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Sommario del 02/08/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Auguri del Papa ai musulmani per la fine del Ramadan: rispetto reciproco, rafforzare dialogo e collaborazione
  • Il card. Tauran: messaggio del Papa segno del grande rispetto per i fedeli dell’Islam
  • Tweet del Papa: la sicurezza della fede non ci rende chiusi, ma ci mette in cammino per dialogare con tutti
  • Risposta di padre Lombardi a proposito della nomina di un Commissario per i Frati Francescani dell'Immacolata
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: islamisti in piazza nonostante l’invito del governo a sgomberare
  • Accuse di brogli elettorali in Zimbabwe dopo la rielezione di Mugabe
  • Raid tra Tunisia ed Algeria contro Al Qaeda, a Tunisi mobilitazione contro il governo
  • Datagate: la Russia concede l'asilo a Snowden. Usa: "profondo rammarico"
  • Siria: esplode deposito armi ad Homs, decine di morti; ispettori Onu pronti a partire
  • Mediaset: dopo conferma condanna, Berlusconi rilancia progetto "Forza Italia"
  • Bologna: commemorazione civile e religiosa per le vittime della strage di 33 anni fa
  • Festa del Perdono. Mons Sorrentino: l'indulgenza è misericordia sovrabbondante di Dio
  • Compie 30 anni l’Arsenale della Pace. Olivero: una casa della speranza in cui si vede Dio
  • Don Silla: discarica vicino al Santuario del Divino Amore, idea forsennata
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Rohani: Israele, ferita che va rimossa. Netanyahu: Iran, minaccia per la pace
  • Libano: due razzi colpiscono la periferia di Beirut
  • Siria: una piccola Gmg nel cuore di Aleppo, sfigurata dalla guerra
  • Congo. L'Onu crea una zona di sicurezza intorno alla città di Goma
  • Ambasciate Usa in Medio Oriente chiuse il 4 agosto
  • Caritas Taiwan finanzia un progetto per una scuola in Mongolia
  • Corea del Sud: la Chiesa locale spera in una visita del Papa
  • India: il clero dell’Andra Pradesh studia la “Lumen Fidei”
  • Paraguay. Mons. Medina Salinas: ridare la terra ai contadini
  • Ucraina: scuola d'iconografia promossa dai Cappuccini
  • Il Papa e la Santa Sede



    Auguri del Papa ai musulmani per la fine del Ramadan: rispetto reciproco, rafforzare dialogo e collaborazione

    ◊   Cristiani e musulmani sono chiamati a rispettare in modo reciproco “la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori”, educando i propri giovani a questo atteggiamento. Lo scrive Papa Francesco in un messaggio per la fine del Ramadan, il periodo di preghiera e digiuno cui sono tenuti i fedeli islamici. Un messaggio che il Papa, a differenza del passato, ha voluto firmare in prima persona. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Rispetto reciproco. Due termini che schiudono un universo di rapporti interreligiosi sereni e duraturi, radicati sui valori base che uniscono gli esseri umani e sono estranei alle forme di violenza praticate in nome di Dio. Al momento di stilare il Messaggio per l’“Id al-Fitr”, la celebrazione che conclude il Ramadan, Papa Francesco decide di firmarlo di suo pugno invece che lasciare l’incombenza al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, come consuetudine vorrebbe. Rivolgendosi “ai musulmani del mondo intero”, il Papa si concentra sul tema del Messaggio, “La promozione del mutuo rispetto attraverso l’educazione”, e lo scinde nelle due parole chiave. “Rispetto – afferma – significa un atteggiamento di gentilezza verso le persone per cui nutriamo considerazione e stima”. E “mutuo significa che questo non è un processo a senso unico, ma qualcosa che si condivide da entrambe le parti”.

    In ottica sociale e familiare – due dimensioni importanti per i musulmani e sulle quali, sottolinea Papa Francesco, si notano attualmente dei “paralleli” con la “fede e la pratica cristiane – “ciò che siamo chiamati a rispettare in ciascuna persona è innanzitutto la sua vita, la sua integrità fisica, la sua dignità e i diritti che ne scaturiscono, la sua reputazione, la sua proprietà, la sua identità etnica e culturale, le sue idee e le sue scelte politiche”. In altre parole, puntualizza, siamo chiamati “a pensare, parlare e scrivere dell’altro in modo rispettoso, non solo in sua presenza, ma sempre e dovunque, evitando ingiuste critiche o diffamazione”. E qui, afferma, entra in gioco la grande responsabilità di famiglie, scuole, insegnamento religioso, mass media.

    Applicando poi il principio del mutuo rispetto ai rapporti interreligiosi, in particolare tra cristiani e musulmani, Papa Francesco scrive: “Siamo chiamati a rispettare la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori” e a manifestare “uno speciale rispetto” ai “capi religiosi e ai luoghi di culto”. Poiché, soggiunge, “quanto dolore arrecano gli attacchi all’uno o all’altro di questi!”. Fondamentale diventa trasmettere questa consapevolezza ai giovani. Sul punto, Papa Francesco è netto: “Dobbiamo formare i nostri giovani a pensare e parlare in modo rispettoso delle altre religioni e dei loro seguaci, evitando di mettere in ridicolo o denigrare le loro convinzioni e pratiche. Sappiamo tutti – osserva – che il mutuo rispetto è fondamentale in ogni relazione umana, specialmente tra persone che professano una credenza religiosa. È così che può crescere un’amicizia sincera e duratura”. Ricordando in apertura di Messaggio come la scelta di chiamarsi “Francesco” sia stata ispirata dalla figura di un Santo considerato “fratello universale” per il suo grande amore a Dio e all’umanità, il Papa conclude ribadendo il concetto espresso in marzo al cospetto del Corpo Diplomatico accreditato in Vaticano: “Non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri”.

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    Il card. Tauran: messaggio del Papa segno del grande rispetto per i fedeli dell’Islam

    ◊   Il Messaggio di Papa Francesco ai musulmani per il Ramadan rappresenta un’iniziativa di grande rilevanza per il dialogo con l’Islam: é quanto sottolinea il cardinale Jean-Louis Tauran. Intervistato da Hélène Destombes, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso mette l’accento sul grande rispetto che Jorge Mario Bergoglio ha sempre avuto per i fedeli musulmani:

    R. – C’est une initiative qui lui est tout à fait personnelle. Il a voulue par-là …
    E’ un’iniziativa tutta sua, personale. Credo che con essa egli abbia voluto manifestare il grande rispetto che ha per i fedeli dell’Islam. Io ricordo, per esempio, che qualche anno fa egli aveva inviato un sacerdote dell’arcidiocesi di Buenos Aires al Cairo per studiare l’arabo, perché voleva una persona che fosse capace, che fosse ben formata in particolare per il dialogo con l’Islam. Così, in questo suo primo anno di Pontificato e nel contesto attuale, ha voluto indicare chiaramente che il dialogo interreligioso, e in particolare il dialogo con l’Islam, rappresenti una delle priorità del suo ministero.

    D. – Il tema di quest’anno è “La promozione del rispetto vicendevole attraverso l’educazione”. Papa Francesco sottolinea l’importanza di evitare la critica ingiustificata o diffamatoria e, al tempo stesso, l’importanza di riconoscere un rispetto particolare ai capi religiosi e ai luoghi di culto. Ci si possono riconoscere riferimenti specifici a situazioni precise?

    R. – Sans aucun doute, sans aucun doute. Voyez, je crois que le Papa, comme nous …
    Senza alcun dubbio! Vede, io credo che il Papa, come noi tutti d’altronde, è consapevole del fatto che in realtà non ci conosciamo abbastanza. Nonostante tutti gli sforzi compiuti, dobbiamo imparare a rispettarci, a rispettare le nostre fedi, i nostri riti, i nostri luoghi di culto e in questo ambito è evidente che i capi religiosi hanno una grande responsabilità nella formazione dei loro fedeli. Mi pare che il Papa insista molto su questo aspetto del rispetto vicendevole. Purtroppo, quello che mi sembra un po’ deludente nel dialogo tra cristiani e musulmani è che noi abbiamo fatto grandi sforzi, in questi ultimi anni, e abbiamo ottenuto piccoli risultati ma questi non sono mai stati recepiti a livello di legge e nemmeno al livello di norme amministrative. Quindi sarà necessario fare un ulteriore grande sforzo per conoscerci meglio, apprezzarci maggiormente per non considerarci dei rivali, ma persone alla ricerca di Dio.

    D. – Dall’ultimo messaggio di quasi un anno fa, sono accadute molte cose. Da un lato, i cattolici hanno un nuovo Papa, dall’altro in molti Paesi a maggioranza musulmana – come l’Egitto, la Tunisia e la Siria – le tensioni si sono esasperate. In alcuni di questi Paesi vivono comunità cristiane importanti che hanno paura, a volte anche tanta paura. Questi due aspetti si riflettono in questo messaggio o nel lavoro del dicastero che lei guida?

    R. – Oui, dans les deux cas. Je crois que souvent on confond, en Europe, …
    Sì, in tutti e due gli ambiti. Credo che in Europa spesso si confondano islamismo e Islam, e nemmeno si può negare che il fondamentalismo sia un nemico comune. Quindi è necessario fare uno sforzo di intelletto, di cultura e questo non può essere se non nella misura in cui i capi religiosi siano consapevoli della gravità della situazione e abbiano la volontà comune di migliorarla. E tutto questo passa per la scuola, per l’università, per la fiducia vicendevole, per l’amicizia; altrimenti rimarremo sempre in una condizione di potenziale inimicizia … Invece, più la situazione è difficile più si impone il dialogo.

    D. – L’eccezionalità di questo messaggio – l’abbiamo detto – sta nel fatto che esso porti la firma del Papa…

    R. – Je crois que le Pape François se situe dans la ligne du Pape Benoît XVI. …
    Mi sembra che Papa Francesco si inserisca sulla scia di Papa Benedetto XVI. Non bisogna dimenticare, infatti, che Papa Francesco succede ad un Papa che credo sia stato il Papa che, in questo secolo, ha più parlato di Islam; un Papa che ha visitato tre moschee … Credo quindi che Francesco sia determinato a seguire questa linea di collaborazione mutua, di desiderio – nonostante le difficoltà – di conoscersi meglio. Più la situazione è difficile e più è necessario parlare: credo ce questa sia una costante ed una convinzione radicata in questo Papa, come lo era nel suo predecessore.

    D. – La continuità, in definitiva… e quindi è in questa forma che può avvenire il cambiamento, secondo l’approccio di Papa Francesco?

    R. – Le premier jour de son pontificat, lorsqu’il a parlé avec une délégation de …
    Il primo giorno del suo Pontificato, quando ha ricevuto una delegazione di musulmani, è stato estremamente cordiale. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un’altra delegazione, e anche in questa occasione è stato estremamente cordiale. Tutti sono colpiti dalla sua semplicità: ma questo non significa che sia “naïf”. E’ chiaramente consapevole delle difficoltà, ma lui è gentile; ovviamente è preoccupato di non dimenticare i cristiani che soffrono in alcuni Paesi a maggioranza musulmana, senza dimenticare peraltro quei musulmani che a volte sono fatti oggetto di discriminazione in altri Paesi. Credo che sia un uomo al tempo stesso molto dolce, molto semplice ma anche molto consapevole delle difficoltà: non è un “naïf”.

    D. – Al di là delle dichiarazioni di buoni intenti e dei rapporti positivi che si possono rilevare a diversi livelli, la realtà sul terreno a volte è difficile. Cosa si può fare per educare al rispetto e quindi allentare le tensioni?

    R. – Je crois d’abord qu’il faut aider les journalistes car je pense que les mass médias … Credo che innanzitutto sia necessario aiutare i giornalisti, perché penso che i mezzi di comunicazione di massa abbiano una grande importanza; è necessario aiutare i giornalisti a informare bene e ad informarsi bene. Poi, attraverso l’insegnamento della religione nelle scuole e nelle università, bisogna far cadere i pregiudizi. In realtà, la maggior parte dei problemi nasce dall’ignoranza. Ripeto spesso che siamo riusciti ad evitare lo scontro delle culture: cerchiamo ora di evitare lo scontro delle ignoranze.

    D. – Come vediamo, l’Islam politico e il fondamentalismo sono ben lontani dal raccogliere consensi unanimi, compresi gli stessi Paesi musulmani, soprattutto in questi. Lei è preoccupato per il futuro di questi Paesi e per quello dei loro vicini, come il Libano e la Giordania?

    R. – Sans doute, parce que vous savez, le mal est contagieux …
    Certamente, perché il male è contagioso … Anche il bene, però, e per questo bisogna cercare di far prevalere il bene sul male! Ma non c’è dubbio che l’evoluzione alla quale assistiamo sul terreno non può che suscitare preoccupazione. Infatti, è chiaro che tutti questi conflitti non sono causati dalla religione o dalle religioni: però, la loro soluzione prevede una dimensione religiosa.

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    Tweet del Papa: la sicurezza della fede non ci rende chiusi, ma ci mette in cammino per dialogare con tutti

    ◊   Nel giorno in cui ha fatto gli auguri ai musulmani per la fine del Ramadan, Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet: "La sicurezza della fede - scrive - non ci rende immobili e chiusi, ma ci mette in cammino per rendere testimonianza a tutti e dialogare con tutti".

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    Risposta di padre Lombardi a proposito della nomina di un Commissario per i Frati Francescani dell'Immacolata

    ◊   La nomina di un Commissario Apostolico per la Congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata riguarda la vita e il governo della Congregazione nel suo insieme e non solo questioni liturgiche: è quanto ha detto padre Federico Lombardi, interpellato sulla questione. Il fatto che Papa Francesco – ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana - abbia disposto che i religiosi sacerdoti della stessa Congregazione siano tenuti a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario — a meno di esplicita autorizzazione delle competenti autorità per l'uso della forma straordinaria — non intende contraddire le disposizioni generali espresse da Benedetto XVI con il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, ma rispondere a problemi specifici e tensioni createsi in questa Congregazione a proposito del rito della celebrazione della Messa. Lo scopo che Benedetto XVI si era proposto – ha concluso padre Lombardi - era infatti di superare tensioni e non crearne.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per educare al mutuo rispetto: in un messaggio autografo per la fine del Ramadan il Papa conferma stima e amicizia ai musulmani.

    La conferma della condanna a Silvio Berlusconi.

    La grande rete di Fiume: in cultura, Giovanni Preziosi su Giovanni Palatucci e gli ebrei.

    Un thriller atmosferico di inquietante attualità: Jean-Pierre De Rycke sul Diluvio universale di Paolo Uccello.

    Antisemitismo in libertà al festival rock: Cristiana Dobner a proposito di un episodio avvenuto in Belgio.

    Non solo una marcia trionfale: Giulia Galeotti recensisce il libro di Letizia Conversi "Oggi, Domani. Il racconto ininterrotto della storia della Terra".

    Per capire le cose si raccontano storie: Gaetano Vallini sul volume "La fede nel cinema di oggi", curato da Francesco Giraldo e Arianna Prevedello.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: islamisti in piazza nonostante l’invito del governo a sgomberare

    ◊   In migliaia, tra i sostenitori di Morsi, stanno partecipando alla preghiera di questo ultimo venerdì di Ramádan nel luogo simbolo della protesta islamica di Rabaa el Adaweya al Cairo, nonostante l’invito del Ministero dell’interno egiziano di sgomberare le piazze. Il servizio di Roberta Barbi:

    Il governo ha chiesto ai manifestanti di mostrarsi “saggi” e di lasciare i sit-in, che considera una minaccia alla sicurezza nazionale e focolai del terrorismo, promettendo “un’uscita sicura” e “protezione totale”. A questa richiesta, la Fratellanza ha risposto convocando per oggi nuove marce in tutto il Paese, 33 solo nella capitale, all’insegna dello slogan “l’Egitto contro il golpe”. La situazione resta quindi esplosiva, nonostante i tentativi della comunità internazionale di ristabilire l’ordine attraverso la diplomazia. Secondo il quotidiano filogovernativo al-Ahram, l’esercito avrebbe pronto un piano di sgombero delle piazze, sorvolate da elicotteri dalla serata di ieri, la cui attuazione dovrebbe essere ormai imminente, in vista della festa di Id al Fitr, che giovedì prossimo segnerà la fine del mese sacro del Ramádan. Il piano, però, non prevederebbe scadenze o termini, perché il governo ad interim spererebbe ancora in una soluzione pacifica. Intanto dal Pakistan, dove si trova in visita ufficiale, è tornato a parlare il segretario di Stato americano, John Kerry, secondo il quale l’esercito egiziano sarebbe intervenuto a protezione della democrazia e in risposta alla richiesta di milioni di cittadini preoccupati che l’Egitto sprofondasse nel caos.

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    Accuse di brogli elettorali in Zimbabwe dopo la rielezione di Mugabe

    ◊   Sono attesi per lunedì i risultati delle elezioni in Zimbabwe. Secondo il suo portavoce il presidente Robert Mugabe, in carica da 33 anni, avrebbe ottenuto tra il 70 e il 75% dei voti, mentre il suo rivale, il primo ministro Morgan Tsvangirai, denuncia gravissimi brogli. Intanto l’Unione Africana parla di voto “libero e credibile”, mentre i Paesi dell’Africa Australe giudicano prematura ogni valutazione. Sulla situazione nel Paese, Michele Raviart ha intervistato Enrico Casale, africanista della rivista “Popoli”:

    R. – Certamente, sono elezioni vere. E’ chiaro che il blocco di potere che c’è alle spalle del presidente Robert Mugabe vuole mantenere salda la presa sul Paese e quindi ha influenzato in molti modi la tornata elettorale. L’entità dei brogli, sarà difficile da stabilire: certamente, dei grossi interventi ci sono stati, perché questo blocco di potere composto da militari e imprenditori non può permettersi di lasciare il controllo dello Zimbabwe.

    D. – Quali sono gli interessi in gioco?

    R. – Lo Zimbabwe è un Paese che ha molte risorse dal punto di vista naturale: certamente non come il Sudafrica, però è molto ricco. Non solo: ma è ricco come agricoltura. E’ un Paese che fino ad una decina di anni fa, unico nel panorama dell’Africa, esportava addirittura derrate alimentari! Quindi, è un Paese che può garantire rendite abbastanza elevate a chi lo controlla. Negli ultimi anni si è molto impoverito, però è un Paese che, rispetto alla media dei Paesi africani, ha grandi ricchezze e grandi risorse.

    D. – Risorse ampiamente sfruttate da Mugabe, che ha sottratto i latifondi ai bianchi per venderli al migliore offerente …

    R. – Mugabe, indubbiamente, è stato protagonista della lotta contro un sistema di apartheid gestito da coloni britannici, gestito da coloni britannici e quindi da quel punto di vista è da considerare un "liberatore" del Paese. Detto questo, negli anni si è trasformato in un dittatore, come è capitato anche in altri casi: penso, per esempio, all’Eritrea. Per mantenersi in sella, lui ha puntato molto sulla divisione dei propri seguaci, appoggiando a volte uno a volte l’altro. Questi suoi seguaci ora hanno preso molto potere e non si sa quale di questi possa essere realmente il successore. Il rischio è che, caduto Mugabe, si crei il caos.

    D. – Quali sono i punti di forza del suo rivale, Tsvangirai?

    R. – Tsvangirai rappresenta la figura più credibile dell’opposizione, quella che può coagulare intorno a sé una reale alternativa a Mugabe; gode del sostegno dei Paesi occidentali – penso agli Stati Uniti e, in particolar modo, alla Gran Bretagna. Quale futuro ci sarà per lui, è difficile prevederlo in questo momento.

    D. – Perché l’Unione Africana continua a ribadire che queste sono elezioni libere e regolari?

    R. – Il discorso è molto delicato: l’Unione Africana deve tenere insieme Paesi sinceramente democratici – penso alla Tanzania – e altri Paesi che sono governati da regimi autoritari se non addirittura dittatoriali. Spesso e volentieri, in questo conflitto interno, chi ha la meglio è la maggioranza dei Paesi con regimi autoritari, che tendono a non volere ingerenze da parte di osservatori dell’Unione Europea, dell’Onu e di altre organizzazioni internazionali per giustificare il proprio potere interno.

    D. – Quando è ipotizzabile, allora, un’uscita di scena di Mugabe?

    R. – Intanto, bisogna considerare che Mugabe ha 89 anni. Certamente, verrà tenuto in piedi da queste forze convergenti che trovano in lui ancora una garanzia, nonostante la sua età. Ed è molto probabile che rimarrà in piedi fino alla morte.

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    Raid tra Tunisia ed Algeria contro Al Qaeda, a Tunisi mobilitazione contro il governo

    ◊   E’ tensione al confine tra la Tunisia e l’Algeria. Stamani nella zona montuosa di Kasserine, forze aeree e terrestri tunisine hanno preso di mira la postazione di un gruppo terroristico, forse una cellula di al-Qaeda nel Maghreb, con ogni probabilità responsabile dell’uccisione di 8 soldati avvenuta nei giorni scorsi nella stessa zona. Un attacco che ha scioccato l’opinione pubblica ed ha scatenato accese proteste contro il governo, accusato di non essere in grado di garantire la sicurezza nel Paese. Domani è stata convocata una manifestazione per chiedere lo scioglimento dell’Assemblea costituente. Cosa sta accadendo politicamente nel Paese? Benedetta Capelli lo ha chiesto al prof. Luigi Serra, già preside della Facoltà di Studi arabo-islamici all’Università di Napoli:

    R. - Sta accadendo qualcosa che solo pochi coraggiosi hanno immaginato. C’è una presa di coscienza della gente povera e martoriata dalle istituzioni dei poteri dominanti fino a ieri.

    D. - Ma quali sono i diritti che le persone in Tunisia rivendicano?

    R. - Il diritto all’educazione, il diritto a poter disporre della propria libertà di opinione …

    D. - Come mai si è arrivati a questa situazione?

    R. - Perché la rivoluzione destabilizza. La rivoluzione di popolo - tale è quella che si è scatenata in Tunisia poi in Egitto, poi altrove, successivamente al suicidio del povero ambulante tunisino - destabilizza un potere, che se scompare con la scomparsa del dittatore, non scompare con il taglio alla radice. In Tunisia, come in Egitto, ci sono ancora le radici profonde dei successivi esponenti e rappresentanti di Ben Ali o di Mubarak. Questo è quello che va letto in termini storico politici ma anche antropologici. La gente lo avverte e avverte anche che quella destabilizzazione politica causata dalle rivoluzioni della "Primavera araba" ha rovinato e scosso gli insediamenti forti e dominanti degli interessi occidentali in quei Paesi.

    D. - Ma quanto hanno pesato o stanno pesando gli ultimi omicidi politici, in particolar modo la scorsa settimana del leader di sinistra Brahmi?

    R. - Gli ultimi omicidi politici pesano moltissimo, perché finalmente la libertà di espressione - pur nei limiti consentita, la presa di coscienza - anche questa pur nei limiti consentiti ormai da Internet dai nuovi vettori della comunicazione - hanno fatto capire alla gente che chi avverte l’obbligo, l’impegno politico di difenderla, finisce per morire. E allora ecco che la gente si erge a tutela... Quindi, Ennahda non trova più il suo consenso, i Fratelli musulmani in Egitto sono in crisi… Tutto questo si avvolge intorno agli episodi di questi giorni.

    D. - Eppure Ennahda ha aperto all’opposizione …

    R. - Ha aperto in termini avvertitamente strumentali oramai. Quindi un’altra forma di presa di coscienza della gente. Comincia a vedere più o meno chiaro anche nelle manovre politiche, ma, oggettivamente, profondamente dettate dai dogmi religiosi.

    D. - Quindi secondo lei, la Tunisia che è stato il Paese capofila della Primavera araba, sta aprendo un nuovo capitolo nelle rivoluzioni di questi Paesi e di quelli vicini?

    R. - Indubbiamente sì. La Tunisia sarà un’apripista. Finirà - pur con il travaglio che dovrà patire, con le titubanze che le cadranno addosso, proprio per il suo passato di maggiore disponibilità ad aperture democratiche - per dare ancora indicazioni di rotta che in altri Paesi arabi, musulmani, non sono ancora esplicitamente avvertite.

    D. - In Tunisia si sta registrando una nuova tensione alla frontiera con l’Algeria …

    R. - È una tensione forte, di antico retaggio, laddove l’Algeria è ben addestrata a mantenere sotto controllo tutti i suoi movimenti di popolo con delle milizie armate estremamente puntuali. Con la Tunisia, l’Algeria ha difficoltà a condividere le palpitazioni del popolo tunisino.

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    Datagate: la Russia concede l'asilo a Snowden. Usa: "profondo rammarico"

    ◊   Il Cremlino ha concesso l'asilo a Edward Snowden, l'ex agente della Cia che ha rivelato al mondo l'esistenza di “Prism”, il programma di sorveglianza telefonica e telematica globale. L’uomo ha ottenuto lo status di rifugiato in Russia e il conseguente permesso di soggiorno temporaneo di un anno, dopo cinque settimane passate nell'aeroporto di Mosca. La Casa Bianca ha comunicato “profondo rammarico” per la decisione. Che tipo di conseguenze avrà tutto questo sui rapporti tra Russia e Stati Uniti? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana ed esperto di questioni russe:

    R. - Io credo che non abbia conseguenze fondamentali, perché i rapporti tra Russia e Stati Uniti sono da molto tempo improntati ad un “sano” scetticismo, nel senso che ci sono certo degli atti formali di intesa, di collaborazione ma poi gli interessi delle due nazioni restano profondamente divergenti e tali resteranno. E sono questi interessi a dettare la condotta reale dei due governi.

    D. – Quali sono ad oggi i problemi tra queste due super potenze?

    R. – Sono due Paesi destinati in qualche modo a confliggere o, comunque, a confrontarsi, perché la Russia è un Paese che vive vendendo le risorse naturali e quelle energetiche in primo luogo. Ha quindi bisogno che i prezzi di queste risorse restino alti. Gli Stati Uniti sono un Paese, invece, che per tenere in moto la macchina produttiva ed anche la macchina dei consumi, ha bisogno che queste risorse restino basse. Da qui, per esempio, i tentativi dell’amministrazione Obama di rendere il Paese indipendente dal punto di vista del consumo di petrolio. Stante questa situazione, in linea generale, i due Paesi non possono che avere interessi divergenti.

    D. – Quanto questa decisione di Mosca è legata alla politica che il Cremlino sta attuando, per ribadire il proprio ruolo di primazia sullo scenario internazionale?

    R. – Per Putin certamente questa è un’ottima occasione non solo per rimarcare la propria indipendenza, la propria forza nazionale, ma è anche un’occasione per ributtare in campo americano la “palla”, tutto sommato abbastanza imbarazzante, della questione delle intercettazioni telefoniche, delle intercettazioni mail e così via, di cui Snowden è il personaggio principale, perché appunto ha rivelato al mondo il sistema americano. Non dimentichiamo che gli americani hanno mostrato di spiare tutto il mondo e in primo luogo di spiare, almeno in Europa, una nazione come la Germania. La giustificazione, quindi, del sistema spionistico, destinato a disinnescare le minacce terroristiche, cade abbastanza. Tutto questo ovviamente a Putin non dispiace.

    D. – C’è chi teme un ritorno ad un clima di Guerra fredda. Questo incontro a San Pietroburgo tra Obama e Putin, programmato in settembre, ci sarà?

    R. – Io credo proprio di sì. Credo proprio che, passato questo momento, in cui i portavoce fanno balenare l’ipotesi che l’incontro possa essere annullato, io sono abbastanza convinto che si farà.

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    Siria: esplode deposito armi ad Homs, decine di morti; ispettori Onu pronti a partire

    ◊   Non cessa l'ondata di sangue nei territori siriani: 40 le vittime e 120 i feriti per un'esplosione in un deposito di armi di Homs. Intanto l'esercito giordano ha sequestrato un grande quantitativo di munizioni al confine. I caschi blu dell'Onu si preparano a partire. Il punto, nel servizio di Federica Baioni.

    Le forze armate giordane hanno sequestrato una grande quantità di armi e munizioni al confine settentrionale con la Siria. L'annuncio è stato dato con un comunicato dell'esercito diffuso dalla televisione di Stato. Arrestati anche i contrabbandieri, la cui identità non è stata resa nota. Partiranno, invece, tra qualche giorno gli ispettori Onu incaricati di verificare l'eventuale uso di armi chimiche nel conflitto siriano. A riferirlo è Martin Nesirky, un portavoce delle Nazioni Unite. In totale all'Onu sono arrivate 13 denunce di presunti casi in cui sarebbero state usate armi proibite. Mentre continua senza sosta la scia di sangue nel Paese, sono almeno 40 le persone uccise nell'esplosione di un deposito di munizioni delle forze lealiste a Homs, colpito da alcuni razzi lanciati dai ribelli. I feriti sarebbero 120. Le stime arrivano dall' Osservatorio siriano per i diritti umani che cita fonti mediche sul posto. L’esplosione è avvenuta nel quartiere di Wadi al Thahab, a maggioranza alawita, come il presidente Bashar al Assad. Colpiti dai razzi lanciati dagli insorti anche i quartieri di Akrama e Al Zahra. La deflagrazione è documentata in un video diffuso dai ribelli. L'arsenale apparteneva alle forze fedeli al presidente Assad, che negli ultimi giorni hanno condotto un'avanzata verso il centro della città.

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    Mediaset: dopo conferma condanna, Berlusconi rilancia progetto "Forza Italia"

    ◊   Ha fatto immediatamente il giro del mondo la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, con la conferma della condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione; e il rinvio alla Corte d’appello di Milano per rideterminare l’interdizione di cinque anni dai pubblici uffici. L’ex premier parla di accanimento giudiziario senza precedenti, ma annuncia di voler restare in campo. E mentre il capo dello Stato Napolitano invita a rispettare la magistratura, le forze politiche riflettono sulle conseguenze della sentenza sul futuro della legislatura. Servizio di Giampiero Guadagni:

    Dopo sette ore di Camera di Consiglio i giudici della Cassazione hanno dunque confermato definitivamente la condanna di Berlusconi per frode fiscale in relazione all’acquisto di diritti televisivi, ma hanno rinviato alla Corte d'Appello di Milano la decisione sulla interdizione dai pubblici uffici. Dei quattro anni di reclusione, tre sono coperti da indulto, l’anno residuo è da scontare ai domiciliari o con l'affidamento ai servizi sociali. Decisione che sarà presa a metà ottobre. Tra 30 giorni, invece, la giunta delle immunità deciderà sulla decadenza del mandato da senatore di Berlusconi. E mentre i suoi legali, Coppi e Ghedini, preannunciano un ricorso nelle sedi europee, l’ex premier in un videomessaggio parla di sentenza fondata sul nulla, definendo irresponsabile una parte della magistratura. Quanto all’impegno politico, Berlusconi non intende lasciare, anzi rilancia per l’autunno il progetto Forza Italia. Nel frattempo il Pdl non sembra intenzionato a far cadere il governo. Immediate e numerose le reazioni. Cautela da Palazzo Chigi: gli interessi del Paese devono prevalere su quelli di parte, afferma il premier Enrico Letta. La sentenza va rispettata, eseguita ed applicata, sottolinea il segretario del Pd Epifani. Ma proprio sul Pd inizia il pressing di Sel e 5 Stelle che chiedono la fine della maggioranza delle larghe intese. Al Paese serve coesione e serenità, osserva il capo dello Stato Napolitano che, in una nota, chiede rispetto e fiducia verso la magistratura e sottolinea: ora ci sono le condizioni per una riforma della giustizia.


    Quali conseguenze avrà sul piano politico questa sentenza della Cassazione? Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Francesco Bonini, ordinario di Scienze politiche all’Università Lumsa:

    R. - Io credo che paradossalmente questa sentenza, e la situazione che ne consegue, rafforzi - quanto meno nel breve periodo - il presupposto di necessità da cui è nato il Governo Letta, con la partecipazione delle maggiori forze politiche e con l’intervento decisivo del capo dello Stato. Quindi, in questo momento, penso che il governo continui la sua navigazione, anche proprio nella situazione di smarrimento e di debolezza di tutte le forze politiche.

    D. - Quindi una debolezza che paradossalmente per il governo diviene un punto di forza…

    R. - Paradossalmente sì. Questa è quasi una legge di lungo periodo della legge italiana, per cui l’equilibrio deriva anche dalla debolezza degli interlocutori. Un tempo si diceva: lo stato di crisi permanente permette comunque di trovare stabilità. Certo è una situazione precaria, ma che comunque permette quanto meno, in questo momento, la sopravvivenza.

    D. - Prof. Bonini, lei pensa che vada fatta una riflessione sul rapporto tra giustizia e politica? C’è un certo disordine nei rapporti tra poteri dello Stato?

    R. - Certamente e ne ha fatto riferimento anche il capo dello Stato. E’ un problema che viene da lontano, viene ancora prima di Tangentopoli: il fatto che il nostro sistema costituzione - che si è retto per decenni su un equilibrio molto complesso - a un certo punto ha cominciato a dare dei segnali di scricchiolamento. Il problema non è tanto di cambiare regime - passare da un regime parlamentare a un regime presidenziale o semipresidenziale - quanto di far giocare effettivamente tutti i poteri dello Stato in coordinamento, in concordia. Invece stiamo assistendo, ormai da molti anni, ad una conflittualità - a volte latente, a volte esplicita - che finisce col far pagare a tutto il Paese dei costi molto alti, perché un sistema politico istituzionale che funziona male, rende il Paese certamente molto meno competitivo in Europa e anche ormai nel mondo globalizzato.

    D. - Questo disordine istituzionale quanto può incidere in negativo sulla vita democratica dell’Italia?

    R. - A lungo andare in maniera notevole, prima di tutto perché fiacca le istanze di partecipazione reale: la gente si sente allontanata dalla politica, dalla gestione della cosa pubblica e dalle istituzioni e questo quindi prova un senso di malessere e di distanza. Questo è un costo, alla lunga, molto grave. E poi c’è il costo dell’inefficienza: se le istituzioni non funzionano, se le leggi non si fanno, non si applicano nei termini giusti e nei termini efficaci, il Paese perde posizioni e la crisi economica morde in maniera molto più significativa in Italia che presso i partner concorrenti europei e anche extraeuropei. Quindi, costi molto alti!

    D. - Da tutta questa situazione, i cittadini come possono tornare a gestire il proprio Paese in prima persona?

    R. - Certamente associandosi, certamente facendo pesare il loro voto, il loro consenso e la loro voce e, quindi, certamente parlando. E poi sfruttando le possibilità di partecipazione che ci sono, ma sfruttando soprattutto quel tessuto di associazioni e di mondi vitali che ancora in Italia è forte ed è presente. Certo ci vogliono anche degli interventi per aprire la forma partito: non tanto nelle forme plebiscitarie di partecipazione una tantum, ma nelle possibilità di discussione. Si tratta poi di far ripartire anche i meccanismi di reclutamento dei giovani: sono i giovani tradizionalmente e strutturalmente quelli che hanno più voglia di partecipare. Se i giovani non trovano lavoro, se i giovani non trovano audience nelle istituzioni, se i giovani sono rinchiusi in loro stessi, tutto il sistema della partecipazione democratica ha dei gravissimi limiti e si respira quell’aria di progressiva decadenza che aleggia su tutto il nostro Paese.

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    Bologna: commemorazione civile e religiosa per le vittime della strage di 33 anni fa

    ◊   Ci sono date che entrano nella storia di un Paese e il 2 agosto 1980 è una di queste. A Bologna 33 anni fa una bomba alla stazione uccise 85 persone e ne ferì altre 200 nella sala d’aspetto della seconda classe. Oggi nel capoluogo emiliano le commemorazioni con istituzioni, parenti delle vittime e tanti cittadini per non dimenticare quella strage e chiedere giustizia. Da Bologna Luca Tentori.

    Un minuto di silenzio e poi un fischio di locomotiva alle 10.25, l’ora dell’esplosione della bomba. Si è ricordata così la strage di 33 anni fa alla stazione di Bologna. Migliaia le persone presenti alla commemorazione in comune, lungo le vie cittadine e davanti alla stessa stazione. Portare a compimento l’iter parlamentare di un disegno di legge sul nuovo reato di depistaggio, inserire definitivamente il risarcimento delle vittime di stragi e terrorismo nel pacchetto sicurezza del governo delle prossime settimane: sono i due impegni presi questa mattina a Bologna, dal ministro per gli Affari Regionali, Graziano Delrio, e dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. “La Repubblica ferita a morte si è rialzata con dignità grazie alla città di Bologna e ai familiari delle vittime. Vi dobbiamo molto - ha detto il ministro Delrio. La verità ancora manca, la domanda sui mandanti è grande come una montagna, ma noi non rinunciamo. La verità ci rende liberi, non è vendetta ma desiderio di giustizia”. Dal palco della stazione ha parlato anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha ricordato come oggi non ci sia ancora una completa giustizia sulla strage e questo crea distacco tra cittadini e istituzioni:

    “Io credo che ci sia questa incapacità di fare chiarezza fino in fondo tra i motivi per cui c’è questo distacco, questa incapacità di dirsi tutto fino in fondo, senza veli, di tradurre la verità e quindi di restituirla a una giustizia completa. Perché ancora noi questa giustizia completa non ce l’abbiamo. E allora come si fa a innamorarsi delle istituzioni?”.

    Nel ricordo religioso della Messa di suffragio per le vittime, il vicario generale della diocesi di Bologna, mons. Giovanni Silvagni, ha ricordato quanti hanno perso la vita quel 2 agosto 1980, sul treno Italicus nel 1974 e nella strage di Natale del 1984. Erano gente di stazione, gente semplice di treni:

    “Un lucido e premeditato disegno li ha voluti utilizzare come mezzo di ricatto e di pressione politica. Ha voluto fare del sacrificio della loro vita un emblema di terrore e un avvertimento sinistro per chi doveva capire. Così poca cosa è stata considerata la loro vita, ma preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi figli”.

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    Festa del Perdono. Mons Sorrentino: l'indulgenza è misericordia sovrabbondante di Dio

    ◊   Oggi ad Assisi è la Festa del Perdono: al Santuario della Porziuncola migliaia di pellegrini, anche partecipanti alla 23.ma edizione della Marcia Francescana, si ritrovano per le celebrazioni che culminano stasera con la Messa presieduta dal vescovo, mons. Domenico Sorrentino. Si rinnova, dunque, anche quest’anno, per i presenti, il dono dell’indulgenza plenaria che Francesco chiese e ottenne dal Papa nel 1216. Ma cosa lo spinse a farlo e quale è il significato dell’indulgenza? Gabriella Ceraso lo ha chiesto proprio a mons. Sorrentino:

    R. - Potremmo dire il desiderio di far tutti felici nel Signore. L’indulgenza - lo dice la parola stessa - è espressione di una misericordia sovrabbondante, che non si limita a perdonare i peccati, ma dà poi anche la forza, il coraggio e la perseveranza nell’incominciare un cammino di santità, perché in fondo di questo si tratta. Una misericordia che rende - diciamo - capaci di Paradiso. E di fatti Francesco proprio così si espresse: “Voglio mandarvi tutti in Paradiso”, voglio cioè rendervi tutti pieni di Dio in modo che, incontrando il Signore, abbiate non soltanto il perdono, ma anche una vita piena di Lui, piena di luce. In fondo questa è l’indulgenza: il perdono dei peccati, ma anche di quelle pene che ne derivano e che poi, in sostanza, sono le conseguenze del peccato, quelle che ci rendono anche dopo il perdono, così pesanti nell’aderire al bene. La grazia dell’indulgenza serve, invece, ad alleggerirci, a liberare cioè il nostro cuore da tutti questi detriti.

    D. - Quali sono le motivazioni che, tutt’oggi, spingono tanti pellegrini a visitare il santuario, ma soprattutto a chiedere questa grazia?

    R. - E’ un gran bisogno della tenerezza di Dio, della sua vicinanza e - attraverso questa esperienza - naturalmente di una riapertura dei giochi della vita e quindi delle relazioni anche con gli altri. Poi ciascuno porta dentro di sé le sue fatiche, le sue speranze, i suoi bisogni: quando si incontra Dio è sempre un mistero…

    D. - Perché resta così difficile fare esperienza del perdono, ma anche concedere il perdono?

    R. - L’una e l’altra cosa hanno a che fare con la durezza del nostro cuore, che è spesso distratto. Non dimentichiamo che ogni volta che si pecca è un indurimento ulteriore del cuore. C’è veramente bisogno della grazia dello Spirito Santo, che arriva come acqua che scioglie le durezze, che ci fa sentire amati. Ne abbiamo tutti bisogno, ma tante volte ci difendiamo dall’amore. E’ quello che ci sta ricordando Papa Francesco, ce lo sta dicendo tante volte: cerchiamo di non aver paura della tenerezza, sia di quella che dobbiamo esprimere tra di noi, sia di quella che dobbiamo ricevere. In fondo quello che si sperimenta alla Porziuncola in questi giorni santi è questo: è un grande intenerimento alla luce della tenerezza di Dio e anche di una Chiesa che si fa sentire di più vicina e madre.

    D. - Termini come misericordia, tenerezza; il termine stesso del perdono, rappresentano quello “stile di Dio” di cui Papa Francesco parla continuamente. Secondo lei perché il Papa insiste tanto e insiste, oggi, su questo?

    R. - Il Papa si rende conto di quello che tutti possiamo sperimentare. Siamo in un mondo in cui la tecnologia ha raggiunto i livelli che conosciamo, in cui - pur con tutte le contraddizioni - ci sono tante opportunità che l’uomo del Medioevo, l’uomo del passato non aveva, però siamo tutti piuttosto lontani, distratti, indifferenti. C’è veramente il rischio di una globalizzazione dell’indifferenza - come il Papa ha denunciato - invece della costruzione di un mondo in cui sia globalizzata la solidarietà, la tenerezza, l’accoglienza reciproca. Il Papa legge questo, ma lo leggiamo tutti con lui, perché è un’ evidenza.

    D. - Ovviamente quest’anno per voi, ma per tutta l’Umbria, è un anno speciale, perché la preparazione alle celebrazioni francescane del 4 ottobre devono mettere in conto la presenza del Papa quel giorno. Come la stata vivendo, cosa vi siete detti come comunità?

    R. - E’ un salto di qualità di tutto questo nostro cammino. Noi naturalmente siamo felicissimi, siamo contenti e siamo certi che la presenza del Papa ci aiuterà a rileggere i messaggi di sempre, che sono però di un’attualità sempre più stringente, e la sua modalità così semplice e efficace di toccare i cuori darà anche alla rilettura del messaggio di Francesco e del messaggio - prima ancora - di Gesù e del Vangelo, un calore inedito.

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    Compie 30 anni l’Arsenale della Pace. Olivero: una casa della speranza in cui si vede Dio

    ◊   Compie 30 anni l’Arsenale della pace. Era il 2 agosto 1983 quando un rudere ancora pieno di strumenti con cui si fabbricavano armi, veniva trasformato in casa della speranza e del ‘Sermig’, il Servizio missionario giovani. Uno spazio, arricchito oggi, dalla presenza di molteplici realtà, tra cui un poliambulatorio medico, una scuola di musica, un asilo e un oratorio. A presiedere la celebrazione eucaristica per l'occasione, mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, nella Chiesa dedicata a Maria Madre dei giovani. Dopo la Santa Messa, si svolge una marcia della speranza lungo le strade della città piemontese. Quale insegnamento si può trarre ripercorrendo il solco tracciato dall’Arsenale della pace lungo questi trenta anni? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al fondatore del Sermig, Ernesto Olivero:

    R. – Abbiamo maggiormente le chiavi del futuro. Futuro vuol dire che la Chiesa può diventare veramente il sogno di Dio, che la politica può diventare veramente servizio, che nessun uomo possa sentirsi escluso.

    D. – Quali, in particolare, i progetti realizzati nel corso di questi anni e quali, anche, le ambizioni per il futuro?

    R. – Quando siamo entrati qui, il 2 agosto del 1983, eravamo un piccolissimo gruppo missionario. ‘Sermig’ vuol dire appunto ‘Servizio missionario giovani’. Tutta una serie di appuntamenti, che Dio aveva previsto per noi, ci hanno allargato l’orizzonte. Io rimango veramente stupito nel pensare che la prima lettera, giunta all’Arsenale, è arrivata dal Carcere speciale di Palmi, dove le Brigate Rosse – attraverso Claudio Carboni, il capo dei Nuclei armati proletari (Nap) – chiedevano a noi di entrare in contatto con loro perché volevano uscire fuori da questo buco nero. Quando noi siamo entrati nell’Arsenale, non avevamo una lira. Ci volevano 100 miliardi per metterlo a posto! E abbiamo sentito l’esigenza di non bussare alle casse degli enti pubblici, ma di testimoniare questo nostro sogno. In poco tempo, milioni e milioni di persone dall’Italia e da tutto il mondo sono venute a portarci la loro disponibilità. E il primo Arsenale di guerra è stato trasformato in un Arsenale di pace. Se Dio vuole che facciamo altre cose, lui sa come dircelo, lui sa che noi siamo davvero disponibili ad aiutare, specialmente i giovani, a capire il senso profondo che hanno nel cuore.

    D. – Capire il senso profondo del cuore, come fece Paolo VI nel 1974, quando la accolse in udienza. Lei era un giovane con la speranza, nel cuore, in una Chiesa nuova …

    R. – Si è lasciato interpellare da me, quando io ho detto al Santo Padre: “Questa Chiesa non ci piace: è troppo staccata dalla gente! I giovani non la vedono”. Il Papa non ha sentito da me un atto di accusa, ma un atto d’amore. E il Papa mi ha abbracciato e mi ha detto che avevo ragione. Mi ha detto che sperava si potesse realizzare da Torino, dal Piemonte – terra di Santi – una rivoluzione d’amore. Quindi, una riconoscenza immensa per questo grandissimo uomo di Dio che non si è lasciato scandalizzare dalle frasi di un ragazzo, che poteva sembrare inopportuno …

    D. – L’Arsenale è una testimonianza viva di come, con la forza del Vangelo, si possano disarmare l’odio e le voci della guerra …

    R. – Noi siamo cresciuti grazie a quel campanello che ha suonato. Quando la gente ha visto ‘Arsenale della pace’, Casa della speranza’ è venuta a portarci la propria disperazione, le proprie vite. E quante persone sono uscite fuori da giri immondi, banditi, persone che sono scappate dai loro Paesi … L’Arsenale è una delle tante testimonianze del fatto che Dio esiste e che la bontà della gente è capace di cambiare tante, tante situazioni …

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    Don Silla: discarica vicino al Santuario del Divino Amore, idea forsennata

    ◊   Slitta di almeno due giorni la scelta della nuova discarica di Roma. E’ questo il tempo indicato dal sindaco della Capitale, Ignazio Marino, per studiare la relazione del commissario, Goffredo Sottile. Nel dossier, il sito individuato per la discarica si trova nella zona di Falcognana, area non lontana dal Santuario del Divino Amore. Ma si tratterebbe di una scelta forsennata, come sottolinea al microfono di Federico Piana il rettore del Santuario, don Pasquale Silla:

    R. - Ho pensato, più che altro, ai parrocchiani che abitano lì intorno, che ovviamente non possono essere d’accordo, perché la discarica si trova proprio a due passi dal centro abitato della Falcognana. Poi in quella zona ci sono la Via della Falcognana e la Via Ardeatina che portano tanta gente - anche a piedi - verso il Divino Amore, specialmente in alcuni periodi dell’anno, quando fanno i pellegrinaggi a piedi. Certo, sentire i “profumi” della discarica, non consente un pellegrinaggio ristoratore!

    D. – Quindi, ci sarebbe un danno non solo per la popolazione, ma anche per il Santuario...

    R. - Il Santuario, ovviamente, non può godere di queste realtà, prima di tutto perché non hanno avvisato nessuno. Nessuno ne parla e all’improvviso, questa funesta notizia della discarica. Credo che si potrebbe anche ragionare con la gente, e non lo fanno perché hanno paura del fatto che la discarica non la vuole nessuno. La discarica dovrebbe stare almeno a cinque km da un centro abitato, non può stare sotto il naso della gente! Roma ha questo Santuario che dovrebbe custodire gelosamente e difendere!

    D. - Come giudica in queste ore le proteste dei cittadini, che hanno manifestato il loro disappunto bloccando l’Ardeatina?

    R. - I cittadini hanno tutto il diritto di manifestare. Ovviamente in modo civile, però hanno il diritto di far sentire la loro voce.

    D. – Se la sente di fare un appello al commissario Sottile, al sindaco e al ministro dell’Ambiente Orlando?

    R. - Il mio appello è questo: prima di precipitarsi in una zona, sarebbe bene avvertire la gente, ragionare, spiegare le motivazioni … La gente non è fuori di senno; lo sa che certe cose vanno fatte, però sa anche che vanno fatte in un determinato modo e in determinato luogo. Questo è il mio appello. Se si dialogasse un po’ di più con la gente probabilmente qualche problema si risolverebbe.

    D. - Quindi un appello a ripensare questa decisione?

    R. - Me lo auguro! È un’idea forsennata quella di fare una discarica in quel luogo! Quindi mi auguro veramente che possano rifletterci per trovare una soluzione ottimale.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Rohani: Israele, ferita che va rimossa. Netanyahu: Iran, minaccia per la pace

    ◊   Sale la tensione a Teheran dove, come ogni anno in occasione della giornata di al-Quds, milioni di persone sono scese in piazza in solidarietà con il popolo palestinese, in coincidenza dell’ultimo venerdì del mese sacro del Ramádan, scandendo slogan contro Israele e contro gli Stati Uniti. La giornata fu creata nel 1979 dagli ayatollah. Alla manifestazione ha parlato anche il neopresidente Rohani, il cui governo – composto da 10 ministri del fronte conservatore, 12 moderati e 6 riformisti – s’insedierà domenica, presentandosi in Parlamento per ottenere il voto di fiducia. “Israele rappresenta una vecchia ferita sul mondo musulmano che va rimossa”, ha detto, esprimendo anche dubbi sulla ripresa dei negoziati di pace israeliano-palestinesi a Washington, definendo Israele “un corpo estraneo” che nei colloqui “ha una buona opportunità di paludarsi da attore pacifico, laddove la sua natura continua a essere quella dell’aggressore”. Immediata la reazione di Tel Aviv attraverso il premier Netanyahu, secondo cui oggi Rohani ha mostrato il suo “vero volto”. “Anche se gli iraniani tenteranno di smentire queste dichiarazioni – ha detto – ciò è effettivamente quello che quest’uomo pensa e il piano di questo regime”. Netanyahu ha poi invitato il mondo ad aprire gli occhi: “In Iran il presidente è cambiato, ma l’obiettivo resta quello di dotarsi di armi nucleari per minacciare Israele, il Medio Oriente e la pace e la sicurezza mondiali”. (R.B.)

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    Libano: due razzi colpiscono la periferia di Beirut

    ◊   Due razzi di provenienza ignota si sono abbattuti sulla periferia di Beirut, in Libano, e precisamente nel sobborgo di Baabda. Il primo si è schiantato nel giardino di una casa nei pressi della Presidenza della Repubblica; l’altro, invece, è caduto vicino a un campo di addestramento militare, a qualche chilometro dal centro della città. Si tratta del terzo episodio di questo genere nel giro di due mesi e anche stavolta potrebbe essere legato allo scontro tra fazioni di sostenitori e oppositori del governo di Assad, nella vicina Siria sconvolta dalla guerra civile, ma il ministro dell’Interno libanese, Marwan Charbel, ha fatto sapere di non essere in grado di identificare la provenienza degli ordigni. L’attacco è avvenuto dopo che il presidente Michel Suleiman, in occasione della Giornata delle forze armate, aveva criticato apertamente Hezbollah per il suo coinvolgimento nel conflitto siriano al fianco delle truppe lealiste. (R.B.)

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    Siria: una piccola Gmg nel cuore di Aleppo, sfigurata dalla guerra

    ◊   Una piccola Gmg dei giovani cristiani di Aleppo, in Siria, si è svolta domenica scorsa in concomitanza con la Messa conclusiva celebrata da Papa Francesco alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio. A riferirlo è l’agenzia Fides, che parla di una giornata di preghiera, convivenza tra ragazzi di tutte le confessioni in comunione con lo spirito dei giovani radunati sulla spiaggia di Copacabana in Brasile, trascorsa da 850 giovani presso il centro per la Gioventù George e Matilde Salem gestito dai salesiani nel quartiere di al-Sabeel. Quattro vescovi cattolici hanno partecipato all’evento, tra cui il cattolico armeno mons. Boutros Marayati che racconta come al termine della giornata si sia celebrata la consacrazione dei giovani siriani al Cuore Immacolato di Maria. “Mi sono meravigliato nel vedere tanti giovani senza paura in una città sfigurata dalla guerra – è stata la sua testimonianza commossa – tutti testimoniavano una pace interiore che è certo il dono del Signore”. “Si è rafforzata la percezione della tenerezza di Gesù per ognuno di loro – ha aggiunto, citando anche il richiamo del Santo Padre ai giovani della Gmg di non lasciarsi rubare la speranza – e molti cominciano a pensare di consacrarsi nel servizio ai fratelli e nella preghiera”. I ragazzi, poi, hanno anche provato a contattare via Internet i giovani a Rio, ma le linee telefoniche non funzionavano. (R.B.)

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    Congo. L'Onu crea una zona di sicurezza intorno alla città di Goma

    ◊   Proteggere un milione di civili - tra profughi e abitanti - presenti nella città di Goma è lo scopo principale della missione Onu per la stabilizzazione del Congo (Monusco) che ha decretato una zona di sicurezza intorno al capoluogo del Nord Kivu, dove da settimane è in corso un’offensiva dell’esercito congolese contro i guerriglieri del movimento del 23 marzo (M23) e di altri gruppi armati che operano nella provincia. La missione, che dovrà essere rafforzata dalla cosiddetta brigata di pronto impiego - composta da circa tremila uomini e non ancora operativa - è criticata dalla popolazione locale che non si sente sufficientemente protetta dai soldati dell’Onu. Secondo quanto riferisce l’agenzia Misna, il portavoce della missione Monusco, Martin Nesirky, ha annunciato che le forze di mantenimento della pace dell’Onu insieme alle forze di sicurezza congolesi continueranno a pattugliare l’area per assicurarsi che non circoli alcuna arma non autorizzata. precisando che non si tratta di un’operazione offensiva né di un’azione diretta verso uno specifico gruppo armato. Secondo fonti diplomatiche, la mossa della missione Monusco è a puro scopo dissuasivo, poiché il movimento M23 non risulta presente nella zona di sicurezza delimitata dai caschi blu. Infine, secondo una nota inviata dalla Rete pace per il Congo all’agenzia Fides, i militari congolesi iniziano ad essere apprezzati dalla popolazione: le prime vittorie dell’esercito hanno riacceso la speranza nella popolazione che, stanca della guerra e delle angherie degli atti compiuti dall’M23, non desidera altro che la sua sconfitta totale e definitiva. Ora la gente del Nord Kivu incoraggia i militari, facendo collette per procurare loro il cibo necessario e, addirittura, accompagnandoli fino alla linea del fronte (F.B.)

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    Ambasciate Usa in Medio Oriente chiuse il 4 agosto

    ◊   Per non meglio specificate ragioni di sicurezza, domenica 4 agosto resteranno chiuse molte sedi diplomatiche degli Stati Uniti in Medio Oriente. Lo ha annunciato Marie Harf, portavoce del Dipartimento di Stato americano, precisando che dopo questa giornata Washington tornerà a valutare la situazione. Interessate alla serrata, dunque, saranno le ambasciate e i consolati di Egitto, Bahrein, Israele, Giordania, Kuwait, Libia, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Yemen, Afghanistan e Bangladesh, ma non è stato specificato se e quali sedi sono interessate da minacce concrete. (R.B.)

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    Caritas Taiwan finanzia un progetto per una scuola in Mongolia

    ◊   Un carico composto da circa 500 banchi e 30 tavoli per la mensa, destinato a una scuola cattolica della Mongolia rurale, è in partenza grazie alla collaborazione tra la Caritas di Taiwan e il ministero degli Affari esteri di Taipei. La spedizione avverrà via mare con due container che approderanno nella Cina continentale e poi proseguiranno il viaggio via terra. Come riferisce AsiaNews, la Caritas è attiva a Taiwan dal 1969 e si è sempre occupata di sostenere progetti nei Paesi asiatici meno sviluppati, quali – nel caso specifico – la Mongolia, che ha ancora diversi problemi legati alla distribuzione della ricchezza tra la popolazione, con grandi disuguaglianze tra la popolazione delle città e quella nelle campagne. Secondo le stime più recenti, inoltre, i cristiani di tutte le confessioni rappresentano il 2% della popolazione, la maggioranza della quale è buddista con influenze sciamaniche e della tradizione locale. I cattolici sono appena 415 e da sempre sono impegnati in attività sociali quali centri d’accoglienza per gli orfani e gli anziani, cliniche e scuole. (R.B.)

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    Corea del Sud: la Chiesa locale spera in una visita del Papa

    ◊   La Chiesa sudcoreana vivrebbe con grande gioia una visita di Papa Francesco nel Paese. Le speranze si sono accese nel clero e nei fedeli, dopo che il Santo Padre dalla Gmg di Rio ha detto: “In Asia si deve andare”. E allora la Corea del Sud è una meta più che possibile perché “la Chiesa coreana è in crescita e il Paese è l’unico riuscito a combinare sviluppo economico e spirituale, tanto che da terra di missione è diventata terra di missionari” e inoltre è un centro di evangelizzazione per tutto il continente. Il Paese, inoltre, l’anno prossimo ospiterà la Giornata asiatica della gioventù e la Chiesa auspica anche la beatificazione dei 124 martiri coreani. La visita del Papa “è un evento che se diventasse realtà sarebbe una festa per tutto il continente”, ha detto ad AsiaNews il vescovo di Daejon, mons. Lazzaro You Heung-sik, un incoraggiamento forte per un Paese ancora diviso, sofferente e minacciato da continue tensioni. (R.B.)

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    India: il clero dell’Andra Pradesh studia la “Lumen Fidei”

    ◊   “Una lettura difficile da comprendere a un primo sguardo, ma colma di santa saggezza e conoscenza”. Così padre Gorantia Johannes, presidente della Conference of religious India dello Stato dell’Andra Pradesh e provinciale dei carmelitani, definisce la lettura e disamina comunitaria che il clero locale ha fatto della “Lumen Fidei”, l’Enciclica di Papa Francesco pubblicata il 5 luglio scorso. L’agenzia AsiaNews precisa che il 28 luglio scorso i religiosi della diocesi di Vijayawada si sono riuniti in un incontro che aveva come scopo proprio lo studio di questo documento pontificio che completa l'opera sulle tre virtù teologali avviata dal Papa emerito Benedetto XVI nella “Deus Caritas Est” del 2005 e nella “Spe Salvi” del 2007. All’incontro hanno partecipato 75 tra sacerdoti e suore. “Una risorsa chiave per la nuova evangelizzazione – l’ha definita ancora il religioso – che consente di riscoprire la fede dei nostri padri e che si basa su ricordi del passato e nasce da un incontro con Dio”. “La fede illumina la memoria – ha aggiunto – offre una nuova visione della vita e ci spinge ad avere rinnovato coraggio per la missione, quindi è necessario avere una visione unica di come il clero è parte della Chiesa universale e cosa possiamo fare per la Chiesa dell’Andra Pradesh”. (R.B.)

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    Paraguay. Mons. Medina Salinas: ridare la terra ai contadini

    ◊   Si è svolta presso l’università cattolica Nostra Signora dell’Assunta a San Juan Bautista de las Misiones, in Paraguay, la cerimonia per la consegna dei titoli di proprietà terriera ai contadini dell’area di Misiones e Ňeembucú. Grande soddisfazione in merito è stata espressa dal vescovo locale, mons. Mario Melanio Medina Salinas, che aveva più volte lamentato la mancanza di una riforma agraria come pecca mostrata da tutti i governi, e che si è congratulato con l’attuale amministrazione per la consegna dei titoli, perché “è importante dare sicurezza alle famiglie”. Dell’amministrazione alla cerimonia ha partecipato il direttore dell’Istituto nazionale per lo Sviluppo rurale e della terra. Il presule ha aggiunto che il Paese ha bisogno di molto terreno pubblico, che tuttavia non viene concesso a chi ne ha necessità, sottolineando al tempo stesso l’importanza della formazione in agroecologia e chiedendo di sostenere le scuole agrarie per non farle chiudere e lanciando un appello contro la miseria: “I contadini devono ritrovare la speranza – ha detto alla Fides – così come i cittadini e l’intero Paese”. (R.B.)

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    Ucraina: scuola d'iconografia promossa dai Cappuccini

    ◊   Nei giorni scorsi i Frati Minori Cappuccini del convento della Presentazione del Signore di Uschorod, in Ucraina, hanno organizzato e guidato una scuola di iconografia, la “Eikonon Schole”. L’insegnante è stato Sergiej Gubicki, guardiano del convento dei cappuccini di Stary Konstantynow, che ha frequentato il liceo di plastica e da molti anni dipinge icone e insegna a dipingerle, rilasciando agli allievi un certificato di frequenza e di abilitazione. Le icone realizzate dagli allievi sono state benedette dal vescovo greco cattolico Milan Šašik, ordinario della diocesi greco-cattolica di Mukachevo. La scuola insegna non solo a dipingere le icone, ma anche a collocarle nel loro “ambiente naturale”, cioè dove rappresentano un elemento della vita quotidiana della gente: nelle chiese e nelle case. “Le icone - spiega frate Justyn Rusin, della fraternità greco-cattolica dei cappuccini di Uschorod - con la loro splendida policromia formano parte dell’iconostasi e delle vetrate delle chiese orientali, e si possono trovare anche nelle edicole costruite lungo le strade e nei crocicchi”. (A cura di padre Egidio Picucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 214

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.