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Sommario del 05/09/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: Gesù tiene nelle sue mani la Chiesa di tutti i tempi
  • Accogliete Cristo non la cupa mentalità del relativismo: così il Papa ai laici cattolici dell'Africa
  • Convegno ecumenico internazionale di Bose: le Chiese si confrontano sull'ecologia
  • L'intervento del cardinale Amato al Congresso Mariologico Mariano Internazionale
  • Mons. Scicluna: parola del Papa limpida e chiara contro gli abusi di potere nella Chiesa
  • La Radio Vaticana in visita alle emittenti cattoliche Usa. Messaggio di mons. Celli
  • Musei Vaticani: riprendono le aperture in notturna dal 7 settembre al 26 ottobre
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Strage di bambini in Siria. 23 piccoli uccisi in un bombardamento ad Aleppo
  • Usa: Michelle Obama protagonista assoluta alla prima giornata della Convention democratica
  • Mali. Governo transitorio chiede intervento internazionale nella crisi al Nord
  • Vittoria dei separatisti in Quebec. Sparatoria a Montreal: un morto ed un ferito
  • Vandalismo anticristiano. Il Patriarca Twal: non bastano le condanne, Israele fermi gli estremisti
  • L'eredita di Madre Teresa a 15 anni dalla morte: "I giovani appassionati dalla sua vita"
  • Presentata a Roma l’iniziativa di Rns “10 piazze per 10 comandamenti”, maratona della fede lungo l'Italia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: sfollati in scuole, chiese e moschee per sfuggire al conflitto
  • Siria: i Salesiani denunciano violenze e rapimenti a scopo di riscatto
  • Somalia: bombardamenti su Kismayo, civili in fuga
  • Colombia: le tappe del negoziato governo-Farc da Oslo a L'Avana
  • Rincari alimentari nel mondo: l'Onu teme una nuova crisi
  • Africa: oltre la metà dei bambini non è iscritta all'anagrafe
  • Cipro: messaggio del cardinale Bagnasco all’incontro sulla coesione sociale europea
  • Washington: Conferenza internazionale sulla libertà religiosa
  • Filippine. Agguato ad attivista per i diritti umani a Mindanao: ucciso suo figlio 11enne
  • Pakistan: il fenomeno delle conversioni forzate spesso legato alla malavita
  • Sri Lanka: i profughi tamil in India preferiscono non rientrare in patria
  • India: nel Tamil Nadu 184 pellegrini srilankesi aggrediti al Santuario di Vailankanni
  • Bolivia: solidarietà dei vescovi per l'agenzia cattolica querelata dal governo
  • Anglicani: ad ottobre l'annuncio del nuovo arcivescovo di Canterbury
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: Gesù tiene nelle sue mani la Chiesa di tutti i tempi

    ◊   È Cristo che ha in mano i destini della Chiesa e per capirne gli orientamenti un cristiano non ha che un modo: pregare. All’udienza generale nuovamente celebrata in Aula Paolo VI, dopo la parentesi estiva a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha proseguito la sua “scuola di preghiera”, incentrando la catechesi sul Libro dell’Apocalisse. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Puoi essere la persona più sola sulla terra, la più triste: se preghi, avrai consolazione “nei momenti bui” e imparerai ad amare Dio, e a sentire accanto l’amicizia di Cristo e così non potrai più fare a meno di pregare, in una continua dinamica d’amore che cambia la vita. È un messaggio coinvolgente nella sua immediatezza quello che Benedetto XVI desume sfogliando le pagine di un libro che egli stesso definisce invece “difficile”, il Libro dell’Apocalisse. Il Papa si è addentrato nella struttura del testo di S. Giovanni, presentandone sinteticamente le tre fasi di cui si compone la prima parte. Nella prima fase, protagonisti sono l’assemblea e il lettore che presenta ad essa un messaggio affidato da Gesù all’Evangelista. Siamo alle battute iniziali, nelle quali l’assemblea si mette in atteggiamento di preghiera, ovvero, ha indicato il Pontefice, in “ascolto di Dio che parla”:

    “La nostra preghiera deve essere anzitutto ascolto di Dio che ci parla. Sommersi da tante parole, siamo poco abituati ad ascoltare, soprattutto a metterci nella disposizione interiore ed esteriore del silenzio per essere attenti a ciò che Dio vuole dirci. Tali versetti ci insegnano inoltre che la nostra preghiera, spesso solo di richiesta, deve essere invece anzitutto di lode a Dio per il suo amore, per il dono di Gesù Cristo, che ci ha portato forza, speranza e salvezza”.

    “Afferrata dall’amore di Cristo”, l’assemblea viene esortata a “coglierne la presenza nella propria vita”. Dice il suo “sì” a Dio il quale, ha affermato Benedetto XVI, si le si manifesta dunque “come l’inizio e la conclusione della storia”, “attivo con il suo amore nelle vicende umane” del passato e del futuro, fino al “traguardo finale”. Anche in questo caso, ha osservato il Papa…

    “La preghiera costante risveglia in noi il senso della presenza del Signore nella nostra vita e nella storia, e la sua è una presenza che ci sostiene, ci guida e ci dona una grande speranza anche in mezzo al buio di certe vicende umane; inoltre, ogni preghiera, anche quella nella solitudine più radicale, non è mai un isolarsi e non è mai sterile, ma è la linfa vitale per alimentare un’esistenza cristiana sempre più impegnata e coerente”.

    Nella seconda fase, Cristo si fa più vicino all’assemblea, lasciandosi vedere dalla comunità, parlandole e agendo. A questo punto il lettore presenta le immagini che lo Spirito evoca in Giovanni. È un lungo, potente momento contemplativo, dominato dai segni della luce e del fuoco, simbolo – ha detto il Papa – “dell’intensità gelosa” dell’amore di Dio, della sua eternità, della sua vittoria sul male. Giovanni fa “una stupenda esperienza del Risorto”, al punto che sviene e cade come morto:

    “Una cosa bella questo Dio davanti al quale viene meno, cade come morto. E’ l’amico della vita, e gli pone la mano sulla testa. E così sarà anche per noi: siamo amici di Gesù. Poi la rivelazione del Dio Risorto, del Cristo Risorto, non sarà tremenda, ma sarà l’incontro con l’amico”.

    Nella terza fase, il lettore propone all’assemblea un messaggio in cui Gesù parla in prima persona. Un messaggio indirizzato alle sette Chiese dell’Asia Minore, ma che – ha concluso Benedetto XVI – va inteso diretto “alle chiese di ogni tempo”:

    “Tutte le Chiese devono mettersi in attento ascolto del Signore, aprendosi allo Spirito come Gesù richiede con insistenza ripetendo questo comando sette volte: ‘Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese’. L’assemblea ascolta il messaggio ricevendo uno stimolo per il pentimento, la conversione, la perseveranza, la crescita nell’amore, l’orientamento per il cammino”.

    Molti, fra i tanti, i saluti indirizzati da Benedetto XVI ai giovani, specie ai cresimandi, in diverse lingue al termine della catechesi. In particolare, ai ragazzi reduci dal Genfest di Budapest, il Papa ha detto di essere “forti nella fede cattolica” lasciando “che la gioia semplice, l'amore puro e la pace profonda che provengono dall'incontro con Gesù Cristo vi rendano testimoni luminosi della Buona Novella fra i giovani delle vostre terre”.

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    Accogliete Cristo non la cupa mentalità del relativismo: così il Papa ai laici cattolici dell'Africa

    ◊   Accogliete Cristo e non la cupa mentalità del relativismo e del nichilismo: questa l’esortazione del Papa nel suo Messaggio al Congresso panafricano dei laici cattolici in corso a Yaoundé in Camerun sul tema “Testimoni di Gesù Cristo in Africa oggi. Sale della terra... luce del mondo (Mt 5,13.14)”. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    L’appello del Papa ai laici cattolici dell’Africa è forte: “Non lasciate mai – scrive - che la cupa mentalità relativista e nichilista che colpisce varie parti del nostro mondo, apra una breccia nella vostra realtà! Accogliete e diffondete con forza rinnovata il messaggio di gioia e di speranza che porta Cristo, messaggio capace di purificare e rafforzare i grandi valori delle vostre culture”. Nell’annuncio del Vangelo – ribadisce Benedetto XVI – “i fedeli laici hanno un ruolo insostituibile”, perché sono “ambasciatori di Cristo nello spazio pubblico, nel cuore del mondo”. Presenta quindi l’esempio della santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese convertita alla fede, che non poteva tenere per sé la gioia di essere stata liberata da Gesù: era una speranza che voleva arrivasse anche a molti altri. Il sale non deve diventare insipido – afferma il Papa – riferendosi ad una fede che non si fa annuncio. “La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia”. Quindi cita Giovanni Paolo II quando diceva che “La fede si rafforza donandola”.

    Il Papa chiama l’Africa a diventare il “Continente della speranza” nonostante i suoi problemi “gravi e di non facile soluzione, e non solo per le difficoltà materiali, ma anche per ostacoli spirituali e morali che pure la Chiesa incontra”. Gli stessi “valori tradizionali più validi della cultura africana oggi sono minacciati dalla secolarizzazione, che provoca disorientamento, lacerazioni nel tessuto personale e sociale, esasperazione del tribalismo, violenza, corruzione nella vita pubblica, umiliazione e sfruttamento delle donne e dei bambini, crescita della miseria e della fame. A questo si aggiunge anche l'ombra del terrorismo fondamentalista, che di recente ha preso di mira le comunità cristiane di alcuni Paesi africani. Se però, con uno sguardo più profondo, guardiamo al cuore dei popoli africani – sottolinea Benedetto XVI - scopriamo una grande ricchezza di risorse spirituali, preziose per il nostro tempo. L'amore alla vita e alla famiglia, il senso della gioia e della condivisione, l’entusiasmo di vivere la fede nel Signore, che ho potuto constatare nei miei viaggi africani, sono ancora impressi nel mio cuore”.

    “Evangelizzare per la Chiesa – afferma il Papa citando Paolo VI - è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa”. Per questo – conclude “tutta l'Africa oggi attende gli «ambasciatori» della Buona Novella, fedeli laici provenienti dalle parrocchie, dalle Communautés Ecclésiales Vivantes, dai movimenti ecclesiali e dalle nuove comunità, innamorati di Cristo e della Chiesa, pieni di gioia e riconoscenza per il Battesimo che hanno ricevuto, coraggiosi operatori di pace e annunciatori di autentica speranza”.

    Stamani ha svolto il suo intervento a Yaoundé il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, dicastero che ha organizzato l’evento. Il porporato, parlando dei fondamentalismi nati recentemente in Africa, ha sottolineato come nel continente siano tornati “i martiri della fede”. “La Chiesa cattolica in Africa – ha quindi rilevato - vive oggi un periodo di grande dinamismo, cercando di rafforzare il suo slancio evangelizzatore. È una Chiesa giovane: gran parte dei Paesi dell’Africa ha ricevuto il primo annuncio del Vangelo meno di duecento anni fa… Ma è anche una Chiesa che cresce numericamente. Nel 1900 i cattolici erano 1 milione e 900 mila, nel 2000 ammontavano a 139 milioni. Secondo i dati dell’Annuario Statistico della Chiesa del 2012, oggi i cattolici in Africa sono 185 milioni, cioè il 18,3% della popolazione globale del continente che conta oltre un miliardo di persone. Tuttavia, nonostante l’importante crescita numerica, i cattolici in Africa restano una minoranza, ma una ‘minoranza creativa’, consapevole cioè di essere determinante per il futuro di questo continente” E “sicuramente – ha proseguito il cardinale Ryłko - una delle grandi speranze della Chiesa in Africa sono i laici - uomini e donne consapevoli della propria vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. È un laicato con grandi potenzialità spirituali, che ha bisogno però di essere ancora risvegliato! Da qui l’urgenza della formazione”. “Occorre che i fedeli laici assumano fino in fondo la propria responsabilità nel portare avanti la missione della Chiesa nel mondo” che significa anche “dare il proprio contributo concreto alla costruzione di una società africana più rispettosa della dignità della persona umana, dei suoi diritti fondamentali, di una società più solidale con i deboli e i poveri”. Oggi – ha concluso il porporato – anche in Africa “è scoccata l’ora del laicato”.

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    Convegno ecumenico internazionale di Bose: le Chiese si confrontano sull'ecologia

    ◊   “L’uomo custode del creato”: su questo tema s’incentra la XX edizione del Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa che si è aperto oggi presso la Comunità di Bose. Esponenti della Chiesa ortodossa e cattolica e rappresentanti della Comunione anglicana rifletteranno sulla dimensione teologica e spirituale del rapporto dell’uomo con l’ambiente e sulle possibili risposte di fronte all’attuale crisi ecologica del pianeta. Tanti i messaggi augurali arrivati per l’occasione. L’auspicio di Benedetto XVI è che le giornate di studio “possano favorire la conoscenza reciproca e suscitare un rinnovato comune impegno nella tutela del creato dono di Dio”. Ma che cosa ha a che fare la fede cristiana con il problema dell’ambiente? Adriana Masotti lo ha chiesto al priore di Bose, Enzo Bianchi:

    R. – Una lettura già della Bibbia ci dice che c’è un’intima comunione di vocazione e di destino tra noi e la creazione. La natura non è semplicemente lo scenario per noi uomini e per la nostra storia: c’è una comunità anzitutto di co-creature. Siamo tutte creature volute da Dio, che dividiamo lo stesso spazio e ci dice Paolo – nella Lettera ai Romani, capitolo 8 – con un unico destino: “tutta la creazione soffre e geme come nelle doglie del parto e attende, lei pure, la salvezza insieme a noi”. Noi dobbiamo avere un impegno di responsabilità così da avere una sinergia con quelle che sono le energie della Resurrezione, dello Spirito Santo, in modo di predisporre tutto, affinché la creazione possa diventare davvero “quei cieli nuovi e terra nuova” di cui ci parla l’Apocalisse. E poi noi cristiani non dovremmo dimenticare che tutta la creazione è avvenuta per Cristo e in vista di Cristo. Dunque c’è una presenza cristica in tutta la creazione: noi dobbiamo percepire che i cieli raccontano la gloria di Dio, come dicono i Salmi; che le montagne danzano davanti a Lui; che i fiumi battono le mani. C’è una lode, una liturgia della creazione che viene prima ancora della lode della Liturgia del popolo dei credenti.

    D. – Nel suo messaggio, il Patriarca Bartolomeo I scrive che “proseguire l’attuale distruzione ecologia è un suicidio e va considerato un peccato contro Dio”…

    R. – Sì. Noi oggi non siamo purtroppo abbastanza capaci di parlare di peccati contro la natura. Noi dobbiamo fare più attenzione all’educazione in modo che chi cresce senta questa comunità di co-creature cui appartiene, senta la sua responsabilità verso tutta la natura così che tutto sia salvato e che tutto possa entrare in Dio.

    D. – Oltre a prendere coscienza di tutto questo, ci sono anche delle cose che possiamo fare? Usciranno delle proposte concrete dal vostro convegno?

    R. – Credo di sì, perché ci sono delle relazioni molto importanti da parte di teologici cattolici ortodossi, che vogliono dare delle indicazioni ai cristiani. Credo però che abbiamo anche un magistero: il messaggio di Benedetto XVI di due anni per la “Giornata della pace” che era incentrato proprio sull’ecologia, diceva già che i cristiani devono assumere uno stile che possa davvero portare a un nuovo rapporto tra noi e la natura. Penso a qualcosa che possiamo fare tutti: il rispetto degli animali, il rispetto dei vegetali, il rispetto dell’ambiente. Penso poi però anche alla sobrietà nei consumi. Le vie sono molte, dobbiamo soltanto diventare più consapevoli che questa via è una via anche cristiana, appartiene all’etica cristiana.

    D. – La giornata conclusiva sarà dedicata in particolare, alla riflessione su come la ricchezza della tradizione ortodossa possa tradursi, riguardo al problema ecologico, in una nuova pratica del rapporto con il mondo naturale. Ci può essere, dunque, uno scambio prezioso tra le diverse tradizioni cristiane su questo fronte?

    R. – Con ogni probabilità sì. Diciamo che nella spiritualità monastica ortodossa c’è quella contemplazione, quel canto della bellezza e quella solidarietà della natura che noi in Occidente abbiamo avuto soprattutto con San Francesco: là è più presente in molti santi. Ultimamente il Patriarca di Costantinopoli dedica molto sforzo a questo tema, ma anche la Conferenza episcopale italiana ha istituito la Giornata per la salvaguardia del Creato, che si celebra la prima domenica di settembre. Ormai ci sono passi da parte di tutte le Chiese, anche perché si è capito che questo è un tema sul quale si gioca il futuro del Pianeta e, dunque, la solidarietà con gli altri uomini.

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    L'intervento del cardinale Amato al Congresso Mariologico Mariano Internazionale

    ◊   Si è aperto ieri a Roma, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, il 23.mo Congresso Mariologico Mariano Internazionale, che si chiuderà il 9 settembre. Al centro del Congresso, la Mariologia a partire dal Concilio vaticano II. Durante il suo intervento nella celebrazione d’apertura, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, ha esordito mostrando la continuità della Chiesa nella questione mariana a partire dal Concilio di Efeso (431) nel quale fu stabilita la legittimità del titolo Theotòkos attribuito a Maria, e il Concilio Vaticano II, di cui quest’anno ricorre il 50.mo anniversario, e nel quale viene proposta una “descrizione trinitaria di Maria, chiamata genitrice del Figlio di Dio, figlia prediletta del Padre e sacrario dello Spirito Santo”. Il cardinale ha esaltato la portata epocale del capitolo VIII della Lumen gentium che, “come seme sparso sul terreno buono, ha dato sviluppo alla ricerca mariana trasformandola in pianta feconda di fiori e di frutti” e dal quale è nata “l’innegabile primavera mariana post conciliare”. Tra le cause che hanno contribuito al rilancio della mariologia, il cardinale Amato ne evidenziate tre. La prima è il protagonismo del magistero pontificio e l’appoggio dei Pontefici alla causa mariana. Il porporato ha ricordato l’opera dei Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II che a Maria hanno dedicato numerose encicliche, lettere apostoliche e messaggi, oltre a omelie e cicli catechetici, e l’opera ancora tutta da studiare del Santo Padre Benedetto XVI che, tra i primi atti del suo magistero, promulgò il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica nel quale troviamo una “catechesi mariana comunicata attraverso tre vie: quella dialogica, racchiusa in una ventina di domande-risposte, quella iconologica, con una raccolta di immagini che descrivono il mistero di Maria, e quella eucologica, costituita da otto preghiere della tradizione mariana cattolica”. Il cardinale evidenzia il rapporto tra il magistero petrino e Maria, mai in contrapposizione ma descrivibili come “paternità della generazione della salvezza e maternità della ricezione della salvezza”. La Chiesa è petrina e mariana allo stesso tempo perché “Maria offe una disposizione dinamica di comunione con Cristo e con la Chiesa”. La seconda causa del rilancio mariano è individuabile nei laboratori di ricerca e riflessione mariologica. Il cardinale ricorda due istituzioni particolari, la Pontificia Facoltà Teologica Marianum e la Pontificia Accademia Mariana Internazionale, famose in tutto il mondo per la quantità di pubblicazioni e conferenze dedicate a Maria. Terza causa, è la metodologia di ricerca teologica, fondata sull’ermeneutica della continuità nelle innovazioni. “La metodologia di ricerca deve essere rigorosa nel ricorso alle fonti, deve mettere in luce il suo intrinseco carattere relazionale, perché in Maria tutto è relativo a Dio Trinità, a Cristo, alla Chiesa e all’umanità”. Ma anche “sia attenta alla liturgia, sia perspicace nel discernere i valori della pietà popolare, sia d’aiuto nella formazione di un autentico ethos cristiano, promuova la spiritualità mariana e sia pervasa da un profondo senso si ecclesialità”. (A cura di Luca Pasquali)

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    Mons. Scicluna: parola del Papa limpida e chiara contro gli abusi di potere nella Chiesa

    ◊   Si conclude oggi a Twickenham, nel Regno Unito, presso il St. Mary’s University College, un incontro sul tema “Redeeming Power: Overcoming Abuse in Church and Society”, organizzato dalla Società Europea per la Teologia Cattolica, insieme all’Heythrop College, l’Università di Londra e al Centro per gli studi cattolici della Durham University. E’ intervenuto anche mons. Charles Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede. Philippa Hitchen gli ha chiesto di parlarci dell’evento:

    R. – All’incontro hanno partecipato un gruppo di insigni teologi europei per discutere un tema fondamentale per la Chiesa: la volontà di purificare l’autorità - che è un servizio - da ogni tipo di abuso. Questo vuol dire una “corresponsabilizzazione” non solo del laicato, ma dei teologi, che all’insegna di una realtà veramente ecclesiale cercano di dare risposte alle conseguenze dell’abuso di potere - parliamo anche dell’abuso sessuale di minori, per esempio - che sono una piaga nella Chiesa. Gli incontri sono stati arricchiti non solo da input straordinari di competenza interdisciplinare, ma anche dagli input dell’apporto importante dell’insegnamento di Benedetto XVI. Secondo me, questa è un’interfaccia felice, tra teologia, studi sociali, psicologia e Magistero. E secondo me questa è una via maestra perché la Chiesa possa crescere in quella che Benedetto XVI giustamente chiama volontà di purificazione ed essere testimone più efficace del Vangelo.

    D. - Secondo lei, esiste veramente in Vaticano la disponibilità a guardare a fondo i problemi che hanno creato le situazioni in cui si sono potuti verificare gli abusi sessuali?

    R. - Secondo me, questa volontà è chiara, quando si segue veramente il Magistero del Santo Padre. Sappiamo che la sua parola è una parola limpida, chiara, e che è teologicamente fondata, ma anche di grande ispirazione per tutti. Direi anche che il Vaticano è fatto di persone ed evidentemente siamo tutti su un cammino di conversione, ma se vogliamo dire dove va la “Barca di Pietro”, bisogna guardare chi la guida. E Benedetto XVI è un ottimo timoniere a questo riguardo e ha una leadership indiscussa e apprezzata da tutti.

    D. - Quali sono i prossimi passi?

    R. - La cosa più importante è continuare a fare altri passi su questa strada e ad essere aperti a discussioni e dibattiti che siano inclusivi nella Chiesa. Non solo teologi che parlano tra di loro. Sono rimasto molto impressionato dal fatto che abbaino parlato della necessità di condividere una discussione davvero ecclesiale. Non solo un discorso di gerarchia, non solo un discorso di laicato, ma di una Chiesa che è comunità di pellegrini, come insegna la Lumen Gentium, e che ha bisogno della voce di tutti, perché sia veramente purificata, sposa bella di Gesù.

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    La Radio Vaticana in visita alle emittenti cattoliche Usa. Messaggio di mons. Celli

    ◊   Le radio cattoliche entrino in “sintonia” con il momento presente della Chiesa, proiettata dal Papa verso la Nuova evangelizzazione, nell’orizzonte dell’Anno della fede. È l’invito che l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, rivolge anzitutto alle radio cattoliche statunitensi. Approfittando di un viaggio di rappresentanti della sezione spagnola e dell’Ufficio promozione della Radio Vaticana negli Stati Uniti – invitati da Radio Paz a Miami per incontrare le radio cattoliche nazionali – mons. Celli ha fatto giungere oggi un messaggio nel quale definisce “servizio meraviglioso” quello svolto dalle emittenti cattoliche. “Attraverso la vostra tecnica, la vostra voce e il vostro servizio informativo – scrive il presule – fate conoscere meglio Cristo, ascoltare il Papa e amare la Chiesa”. Le parole che trasmettete ogni giorno, prosegue mons. Celli citando Benedetto XVI, “sono l'eco della Parola eterna che si è fatta carne”. E porteranno “frutti solo se a servizio del Verbo eterno, Gesù Cristo".

    Il mondo di oggi, osserva ancora il capo dicastero vaticano, “ha bisogno di un messaggio di amore, di speranza e di pace. Il servizio delle radio cattoliche nel vostro Paese e in tutto il mondo cattolico è come le antenne che diffondono questo messaggio attraverso l’apostolato, le parole, la musica, la formazione e l’informazione che annuncia e denuncia, ma che opera principalmente con una chiara prospettiva di educazione alla verità e alla speranza nel dialogo e nel rispetto reciproco”. Ricordando l’apertura dell’Anno della fede in occasione dei 50 anni dall’avvio del Concilio Vaticano II e dei 20 dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica, mons. Celli si sofferma, con il magistero della Redemptoris missio, sulle responsabilità di chi lavora nel settore delle comunicazioni: “L’impegno nei mass media (…) non ha solo lo scopo di moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e Magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna”.

    Ricordate, conclude mons. Celli, che “è il successore di Pietro che ci esorta a vivere la nostra fede con convinzione come il risultato di un incontro personale con Cristo”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Musei Vaticani: riprendono le aperture in notturna dal 7 settembre al 26 ottobre

    ◊   Per tre anni è stata un grande successo di pubblico, così i Musei Vaticani hanno deciso di riproporre per il quarto anno consecutivo l’appuntamento con le visite in notturna. Dunque, dal 7 settembre al 26 ottobre, i “Musei del Papa” apriranno le loro porte anche al tramonto, tutti i venerdì dalle 19,00 alle 23,00 (ultimo ingresso alle ore 21,30). Obbligatoria è la prenotazione online sul sito ufficiale “musei vaticani.va”.

    “Un invito quello delle visite by night – scrivono dai Musei – rivolto non solo alle migliaia di turisti che accorrono a visitare un ‘santuario di arte e di fede’ secondo le parole del Santo Padre Benedetto XVI, ma anche e soprattutto al popolo romano: famiglie con bambini, giovani coppie, ragazzi che, impegnati in attività lavorative o familiari durante le normali oredi apertura, possono finalmente riappropriarsi dei propri musei, vivendoli e godendoli in un’atmosfera serena e speciale”. “Nel vasto dominio delle arti, per amare bisogna prima conoscere. Questo ci hanno insegnato i nostri maestri – sottolinea il Direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci – Se riusciremo ad accrescere in pochi o in molti, nei cittadini romani e negli ospiti stranieri, la conoscenza e quindi l’amore per i Musei più belli del mondo, il nostro impegno non sarà stato inutile”.

    Le aperture notturne saranno ulteriormente impreziosite dalla rassegna musicale “Che c’è di Bello?”, organizzata in collaborazione con il Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi di Torino (nei mesi di settembre e ottobre), che in alcune date proporranno al pubblico esecuzioni scelte dei loro allievi più eccellenti. La partecipazione agli eventi musicali è gratuita e inclusa nel biglietto d’ingresso ai Musei Vaticani. L’accesso alla sala sarà consentito fino ad esaurimento dei posti disponibili.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All'udienza generale Benedetto XVI parla della preghiera nell'Apocalisse.

    In prima pagina, i rincari del cibo minacciano una catastrofe: l’allarme delle agenzie dell’Onu per l’alimentazione.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo la Siria: emergenza umanitaria, più di un milione di sfollati.

    Ammonimento tra i piloni di San Pietro: Marco Agostini sulla «Caduta di Simon mago» dipinta nel 1604 da Francesco Vanni per la basilica vaticana.

    Quella riforma fuori tempo: Giancarlo Rocca sulla nuova edizione in italiano del «Libellus ad Leonem x» di Paolo Giustiniani e Pietro Quirini.

    Rivoluzione e sotterfugi: in cultura, Vicente Cárcel Ortí sul discorso con cui Miguel de Unamuno censurò la dissoluzione della Compagnia di Gesù in Spagna nel 1931.

    Con lo sguardo delle favole: Isabella Farinelli su Karen Blixen.

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    Oggi in Primo Piano



    Strage di bambini in Siria. 23 piccoli uccisi in un bombardamento ad Aleppo

    ◊   In Siria, la Cnn ha confermato la strage di almeno 23 bambini ad Aleppo per un bombardamento delle forze fedeli ad Assad, 75 le vittime totali. Drammatica la situazione dei profughi, 100 mila solo nel mesi di agosto. L'inviato di Onu e Lega Araba, Brahimi, parla di situazione catastrofica e chiede un intervento immediato della comunità internazionale. Intanto, Egitto e Turchia accusano Damasco di aver creato uno Stato terroristico. Massimiliano Menichetti:

    L’orrore non ha fine in Siria: 23 bambini, 52 adulti - secondo fonti locali - sono stati uccisi questa mattina dalle bombe sganciate su Aleppo dal regime di Assad, che incessantemente lotta contro una resistenza che non si arrende nonostante il mancato sostegno diretto della comunità internazionale. Il corrispondente della Cnn ha confermato il bombardamento aereo sulla città e documentato in un video la strage di bambini: 9 di loro, tra i 4 e gli 11 anni, sono morti quando le bombe hanno distrutto una abitazione nel quartiere al-Sharaa. I comitati locali parlano di altri 7 bimbi uccisi nel quartiere di Marjeh.

    "Faccio appello al regime siriano affinché fermi il bagno di sangue”, è l’accorato appello del presidente egiziano, Mahamed Morsi, intervenuto alla riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi arabi al Cairo. Lì, il premier turco Tayyip Erdogan senza mezzi termini ha parlato di uno “Stato terroristico" creato dal governo siriano. Si stima che 25 mila persone siano state uccise dall'inizio del conflitto nel marzo dello scorso anno. La Cina, da parte sua, apre a una transizione politica, ma resta contraria a un intervento armato esterno. In questo scenario, circa 400 ufficiali disertori dell'esercito di Assad si sono riuniti in una località della regione meridionale turca di Antiochia e hanno dato vita al "Comando unificato dell'Esercito libero (Esl)" per cercare di ricucire le divisioni sorte nei mesi scorsi tra chi combatte in Siria e chi afferma di coordinare gli insorti dall'estero.

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    Usa: Michelle Obama protagonista assoluta alla prima giornata della Convention democratica

    ◊   Al via, ieri, la Convention democratica, a Charlotte, in North Carolina. Un appuntamento decisivo per la corsa alla Casa Bianca e per la rielezione di Obama. La protagonista della prima giornata di lavori è stata la first lady, Michelle Obama,, che ha pronunciato un discorso incentrato, di fatto, sul sogno americano, che lei e suo marito hanno vissuto in prima persona. Il servizio è di Elena Molinari:

    Essere presidente per quattro anni non ha cambiato i valori, fondamentalmente buoni, dell’uomo che ho sposato, è ancora lo stesso che ha entusiasmato l’America 4 anni fa. Così Michelle Obama ha assicurato agli elettori americani che le scelte del marito alla Casa Bianca non sono politiche, sono personali, e derivano dalla sua infanzia in una famiglia del ceto medio, che ha lavorato duramente per mandarlo all’università. Il Partito democratico ha avviato la sua kermesse in velocità, mettendo in scena nella sua prima serata la first lady, a dipingere un ritratto accorato di Barack. E a convincere le mamme d’America – una categoria elusiva per il presidente – che se rieleggeranno Obama metteranno le loro famiglie in buone mani. A detta di Michelle, sono infatti le mani di un padre che ha a cuore le sorti di chi lavora e di chi cerca lavoro e di chi spera in un futuro migliore. La first lady non ha sprecato una parola criticando i repubblicani. A fare il "lavoro sporco" di sferrare attacchi è stato Julian Castro, il sindaco di origine messicana di San Antonio. "E’ semplice, Mitt non capisce", è stato l'affondo contro Romney portato dalla stella nascente del partito, che la stampa ha già ribattezzato l’"Obama ispanico". Rivendicando il diritto di tutti gli americani fare grandi passi avanti in una sola generazione, Castro ha accusato Romney di non voler dare nessuna opportunità a chi nasce povero, o nero, o disabile. E di voler costruire un’America dove solo i privilegiati possono avere successo.

    Sulle reazioni della platea al discorso di Michelle Obama, ascoltiamo Paolo Mastrolilli, che per il quotidiano "La Stampa" sta seguendo la Convention democratica a Charlotte. L’Intervista è di Salvatore Sabatino:

    R. – La platea è rimasta molto colpita e molto emozionata, perché la first lady ha parlato con il cuore in mano. Ha ripresentato, dal punto di vista umano, suo marito al pubblico spiegando come sia cambiato e come non sia cambiato negli ultimi quattro anni. I suoi valori, i suoi obiettivi, le sue speranze per la realizzazione di un sogno americano che sia aperto a tutti restano intatte e sono le ragioni per cui continua a lavorare e a vivere. E sono questi i motivi per cui chiede di essere rieletto, perché il lavoro, in sostanza, non è stato completato in questi quattro anni. Per realizzare, dunque, effettivamente, questo cambiamento, che consenta a tutti di realizzare le proprie speranze, i propri desider; per questo Obama chiede di essere rieletto.

    D. – La famiglia, il sacrificio, l’onestà, tutti valori, quelli evocati da Michelle Obama, importantissimi per gli americani. Si può vedere tra le righe anche un attacco a Romney, che ha un’altra storia, comunque, alle spalle...

    R. – Certamente, sono due filosofie contrapposte. Michelle ha detto una cosa importante: mio marito conosce il sogno americano, perché l’ha vissuto, lo ha vissuto in prima persona; viene da una famiglia difficile, da condizioni molto disagiate, eppure è riuscito ad andare nelle migliori università, grazie ai prestiti, ai contributi statali; è riuscito a realizzare il suo sogno, è riuscito a lavorare nel settore che preferiva e adesso sta facendo il politico con lo stesso obiettivo: cercare di dare a tutti quanti la possibilità di realizzare il sogno americano, com’è capitato a lui. Romney, invece, ha una storia completamente diversa: viene da una famiglia ricca, ha avuto un’infanzia, una giovinezza e un avvio del lavoro molto più facile di quello di Obama. Quindi, in sostanza, implicitamente la first lady voleva dire che lui non è in grado di capire le difficoltà degli americani medi e quindi di prendere decisioni politiche che servano a consentire a tutti di avere la possibilità di realizzare i propri progetti.

    D. – Mai nessun presidente, tranne Reagan, è stato rieletto con un tasso di disoccupazione oltre il 6%. Oggi, gli americani senza lavoro sono l’8%. Obama teme moltissimo questo dato, indubbiamente...

    R. – Sì, certamente. Oggi, un sondaggista abbastanza importante ha detto che in base agli studi che lui ha fatto, la soglia decisiva per Obama per ottenere la maggioranza dei voti in tutti quanti i gruppi fondamentali per la sua elezione, come appunto le donne e gli ispanici, sia quella dell’8%. Al momento la disoccupazione è all’8,2 per cento. Quindi, in sostanza, Obama sta proprio sulla soglia del rischio e su questo, dunque, si giocherà in buona parte l’elezione. Mancano ancora un paio di mesi al voto e fra pochi giorni ci saranno i nuovi dati sulla disoccupazione; da questi ultimi dati potrebbe dipendere l’esito delle elezioni.

    D. – Durante la prima giornata di lavori ha fatto molto discutere anche l’intervento del sindaco di San Antonio, Julian Castro. Lì c’è stato un attacco veramente diretto a Romney...

    R. – Sì, questo forse è stato il discorso, dal punto di vista politico, più importante e, forse, è stato anche il discorso che ha incitato di più la platea. Michelle ha emozionato i delegati, ma Julian Castro ha raccontato nello stesso tempo la sua storia, di figlio di immigrati messicani, riuscito a farcela a diventare sindaco della città in cui vive, ma nello stesso tempo ha fatto anche un discorso molto più politico di quello di Michelle, attaccando Romney, in certi passaggi addirittura ridicolizzandolo, dicendo che in sostanza “non riesce a capire” quali siano le esigenze degli americani medi. Questo è un discorso molto importante, perché Obama ha la necessità di conquistare l’elettorato ispanico, che è fondamentale per fare la differenza tra lui e Romney. Ma è anche una questione di prospettiva per il partito democratico, che ha una maggioranza molto solida fra gli ispanici, che sono il gruppo etnico che sta crescendo di più negli Stati Uniti. Quindi, lanciare leader giovani come Julian Castro, che tra l’altro viene da uno Stato molto popolato e fondamentale, come il Texas, significa cercare di costruire le basi per una maggioranza duratura, che potrebbe consegnare al partito democratico il Paese per molti anni a venire.

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    Mali. Governo transitorio chiede intervento internazionale nella crisi al Nord

    ◊   Il presidente ad interim del Mali, Dioncounda Traoré, ha chiesto ufficialmente l’aiuto di una missione militare internazionale per la riconquista del Nord del Paese, da mesi in mano ai gruppi armati tuareg. I Paesi confinanti avevano già dichiarato di essere disponibili a un intervento, ma manca ancora il via libera dell’Onu. Davide Maggiore ha chiesto a Luigi Serra, docente universitario, già preside della Facoltà di Studi arabo-islamici all’Università di Napoli “L’Orientale”, se questa prospettiva sia ora più probabile:

    R. - Penso sia più accentuata e non necessariamente più vicina. Più accentuata per esercitare una pressione politica, comprensibilissima e alimentata dal rumore e dalla rapidità degli interventi armati.

    D. - Quindi, lei ritiene improbabile che si arrivi a un intervento in tempi brevi?

    R. - Meno credibile nel tempo breve, perché lo scontro sul terreno sarebbe veramente micidiale, a spesa non dei diretti contendenti - parlo delle élite politiche che si contrappongono - quanto, come d’abitudine in Africa, della gente.

    D. - Le rivendicazioni dei tuareg sono pluridecennali e quindi in questo senso un intervento militare non sembra poter essere veramente risolutivo…

    R. - E’ una delle ragioni di fondo, di ordine antropologico e culturale. Questa lunghezza di tempi di attesa fa ritenere improbabile una risoluzione attraverso un intervento armato a brevissimo termine.

    D. - Di cosa ci sarebbe invece realmente bisogno, perché questo problema venga affrontato nella maniera corretta?

    R. - Ci sarebbe bisogno di una presa di coscienza multinazionale, sovranazionale, della validità delle culture, delle dignità umane dovunque esse siano.

    D. - Per i tuareg questo cosa significherebbe: il riconoscimento di una autonomia, sia pure nel quadro degli stati nazionali che oggi esistono?

    R. - Sì, quanto meno un’autonomia culturale, non assolutamente indipendentistica in termini politici. Un’autonomia nel senso di difesa della propria lingua, della propria identità.

    D. - Più sul piano politico: questa richiesta di aiuti militari è stata confermata anche da un diplomatico francese in Burkina Faso. Quale ruolo sta giocando la Francia, in questa crisi?

    D. - Un ruolo, come d’abitudine in Nord Africa, sulla scia del vecchio colonialismo francese, nel senso di ritagliarsi ancora giardini di influenza specifici, particolari - si pensi al Ciad. Molto dipenderà, nel bene e nel male, da come gli altri Paesi - quantomeno dell’area mediterranea - nei limiti dell’accettabile sapranno guardare al Mali.

    D. - La crisi maliana che impatto può avere sull’intera regione?

    R. - Può avere un impatto determinante e definitivo nel senso di scatenare, per esempio, una maggiore risonanza della famosa Rivoluzione dei Gelsomini…

    D. - Anche in termini di problemi di ordine militare?

    R. - Io farei una distinzione da questo punto di vista: quando parliamo di interventi di natura militare, dobbiamo vedere se si tratterà di interventi autenticamente “indigeni”, o di interventi alimentati fuori e consumati all’interno con la copertura locale. Gli interventi militari io temo si possano esercitare nel futuro sotto la sollecitazione di potenze esterne.

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    Vittoria dei separatisti in Quebec. Sparatoria a Montreal: un morto ed un ferito

    ◊   Dopo una lunga opposizione tornano al potere nel Quebec i separatisti del “Parti Quebecois”, che hanno vinto di misura le elezioni legislative, sconfiggendo i liberali al governo da nove anni. E per la prima volta nella storia della provincia canadese francofona, il governo sarà guidato da una donna, Pauline Marois. La sua vittoria è stata adombrata, però, da un tragico episodio: nel locale di Montreal dove la Marois celebrava il risultato elettorale con centinaia di sostenitori, un uomo ha aperto il fuoco, uccidendo una persona e ferendone un’altra. Questa vittoria che tipo di ricadute avrà sulla politica interna del Paese? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Megan Williams, giornalista di CBC-Radio Canada:

    R. – Per ora non penso che ci saranno grossi cambiamenti. La Marois ha vinto con il 31 per cento delle preferenze. I liberali hanno ottenuto un po’ di meno. Lei, essendo capo di un governo di minoranza, non può fare tanto. Non penso, ad esempio, che la questione del separatismo possa avere un seguito; non verrà affrontata, perché prima di tutto ci sono problemi economici ed anche perché non c’è l’appoggio della provincia.

    D. - Anche perché bisogna dire che per ben due volte nel 1980 e nel 1995 il Québec ha tentato la via referendaria della secessione però senza nessun risultato.

    R. – E’ una provincia divisa tuttora. Nel ’95, per esempio, i separatisti hanno perso per uno 0,5 per cento di scarto; ovviamente c’è sempre il movimento separatista, però per ora direi che è più o meno paralizzato.

    D. - La sparatoria avvenuta a Montreal la dice lunga sullo stato di tensione venutosi a determinare tra la comunità francofona e quella anglofona. E’ stato solo un tragico episodio o si rischia di innescare una vera e propria spirale di violenza?

    R. - Non penso. Però devo dire che l’incidente di ieri sera non è stato l’unico nella storia recente del Quebec; ce ne sono stati altri e sono tutti crimini commessi da persone non quebecchesi, che non fanno parte della cultura quebecois. Si può dire che è un caso? Non lo so. C'è da dire che c’è una parte della società che si sente messa da parte dal discorso nazionalista quebecchese e questo non si può negare. Bisogna dire anche che si tratta di una provincia francofona circondata da un mondo anglosassone e i quebecchesi sentono di dover proteggere la loro cultura e la loro lingua.

    D. – Insomma la Marois avrà un compito non certo facile: riuscirà a governare con tranquillità questa provincia?

    R. – Spero di sì. Secondo me ha le mani legate e sarà messa sotto pressione dal suo partito per promuovere i diritti separatisti. Il suo è anche un partito di centro-sinistra e quindi dovrà riabbassare il costo dell’università per gli studenti, proteggere i diritti del lavoro… Inoltre sarà messa sotto pressione anche dall’opposizione, che ha tutto un'altra visione del futuro del Paese.


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    Vandalismo anticristiano. Il Patriarca Twal: non bastano le condanne, Israele fermi gli estremisti

    ◊   Sdegno e dolore in Terra Santa per l’atto vandalico anticristiano a danno del monastero trappista di Latrun, a pochi chilometri di Gerusalemme. Il portale dell’edificio è stato bruciato, ieri, da sconosciuti che hanno lasciato sui muri graffiti blasfemi anticristiani, scritti in ebraico. Il premier Netanyahu ha condannato subito l’episodio, attributo a gruppi nazionalisti israeliani. Su questo grave atto di vandalismo, Alessandro Gisotti ha raccolto la vibrante denuncia del Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal:

    R. - Il governo ha dato troppa corda, troppa libertà a questi estremisti che ora si sentono liberi. E’ vero che tutti condannano, anche il governo israeliano ha condannato, ma non basta condannare…. Vorrei che venissero sradicate le cause che conducono alcuni folli a compiere questo tipo di vandalismo! E’ necessario affrontare l’argomento dell’educazione: dove e come questa gente ha imparato a non rispettare i vicini, a non rispettare i luoghi santi? Questa è la mia domanda!

    D. - Nonostante questo i cristiani continuano fortemente ad essere ponti di dialogo in Terra Santa…

    R. – Speriamo, perché la preoccupazione è generale e ogni tanto si verifica un incidente di questo tipo, che rovina anche tutte le buone intenzioni del nostro dialogo con gli altri, la vita concreta di ogni giorno… gli atti di questi folli sono una cosa e dialogare con i rabbini e con gli imam è un’altra cosa. Speriamo che questo passerà, speriamo che il governo prenderà misure necessarie e drastiche per fermare questo vandalismo. Non basta denunciare! Io non sono felice quando sento una semplice condanna, perché questo non basta!

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    L'eredita di Madre Teresa a 15 anni dalla morte: "I giovani appassionati dalla sua vita"

    ◊   La sua scomparsa terrena ne ha amplificato le opere. A 15 anni dalla morte della Beata Madre Teresa di Calcutta, rifulge la memoria di questa straordinaria religiosa, Premio Nobel per la pace nel 1979, elevata agli altari nel 2003 da Giovanni Paolo II. Questa sera, a Roma sarà celebrata una Messa in ricordo di Madre Teresa nella Chiesa di Santa Maria in Domnica, presieduta dal cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano. Roberta Gisotti ha intervistato don Marco Farina, alla guida della prima parrocchia al mondo – eretta a Martinsicuro nella diocesi abruzzese di Teramo – dedicata alla fondatrice delle Missionarie della Carità:

    D. – Don Marco, quanto è viva la memoria di questa piccola grande suora e che cosa resta maggiormente impresso della sua personalità?
    R. – Madre Teresa è sempre presente, perché è l’esempio più concreto e più vicino nel tempo della carità di nostro Signore. Quindi la sua attenzione agli ultimi, agli ultimi degli ultimi, a quelli cioè che nessuno vuole aiutare perché è difficile aiutarli, è lo sprone per compiere verso una categoria di persone, normalmente emarginate, interventi caritativi e significativi come per tutti e anche di più.

    D. – Don Marco, è facile per lei trasmettere il messaggio di Madre Teresa?

    R. – No, perché purtroppo la carità - quando costa - è difficile da annunciare. Poi, della carità bisogna essere anzitutto testimoni, con il proprio spirito di vita personale. Purtroppo, poi, abbiamo una società malata di perbenismo, una società che emargina, che giudica e che ha poca voglia di rimboccarsi le maniche e ancor meno di voler soffrire per il bene degli altri. Ad esempio, le rughe che Madre Teresa he da giovane aveva sul volto: questo non è bello per una società che cerca il comodo e che segue il piacere e l’estetica.

    D. – Quando si trova di fronte i giovani della sua parrocchia, che cosa cerca di dire loro, ispirato naturalmente sempre dalla figura di Madre Teresa?

    R. – Di Madre Teresa, prima ancora che il messaggio, è la sua vita già una catechesi in sé, il suo spendersi per gli altri. Ai giovani questo appassiona molto.

    D. – Don Marco, la sua è una parrocchia, possiamo dire, multimediale…

    R. – Sì. Oltre al sito Internet, abbiamo un secondo sito con una Web Tv, da dove trasmettiamo sia gli eventi che facciamo in diretta – l’adorazione eucaristica e le Messe – sia gli incontri di preghiera e di evangelizzazione che facciamo qui a Martinsicuro e in altri luoghi. Abbiamo un palinsesto con programmi scelti e soprattutto autoprodotti e poi l’on demand, ovvero programmi a scelta. Anche lì, ancora una volta abbiamo testimonianze di persone che hanno ricevuto grazie attraverso le preghiera fatte in parrocchia, come guarigioni fisiche da malattie mortali o conversioni di peccatori che sono tornati alla fede proprio attraverso questi incontri.

    D. – Quindi modalità diverse di evangelizzazione…

    R. – Il web per noi è proprio un’occasione per evangelizzare, soprattutto in campo giovanile. Le faccio un esempio: la catechista che tiene il gruppo del dopo-Cresima segue tutti i giovani con Facebook, riuscendo a fare più momenti di apostolato attraverso Facebook che non con incontri diretti fatti con i ragazzi.

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    Presentata a Roma l’iniziativa di Rns “10 piazze per 10 comandamenti”, maratona della fede lungo l'Italia

    ◊   Ritrovare il senso del vivere comune alla luce dei 10 comandamenti. Questa la finalità di “10 piazze per 10 comandamenti”, iniziativa promossa dal Rinnovamento per lo Spirito Santo. Su questa iniziativa, presentata ieri mattina a Roma in Campidoglio e patrocinata dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco, mons. José Octavio Ruiz Arenas, segretario di questo dicastero:

    R. - Si tratta della presenza nelle piazze pubbliche di fedeli che vogliono dare una testimonianza del proprio amore e della propria fede in Dio. In un mondo nel quale trascuriamo la nostra fede, è importantissimo far sentire che ci sono tanti credenti che hanno trovato un senso nella loro vita perché hanno trovato il Signore nel loro cuore. Per questo ricordare i comandamenti non è ricordare soltanto divieti ma ricordare soprattutto l’espressione dell’amore di Dio che vuole che abbiamo un rapporto buono con gli altri, un rapporto di amore, perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e Dio è amore.

    D. - Un fondamento morale, personale, che però poi può diventare anche bene comune. Questo è il grande ponte dei 10 comandamenti, che si allargano a tutti gli uomini…

    R. – Noi sappiamo che i 10 comandamenti in realtà sono la legge naturale che il Signore ha voluto mettere all’interno del nostro cuore e che noi dobbiamo vivere con un senso di fede, nel senso che non si tratta di un comportamento etico ma di un comportamento come risposta all’amore di Dio.

    L’iniziativa, che prenderà il via il prossimo 8 settembre a Roma, in Piazza del Popolo, annuncerà la prima parte del primo comandamento “Io sono il Signore tuo Dio”, In questa occasione verrà trasmesso il videomessaggio di Benedetto XVI, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il presidente nazionale di Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez:

    R. - Il Santo Padre sarà presente con un videomessaggio, così come il sindaco di questa città e il cardinale vicario, insieme a tanti altri personaggi del nostro tempo. E questo per provare a ridire l’attualità di questo primo comandamento.

    D. - Quindi anche un’iniziativa che legge alla luce dei 10 comandamenti il tempo storico attuale che stiamo vivendo, un tempo purtroppo anche di smarrimento spirituale e di disagio economico e sociale…

    R. - E che quindi ha bisogno di essere rilanciato con valori condivisi, con ideali che fondano la nozione di bene comune. In fondo, se analizziamo i 10 comandamenti, per un credente sono dei peccati, ma per i cittadini - se violati - in buona parte sono dei reati. Bisogna provare a ricostituire una cittadinanza attiva - pensiamo soprattutto alle nuove generazioni - offrendo un patrimonio comune, valoriale intorno al quale ricostruire quella vita buona, che sta a cuore ai nostri vescovi, che sta a cuore al Santo Padre. L’Anno della Fede ha bisogno anche di iniziative profetiche: la fede umanizza, la fede ci rivela in che modo l’uomo ogni giorno riscopre l’umano. Uomini sì, ma umani non sempre e i 10 comandamenti hanno un grande tasso di umanizzazione.

    D. - Hanno anche un fondamento morale, ma oltre a questo i 10 comandamenti sono anche un tessuto che dovrebbe essere collegato anche al mondo della politica…

    R. - E’ per questo che vogliamo portarli in piazza! La piazza è l’agora di tutti: non è mai colorata, non è mai confessionale. E questo proprio perché riconosciamo che il patrimonio dei comandamenti è comune alle principali legislazioni democratiche: sono fondamento etico delle Costituzioni democratiche! Si tratta di sentirne l’attualità, di rilanciarne la sostenibilità, di far comprendere come anche le leggi abbiano bisogno di adeguarsi ai comandamenti. C’è bisogno di ridare un codice esistenziale che ci faccia sentire sempre più uniti e non drammaticamente divisi. Nel tempo della crisi dobbiamo riscoprire ciò che ci unisce: quanto più comprenderemo che proprio perché è spirituale e morale la crisi, c’è bisogno di risposte che siano alte. Quindi non soltanto - come del resto la gente invoca - risposte a questo bisogno, a questo evidente smarrimento del nostro tempo: i giovani cercano lavoro, le famiglie cercano detassazione… Sono interventi legislativi che vanno compiuti, ma se ispirati al “non rubare”, se ispirati al “non desiderare la roba d’altri”, se ispirati al rispetto della famiglia, come i comandamenti dicono, probabilmente anche queste azioni meramente politiche sarebbero ancora più evidenti, ancora più incisive, ancora più concertate e ancora più espressione di un sentire comune.

    L’evento è patrocinato anche da Roma Capitale. La prima tappa è prevista l’8 settembre a Piazza del Popolo, “una piazza – come ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno - che spesso ospita eventi e iniziative promotrici di valori particolari, ma in cui questa volta verranno promossi dei valori fondamentali”. Gianluigi De Palo, assessore alla Famiglia, all’Educazione e ai Giovani, si sofferma al microfono di Luca Pasquali sulle aspettative che accompagnano questa iniziativa.

    R. – Sicuramente un’iniziativa interessante perché i 10 comandamenti, indipendentemente dai credenti o non credenti, sono comunque una base per chiunque. Credo sia importante non avere paura di parlare di questi temi e, soprattutto, di interrogarsi anche nei confronti anche del tema della fede. Da credenti dà un valore aggiunto.

    D. - Quale può essere la risposta della gente a un’iniziativa del genere su come diffondere i comandamenti nelle piazze?

    R. – Sicuramente Roma è anche sensibile a questo argomento, perché c’è un percorso dei 10 comandamenti fatti da don Fabio Rosini in alcune parrocchie che ha già portato il tema in grande risalto. Ringraziamo il Rinnovamento per questa occasione di riflessione. Credo che le persone nelle piazze parteciperanno e saranno contente.

    D. - Il ruolo del Comune di Roma?

    R. - Il Comune di Roma semplicemente aiuta nell’organizzazione. Il Sindaco farà una testimonianza, come il cardinale. Ci saranno queste due voci dal punto di vista religioso e dal punto di vista laico. Quindi è interessante interrogarsi dai vari punti di vista e dai diversi aspetti.

    Dopo l’appuntamento di Roma il prossimo 8 settembre, l’iniziativa proseguirà a Napoli, sabato 15 settembre in piazza del Plebiscito. Al centro il IV comandamento “onora il padre e la madre”. Sempre sabato 15 settembre, in piazza dei Signori a Verona, il filo conduttore sarà il comandamento on nominare il nome di Dio invano”. L’ultima tappa di questo percorso che si snoderà attraverso varie città italiane, sarà, nel mese di settembre del 2013, Cagliari con approfondimenti sul comandamento “Non desiderare la roba d’altri”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: sfollati in scuole, chiese e moschee per sfuggire al conflitto

    ◊   “Chiese, moschee, scuole ma anche case di familiari o prese in affitto: sono questi i luoghi in cui centinaia di migliaia di sfollati hanno trovato rifugio all’interno stesso della Siria in questi mesi. Mezzaluna Rossa e Croce Rossa stanno distribuendo aiuti e proveranno a intensificare la loro assistenza che tra gennaio e agosto di quest’anno è arrivata a circa 800.000 persone”: a colloquio con l'agenzia Misna che l'ha raggiunta a Damasco, Cecilia Goin, portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), evidenzia le difficoltà causate dal conflitto in corso e dall’escalation dell’ultimo mese e mezzo. “I nostri operatori stanno distribuendo soprattutto generi alimentari – aggiunge Goin – stanno fornendo assistenza medica e stanno provvedendo per quanto possibile a individuare e gestire centri di accoglienza. Adesso, le condizioni meteorologiche sono ideali e ciò aiuta, ma sappiamo che arriveranno autunno e inverno e che le difficoltà potrebbero aumentare”. Le parole della portavoce giungono mentre nelle stesse ore il presidente del Cicr, Peter Maurer, si trova in Siria dove sta incontrando esponenti del governo, ha incontrato il capo di Stato Bashar Al Assad e sta visitando alcuni punti di assistenza nella immediata periferia della capitale. Fonti locali di Misna riferiscono di bombardamenti e combattimenti in diverse zone del Paese e di civili che continuano a fuggire. Secondo gli ultimi dati disponibili, nei Paesi confinanti sono oltre 250.000 i siriani accolti in campi profughi o in altri modi. Sul numero degli sfollati interni non ci sono invece stime certe se non la certezza che siano centinaia di migliaia. In ulteriori e marginali sviluppi, due episodi hanno ricordato la dimensione internazionale della crisi siriana. Al Cairo, la polizia ha disperso decine di dimostranti anti-Assad che si erano riuniti all’ingresso dell’ambasciata siriana armati di sassi e bombe molotov. Hacker filo-governatavi hanno invece beffato i sistemi di sicurezza di Al Jazira, la televisione satellitare del Qatar, inserendo un banner sulla homepage del sito e denunciando “le sue posizioni contro il popolo siriano e il governo” di Damasco. (R.P.)

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    Siria: i Salesiani denunciano violenze e rapimenti a scopo di riscatto

    ◊   “In Siria assistiamo ad un fenomeno senza precedenti: il rapimento di persone. Fortunato chi riesce a negoziare un riscatto”: a parlare è don Munir El Rai, ispettore del salesiani nel Medio Oriente, in una comunicazione inviata all’Ong Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), ripreso dall'agenzia Sir, nella quale fa il punto sulla drammatica situazione in Siria. I salesiani di Don Bosco gestiscono scuole e Centri in diverse località della Siria. Ora sostengono famiglie di sfollati a Damasco, Aleppo e Kafroun, in particolare bambini e giovani. “La situazione sta peggiorando - racconta don El Rai -, le ultime notizie riferiscono che Aleppo e Damasco e dintorni sono attaccate e bombardate. La carenza di carburante, elettricità, acqua, pane, gas, benzina e auto, oltre alle paralisi dei mercati e alla disoccupazione, si aggiunge alla mancanza di sicurezza e al caos. Le comunicazioni elettroniche sono diventate difficili. La situazione economica generale peggiora a vista d’occhio, a causa della chiusura di fabbriche e attività e della conseguente dilagante disoccupazione”. Secondo i dati forniti dal salesiano “più di 30.000 persone sono state uccise, i feriti sono circa 200.000” e “un milione e mezzo tra sfollati interni e rifugiati”. “La maggior parte degli sfollati interni - prosegue don El Rai - ha cercato rifugio nelle città di Damasco e Aleppo, e nelle zone montagnose intorno a Homs e Hama, zona in cui hanno avuto inizio gli scontri. Gli sfollati sono stati ospitati in scuole e strutture pubbliche. Per le migliaia di famiglie sfollate la situazione è drammatica, molti hanno urgente bisogno di cure mediche e aiuti alimentari, ma gli aiuti umanitari hanno difficoltà a essere recapitati e sono ancora scarsi. Oltre 300.000 siriani sono già approdati nei quattro campi profughi costruiti nei Paesi confinanti”. “Si è innescata la violenza - dice -, con omicidi, rapimenti, atti di vandalismo, saccheggi, incendio degli edifici governativi e impianti di pubblica utilità. La violenza ha sconvolto e ridotto in frantumi il tessuto demografico e l’antica convivenza”. Oltre al nuovo fenomeno dei rapimenti a scopo di riscatto, “ci sono i blocchi stradali che diverse fazioni o individui hanno messo su quasi tutte le autostrade siriane - spiega -. Questo rende ogni viaggio molto rischioso e ha creato uno stato di orrore, disgusto e grande incertezza. Migliaia di persone hanno perso la casa, molti hanno urgente bisogno di cure mediche e di aiuti umanitari. La Siria sta vivendo oggi un caos senza precedenti”. “In questo momento - afferma il salesiano - non riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel. Siamo molto tristi, preoccupati e sfiduciati per quello che sta succedendo nel corso dell‘ultimo anno e mezzo”. Anche le minoranze religiose, tra cui i cristiani, risentono dello stato di incertezza “dettato dalla sempre più frequente perdita del lavoro e dall’acuirsi degli scontri che attualmente coinvolgono i loro quartieri”. I salesiani cercano di aiutare le famiglie per evitare la fuga dal Paese. Molte scuole e strutture educative di Aleppo e Damasco sono state utilizzate per accogliere gli sfollati provenienti dalle campagne e dai quartieri più colpiti dagli scontri. Vengono aiutati nella ricerca di un alloggio, e per reperire alimenti, vestiario, materiale didattico e medicine. Ogni sera le comunità salesiane in Siria aprono i loro Centri per accogliere le persone per un sostegno reciproco. Di recente si sono svolti due incontri con i giovani di Damasco e Aleppo per parlare dei loro vissuti, delle paure e delle difficoltà. (R.P.)

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    Somalia: bombardamenti su Kismayo, civili in fuga

    ◊   “Intere famiglie sono in fuga da Kismayo. Anziani, ma soprattutto donne e bambini, temono di rimanere intrappolati tra due fuochi. È evidente a tutti che tra poco le truppe africane e somale sferreranno l’attacco contro la città”: lo riferiscono fonti dell'agenzia Misna da Mogadiscio dove l’attenzione per il delicato processo politico in corso è in parte distratta dalle cronache di guerra nelle regioni meridionali. Nei giorni scorsi, le truppe keniane avevano annunciato la presa di Miido, a 86 chilometri dal porto di Kismayo, bastione della resistenza da cui gli insorti Al Shabaab traggono gran parte dei loro profitti. “L’esodo in massa degli abitanti è cominciato subito dopo i primi bombardamenti da parte della Marina keniana schierata nelle acque antistanti il porto” riferiscono le fonti, “nonostante i miliziani avessero minacciato di punizioni chiunque avesse cercato di lasciare la città”. Molti dei civili in fuga hanno raggiunto il centro poco distante di Jilib, mentre altri hanno scelto di recarsi a Merka, liberata la scorsa settimana dai soldati della coalizione. Intanto a Mogadiscio la commissione elettorale ha reso noti i requisiti necessari alla candidatura per il ruolo di Presidente della repubblica, la cui nomina, è stato deciso, avverrà lunedì prossimo. Gli aspiranti dovranno versare una tassa di registrazione di 10.000 dollari, essere musulmani, aver compiuto i 40 anni e non avere precedenti penali. Ogni candidato dovrà inoltre disporre dell’appoggio di almeno 20 parlamentari. Tra i favoriti, secondo la stampa, il presidente uscente Sheikh Sharif Ahmed e l’ex primo ministro Abdiweli Mohammed Ali. (R.P.)

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    Colombia: le tappe del negoziato governo-Farc da Oslo a L'Avana

    ◊   Le trattative di pace tra il governo di Bogotà e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) cominceranno il mese prossimo in Norvegia e proseguiranno a Cuba: lo hanno confermato sia il presidente Juan Manuel Santos che Rodrigo Londoño Echeverri, il comandante in capo dei guerriglieri. In un discorso pronunciato ieri sera in diretta televisiva, Santos ha detto che i negoziati costituiscono “un’opportunità vera per porre fine al conflitto” anche se nell’immediato l’esercito non sospenderà le sue operazioni. Analoghe le dichiarazioni rilasciate da Londoño, soprannominato Timochenko, secondo il quale - riferisce l'agenzia Misna - le Farc si impegneranno per “una vera riconciliazione” e “non lasceranno il tavolo dei negoziati finché non sarà ottenuta la pace”. Nei giorni scorsi il governo di Bogotà e i guerriglieri avevano fatto sapere di aver avuto contatti indiretti, senza però confermare indiscrezioni di stampa su modalità e tempi delle trattative. Nel suo discorso, riferisce l’emittente Radio Caracol, Santos ha sottolineato che i negoziati affronteranno i nodi dello “sviluppo rurale”, delle “garanzie per l’opposizione politica”, della fine del conflitto armato, del narcotraffico e dei “diritti delle vittime”. Le Farc nacquero nel 1964 sulla base di una piattaforma marxista-leninista, centrata sulle aspirazioni di giustizia delle masse rurali. L’ultimo tentativo di raggiungere un accordo di pace, fallito, risale a 10 anni fa. (R.P.)

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    Rincari alimentari nel mondo: l'Onu teme una nuova crisi

    ◊   Forti aumenti dei prezzi del granturco, della farina e dalla soia stanno accrescendo il rischio di un ripetersi della crisi alimentare del 2007-2008: lo sostengono in un documento diffuso ieri a Roma tre agenzie specializzate dell’Onu, evidenziando i pericoli che gravano sui Paesi del Sud del mondo importatori di cibo. “Dobbiamo agire subito – sottolineano l’Organizzazione per l’Agricoltura e l’Alimentazione (Fao), il Programma Alimentare Mondiale (Pam/Wfp) e il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad) – per assicurarci che queste impennate dei prezzi non si trasformino in una catastrofe capace di colpire nei prossimi mesi decine di milioni di persone”. Secondo le agenzie dell’Onu, i rincari sono frutto di fattori congiunturali e strutturali, dalla siccità che ha colpito i campi del Midwest americano a una crescita della popolazione mondiale stimato in 80 milioni di persone l’anno. Nel documento - riferisce l'agenzia Misna - si sottolinea che per ridurre il rischio di un’offerta di cereali insufficiente bisogna investire nell’agricoltura dei Paesi importatori di cibo. Paesi, sottolineano le agenzie dell’Onu, che hanno spesso “un enorme potenziale per aumentare la produzione” e in prospettiva garantire “lavoro e reddito” nelle aree rurali dove vive il 70% dei poveri del mondo. Altri impegni necessari, si legge nel documento, sono la riduzione degli sprechi nella catena alimentare e “una revisione delle scelte sui biocarburanti” quando i mercati globali sono “sotto pressione”. Il testo diffuso ieri è solo l’ultimo di una serie a mettere in guardia dai rischi di una nuova crisi alimentare. Alla fine di agosto la Banca Mondiale ha stimato che i prezzi del cibo sono aumentati nell’ultimo anno di circa il 6%. (R.P.)

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    Africa: oltre la metà dei bambini non è iscritta all'anagrafe

    ◊   Nascono, vivono, muoiono ma non risulta che siano mai esistiti: oltre la metà dei bambini africani ancora non viene iscritta all’anagrafe al momento della nascita e di conseguenza rimane priva di ogni diritto, risultando cittadino “inesistente”. E’ emerso nella II Conferenza sul Registro Civile, in corso a Durban, in Sudafrica, organizzata dal Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (Unicef). Secondo i calcoli fatti - riporta l'agenzia Fides - in una zona rurale povera, dove la gente vive con meno di 1 dollaro al giorno, un residente dovrebbe pagare 25 dollari per registrare la nascita del proprio figlio in un centro urbano e ottenere il certificato. Nel XXI secolo sopravvive ancora questo retaggio di colonialismo che non prevede l’iscrizione dei nascituri all’anagrafe. Tra gli altri rischi di questa grave mancanza, nel caso in cui i minorenni siano arrestati, vengono trattati secondo le leggi applicate per gli adulti, visto che non esistono documenti che certificano la loro età. Il fenomeno è stato rilevato come particolarmente grave in Somalia, Sud Sudan e Uganda. (R.P.)

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    Cipro: messaggio del cardinale Bagnasco all’incontro sulla coesione sociale europea

    ◊   Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), è intervenuto oggi in occasione della giornata conclusiva dei lavori dell’incontro sulla coesione sociale europea tenuto a Cipro. Il cardinale ha sottolineato che “questo seminario unitario – promosso dalla Commissione “Caritas in Veritate” del Ccee – esprime la volontà di camminare insieme per unificare le forze” per “un servizio migliore all’Europa”. Come riporta il Sir, il cardinal Bagnasco ha ricordato che “la Chiesa ha un grande messaggio per quanto concerne la questione sociale e la società grazie alla dottrina sociale della Chiesa che è il compendio delle implicazioni a livello culturale, sociale, economico, politico, ma soprattutto antropologico del mistero di Cristo e del Vangelo. Le Chiese cattoliche europee sentono profonda la missione di mettersi a servizio dell’evangelizzazione, sapendo che dentro al Vangelo vi è l’elevazione di tutto l’uomo e, quindi, della società”. La giornata era stata aperta da Andreas Pitsillides, docente di teologia e membro del parlamento cipriota, che ha sottolineato come “l’impegno della Chiesa cattolica nel promuovere la coesione sociale in Europa è fondamentale; per raggiungere questo obiettivo è importante comunicare con la gente, stando sempre al passo con sfide di ogni epoca”. (L.P.)

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    Washington: Conferenza internazionale sulla libertà religiosa

    ◊   Il 12 settembre a Washington si aprirà l’International Religious Freedom Conference, promossa dalla Conferenza episcopale Usa, dalla Catholic University of America e dal Catholic Relief Services. Obiettivo della conferenza è evidenziare “le conseguenze umanitarie delle violazioni della libertà religiosa” e “innalzare il profilo internazionale nel discorso pubblico”. Tra gli altri, come riportato dall'agenzia Sir, vi prenderà parte il cardinale Timothy Dolan, presidente dei vescovi statunitensi, che pronuncerà il discorso inaugurale. Ci si interrogherà soprattutto su che cosa può fare la Chiesa per difendere la libertà religiosa a livello internazionale e il ruolo della politica estera degli Stati Uniti nel promuovere tale libertà al di fuori dei suoi confini. I promotori, nel presentare la conferenza citano il messaggio del Pontefice Benedetto XVI inviato in occasione della Giornata della Pace 2011 proprio a riguardo della libertà religiosa, in cui il Santo Padre identificava la mancanza di libertà religiosa come “una minaccia per la sicurezza e la pace, e un ostacolo al raggiungimento di un autentico e integrale sviluppo umano”. Particolare attenzione verrà riservata alle “comunità cristiane più vulnerabili” al fine di “rafforzare la nostra capacità di affrontare questo tema cruciale”. (L.P.)

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    Filippine. Agguato ad attivista per i diritti umani a Mindanao: ucciso suo figlio 11enne

    ◊   L’obiettivo dell’agguato era lui, Timuay Locencio Manda, leader tribale della comunità Subanen, attivista per i diritti umani: ma ieri a Zamboanga, sull'isola di Mindanao, quando dei sicari gli hanno sparato alle 7. 20 del mattino, Timuay è rimasto solo ferito, mentre suo figlio 11enne, Jordan Manda, è stato ucciso. Secondo i gruppi per i diritti umani, il leader tribale è stato colpito perché nelle scorse settimane si era pubblicamente opposto allo sfruttamento minerario del sottosuolo, proprio mentre il governo ha concesso tre nuove autorizzazioni a Compagnie minerarie per esplorare il sottosuolo nell’area di Zamboanga. Tali progetti, denunciano gli attivisti, violano il “dominio ancestrale” delle popolazioni indigene, distruggono le loro terre e la loro fonte di sostentamento, attentano alla vita stessa delle comunità locali. Per questo sono contestati in base a leggi nazionali e internazionali. Gli attivisti ora chiedono al governo “una moratoria immediata per tutte le attività minerarie nella penisola di Zamboanga”. I missionari cattolici presenti a Mindanao confermano le tensioni esistenti. Padre Giulio Mariani, del Pime, dell’Euntes Center di Zamboanga, dice all'agenzia Fides che “la situazione è peggiorata: a Zamboanga si registrano continue uccisioni”. “Siamo molto preoccupati” aggiunge a Fides l’altro missionario del Pime, padre Peter Geremiah, impegnato per la difesa delle popolazioni indigene a Mindanao. “Nei mesi scorsi vi sono state molte vittime di questo genere. Occorre che i mass media portino alla luce tali eventi” rimarca padre Peter, ricordando una delle vittime di tale scia di omicidi extragiudiziali: il suo confratello padre Fausto Tentorio, del Pime, ucciso un anno fa. Autorità locali, missionari, gruppi per i diritti umani lo ricorderanno insieme a tutte le altre vittime innocenti il prossimo 17 settembre, con un grande raduno a Davao. (R.P.)

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    Pakistan: il fenomeno delle conversioni forzate spesso legato alla malavita

    ◊   Alcuni membri della comunità cristiana del quartiere di Walton Road, a Lahore, hanno denunciato alla polizia una “campagna di conversioni forzate all’islam” da parte di alcuni musulmani locali. La notizia ha avuto eco sui mass media pachistani ma secondo fonti dell'agenzia Fides a Lahore, il caso è una montatura. “Occorre fare attenzione alla strumentalizzazione della religione davanti alla giustizia: è la stessa dinamica che avviene nei casi di blasfemia” nota padre Inayat Bernard, segretario della Commissione diocesana per la Catechesi e condirettore del settimanale “The Christian View”. Padre Francis Sabir, parroco cattolico della chiesa di San Francesco a Walton Road, racconta a Fides tutt’altra versione dei fatti. La vicenda è legata ad ambienti della malavita: “Tra alcuni cristiani e musulmani coinvolti nel giro del gioco d’azzardo, è scoppiata una lite. Un cristiano, per venirne fuori salvo, ha iniziato a sollevare false accuse di conversioni forzate. Da qui la situazione è degenerata. Ma la religione è stata tirata in ballo in modo del tutto strumentale”. Padre Francis si sta ora adoperando, insieme con alcuni leader musulmani, per ristabilire la calma nel quartiere e stemperare la tensione fra le due comunità. “Cristiani e musulmani qui hanno sempre convissuto in pace e armonia e non c’è motivo reale per creare subbuglio e discordie” nota. Il problema delle conversioni forzate è reale in Pakistan ed è stato più volte segnalato dalle minoranze religiose cristiane e indù, tanto che il governo ha istituito una Commissione speciale per monitorare il fenomeno e adottare contromisure. “Ma sollevare casi falsi – conclude padre Bernard – non aiuta certo le minoranze”. (R.P.)

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    Sri Lanka: i profughi tamil in India preferiscono non rientrare in patria

    ◊   A tre anni di distanza dalla fine della guerra civile che ha sconvolto lo Sri Lanka dal 1983 al 2009, la maggior parte dei profughi rifugiatisi in India è riluttante a rientrare in patria per difficoltà economiche e per il timore di subire violazioni dei diritti umani. Secondo le stime del governo indiano, nello Stato meridionale del Tamil Nadu ci sono oltre 100 mila cingalesi di etnia Tamil, compresi 68 mila in 112 campi gestiti dal governo e 32 mila fuori dai campi. Altre fonti riferiscono di continue presunte violazioni dei diritti umani nel nord e dell’incapacità del governo di far fronte al problema delle migliaia di persone che ancora mancano all’appello dal periodo successivo al conflitto armato, che ha lasciato decine di migliaia di morti. Il Working Group on Enforced or Involuntary Disappearances dell’Ufficio delle Nazioni Unite per l’Alto Commissariato per i Diritti Umani - riferisce l'agenzia Fides - ha registrato nel Paese oltre 5 mila scomparse legate alla guerra, senza considerare quanti sono spariti nell’ultimo periodo bellico, tra il 2008 e il 2009. Nonostante gli aiuti offerti dall’Unhcr, sono rientrati in patria solo poco più di 5 mila cingalesi. Per alcuni di loro mantenere lo status di rifugiati sembra essere più vantaggioso. Alcune zone settentrionali Tamil, come Jaffna e Trincomalee, sono più stabili, mentre altre aree devastate dalla guerra sono prive delle infrastrutture di base. Si calcola che oltre la metà dei profughi nei campi indiani sia nata in India e quindi conosca ben poco dello Sri Lanka. L’ondata più grande di profughi si è verificata tra il 1983 e il 1987. Secondo gli operatori umanitari, le condizioni di vita nei campi variano da precarie ad adeguate. Alcuni vivono in capanne di paglia, altri in piccole case fatte di blocchi di cemento, inoltre nei campi più lontani ci sono problemi idrici e igienico-sanitari. (R.P.)

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    India: nel Tamil Nadu 184 pellegrini srilankesi aggrediti al Santuario di Vailankanni

    ◊   Un gruppo di militanti tamil in India ha aggredito 184 cristiani dello Sri Lanka, impedendo loro di compiere l'annuale pellegrinaggio a Nostra Signora della Salute a Vailankanni (Tamil Nadu). Per evitare che la situazione degenerasse, le forze dell'ordine hanno scortato i pellegrini - per lo più donne e bambini - all'aeroporto di Trichy, per farli rientrare nel loro Paese. Fonti locali dell'agenzia AsiaNews che preferiscono l'anonimato, affermano che al momento la situazione "è tranquilla", ma "non è un buon segnale" per la chiesa e i suoi pellegrini. La polizia ha identificato gli aggressori come attivisti pro Eelam, che si battono per la creazione di uno Stato indipendente tamil in Sri Lanka (l'Eelam, appunto). I militanti - un centinaio circa - hanno attaccato i pellegrini quando erano ancora sui pullman, diretti alla basilica. Nessuno è rimasto ferito, ma uno dei sette bus è stato danneggiato. Gli agenti hanno poi provato a scortare i cristiani fino alla chiesa, ma lungo la strada sono stati di nuovo attaccati dagli attivisti. A quel punto, le forze dell'ordine hanno deciso per il rientro immediato in Sri Lanka. A bordo di un volo speciale, il gruppo di cristiani ha lasciato l'India questa notte. Secondo le fonti, "l'attacco voleva solo essere un atto dimostrativo, non contro i pellegrini in sé. Non è la prima volta che i militanti compiono gesti di questo tipo. Il loro obiettivo era attirare l'attenzione del governo dello Sri Lanka, perché affronti una volta per tutte il problema del reinsediamento dei profughi tamil e degli sfollati interni". Tuttavia, aggiungono, "a farne le spese è stata la povera gente. Molte persone, soprattutto i più giovani, erano al loro primo pellegrinaggio". Ogni anno, la "Lourdes d'oriente" accoglie pellegrini da tutto il mondo. Dopo lo tsunami del 2005, migliaia di persone di ogni religione, non solo cattolici, vanno a cercare conforto nel santuario e a rendere omaggio a Maria. All'epoca, infatti, il maremoto ha colpito duramente il santuario mariano: circa 850 persone sono morte; altre 300 sono state trascinate via dalla furia delle onde. Ma chi ha cercato rifugio dentro la cappella, è rimasto illeso. (R.P.)

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    Bolivia: solidarietà dei vescovi per l'agenzia cattolica querelata dal governo

    ◊   Il vicepresidente della Conferenza episcopale della Bolivia, mons. Jesús Pérez, vescovo di Sucre, ha chiesto ai giornalisti e ai direttori dei media di essere forti e di affrontare con molta calma i tempi difficili che vive il Paese. Nella nota inviata all'agenzia Fides, mons. Pérez ricorda che, come i profeti, i lavoratori della stampa sono messaggeri della verità. Ora "è il momento di rimanere calmi" ma spetta comunque ai giornalisti dire la verità e "essere coraggiosi", quindi ha chiesto loro, ancora una volta, calma e serenità nonostante le circostanze. Le parole di mons. Pérez giungono dopo l'annuncio di una querela del governo contro tre media, uno dei quali è la “Agencia de Noticias Fides” (Anf) gestita dalla Chiesa cattolica, per aver distorto – secondo l’accusa - alcune dichiarazioni del Presidente. La settimana scorsa la Conferenza episcopale boliviana, in una lettera al direttore della Anf, il sacerdote gesuita José Gramunt di Moragas, ha espresso "sostegno e solidarietà al lavoro giornalistico della Anf, dinanzi agli attacchi che ha ricevuto nei giorni scorsi dai rappresentanti del governo nazionale". Nella lettera i vescovi affermano che non trovano "alcun motivo ragionevole per le accuse che le autorità hanno rilasciato pubblicamente, screditando un lavoro al servizio della verità e del bene comune, che è ben inserito nella storia di questo mezzo di comunicazione della Chiesa cattolica in Bolivia". L'Observatorio Nacional de Medios (Onadem) de la Fundación Unir Bolivia ha denunciato l'aumento delle aggressioni contro i giornalisti in Bolivia e la rappresentante del Colegio Latinoamericano de Periodistas (Colaper) ha annunciato che a fine settembre presenterà un rapporto su questa situazione al Congresso dei Giornalisti di Ecuador e Colombia. (R.P.)

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    Anglicani: ad ottobre l'annuncio del nuovo arcivescovo di Canterbury

    ◊   Il successore di Rowan Williams e centocinquesimo arcivescovo di Canterbury verrà annunciato durante la prima metà di ottobre nel corso di una conferenza stampa. Lo conferma all'agenzia SirEuropa l’ufficio stampa del Primate anglicano spiegando che Williams rimane in carica fino al 31 dicembre e aggiungendo anche che l’arcivescovo Williams parteciperà a Roma l’11 ottobre alla solenne celebrazione d’inizio dell’Anno della fede, nel ricordo del cinquantesimo anniversario di apertura del Concilio Vaticano II. La scelta del nuovo arcivescovo verrà fatta dalla Crown Nominations Commission, una commissione avviata da Gordon Brown nel 2007 per restituire alla Chiesa la scelta del suo leader. In passato toccava infatti al Primo Ministro selezionare, da una rosa di due nomi, il Primate anglicano. Al successore di Williams, che se ne va dopo dieci anni, toccherà il difficile compito di mantenere unite le tre fazioni della chiesa, quella anglocattolica, quella evangelica e la liberale e di trovare una via per sopravvivere alle divisioni sull’ordinazione delle donne vescovo e dei matrimoni gay. Divisioni che coinvolgono, oltre alla “Chiesa di Inghilterra”, l’intera comunione anglicana. Era il 16 marzo di quest’anno quando Rowan Williams dette l’annuncio delle sue dimissioni dicendo che aveva preso la direzione di un importante college universitario a Cambridge. La Crown Nominations Commission è composta di 16 membri, 6 scelti dal Sinodo, l’organo che governa questa Chiesa e 6 dalla diocesi di Canterbury. Vi sono poi due vescovi, James Newcome di Carlisle e Michael Perham di Gloucester oltre a Barry Morgan arcivescovo del Galles, in rappresentanza della Comunione anglicana e Lord Luce, un laico ex ministro degli esteri conservatore. Per la prima volta nella storia, i membri della Comunione anglicana di tutto il mondo sono invitati a condividere le loro opinioni sul ministero del prossimo arcivescovo di Canterbury, inviando i pareri via e-mail o posta. Il processo di ricerca del prossimo arcivescovo ha poi avuto ampie consultazioni anche con vari rappresentanti della Chiesa d‘Inghilterra, di altre confessioni cristiane e di altre fedi. La scelta verrà poi approvata, in modo definitivo, dal Primo Ministro David Cameron. Tra i favoriti, secondo la stampa britannica, vi è John Sentamu, ugandese, 62 anni, gradito sia all’ala cattolica che a quella liberale della chiesa. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 249

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.