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Sommario del 07/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Videomessaggio del Papa per la festa di San Cayetano a Buenos Aires
  • L'incoraggiamento del Papa ai giovani pellegrini bresciani: la gioia viene dal vivere la vita in pienezza
  • Chiara Amirante: col Papa a Rio rafforzati la fede e l'impegno della Chiesa per gli ultimi
  • Tweet del Papa: Gesù è vicino a noi, ci tocca con i suoi Sacramenti
  • Il card. Turkson a Nagasaki: la pace è inclusiva e indivisibile
  • Stati Uniti: respinto appello contro la Santa Sede su presunte responsabilità in un caso di abusi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: il governo annuncia il fallimento della mediazione internazionale
  • Tunisia, migliaia in piazza contro il governo. La testimonianza di un missionario
  • Terrorismo: sventato un attacco nel sud dello Yemen. Per Obama la minaccia è "seria e reale"
  • Immigrazione, l'Italia accoglie i naufraghi rifiutati da Malta
  • Latte contaminato: la Cina blocca le importazioni dalla Nuova Zelanda
  • Il piano di Lonquich apre il Festival "Pietre che cantano" ispirato alla terra abruzzese
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Bolivia. Depenalizzazione dell'aborto, Chiesa prepara documento di replica
  • Zimbabwe. I vescovi: le Chiese lavorino per sedare i contrasti post-elettorali
  • Birmania: tornano alla vita civile 68 bambini soldato arruolati quando ancora minorenni
  • India: scuole fatiscenti per i più poveri nello Stato del Bihar
  • Pakistan: attentato allo stadio di Karachi, almeno sette i morti
  • Turchia anche i cristiani siro-ortodossi potranno avere le loro scuole
  • Indulgenza plenaria per il bicentenario della Cattedrale di Città del Messico
  • Venezuela: per la festa del Cristo de La Grita in 200 mila pregano contro le ingiustizie
  • Grandi Laghi: approvata costruzione di una diga idroelettrica sul fiume Rusumo
  • Kenya; incendio devasta l'aeroporto di Nairobi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Videomessaggio del Papa per la festa di San Cayetano a Buenos Aires

    ◊   Per tutta la notte i fedeli di Buenos Aires sono rimasti in fila, in attesa di passare davanti alla statuetta di San Gaetano da Thiene, qui noto come San Cayetano, il Santo più popolare dell’Argentina, venerato in particolare dai lavoratori, Patrono del Pane e del Lavoro. Come ogni 7 agosto, memoria liturgica della morte del Santo, a migliaia hanno aspettato pazientemente il loro turno, per poter baciare il vetro della piccola teca, meditare sul tema della festa, che quest’anno è “Con Gesù e San Gaetano andiamo incontro ai più bisognosi”, e partecipare alla Messa presieduta da mons. Mario Aurelio Poli, arcivescovo della capitale argentina. Accanto a loro, fino allo scorso anno, c’era l’allora cardinale Bergoglio e arcivescovo di Buenos Baires che, dopo aver presieduto la celebrazione, percorreva in senso inverso la fila dei fedeli per ascoltare le loro storie e benedire i bambini. Sebbene distante migliaia di chilometri, il Papa non ha dimenticato l’appuntamento e si è rivolto ai fedeli attraverso un videomessaggio, che dalla mezzanotte ora locale viene trasmesso ciclicamente sulla tv cattolica di Buenos Aires (Canal 21) e su grandi schermi all’ingresso del Santuario, per dare modo di vederlo e ascoltarlo ai fedeli che si avvicinano in fila. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Pur nell’assenza fisica, il cuore e la parola di Francesco non sono mancati ai fedeli in fila al santuario di San Cayetano. Il suo videomessaggio li rassicura, anche quest’anno lui è con loro:

    “Esta vez la fila la recorrí con el corazón…
    Questa volta, la fila l’ho percorsa con il cuore. Sono un pochino lontano e non posso condividere con voi questo momento così bello. In questo momento voi state camminando verso l’immagine di San Gaetano. Per quale motivo? Per incontrarvi con lui, per incontrarvi con Gesù”.

    Francesco entra poi nel merito del tema scelto per il pellegrinaggio, che parla dell’incontro con Gesù e con San Gaetano, ma soprattutto di quello con i bisognosi, con coloro che hanno necessità di un aiuto, di essere guardati con amore, di vedere il loro dolore condiviso, così come le loro ansie o i loro problemi:

    “Pero lo importante no es mirarlos de lejos, o ayudarlos desde lejos…
    Però la cosa importante non è guardarli da lontano o aiutarli da lontano. No, no! È andare loro incontro. Questo è il cristiano! Questo è ciò che insegna Gesù: andare incontro ai più bisognosi. Come Gesù che andava sempre incontro alla gente. Egli andava ad incontrarla. Andare incontro ai più bisognosi”.

    Il Papa, nel messaggio, insegna cosa voglia dire fare l’elemosina, che non è gettare una moneta senza guardare negli occhi o senza toccare la mano delle persone alle quali la si fa, perché questo non vuole dire incontro. Francesco spiega che l’insegnamento di Gesù è sapersi incontrare e aiutare. E chiede che si edifichi, che si crei, che si costruisca una cultura dell’incontro:

    “Tantos desencuentros, líos en la familia, ¡siempre! Líos en el barrio…
    Quante divergenze, guai in famiglia, sempre! Guai nel quartiere, guai sul lavoro, guai ovunque. E le divergenze non aiutano”.

    Incontrarci con i più bisognosi, ripete il Papa riprendendo ancora una volta il tema, significa incontrarci con chi sta passando un brutto momento, peggiore del nostro, perché c’è sempre chi sta peggio. Ed è con loro che occorre incontrarsi dopo l’incontro con San Gaetano e Gesù. In chiusura di messaggio, Francesco ringrazia i fedeli per l’ascolto, e ancora chiede loro, forti della presenza di Gesù e di San Gaetano, di incontrarsi con i bisognosi, e non per convincere l’altro a divenire cattolico, ma in quanto fratello da aiutare; tutto il resto – aggiunge ancora il Papa – è compito di Gesù e dello Spirito Santo:

    “Tu corazón, cuando te encuentres con aquél que más necesita…
    Il tuo cuore, quando incontri chi ha più bisogno, comincerà ad ingrandirsi, ingrandirsi, ingrandirsi! Perché l’incontro – conclude Papa Francesco - moltiplica la capacità di amare. L’incontro con l’altro ingrandisce il cuore”.

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    L'incoraggiamento del Papa ai giovani pellegrini bresciani: la gioia viene dal vivere la vita in pienezza

    ◊   Ieri pomeriggio, Papa Francesco si è recato nelle Grotte Vaticane, sotto la Basilica di San Pietro, per raccogliersi in preghiera sulla tomba di Paolo VI, nel 35.mo anniversario della sua morte. Il Papa ha poi incontrato un gruppo di giovani della diocesi di Brescia, in pellegrinaggio vocazionale, giunti a Roma da Poggio Bustone, in provincia di Rieti, dopo aver percorso a piedi 140 chilometri, per una settimana, seguendo la via Francigena, per commemorare l’anniversario di Papa Montini, loro concittadino. A guidarli c’era don Alessandro Tuccinardi, responsabile dell’Ufficio spiritualità e vocazioni della diocesi di Brescia. Al microfono di Sergio Centofanti, ci racconta l’incontro inaspettato col Papa:

    R. – Sì, è stata una cosa inaspettata: era da tanto che chiedevamo di poterlo incontrare; avevamo la possibilità di partecipare ad un’udienza ma poi tutto è stato sospeso. Allora, abbiamo chiesto alla Provvidenza di aiutarci attraverso mezzi molto semplici e comuni. Il Papa è venuto a saperlo e ha desiderato incontrarci.

    D. - Dove si è svolto questo incontro?

    R. - Eravamo tutti a Messa per l’anniversario della morte di Paolo VI, in San Pietro. Siamo usciti nel cortile di fronte a Santa Marta e lì abbiamo incontrato il Santo Padre, che si è mostrato molto contento di accoglierci e felice di questa nostra visita, perché gli piace questo modo di porsi dei giovani. I giovani gli hanno ricordato alcuni messaggi che lui aveva lasciato alla Giornata mondiale della gioventù a Rio. Gli abbiamo regalato un porta sale proprio perché lui stesso ci ha ricordato che il rinnovamento della Chiesa parte dai giovani che devono mettere sale, devono mettere fede, speranza e amore nella vita di ogni giorno.

    D. - Quali esortazioni vi ha rivolto il Papa?

    R. - Ha rivolto parole soprattutto di incoraggiamento. Di vivere la vita non come un gioco, perché se la viviamo come un gioco la vita è triste ma di viverla in modo pieno e serio, perché è questa vita che ci dà gioia. Ha invitato i giovani ad essere responsabili. Ha benedetto ogni persona trovando una parola giusta per ciascuno: ha chiesto chi fossimo, sapendo che questo gruppo era formato da persone che stavano scegliendo una vocazione diversa. Questo ha permesso di sottolineare come nella Chiesa, quando manca una vocazione, si sente e si avverte la necessità che ci siano tutte e che insieme, “coralmente”, possano camminare. Devo dire che questo fuoriprogramma ha riacceso i cuori dei giovani e ha riacceso la voglia di essere annunciatori tra i coetanei di questa gioia che - come dice Paolo VI - è ordinaria e semplice ma viene dall’aver scoperto un Dio, che oltre ad essere bellezza ed amore è anche gioia, perché si rallegra dei suoi amici.

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    Chiara Amirante: col Papa a Rio rafforzati la fede e l'impegno della Chiesa per gli ultimi

    ◊   “L’amore di Dio ci dischiude sempre nuovi orizzonti. Papa Francesco lo ha ripetuto tanto alla Gmg, dandoci nuova linfa per il nostro lavoro e la nostra vita”. Sono parole di Chiara Amirante, la fondatrice della Comunità "Nuovi Orizzonti", da oltre 20 anni al fianco dei giovani in tutti gli ambiti del disagio sociale. Al microfono di Gabriella Ceraso, Chiara Amirante torna col pensiero ai tanti messaggi lanciati dal Papa, alla società e ai giovani, da Rio de Janeiro:

    R. – Certamente, per la nostra sensibilità particolarmente forte è stato il voler incontrare i nostri fratelli più in difficoltà, nelle favelas o all'ospedale S. Francesco, quando lui ha ricordato l’importanza di abbracciare chi è nel bisogno. Ci ha ricordato l’importanza della cultura della solidarietà, di vedere nell’altro non un concorrente ma un fratello, e ha sottolineato l’importanza di non lasciare entrare nel nostro cuore la cultura dello scarto. Bellissimo anche questo motto che lui ci ha dato: "Metti fede, metti speranza, metti amore". E’ un po’ l’esperienza che noi facciamo ogni giorno, appunto: se mettiamo fede, la vita ha un sapore nuovo. Vedo questo in tanti giovani che arrivano da noi proprio in situazioni di disperazione, appena aprono il cuore all’amore di Dio, la prima esperienza che fanno è proprio che la vita ha un sapore nuovo. L’amore di Dio ci dischiude sempre nuovi orizzonti.

    D. – Quanto conta, effettivamente, al fianco di un carcerato o di un tossicodipendente che tu incontri, ripetere quello che il Papa ha detto, cioè che può farcela, che può alzarsi, che la Chiesa c’è vicino a lui?

    R. – Senz’altro, ha detto qualcosa di fondamentale, una grande verità. Tutti i giorni facciamo un po’ quest’esperienza che l’importante è non sentirsi soli e ho visto che questa è la forza, più di tante psicoterapie, psicoanalisi... Tutto certo è utile, però quello che ogni giorno sperimentiamo in Comunità è proprio l’importanza di questo essere accanto, come ci ricordava Papa Francesco. Cioè dire: ce la puoi fare, ma io sono lì con te, ce la mettiamo tutta, insieme, ci proviamo insieme. La forza dell’amore è la più potente forza che esiste!

    D. – Quindi, i giovani protagonisti: ma il Papa ha anche insistito sulla società che dev’essere pronta ad accoglierli, a educarli, a passare loro dei valori, altrimenti è una società che non ha futuro. Questo ruolo tu, con la tua comunità, un po’ lo incarni, no? E' dunque, una chiamata a una maggiore responsabilità…

    R. – Credo che tutti abbiamo questa responsabilità di saper essere punti di riferimento non tanto con le parole quanto con l’esempio, perché poi i giovani quando trovano persone coerenti sono capaci di grandi scelte – di scelte generose – anche quei giovani che magari noi abbiamo stigmatizzato. Per esempio, ho visto tanti ragazzi provenienti magari anche dal carcere che hanno saputo fare scelte radicali…

    D. – Il Papa ha raccomandato, tra le altre cose, a chi è responsabile nell’ambito sociale di assicurare ai giovani un orizzonte trascendente "per la felicità autentica”. Dal tuo punto di vista, è una cosa fattibile e quanto conta?

    R. – Fattibile, senz’altro. Importante, direi importantissimo, perché è sotto gli occhi di tutti che il consumismo, l’edonismo, questo illudersi che nelle cose materiali possiamo trovare la realizzazione, di fatto è una grande menzogna perché chi persegue questa strada il più delle volte, oserei dire sempre – ormai incontro migliaia di giovani – raccoglie solitudine, vuoto, spesso disperazione e dipendenza. Quindi, non solo è possibile ma è necessario. Certamente, ci vuole una grande rivoluzione silenziosa di amore, prima di tutto, vissuta da chi ha ruoli di responsabilità, perché possa poi trasmetterla con forza, come la sta trasmettendo Papa Francesco che convince tantissimo anche persone lontane dalla fede proprio per il suo stile di vita, per la sua coerenza, per i suoi piccoli gesti che poi ci portano a stimare una persona e a vedere che se lei guarda orizzonti più ampi ci lasciamo invitare da questo suo sguardo. E credo che questo sia assolutamente urgente, oggi.

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    Tweet del Papa: Gesù è vicino a noi, ci tocca con i suoi Sacramenti

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Con la sua venuta tra noi, Gesù si è fatto vicino, ci ha toccato; anche oggi, attraverso i Sacramenti, Egli ci tocca”.

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    Il card. Turkson a Nagasaki: la pace è inclusiva e indivisibile

    ◊   “La pace è inclusiva e indivisibile”: sono le parole del card. Peter Turkson, pronunciate oggi a Nagasaki, per commemorare le vittime del bombardamento atomico avvenuto sulla città giapponese il 9 agosto 1945. Da lunedì scorso, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace è in Giappone, per partecipare all’iniziativa “Dieci giorni per la pace”, promossa dalla Conferenza episcopale locale, in memoria dei defunti di Hiroshima e Nagasaki. Il servizio di Isabella Piro:

    “Non può esserci una parte di popolazione che vive in pace ed un’altra che soffre a causa di emarginazioni, privazioni, ingiustizie e violenze, la pace è inclusiva e indivisibile”: è chiara l’affermazione del card. Turkson intervenuto oggi ad un incontro interreligioso insieme a rappresentanti buddisti, scintoisti e protestanti, organizzato dal Centro per il dialogo e la pace mondiale di Nagasaki. “Non sono un turista, né un ospite, ma un pellegrino”, dice il porporato, evidenziando poi come l’uomo contemporaneo, “confuso e scoraggiato”, sembri dimenticare che il proprio destino, voluto da Dio, è quello della “libertà e felicità”, abbandonandosi invece alla “sofferenza”, “all’avidità e all’odio”. Al contrario, ribadisce il card. Turkson, “la pace e la sopravvivenza dell’umanità sono legate indissolubilmente al progresso, allo sviluppo e alla dignità di tutte le persone”, come disse Giovanni Paolo II visitando il Giappone nel febbraio 1981. Quindi, il presidente del Dicastero vaticano ricorda il 50.mo anniversario dell’Enciclica “Pacem in Terris”, siglata da Giovanni XXIII nel 1963, in cui si sottolinea che “la pace va costruita su fondamenta solide”. Anche i Pontefici successivi, ribadisce il porporato, hanno insistito sul carattere inclusivo e non divisibile della pace e sulla necessità di non “ignorare, emarginare o escludere” nessuna parte della società. Un’esortazione – ricorda ancora il card. Turkson - lanciata anche recentemente da Papa Francesco, durante la sua visita alla Comunità di Varginha, a Rio de Janeiro, il 25 luglio scorso: in quell’occasione, il Pontefice ha detto: “Non lasciamo entrare nel nostro cuore la cultura dello scarto, perché noi siamo fratelli. Nessuno è da scartare!". Ribadendo, quindi, che i veri processi di pacificazione devono “integrare anche le periferie”, il card. Turkson ha pregato per le vittime dei bombardamenti atomici, invitando tutte le “grandi tradizioni religiose e spirituali dell’Asia” a lavorare insieme per la pace. Giunto in Giappone il 5 agosto scorso, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha reso omaggio, nei giorni scorsi, alle vittime della bomba atomica di Hiroshima. Domani, invece, sempre a Nagasaki, il card. Turkson parteciperà ad una cerimonia interreligiosa organizzata presso il Ground-Zero Park della città e reciterà una preghiera per tutti i defunti e per tutti coloro che soffrono ancora a causa degli effetti della radioattività. Infine, il 9 agosto, sempre a Nagasaki, il porporato presiederà la Santa Messa per la pace nel mondo.

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    Stati Uniti: respinto appello contro la Santa Sede su presunte responsabilità in un caso di abusi

    ◊   Una nuova sentenza negli Stati Uniti riconosce che la Santa Sede non può essere accusata di responsabilità dirette in casi di abusi sessuali commessi da qualsiasi esponente del clero nel mondo. Il servizio di Fausta Speranza:

    Negli Stati Uniti, la Corte d’Appello in Oregon, precisamente la U.S. Court of Appeals for the Ninth Circuit, ha respinto il 5 agosto scorso la causa, partita nel 2002, su presunte responsabilità della Santa Sede in un caso di abusi sessuali. La vicenda riguarda un sacerdote irlandese che dopo essere stato denunciato per abusi su un minore, avvenuti nel 1965, è stato segnalato dal suo ordine religioso alla Santa Sede che lo ha ridotto allo stato laicale nel giro di poche settimane. L’appello, rigettato dalla Corte con la motivazione che non doveva essere presentato, ha in particolare respinto quanto il ricorrente voleva affermare in linea di principio: e cioè che la Santa Sede sarebbe direttamente informata e avrebbe il controllo su tutti i sacerdoti nel mondo e che dunque dovrebbe essere accusata di responsabilità diretta nel caso accertato di abusi sessuali da parte di qualsiasi esponente del clero. Ma la causa è stata rigettata proprio perché la Corte ha riconosciuto che tale premessa è erronea. In realtà – come spiega l’avvocato della Santa Sede Jeffrey S. Lena in un comunicato - i sacerdoti sono sotto il controllo dei loro superiori locali e non sono, in conseguenza dello status clericale, “dipendenti” della Santa Sede, come potrebbe essere nel caso di una comune azienda. Inoltre, non è vero che la Santa Sede riceva e conservi informazioni su tutti i sacerdoti nel mondo. L’avvocato Lena, in un’intervista rilasciata alla redazione inglese della Radio Vaticana, ricorda inoltre che si sarebbe voluto trattare la Chiesa cattolica come una grande società con a capo il Papa, alla stregua di un Chief Executive Officer. E spiega che questo principio è stato respinto dalla Corte. Lena osserva che in questo procedimento il giudice “ha avuto l’opportunità di seguire da vicino i fatti, ha potuto incontrare tutte le parti e i testimoni legati alla vicenda del sacerdote e questo gli ha consentito di esaminare da vicino se ci fossero stati collegamenti con la Santa Sede, appurando che la Santa Sede era stata informata solo nel momento in cui era arrivata la richiesta di riduzione allo stato laicale del religioso da parte dei suoi superiori locali”. Infine, l’avvocato Lena ricorda che ci sono stati due pronunciamenti simili negli Stati Uniti: cioè, altri due casi in cui è stato rigettato il ricorso in appello che avrebbe voluto dimostrare principi simili a quelli portati avanti dal ricorrente in Oregon. Si tratta dei casi O’Bryan, in Kentucky, e il John Doe 16, noto come caso Murphy, in Wisconsin.

    Di seguito pubblichiamo il testo originale della dichiarazione di Jeffrey Lena:

    On August 5, 2013, the United States Court of Appeals for the Ninth Circuit dismissed Plaintiff’s appeal in the Oregon federal case of John V. Doe v Holy See, thereby definitively drawing to a close litigation commenced with media fanfare in 2002. The dismissal – which was not the result of any settlement or other payment by the Holy See – was entered at the voluntary request of the Plaintiff’s own lawyers, who were faced with an impending deadline to reply to the Holy See’s appellate briefing in the case. John V. Doe is the third case of its kind against the Holy See to disintegrate in the face of legal and factual challenge. O’Bryan v. Holy See, filed in a Kentucky federal court in 2004, was withdrawn by the plaintiffs’ counsel in 2010 in the face of the Holy See’s pending motion to dismiss. John Doe 16 v. Holy See – a case filed in a Wisconsin federal court in 2010 in a circus-like media atmosphere – was withdrawn under similar circumstances. Like O’Bryan and John Doe 16, the John V. Doe case was based on factual misstatements and fallacious syllogisms that misled the public for years. But it has ended with the unceremonious withdrawal of a lawsuit against the Holy See that never should have been filed in the first place.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   I sentieri della perfezione: in prima pagina, Alberto Fabio Ambrosio su Papa Francesco e la vita religiosa.

    L’incontro personale, fondamento della carità: videomessaggio di Papa Francesco ai fedeli di Buneos Aires per la festa di san Cayetano.

    Il volto di Cristo deve brillare anche attraverso dense nuvole: la meditazione del cardinale Prosper Grech alla presenza di 115 cardinali il giorno dell’apertura del Conclave che ha eletto Papa Francesco.

    Quando la croce liberava dal filo spinato: Marko Jacov sulla missione umanitaria dei delegati religiosi tra prigonieri e internati civili nella Grande guerra.

    Un articolo di Sylvie Barnay dal titolo “Speleologi di immagini”: viaggio alla scoperta delle raffigurazioni del volto di Dio dal cristianesimo primitivo al ventesimo secolo.

    Nemmeno una parola vuota: Isabella Farinelli su un poemetto allegorico del brasiliano Joao Cabral del Melo Neto che continua ad andare in scena in tutto il mondo.

    Da Mosca a Buenos Aires e ritorno: Giovanna Parravicini sui gesuiti argentini e le relazioni con la Chiesa ortodossa.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, Baghdad, sempre ostaggio delle violenze.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: il governo annuncia il fallimento della mediazione internazionale

    ◊   Situazione ancora critica in Egitto, dove è andata a monte la possibilità di una mediazione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, per porre fine alla crisi politica in atto nel Paese. Il fallimento, che è stato annunciato dalla presidenza egiziana in una nota, riporta un clima di tensione, causato dalla netta contrapposizione tra sostenitori e oppositori del deposto presidente Morsi. Se da una parte, infatti, il Governo sostiene che le proteste dei Fratelli musulmani non sono state pacifiche, dall’altra la Fratellanza annuncia che i dimostranti ''non lasceranno le piazze del Cairo e dell'Egitto finché Morsi non tornerà presidente con i pieni poteri e non verrà ripristinata la Costituzione''. Salvatore Sabatino ha chiesto a Luigi Bonanate, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università di Torino, quali sono i possibili scenari che si aprono per l’Egitto dopo questo fallimento della mediazione internazionale:

    R. – Sono talmente tanti che è impossibile capire davvero qualcosa. Non riusciamo a capire a che punto ci dobbiamo fermare. Credevamo che con Morsi si fosse finalmente raggiunta una nuova stabilità, che frenava anche in gran parte la preoccupazione dei Fratelli Musulmani. Poi c’è stato il colpo di Stato – chiamiamolo così – contro Morsi e quindi una più forte barriera contro i Fratelli Musulmani, che però ha rilanciato il loro attivismo. La domanda che mi faccio in continuazione è: “Ci siamo occupati attentamente e seriamente, negli ultimi anni, di tutte queste cose o invece abbiamo guardato alla finestra, un po’ compiaciuti, un po’ ironici le cosiddette Primavere Arabe?”.

    D. – Certamente quello degli Stati Uniti è un fallimento che scotta e che rimette di fatto in discussione il ruolo di mediatore che l’Egitto ha ricoperto negli ultimi decenni, in tutto lo scacchiere mediorientale...
    R. – Questo è proprio il problema: gli Stati Uniti sono i mediatori per l’Occidente. L’Egitto era considerato il mediatore per il Medio Oriente, tanto che doveva servire nell’ambito della questione israelo-palestinese. Poi avevamo la Siria, che doveva essere il mediatore tra Iraq e tutto il resto. Forse è lì che sbagliamo. Non sto dicendo che l’alternativa siano gli interessi militari, ci mancherebbe, ma è la nostra prospettiva su tutto questo che mi sembra evidentemente carente. Non si è mai vista una situazione di questo tipo: tutti dovevano avere un certo ruolo e nessuno è riuscito ad assolverlo, ad adempierlo. Evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa.
    D. – Ci possiamo, a questo punto, aspettare una qualche mossa da parte di Israele, che ha tutto l’interesse di avere un Egitto stabile, capace di riportare, ad esempio, il Sinai ad una situazione di normalità?
    R. – Ripartendo dal dialogo israelo-palestinese, su cui Obama aveva investito moltissimo: aveva dedicato il buon Kerry a non occuparsi d’altro negli ultimi sei mesi che della questione della riapertura del dialogo. E’ chiaro che questa situazione oggi rinforza oggettivamente Israele, nel senso che se l’Egitto non è più il Paese amico, o protettore in parte, della Palestina, ma più che altro di Gaza, è chiaro che in questo modo Israele si rafforza. Siccome, però, la cosa importante è quella di far partire finalmente dei veri colloqui di pace, di nuovo gli Stati Uniti non sapranno da che parte voltarsi.
    D. – C’è, a questo punto, secondo lei, il rischio reale di una guerra civile in Egitto, così come paventato da molti commentatori internazionali?
    R. – Io mi fermerei per ora ad essere rattristato e spaventato di fronte a quello che succede in Siria. Se dalla Siria, dove ci sono già più di 100 mila morti, andiamo verso l’Egitto, questo sarebbe l’incendio, non sarebbe più un’altra guerra civile, sarebbe l’incendio del Medio Oriente. Credo non ci sia nulla da temere di più nel mondo di oggi che questa ipotesi.

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    Tunisia, migliaia in piazza contro il governo. La testimonianza di un missionario

    ◊   In Tunisia almeno 40 mila persone sono scese in piazza ieri sera per chiedere lo scioglimento dell’assemblea costituente e le dimissioni del governo di coalizione guidato dal partito di ispirazione islamica Ennahda. I manifestanti di opposizione hanno accolto come una prima vittoria la decisione di sospendere i lavori della Costituente, annunciata in serata dal suo presidente, Mustafa Ben Jafaar. Il servizio di Davide Maggiore:

    La sospensione dei lavori da parte di Ben Jafaar è “inaccettabile”, ha detto uno dei deputati di Ennahda in un’intervista. L’opposizione ha invece definito la mossa positiva, “ma insufficiente”. Da parte sua il presidente dell’assemblea – esponente di un partito laico di governo – ha sottolineato che la sospensione andrà avanti “fino all’inizio di un dialogo” tra le varie forze politiche. Alcuni commentatori temono però che nel Paese, sempre più polarizzato, possano esserci nuovi episodi di violenza. Fonti del Ministero dell’Interno hanno reso noto che un militante islamico è morto alla periferia della capitale dopo uno scontro a fuoco con la polizia. Ma dagli imam della più importante moschea locale sono arrivate simboliche aperture verso chi protesta. Si terrà infatti nella piazza al centro delle proteste la preghiera conclusiva del mese di Ramadan, permettendo anche ai manifestanti di celebrare la ricorrenza.

    E per una testimonianza sulla situazione a Tunisi, Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente nella città nordafricana padre Jean Fontaine, missionario dei Padri Bianchi:

    R. – Mes sentiments sont ceux d’un disciple de Jésus: comme Jésus dormait sur …
    I miei sentimenti sono quelli di un discepolo di Gesù : come Gesù dormiva sulla barca durante la tempesta, io rimango sereno e mi faccio testimone della serenità di Gesù con i miei amici. Poi, mi impegno a diffondere i concetti della non violenza affinché la società civile ne assuma le caratteristiche ed i partiti politici lavorino nella direzione della non violenza. Per quanto riguarda ciò di cui lei parlava – le manifestazioni – Tunisi è una città grande: nel quotidiano, io continuo a visitare almeno tre-quattro volte a settimana alcune famiglie …

    D. – Quindi non avete paura di possibili conseguenze violente di queste manifestazioni?

    R. – Je ne pense pas, pour deux raisons au moins. La première c’est que …
    Non ci penso, e per due ragioni almeno. La prima è che il tunisino è di temperamento fondamentalmente pacifico. E in secondo luogo, ci sono pochi tunisini che posseggono armi e in questo ultimo periodo le forze di sicurezza hanno fatto un grande lavoro per cercare di intercettare le armi che entrano in città. Quindi, penso che non sia nel nostro temperamento, la violenza. Guardi quello che è successo nel periodo che noi chiamiamo della “rivoluzione”: in confronto a quello che succede altrove – in Algeria, in Libia, in Egitto o in Siria, non è successo nulla! E questo perché così è il temperamento del tunisino …

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    Terrorismo: sventato un attacco nel sud dello Yemen. Per Obama la minaccia è "seria e reale"

    ◊   “Gli Stati Uniti non hanno reagito in modo esagerato, perché la minaccia del terrorismo è reale e seria”. Così il presidente Barack Obama, intervenuto in un talk show televisivo, giustifica la chiusura delle 28 sedi diplomatiche americane per il timore di un attacco di Al-Qaeda. Intanto il governo dello Yemen conferma: scoperto un piano per far saltare degli oleodotti. Il servizio di Michele Raviart:

    Il primo obiettivo era far saltare i gasdotti di Shebwa e Belhaf. Il secondo era di impadronirsi dei porti di Mukala e Bawzeer, fulcro dell’esportazione di petrolio dallo Yemen. Questo il piano dei qaedisti sventato dal governo di Sana’a, capitale blindata per l’allarme terrorismo. Chiuse infatti l’ambasciata americana e quella dei principali Stati europei, mentre nelle strade sono schierati centinaia di veicoli blindati. Misure di sicurezza senza precedenti, in quello che oggi è il Paese in cui la tensione per “l’allarme Al-Qaeda” è più alta. Secondo il portavoce del governo, i terroristi avrebbero agito per ritorsione verso la morte di un loro capo, Said Al-Shihri, ucciso da un attacco dei droni americani lo scorso novembre. E proprio un drone Usa ha colpito questa mattina all’alba la città di Nasab, uccidendo sette miliziani islamisti. Si tratta del quarto raid del genere negli ultimi giorni, per un totale di 24 morti. Per il Washington Post, che cita fonti vicine all’amministrazione Obama, questi attacchi autorizzati sono strettamente collegati alla minaccia in corso e all’ordine di Al-Qaeda di colpire obiettivi occidentali attraverso le loro filiali yemenite.

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    Immigrazione, l'Italia accoglie i naufraghi rifiutati da Malta

    ◊   Sono 102 i naufraghi della nave Salamis, tra loro quattro donne incinte e un neonato di cinque mesi, rifiutati da Malta nonostante le sollecitazioni della Commissione europea di Bruxelles. Dopo il no delle autorità maltesi all’attracco dell’imbarcazione, e dopo un negoziato diplomatico, nella notte il governo italiano ha dato l’assenso per lo sbarco dei migranti nel porto di Siracusa. Daniel Ienciu ne ha parlato con la responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Valeria Carlini:

    R. - Crediamo che il rifiuto da parte di Malta di accogliere 102 migranti in condizioni di estrema vulnerabilità - ricordiamo c’erano quattro donne incinte, una persona ferita ed un bambino di soli cinque mesi - dopo essere stati soccorsi da più di due giorni da una nave commerciale, è estremamente grave. Riteniamo questa una violazione degli obblighi internazionali di Malta; su questo bisogna essere chiari. Nel momento in cui un natante in difficoltà viene soccorso, deve essere portato verso il primo porto sicuro; così ci dicono le convenzioni internazionali. In questo caso, il porto sicuro non può essere considerato solamente un porto geograficamente vicino come vorrebbe Malta, che voleva rimandare in Libia i migranti e naufraghi raccolti nelle acque. Ma il porto sicuro è quel porto che riesce a rispettare anche i diritti umani e i diritti fondamentali delle persone che sono su quella nave, e come hanno detto anche altre fonti onorevoli, la Libia in questo momento non dà assicurazioni di nessun tipo rispetto alla salvaguardia dei migranti. Le condizioni dei rifugiati sono estremamente gravi e non crediamo che potesse essere considerato in nessun modo un luogo sicuro in cui i migranti forzati potevano essere assistiti e soccorsi. Dobbiamo però dire anche un’altra cosa: se è evidente che la responsabilità, in questo caso, ricadeva su Malta che doveva essere il primo porto di attracco, che doveva dare un’accoglienza ed un’assistenza dovuta e necessaria a questi migranti dobbiamo anche dire che a livello europeo di deve dimostrare una solidarietà differente. Malta è una piccola isola, un avamposto nel Mediterraneo; è come fosse una Lampedusa senza però avere l’Italia dietro. È evidente che Malta non deve essere lasciata da sola e l’Europa deve predisporre dei piani di ricollocamento di quei rifugiati che arrivano con numeri cospicui sulle coste del Mediterraneo.

    D. - Come commenta la decisone del governo italiano di accogliere i migrati a bordo della nave Salamis nel porto di Siracusa? A quanto pare l’Italia rischia di rimanere l’unico Paese del Mediterraneo pronto ad accogliere i migranti. Cosa ne pensa?

    R. - Prima di tutto vogliamo ringraziare il governo italiano che ha fatto un gesto di solidarietà molto improntate. Crediamo che abbia dato un grande segnale. Diciamo che in questi anni - e questo deve essere riconosciuto all’Italia - le nostre forze militari, la nostra marina, la guardia di finanza hanno salvato migliaia di vite di migranti nel Mediterraneo. Dobbiamo anche dire che non può rimanere - come ho detto precedentemente - un problema dell’Italia o di Malta. Da questo punto di vista, l’Europa deve dimostrare una solidarietà ben diversa. Però dobbiamo anche ricordare una cosa su cui molto spesso purtroppo non si fa chiarezza: bisogna dire che l’Italia non è invasa da richiedenti asilo o rifugiati. Le domande di asilo che l’Italia ha ricevuto lo scorso anno sono circa 15700, mentre lo stesso anno la Germania ne ha ricevute più di 77 mila, la Francia più di 60 mila e la Svezia, che è un piccolo Paese, più di 43 mila. Quindi nonostante gli arrivi drammatici dalla Libia, dalla Tunisia, dall’Egitto - quindi dalle coste del sud del Mediterraneo - che obbligano l’Italia a mettere in piedi delle strutture di assistenza che altri Paesi non vedono, il numero delle persone che effettivamente arrivano a chiedere protezione nel nostro Paese non è minimamente ancora paragonabile a quelli dei Paesi del nord Europa. Quindi su questo dobbiamo essere chiari per non avere una sindrome di invasione che non è assolutamente quella corretta - secondo noi - da trasmettere. Però è anche doveroso ricordare che questo tipo di assistenza e di impegno di salvaguardia umanitario dovrebbe avere anche una corrispondenza di solidarietà a livello europeo.

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    Latte contaminato: la Cina blocca le importazioni dalla Nuova Zelanda

    ◊   Viene definita ormai la “guerra del latte”. I Paesi importatori di prodotti caseari dalla Nuova Zelanda hanno interrotto gli approvvigionamenti dopo che il colosso neozelandese Fonterra, azienda leader del settore, ha ritirato dal commercio una grande partita di latte e derivati contaminata da botulino. La Fonterra rassicura, tuttavia, i consumatori e fa sapere che non c’è nessun rischio per chi ha acquistato i prodotti della società, molti destinati al consumo di minori. Ma intanto la vicenda ha causato il momentaneo blocco degli scambi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Stefano Vergine, giornalista free lance, che sta seguendo da Sidney gli sviluppi della situazione:

    R. - Sicuramente è una vicenda che cambia le carte in tavola, perché la Nuova Zelanda è il maggiore esportatore al mondo di latte. La principale società neozelandese, che è anche la principale società al mondo del settore, la Fonterra, ha annunciato il ritiro dal mercato di circa mille tonnellate di prodotti sparsi in sette Paesi del mondo tra cui anche la Cina, che è il mercato principale per la società e per la Nuova Zelanda. Per capirci, l’esportazione di prodotti derivati dal latte valgono per la Nuova Zelanda sette miliardi di euro all’anno, cioè quasi il sei percento del Pil del Paese e circa il 90% di questo latte va a finire in Cina. Quindi una chiusura del commercio con la Cina significa un grosso contraccolpo per l’intera Nuova Zelanda. Le conseguenza più pesanti ci sono state in Russia e in Cina, dove tutti e due i Paesi hanno bloccato le importazioni. È abbastanza normale come reazione, visto soprattutto quello che è successo nel 2008 in Cina, quando una partita di latte avariato, in quel caso prodotto da aziende locali, causò la morte di sei bambini.

    D. - Il fatto che siano legati a questa vicenda grandi Paesi, che tipo di ricaduta può creare a livello di commercio internazionale?

    R. - Sicuramente dal punto di vista del commercio internazionale, questo può essere un momento importante. Bisognerà vedere se in particolare la Cina e anche la Russia riprenderanno a importare prodotti derivati dal latte dalla Nuova Zelanda. In caso contrario, è probabile che Paesi concorrenti cerchino di inserirsi in quello che è un business miliardario. Basta dire che Fonterra ha un fatturato annuo pari al 90 % della produzione neozelandese di latte.

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    Il piano di Lonquich apre il Festival "Pietre che cantano" ispirato alla terra abruzzese

    ◊   E' stato il pianista, Alexander Lonquich ad inaugurare la 14.ma edizione del Festival Internazionale di musica “Pietre che cantano”. Lo scenario è il Monastero di Santo Spirito a Ocre, una monumentale abbazia cistercense del XIII secolo che domina la Valle dell’Aterno e l’Aquila. All’Abruzzo e alle sue ricche tradizioni dimenticate è dedicata anche questa edizione del festival che ai concerti affianca percorsi letterari, mostre e danza. Gabriella Ceraso ne ha parlato con la direttrice artistica Luisa Prayer:

    R. – E’ una parte d’Italia che sta proprio nel cuore del nostro Paese, e che però rimane ancora un luogo abbastanza segreto. Quindi, noi cerchiamo di valorizzare i nostri programmi musicali attraverso la collocazione in questi scenari di pregio, dal punto di vista paesaggistico e artistico, e viceversa cerchiamo di prendere spunto da questi per i contenuti della nostra proposta musicale.

    D. – Infatti, uno dei due cicli di appuntamenti della vostra edizione – oltre, ovviamente, al ciclo “Verdi” per il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi – è proprio quello intitolato: “Abruzzo primitivo, Abruzzo del mito”. Di che si tratta?

    R. – Quest’anno avevamo diversi spunti: uno era lo spunto anche dannunziano, perché siamo nei 150 anni della nascita di D’Annunzio, e non possiamo dimenticare che a fine Ottocento D’Annunzio, dall’interno del “Cenacolo Michettiano”, cioè di questo sodalizio di artisti, ha voluto riappropriarsi di queste radici, di questo Abruzzo sconosciuto. E' un’esplorazione di colori, suoni, tradizioni che emerge poi dalle opere che loro hanno restituito – sia nelle opere letterarie di D’Annunzio sia nelle opere pittoriche di Michetti e anche di Tosti, che era il musicista del gruppo, nelle sue raccolte di canti popolari abruzzesi, nell’individuare il “quid” del melos popolare. L’altro “Abruzzo popolare, Abruzzo del mito” è quello della civiltà contadina che però aveva una sua poesia interiore, rimasta documentata nelle opere di alcuni scrittori come Massimo Levi o Bruno Sabatini, di cui pubblichiamo un nostro primo e-book

    D. – Quindi, dal Medioevo attraverso la civiltà contadina fino al Novecento, un viaggio attraverso tradizioni, balli, canti di questa terra. In particolare, di D’Annunzio quale aspetto mettete in luce?

    R. – Il D’Annunzio vero, che è quello delle radici, ma anche un D’Annunzio che parla con l’Europa: perché è un D’Annunzio che legge Wagner, che è in contatto fitto con la cultura francese di quel momento, una figura di dimensione europea.

    D. – Questo coinvolgimento musica-arte-territorio è un buon mix, è una cosa che attrae, è una cosa che lascia una traccia maggiore rispetto ad un festival comune?

    R. – Sì. Noi puntiamo sull’emozione totale: dove mi trovo, cosa vedo, cosa sento, chi incontro? Perché i nostri sono anche incontri, il pubblico è veramente a contatto con l’interprete. E vediamo che il pubblico è rimasto entusiasta, si affeziona, gli sembra di conoscere l’artista più da vicino. E’ il senso, un po’, della musica dal vivo: una specie di rito collettivo basato proprio sulla vicinanza, sullo stare lì, tutti quanti insieme, in quel momento.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Bolivia. Depenalizzazione dell'aborto, Chiesa prepara documento di replica

    ◊   “Una società che non garantisce il diritto basilare che è la nascita, il diritto basilare che è la vita, diventa una società perversa”. Con queste parole si è pronunciato il segretario aggiunto della Conferenza episcopale boliviana, padre Josè Fuentes, interpellato sul dibattito pubblico sull’aborto e sul controllo delle nascite suscitato da alcuni deputati del partito del governo del presidente, Evo Morales, a favore dell’aborto. Il rappresentante dell’episcopato ha affermato che un gruppo di specialisti, tra avvocati, medici, scienziati e ecclesiastici, sta preparando un documento che stabilisce i fondamenti della Chiesa in difesa della vita e contra l’aborto da presentare al Tribunale Costituzionale. “Se si ascolta veramente al popolo, sono convinto che approvi le azioni contro la vita”, ha detto il padre Fuentes nel ricordare che tra le proposte di depenalizzazione c’è anche l’infanticidio. La proposta presentata dalla deputata Patricia Mancilla insieme all’ong statunitense Ipas, chiede la dichiarazione d’incostituzionalità di 13 articoli del Codice penale per legalizzare l’aborto. Dato che numerosi politici del partito di governo Mas, come pure lo stesso presidente Morales, hanno ribadito che nel Paese c’è già un ordinamento legale che penalizza l’aborto, il dibattito è rimasto aperto nelle mani dei magistrati che dovranno valutare le diverse posture in una consultazione nazionale. Secondo il Codice penale, l’aborto è non perseguibile quando la gravidanza è originata da una violazione, sequestro, stupro o incesto, e per evitare di mettere in rischio la vita o la salute della madre, tutti eseguiti previo un processo giudiziario. Il ricorso di depenalizzazione è stato presentato a Marzo, ma il dibattito si è ravvivato dopo le pressioni dei gruppi pro abortisti che alla fine di luglio hanno chiesto una riposta celere del Tribunale Costituzionale, il quale in due occasioni non ha trovato i consensi necessari per immettere un verdetto. Tuttavia, la presidente della magistratura Rudy Flores, ha affermato che “il tribunale non sottoporrà il suo lavoro a pressioni di carattere politico, sociale, religioso o di qualunque altro genere”. Il mese scorso, il Consiglio dei laici boliviani al termine della sua Assemblea nazionale, in un comunicato ha esortato i cattolici e tutta la società a stare in guardia contro i progetti di legge che minacciano la dignità di ogni persona umana. “Dopo l’esame delle diverse situazioni illecite e inumane che minacciano la vita e la famiglia”, si legge nel testo, i laici boliviani costatano che “la dittatura del relativismo e l’ideologia di genere” sono sempre più diffuse nel Paese. (A.T.)

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    Zimbabwe. I vescovi: le Chiese lavorino per sedare i contrasti post-elettorali

    ◊   “Spero che le Chiese possano giocare un ruolo determinante nella ricerca di una soluzione pacifica così che in Zimbabwe sia possibile un nuovo inizio di cui ha disperatamente bisogno”. E’ l’auspicio espresso all’agenzia Cns dal segretario generale della Conferenza episcopale dello Zimbabwe, padre Frederick Chiromba, mentre nel Paese sale la tensione dopo il rifiuto da parte del Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), guidato da Morgan Tsvangirai, di accettare l’esito delle elezioni del 31 luglio, che hanno confermato ancora una volta alla presidenza Robert Mugabe, attribuendo la maggioranza assoluta in parlamento al suo partito, l’Unione nazionale africana dello Zimbabwe-Fronte Patriottico (Zanu-Pf). Nonostante il sostanziale avallo della regolarità del voto espresso dagli osservatori elettorali, inviati dalle istituzioni africane, nella capitale Harare e in altre città del Paese continuano le manifestazioni di protesta. Il timore è il ripetersi del bagno di sangue che segnò le precedenti elezioni presidenziali del 2008. Per questo, nei giorni scorsi le Chiese cristiane hanno rivolto un pressante appello alle parti ad accettare i risultati del voto e a risolvere le irregolarità accertate “con un dialogo pacifico e ordinato”. Anche secondo padre Chiromba, è essenziale che i cittadini dello Zimbabwe “procedano uniti” per accertare la verità e raggiungere un accordo: “L’opposizione si sente imbrogliata e le sue contestazioni devono essere affrontate attraverso i canali giusti”, ha dichiarato il sacerdote. Nei giorni scorsi la Commissione episcopale “Giustizia e Pace” dello Zimbabwe e l’Imbisa (Incontro interregionale dei vescovi dell’Africa meridionale), che durante le operazioni di voto hanno schierato 2.796 osservatori elettorali, hanno espresso apprezzamento per il clima complessivamente pacifico in cui si è svolto lo scrutinio, pur segnalando diverse irregolarità. (L.Z.)

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    Birmania: tornano alla vita civile 68 bambini soldato arruolati quando ancora minorenni

    ◊   Liberati oggi 68 ragazzi dell’esercito birmano, arruolati quando erano ancora minorenni. Questi i risultati dei negoziati tra la giunta militare al governo in Birmania e l’Onu, che hanno portato finora alla liberazione di 176 giovani soldati. La Birmania è da lungo tempo sotto la lente della comunità internazionale per le violazioni dei diritti umani, e la liberazione di questi ragazzi è il frutto di un piano d’intervento concordato tra le Nazioni Unite e l’esercito birmano già nel 2012. La firma di questi accordi non ha fermato il fenomeno del reclutamento di minori nelle file dell’esercito ma, secondo fonti Onu, ha ridotto il fenomeno. Il responsabile Unicef birmano, Shalini Bahuguna, commenta dicendo: “È giunto il momento per una liberazione di massa di tutti i bambini soldato delle forze armate birmane”. Un’azione in tal senso s’inserirebbe nella serie di riforme promulgate dalla nuova giunta militare, un consiglio ristretto di ex-generali che ha sostituito il precedente governo militare nel marzo 2011, che mirano all’abrogazione delle pesanti sanzioni internazionali imposte alla Birmania proprio per i crimini e le violazioni dei diritti umani commessi dai militari al governo. Le giovanissime reclute restano, ad oggi, una triste realtà di cui non si hanno stime precise: i dati sono molto incerti e i progressi della nuova giunta militare birmana restano non quantificabili. (D.P.)

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    India: scuole fatiscenti per i più poveri nello Stato del Bihar

    ◊   Il diritto all’istruzione nello Stato indiano nordorientale del Bihar è molto lontano dall’essere sufficiente. La denuncia arriva dalla Fides, secondo cui la situazione delle scuole nell’area è sempre più problematica, soprattutto per quel che riguarda la casta degli ultimi, i Dalit. Con l’intenzione di aiutare proprio queste caste più povere e le comunità rurali, il governo indiano ha appena aperto una scuola nel villaggio di Gandaman nel Bihar, ma intenderla come scuola è certamente eccessivo: tutte le classi, dalla prima alla quinta, per un totale di 60 studenti, sono confinate in un'unica stanza dal pavimento fatiscente. La stanza è forse l’unica struttura disponibile perché la scuola non ha a disposizione né una sala pranzo né una cucina, al pranzo provvedono gli insegnanti, appena due per sessanta ragazzi in cinque classi differenti, che lo acquistano e lo distribuiscono. La preparazione degli insegnanti è anche scarsa, si tratta infatti di due para-insegnanti, più economici per lo Stato, che spesso non ricevono una formazione di nessun genere. Lo Stato del Bihar è già noto alla stampa mondiale per un caso di avvelenamento, avvenuto il 16 luglio, in cui erano morti 23 bambini a causa del cibo contaminato consumato a scuola. (D.P.)

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    Pakistan: attentato allo stadio di Karachi, almeno sette i morti

    ◊   Una bomba è esplosa nella notte in uno stadio di Karachi, nel sud del Pakistan, uccidendo almeno sette persone e ferendone circa 26. L’ordigno è stato piazzato su di una motocicletta ed è stato azionato a distanza dopo la fine di una partita di calcio, nel quartiere di Lyari. Diverse le piste possibili, secondo la polizia locale. Si potrebbe trattare di secessionisti "baluci" (una comunità molto forte nel quartiere), di gruppi islamisti o di rivalità politiche tra i partiti Mqm e Ppp, che si contendono l’influenza nell’area. (M.R.)

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    Turchia anche i cristiani siro-ortodossi potranno avere le loro scuole

    ◊   Il governo turco ha concesso ai cristiani siro-ortodossi di costruire scuole dove venga insegnata la lingua e la cultura siriaca. Appena un anno fa, ci ricorda l’agenzia Fides, i cristiani siro-ortodossi avevano visto rifiutata dal ministero la loro richiesta di costruire scuole proprie. Il Ministero aveva giustificato la decisione per l’assenza dei siro-ortodossi dalla lista delle minoranze etnico-religiose turche. Il ricorso ad un tribunale ha però ribaltato la decisione ministeriale, riconoscendo a pieno titolo il diritto della comunità siro-cristiana di vedere preservata la sua cultura, in accordo con i trattati di Losanna. Questo permesso concesso ai cristiani siro-ortodossi si accompagna a una serie di attenzione del governo, tra cui l’invito del primo ministro Erdogan a tornare entro i confini turchi per tutti i siro-cristiani che lo desiderino e l’incontro dello scorso febbraio del presidente turco con i rappresentanti della chiesa siro-ortodossa. (D.P.)

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    Indulgenza plenaria per il bicentenario della Cattedrale di Città del Messico

    ◊   In occasione del giubileo per i 200 anni della fine dei lavori della Cattedrale metropolitana della capitale messicana, il cardinale arcivescovo della città, Norberto Rivera Carrera, ha concesso l’indulgenza plenaria per i fedeli che si recheranno in visita alla Santa Chiesa e compiano i requisiti previsti per ottenerla. Questa grazia sarà in vigore a partire del 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Vergine Maria, patrona della Cattedrale, festa che darà inizio al Giubileo con l’apertura della Porta Santa, la celebrazione eucaristica e il Te Deum. Secondo una nota dell’arcidiocesi di Mexico, i fedeli che a partire di quella data e fino al 28 novembre 2013 visiteranno la Cattedrale potranno ottenere l’indulgenza plenaria per i peccati temporali, concessa per la misericordia di Dio e in suffragio delle anime dei fedeli defunti. Per ottenere la grazia, i fedeli dovranno recarsi in chiesa sinceramente pentiti, compiere il Sacramento della Penitenza e della Comunione ed elevare preghiere secondo l’intenzioni del Papa (A.T.)

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    Venezuela: per la festa del Cristo de La Grita in 200 mila pregano contro le ingiustizie

    ◊   Il vescovo di San Cristóbal de Venezuela, Mario del Valle Moronta Rodríguez, ha celebrato ieri davanti a 200 mila fedeli una Messa solenne in occasione della festa del Santo Cristo de La Grita. Il presule, riporta la Fides, si è scagliato nell’omelia contro chi pratica l’aborto e l’usura e si dedica al contrabbando di generi alimentari e benzina attraverso il confine con la Colombia. Nelle sue preghiere, mons. del Valle Moronta Rodríguez, ha poi ricordato le vittime delle ingiustizie e si è soffermato sulla condizione degli operai, che ricevono salari iniqui. Il vescovo ha pregato per chi è coinvolto nel narcotraffico, nella prostituzione e per chi subisce violenze o è vittima di omicidi, concludendo: “Per tutti coloro che soffrono deve splendere il volto del Cristo Sereno”. In Venezuela, la festività del Cristo de La Grita è molto popolare e molto seguita e la devozione al santuario locale ha avuto inizio 403 anni fa. Dopo la Messa, i 200 mila fedeli hanno partecipato alla processione di 5 km intorno alla città per poi tornare sul piazzale del santuario. (D.P.)

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    Grandi Laghi: approvata costruzione di una diga idroelettrica sul fiume Rusumo

    ◊   La Banca Mondiale ha approvato il primo finanziamento di 340 milioni di dollari per l’inizio della costruzione di un impianto idroelettrico sul fiume Rusumo, nella regione dei Grandi Laghi. Secondo la Misna, beneficiari del prestito sono gli Stati di Rwanda, Burundi e Tanzania che saranno anche gli utilizzatori dell’impianto. Il costo totale dell’opera sarà di 469 milioni di dollari e comprenderà la diga, i locali tecnici e la connessione alle reti locali dei vari Paesi. L’impianto fornirà 80 megawatt di corrente e aiuterà a portare energia elettrica a oltre 62 milioni di persone per le quali la luce è un lusso. In Tanzania, solo il 17% ha accesso all’energia elettrica, in Rwanda il 10%, mentre in Burundi si arriva al 4%. Il progetto, oltre ad essere un’opera necessaria per la popolazione, è anche un progetto moderno che mira a ridurre al minimo l’impatto ambientale delle strutture. (D.P.)

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    Kenya; incendio devasta l'aeroporto di Nairobi

    ◊   Un incendio ha colpito questa mattina l’aeroporto internazionale "Jomo Kenyatta" di Nairobi. Lo scalo, uno dei più importanti dell’Africa orientale, è stato chiuso dalle autorità. Ancora da stabilire le cause dell’incidente, anche se le fiamme sarebbero divampate dal terminal internazionale. Secondo il Ministero degli interni kenyano, sarebbero completamente distrutti il terminal degli arrivi e la zona di controllo per l’immigrazione. I vigili del fuoco hanno lavorato per spegnere l’incendio e non sono state segnalate vittime. I voli diretti a Nairobi sono stati dirottati verso gli aeroporti di Mombasa ed Eldoret, mentre la Kenya Airways ha deciso di annullare tutti i suoi voli “a tempo indeterminato”. Chiuse anche le strade vicino allo scalo, mentre i voli nazionali riprenderanno nel pomeriggio. "Vogliamo assicurare tutti gli investitori e i nostri passeggeri internazionali che tutto il possibile è stato fatto", ha assicurato un portavoce delle presidenza.(M.R.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 219

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.