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Sommario del 06/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa per la Giornata Missionaria: uscire dal recinto per portare il Vangelo in ogni realtà
  • 35 anni fa la morte di Paolo VI. Nel pomeriggio Messa di suffragio in San Pietro
  • 20.mo della "Veritatis Splendor". Don Bux: segnò passaggio da moralismo a moralità
  • Hiroshima, il card. Turkson: bomba atomica, ferita spaventosa dell’umanità
  • 20.mo del Catechismo: la comunione dei santi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Pressing diplomatico degli Stati Uniti per risolvere la crisi in Egitto
  • Allerta terrorismo: Washington decide reimpatrio cittadini Usa dallo Yemen
  • Siria. Ribelli conquistano l'aeroporto di Minning. Grave emergenza umanitaria nel campo di Zaatari
  • 68 anni fa le bombe su Hiroshima. Ban Ki-moon: liberare il mondo dalle armi nucleari
  • Festa di San Cayetano a Buenos Aires. Valente: lì ho visto la gioia evangelizzatrice del card. Bergoglio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sant’Egidio: dolore e sdegno per nuova esecuzione in Florida, 23.ma del 2013 negli Usa
  • Nigeria. Altre 35 vittime di Boko Haram, si profila l'accusa di crimini contro l’umanità
  • Uzbekistan. Le comunità religiose sempre più nel mirino delle autorità
  • Sud Sudan. Ancora scontri, ma è anche emergenza morbillo
  • Caritas Francia: in Congo, Chiesa supplisce a Stato in fallimento
  • Mali. In vista del ballottaggio la Caritas locale in prima linea con gli osservatori
  • Etiopia. Bimbi di Kofale impegnati nella missione e nell’evangelizzazione
  • Zambia. Apre il primo asilo gestito dalle mamme della provincia del Chipata
  • Filippine. Bilancio attentato nel Mindanao sale a otto morti
  • Filippine. Il card. Tagle: laici hanno ruolo fondamentale nella vita della Chiesa
  • Messico. Il vescovo di Moralia: guardare al futuro sempre con speranza
  • Colombia. Congresso mondiale della Divina misericordia, prima volta in America Latina
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa per la Giornata Missionaria: uscire dal recinto per portare il Vangelo in ogni realtà

    ◊   Tutti i battezzati sono chiamati ad annunciare il Vangelo con coraggio in ogni realtà. E’ quanto scrive Papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata missionaria mondiale, che ricorre il prossimo 20 ottobre. Nel documento pubblicato oggi e che porta la data del 19 maggio scorso, Solennità di Pentecoste, il Pontefice sottolinea che “evangelizzare non è mai un atto isolato” ma “sempre ecclesiale” e ribadisce che una comunità è davvero adulta se esce dal proprio recinto per portare la speranza di Gesù anche nelle periferie. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “La fede è dono prezioso di Dio”, “un dono che non si può tenere solo per se stessi ma va condiviso”. Papa Francesco muove da questa considerazione per sviluppare il suo primo Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale. “Ogni comunità – scrive – è ‘adulta’ quando professa la fede, la celebra con gioia nella liturgia, vive la carità e annuncia senza sosta la Parola di Dio, uscendo dal proprio recinto per portarla anche nelle ‘periferie’”. Il Papa rileva dunque che la duplice occasione dell’Anno della Fede e del 50.mo dall’inizio del Concilio Vaticano II devono spingere la Chiesa “ad una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni”. E osserva che la “missionarietà non è solo una questione di territori geografici” giacché “i confini della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna”.

    Ciascuna comunità, si legge ancora, è dunque interpellata ad annunciare Gesù fino ai confini della terra come “un aspetto essenziale” della vita cristiana. Tutti, ribadisce, “siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo”. Papa Francesco invita quindi i vescovi a dare rilievo alla “dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi”, evidenziando che “la missionarietà non è solamente una dimensione programmatica nella vita cristiana, ma anche paradigmatica che riguarda tutti gli aspetti della vita cristiana”. Del resto, avverte il Papa, “spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale”. A volte, afferma, “sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare” a tutti Gesù e “nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo”. E, scrive, “a volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà”, mentre proporre la verità evangelica, sottolinea riecheggiando Paolo VI, è “un omaggio a questa libertà”.

    Spesso, è il monito del Papa, “vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto”, è allora “urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo all’interno stesso della Chiesa”. E ribadisce che “è importante non dimenticare un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale”. Il Papa si sofferma sulle tante sfide dell’evangelizzazione e incoraggia tutti a portare all’uomo del nostro tempo “la luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare”. La “missionarietà della Chiesa – riafferma – non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore”. E rimarca che “è proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino”.

    Nella parte conclusiva del Messaggio, il Papa ricorda quanti si fanno portatori della Buona Novella dai missionari ai presbiteri fidei donum ai fedeli laici che “lasciano la propria patria per servire il Vangelo in terre e culture diverse”. “Donare missionari e missionarie – constata – non è mai una perdita, ma un guadagno” e incoraggia i vescovi e le famiglie religiose “ad aiutare le Chiese che hanno necessità” di sacerdoti, religiosi e laici per “rafforzare la comunità cristiana”. E’ importante, si legge nel documento, che “le Chiese più ricche di vocazioni aiutino con generosità quelle che soffrono per la loro scarsità”. D’altro canto, sottolinea l’importanza delle “giovani Chiese” che possono promuovere un nuovo entusiasmo nelle Chiese di antica cristianità. Papa Francesco non manca, infine, di rivolgere un pensiero ai cristiani perseguitati in varie parti del mondo, osservando che oggi ci sono più martiri che nei primi secoli. Il Pontefice assicura la sua vicinanza con la preghiera e ripete loro le parole consolanti di Gesù: “Coraggio, io ho vinto il mondo”.

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    35 anni fa la morte di Paolo VI. Nel pomeriggio Messa di suffragio in San Pietro

    ◊   Ricorre oggi il 35.mo anniversario della morte di Papa Paolo VI, avvenuta il 6 agosto 1978. La Santa Messa presieduta dal vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, verrà celebrata oggi alle 17 presso l’altare della Cattedra della Basilica Vaticana. Sulla figura di Papa Montini, ascoltiamo, nell’intervista di Davide Maggiore, il presidente dell’Istituto Paolo VI di Brescia, don Angelo Maffeis:

    R. – Ha lasciato, credo, innanzitutto una testimonianza luminosa di servizio alla Chiesa nelle diverse tappe della sua attività, prima come assistente degli studenti universitari della Fuci, poi nel suo lungo lavoro nella Segreteria di Stato vaticana, poi come pastore della Chiesa: prima come arcivescovo di Milano e poi come Papa. E’ stato eletto mentre era aperto il Concilio Vaticano II, che lui ha portato a compimento. E gli anni successivi al 1965 sono stati assorbiti dalla realizzazione delle indicazioni che il Vaticano II aveva offerto per la vita della Chiesa: basti pensare alla riforma liturgica, basti pensare alle riforme che Paolo VI ha realizzato nelle istituzioni ecclesiali.

    D. – Vogliamo concentrarci un po’ più in particolare su questo aspetto della realizzazione del Concilio Vaticano II?

    R. – Io credo che già si vedano le radici di questo impegno per la realizzazione del Vaticano II, nel modo in cui lui l’ha guidato, nel rispetto assoluto della libertà che i vescovi dovevano avere per esprimersi e per trovare consenso attorno alle linee da offrire alla Chiesa. E con una acuta consapevolezza del suo ruolo di Successore di Pietro, intervenuto anche nel dibattito conciliare, soprattutto per guidare questa assemblea episcopale verso il consenso su alcune scelte di fondo. Io credo che sia questo il tono che ha dominato anche il lavoro negli anni post-conciliari: rimanere fedeli allo spirito, alle indicazioni del Vaticano II e, al tempo stesso, guidare la barca di Pietro in questa situazione tempestosa degli anni successivi al Vaticano II.

    D. – C’è anche una linea di continuità ideale tra Paolo VI e Papa Francesco: in particolare uno dei riferimenti più importanti è l’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi

    R. – Di questo abbiamo avuto un’eco molto viva, anche ultimamente, nell’incontro che la diocesi di Brescia ha avuto con Papa Francesco il 22 giugno scorso: Papa Francesco ha incontrato i pellegrini della diocesi di Brescia insistendo, appunto, sull’Evangelii Nuntiandi che lui considera uno dei documenti pastorali più significativi degli ultimi decenni. In quell’occasione, abbiamo avuto evidente dimostrazione del legame spirituale che unisce Papa Francesco a Paolo VI, proprio perché il Papa ha sottolineato tre aspetti fondamentali dell’insegnamento che è prima spirituale e poi pastorale, del servizio ecclesiale di Paolo VI: il suo amore a Cristo, il suo amore alla Chiesa, il suo amore all’uomo.

    D. – Per quanto riguarda Paolo VI, è impossibile non fare riferimento anche alla Humanae Vitae e alla Populorum Progressio che anche sono state citate molte volte dai suoi Successori…

    R. – Credo che qui si colga anche questa sensibilità particolare di Paolo VI, che interpreta il suo compito di Maestro della Chiesa universale come compito che lo porta a confrontarsi con i problemi nuovi che emergono nella società, e al tempo stesso a far valere una parola che non si limita semplicemente ad assecondare il sentimento comune, ma cerca di interrogare il modo di pensare diffuso, alla luce della visione cristiana dell’uomo e dei valori che devono essere incarnati anche nell’agire concreto.

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    20.mo della "Veritatis Splendor". Don Bux: segnò passaggio da moralismo a moralità

    ◊   La risposta al relativismo morale, il rapporto tra libertà umana e legge divina, il valore della coscienza davanti a Dio. Sono solo alcuni dei cardini sui quali Giovanni Paolo II impostò la sua Enciclica Veritatis Splendor, che proprio il 6 agosto di 20 anni fa veniva promulgata. Un testo che asserisce che le verità assolute sono accessibili ad ogni persona e dunque attualissimo in un contesto culturale che spesso sostiene il contrario. Alessandro De Carolis ne parla in questa intervista con il teologo don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede:

    R. – La Veritatis Splendor costituisce una pietra miliare nel campo della teologia morale cattolica e non solo cattolica. D’altronde, le parole “Veritatis Splendor” sono in tema con la Trasfigurazione, a voler quasi sottolineare che la verità non è innanzitutto un concetto astratto, ma è una Persona, una Persona che risplende: Gesù Cristo.

    D. – Lei parla di questa Enciclica come di una “pietra miliare”: che strada, questa pietra miliare, ha segnato in vent’anni?

    R. – Direi, per certi versi, il passaggio da un “moralismo” ad una “moralità”. Il moralismo è qualcosa che poggia sul nostro sforzo, la moralità invece è il risultato di un attingere alla sorgente. Per cui – per quanto riguarda il cristiano – sempre la tentazione del moralismo c’è, cioè di farci da noi stessi, mentre invece noi siamo fatti: siamo fatti morali. E bisogna dire subito che la moralità cristiana attinge ai Sacramenti, cioè sono i Sacramenti che cambiano l’uomo, non è lo sforzo suo a farlo.

    D. – Uno dei temi portanti dell’Enciclica è la risposta al relativismo morale, una lotta in senso ampio portata avanti negli ultimi anni in particolare da Benedetto XVI. C’è, però, a livello socioculturale una sordità persistente, oggi, su questo argomento…

    R. – Direi anche accresciuta, perché certamente l’Enciclica è stata profetica, come d’altronde lo fu la Humanae Vitae di Paolo VI, perché profeticamente significa che ha visto, ha preavvertito. E quindi, ancora una volta il Papato si rivela come quella “sentinella” di cui parla Gregorio Magno, che in lontananza avverte di ciò che si prepara all’orizzonte. Certamente, siamo oggi in quello che viene definito un gravissimo disastro antropologico che, più il tempo passa, più mostra effetti deleteri che si allargano.

    D. – Nell’Enciclica si parla anche dell’importanza della coscienza che l’uomo deve seguire per giungere ad applicare le leggi di Dio nella propria vita. Da tempo, invece, il giudizio della propria coscienza viene spesso considerato alternativo a Dio…

    R. – E’ chiaro che la coscienza oggi è intesa nel senso di “faccio quello che mi pare” e quindi è un arbitrio assolutamente sganciato dal riferimento a Dio. Il punto è che la coscienza dell’uomo, oggi, è obnubilata, è offuscata. Certo, alla Chiesa e al Papato incomberà sempre la responsabilità di richiamare il primato della coscienza contro ogni tipo di relativismo e soprattutto – come ha detto Papa Francesco recentemente – di custodire e salvaguardare l’uomo che è continuamente attaccato da quelli che oggi vengono spacciati per diritti, ma che in realtà sono solamente capricci.

    D. – Possiamo dire che, vent’anni dopo, le affermazioni della Veritatis Splendor non hanno perso nulla della loro forza?

    R. – Giovanni Paolo II, come noto, aveva alle spalle una solida preparazione filosofica e teologica, quanto alla morale. Quindi, potremmo dire che era – per certi versi – il suo campo. E la Veritatis Splendor è stata l’Enciclica che in qualche modo ha portato a compimento il suo percorso, e cioè quello di rileggere – peraltro in continuità con tutta la tradizione della Chiesa – l’uomo nella luce di Cristo. Perciò, la sua prima Enciclica fu la Redemptor Hominis e, alla luce di quell’Enciclica programmatica, si è sviluppato poi il suo lunghissimo percorso che costituisce da solo un monumento magisteriale con cui non si potrà non fare i conti.

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    Hiroshima, il card. Turkson: bomba atomica, ferita spaventosa dell’umanità

    ◊   La bomba atomica su Hiroshima fu una “ferita spaventosa” inflitta all’intera famiglia umana: lo ha detto il cardinale Peter Turkson, visitando il Memoriale della Pace della città giapponese, dedicato alle vittime del bombardamento atomico avvenuto il 6 agosto del 1945. Il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace rimarrà fino a venerdì prossimo in Giappone per partecipare all’iniziativa “Dieci giorni per la pace”, promossa dalla Conferenza episcopale locale, in memoria delle vittime dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. Il servizio di Isabella Piro:

    È stato un incontro interreligioso, vissuto insieme a buddisti, scintoisti e protestanti, quello cui ha partecipato il card. Turkson, al Memoriale della Pace di Hiroshima. “Dio ha creato l’uomo per la vita, la libertà e la felicità”, ha detto il porporato, menzionando poi la visita di Giovanni Paolo II ad Hiroshima, nel febbraio dell’81, durante la quale il Pontefice definì la guerra come “frutto del peccato dell’uomo e risultato dell’opera del male”. Parole che – ha sottolineato il cardinale Turkson – trovano eco in quelle pronunciate nel 2010 dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio: “Il possesso di armi atomiche può causare la distruzione dell’umanità”, perché “quando l’uomo diventa superbo, crea mostri che finiscono per sfuggirgli di mano”. Di qui, l’invito del presidente del Dicastero vaticano per la Giustizia e la pace a non soccombere all’odio, bensì a reagire in modo positivo: “Invece di nasconderci davanti ai problemi attuali, cerchiamo insieme e con coraggio di affrontare le situazioni sociali e le strutture che causano ingiustizie e conflitti”, perché “la vera pacificazione è l’inclusione e l’integrazione” e, come ha detto Papa Francesco visitando la Comunità di Varginha a Rio de Janeiro, il 25 luglio scorso, “nessuno sforzo di pacificazione sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società che ignora, che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa”. Infine, il porporato ha lanciato un appello a “collaborare nella solidarietà per costruire la vera pace”.

    Il Memoriale della pace di Hiroshima, costruito nel 1915 su progetto dell'architetto ceco Jan Letzel, era in origine destinato a ospitare la fiera commerciale della prefettura locale. Il 6 agosto del ’45, l’esplosione nucleare avvenne a pochissima distanza dalla struttura che ne fu gravemente danneggiata. Ancora oggi, la costruzione è rimasta nello stesso stato di allora, come monito a favore dell'eliminazione di ogni arsenale nucleare e simbolo di speranza e pace. Domani, il cardinale Turkson si sposterà a Nagasaki per partecipare ad una cena promossa dal Centro interreligioso per il dialogo sulla pace mondiale. Il giorno dopo, nell’ambito di una cerimonia commemorativa interreligiosa organizzata presso il "Ground-Zero Park" della città, il presidente del dicastero vaticano per la Giustizia e la pace reciterà una preghiera per tutte le vittime, con un particolare ricordo anche per tutti coloro che non sono deceduti, ma soffrono ancora a causa degli effetti della radioattività. Infine, il 9 agosto, sempre a Nagasaki, il porporato presiederà la Santa Messa per la pace nel mondo.

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    20.mo del Catechismo: la comunione dei santi

    ◊   Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica pagine importanti alla "comunione dei santi", intesa come comunione alle "cose sante" e comunione tra i fedeli. Proprio su questo tema si sofferma padre Dariusz Kowalczyk, nella 38.ma puntata del suo ciclo di riflessioni dedicate ai 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo:

    Nel Simbolo professiamo “la comunione dei santi”. Il Catechismo ci spiega che il termine “comunione dei santi” ha due significati: comunione alle cose sante (sancta), e comunione tra i fedeli (sancti) (cfr. CCC, 948).

    La comunione nella fede, ricevuta dagli Apostoli, viene da noi custodita e trasmessa. Viviamo la comunione dei sette Sacramenti, tra i quali anzitutto l’Eucaristia che ci raduna e unisce. Sperimentiamo anche la comunione fraterna che si esprime tra l’altro nelle opere di carità. Fede, sacramenti, carità sono le cose sante, perché vengono dal Dio, dal Santo.

    Abbiamo poi la comunione tra delle persone. Il Catechismo ricorda qui la dottrina dei tre stati della Chiesa: i fedeli pellegrini sulla terra, quelli che stanno nel purgatorio preparandosi al cielo e i salvati che godono la piena comunione con Dio nel cielo. (CCC, 954). Tra questi tre stati esiste una comunione, perché tutti partecipano – anche se in modi diversi – alla grazia di Dio.

    Noi che viviamo sulla terra rimaniamo – attraverso la preghiera e l’amore – in comunione con i defunti. La Chiesa ci invita a pregare per i nostri defunti, perché – come leggiamo nel Catechismo – “la nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore” (CCC, 958). Questo non significa che a Dio manchi la misericordia, e perciò lo dobbiamo implorare. Anzi, Dio è la fonte infinita di misericordia, ma vuole salvare l’uomo in collaborazione con altri uomini.

    Una delle espressioni della comunione dei santi è il culto officiale dei santi e dei beati. Crediamo che in Dio rimaniamo spiritualmente uniti a loro, e che loro intercedono per noi. San Domenico, morendo, disse ai suoi confratelli: “Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero in vita” (CCC, 956).

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La verità non minaccia la libertà: il Papa nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale.

    A Chisimaio minaccia di riesplodere il conflitto somalo: nell'informazione internazionale, Pierluigi Natalia sulla tensione tra i Governi di Mogadiscio e di Nairobi.

    Non è un Paese, è un continente: in cultura, Eliana Versace sulla visita del 1960 e lo stretto legame del cardinale Giovanni Battista Montini con il Brasile.

    Indomabile Agnes, affamata di verità: Lucetta Scaraffia sulla giornalista radicale americana Smedley raccontata da Bamboon Hirst.

    Un articolo di Cristiana Dobner dal titolo "Nelle mani delle donne": nutrire, guarire e avvelenare nei secoli.

    Quando il bandito sparava al pubblico: Claudia Di Giovanni sul primo western della storia, girato da Edwin Stanton Porter, conservato alla Filmoteca Vaticana.

    Quell'insistito invito all'unità: Vicente Carcel Orti sulle visite ad limina dei vescovi spagnoli.

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    Oggi in Primo Piano



    Pressing diplomatico degli Stati Uniti per risolvere la crisi in Egitto

    ◊   Caos in Egitto, dove si moltiplicano gli attacchi contro i cristiani. Le violenze sono iniziate dopo che l'attuale leader di al-Quaeda, al-Zawahiri, ha accusato i copti di aver ordito insieme agli Stati Uniti e all'esercito egiziano un “complotto” per destituire il presidente Mohamed Morsi. Negli ultimi giorni, assalti a chiese e abitazioni dei copti si sono susseguiti in tutto il Paese. Intanto, proprio il ministro della Difesa statunitense, Chuck Hagel, ha fatto appello per l'avvio di un processo politico inclusivo in Egitto nel corso di una telefonata con Abdel-Fatah al-Sisi, ministro della Difesa egiziano e uomo forte del dopo-Morsi. Lo riferisce l'agenzia "Mena" citando una nota del Pentagono. Salvatore Sabatino ha chiesto all’americanista Nicola Perrone come valutare questo pressing diplomatico di Washington:

    R. – E’ difficile valutarlo all’indomani di quello che si è mancato di fare per anni: gli Stati Uniti hanno perso il controllo di una zona che avevano saputo tenere in pugno, e ora si sono scatenate forze diverse e contrapposte che non riescono più a gestire.

    D. – Gli Stati Uniti, però, continuano a puntare sull’Egitto riconoscendo un grande ruolo di mediazione a questo Paese: secondo lei, è ancora un attore attendibile?

    R. – L’Egitto può essere un attore, può essere un elemento di stabilizzazione nella zona, ma a condizione di avere un governo che sia, non voglio dire filo-occidentale, ma per lo meno un po’ aperto nei riguardi dei traffici, degli interessi, della politica dell’Occidente. E questo si è perduto completamente un po’ in tutta l’area del Nord Africa! Bisogna lavorare per ricostituirlo.

    D. – E in che modo gli Stati Uniti possono proporre un nuovo modello di collaborazione?

    R. – Credo che debbano rinunciare ad un atteggiamento da "maestri in tutte le situazioni", e applicarsi molto di più agli scambi, anche di carattere commerciale, dietro ai quali vendono anche i buoni rapporti diplomatici, e rinunciare ad avere loro una parola definitiva in tutte le situazioni, perché è molto tempo che non riescono più ad averla. E specialmente in quella zona, mi pare molto difficile che possano averla.

    D. – Gli Stati Uniti concorrono, dal punto di vista finanziario, alla tenuta dell’esercito egiziano: questa decisione influisce sugli equilibri del Paese …

    R. – Questo di aver sostenuto e finanziato gli eserciti lo hanno fatto anche da altre parti, ed è un meccanismo che qualche volta ha funzionato, ma che ha funzionato quando c’era il controllo politico attraverso una diplomazia molto diversa. E poi, gli eserciti non funzionano più come avrebbero dovuto funzionare in passato; oltretutto, gli eserciti possono anche fare degli ‘scherzi’, operare dei capovolgimenti completi di facciate, di alleanze, di prospettive. La situazione a me sembra molto complessa.

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    Allerta terrorismo: Washington decide reimpatrio cittadini Usa dallo Yemen

    ◊   Dopo la chiusura di 28 ambasciate e consolati statunitensi in Paesi musulmani, stamani Washington ha ordinato a tutti i suoi connazionali di lasciare immediatamente lo Yemen per il timore di un attacco terroristico. Subito dopo anche la Gran Bretagna ha richiamato il personale diplomatico, mentre Italia e Francia hanno chiuso le loro ambasciate al pubblico. L'allarme è scaturito da alcune intercettazioni di membri di Al Qaeda. Benedetta Capelli ha intervistato Nicola Pedde, direttore dell'Institute for Global Studies:

    R. - Da una parte, c’è un’intercettazione che porta ad una generica indicazione di minaccia e dall’altra, c’è una più precisa indicazione di minaccia sullo Yemen, in quanto si ritiene che il nuovo commander dell’organizzazione sia interessato a fare delle azioni dimostrative. In tutto questo, c’è da aggiungere che lo Yemen è un terreno di combattimento nella lotta ad Al Qaeda anche da parte degli americani; quindi, questa azione ovviamente contribuisce ad innescare quel clima di tensione che da tempo caratterizza la sicurezza del Paese. In questi mesi, si è parlato poco dello Yemen, ma la struttura della sicurezza e l’instabilità è cresciuta enormemente nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

    D. - Gli Stati Uniti, nell’allerta lanciata hanno parlato del timore di disordini sociali, perché Al Qaeda è molto attiva. Ma, in che modo, il terrorismo potrebbe agire al di là degli attacchi e degli agguati?

    R. - Al di là degli attentati, come quelli alle strutture visibili, agli obiettivi concreti come le ambasciate, quello che viene temuto in questo momento è che gli attacchi condotti con i droni possano essere utilizzati e strumentalizzati da Al Qaeda nei confronti di una protesta anti-americana e più in generale anti-occidentale. C’è da dire che c’è un grande dibattito su questa strategia di condurre attacchi con i droni, in quanto se da un lato si sono rivelati strumenti molto precisi nel poter individuare e soprattutto seguire silenziosamente gli spostamenti delle unità sospette sul terreno, dall’altra poi le operazioni di fuoco condotte con i droni hanno causato enormi danni collaterali e in modo particolare la perdita di vite civili. E questo ovviamente è un fattore che ha determinato una crescente ondata di protesta in Yemen così come negli altri Paesi dove comunque questo tipo di operazioni vengono condotte regolarmente. Mi riferisco in modo particolare al Pakistan.

    D. - Lo Yemen è da sempre considerato una base di Al Qaeda. Ma il governo di Sana’a non ha fatto mai passi avanti per quanto riguarda la lotta al terrorismo?

    R. - C’è da dire che il governo di Sana’a si trova in una situazione molto particolare, nel senso che la transizione degli ultimi 15 mesi ha portato ad una fase di pacificazione interna relativa, ma - di fatto - è ancora in corso uno scontro violento sotto il profilo politico tra alcuni dei principali clan che storicamente hanno dominato il Paese. Il governo è stato latitante su tutto ciò che riguarda la lotta al terrorismo proprio perché impegnato in una diatriba interna che è poi espressione - andando a restringere il campo di indagine - più che altro di una faida tribale.

    D. - Molto spesso, negli anni scorsi, abbiamo parlato di una regionalizzazione di Al Qaeda. Però, da queste ultime allerte sembra invece che la politica della rete terroristica sia in realtà globale. Quindi, oggi, Al Qaeda effettivamente che cos’è?

    R. - È molto difficile dire cosa sia Al Qaeda oggi. È rimasto sicuramente un "brand"; è rimasto sicuramente un nome legato ad un’organizzazione ancora esistente. Quanto questa organizzazione abbia la capacità di controllare nella periferia le organizzazioni che si richiamano al modello qaedista è estremamente difficile. Abbiamo una proliferazione di organizzazioni che dal Maghreb, all’Asia centrale, fino all’Europa si proclamano aderenti alla rete qaedista, ma poi esistono poche prove di un’effettiva capacità di coordinamento e soprattutto di controllo da parte della centrale originale - da parte di quella che dovrebbe essere riconducibile ad Al Zawahiri - su queste organizzazioni. Quindi una forte identità qaedista, ma probabilmente un debole - se non spesso assente - reale capacità di coordinamento sul territorio.

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    Siria. Ribelli conquistano l'aeroporto di Minning. Grave emergenza umanitaria nel campo di Zaatari

    ◊   Dopo otto mesi di assedio, i ribelli siriani hanno conquistato ieri sera l’aeroporto di Minning, una base strategica sulla strada per Aleppo e a pochi chilometri dal confine con la Turchia. Ma se l’opposizione ad Assad riguadagna terreno, preoccupa l’emergenza umanitaria dei profughi ospitati nei campi. Manuella Affejee ne ha parlato con Marco Rotunno, capo missione in Giordania della ong spagnola Fundación Promoción Social, che descrive le condizioni nel campo rifugiati di Zaatari:

    R. – La zona più antica del campo è un agglomerato di tende che si sono chiuse tra di loro per fare una piccola comunità e dove è praticamente impossibile entrare. C’è una parte che è sovraffollata e dove ci sono problemi igienico-sanitari. Per avere un’intimità si costruiscono i bagni dentro le tende. Le fogne a cielo aperto, quindi, sono i loro bagni. La cosa buona è che essendoci un clima secco, non c’è il proliferare di epidemie, che potrebbero invece verificarsi data la situazione igienica. Stiamo sempre sull’allerta, anche se, però, ci sono stati casi di morbillo, casi di epatite A e di colera.

    D. – Il 70% della popolazione sono donne e bambini...

    R. – Quelli che arrivano in Giordania, arrivano dal Sud della Siria, che ha visto l’inizio della guerra. Quasi tutti sono dalla parte dei ribelli. Siccome gli uomini in moltissimi casi stanno combattendo in Siria, qui arrivano le famiglie, composte da donne e bambini e, ultimamente, anche molti anziani. Ci sono anche casi in cui la donna lascia i bambini al campo per tornare poi dal marito a portargli le cose di cui ha bisogno. Ci sono casi, non riportati ufficialmente, di reclutamento. Ci sono camion, essendoci non solo bambini, ma anche ragazzini di 13-14-15 anni, che vanno in giro a reclutarli per combattere.

    D. – I camion di chi? Dei ribelli?

    R. – Sì. E’ una situazione abbastanza tesa. L’impatto principale è questa tensione di fondo che esiste.

    D. – Un fenomeno terribile è quello delle ragazze siriane, costrette a sposarsi...

    R. – Sì, sta arrivando tanta gente, non solo giordani, ma anche soprattutto persone del Golfo, per comprarsi le spose siriane. Per sposarti, infatti, devi pagare la famiglia della ragazza. Se la famiglia, come in questo caso, è una famiglia di rifugiati, la ragazza costerà molto meno. C’è, dunque, questo fenomeno sia nel campo di Zaatari che fuori. Ci sono dei sistemi di compravendita di ragazze, che in alcuni casi hanno 11-12-13 anni. A volte, le ragazze, dopo una settimana di abusi tornano alle loro famiglie, perché lasciate abbandonate a se stesse.

    D. – Qual è l’impatto della situazione dei rifugiati sul tessuto sociale del Paese?

    R. – Ci sono 600 mila siriani in una popolazione di sei milioni di persone, una popolazione che ha già avuto rifugiati palestinesi dal 1948 e poi iracheni. L’impatto più grande è al nord, perché lì si passava il confine. Le città del nord sono davvero sovraffollate, ci sono sempre problemi sociali e per questo ci sono stati anche scontri. I beni di prima necessità vengono assaltati dai siriani e spesso i supermercati sono vuoti. Gli ospedali, le cliniche sanitarie hanno delle file allucinanti. Nel nord si avverte molto, ma sta cominciando anche nel Sud, perché, visto il sovraffollamento, hanno cominciato a scendere. A livello nazionale, c’è il problema dell’acqua che ovviamente è un bene raro. I giordani poi si vedono deprivati dei servizi che prima ricevevano. Ci sono state proteste, ci sono stati scontri anche contro il governo.

    D. – Cosa pensi di questa situazione?

    R. – Ho visto l’evolversi della situazione, che prima era normale e sembrava potesse risolversi, e poi invece è diventata una tragedia umanitaria. Gli sguardi spesso mi hanno colpito, soprattutto quelli della gente che era appena arrivata lì. E’ uno sguardo che dice tutto su quel viaggio, in cui hanno perso tutto e in cui hanno fatto anche tanta strada a piedi. D’altra parte, però, ci sono tanti bambini che hanno ancora invece l’energia. Si può, quindi, ancora fare qualcosa.

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    68 anni fa le bombe su Hiroshima. Ban Ki-moon: liberare il mondo dalle armi nucleari

    ◊   Oltre 55 mila persone si sono raccolte oggi a Hiroshima, presso il Parco della Pace, alle 8.15, l'ora in cui 68 anni fa, da un'altitudine di circa 600 metri, esplose nel cielo della città giapponese l'ordigno nucleare 'Little Boy' scatenando quello che i sopravvissuti hanno definito "l'inferno sulla terra": 70 mila persone morirono sul colpo e altrettante nei mesi successivi. Hanno partecipato rappresentanti di 74 Paesi, il numero più alto finora registrato. "Siamo tutti insieme in un viaggio da Ground Zero a Global Zero, ovvero un mondo libero dalle armi di distruzione di massa”, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo intervento, sottolineando che "finchè esisteranno gli armamenti atomici saremo costretti a vivere sotto un'ombra nucleare". Dei fatti di Hiroshima e del contesto attuale in cui li ricordiamo, Fausta Speranza ha parlato con Fabrizio Dal Passo, docente di storia contemporanea all’Università "La Sapienza" di Roma:

    R. - Forse più di tanti altri avvenimenti, lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki ha segnato uno stacco epocale. Da alcuni punti di vista e secondo una lettura storiografica anche abbastanza consolidata, rappresenta il momento di stacco tra il secolo breve - il ‘900 - e l’era contemporanea più aperta alla globalità. In questo senso quell’estremo passaggio di violenze e di guerra, che ha chiuso per certi aspetti tutta una serie di epoche storiche antecedenti, legate ad un certo modo di fare guerra, ha segnato effettivamente un passaggio ad una realtà completamente diversa. Forse il nodo saliente che da Hiroshima in poi non è stato ancora sciolto è il concetto di “paura della guerra”, che secondo me è quello che caratterizza anche oggi il modo di combattere. Non è mai finita una vera e propria guerra fredda, prima era tra super potenze, ora è nella minaccia di guerra da parte di gruppi alternativi o eterogenei rispetto ad alcuni governi, o alcune organizzazioni terroristiche che con la paura cercano di modificare in qualche modo i piani di politica internazionale. Quindi, da questo punto di vista, secondo me i 68 anni trascorsi hanno segnato un cambiamento relativo rispetto al modo di concepire il nemico.

    D. – A proposito di questo, la storia che insegna sempre qualcosa che cosa dovrebbe insegnarci, ricordando Hiroshima e Nagasaki?

    R. – In questo caso, da un punto di vista più emotivo è evidente: semplicemente l’immagine della distruzione totale della città, della distruzione non soltanto logistica della città di Hiroshima e Nagasaki, ma anche della popolazione, delle generazioni successive, dovrebbe far capire a quale livello può arrivare l’essere umano nel tentativo di prevaricazione e di distruzione. Insegna a comprendere quanto la volontà di sottomettere ed abbattere un territorio, un Paese, in nome della guerra, ha portato alla distruzione di due grandi città dell’epoca; alla fine senza nemmeno più contare il peso della vita umana. Immaginiamo qualcosa come una città intera - 300 mila abitanti – completamente devastata, quindi tutto quello che era su quel territorio: persone, animali, piante, palazzi. L’annientamento totale. Sicuramente sconvolgente e non va mai dimenticato e andrebbe insegnato, mostrato e discusso secondo me nei nostri organigrammi educativi. Il nucleare, che permette anche altro di positivo come in tutte le grandi potenzialità dell’essere umano, può portare però in caso di armamenti ad una distruzione totale di qualsiasi forma di vita, nell’arco di migliaia di chilometri. Il nucleare, nel corso degli ultimi 60 anni, ha portato delle possibilità di sviluppo energetico, anche di energia pulita, sicuramente importanti; un ritrovamento energetico più innovativo e meno inquinante rispetto ad altri. Dipende sempre dall’uso che se ne fa. Ma dobbiamo ricordare che la potenza della bomba di Hiroshima è veramente esigua rispetto alle attuali.

    Hiroshima nel 1945 era una città di notevole importanza militare e industriale, così come il porto di Nagasaki, la seconda città colpita dalla bomba atomica statunitense, a tre giorni di distanza nell’operazione denominata ‘Fat Man’. Harry S. Truman, presidente degli Usa, ha giustificato la scelta del bombardamento atomico come una rapida risoluzione del conflitto. Il dibattito storico resta aperto come conferma, nell’intervista di Fausta Speranza, Michele Affinito, docente di storia contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli:

    R. – E’ vivo e nasce già in quel momento: ricordiamo, per esempio, le memorie di Eisenhower che si pone il problema da questo punto di vista, di una posizione critica rispetto a questa scelta. Quindi, indubbiamente e indiscutibilmente, forse anche a stretto giro, quando molti protagonisti di quella esperienza del secondo conflitto mondiale lasceranno la loro memoria, avremo sicuramente una ripresa ed una vivacità di questo dibattito che resta peculiare dal punto di vista storiografico sulle scelte strategiche che sono state compiute in quella fase. Va detto che il dibattito sulla vicenda del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki rientra in un certo senso nella strategia più ampia delle scelte fatte dall’America: da un lato, in conseguenza soprattutto degli “errori” che erano stati commessi all’indomani della Prima Guerra Mondiale, quindi la scelta isolazionista, il mancato perseguimento della strada indicata da Wilson e che aveva portato, poi, nel giro di un ventennio, alla nascita di totalitarismi in Europa, che sono stati, di fatto, le cause dello scoppio del conflitto. E dall’altro, l’elemento simbolico legato appunto all’armamento bellico e quindi alla bomba atomica. Come ebbe a dire Stalin, “le bombe atomiche sono state fatte per spaventare i deboli di nervi”: diciamo che poi, di fatto, la Guerra Fredda è stata tutta giocata sul rischio o meno che le due grandi superpotenze potessero ricorrere a questo espediente. Quindi, una importantissima e indubbiamente deprecabile – perché il dibattito ovviamente si alimenta rispetto a questi aspetti – arma di guerra che paradossalmente poi è diventata un’arma di pace in quel complesso e ampio fenomeno che è stata la Guerra Fredda.

    D. – Ma è cambiato qualcosa nella sensibilità nei confronti dell’immagine di Hiroshima che anche allora è sembrata spaventosa e forse oggi ancora di più? Quell’annientamento totale non solo della popolazione, degli animali, del territorio, un’intera città sterminata in pochi minuti…

    R. – Senza ombra di dubbio, come di fatto era stato testimoniato da una fetta stessa della popolazione americana... lo era già in quel periodo ma anche successivamente. E possiamo ben vederlo anche rispetto alle posizioni che in America sono state assunte nei riguardi della guerra al terrorismo, alla teoria dell’esportazione della democrazia che riguardano, appunto, le scelte che l’America ha compiuto. La condanna morale è, da questo punto di vista, netta e indiscutibile. Abbiamo anche le posizioni, assunte in questo campo, da numerosi intellettuali, filosofi.... Oggi, l’“avversario” è, di fatto, un avversario differente, indefinito, con il terrorismo. E discuteremo sicuramente nei prossimi anni sulle scelte strategiche che gli Stati Uniti hanno compiuto dopo l’11 settembre.

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    Festa di San Cayetano a Buenos Aires. Valente: lì ho visto la gioia evangelizzatrice del card. Bergoglio

    ◊   Buenos Aires si appresta a celebrare domani la festa di San Gaetano di Thiene, noto tra gli argentini come San Cayetano, figura molto amata dalla povera gente delle villas miserias. Ogni anno, il 7 agosto, in tantissimi si recano in pellegrinaggio al Santuario di San Cayetano nella periferia della capitale argentina. Un evento a cui il cardinale Bergoglio ha sempre partecipato con grande gioia. Alessandro Gisotti ha parlato del significato di questa festa per gli argentini e per Papa Francesco con Gianni Valente, giornalista dell’agenzia Fides, legato da una lunga amicizia con Jorge Mario Bergoglio:

    R. – San Gaetano di Thiene, questo Santo italiano, vicentino, è diventato un po’ il Santo Patrono del "pane e del lavoro". Il suo Santuario è diventato il santuario più caro alla classe lavoratrice. Ricordo che c’era stata quasi un’esplosione della devozione per questo Santo negli anni feroci della crisi, nel 2001-2002, quando si rivolgevano a lui non solo gli operai che perdevano il lavoro, ma anche gli imprenditori che andavano lì a chiedere la grazia, magari per fabbriche che si trovavano in difficoltà. E poi, quello che avviene nel Santuario è un piccolo caleidoscopio della sensibilità sociale che viene molto sottolineata, adesso, da Papa Bergoglio: ci sono i confessionali aperti 12 ore al giorno e poi anche mense, punti di raccolta per i medicinali e per il vestiario che viene distribuito in tutto il Paese. Hanno organizzato anche una "banca" con i nomi di chi cerca lavoro per fare una specie di piccolo ufficio di collocamento …

    D. – Qualche anno fa, hai potuto essere a Buenos Aires proprio il 7 agosto, nella festa di San Cayetano, assieme al cardinale Bergoglio. Cosa puoi raccontarci di quella giornata, come hai visto l’allora arcivescovo di Buenos Aires in mezzo alla sua gente?

    R. – Era il 2008, quando lo abbiamo accompagnato a questa festa, ero assieme a mio figlio. Per me, è stata un’esperienza indimenticabile. La festa di San Cayetano era una di quelle feste che l’arcivescovo Bergoglio non si sarebbe mai perso. Era proprio una gioia, per lui, partecipare a questi momento. Lui celebrava la Messa – una Messa sempre molto sentita, con un’omelia breve ma sempre molto significativa – e poi, una cosa che era solito fare dopo la Messa era quasi di ripercorrere in senso contrario la fila delle centinaia di migliaia di fedeli che camminano verso il Santuario ed entrano uno alla volta per andare a pregare davanti alla piccola statua del Santo. Lui rifaceva la fila in senso inverso, si fermava a parlare persona per persona, per ognuno aveva una parola, scherzava con i bambini, benediva rosari, statuette, benediva anche i pancioni delle donne incinte… Se trovava una donna, una famiglia con i bambini piccoli – questo me lo ricordo perché mi ha impressionato – chiedeva sempre se il bambino fosse stato battezzato e se questo non era ancora avvenuto, invitava i genitori a farlo: a farlo e a farlo presto perché – diceva – “gli farà bene, gli farà bene: crescerà bene!”. In qualche modo, questo è diventato poi lo "spettacolo" che ora tutti vedono: quello di un pastore che trasmette in maniera quasi fisica la sua alegria di evangelizzare, la sua gioia di evangelizzare.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sant’Egidio: dolore e sdegno per nuova esecuzione in Florida, 23.ma del 2013 negli Usa

    ◊   “Profondo dolore e sdegno”: sono questi i sentimenti espressi in un comunicato dalla Comunità di Sant’Egidio alla notizia dell’avvenuta esecuzione nello Stato americano della Florida di John Ferguson, il 65.enne condannato alla pene capitale per sei omicidi commessi 35 anni fa e poi riconosciuto affetto da gravi disturbi mentali. La Comunità denuncia una “palese disumanità” nel trattare questo caso, una “decisione che non tiene conto delle circostanze, già positivamente valutate nei vari gradi di giudizio, che avrebbero consigliato un trattamento diverso”. Sant’Egidio torna sul tema perché si tratta della seconda esecuzione in Florida in pochi giorni: in entrambi i casi, la morte è stata procurata per iniezione letale. “Tale severità – si legge ancora nel comunicato – fa pensare risponda non tanto a esigenze di giustizia, quanto piuttosto a ragioni attinenti alla ricerca di un facile e cinico consenso politico”. L’ultimo rinvio dell’esecuzione per Ferguson risaliva all’ottobre 2012, mentre per gli Stati Uniti si tratta della 23.ma esecuzione dall’inizio dell’anno. (R.B.)

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    Nigeria. Altre 35 vittime di Boko Haram, si profila l'accusa di crimini contro l’umanità

    ◊   È di almeno 35 morti il bilancio dei combattimenti avvenuti negli ultimi giorni in Nigeria tra il gruppo estremista Boko Haram, attivo nel nord del Paese, e l’esercito regolare. L’ultimo di questi, ma solo in ordine cronologico, è avvenuto a un posto di polizia nella città di Bama, vicino al confine con il Camerun, dove un agente è rimasto ucciso assieme a 17 terroristi. Un altro attacco con 19 vittime si è verificato a Malam Fator. Entrambe le città si trovano nello Stato del Borno, uno dei tre in cui la presenza del gruppo è più forte e in cui vige lo stato di emergenza. Intanto, il procuratore della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha diffuso un rapporto su Boko Haram che potrebbe farne iscrivere le azioni nell’ambito dei crimini contro l’umanità. Si precisa, infatti, che dal luglio 2009 il gruppo ha lanciato un sistematico attacco che ha portato alla morte di 1200 civili: i dati raccolti si riferiscono a un periodo di tempo che arriva fino al dicembre 2012. (R.B.)

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    Uzbekistan. Le comunità religiose sempre più nel mirino delle autorità

    ◊   Proseguono in Uzbekistan le persecuzioni contro le minoranze confessionali: nel mirino del governo – riferisce AsiaNews – ci sono soprattutto musulmani e protestanti. La denuncia è dell’ong Forum 18 che racconta come la comunità islamica sia oggetto di vessazioni e minacce fin dall’inizio del mese sacro del Ramádan, il 9 luglio scorso, da quando la polizia impedisce loro di rompere il digiuno con il pasto serale dell’iftar, ma testimoni riferiscono anche di controlli molto severi all’ingresso delle moschee. Per quanto riguarda i cristiani, invece, molti sono stati multati semplicemente per la detenzione di Bibbie, mentre la legge uzbeka vieta il possesso di letteratura religiosa solo quando questa contenga messaggi di violenza o di estremismo. Addirittura alcuni cristiani nella regione nordoccidentale del Khorezm sono stati selvaggiamente picchiati perché trovati in possesso di copie del Vangelo. “I fedeli di religioni diverse ormai vivono nel terrore – affermano dall’ong – hanno talmente paura di tenere in casa testi sacri e oggetti religiosi, che alcuni di loro li hanno distrutti con le proprie mani per non vederseli sequestrati”. (R.B.)

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    Sud Sudan. Ancora scontri, ma è anche emergenza morbillo

    ◊   Proseguono le violenze nell’area contesa tra Sudan e Sud Sudan: due giorni fa un soldato sudanese è rimasto ucciso in uno scontro con le truppe di Juba nei pressi del principale giacimento petrolifero dell’area di confine di Heglig. Ma nel Sud Sudan c’è un’altra emergenza che si fa via via sempre più grave: quella dell’epidemia di morbillo nella contea di Yirol West, 135 mila abitanti, già denunciata dall’ong Medici con l’Africa Cuamm. Le autorità sanitarie locali, con la collaborazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dell’Unicef, hanno avviato una campagna di vaccinazioni che ha coinvolto oltre 25 mila bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 5 anni. Nel solo 2013, si sono registrati ben 200 casi di questa patologia: l’83% riguarda bambini al di sotto dei 5 anni, mentre il 22% non ha neppure compiuto un anno. Ad aggravare la situazione, infine, la stagione delle piogge, in cui il morbillo si presenta spesso associato con la malaria e tende così a propagarsi ancora più rapidamente. (R.B.)

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    Caritas Francia: in Congo, Chiesa supplisce a Stato in fallimento

    ◊   Le condizioni della popolazione della provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, sono sempre più difficili. Le razzie dei ribelli e la guerra hanno messo in fuga la popolazione rurale verso città e villaggi, oltre un milione di persone sono distribuite in 30 tendopoli nei dintorni di Goma e anche i villaggi sono sovraffollati. Il presidente della Secours Catholique, la Caritas francese, di ritorno da una visita a Goma, riferisce in un’intervista delle condizioni dei rifugiati: “Costretti a tagliare gli alberi per procurarsi la legna per scaldarsi, non hanno alcuna risorsa e dipendono dal Programma alimentare mondiale, con il quale Caritas Goma collabora per distribuire cibo”. Commentando il lavoro della Caritas nel Paese afferma: “È certo che attualmente la Chiesa sostituisce uno Stato in fallimento, ma essa non ha i mezzi dello Stato per far pagare le imposte”. Caritas – riporta Fides - ha risposto all’appello della popolazione con prontezza costruendo piccoli acquedotti locali per le necessità idriche di base e creando delle comunità ecclesiali gestite da un responsabile Caritas, sull’impronta delle primissime comunità cristiane, in cui le ricchezze vengono messe in comune e gestite in modo da aiutare i più indigenti della comunità. Queste comunità stanno portando grandi benefici alla popolazione e stanno aiutando al superamento della crisi. La provincia del Nord Kivu è un territorio fertile e prospero, ma le campagne abbandonate per la guerra, i campi razziati dai ribelli insieme al bestiame, sono il prezzo della guerra che insanguina il Paese. (D.P.)

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    Mali. In vista del ballottaggio la Caritas locale in prima linea con gli osservatori

    ◊   L’11 agosto, al ballottaggio per le presidenziali in Mali, torneranno a sfidarsi i candidati Ibrahim Boubacar Keïta (in vantaggio con il 39.2% dei consensi) e Soumaïla Cissé (al 19.4). Per l'occasione, Caritas Mali propone alcune misure per migliorare il processo elettorale. L’organsmo caritativo già al primo turno aveva schierato 153 osservatori in collaborazione con il Catholic Relief Service – ricorda Fides – e ora ha consigliato alla Direzione generale delle elezioni di creare un sistema d’assistenza permanente per i cittadini per aiutarli a regolare la loro iscrizione alle liste elettorali e fare in modo che trovino il seggio in cui votare senza difficoltà. La Caritas, infine, lancia un appello alla popolazione, affinché mantenga “un clima pacifico per far uscire il Paese dalla grave crisi scoppiata a seguito dell’offensiva ribelle nel nord del Mali, nel gennaio 2012, e del successivo golpe militare nel marzo dello stesso anno”. (R.B.)

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    Etiopia. Bimbi di Kofale impegnati nella missione e nell’evangelizzazione

    ◊   A Kofale, cittadina a sud di Addis Abeba, in Etiopia, i bambini missionari sono stati coinvolti in prima linea nell’evangelizzazione e nella vita missionaria. Il padre missionario Bernardo Coccia ha celebrato con loro una Messa guidata dagli stessi bambini, ha poi distribuito due libricini in lingua oromo, l’idioma locale, da portare in casa per i genitori. Padre Coccia – ricorda l’agenzia Fides – è in Etiopia dal 1978 per aiutare concretamente la popolazione locale e, ad Addis Abeba, ha fondato la "Children’s Education for Development "e il “Centro Romagna” per attività di promozione culturale e sociale. La piccola cittadina di Kofale, a maggioranza musulmana, conta una piccola comunità cristiana solo dalla metà degli anni ’90 quando padre Gianfranco Mangoli, primo missionario, si è insediato nella città. Il comune di Kofale ha poi donato un ampio appezzamento ai padri missionari e ora la comunità cristiana offre alla popolazione locale una scuola materna ed elementare, un centro di promozione della donna, alcune attività produttive per la lavorazione del bambù e un calzaturificio, assieme a campi sportivi e piste di atletica. (D.P.)

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    Zambia. Apre il primo asilo gestito dalle mamme della provincia del Chipata

    ◊   Dopo un lungo periodo di colloqui con le autorità locali, apre il primo asilo per i bambini della provincia di Chipata, nello Zambia. Nei primi due mesi, riferisce Fides, si sono già superate le 40 iscrizioni e l’asilo è pronto per offrire servizi alla comunità locale: la struttura è aperta dalle otto di mattina alle tre del pomeriggio ed è gestita quasi completamente dalle mamme; non è ancora disponibile il servizio pranzo e le famiglie sono coinvolte nel fornire i pasti. L’asilo è stato aperto presso uno dei tre centri comunitari che ospitano mamme affette da Hiv aperti dall’associazione di cooperazione rurale in Africa e America Latina: una ong impegnata in Zambia in oltre 30 comunità con progetti di sostegno a distanza per garantire ai bambini un’istruzione di qualità e con i tre centri “mamma bambino” che, attraverso programmi nutrizionali, si occupano dei piccoli con genitori sieropositivi affinché non vengano contagiati. Il problema dell’Aids è particolarmente urgente in Paesi come lo Zambia, in cui oltre il 13% della popolazione adulta è infetta. (D.P.)

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    Filippine. Bilancio attentato nel Mindanao sale a otto morti

    ◊   È salito a otto morti e una trentina di feriti il bilancio del grave attentato che ieri ha insanguinato una delle strade più trafficate di Cotabato, città dell’isola del Mindanao nell’arcipelago delle Filippine. Questa la ricostruzione dei fatti riportata da AsiaNews: un ordigno sistemato a bordo di un veicolo parcheggiato è esploso all’ora di punta, causando anche gravi danni e incendi agli edifici circostanti. Si tratta del secondo attacco mortale nell’area in poco tempo: già il 26 luglio scorso, un’altra bomba aveva ucciso otto persone. Al momento, non si hanno rivendicazioni ufficiali dell’attentato, ma il Mindanao è da decenni teatro di scontro tra l’esercito regolare e le truppe ribelli islamiste: i sospetti, infatti, si concentrano sul gruppo "Bangsamoro Islamic Freedom Movement", che si oppone ai colloqui di pace e sostiene la formazione di uno Stato indipendente islamico in un Paese a forte maggioranza cattolica. (R.B.)

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    Filippine. Il card. Tagle: laici hanno ruolo fondamentale nella vita della Chiesa

    ◊   Si è aperto ieri a Manila, nelle Filippine, l’anno catechistico con una celebrazione officiata dall’arcivescovo della città, il cardinale Luis Antonio Tagle. Nella sua omelia, riferisce AsiaNews, il porporato si è soffermato a lungo sul ruolo dei laici all’interno della Chiesa come testimoni fondamentali della fede. “Non è necessario – ha detto – essere ordinati per annunciare il Vangelo. Ai sacerdoti e agli ordinati spetta il dovere di riconoscere i doni presenti all’interno della comunità che devono essere nutriti e sviluppati perché sacerdoti e laici siano una cosa sola nella comunione e nella salvezza”. “Il piano di Dio non prevede che tutto il peso della Chiesa ricada sui sacerdoti – ha aggiunto il cardinale Tagle – anzi, sono proprio i laici ad avere la responsabilità di condividere e completare questo compito”. I laici, infatti, hanno maggiore possibilità di penetrare nei vari contesti della realtà quotidiana come la famiglia, il lavoro, la scienza, la tecnologia e la loro missione è proprio quella di “riportare la fede in questi posti”. Per fare questo, però, non basta andare a Messa la domenica, ma bisogna essere testimoni di Cristo “e trasformare così il posto di lavoro in regno di Dio”. (R.B.)

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    Messico. Il vescovo di Moralia: guardare al futuro sempre con speranza

    ◊   Lo Stato messicano del Michoacán versa in una situazione molto preoccupante: da tempo è diventato scenario di scontri violenti tra gruppi armati legati al narcotraffico e presenta un dilagante tasso di corruzione del quale beneficia perfino la piccola delinquenza comune, a tal punto che si moltiplicano i disordini tra le forze dell’ordine e di sicurezza inviate in loco e le bande criminali. La denuncia alla Fides arriva dall’arcivescovo di Morelia, principale città della regione, mons. Alberto Suárez Inda, che ha espresso il suo rammarico nel vedere come si sia degradato il tessuto sociale per cause che lui imputa fondamentalmente a “carenze dell’istruzione pubblica” e “frammentazione della società”. “Tutto questo distrugge la famiglia e – sostiene – fa crescere l’emigrazione nell’area. Ci sono paesini dove troviamo solo nonni e nipoti, ma manca completamente la generazione dei genitori”. Il presule, quindi, chiede di accogliere come un’opportunità l’invio dell’esercito nella zona da parte delle autorità. Occorre, infatti, ricostruire la società dal basso, coinvolgendo tutti gli attori e adottando un sistema basato sulla giustizia, senza cadere nella grave tentazione del pessimismo. “Il male non ha l’ultima parola", conclude il presule. "Dobbiamo vivere nella speranza fondata che l’uomo, nonostante tutto quello che può sembrare di cattivo, non è mai completamente corrotto”. (R.B.)

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    Colombia. Congresso mondiale della Divina misericordia, prima volta in America Latina

    ◊   L’arcivescovo di Vienna e presidente del Congresso mondiale della Divina Misericordia, il cardinale Christoph Schönborn, si trova a Bogotà, in Colombia, per aprire i lavori preparatori al terzo "World apostolic congress on Mercy", che si svolgerà nel 2014. La grande particolarità di questo appuntamento è data dal suo svolgersi in America Latina, continente ormai al centro della vita della Chiesa, e non solo grazie a Papa Francesco. La Colombia si prepara così a ospitare l’anno prossimo un grande evento per gli studi teologici in cui verranno dibattute quelle problematiche che Giovanni Paolo II riteneva tanto fondamentali da rendere globale la devozione per le rivelazioni fatte a suor Faustina, con l’istituzione della festa della Divina Misericordia. All’ordine del giorno del pre-congresso di questi giorni – sottolinea l’agenzia Fides – ci sono discussioni di gruppo sulla teologia della misericordia e la condivisione di esperienze dei partecipanti delle diverse nazioni. Dopo aver ultimato l’organizzazione del grande evento del 2014, il Congresso si chiuderà con una tavola rotonda sul tema della “spiritualità della Misericordia” e la venerazione delle reliquie di Santa Faustina e Giovanni Paolo II, la mistica e il Papa della Divina Misericordia. (D.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 218

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.