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Sommario del 05/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Dedicazione di Santa Maria Maggiore. Papa Francesco: la Madonna ci aiuta a tendere sempre più in alto
  • Tweet del Papa: la luce della fede illumina i nostri rapporti e ci aiuta a viverli con l'amore Cristo
  • Il card. Turkson ad Hiroshima. P. Czerny: un viaggio per dire no a tutte le guerre
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Iran: inizia l'era Rohani, prove di dialogo con l'Occidente
  • Tunisia: in piazza i sostenitori di Ennahada, si spara al confine con l'Algeria
  • Egitto: attese nuove manifestazioni in vista della fine del Ramadan
  • Migliorata la situazione a Bangui, ma nel resto del Centroafrica regna l’insicurezza
  • La Provincia di Trento applica l'Irap più alta ai locali con le slot machine
  • In un libro la verità storica dell’epopea dei "cristeros" in Messico
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Assad: terrorismo si schiaccia col pugno di ferro
  • Allarme terrorismo: Usa prolungano chiusura in alcune sedi diplomatiche
  • Afghanistan. Bomba in mercato vicino Kandahar, 3 morti
  • Afghanistan. Al posto dell’omelia il Messaggio di Papa Francesco ai musulmani
  • Indonesia. Bomba in tempio buddista a Jakarta, 3 feriti
  • Myanmar. Missionari cattolici lavorano per la sicurezza alimentare
  • India. Almeno 11 milioni di bambini di strada: è la cifra più alta del mondo
  • Repubblica Democratica del Congo: migliaia di bambini soli in fuga verso l’Uganda
  • Pakistan. Esplosione su un treno, almeno tre morti
  • Ucraina. Protesta dei sostenitori pro-Timoshenko a due anni dalla condanna
  • Domani la festa nazionale della Bolivia. Mons. Abastoflor: mirare al bene comune
  • Thailandia. Un missionario del Pime insegna ai fedeli il valore della preghiera
  • Haiti. Presto Port-au-Prince avrà una parrocchia dedicata al Sacro Cuore
  • Il Papa e la Santa Sede



    Dedicazione di Santa Maria Maggiore. Papa Francesco: la Madonna ci aiuta a tendere sempre più in alto

    ◊   Nel giorno della sua Dedicazione, una tradizionale cascata di petali all’interno della Basilica di Santa Maria Maggiore fa rivivere la memoria del miracolo che, a metà del quarto secolo, portò alla costruzione del più antico tempio mariano d’Occidente. Una chiesa cara a molti Pontefici, non ultimo Papa Francesco, come ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:

    Mi costruirai una Chiesa dove troverai domani della neve fresca. Il prodigio al quale la tradizione attribuisce l’origine di Santa Maria Maggiore ha inizio la notte precedente la clamorosa scoperta. Immaginare una nevicata a Roma, ai primi di agosto, oggi può essere uno scherzo da “fanta-clima”. E non molto diverso doveva essere nella Roma del tardo impero. Ma è ciò che la Vergine comunica in sogno, contemporaneamente, la notte del 4 agosto 358 a Papa Liberio e a un tale Giovanni, patrizio dell’Urbe: una Chiesa dove ci sarà neve fresca domani. Il patrizio Giovanni la mattina del 5 corre dal Papa a comunicargli l’incredibile visione notturna e poco dopo la conferma del miracolo: il colle Esquilino è stato imbiancato da una nevicata d’agosto. Tradizione vuole che proprio sulla neve il Papa abbia tracciato il perimetro della Chiesa e che il ricco Giovanni abbia finanziato la costruzione. L’edificio sacro che oggi tutto ammirano è invece quello voluto da Sisto III nel 431, eretto sulle vestigia del precedente allo scopo di lasciare scolpito nella pietra quanto scritto nelle carte dal Concilio di Efeso, e cioè che la Vergine era da considerarsi “Madre di Dio”. Per secoli poi la Basilica, la terza definita “papale”, è stata ampliata e abbellita dall’arte di celebri maestri. In sostanza, si può dire che da Papa Liberio in avanti non vi sia stato Pontefice che non abbia voluto lasciare in questo tempio un segno della propria devozione. Non ha fatto eccezione Papa Francesco, che vi si è recato in preghiera il giorno dopo la sua elezione al Soglio petrino e ancora al rientro dalla Gmg di Rio, e vi ha recitato il Rosario lo scorso 4 maggio, accompagnandolo da una riflessione sulla senso della maternità:

    “Una mamma aiuta i figli a crescere e vuole che crescano bene; per questo li educa a non cedere alla pigrizia - che deriva anche da un certo benessere -, a non adagiarsi in una vita comoda che si accontenta di avere solo delle cose. La mamma ha cura dei figli perché crescano sempre di più, crescano forti, capaci di prendersi responsabilità, di impegnarsi nella vita, di tendere a grandi ideali (...) La Madonna fa proprio questo in noi, ci aiuta a crescere umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione dell’essere uomini e cristiani in modo superficiale, ma a vivere con responsabilità, a tendere sempre più in alto”. (Rosario a S. Maria Maggiore, 4 maggio 2013)

    Nella celebre Cappella Paolina che si apre nella Basilica, vi è in particolare un’icona sacra e miracolosa, molto cara alla Città eterna, la Salus Populi Romani, che anche Papa Francesco ha mostrato in pochi mesi di avere molto cara:

    “La Salus Populi Romani è la mamma che ci dona la salute nella crescita, ci dona la salute nell’affrontare e superare i problemi, ci dona la salute nel renderci liberi per le scelte definitive; la mamma che ci insegna ad essere fecondi, ad essere aperti alla vita e ad essere sempre fecondi di bene, fecondi di gioia, fecondi di speranza, a non perdere mai la speranza, a donare vita agli altri, vita fisica e spirituale”. (Rosario a S. Maria Maggiore, 4 maggio 2013)

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    Tweet del Papa: la luce della fede illumina i nostri rapporti e ci aiuta a viverli con l'amore Cristo

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “La luce della fede – scrive - illumina tutti i nostri rapporti e ci aiuta a viverli in unione con l’amore di Cristo per viverli come Lui”.

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    Il card. Turkson ad Hiroshima. P. Czerny: un viaggio per dire no a tutte le guerre

    ◊   Mai più la guerra, mai più la distruzione della bomba atomica. Con questo messaggio il cardinale Peter Turkson si trova da oggi ad Hiroshima, dove stamani ha celebrato una Messa nella cattedrale della città. Fino al 9 agosto, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace sarà, dunque, in Giappone per commemorare le vittime dei bombardamenti atomici avvenuti su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto 1945. Sulla Messa nella Cattedrale di Hiroshima il servizio di Isabella Piro:

    “Quando Gesù appare ai discepoli – ha detto il card. Turskon – fuga i loro timori con il saluto di pace; non va, quindi, a ricordare il loro tradimento, anzi: Egli dona loro la pace che li riconcilia con il Signore”. Ed è proprio grazie a questo saluto pacifico, ha continuato il porporato, che i discepoli vengono inviati “a predicare come ministri di perdono e di riconciliazione”. Inoltre, comparendo davanti ai suoi discepoli, il Risorto “mostra loro le mani ed il costato”, a riprova del fatto che il Suo corpo risorto è identico a quello crocifisso. “Il corpo che ha sofferto la crudeltà umana e la violenza - ha spiegato il card. Turkson - è lo stesso che è risorto e glorificato. E così, in Gesù Risorto, la violenza umana si trasforma e porta gioia ai discepoli”. Di qui, l’auspicio del presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace affinché anche i fedeli, riuniti per celebrare l’Eucaristia nella Cattedrale di Hiroshima, sappiano “camminare alla luce dell’insegnamento del Signore” e diventare “ministri di riconciliazione e di pace”. Il viaggio del card. Turkson in Giappone si inserisce nell’iniziativa “Dieci giorni per la pace”, promossa dalla Conferenza episcopale giapponese, tra il 6 ed il 15 agosto, in memoria delle vittime delle bombe atomiche. Domani, sempre ad Hiroshima, il porporato prenderà parte ad un incontro interreligioso, nsieme a buddisti, scintoisti e protestanti. Mercoledì 7 agosto, il card. Turkson si sposterà a Nagasaki per partecipare ad una cena promossa dal Centro interreligioso per il dialogo sulla pace mondiale. Il giorno dopo, nell’ambito di una cerimonia commemorativa interreligiosa organizzata presso il Ground-Zero Park della città, il presidente del dicastero vaticano per la Giustizia e la pace reciterà una preghiera per tutte le vittime, con un particolare ricordo anche per tutti coloro che non sono deceduti, ma soffrono ancora a causa degli effetti della radioattività. Infine, il 9 agosto, sempre a Nagasaki, il porporato presiederà la Santa Messa per la pace nel mondo.


    Su questo viaggio all’insegna della pace e della preghiera, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Michael Czerny, collaboratore del cardinale Turkson:

    R. – Devo dire che l’iniziativa è della Chiesa cattolica giapponese, la Chiesa che ogni anno organizza questi 10 giorni per la pace. Il cardinale Turkson è stato invitato a seguire il pellegrinaggio quest’anno.

    D. – Ovviamente c’è anche un’altra ricorrenza importante: sono 50 anni dalla “Pacem in Terris”, l’Enciclica di Giovanni XXIII proprio sulla pace...

    R. – E’ importantissimo, precisamente perché Giovanni XXIII non ha fatto una denuncia della guerra, ma ha dedicato tutta l’Enciclica alla costruzione della pace. Questi 10 giorni dedicati alla pace, dunque, rappresentano un ricordo, che vuole costruire la pace e non solo lamentarsi della catastrofe.

    D. – Nel 1981 ci fu lo storico viaggio di Giovanni Paolo II, che visitò Hiroshima e disse: “Che la guerra non venga mai più tollerata”. Questo appello accorato di Giovanni Paolo II viene ripreso e rilanciato anche dal cardinale Turkson...

    R. – Esattamente! Il Beato Giovanni Paolo II ha voluto insistere sul fatto che la guerra è nostra responsabilità umana, non è una punizione divina, non è una catastrofe naturale: è il prodotto dei nostri peccati, e così ne siamo responsabili. Questa responsabilità è esattamente ciò che il cardinale Turkson vuole sottolineare.

    D. – In questi giorni che il cardinale Turkson è in Giappone ci saranno anche momenti di preghiera e di raccoglimento interreligioso...

    R. – La prima cosa da sottolineare è che la religione non è mai la causa delle guerre, le guerre vengono fatte per altri motivi. La religione viene utilizzata, strumentalizzata. Questo è importante, com’è anche importante che la costruzione della pace sia compito di tutta la famiglia umana, assieme a tutte le religioni. Siamo lì, ovviamente, come pellegrini - fratelli e sorelle - che vogliono riconoscere Dio, ciascuno nella sua maniera, ed insieme costruire la pace.

    D. – Oltre a ricordare quei terribili giorni, il cardinale Turkson sarà vicino anche alle persone che dopo tanti decenni portano ancora le ferite di quel bombardamento atomico, come a dire che purtroppo la guerra non termina con la fine della guerra...

    R. – No, non finisce neanche con coloro che sono stati lì, in quei terribili giorni, ma continua nei loro familiari e in coloro che soffrono gli effetti delle radiazioni, gli effetti genetici delle malattie, tramandati di generazione in generazione. Così il peccato dura nel tempo e la nostra lotta è di evangelizzare questa situazione. Il compito di Hiroshima e Nagasaki è anche il compito in Siria, in Colombia, in Medio Oriente, dappertutto, dove dobbiamo ricostruire la famiglia umana, in seguito alla follia della guerra.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Cristo nel volto dei giovani a Rio: Papa Francesco durante l’Angelus ricorda l’esperienza vissuta durante la Gmg brasiliana.

    Mistica e modernità: il 6 agosto 1978 moriva Paolo VI. In prima pagina, un articolo (uscito su “la Croix”) di Patrice Mahieu, monaco di Solesnes. In cultura, gli articoli dell’arcivescovo Loris Capovilla, del cardinale Dionigi Tettamanzi, dell’arcivescovo Vincenzo Bertolone.

    Oggi la natura umana riacquista tutta la sua bellezza: Manuel Nin sulla festa della Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina.

    Una legge affrettata che facilita il ricorso all’aborto: l’episcopato brasiliano critico sulla distribuzione di pillole contraccettive alle vittime di violenze.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, i nuovi sbarchi nel Canale di Sicilia.

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    Oggi in Primo Piano



    Iran: inizia l'era Rohani, prove di dialogo con l'Occidente

    ◊   Il neo-presidente iraniano Hassan Rohani, durante il giuramento d’inizio mandato, ha confermato che Teheran è disponibile a dialogare con l'Occidente e a dare prova di trasparenza sul suo programma nucleare, ma ha avvertito che in questo dialogo va usata la lingua del “rispetto” reciproco e non quello delle sanzioni e delle minacce belliche. Un segnale di apertura importante da parte di un Paese che continua ad essere strategico non solo per lo scacchiere mediorientale. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all'Università Cattolica di Milano:

    R. - Non è il presidente della Repubblica a decidere sul "file" nucleare, anche se Rohani ha una grande esperienza, avendo fatto e diretto per anni queste trattative. In ogni caso, è un’offerta che rivela anche la debolezza, il senso di difficoltà dovuto alle sanzioni che è sempre più forte in Iran.

    D. - Si può parlare, dunque, di un nuovo capitolo della storia iraniana? L’era Ahmadinejad può essere veramente considerata ormai passata?

    R. - La disastrosa eredità di Ahmadinejad credo - ahimè - che continuerà ancora per qualche anno, anche se molti ultraradicali sono stati marginalizzati. Il Paese, però, è molto sfiduciato, è molto meno libero rispetto ad otto anni fa e Rohani ha fortissimi limiti; lo si vede anche dall’estrema prudenza con la quale si sta muovendo per evitare di suscitare reazioni da parte dei gruppi più vicini ai Pasdaran o agli altri riformisti.

    D. - Esistono anche degli elementi critici come, ad esempio, la stretta alleanza con il regime siriano che continua comunque ad essere mantenuto in piedi …

    R. - La Siria è una necessità geo-strategica per l’Iran, e l’Iran la sta sostenendo fino in fondo. A vantaggio dell’Iran e anche di Assad vi è la terribile trasformazione dell’opposizione siriana sempre più dominata da gruppi jihadisti e qaedisti e sempre meno guidata da sunniti moderati. Questa deriva radicale da un lato forza l’Iran nel sostenere fino in fondo Bashar Al Assad, e dall’altro lato ne facilita il compito.

    D. - Rohani ha scelto come ministro degli esteri Javad Zarif, apprezzato dalle diplomazie occidentali, già in prima linea nei tentativi di dialogo con gli Stati Uniti. Quanto questa figura potrà aiutare a superare l’isolamento in cui vive attualmente la repubblica islamica?

    R. - Zarif è molto conosciuto in Iran. Fa parte del cosiddetto gruppo di “quelli di New York”; è una persona estremamente ragionevole, moderata, che sa fare bene il proprio lavoro … molto dipenderà dai margini di manovra che gli saranno dati. Comunque questo è sicuramente un segnale positivo, e forse anche un’indicazione che il leader Khamenei sta comprendendo che la contrapposizione totale con l’Occidente non paga e che l’Iran dovrà cercare un compromesso.

    D. - La Casa Bianca ha salutato l’insediamento di Rohani in modo positivo; invece, da Israele il premier Netanyahu ha ribadito il suo giudizio negativo. Può, questo, essere un elemento di tensione tra Washington e lo Stato ebraico?

    R. - Forse tra la Casa Bianca ed Israele, perché il Congresso negli Stati Unti è forse ancora più estremista di Netanyahu ed è rigidamente, radicalmente e ossessivamente anti-iraniano; Netanyahu - lo conosciamo - ha fatto dell’Iran un'architrave della propria retorica. Tutto questo non aiuta le trattative internazionali.

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    Tunisia: in piazza i sostenitori di Ennahada, si spara al confine con l'Algeria

    ◊   In Tunisia, ieri notte, sono scesi in piazza i sostenitori del partito islamista al governo Ennahada. Una risposta alle manifestazioni portate avanti dalle opposizioni che da settimane chiedono le dimissioni del governo. Intanto, sul monte Chaambi, al confine con l’Algeria, continuano le operazioni dell’esercito contro i gruppi estremisti legati ad Al-Qaeda. Ma come sta vivendo la popolazione locale questi attcchi? Michele Raviart lo ha chiesto ad Alessia Tibollo, cooperante italiana dell’Ong “Cospe”, che si trova a Kasserine, a pochi chilometri dal luogo degli scontri:

    R. - Quello che si vede da tre giorni a questa parte è ormai un fumo denso determinato dall’incendio, che è in corso ormai da quattro giorni sul Monte Chaambi e che è stato creato dalla "Guardia nazionale" e dall’esercito tunisino per mettere un po’ a ferro e fuoco i vari rifugi che ci dovrebbero essere sul Monte Chaambi. Si tratta di rifugi di presunti gruppi di terroristi che hanno lì la loro base operativa.

    D. - Chi sono questi gruppi islamisti?

    R. - Chi siano questi gruppi in realtà è una domanda che rimane un po’ senza risposta. Pare essere una cellula legata alla "nebulosa" di Al Qaeda, ma al momento l’ultimo grosso scontro risale a ieri, alle cinque di pomeriggio, quando è stato ucciso un militare e sono rimasti feriti otto a causa dell’esplosione di una mina. D'altro canto, l’evento più tragico degli ultimi giorni risale invece al 29 luglio, cinque giorni dopo l’assassino di Mohammed Brahmi, dove vennero uccisi otto militari, tutti tra i venti e i trenta anni.

    D. - La cittadinanza di Kasserine ha legami con queste formazioni?

    R. - Più volte si è detto che non c’è nessun legame tra i cittadini di Kasserine e questo gruppo di terroristi accampato sulla montagna. Anzi, la cittadinanza è anche abbastanza stanca di questa associazione che viene fatta tra gli abitanti di Kasserine e il presunto sostegno che loro dovrebbero dare ai terroristi sul Chaambi che in realtà non è reale.

    D. - Rispetto alle manifestazioni di Tunisi, qual è la situazione lì?

    R. - A differenza con le manifestazioni che si susseguono ormai da una settimana a Bardo, il quartiere dove ha sede l’Assemblea nazionale costituente a Tunisi, a Kasserine, c’è una calma strana che molti spiegano - appunto - con una presenza forte di Ennahda sul territorio che, tramite guardiani che fanno sia ronde che custodia dei locali di Ennahda, sembra che un po’ calmino gli animi, ma in una maniera non reale.

    D. - In generale, qual è l’atteggiamento verso il governo?

    R. - Il sentore generale è di protesta verso un governo che comunque è ritenuto responsabile della situazione di instabilità. C’è quindi un sentimento di rabbia che rimane spesso frustrato in manifestazioni che spesso poi durano poco; nell’arco di mezz’ora si esauriscono perché arrivano gruppi a gettare pietre sui manifestanti per disperderli. Tutte le volte che si è cercato di organizzare una manifestazione, questa è sempre stata dispersa in questo modo, dalla presenza di "esterni".

    D. - Si può fare un bilancio della "Primavera araba" in quella che è una città di confine lontana dalla capitale?

    R. - È veramente triste se si pensa che da Kasserine è partita una rivoluzione che sembra essere un po’ una rivoluzione con un biglietto di sola andata. É partita da Kasserine, ma adesso qui non sta tornando.

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    Egitto: attese nuove manifestazioni in vista della fine del Ramadan

    ◊   Nuove manifestazioni attese per oggi in Egitto, dove l’allerta resta alta in vista della fine del Ramádan, prevista per mercoledì 7 agosto. Intanto, sul piano politico, la situazione di stallo impedisce l’avvio della road map messa a punto dall’esercito il 3 luglio scorso, giorno della deposizione di Morsi. Il servizio di Roberta Barbi:

    Restano calde le piazze in Egitto, dove continuano a opporsi sostenitori e oppositori dell’ex presidente Morsi, ma qualcosa inizia a muoversi anche sul piano diplomatico. Stanotte – nonostante inizialmente la notizia fosse stata smentita – alcuni inviati occidentali e arabi hanno fatto visita in carcere al numero due della Fratellanza musulmana, Khairat el-Shater. La delegazione, inviata da Stati Uniti, Unione europea Emirati Arabi e Qatar mirava a risolvere il conflitto in corso e lo stesso obiettivo è alla base della visita al Cairo di due senatori repubblicani statunitensi che avranno colloqui con esponenti del governo di transizione e con i gruppi di opposizione. Intanto, il quotidiano britannico "Independent" scrive che si farebbe strada tra gli islamisti l’ipotesi di un accordo per il rilascio di Morsi, che in cambio annuncerebbe ufficialmente le sue dimissioni consegnando il potere al premier el Beblawi, e partirebbe in esilio.

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    Migliorata la situazione a Bangui, ma nel resto del Centroafrica regna l’insicurezza

    ◊   Si sta mettendo in moto in questi giorni la missione di forze africane di sostegno alla Repubblica Centrafricana, che dovrebbe contare, una volta a regime, circa 3.500 uomini. L’obiettivo è ricostruire la sicurezza nel Paese dove, secondo la Federazione dei diritti dell’uomo (Fidh), i ribelli della coalizione Seleka, che il 24 marzo hanno cacciato l’ex presidente François Bozizé, hanno commesso almeno 400 omicidi in quattro mesi mentre si continuano a perpetrare crimini gravissimi contro i civili. L’Unione Africana ha concesso alle nuove istituzioni, capeggiate dal presidente Michel Djotodja, un periodo di transizione di 18 mesi in vista di nuove elezioni entro settembre 2014. Della situazione, Fausta Speranza ha parlato con don Mathieu Bondobo, originario della Repubblica Centrafricana:

    R. – Diciamo che la situazione della popolazione, dal punto di vista umanitario, è ancora complicata. Non possiamo parlare soltanto di quello che sta accadendo nella capitale Bangui della Repubblica Centrafricana dove le cose stanno migliorando: la popolazione sta uscendo di casa, non è più chiusa, la paura sta diminuendo pian piano… Però, fuori dalla capitale lo Stato non esiste quasi più: non c’è polizia, né sistema giudiziario, né servizio sanitario sociale e quindi la situazione della popolazione fuori dalla capitale è allarmante, anche se – ripeto – a livello della capitale si sta notando qualche miglioramento.

    D. – In questi giorni, si sta dando avvio a una missione africana per la sicurezza nel Paese. Che cosa aspettarsi da queste forze africane?

    R. – C’è molto da aspettarsi da questa forza africana, che è praticamente una forza di interposizione, perché dal colpo di Stato avvenuto il 24 marzo scorso è stata una successione di situazioni caotiche, perché non esiste più l’esercito nazionale. La coalizione Seleka, che ha preso il potere, è rimasta a farla da padrone, comanda e questo comporta dei rischi: la popolazione non è più protetta perché non c’è più un organo istituzionale – come l’esercito nazionale – per proteggere la popolazione. E quindi la popolazione è stata abbandonata e le conseguenze le conosciamo: omicidi, crimini sono stati già commessi. Allora, questa forza di interposizione, questa forza africana sarà di grande aiuto. Dovrà cercare di rimettere le cose a posto, cercherà di impedire a questi ribelli di commettere ulteriori crimini, cercherà di difendere la pace nel Paese e poi di aiutare, pian piano, anche l’esercito nazionale a riscoprire il suo ruolo in questo caos. E poi a fare in modo che la Repubblica Centrafricana possa diventare uno Stato degno di questo nome. Quindi, ci aspettiamo molto da questa forza africana.

    D. – In questo momento, si è fissata la data di settembre 2014 come termine entro il quale organizzare le prossime elezioni. Come far fruttare questo periodo per la popolazione, in vista di questo appuntamento elettorale?

    R. – La prima priorità è la sicurezza. La sicurezza, e con la sicurezza anche la preparazione della popolazione, perché votare è un diritto di ogni cittadino, di chi ha l’età per esprimersi. E quindi, oltre alla sicurezza la popolazione deve anche prepararsi per scegliere le persone giuste che possano aiutare lo sviluppo dell’economia di questo Paese che ha tanto sofferto. E quindi, oltre alla sicurezza bisogna che la popolazione prenda consapevolezza di ciò che è avvenuto e che sta accadendo ancora, perché la cosa non è finita. Occorre, quindi, riflettere e non cadere nella trappola di una certa forma di fanatismo. Bisogna trovare le persone che possano, con l’aiuto di tutti, guidare questo Paese.

    D. – Che dire del ruolo della comunità internazionale: in questo momento si sta occupando del Paese?

    R. – Diciamo che la comunità internazionale ci sta aiutando, ma c’è ancora molto che potrebbe fare. L’ha detto recentemente lo stesso Ivan Šimonović, segretario generale aggiunto ai Diritti dell’uomo presso l’Onu, che ha fatto una visita nel mio Paese. Ha constatato con i suoi occhi il dramma, la sofferenza di questo popolo e lui stesso ha chiesto alla comunità internazionale di non tacere davanti a questa sofferenza, di non tacere davanti a questo dramma che sta avvenedo nel Centrafrica. E quindi, la comunità internazionale deve intervenire il più presto possibile per impedire che questo Paese possa precipitare proprio nel baratro totale.

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    La Provincia di Trento applica l'Irap più alta ai locali con le slot machine

    ◊   La Provincia di Trento ha deciso di applicare l’aliquota Irap massima a tutti gli esercizi commerciali che ospitano slot machine. Secondo le ultime stime, ogni anno vengono spesi, nell’area di Trento, 730 milioni di euro nel gioco d’azzardo. Su questo provvedimento, Daniel Ienciu ha intervistato il consigliere provinciale Giorgio Lunelli:

    R. – La norma principale è quella che introduce, credo per la prima volta in Italia, una sorta di “penalizzazione” per gli esercenti che hanno delle slot machine, le macchinette cosiddette “mangiasoldi”. Finora, tutte le iniziative legislative hanno cercato di premiare, inutilmente, gli esercizi che non hanno le slot machine. Ho proposto al Consiglio provinciale di Trento – in base anche alla nostra autonomia – di penalizzare quegli esercizi che hanno le slot machine, agendo sull’unica leva fiscale a nostra disposizione: l’Irap. Penso che questa norma, così immaginata e approvata, che entrerà in vigore dal primo gennaio, possa essere motivo di ragionamento e magari essere adottata anche dalle regioni di Italia. Contro il gioco d’azzardo, dobbiamo cominciare una grande battaglia di cultura e di civiltà, oltre che di tutela delle persone.

    D. – Sappiamo che parte dei proventi delle tassazioni Irap andranno a sostenere le associazioni impiegate nel recupero dei soggetti in stato di dipendenza. Cosa può dirci in merito?

    R. – I maggiori introiti nella Provincia autonoma di Trento, derivanti dalla “penalizzazione” di questi esercizi sull’Irap, preferisco che vadano a due indirizzi: il primo è di sostegno alle associazioni, alle Onlus, che si occupano del recupero di quelle persone colpite da questo tipo di patologia e alle associazioni che fanno prevenzione. Penso che nel caso del gioco d’azzardo si debbano aiutare certamente le persone ammalate di questa pericolosa patologia, ma soprattutto evitare che giovani, donne e persone anziane vengano risucchiate in questo vortice.

    D. – Quante sono nella Provincia di Trento le persone colpite dalla piaga del gioco d’azzardo?

    R. – Non abbiamo una statistica per quanto riguarda le persone che giocano. Abbiamo però un dato che per noi è molto preoccupante: in una provincia molto piccola come quella di Trento, dove vivono 500 mila persone, ogni anno vengono spesi nelle slot machine 730 milioni di euro. E’ una cifra impressionante, che ci dà la dimensione del fenomeno.

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    In un libro la verità storica dell’epopea dei "cristeros" in Messico

    ◊   Per decenni ignorata dalla storiografia, oggi emerge come un’epopea grandiosa e tragica: parliamo della persecuzione di cristiani e della conseguente ribellione del popolo avvenuta in Messico tra il 1925 e il 1929. Nel libro intitolato “Cristiada”, edito da Lindau, emerge nella sua verità storica sulla base della migliore bibliografia internazionale. Fausta Speranza ha intervistato l’autore del volume Mario Arturo Iannaccone:

    R. – C’è stata l’espulsione in massa dei sacerdoti, c’è stata la chiusura delle chiese, c’è stata la soppressione degli Ordini religiosi e il popolo si è ribellato. E’ stata una ribellione di popolo non sobillata da nessuno durata quattro-cinque anni, anni di guerra sanguinosissima.

    D. – Qualche episodio da ricordare in particolare?

    R. – Ce ne sono tanti, perché ci sono tanti episodi di martirio: sono state canonizzate 27 persone, altri 13 sono Beati… E si deve ricordare che durante il periodo della “Cristiada” per la prima volta furono sperimentati i campi di concentramento in alcune città del centro del Messico: morirono moltissime persone – non si sa quante – perché aiutavano quelli che erano definiti i “guerrieri di Cristo Re”, cioè i cristeros.

    D. – Tra le persone che si ribellarono a questa ondata anticattolica, c’erano persone di diversi ceti: è così?

    R. – Sì: prevalentemente erano persone umili, contadini, ma c’erano anche artigiani, impiegati – gli impiegati erano moltissimi, nelle grandi città – e ci furono anche dei grandi fazenderos, gente che possedeva fattorie… Quindi, sì, tutti i ceti, sicuramente.

    D. – Nel 1925, entrò in vigore la Costituzione anticattolica. Perché? Quali erano le accuse?

    R. – Fondamentalmente, e paradossalmente, era l’attivismo sociale della Chiesa messicana la scusa. La chiesa era molto attiva, aveva creato sindacati, aveva creato patronati, banche, cooperative e stava riuscendo in ciò in cui la rivoluzione messicana e lo Stato rivoluzionario messicano non riusciva, cioè nella ridistribuzione delle terre, nell’aiuto delle classi meno abbienti, eccetera. Per cui, una classe di persone assolutamente anticlericali, atee, considerava la Chiesa e i cattolici e le associazioni cattoliche un nemico da abbattere, perché un competitore su tutti i fronti dell’organizzazione della società, anche quello sociale. Ma era una cosa che si stava preparando da decenni. Arrivò a un certo punto perché ci fu in particolare un personaggio – Plutarco Elia Calles – che volle arrivare fino in fondo, fino al punto di rottura.

    D. – L’epopea dei cristeros in Messico si gioca nel giro di qualche anno. Dopo, il Paese come ha fatto i conti con questo episodio drammatico, forte, che va al di là di questi quattro-cinque anni?

    R. – In realtà, dopo gli arreglos, quindi dopo una sorta di pace, la persecuzione anche sanguinosa nei riguardi dei cattolici andò avanti per un’altra decina d’anni. Di fatto, i vescovi che avevano firmato questi arreglos, questi accordi, furono traditi. Tanto è vero che ci fu un tentativo di riprendere la “Cristiada” nella seconda metà degli anni Trenta. In seguito, dopo gli anni Quaranta, si trova un modus vivendi. Il problema è che, da un punto di vista storiografico, gli studiosi messicani non fecero mai i conti con quello che era successo e diedero tutta la colpa dell’insurrezione della “Cristiada” ai ricchi fazenderos – che in realtà non c’entravano niente e che parteggiavano per il governo – e alla Chiesa, che in realtà tentò invece di evitare lo scontro armato. Quindi, c’è stata una sorta di falsificazione storiografica che non è l’unica: si è vista anche in tante altre situazioni storiche, che è stata superata fondamentalmente grazie al lavoro di uno storico francese, Jean Meyer, che è andato lì – tra l'altro convertendosi – e ha studiato approfonditamente il problema della “Cristiada”, portando a una nuova comprensione di questo fenomeno. A ribellarsi fu il popolo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Assad: terrorismo si schiaccia col pugno di ferro

    ◊   Confortato dalle vittorie che le sue truppe stanno ottenendo sul campo, il presidente siriano Assad è tornato a parlare alla nazione, eliminando definitivamente ogni ipotesi di rilancio dei negoziati di pace a Ginevra: “Questa opposizione non è affidabile – ha detto – l’unico modo per giungere a una soluzione del conflitto è schiacciare il terrorismo, reprimendolo con mano di ferro”. Intanto, l’Associazione Human Right Watch denuncia almeno nove casi in cui in Siria sarebbero stati utilizzati missili balistici che negli ultimi sei mesi avrebbero causato almeno 215 morti. Sul terreno, i ribelli avrebbero ripreso il controllo di alcune zone costiere di Latakia che le truppe di Assad utilizzavano come basi militari: a dirlo è la Coalizione nazionale siriana. Inoltre, in un comunicato giunto alla Fides e firmato dal provinciale, padre Victor Assouad, i Gesuiti del Medio Oriente esprimono la propria preoccupazione per la sorte di padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria una settimana fa, e degli altri sacerdoti di cui si sono perse le tracce nel conflitto. Il comunicato, poi, fa riferimento anche alla situazione della residenza gesuita nel centro della città di Homs e coglie l’occasione per rinnovare a nome di tutta la Compagnia “la solidarietà con la sofferenza di tutto il popolo”. Smentita, infine, la notizia di un possibile trasferimento della sede del Patriarcato di Antiochia dei siro-ortodossi da Damasco in Turchia: lo comunica lo stesso patriarca Mar Ignatius Zakka I Iwas. (R.B.)

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    Allarme terrorismo: Usa prolungano chiusura in alcune sedi diplomatiche

    ◊   Resteranno chiuse fino al 10 agosto alcune delle sedi diplomatiche degli Stati Uniti per le quali era già stata disposta la serrata nella giornata di ieri. Lo comunica il Dipartimento di Stato americano, precisando che la motivazione non è di nuove minacce, ma solo a titolo precauzionale. Riaprono, però, le legazioni Usa a Kabul, Baghdad e Algeri, mentre Londra, Parigi e Berlino mantengono chiuse le loro ambasciate nello Yemen fino alla festa di Eid, che segna la fine del mese sacro del Ramádan. Secondo fonti di intelligence americane, infatti, ci sarebbe un complotto di al Qaeda in corso, con una squadra di terroristi che sarebbe già sul posto scelto per l’attacco. Alcune conversazioni, infatti, sarebbero state intercettate e secondo gli esperti si tratterebbe della “minaccia più specifica che si sia mai vista in questi anni”, diretta non solo contro gli Stati Uniti, ma contro tutto l’Occidente. (R.B.)

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    Afghanistan. Bomba in mercato vicino Kandahar, 3 morti

    ◊   Ancora sangue in Afghanistan: in un’esplosione avvenuta oggi nel mercato di Bagh-e-Pul, nella provincia di Kandahar, sono rimaste uccise tre persone e sette sono rimaste ferite. L’attacco è avvenuto della culla del movimento talebano, ma stavolta fortunatamente tra le vittime non figurano bambini. Secondo i dati della missione Onu nel Paese (Unama), finora i civili uccisi sono 1319 e 2533 i feriti. Intanto, arriva la notizia che i talebani potrebbero spostare dal Qatar il proprio ufficio politico e ciò potrebbe rilanciare i negoziati di pace per l’Afghanistan in vista dei quali recentemente il segretario di Stato americano, Kerry, era volato in Pakistan. (R.B.)

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    Afghanistan. Al posto dell’omelia il Messaggio di Papa Francesco ai musulmani

    ◊   Il superiore della missio sui iuris in Afghanistan, padre Giuseppe Moretti, al posto dell’omelia della Messa, che ha celebrato ieri nell’unica chiesa del Paese ospitata all'interno dell'ambasciata italiana a Kabul, ha voluto leggere il messaggio inviato da Papa Francesco ai musulmani in vista della festa di id-al-Fitr, la fine del mese sacro del Ramádan. “Volevo far capire ai musulmani che la Chiesa è vicina alle loro ricorrenze – ha detto ad AsiaNews – augurando loro che i sentimenti espressi dal Papa possano coincidere con i sentimenti del mondo islamico”. (R.B.)

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    Indonesia. Bomba in tempio buddista a Jakarta, 3 feriti

    ◊   Un ordigno a basso potenziale è esploso nella tarda serata di ieri all’interno di un tempio buddista a Jakarta, in Indonesia, ferendo tre persone, mentre un altro, inesploso, è stato trovato dalla polizia nel centro buddista di Ekayana. Finora, l’attentato non è stato rivendicato, ma l’ipotesi più probabile è che si tratti di una risposta del nazionalismo birmano alle crescenti violenze contro la minoranza musulmana dei rohingya in Myanmar, dove dal giugno 2012 sono in corso scontri che finora hanno lasciato sul terreno almeno 200 vittime. Il gesto è stato condannato da più parti, specialmente dal ministro indonesiano per gli Affari religiosi, Suryadharma Ali, che l’ha definito “maledetto e barbaro”, nonché “irrispettoso del Ramádan, il mese sacro dei musulmani”. Già nel maggio scorso era stato sventato un attacco contro l’ambasciata birmana a Jakarta. (R.B.)

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    Myanmar. Missionari cattolici lavorano per la sicurezza alimentare

    ◊   L’obiettivo è il rafforzamento della sicurezza alimentare. Le azioni concrete per raggiungerlo coinvolgono scuole agricole, servizi rurali, formazione in materia di allevamento di suini, progetti di irrigazione e approvvigionamento di acqua potabile. Questo, in sintesi, è il progetto messo in piedi dai volontari di "New Humanity" in collaborazione con i missionari Scalabriniani canadesi per l’area intorno a Taunggyi, nello Stato di Shan, Myanmar meridionale. Nei mesi scorsi, tre scuole agricole, per una partecipazione totale di 20 contadini, sono state avviate a Kon Lon: hanno imparato il tipo di terreno e di sementi da preferire, il corretto uso dei fertilizzanti, il riconoscimento e la gestione delle piante nocive, il controllo dei campi nella fase del raccolto. Ogni disciplina – specifica AsiaNews – è stata portata avanti con l’approccio partecipativo dell’”imparare facendo”. Nel Paese, l’agricoltura occupa il 60% della popolazione attiva: la maggior parte è impegnata nel settore del riso con una produzione di circa 22 milioni di tonnellate. Seguono altri cereali, patate, legumi e canna da zucchero. "New Humanity" è un’associazione fondata nel 1992 e dal 2002 è attiva in Myanmar nei settori agricolo, sociale e sanitario. (R.B.)

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    India. Almeno 11 milioni di bambini di strada: è la cifra più alta del mondo

    ◊   Sono circa 11 milioni i bambini di strada in India, secondo la stima delle Nazioni Unite, ma secondo altre fonti potrebbero essere molti di più: circa 20 milioni; comunque è la cifra più alta nel mondo. Il fenomeno è stato recentemente oggetto di un Rapporto elaborato dall’Associazione della Camera di Commercio e dell’Industria dell’India, i cui dati – riportati dall’Agenzia Fides – sono allarmanti. Nelle città metropolitane come New Dehli, Mumbai, Kolkata o Chennai, infatti, circa un minore su quattro vive in condizioni indegne. La situazione di questi bambini è a dir poco drammatica: la maggior parte appartiene a famiglie di migranti che hanno lasciato i propri villaggi con la speranza di trovare in città un futuro migliore. Spesso finiscono nelle mani dei trafficanti e sono vittime di abusi sessuali, sono sfruttati nel lavoro e completamente privi di tutele giuridiche. La metà, inoltre, è pressoché analfabeta e spesso diventa dipendente da sostanze tossiche. (R.B.)

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    Repubblica Democratica del Congo: migliaia di bambini soli in fuga verso l’Uganda

    ◊   La recente recrudescenza delle violenze nella Repubblica Democratica del Congo ha fatto sì che riprendesse anche l’esodo di rifugiati dal Paese verso la vicina Uganda, dove la situazione dei campi d’accoglienza è disastrosa. Le violenze si sono concentrate finora nell’est del Paese, nei pressi di Kamango, ad opera dei ribelli ugandesi delle Forze alleate democratiche, che si oppongono all’esercito regolare congolese e hanno provocato la fuga di circa 66 mila cittadini, il 55% dei quali sono bambini che nella concitazione del momento sono stati separati dai genitori. La situazione umanitaria, quindi, testimonia la Fides, resta molto grave: fino a giugno si calcola che 4500 bambini si siano arruolati nelle Forze armate, tra cui circa duemila nel Nord Kivu, mentre la Croce Rossa ugandese ha contato oltre 37 mila piccoli profughi, di cui 122 completamente soli. Difficoltoso anche l’accesso degli aiuti. Molti i casi di divieto registrati, mentre si sono verificati diversi attacchi anche a scuole e strutture mediche. (R.B.)

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    Pakistan. Esplosione su un treno, almeno tre morti

    ◊   Non è ancora chiaro se a esplodere sia stata una bombola di gas oppure un ordigno di fattura rudimentale, ma le prime ipotesi propendono per un attentato, quello avvenuto oggi in Pakistan su un treno che stava viaggiando da Lahore a Karachi. Nella deflagrazione, partita dal bagno di un vagone, delle 22 persone presenti a bordo almeno tre sono rimaste uccise e 11 ferite, alcune delle quali in gravi condizioni, tutte trasportate nei vicini ospedali di Faisalabad e Toba Tek Singh, piccolo centro della provincia centrale del Punjab, dove il convoglio stava transitando al momento dell’esplosione. Intanto, i talebani del Pakistan avevano fatto sapere di stare preparando “il più grande attacco di sempre” che poteva avere, come possibili obiettivi, da esponenti politici a prigioni, aeroporti, ambasciate o siti militari. (R.B.)

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    Ucraina. Protesta dei sostenitori pro-Timoshenko a due anni dalla condanna

    ◊   Centinaia di sostenitori del partito “Patria” della leader d’opposizione ucraina Iulia Timoshenko sono scesi in piazza a manifestare oggi a Kiev, in occasione del secondo anniversario dell’arresto dell’esponente politico. La protesta si è concentrata davanti all’ingresso del tribunale di Pechersk, lo stesso che due anni fa dispose la detenzione provvisoria della donna, condannata a sette anni per abuso di potere per un controverso contratto per la fornitura di gas che avrebbe siglato con Mosca nel 2009, quando era premier dell’Ucraina. I manifestanti recavano con sé magliette con il simbolo del partito della Timoshenko e bandiere con la scritta “Iulia libera”. (R.B.)

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    Domani la festa nazionale della Bolivia. Mons. Abastoflor: mirare al bene comune

    ◊   La Bolivia si prepara spiritualmente a celebrare la sua festa nazionale, che ricorre domani e in cui si ricorderanno i 188 anni della Costituzione boliviana. Nella Messa domenicale che ha celebrato ieri nella cattedrale metropolita, l’arcivescovo di La Paz, mons. Edmundo Abastoflor, ha invitato i fedeli a non farsi ingannare dalle persone che in realtà non si pongono come obiettivo il progresso e il benessere del Paese. “Ci prepariamo a celebrare – ha detto – la festa nazionale in cui la Bolivia è diventata un Paese . La Parola di Dio ci ricorda che ciò che è di ognuno è per tutti: il nostro Paese cerca di progredire e andare avanti, ma ci perdiamo in tante cose e tra noi ci sono persone che cercano di avere maggiore ricchezza e potere sugli altri”. L’atteggiamento cristiano, al contrario – ammonisce il presule, le cui parole sono riportate da Fides – è caratterizzato dalla comprensione del prossimo, dall’impegno per il bene comune e a evitare conflitti. L’arcivescovo ha infine sottolineato che la Bolivia è un Paese diverso dagli altri, dove ci sono tanti popoli, culture e lingue: una realtà che dovrebbe contribuire a far sì che i boliviani vivano come fratelli e imparino da ogni popolo “i suoi costumi e le sue modalità di espressione, così da ricostruire tutti insieme la base per la pace e per dare gloria a Dio”. (R.B.)

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    Thailandia. Un missionario del Pime insegna ai fedeli il valore della preghiera

    ◊   Pregare è come respirare: sono due azioni essenziali alla vita umana. Lo diceva San Gregorio, le cui parole sono state in questi giorni ricordare da padre Raffaele Manenti, missionario del Pontificio Instituto Missioni Estere (Pime) che da anni in Thailandia ha la responsabilità della parrocchia di Nostra Signora della Misericordia a Nonthaburi, a nord di Bangkok. La sua comunità, in 20 anni, è cresciuta esponenzialmente, pur in un Paese in cui la presenza dei cattolici è davvero esigua: appena lo 0,1% su una popolazione di oltre 66 milioni di abitanti. Il sacerdote ha più volte affrontato con i suoi fedeli il tema della preghiera in questo Anno della Fede: “Le fatiche e gli impegni quotidiani tolgono tempo alla preghiera – racconta ad AsiaNews – per questo suggerisco di usare l’auto come cappella privata e consiglio ogni giorno di trascorrere del tempo in silenzio per fare un esame di coscienza sulla giornata appena trascorsa”. Il prete evidenzia anche l’importanza di momenti di preghiera comunitari in famiglia, come prima dei pasti o prima di intraprendere un viaggio, occasioni da sfruttare per chiedere perdono e benedizioni, ma anche per ringraziare il Signore. “Papa Francesco ha ricordato ai preti il valore di un istante di silenzio al termine del Vangelo e della Comunione per favorire la riflessione”, conclude. (R.B.)

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    Haiti. Presto Port-au-Prince avrà una parrocchia dedicata al Sacro Cuore

    ◊   Una nuova parrocchia dedicata al Sacro Cuore di Gesù sorgerà presto nella capitale haitiana di Port-au-Prince. A riferirlo è la Fides, che racconta della cerimonia per la posa della prima pietra dell’edificio, avvenuta lo scorso venerdì 2 agosto alla presenza del delegato della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e arcivescovo di Miami, mons. Thomas Wenski, e dell’arcivescovo di Port-au-Prince, mons. Guire Poulard. Nella giornata di festa è stata celebrata anche una Messa, durante la quale è stato precisato che la nuova chiesa sarà finanziata con fondi raccolti negli Usa per la ricostruzione dei luoghi di culto dopo il terremoto del 2010 e costerà circa 2.3 milioni di dollari. L’auspicio è che la nuova parrocchia serva da modello per molte altre nella città e in tutta l’isola – ovviamente costruite con criteri antisismici – e fa parte di un programma di sostegno promosso dai vescovi statunitensi e approvato dalla commissione delle Finanze per gli aiuti all’America Latina nel 2012. (R.B.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 217

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.