molto anche sull’educazione…

    R. – Al Sud del Bangladesh c’è un gruppo forte – i Munda - con diverse migliaia di persone che hanno perso la loro identità. I saveriani che lavorano in mezzo a loro puntano sull’educazione, sull’istruzione soprattutto delle ragazze, per superare la tradizione del matrimonio in giovanissima età. È stato un po’ faticoso far accettare ai genitori la cosa, ma al momento attuale si sono convinti: hanno visto che anche le loro ragazze possono inserirsi nella società, istruirsi e farsi rispettare. Poi c’è anche un altro settore: a Dakka, la capitale, ci sono molti di questi indigeni che vanno a cercare lavoro, ma sono sfruttati; c’è anche un missionario che si interessa affinché i loro diritti siano rispettati.

    D. – Per quanto riguarda l’evangelizzazione: qual è il contesto in cui vi trovate ad operare?

    R. – Attualmente, con la nostra presenza cristiana, si sta preparando il terreno così che l’uomo e la donna possano accogliere la chiamata di Cristo. Abbiamo avuto la stessa esperienza anche tra i “fuori casta”; dopo che l’hanno chiesto, il catecumenato sta andando avanti.

    D. – C’è qualcosa che a voi missionari ha lasciato il rapporto con queste culture?

    R. – Il bello di questi popoli, di questi gruppi è vedere come sono organizzati. Prima parlavo della protezione dei più deboli: in questo c’è già il “seme del Verbo” che è caduto in mezzo a loro. Ora si tratta di farlo sviluppare. L’onestà che hanno ed anche la curiosità e la semplicità, sono valori che ci hanno aiutato ad essere missionari ed anche a poter leggere il Vangelo in mezzo a loro.

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    Pesaro, domani apre il Rossini Opera Festival

    ◊   Si inaugura domani sera a Pesaro il 34.mo Rossini Opera Festival che prevede, fino al 23 agosto, l’allestimento di grandi capolavori di Gioachino Rossini e una serie di bellissimi concerti. Ad attirare il pubblico soprattutto un nuovo allestimento dell’imponente Guillaume Tell in versione integrale, opera con la quale il compositore si congeda dal mondo del teatro con un grande inno alla libertà dei popoli. Il servizio di Luca Pellegrini:

    E’ il Festival operistico più famoso del mondo, è nato a Pesaro perché questa cittadina marchigiana ha dato i natali a Rossini, richiama un pubblico internazionale, crea sempre una grande attesa per la ricchezza e l’imprevedibilità degli allestimenti, unite al grande rigore filologico-musicale. Il sovrintendente Gianfranco Mariotti ribadisce l’unicità di questa manifestazione e l’orgoglio artistico che la anima:

    "Dietro questo risultato c’è un grande lavoro, però abbiamo l’orgoglio di dire che il programma che mettiamo in campo quest’anno è in tutto degno della nostra tradizione e storia. Non abbiamo ceduto di un palmo sul piano della qualità".

    Domani sera, il sipario del Teatro Rossini si apre con una nuova produzione di Italiana in Algeri. Il regista Davide Livermore, dopo aver accostato lo scorso anno la Bibbia e il cinema per il raro Ciro in Babilonia, torna nuovamente a ispirarsi al grande schermo per la scatenata opera rossininano:

    "Il divertimento rossiniano quest’anno lo vedremo raccontato da quell’epoca straordinaria, incarnata soprattutto da un artista come Black Edward, creatore della Pantera Rosa, o di film storici - tra cui Hollywood Party - che fanno parte di quella 'beat generation', fanno parte del mondo 'lisergico'. Un mondo capace di creare un 'no sense' straordinario, che si sovrappone in maniera unica con la partitura, con il crescendo e con i concertati deliranti rossiniani di questa straordinaria opera, di questo straordinario meccanismo drammaturgico-comico".

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Allarme terrorismo: "minacce credibili contro i cittadini statunitensi"

    ◊   Non si arresta l'allarme terrorismo nel mondo. “Minacce credibili nei confronti dei cittadini statunitensi” dovute alla “presenza di numerosi gruppi terroristici sia stranieri che locali”: questa la motivazione che ha portato gli Stati Uniti a evacuare "per motivi di sicurezza" in parte il consolato di Lahore, in Pakistan, mentre restano chiuse molte altre sedi diplomatiche Usa nel resto del mondo. Scattate misure di sicurezza straordinarie anche altrove: a Roma, ad esempio, intensificati i controlli intorno a obiettivi ritenuti sensibili. Nello Yemen, Paese nel mirino dell’intelligence Usa, un drone americano ha ucciso tre sospetti membri di al Qaeda, mettendo a segno il terzo attacco negli ultimi tre giorni. In Israele, intanto, per “ragioni di sicurezza”, è stato chiuso l’aeroporto di Eilat, al confine con il Sinai egiziano, in un momento in cui il clima nel Paese è delicato per la ripresa del dialogo con i palestinesi. In questo clima di tensione, si complica la chiusura del carcere statunitense di Guantanamo, sull’isola di Cuba, voluta da Obama in previsione di una svolta nella lotta al terrorismo, poiché la metà dei detenuti è di origine yemenita. La Casa Bianca dovrà decidere ora se farli entrare nel proprio sistema carcerario o se rimandarli nello Yemen. (A cura di Davide Pagnanelli)

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    Pakistan. Attacchi terroristici insanguinano il Paese

    ◊   Ben 8 persone sono morte a Quetta, in Pakistan, dove un commando armato ha aperto il fuoco contro la folla, obiettivo del nuovo attentato Ali Madad Jattak, un ex ministro locale, rimasto illeso nello scontro a fuoco. Sono stati già arrestati, dopo uno scontro a fuoco, otto sospettati, trovati in un covo dove sono state trovate armi automatiche e una divisa della polizia interna. La polizia pakistana non ha chiarito se appartenessero a un gruppo terroristico o a ribelli indipendentisti. Sempre in Pakistan, a Islamabad, è morta una guardia in uno scontro a fuoco con un kamikaze intercettato dalla polizia, le forze dell’ordine avrebbero individuato l’uomo che non sarebbe riuscito a far esplodere la giacca. (D.P.)

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    Nigeria: Aiuto alla Chiesa che Soffre incontra le vittime di Boko Haram

    ◊   La Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha incontrato le vittime delle violenze del gruppo estremista "Boko Haram", attivo nella Nigeria del Nord, e in un comunicato testimonia delle sofferenze dei cristiani nigeriani. Dal 2007 ad oggi, nel Nord del Paese più di 900 cristiani hanno perso la vita per la loro fede e oltre 100 chiese sono state colpite dagli estremisti. Le violenze sono tra le più disparate: dagli attentati dinamitardi, tra cui ricordiamo i cinque attentati del Natale 2011, alle violenze personali. Acs ha raccolto testimonianze piene di fede di chi ha perso il marito e tre dei suoi cinque figli negli attentati, di parroci che non hanno potuto dormire per mesi per via degli spari e del lancio di oggetti e carcasse di animali oltre il muro di cinta della parrocchia. Eppure, nonostante le violenze dei "Boko Haram", la Chiesa del Nord della Nigeria prospera per numero di fedeli, celebrazione dei Sacramenti e, soprattutto, vocazioni: oltre seimila seminaristi, infatti, studiano nei seminari nigeriani e nel Paese sono già presenti più di 4600 religiose e 4200 religiosi. Molte richieste di aiuto sono proprio finalizzate all’ingrandimento delle strutture dei seminari per non dover rifiutare nuovi seminaristi. Sulle stessa linea il documento che i vescovi nigeriani della provincia ecclesiastica di Ibadan hanno emesso al termine della loro assemblea, il 5 agosto scorso, in cui hanno rilevato come in questo Anno della Fede l'apporto dei laici sia incrementato e abbia portato alla fondazione di nuove comunità e alla creazione di diverse parrocchie, grazie anche all'opera di molte organizzazioni caritative. Tuttavia le difficoltà restano molte, legate all’emigrazione dei fedeli che abbandonano le zone più pericolose, ma anche ad alcune decisioni prese dal governo che i presuli condannano in quanto minacce alla cultura della vita, come il ritorno alla pena capitale, la controversia sui matrimoni tra minori e tra omosessuali. (D.P.)

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    Primarie in Argentina. I vescovi invitano alla partecipazione

    ◊   Cresce il dibattito in Argentina, in occasione delle primarie di questa domenica in cui saranno scelti i candidati alle elezioni politiche del prossimo 27 ottobre. Migliaia di argentini sono scesi in strada a Buenos Aires per manifestare contro il governo guidato dal presidente Cristina Fernandez de Kirchner. La campagna elettorale è stata ufficialmente chiusa ieri sera, ma i manifestanti proseguono le proteste contro la corruzione dilagante nel Paese, l'inflazione e un potere presidenziale che reputano "Incontrollato". Sul tema si è pronunciata anche la Conferenza episcopale locale, che ha inviato un messaggio firmato dal presidente, nonché arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, mons. José Maria Arancedo, in cui invita a prendere seriamente l’appuntamento elettorale, “come una domanda che esige una risposta”. Le elezioni “richiedono una partecipazione lucida da parte di tutti”, scrive il presule nel messaggio pervenuto all’agenzia Fides, anche perché l’impegno civico dovuto non si esaurisce con il voto: “Nel voto si esprime un modo di pensare con i valori e le idee che li definiscono – ha aggiunto – si tratta di un servizio che arricchisce la vita della comunità in quanto c’è il contributo di tutti i cittadini”. L’orientamento da seguire, quindi, resta quello della coerenza dei candidati, prendendo previamente visione dei programmi elettorali, in modo da esercitare davvero responsabilmente il voto: “Non si può rinunciare alla visione cristiana del mondo – ha concluso mons. Arancedo – e si deve vivere quest’impegno come un atto d’amore e di servizio alla patria”. (R.B.)

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    Centrafrica: violenze sui civili da parte dei ribelli Seleka

    ◊   Nella Repubblica Centrafricana continuano le violenze dei ribelli "Seleka" sui civili. L’agenzia Fides riporta la testimonianza del padre missionario Aurelio Gazzera, che opera a Bozoum, dove si è rifugiata la popolazione dei villaggi colpiti dai ribelli: Bossa, Bodalo, Kemo, Ouham Bac e Bowe, dai quali sono fuggite oltre tremila persone. L’aggressione a Bossa, del 25 luglio scorso, si è dimostrata particolarmente efferata: i ribelli hanno attaccato una prima volta il villaggio per cercare il sindaco, e dopo un saccheggio sommario, sono ritornati durante la notte per completare il saccheggio, casa per casa. Hanno preso anche sei ostaggi, di cui due sono stati uccisi e altri due brutalmente picchiati e feriti. I "Seleka" sono un movimento ribelle che ha assunto il potere a Bangui il 23 marzo con un colpo di Stato, il Paese però è anche attraversato da bande che si dedicano al saccheggio. (D.P.)

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    Congo: processo per i militari responsabili dello scoppio della santabarbara di Mpila

    ◊   Il 6 agosto scorso a Brazzaville è iniziato il processo a una ventina di militari responsabili dello scoppio della santabarbara della caserma di Mpila, alla periferia orientale della capitale della Repubblica del Congo. I militari sono ritenuti responsabili di quattro potenti esplosioni che, il 4 marzo 2012, hanno lacerato la caserma e raso al suolo gli edifici circostanti, con un bilancio di 282 morti, più di 2300 feriti e oltre 17mila sfollati. Le deflagrazioni hanno danneggiato i quartieri residenziali intorno a Mpila e l’onda d’urto ha raggiunto addirittura la vicina Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, dove ha portato danni e paura tra la popolazione. Riporta Fides che l’esplosione è stata causata intenzionalmente dai militari che manifestavano contro il governo per alcune promozioni non gradite nelle file dell’esercito. Coloro che hanno perso la casa nell’incidente sono stati inseriti dal governo in un piano di risarcimenti, ma l’iniziativa non ha incontrato il consenso della popolazione che ha manifestato contro l’iniquità della distribuzione del denaro e l’assegnazione degli alloggi. (D.P.)

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    India. Mons. Machado: vitale il rispetto tra comunità religiose

    ◊   Il presidente dell’Ufficio per il dialogo e l’ecumenismo della Conferenza episcopale indiana, mons. Felix Machado, si è soffermato a commentare con Asianews il messaggio autografo che Papa Francesco ha inviato alla comunità musulmana al termine del mese del Ramádan, evidenziando l’invito del Pontefice a promuovere “il mutuo rispetto attraverso l’educazione”, che egli considera “di vitale importanza in India”, dove la Chiesa locale cerca di testimoniarlo ogni giorno, anche attraverso le migliaia di strutture che gestisce. “La Chiesa in India – spiega il presule – gestisce circa 20mila istituti educativi tra scuole, collegi, ospedali, cliniche, istituti professionali, centri per la riabilitazione e università. Questi luoghi sono la culla del dialogo interreligioso, dove i nostri musulmani sono trattati con dignità e rispetto. Molte scuole hanno anche delle sale di preghiera a loro dedicate”. Nel suo messaggio il Santo Padre ha sottolineato l’importanza “di formare i nostri giovani a pensare e parlare in modo rispettoso delle altre religioni e dei loro seguaci, evitando di mettere in ridicolo o denigrare le loro convinzioni e pratiche”. “Questi sono i valori che insegniamo nelle nostre scuole – conclude mons. Machado – la libertà religiosa è un aspetto vitale del processo educativo, così come la trasmissione e i valori d’uguaglianza, giustizia e pace”. (R.B.)

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    Sri Lanka. Manifestazione interreligiosa per condannare i fatti di Weliweriya

    ◊   Seduti per terra in silenzio, vestiti di bianco e di nero – a simboleggiare l’opposizione e il dolore – mostrando volantini che recitano: “Il governo deve prendersi la completa responsabilità di queste brutali uccisioni. Non possono lavarsi le mani per questo incidente”. Così centinaia di fedeli cattolici, buddisti, indù e musulmani – tutte le fedi presenti nello Sri Lanka – hanno dato vita a una manifestazione pacifica nella capitale Colombo, per condannare l’attacco avvenuto nei giorni scorsi a Weliweriya, dove i militari hanno sparato contro civili che chiedevano l’accesso all’acqua potabile inseguendoli anche all’interno di una chiesa e uccidendo tre giovani. La manifestazione - riferisce AsiaNews - organizzata dal Christian Solidarity Movement sul tema “Condanniamo il terrorismo di Stato che brutalizza e uccide civili disarmati”, era fondata sul principio nonviolento della “satyagraha”, la “forza della verità”, elaborato dal Mahatma Gandhi. (R.B.)

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    Repubblica Dominicana: l'Unicef lancia l'allarme sulla condizione giovanile

    ◊   Nella Repubblica Dominicana il 47% dei poveri ha meno di 18 anni e il 56% dei minori - un milione e 700mila ragazzi - non ha accesso a servizi di base. La denuncia è dell’Unicef, che in collaborazione con gli enti locali riporta questi dati preoccupanti in uno studio che mira a valutare l’accesso della popolazione a servizi come l’acqua potabile, i servizi igienici, l’alloggio e l’istruzione. All’interno del rapporto, riferisce l’agenzia Misna, è riportato il troppo alto numero di donne che muoiono per cause legate al parto e alle morti neonatali: oltre l’80% di queste sono legate al mancato rispetto delle norme igieniche o delle procedure ospedaliere di base, che causano setticemie, emorragie, aborti e ritardi nell’assistenza. La mortalità infantile si attesta sul 2,7% - secondo i dati del 2011 - con 5866 bambini morti nel primo anno di vita, di cui cinquemila nel primo mese. Lo Stato dominicano sta investendo nella formazione pre-universitaria dei giovani il 4% del Pil, una cifra notevole per uno stato in via di sviluppo, ma l’educazione dei giovani necessita di nuove riforme al piano di studi e nuove strutture. (D.P.)

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    I Cappuccini del Brasile festeggiano i 400 anni di missione nel Paese

    ◊   Per l’inizio delle celebrazioni del 400.mo anniversario dell’arrivo dei Cappuccini in Brasile, un centinaio di religiosi, venuti da tutto il Paese, si sono ritrovati a São Luis, capoluogo dello Stato del Maranhão e città patrimonio dell’umanità, da cui è partita una speciale carovana-pellegrinaggio su pullman e macchine con destinazione il mare, lontano circa tre ore. Da qui, in barca, sono arrivati a “Primeira Cruz” (“Prima Croce”), luogo in cui i Cappuccini francesi celebrarono la prima Messa in Brasile nel 1612. I religiosi erano in quattro e venivano dalla Francia; uno morì sul posto, mentre gli altri tre furono costretti a rimpatriare. Accolti festosamente dalla popolazione locale, i frati hanno inaugurato un “Tau Memoriale” nella piazza del Comune e poi, con la partecipazione del Definitore generale, frate Sergio Dal Moro, del ministro provinciale, di molti religiosi e di due vescovi, è stata celebrata l’Eucaristia con la gente. Oggi i Frati minori cappuccini in Brasile sono circa 1.200, distribuiti in 10 Province e due Vice-Province. (A cura di padre Egidio Picucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 223

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.