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Sommario del 25/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Medio Oriente ed Europa gli argomenti di colloquio dell'udienza del Papa al presidente di Cipro
  • Nomina
  • Sinodo. Sister Prema, superiora delle Missionarie della Carità: Madre Teresa esempio di evangelizzazione
  • Sinodo. Il vescovo cubano Garcia Rodriguez: nuovo slancio nell'annunciare che Dio è amore
  • Mons. Onayekan, futuro cardinale: accolgo la nomina come segno di benedizione per la Nigeria
  • Definitiva la sentenza nei confronti di Paolo Gabriele. Resta aperta la possibilità della grazia
  • Anno della Fede: Il cardinale Re: la famiglia è il primo posto dove si conosce Cristo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Informale tregua tra Hamas e Israele grazie alla mediazione egiziana
  • Siria: dubbi e speranze per l’inizio della tregua, ancora scontri sul terreno
  • Europa al lavoro per salvare la Grecia, smentito l'accordo con la troika
  • Sudafrica. Licenziati 23 mila minatori in sciopero. Padre Baldan: il Paese è in crisi
  • Famiglie e crisi. Patriarca al ministro Grilli: legge di stabilità non aiuta il Paese
  • Malattie rare: presentata un'indagine su costi e misure per contrastare le diseguaglianze
  • La gestione trasparente dei beni della Chiesa e la corresponsabilità dei laici in un convegno a Roma
  • A Riva del Garda il Festival della famiglia, per stimolare la politica e dare ottimismo
  • Una mostra a Milano ricorda l’Editto di Costantino, 1700 anni dopo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: trovato morto il prete greco ortodosso sequestrato a Damasco
  • Appello Fao: serve un "nuovo grande passo" nella lotta alla fame
  • Belgio: per il vescovo di Hasselt "inaccettabile" la chiusura dello statilimento Ford a Genk
  • Congo: nel Nord Kivu continuano le ricerche per i tre religiosi rapiti
  • Milioni di musulmani a La Mecca: è iniziato il "grande pellegrinaggio"
  • Filippine: a Mindanao famiglia tribale massacrata da soldati dell’esercito
  • India: nel Kandhamal dopo i pogrom, segnali di pace tra indù e cristiani
  • Guatemala: mons. Ramazzini invita il governo al dialogo con la popolazione indigena
  • Sudan: drammatico appello del vescovo di Kadugli per le popolazioni del Sud Kordofan
  • Aiuti della Caritas italiana a Senegal e Sierra Leone colpite da alluvioni e colera
  • Madagascar: inaugurati un dispensario e un Centro per disabili
  • Dialogo interreligioso: presentata l'XI Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
  • Ordine del Santo Sepolcro: pellegrini a Roma nell'Anno della Fede per impegno pro Terra Santa
  • Torino: mons. Nosiglia scrive una lettera pastorale dedicata ai rom
  • Il Papa e la Santa Sede



    Medio Oriente ed Europa gli argomenti di colloquio dell'udienza del Papa al presidente di Cipro

    ◊   La pace in Medio Oriente e la situazione critica che attraversa l’Europa hanno caratterizzato questa mattina l’udienza che Benedetto XVI ha concesso al presidente della Repubblica di Cipro, Demetris Christofias. “Negli incontri, svoltisi in un’atmosfera di cordialità”, precisa un comunicato della Sala Stampa Vaticana, “sono stati rilevati i buoni rapporti esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica di Cipro” e si è parlato dell’importanza “del dialogo e del rispetto dei diritti umani, tra cui quello della libertà religiosa”. Mentre la Repubblica di Cipro, prosegue la nota, “esercita la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, non è mancata una rassegna della situazione in Europa. Si è auspicato, infine, che le iniziative per il dialogo e la pace tra le parti in conflitto in Medio Oriente raggiungano risultati positivi con il contributo della Comunità Internazionale”.

    Dopo l’incontro con il Papa, il presidente cipriota si è successivamente intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.


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    Nomina

    ◊   In Messico, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Valle di Chalco Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Víctor René Rodríguez Gómez, finora Vescovo titolare di Tiburnia e Ausiliare di Texcoco.

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    Sinodo. Sister Prema, superiora delle Missionarie della Carità: Madre Teresa esempio di evangelizzazione

    ◊   Il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione lavora oggi a porte chiuse: in programma, lo studio degli emendamenti alle Proposizioni finali, che verranno messe ai voti sabato. Intanto, tra i temi emersi in Aula in questi giorni, c’è il richiamo a trasmettere la fede nell’epoca contemporanea traducendola anche in sollecitudine verso i poveri. E tra i modelli a cui la nuova evangelizzazione deve ispirarsi viene proposta la figura di Madre Teresa di Calcutta. Al microfono del nostro inviato al sinodo Paolo Ondarza sentiamo la testimonianza di suor Mary Prema Pierick, superiora generale delle Missionarie della Carità, uditrice al Sinodo:

    R. – I’m very privileged to have been invited…
    Mi sento una privilegiata per essere stata invitata a questo Sinodo, dove rappresento tutte le sorelle, i padri e i fratelli delle Missionarie della Carità e tutti i nostri poveri. Tutti loro sono impegnati nel pregare intensamente, perché il Sinodo porti frutti per la nuova evangelizzazione.

    D. – I vescovi mostrano Madre Teresa come un modello, come un esempio della nuova evangelizzazione. Cosa può dire oggi alla nostra Chiesa?

    R. – Mother was filled with…
    Madre Teresa era piena del desiderio di far sapere a tutti che Gesù li ama e che Gesù ha dato il suo sangue prezioso per la salvezza di ciascuno di loro. Il mandato di Gesù “Andate in tutte le nazioni e annunciate la buona novella” era la sua linea guida e con esso cercava di raggiungere più persone possibili, per far sapere loro che Gesù li amava e che stava aspettando la loro risposta d’amore.

    D. – La nuova evangelizzazione significa anche prestare attenzione ai poveri e ai malati. Madre Teresa con la sua vita ci ha insegnato che dobbiamo cercare Cristo in ogni uomo povero e che la preghiera deve accompagnare l’azione concreta di aiuto nei confronti di chi è nel bisogno...

    R. – The new evangelization...
    La nuova evangelizzazione riguarda i poveri, ma non è nuova perché riguarda ciò che ha fatto Gesù. Lui stesso si è identificato con i poveri nel dire: “Qualunque cosa farete al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me”. Questo è ciò che Madre Teresa ha visto nel mandato di Gesù: dare una speciale attenzione ai poveri e ha sperimentato il desiderio, la sete di Gesù, per la salvezza dei poveri, per coloro che soffrono fisicamente, spiritualmente, moralmente e psicologicamente. Loro saranno sempre al centro dell’attenzione della nostra Chiesa.

    D. – Madre Teresa con la sua vita ci ha insegnato che anche noi dobbiamo rendere santa la nostra vita. E’ possibile essere santi in ogni contesto, in ogni tempo?

    R. – I’m very convinced about that...
    Sono davvero convinta di questo. Dio ha chiamato ciascuno di noi a tirar fuori dalle nostre anime e dalle nostre vite la santità, ci ha chiamati ad una risposta d’amore. Noi siamo amati per primi da Dio. In ogni vita umana, ci sarà una speciale croce e con quella croce anche una speciale grazia, per avvicinarsi all’incontro con Cristo e, inoltre, all’identificazione con Cristo nella sua sofferenza, nel suo desiderio di anime.

    D. – Madre Teresa ha sempre difeso la vita, contrastando l’aborto. Questo è un bisogno, un dovere anche per la nuova evangelizzazione oggi...

    R. – The unborn child is a human person...
    Il bambino non ancora nato è un essere umano, un individuo, che ha il diritto di nascere, di essere curato e amato. Ogni persona ha questo diritto e trascurare o negare questo diritto è una menzogna, perché fin dal momento del concepimento il bambino è una nuova persona, ha un’anima “disegnata” da Dio perché cresca in santità e torni a Lui per l’eternità in cielo. Quindi, la difesa del bambino non nato deve essere sempre al centro della vita cristiana, perché riguarda il comandamento: non uccidere.

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    Sinodo. Il vescovo cubano Garcia Rodriguez: nuovo slancio nell'annunciare che Dio è amore

    ◊   La nuova evangelizzazione ha bisogno di santi, testimoni di Cristo nel mondo. E’ quanto chiede il Sinodo spiegando che la vita, la testimonianza e l’intercessione di uomini e donne che hanno plasmato sul Vangelo, rappresenta un grande tesoro della Chiesa e può essere di grande aiuto per la trasmissione della fede nel terzo millennio. Al microfono del nostro inviato Paolo Ondarza, sentiamo la riflessione di mons. Juan Garcia Rodriguez, arcivescovo di Camagüey a Cuba:

    R. – Estamos en una epoca...
    Viviamo in un’epoca nuova, segnata da profonde trasformazioni. Il Vangelo è per tutti i popoli, per tutte le persone e per tutte le epoche. Dobbiamo quindi attualizzare quel messaggio. Chiaramente, il modo migliore per trasmettere il Vangelo è essere santi, perché i santi sono sempre evangelizzatori, continuano ad esserlo in ogni epoca: anche se sono passati alla casa del Signore da secoli, continuano ad evangelizzare. Oltre a essere santi dobbiamo essere presenti in tutti gli ambienti, nelle piazze, nelle strade, nelle case, e annunciare il Vangelo casa per casa per arrivare ad ogni uomo, ad ogni donna, al cuore delle famiglie.

    D. – Oggi si è perso l’ardore della testimonianza evangelica?

    R. – Creo que hay personas...
    Credo ci siano persone che vivono questo ardore. Certo, va riconosciuto che non è per tutti così, ma il Vangelo è grandioso perché dice “non sappia la tua mano destra quello che fa la tua sinistra”. Ci sono persone che vivono questo ardore della testimonianza, ma nella quotidianità. Ci sono sacerdoti che portano il Vangelo con impegno, creatività, dedizione. A volte non ci si accorge di questi testimoni, che però influenzano con il loro agire le persone, i territori, la parrocchia.

    D. – E’ molto pericoloso – denuncia il Sinodo – pensare che oggi si possa vivere senza Dio...

    R. – Es peligrosisimo vivir sin Dios...
    E’ pericolosissimo vivere senza Dio, perché se Dio non esiste vuol dire che non siamo fratelli. Allora non dobbiamo amare nessuno, è lecito rubare, uccidere, posso distruggere una famiglia. Altra cosa è se siamo fratelli, figli di un unico Dio. Dio esiste – dobbiamo annunciarlo chiaramente – e se Dio esiste è il Padre, è l’”Abbà” secondo Gesù Cristo, il papà di tutti.

    D. – Come vescovo di Cuba, qual è il suo messaggio per questo Sinodo?

    R. – El mensaje para este Sinodo es...
    Il messaggio per questo Sinodo è un’esortazione alla santità. Impariamo a essere santi nell’annuncio del Vangelo, quando avviciniamo coloro che non lo conoscono, facciamo sì che ne restino conquistati, annunciamo la Buona Novella con creatività. Non rinunciamo ad annunciare il Vangelo, non possiamo evitare di farlo. Se le difficoltà sono grandi, allora più grande deve essere il nostro ardore.

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    Mons. Onayekan, futuro cardinale: accolgo la nomina come segno di benedizione per la Nigeria

    ◊   “Un segno della benedizione del Signore” verso il suo Paese, dopo tante “brutte notizie”. È il commento a caldo dell’arcivescovo di Abuja,in Nigeria, John Olorunfemi Onayekan, che ieri ha ricevuto la notizia della sua prossima elevazione alla porpora cardinalizia, nel Concistoro annunciato da Benedetto XVI per il prossimo 24 novembre. Ascoltiamo il futuro porporato, nell’intervista di Paolo Ondarza:

    R. – Ringraziamo il Signore, che dà ogni grazia e benedizione. Ringrazio naturalmente il Santo Padre, che mi ha scelto. Questa è la dimostrazione, da lungo tempo, della bontà di Dio nei miei confronti. So, infatti, che Dio è stato molto buono con me. Immagino naturalmente che la nomina di un cardinale non avvenga senza ragione e sarà il Santo Padre a sapere tutte le ragioni. Io immagino che avrà da fare e avrà un grande senso di responsabilità per il lavoro che stiamo facendo. Penso sia anche un onore per il mio Paese, come arcivescovo della capitale nigeriana, e tutti i nigeriani lo considerano un onore.

    D. – Che cosa le hanno detto?

    R. – E’ stato annunciato dalla Cnn e 30 minuti dopo che qui era stato annunciato, già tutti lo sapevano. Quindi, non ho avuto bisogno di informarli, perché già sapevano tutto. Cristiani, musulmani, tutti dicono che questo sia un onore per il Paese. Per noi è un bene avere questa buona notizia in Nigeria, dopo tante brutte notizie. Speriamo che questo sia il segno della benedizione del Signore verso il nostro Paese.

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    Definitiva la sentenza nei confronti di Paolo Gabriele. Resta aperta la possibilità della grazia

    ◊   Non essendo stati proposti appelli, la sentenza dello scorso 6 ottobre nei confronti di Paolo Gabriele è diventata definitiva. E' quanto rende noto il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, aggiungendo che “per mandato del Presidente del Tribunale, il Promotore di Giustizia ha disposto questa mattina la reclusione in esecuzione della sentenza”. L’ordinanza nei confronti di Paolo Gabriele - condannato a 3 anni di reclusione, con pena ridotta ad un anno e mezzo per furto aggravato di documenti riservati - verrà eseguita in giornata. La sentenza - si legge inoltre in un comunicato della segreteria di Stato - mette un punto fermo su “una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose”. Il comunicato ribadisce che “è stata recata un'offesa personale al Santo Padre”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Si è violato “il diritto alla riservatezza di molte persone” che si erano rivolte al Papa; si è creato “pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni”; si è posto ostacolo “alle comunicazioni tra i vescovi del mondo e la Santa Sede” e “causato scandalo alla comunità dei fedeli”. Inoltre – si sottolinea nel comunicato della segreteria di Stato - per un periodo di parecchi mesi “è stata turbata la serenità della comunità di lavoro quotidianamente al servizio del Successore di Pietro”. Paolo Gabriele – si ricorda nel documento - è stato riconosciuto “colpevole al termine di un procedimento giudiziario che si è svolto con trasparenza, equanimità, nel pieno rispetto del diritto alla difesa”. Il dibattimento ha potuto accertare i fatti, appurando che Gabriele “ha messo in atto il suo progetto criminoso senza istigazione o incitamento da parte di altri, ma basandosi su convinzioni personali in nessun modo condivisibili”. Le varie congetture circa “l'esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate”. Con il passaggio della sentenza in giudicato, Paolo Gabriele “dovrà scontare il periodo di detenzione inflitto”. Si apre inoltre a suo carico la procedura “per la destituzione di diritto, prevista dal Regolamento Generale della Curia Romana”. In rapporto alla misura detentiva - si legge infine nel comunicato - rimane “l'eventualità della concessione della grazia, che, come ricordato più volte, è un atto sovrano del Santo Padre”. Una concessone che presuppone ragionevolmente “il ravvedimento del reo e la sincera richiesta di perdono al Sommo Pontefice e a quanti sono stati ingiustamente offesi”.

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    Anno della Fede: Il cardinale Re: la famiglia è il primo posto dove si conosce Cristo

    ◊   L’Anno della Fede deve essere vissuto anzitutto in famiglia. È la convinzione del prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Giovanni Battista Re, che ieri a Pordenone ha partecipato a una celebrazione sul 50.mo del Concilio. L’iniziativa fa parte del ricco programma della manifestazione “Ascoltare, leggere, crescere, che vede protagonista in questi giorni la Libreria Editrice Vaticana e le sue più recenti pubblicazioni. Il cardinale Re è stato intervistato dal nostro inviato a Pordenone, Federico Piana:

    R. – Avere o non aver fede è qualcosa di essenziale per la vita eterna, ma anche per una vita serena su questa terra. Quindi, l’Anno della Fede è un’occasione splendida per un nuovo impegno e anche un rinnovato slancio sia nel vivere la fede sia anche nel donarla agli altri.

    D. – In che modo mettere a frutto quest’Anno della Fede, secondo lei?

    R. – Io direi che quello che si deve fare, in questo anno, sia prima di tutto alimentare la fede. La fede va alimentata con la preghiera, con la lettura della Parola di Dio, e va testimoniata nella vita, perché la fede è qualcosa di intimo, da un certo punto di vista, ma ha anche una dimensione comunitaria. Poi, la fede va trasmessa. Vorrei sottolineare l’importanza che la fede sia trasmessa in famiglia, perché tutti nella nostra esperienza vediamo che le cose che abbiamo imparato in famiglia poi le portiamo con noi per tutta la nostra vita.

    D. – Quindi, la nuova evangelizzazione avviene, partendo dal vicino di casa, partendo dal collega di lavoro, nel quotidiano: dobbiamo ricominciare da lì…

    R. – Dobbiamo cominciare da vicino e, quindi, questa idea dell’Anno della Fede, questa grande iniziativa del Papa, mi pare molto importante soprattutto perché viene incontro a un’esigenza del nostro tempo, del nostro mondo, in cui Dio ha poco spazio nei cuori, ma anche nella vita della società.

    D. – Il Concilio Vaticano II ha 50 anni. Che eredità ne conserviamo e soprattutto come lo possiamo riscoprire?

    R. – Prima di tutto, dobbiamo tornare a conoscerlo bene. E poi, vedere soprattutto come lo abbiamo applicato in questi 50 anni. Il Vaticano II conteneva nei suoi 16 documenti tutta una serie di indicazioni. Penso, allora, che dobbiamo fare un esame per vedere come mettere in pratica la ricchezza dell’insegnamento che ci viene da questi 16 documenti conciliari.


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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Cristo porta tutta la novità: in prima pagina, un editoriale di Robert Imbelli sul punto centrale dell'Anno della fede.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'attesa per la tregua in Siria.

    Marco Bellizi sulla decisione di Silvio Berlusconi di non candidarsi alla guida del Governo.

    Come servire la Chiesa e non servirsi di essa: in cultura, a trent'anni dalla morte, l'arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, Gualtiero Bassetti, sulla figura di Giovanni Benelli grande evangelizzatore alla scuola del Concilio; Eliana Versace sulla corrispondenza inedita con Montini; la prefazione del cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, al libro di Antonio Lovascio "Giovanni Benelli. Un pastore coraggioso e innovatore".

    "Questione di marketing": Cristian Martini Grimaldi sulle ragioni del successo del truffatore Ryan Holiday.

    Un articolo di Giovanni Cerro dal titolo "Una ragazza in volo tra Dostoevskij e Bresson": in un libro il confronto tra "La mite" (1876) e la sua riscrittura cinematografica (1969).

    A cent'anni dalla nascita, Emilio Ranzato ricorda il regista Don Siegel, impressionista e metafisico come un gangster movie.

    Un inno sacro di Beethoven: ne dà notizia la Bbc.

    Nell'informazione religiosa, un articolo dal titolo "All'Onu il dramma dei cristiani": intervento del metropolita ortodosso russo Hilarion.

    Famiglia e laici secondo il modello indiano: un'intervista di Alessandro Trentin al cardinale George Alencherry, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Sir-Malabaresi.

    Nell'informazione vaticana, gli interventi di uditori e uditrici durante i lavori sinodali.

    Un punto fermo: comunicato della Segreteria di Stato.

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    Oggi in Primo Piano



    Informale tregua tra Hamas e Israele grazie alla mediazione egiziana

    ◊   Sarebbe già stata violata la tregua informale siglata ieri tra Gaza ed Israele grazie alla mediazione dell’Egitto. Alcune fonti di stampa riferiscono di colpi di mortaio da parte di miliziani palestinesi contro il Negev. Intanto, le autorità israeliane non hanno commentato le accuse lanciate dal Sudan di aver compiuto un raid sul proprio territorio e di aver causato la morte di due persone. Obiettivo dell’attacco una fabbrica di armi, secondo Israele dal Paese africano transiterebbero munizioni verso la Striscia di Gaza. Di questo Benedetta Capelli ha parlato con Tiberio Graziani, presidente dell’Isag, Istituto di Alti Studi in Geopolitica, e direttore della rivista “Geopolitica”:

    R. – Sta accadendo qualcosa di nuovo, perché gli attori locali sono un po’ cambiati nell’ultimo anno. Adesso abbiamo l’ingresso, ad esempio, del Qatar nelle questioni palestinesi e israeliane. Questo attacco rientra un po’ in una tradizione, ormai da un paio di anni, forse dal 2009, Israele dal punto di vista geo-strategico ha ritenuto e ritiene il Sudan un territorio particolare perché prossimo all’Egitto, dove c’è stata la cosiddetta primavera araba e dunque un cambio di governo. E’ un Egitto che, agli occhi di Israele, non sembra più affidabile come qualche tempo fa. Quindi, si può leggere questa iniziativa di Israele anche come una pressione nei confronti dell’Egitto, ma anche, molto probabilmente, come un segnale che viene dato all’Emiro del Qatar che alcuni giorni fa ha fatto la sua visita ufficiale come capo di Stato proprio nella Striscia di Gaza.

    D. - Segnale di che tipo?

    R. – E’ un segnale di presenza militare di fronte ad un Qatar, che cerca di entrare nelle dinamiche della relazione tra Israele e Gaza. Noi sappiamo che dall’Emiro del Qatar sono stati promessi ad Hamas tra i 250 e 400 milioni di dollari per la ristrutturazione e l’ammodernamento della Striscia di Gaza. Questo è pericoloso per Israele che così avrà vicino una Striscia di Gaza che si sta ammodernando. Non è da escludere che Hamas possa anche ammodernare il proprio sistema di armamenti e questo, chiaramente, pone Israele in una condizione di preoccupazione.

    D. – L’Egitto sarebbe anche il tramite per il transito delle armi verso la Striscia di Gaza, ma allo stesso tempo si propone come mediatore tra Israele e Hamas. Sono cose legate tra loro?

    R. – Sì, sono cose che potrebbero essere legate tra loro. A mio avviso, c’è qualche elemento in più. Oltre al Qatar, come attore nuovo sulla scena, ci sono anche le elezioni negli Stati Uniti, alleato tradizionale di Israele nella zona e alleato tradizionale dell’Egitto. Quindi, c’è un po’ un gioco delle parti a mio modo di vedere. C’è una sorta di riposizionamento dei vari attori locali. Però, la cosa interessante è anche il fatto che in questa mediazione o presunta mediazione dell’Egitto non ci sono più attori occidentali. Questo accordo di cui si parla è un passo in avanti per l’Egitto stesso, perché inizia di nuovo a dire la sua su un argomento che invece negli ultimi anni era un argomento di discussione soltanto delle grandi potenze, quindi degli Stati Uniti.

    D. – Quindi, da Mubarak al nuovo governo egiziano, nato dalla "primavera araba", cresce sempre questo desiderio di ritagliarsi un ruolo all’interno della trattativa tra Israele e la Palestina?

    R. – Sì, certamente, questa volta però questo ruolo viene ritagliato non soltanto appoggiandosi all’Arabia Saudita, ma appoggiandosi pure al Qatar, questo nuovo Paese emergente sul piano della diplomazia e anche sul piano militare. Sappiamo infatti che il Qatar ha aiutato la ribellione e i ribelli in Libia e adesso in Siria.

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    Siria: dubbi e speranze per l’inizio della tregua, ancora scontri sul terreno

    ◊   La comunità internazionale guarda con speranza e non poche perplessità alla tregua in Siria che inizia domani e durerà tre giorni, in occasione della Festa islamica del sacrificio. Lo stop temporaneo agli scontri armati, fortemente voluto dall’Onu, è stato accettato dal governo di Damasco e numerosi gruppi ribelli, e tuttavia continuano le violenze anche in queste ore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    In Siria, si attende con trepidazione l’inizio della tregua tra le forze di Damasco e gli oppositori al regime. Tuttavia, le speranze di un reale cessate-il-fuoco permangono flebili. Lo stesso inviato dell’Onu e della Lega Araba, Brahimi, ha affermato infatti che si tratta di un “piccolo passo” che non si sa nemmeno se verrà rispettato. Dal canto suo, mentre la Russia auspica che la tregua si realizzi, l’amministrazione americana si dice invece scettica sulla reale volontà di Assad di rispettare la promessa. A rendere particolarmente difficile la tregua, programmata da domani, è il protrarsi delle violenze sul terreno: solo ieri sarebbero state oltre 120 le vittime degli scontri, mentre stamani si registrano già almeno cinque morti nei pressi della capitale siriana. Alcune fonti locali, poi, affermano che i ribelli avrebbero espugnato un quartiere strategico di Aleppo.

    Nelle ultime ore, intanto, la commissione Onu di inchiesta sulla Siria ha annunciato di aver richiesto un incontro con il presidente Assad. Uno dei membri della Commissione, Carla del Ponte - già procuratore presso il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia - ha detto di voler individuare i responsabili politici e militari dei crimini contro l'umanità commessi in Siria. Anche i cristiani continuano ad essere vittime della guerra: stamani è stato ritrovato il corpo senza vita di un prete ortodosso, a nord di Damasco, poco lontano dal luogo dove era stato rapito nei giorni scorsi da un gruppo armato non meglio identificato. Gli abitanti del quartiere dov’è la parrocchia del sacerdote accusano le forze lealiste di averlo rapito, per poi presentare il crimine come commesso da fondamentalisti islamici.

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    Europa al lavoro per salvare la Grecia, smentito l'accordo con la troika

    ◊   Atene annuncia di aver raggiunto un accordo con la troika sulle nuove misure di rigore, indispensabili per ottenere un'ulteriore tranche di aiuti da 31,5 miliardi e di aver ottenuto altri due anni di tempo per ripianare il proprio deficit di bilancio. In tutta fretta, però, la Bce e l’Unione Europea frenano, comunicando che “sono stati fatti dei progressi, ma restano cose da definire”. Più dura la posizione della Germania, che attraverso il ministro delle Finanze, Schaeuble, ha negato che si sia giunti ad un'intesa. Su questa situazione così complessa, Salvatore Sabatino ha intervistato l’economista Giovanni Marseguerra:

    R. – La situazione che si è creata in Grecia è molto complicata sia nel breve sia nel lungo periodo. In questo momento, la troika sta contrattando con il governo greco una serie di misure, per ottenere questa ulteriore tranche di aiuti. D’altro canto, qualunque accordo il governo greco raggiunga con la troika, dovrà poi essere approvato dal parlamento greco e, in questo momento, la coalizione che sostiene il governo ellenico è tutt’altro che unita, anche perché la materia del contendere è la riforma del lavoro, che ha quindi dei risvolti sociali particolarmente marcati. Quindi, la questione è piuttosto complicata e l’annuncio di ieri mi è sembrato abbastanza prematuro.

    D. – Su una cosa non ci sono dubbi: Atene continua a essere l’anello debole dell’Europa. E l’Europa, dopo un lungo periodo in cui pensava concretamente di far uscire la Grecia dall’Eurozona, ora ha capito che sarebbe un danno veramente per tutti. Insomma, un cambiamento di rotta netto...

    R. – La Grecia certamente è in gravi difficoltà. Sembra che i soldi nelle casse dello Stato greco siano sufficienti ad arrivare solo a metà novembre. L’aiuto dovrà avvenire. D’altro canto, si vede anche come la situazione sociale in Grecia sia esasperata, quindi l’Europa si trova nella difficile situazione di voler salvare la Grecia i principi che stanno ispirando la politica economica comunitaria. Però, nel contempo, si trova a dover fronteggiare la situazione esplosiva del Paese, che potrebbe diventarlo ulteriormente se venisse varata una manovra così rigida e così penalizzante. Forse, è arrivato il momento di ripensare la politica economica europea e convincersi che la sola austerità non ci porta fuori dalla crisi. E i dati mi sembra stiano dimostrando che il debito a livello dell’Eurozona – lo diceva l’Eurostat proprio qualche giorno fa – continua a salire.

    D. – A confermare questi dati, anche quelli concernenti la Germania, che è considerata la "locomotiva" d’Europa, eppure sembra perdere i primi colpi. I dati di crescita, anche in questo Paese, non vanno molto bene e sta succedendo quello che si temeva...

    R. – Era inevitabile che anche la stessa Germania risentisse della crisi dell’Eurozona. L’Eurozona e la Ue, in generale, sono un importante mercato di sbocco per i prodotti tedeschi e dunque era impensabile che la Germania non venisse colpita dalla situazione di crisi di tutti questi Paesi. La Germania deve avere a questo punto la lungimiranza di capire che è solo rimanendo coesi e lavorando assieme senza spiriti di rivalsa che l’Europa può uscire da questa situazione.

    D. – Allargando la prospettiva a tutta la situazione europea, si ha l’impressione che sia un momento di attesa generale. Tutto è in divenire, eppure la crisi continua a fendere i suoi colpi. Questo "attendismo" può avere a che fare, in qualche modo, con le elezioni americane che sono alle porte?

    R. – Certamente, il risultato delle elezioni americane avrà influsso su quanto avverrà nei prossimi mesi. La Federal Reserve ha un presidente, Ben Bernanke, che scade nel gennaio 2014. Ora, Romney ha già detto che non è d’accordo con la politica della Fed degli ultimi anni e, dunque, se dovesse diventare lui presidente lo sostituirebbe, al fine di avere una politica meno espansiva. Se dovesse restare presidente Obama, non è neanche detto che lo stesso Ben Bernanke resti alla guida della Fed nell’ultimo anno del suo mandato, perché potrebbe dimettersi lui stesso. Quindi, certamente, c’è una situazione di attesa. Bisogna, però, cominciare a pensare che l’Europa debba risolvere i suoi problemi da sola, trovare al suo interno la forza e la coesione politica per affrontare in maniera incisiva le difficoltà. Purtroppo, non ci si rende conto che la globalizzazione ci obbliga ad uno sforzo di solidarietà più marcato: un salto di qualità che l’Europa in questo momento fa fatica a fare.


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    Sudafrica. Licenziati 23 mila minatori in sciopero. Padre Baldan: il Paese è in crisi

    ◊   In Sudafrica oltre 23 mila minatori sono stati licenziati in seguito agli scioperi, non autorizzati, per l’aumento del salario. Ieri la multinazionale Gold Fields ha annunciato un provvedimento in tal senso nei confronti di 8500 lavoratori. Oggi invece scade l’ultimatum della Harmony Gold, produttrice di oro, che ha chiesto ai suoi 5.400 dipendenti in sciopero di tornare al lavoro entro giovedì. Intanto 8 minatori, 4 ieri, sono stati arrestati dalla polizia perché ritenuti responsabili dell'uccisione di 10 persone durante la protesta nella miniera della Lonmin a Marikana ad agosto. Lo sciopero innescò l’irruzione della polizia che uccise 34 uomini. Sulla situazione attuale, Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente in Sudafrica il padre comboniano Fabio Baldan, direttore della diocesi di Witbank, regione di Mpumalanga:

    R. – Quel che normalmente succede dal punto di vista umano è che mentre da una parte i minatori sono in generale pagati un po’ meglio di altri lavori, il problema è che molti di loro non risiedono nelle vicinanze della miniera, fanno una vita da terribile andando su e giù dai loro Paesi, anche lontani centinaia di chilometri e per salvare un po’ il denaro vivono in catapecchie attorno ai siti estrattivi. Questa situazione porta a un degrado umano considerevole e si creano aree di disagio molto forte. E in questi momenti a volte sono sfruttati dal punto di vista politico e poi esplodono rivolte violente.

    D. – Chi sta sfruttando questa situazione?

    R. – Questo momento particolare, questo disagio è sfruttato dai partiti. Siamo in un momento di transizione forte perché a dicembre ci sarà la conferenza nazionale dell’African National Congress e quindi si vedrà se verrà confermato il presidente Zuma, oppure se ci sarà un cambio. C’è una lotta interna anche a livello di sicurezza e di polizia che ha portato a questa situazione drammatica e alle stragi che ci sono state a Marikana e adesso ai problemi che ci sono nelle varie miniere.

    D. – Si parla anche di problemi tra i sindacati…

    R. – Quello che sta succedendo adesso è che il segretario generale dell’associazione di tutti sindacati, la Cosatu - che è anche parte dell'alleanza di governo - partecipando alle negoziazioni è andato a riferire a un gruppo di minatori in sciopero e il risultato è stato che l’hanno mandato via a sassate. C’è veramente una situazione di tensione. Ci sono anche dei sindacati alternativi che non sono schierati con nessun partito. E adesso hanno l’appoggio della maggioranza dei minatori. In questo momento, la Cosatu e i sindacati, l’associazione dei minatori, il Num, stanno cercando di riprendere il controllo ma ci sono grosse tensioni. Non bisogna dimenticare che a Marikana le prime tensioni sono state tra i rappresentanti dei sindacati.

    D. – Però, rimane preoccupante questa decisione delle multinazionali di licenziare di fatto più di 23 mila e 500 persone: è un numero enorme…

    R. – Probabilmente sono di più. Questi numeri si riferiscono soprattutto ai due grossi gruppi dell’oro e delle miniere di Platino. Ci sono anche altre miniere che seguendo le altre si stanno comportando più o meno nella stessa miniera. Il problema è che tutti gli scioperi sono cosiddetti non autorizzati. Nel corso degli ultimi mesi, ci sono state negoziazioni fra multinazionali minerarie e sindacati e si era raggiunto un certo accordo. Di solito sono accordi che durano dagli uno ai tre anni che prevedono un certo aumento salariale per ogni anno.

    D. – Perché allora se c’era accordo sulla contrattazione, sono partiti gli scioperi dopo quelli di Marikana?

    R. – Perché il risultato pratico di Marikana è che i minatori, dopo la strage, hanno avuto un aumento del 20-22% in media, che è senza precedenti. Questo ha scatenato tutta una di scioperi. Ora qualche gruppo ha avuto profitti, qualche altro non li ha avuti, negli ultimi giorni sono ripresi i negoziati, a porte chiuse, e questo ha prodotto un irrigidimento delle posizioni delle miniere e al licenziamento di queste 23 mila persone.

    D. - Persone definitivamente licenziate?

    R. - In alcuni casi il licenziamento è stato moratorio, di 24 ore, e molti sono tornati indietro e quindi molto probabilmente riceveranno di nuovo il lavoro. Però, c’è un grosso numero che è in pericolo perché ufficialmente e legalmente sono stati licenziati.

    D . – Per capire: quanto guadagna un minatore al mese?

    R. - Nelle miniere di oro e diamante, che hanno più profitto, quando uno comincia a lavorare il minimo salario è di circa 5 e 6 mila rand, quindi 5-600 euro. I minatori hanno chiesto un salario minimo di 12 mila 500 rand, 1.250 euro più o meno.

    D. – Il costo medio della vita, il salario medio del Paese, intorno a quanto si aggira?

    R. – Non è facile stabilirlo. Il salario minimo di chi lavora nelle fattorie, nei campi è di circa 1.500, 1.600 rand, 150 euro. Questo vale anche per i lavoratori domestici, quando sono pagati al minimo, però ci sono ancora moltissimi casi dove ricevono di meno. Il Sudafrica al momento è il Paese dove c’è la maggiore disparità tra i ricchi e poveri, e questo è un problema che il governo sembra non essere disposto a trattare con serietà.

    D. – Questo perché il Paese vive un momento di transizione politica?

    R. – C’è tutto il discorso della transizione e c’è un grandissimo problema di critica al governo, perché i servizi stanno peggiorando. Oltre ai minatori, ci sono centinaia di altre forme di protesta di gruppi civili, di comunità intere, perché la corruzione e altri problemi impediscono il normale andamento della vita. Per esempio, c’è tutta una regione dove le scuole non hanno ricevuto libri di testo, se non adesso a fine anno scolastico. Ci sono grandi problemi di assistenza sanitaria… Quindi le tensioni vanno ben al di là delle proteste nelle miniere.

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    Famiglie e crisi. Patriarca al ministro Grilli: legge di stabilità non aiuta il Paese

    ◊   Le famiglie sempre più colpite dalla crisi. Secondo uno studio Censis-Confcommercio, negli ultimi sei mesi il 18% delle famiglie non è riuscito a pagare per intero le spese con il proprio reddito. E questa tendenza rischia di peggiorare se si pensa che a settembre le retribuzioni sono salite solo dell’1.4% contro un’inflazione del 3.2%. Solo ieri il messaggio della Cei per la 35.ma Giornata Nazionale per la vita. Alessandro Guarasci:

    Per Confcommercio quasi una famiglia su 5 non arriva a fine mese. Si tratta di 4,5 milioni di nuclei che per il 56% ricorrono ai risparmi in banca, mentre il 21% si indebita o posticipa i pagamenti. La pressione fiscale nel 2013 raggiungerà il 55% e l’economia sarà ancora in recessione. Ne consegue che i consumi nel periodo 2012-2013 crolleranno del 5%, 806 euro pro capite. Una conferma indiretta viene dall’Istat che ad agosto mette in luce come le vendite al dettaglio siano rimaste ferme. Effetto anche dello scarso potere d’acquisto dei salari. Ieri la Cei ha ribadito come non si possano più chiedere sacrifici alle famiglie. Edoardo Patriarca, segretario del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali.

    R. – Il sistema fiscale non aiuta e non aiuta per nulla famiglia, anzi la colpisce. Credo che la vera riforma - quella che attendiamo tutti e non tanto per una sorta di attenzione moralistica verso la famiglia, ma proprio perché si riconosca che la famiglia è un soggetto della Repubblica - sia quella di una riforma fiscale che finalmente riconosca la famiglia come un soggetto a tutto tondo: finché non si farà questo è inutile parlare di politiche sulla famiglia, è inutile parlare di bonus per i figli, è inutile parlare di bonus per i pannolini. E’ importante che si dia un segnale alle famiglie e soprattutto alle famiglie che hanno bambini, perché il dramma di questa vicenda è che si colpisce proprio – come dire - la base di vita del nostro Paese, la stessa base di vita di una Repubblica: si colpiscono cioè le famiglie che fanno bambini!

    D. – Ma, secondo lei, finora è mancata la volontà politica?

    R. – Credo che, paradossalmente, passati ormai tanti governi, oggi a forza di dire che la riforma in quella direzione costa troppo, si fanno tante altre spese in altro modo e tutto è stato rinviato. Credo ci sia un reale pregiudizio su questa vicenda. Bisogna smetterla davvero e chiedere finalmente ai cattolici impegnati in politica di fare una scelta chiara e forte come, tra l’altro, avevamo auspicato già nella Settimana Sociale di Reggio Calabria.

    D. – Vede anche un impoverimento che sta aumentando?

    R. – Non è vero quello che mi pare affermi il ministro Grilli. Il Paese si sta impoverendo giorno dopo giorno. Non mi pare che le attuali proposte della legge di stabilità per sostenere la crescita del nostro Paese vadano nella direzione di aiutare proprio quei soggetti che oggi stanno soffrendo. Se non si aiutano le persone che sono in difficoltà, molto semplicemente io dico che – e non sono un economista – neanche il mercato tonerà a crescere.

    D. – Spesso la Chiesa è uno dei soggetti che intervenire per aiutare gli indigenti, ma da sola non ce la può fare...

    R. – Credo che la Chiesa sia l’unica che, in tutti questi anni, abbia ribadito questo. Ritengo che spetti un po’ a tutti noi far comprendere - e non a caso la Settimana Sociale di Torino è dedicata alla famiglia - che la famiglia è un soggetto della Repubblica: non è una questione cattolica, ma è una questione che riguarda il futuro di questo Paese.


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    Malattie rare: presentata un'indagine su costi e misure per contrastare le diseguaglianze

    ◊   Malattie rare: rilevazione dei bisogni assistenziali e dei costi sociali ed economici che gravano sulle famiglie dei malati, ma anche elaborazione di misure di sostegno e di non esclusione. Questo lo scopo dell’indagine "Diaspro Rosso" condotta dalla Federazione italiana malattie rare (Uniamo) al fianco di istituzioni e associazioni, in nove regioni, prevalentemente del centro sud, e su cinque patologie. I risultati e le proposte emerse, nel servizio di Gabriella Ceraso:

    505 patologie rare e 145 mila malati in Italia. Non sono molti, ma il loro peso è altissimo per le carenze del sistema assistenziale cui sopperiscono le famiglie impoverendosi, con spese annue dai circa 4.000 ai 7.000 euro, isolandosi e cambiando prospettive e legami sociali. Oltre ai costi c’è la ricaduta lavorativa: 6 su 10 malati non sono autonomi, 3 su 4 ricorrono ad assistenza continuativa e 1 famiglia su 4 ricorre al personale a pagamento. L’8,6% dei malati lascia il lavoro, ma anche chi lo assiste, se familiare, nella misura del 6 per cento si ritira anzitempo. E la situazione peggiora al Sud. Le criticità derivano da numerosi fattori, in primis il taglio delle risorse. L’on. Paola Binetti dell’intergruppo parlamentare per le malattie rare:

    “Si sono assottigliate anche le risorse che riguardano una serie di fondi speciali. Quindi, noi chiediamo prima di tutto coerenza al governo e poi chiediamo equità. Non si può fare una politica di rigore economico, ignorando che, contestualmente, bisogna fare una forte politica di solidarietà nazionale e almeno una forte politica capace di valorizzare tutte le iniziative di sussidiarietà”.

    Altre criticità derivano dai ritardi nella diagnostica - per esempio, si attende da 1 a 6 anni per avere una diagnosi definitiva e si va fuori regione per averla - ai centri di competenza che sono pochi e troppo distanti, alle carenze nella erogazione di benefici e nei servizi riabilitativi e psicologici, a fronte invece di una buona risposta di diritti esigibili. In realtà, le eccellenze ci sono in Italia: c’è il registro di sorveglianza, unico al mondo, ci sono degli ottimi ricercatori e c’è il più che efficiente associazionismo. Lo sottolinea anche Bruno Dalla Piccola, direttore scientifico dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma:

    “Voglio dire che, a livello di ricerche, gli studi dell’Italia sono esemplari da tutte le parti. Quando noi andiamo a vedere e ci confrontiamo con i Paesi europei, ci rendiamo conto che l’attività di un anno dell’Italia non ha molto da invidiare a molti altri Paesi europei. Detto questo, credo che bisogna veramente rimboccarsi le maniche”.

    Allora, cosa fare per sostenere le famiglie e i malati, anche in tempi di spending review? Nell’indagine alcuni suggerimenti normativi, ma anche organizzativi, tra cui la revisione dei livelli essenziali di assistenza per le malattie rare e la revisione anche delle norme concernenti l’erogazione dei sussidi, per evitare frammentarietà e disuguaglianza di trattamento. E ancora, potenziamento dell’"help-line", degli sportelli per le malattie rare, dell’assistenza territoriale dei servizi di sollievo e di sostegno, soprattutto fare più formazione. Sentiamo Renza Barbon Galluppi, responsabile del progetto:

    “'Sospetto diagnostico' da dare al territorio: pensare cioè che dentro ci possa essere un problema di malattia rara. Quindi, fare formazione. C’è questo obbligo. I soldi ci sono molto spesso, però le regioni li usano per altre cose, perché non c’è un’utenza capace di andare a rivendicare determinati diritti. Quindi, da una parte, l’empowerment e la formazione, poi l’assistenza e la struttura. Non possiamo continuare ad andare avanti nel volontariato”.


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    La gestione trasparente dei beni della Chiesa e la corresponsabilità dei laici in un convegno a Roma

    ◊   Una Giornata internazionale di studio sul tema “Trasparenza finanziaria e corresponsabilità dei fedeli nella Chiesa”: si è tenuta ieri a Roma alla Pontificia Università della Santa Croce. Scopo dell’iniziativa promossa dal Gruppo interuniversitario Case (Corresponsabilità Amministrazione e Sostegno economico alla Chiesa) è riflettere, alla luce di alcune esperienze concrete e di principi teorici, su come migliorare la gestione dei beni della Chiesa, ma anche favorire la responsabilità dei fedeli nel contributo alle sue esigenze economiche. Della necessità di trasparenza si parla molto, oggi, in politica come in economia. Ma in che modo la Chiesa si sente coinvolta in questo processo? Adriana Masotti lo ha chiesto a mons. Mauro Rivella, membro del Gruppo Case:

    R. - La trasparenza oggi è un’esigenza molto sentita da parte dell’opinione pubblica e in questo la Chiesa non può esimersi dal fare la propria parte. Non c’è nessuna ragione per cui la Chiesa debba nascondere ciò che è e ciò che fa, perché ciò che si raccoglie come le risorse e tutte le disponibilità materiali economiche che ci sono, sono finalizzate a realizzare l’opera di evangelizzazione e l’azione di carità della Chiesa. In questa giornata di studio, ci siamo raccontati tre esperienze molto interessanti. La prima, la gestione dei beni e la rendicontazione delle risorse in una parrocchia americana. La seconda, l’esperienza della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo - un ente ecclesiastico, una fondazione religiosa – di come affronta la questione della raccolta delle risorse, e di come fa capire ciò che si è raccolto e il modo in cui viene utilizzato. Terzo, la gestione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, cioè come a livello comunicativo, si è spiegato ai fedeli, agli spagnoli in un contesto non facile, come i soldi venivano raccolti e venivano utilizzati.

    D. - Dalla Chiesa ci si aspetta onestà, chiarezza, efficacia quando gestisce soldi e strutture come ospedali, istituti, parrocchie, diocesi… Che cosa può fare in più la Chiesa per rispondere adeguatamente a queste attese?

    R. - Io credo che la Chiesa faccia già molto e la generosità dei fedeli è la prima riprova di questa azione. Da parte sua la Chiesa può contraccambiare questa fiducia favorendo il più possibile la conoscenza dei dati reali circa la dimensione della raccolta e il modo di gestire questi beni.

    D. - Fermiamoci a livello di parrocchia. C’è qualcosa da cambiare nella gestione, ad esempio nel consiglio parrocchiale…

    R. - Gli adempimenti e gli obblighi anche di ordine amministrativo e fiscale a cui una parrocchia è soggetta aumentano di giorno in giorno. Non c’è nulla da perdere ad affrontare con chiarezza queste dimensioni favorendo il più possibile il coinvolgimento dei laici. La mia esperienza personale è quella che esistono nelle comunità parrocchiali laici impegnati, competenti e disponibili. Il parroco deve guardare a loro con la massima fiducia.

    D. – Ma qual è la situazione attuale? C’è questa disponibilità o ci sono resistenze in questo senso?

    R. - No, io non credo che esistano delle resistenze. È un cambiamento di mentalità che viene chiesto a tutti. Ai sacerdoti viene chiesto di dare fiducia ai propri laici; ai laici viene chiesto un atteggiamento di maggiore maturità. Se ci sentiamo corresponsabili della comunità, non soltanto abbiamo il diritto di sapere come vanno le cose, ma abbiamo anche il dovere di coinvolgerci.

    D. - Sappiamo che è molto frequente sentire accusare la Chiesa di essere ricca. Come spiegare il possesso dei beni da parte della Chiesa? Cosa giustifica questo suo essere in mezzo agli affari umani, terreni?

    R. - Sulle ricchezze della Chiesa c’è molta mitologia e fantasia. Ci sono molti beni, ma quello che il Signore ci dice e che la realtà ci insegna a fare, è utilizzarli nel modo migliore. Proverei a capovolgere il ragionamento: ci conviene una Chiesa povera, cioè una Chiesa priva di strumenti, incapace di agire di fronte alle necessità dei tempi correnti, o ci interessa una Chiesa capace di essere presente dove ci sono le necessità? Tutto quello che noi abbiamo deve essere totalmente destinato ai fratelli.

    D. - Veniamo all’altra parola sottolineata nella giornata di oggi “corresponsabilità” dei fedeli. Si parlava prima dell’informazione, ma anche dare il proprio contributo al sostentamento della Chiesa, fa parte di questo nuovo processo?

    R. - Certamente. Uno dei doveri di fondo dei fedeli è sovvenire alle necessità della Chiesa. Ma non è un dovere estrinseco, non si tratta di un’imposizione, di un tributo che grava sui fedeli; è ciò che avviene in ogni famiglia. Se paragoniamo la Chiesa a una famiglia, quale dovrebbe essere e realmente è, ciascuno deve farsi carico delle esigenze della comunità. Credo che una visione sanamente rinnovata della Chiesa alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ci mette esattamente in questa linea: una comunità si assume le responsabilità, si fa carico dei propri doveri, si apre missionariamente al mondo, e allora il sostenere la vita della Chiesa diventa un dovere, un impegno.

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    A Riva del Garda il Festival della famiglia, per stimolare la politica e dare ottimismo

    ◊   Tre giorni di incontri, laboratori, e mostre per parlare di famiglia a 360°. E’ il Festival della famiglia che si apre oggi pomeriggio, e fino a sabato, a Riva del Garda, organizzato dalla Provincia autonoma di Trento e dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tema di questa prima edizione è "Se cresce la famiglia, cresce la società". Tanti gli appuntamenti previsti, in cui si alterneranno oltre 50 relatori per discutere non solo di famiglia, ma anche di crisi economica, di processi educativi, e programmazione delle politiche familiari. Marina Tomarro ha intervistato Ugo Rossi, assessore alla salute e alle politiche sociali della Provincia di Trento:

    R. – Sono giornate di riflessione, soprattutto di conoscenza, di buone pratiche in tema di politiche familiari. Il Festival ha anche un altro piccolo obiettivo, quello di stimolare la politica, i decisori, sul fatto che investire sulla famiglia e mettere in atto politiche familiari intelligenti, soprattutto sotto il profilo fiscale, può essere un contributo importante anche per il risanamento del nostro Paese. Crediamo di poter portare, come Trentino, un piccolo contributo alla riflessione e aver trovato la collaborazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, per noi, è naturalmente un onore.

    D. – In che modo dovrebbe essere aiutata maggiormente la famiglia dalle istituzioni, ma anche dalla società?

    R. – Credo che prima di tutto che la frontiera da esplorare debba essere necessariamente quella anche di una revisione delle nostre politiche fiscali. Oggi, il nostro sistema fiscale non tiene conto del peso progressivo che la numerosità delle famiglie ha per le famiglie stesse; dovrebbe invece favorire maggiormente con meccanismi di detrazione o di aliquote diverse, quantomeno le famiglie numerose. Crediamo che questo sia un valore per la nostra società, perché stiamo invecchiando sempre di più, facciamo sempre meno figli e sostenere la famiglia significa anche rimettere un po’ in equilibrio quella bilancia socio-demografica che oggi è sbilanciata sull’età anziana.

    D. – Perché, secondo lei, si parla spesso di crisi della famiglia e non invece della bellezza della famiglia?

    R. – Perché oggi le crisi della famiglia sono molto più evidenti, sono molto più visibili, sono molto più dichiarate. Credo che dobbiamo lavorare per ricostruire una cultura del valore del senso di sacrificio e anche del valore della famiglia intesa come sviluppo dell’individuo. E’ un approccio culturale che deve essere assolutamente recuperato, che è fatto di valori. Spesso, la famiglia è diventata il luogo del consumo certe volte più che il luogo dell’aiutarsi a crescere insieme.

    D. – Quale messaggio spera che venga fuori da questo Festival?

    R. – Un messaggio di ottimismo innanzitutto, un messaggio di riconoscimento delle istituzioni ma, direi, anche dei corpi sociali, dell’economia, delle imprese, sul valore della famiglia in quanto tale e anche il messaggio su uno stimolo alle nostre famiglie, a pensare che la crisi, certamente è qualcosa che investe tutti noi, ma che aggrappandoci ai valori veri possiamo risollevarci.

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    Una mostra a Milano ricorda l’Editto di Costantino, 1700 anni dopo

    ◊   “Costantino 313 d.C.”: è il titolo della mostra voluta a 1700 anni dall’emanazione dell’Editto dell’imperatore romano. L’esposizione sarà ospitata da oggi al Palazzo Reale di Milano fino al 17 marzo 2013 e sarà poi a Roma dal 27 marzo al 15 settembre 2013, nelle sedi del Colosseo e della Curia Iulia. L'iniziativa è promossa e prodotta dal Comune di Milano e dalla casa editrice "Electa", sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e della segreteria di Stato del Vaticano. Curatrice della mostra, insieme con Paolo Biscottini, è Gemma Sena Chiesa. Fausta Speranza l’ha intervistata:

    R. – Tra i reperti in mostra attira l’attenzione un bellissimo ritratto del protagonista di questa esposizione, Costantino: un ritratto bronzeo, molto interessante anche perché proviene dalla Serbia, da un piccolo museo serbo. E’ stato trovato in una cittadina lungo il Danubio, dove Costantino era nato. Proprio in quella città, evidentemente, si è voluto quindi fare un ritratto per onorare il figlio illustre, diventato imperatore. Un altro pezzo interessante è una grande brocca d’argento, di dimensioni colossali, che si è salvata dal naufragio dell’antichità, perché è stata infatti ritrovata in mare dove era finita per un naufragio. E’ un pezzo straordinario, lavorato con una serie di medaglioni – sono 300 piccoli medaglioni – che ornano tutto questo pezzo strepitoso. Un’altra testimonianza che viene raccolta dagli spettatori con grande interesse è la statua che rappresenta la santa madre di Costantino, Elena, nelle sue fattezze di imperatrice. E’ una posa molto regale, ma anche di abbandono e di quiete, come poteva forse venirle dalla forte fede religiosa.

    D. – Professoressa, ci sono dei riferimenti precisi all’Editto di Costantino?

    R. – Tutta la mostra è un richiamo a questi temi che ci vengono dall’Editto di Costantino. Attraverso i reperti si testimonia molto bene la diffusione immediata del segno del cristianesimo, come lo aveva simboleggiato Costantino sui suoi segni imperiali: il cosiddetto “crismon”, formato dalle due iniziali greche del nome di Cristo intrecciate. Questo segno si diffonde in pochi anni in tutto l’Impero e in tutti gli oggetti, sugli anelli, le suppellettili, le tombe… Quindi una grande evidenza del cristianesimo finalmente liberato ed uscito dalle catacombe. Allo stesso tempo, nella mostra sono rappresentate anche altre divinità che contemporaneamente venivano ancora onorate e addirittura anche testimonianze di magia, amuleti magici che in quel momento erano molto, molto diffusi. Una libertà religiosa, quindi, che anche le cose testimoniano. Dunque l’Editto di Costantino è per noi un testo fondamentale, perché proclama la libertà del cristianesimo e la libertà di tutte le religioni. Una testimonianza, quindi, estremamente moderna, di un sentimento moderno che oggi noi riteniamo fondamentale: la disponibilità all’incontro con gli altri, con il "diverso" e la tolleranza verso tutti. In mostra abbiamo riportato proprio il pezzo dell’Editto di Costantino che, con parole solenni ed importanti, dà a tutti la libertà di professare liberamente quello in cui credono.



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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: trovato morto il prete greco ortodosso sequestrato a Damasco

    ◊   Il cadavere del sacerdote greco ortodosso padre Fadi Jamil Haddad, parroco della chiesa di Sant’Elia a Qatana, è stato ritrovato oggi nel quartiere di Jaramana (Nord di Damasco) non lontano dal luogo dove era stato rapito, il 19 ottobre, da un gruppo armato non identificato. La conferma all'agenzia Fides un confratello greco-ortodosso di padre Haddad, chiedendo l’anonimato. “Il suo corpo era orrendamente torturato", racconta a Fides fra le lacrime. “E’ un atto puramente terroristico. Padre Haddad è un martire della nostra chiesa”. Sulle responsabilità del terribile atto è in corso un rimpallo di responsabilità fra le forze di opposizione (che accusano le milizie filo regime) e le autorità governative, che accusano le bande armate nella galassia della ribellione armata. Secondo fonti di Fides, i sequestratori avevano chiesto alla famiglia del prete e alla sua chiesa un riscatto di 50 milioni di sterline siriane (oltre 550mila euro). E’ stato però impossibile trovare il denaro e soddisfare questa esosa richiesta. Una fonte di Fides stigmatizza “la terribile pratica, presente da mesi in questa guerra sporca, di sequestrare e poi uccidere civili innocenti”. Fra le diverse comunità cristiane presenti in Siria, quella greco-ortodossa è la più ampia (conta circa 500mila fedeli) ed è concentrata principalmente nella parte occidentale del paese e a Damasco. (R.P.)

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    Appello Fao: serve un "nuovo grande passo" nella lotta alla fame

    ◊   Il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, ha fatto appello oggi alle comunità internazionali del cibo e ai diversi attori del sistema alimentare mondiale perché si uniscano in uno sforzo congiunto per cancellare la fame dalla terra "nel tempo delle nostre vite". Intervenendo all'inaugurazione della conferenza biennale ', organizzata a Torino da , Graziano da Silva ha affermato che per sconfiggere definitivamente la fame è necessario, tra le altre cose, agire per porre fine allo spreco e alla perdita di cibo. "Ogni anno nel mondo un terzo della produzione globale di cibo viene perduta o sprecata" ha sottolineato. Quanto basta per sfamare 500 milioni di persone senza aggiungere ulteriore pressione sulle risorse naturali. "Non avrebbe senso cambiare il modo di produrre il nostro cibo se continuassimo a consumare come facciamo oggi. Serve un nuovo grande passo nella lotta alla malnutrizione" ha affermato Graziano Da Silva. La Fao ha fatto propria la sfida del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, di cancellare la fame nel mondo nello spazio delle nostre vite, ha detto Graziano da Silva. "Io mi appello a voi perché anche voi facciate lo stesso" ha sollecitato "Facciamo della Sfida Fame Zero la nostra sfida". Affrontare questa sfida significa fare sí che tutti i sistemi alimentari diventino sostenibili, fare in modo che i piccoli proprietari terrieri - e specialmente le donne - possano raddoppiare la produttività e i propri introiti, ridurre lo spreco di cibo, assicurarsi che le popolazioni più povere abbiano accesso a cibo nutriente durante tutto l'anno, porre fine alla malnutrizione e alle cause che impediscono ai bambini di crescere sani. Graziano da Silva ha aggiunto che una delle ragioni per le quali il cibo viene sprecato "sta nella tendenza al consumo eccessivo dei Paesi a medio e alto reddito". Il risultato è che circa 1,5 miliardi di persone al mondo sono oggi sovrappeso, mentre 868 milioni sono sotto alimentate - ha continuato. "Ciò rappresenta una delle più grandi contraddizioni del nostro mondo: la distribuzione iniqua di cibo, reddito ed opportunità". La conferenza Terra Madre, alla quale partecipano delegati di circa 130 Paesi, affronta tematiche relative al cibo, all'agricoltura, allo sviluppo sostenibile, alla gastronomia, alla globalizzazione e alle politiche economiche. Slow Food International è una organizzazione non-profit con oltre 100 000 membri in tutto il mondo che si occupa di promuovere il cibo tradizionale, sostenibile, nutriente e di qualità. (R.P.)

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    Belgio: per il vescovo di Hasselt "inaccettabile" la chiusura dello statilimento Ford a Genk

    ◊   Immediata la reazione di “costernazione” del vescovo e di tutti i sacerdoti della diocesi di Hasselt per la chiusura dello stabilimento della Ford a Genk in Belgio, annunciata ieri dall'azienda. Operativa da 48 anni - riporta l'agenzia Sir - l’azienda dovrebbe essere trasferita in Spagna entro il 2014: considerando l‘indotto, i posti di lavoro a rischio sono oltre 10 mila. “Siamo costernati ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai lavoratori toccati dal provvedimento e alle loro famiglie”, scrivono in un comunicato il vescovo di Hasselt (nella cui regione si trova la cittadina di Genk), mons. Patrik Hoogmartens, e i sacerdoti della diocesi. “La logica economica del massimo profitto - scrivono nel comunicato - non è la logica del Vangelo e non coincide con la logica del pensiero sociale della Chiesa. Un’impresa è il frutto del lavoro di numerose persone. La sua esistenza non è solo questione di management e azionariato, ma di tutte le parti in causa. La rescissione unilaterale di un accordo recentemente concluso sul piano sociale è inaccettabile ed estremamente offensivo per tutti i lavoratori”. La diocesi lancia a questo punto un appello: “Ci appelliamo ai dirigenti politici ed economici perché ridiano speranza e prospettiva alle vittime dei licenziamenti”. Si invitano poi tutti i cristiani ad avere “attenzione e cura” verso i lavoratori della Ford-Genk e della compagnia statunitense “Dow Chemical” a Tessenderlo anch’essa in chiusura. (R.P.)

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    Congo: nel Nord Kivu continuano le ricerche per i tre religiosi rapiti

    ◊   “La chiamata ricevuta martedì si è rivelata fasulla e per ora le piste che stiamo seguendo non ci hanno portato alla verità. Le ricerche proseguono in varie direzioni anche perché qui, purtroppo, i gruppi armati che tengono la popolazione in ostaggio sono tanti” dice all'agenzia Misna mons. Paluku Sikuly Melchisedech, vescovo della diocesi di Butembo-Beni, nella turbolente provincia del Nord-Kivu. Da sabato sera - riferisce l'agenzia Misna - non si hanno più notizie di tre religiosi congolesi della congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione, rapiti in un convento della parrocchia di Nostra Signora dei Poveri a Mbau, a una ventina di chilometri a nord dalla città di Beni. I padri Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasinkundi e Edmond Bamutute sono stati portati via da non meglio identificati uomini armati, forse una decina, che parlavano swahili. “Di per sé l’indizio della lingua non è un elemento sufficiente per risalire a un gruppo piuttosto che a un altro. Solo un esperto riuscirebbe a dire con esattezza in base alla pronuncia e alle espressioni utilizzate se si tratta di un congolese piuttosto che di una persona originaria da un Paese vicino” sottolinea il prelato. Rimane in piedi la pista dei ribelli ugandesi delle Adf-Nalu, attivi nella zona e in passato già responsabili di azioni simili ai danni dei civili nel settore di Mbau-Beni. “Stiamo anche seguendo strade che potrebbero portarci ad altri gruppi. Ad esempio è molto strana la concomitanza tra il rapimento dei tre religiosi e la nascita a Beni di un nuovo movimento politico-militare, presentatosi come ‘Unione per la riabilitazione della democrazia in Congo’ (Urdc)” prosegue monsignor Sikuli. Non viene nemmeno escluso un possibile coinvolgimento del Movimento del 23 marzo (M23), appena ribattezzato Esercito rivoluzionario del Congo (Arc), anche se ha il suo feudo nel territorio di Rutshuru. Il vescovo aveva già riferito alla Misna di “possibili infiltrazioni nella zona di Beni di uomini del M23”. Si fa sempre più strada l’ipotesi che si tratti di un sequestro a scopo di estorsione visto che due dei tre religiosi rapiti, tutti congolesi, erano arrivati da poco nella diocesi, dov’erano poco noti; uno è originario del sud del Paese e l’altro era tornato dall’Irlanda. “Ribadiamo il nostro appello ai rapitori affinché liberino i religiosi senza alcuna condizione. Non possiamo scendere a patti con individui che intendono mercanteggiare con le vite umane. Accettare l’idea di un riscatto creerebbe un precedente pericoloso per la Chiesa in un territorio abbandonato a sé stesso, in balia di innumerevoli gruppi armati e criminali che l’esercito regolare non riesce ad arginare” conclude monsignor Sikuli. (R.P.)

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    Milioni di musulmani a La Mecca: è iniziato il "grande pellegrinaggio"

    ◊   E' iniziata ufficialmente ieri, nell’ottavo giorno del mese di Dhul’Hijjah, per oltre due milioni di pellegrini provenienti da 180 paesi del mondo, il pellegrinaggio rituale alla Mecca, dovere di ogni buon musulmano almeno una volta nella vita se possibile. Come ogni anno - riferisce l'agenzia Misna - un immenso sistema di sicurezza è stato allestito per garantire che l’Hajji (grande pellegrinaggio) si svolga senza incidenti, in un periodo di particolari tensioni nella regione. Ai siriani rifugiati in Giordania, Turchia e Libano sono stati accordati visti speciali e un aiuto finanziario, mentre le autorizzazioni ai pellegrini iraniani – riferisce il sito del ministero degli Interni di Raid – sono sottoposte a limitazioni di sicurezza. I pellegrini iraniani dimostrano ogni anno per “il ripudio dei politeisti”, un rito promosso da Khomeini contro l’occidente e Israele. Per i musulmani della Repubblica Democratica del Congo e dell’Uganda, quest’anno il pellegrinaggio è stato addirittura vietato: troppi, secondo i responsabili sauditi, i rischi legati ad una contaminazione dal virus Ebola, di cui alcuni focolai sono stati accertati nei due Paesi. Indossando l’abito bianco che simboleggia la purezza e l’uguaglianza degli uomini sottomessi a Dio, (in arabo ihram, che è anche lo stato di purezza a cui deve aspirare un buon musulmano) milioni di fedeli hanno iniziato il pellegrinaggio salendo sul Monte della Misericordia a Arafat, 19 chilometri fuori dalla Mecca, dove si dice che il profeta abbia fatto il suo sermone d’addio. Il rituale durerà quattro giorni e si chiuderà con Eid al Adha, la festa del sacrificio, che sarà celebrata venerdì. La giurisprudenza islamica permette a chi ne sia impedito fisicamente ma ne abbia la possibilità economica di delegare qualcun altro all’assolvimento dell’obbligo religioso, i cui vantaggi spirituali saranno beneficiati da chi abbia provveduto al pagamento del viaggio e al mantenimento sul posto della persona incaricata. È anche possibile lasciare appositi fondi in eredità perché il rito sia compiuto in nome e a vantaggio del defunto. Nelle società islamiche, chiunque abbia adempiuto all’obbligo dell’Hajj acquista un merito particolare e un’aura di rispetto. Ha diritto a indossare un copricapo particolare che ricordi l’assolvimento dell’obbligo ed è insignito del titolo onorifico di Hajji (pellegrino). La monarchia saudita ha dispiegato sul posto 320 medici, 135.000 uomini delle Forze di sicurezza, e 1500 videocamere intorno alla Grande moschea, teatro della fase finale del pellegrinaggio. Ogni anno, il rituale genera circa 40 miliardi di euro per le casse dell’Arabia Saudita. (R.P.)


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    Filippine: a Mindanao famiglia tribale massacrata da soldati dell’esercito

    ◊   Una famiglia tribale è stata massacrata dai soldati dell’esercito filippino nella zona di Columbio (provincia di Sultan Kundarat), sull’isola di Mindanao, nel Sud delle Filippine. Come confermano fonti locali dell'agenzia Fides, le vittime sono Juvy Capion, 27 anni, incinta di tre mesi, e i suoi due figli, Jordan Capion e John Mark Capion, di 13 e 8 anni. I tre sono stati uccisi il 18 ottobre scorso nella loro fattoria di montagna. Secondo la ricostruzione di Fides, l’esercito stava dando la caccia a Daguil Capion, marito di Juvy, noto come leader di “Pangayaw” (in lingua locale “vendetta”), iniziativa di lotta lanciata dalle comunità indigene contro la grande Compagnia mineraria “Smi-Xstrata”. L’uomo è riuscito a fuggire, ma sua moglie e i figli sono morti sotto il fuoco dei militari, parte del contingente che aveva il compito di difendere la compagnia. In alcuni messaggi inviati a Fides, i diversi gruppi tribali, le autorità civili, le associazioni per i diritti umani, i missionari, la Chiesa locale, esprimono sdegno e profonda amarezza per l’accaduto. Padre Peter Geremia, missionario del Pime, responsabile dei programmi di sviluppo dei tribali nella diocesi di Kidapawan, ricorda addolorato la famiglia tribale, che conosceva personalmente. In una nota inviata a Fides, il missionario dichiara: “Il primo mandato dei soldati, secondo il loro giuramento costituzionale, è quello di proteggere i civili. Se mettono a rischio la vita dei civili, tradiscono il loro giuramento, non sono più soldati delle Filippine, ma mercenari di una società estera che li paga per uccidere chiunque si ponga sulla loro strada”. La Compagnia mineraria “Smi-Xstrata”, secondo il missionario, diventa “complice nell’uccisione di donne e bambini. L'oro, i vostri milioni, le vostre mani sono bagnati di sangue innocente”. Padre Geremia conclude citando un passo del Vangelo “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, Beati i costruttori di pace”. Il massacro ha avuto luogo il giorno successivo al primo anniversario dell'omicidio di padre Fausto Tentorio, missionario del Pime ucciso ad Arakan il 17 ottobre 2011. Secondo gli attivisti locali del movimento “Justice for Fr Pops”, lo stesso Battaglione che addestra i soldati e i gruppi paramilitari “diffonde il terrore mentre sostiene di promuovere la pace e lo sviluppo”. Sebbene il Presidente Aquino abbia chiesto una indagine approfondita sull’omicidio di padre Tentorio, finora non vi sono risultati credibili perché, secondo gli attivisti, persone influenti, in particolare alcuni militari, stanno bloccando le indagini. (R.P.)

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    India: nel Kandhamal dopo i pogrom, segnali di pace tra indù e cristiani

    ◊   Non solo attacchi e violenze da parte dei nazionalisti indù: da qualche tempo, alcune comunità cristiane del distretto di Kandhamal (Orissa) godono di una ritrovata pace e armonia all'interno della società. A sostenere questo nuovo clima è la Chiesa cattolica locale, che all'indomani dei pogrom anticristiani del 2008 si è attivata per essere al fianco delle vittime, aiutandole a ricostruire le case e a sconfiggere il duro boicottaggio sociale imposto dagli indù. È il caso del villaggio Bodimunda (Tikabali block). Qui la persecuzione anticristiana è proseguita anche dopo i pogrom, fino alla fine del 2011, in forme - se possibile - ben più invasive. I fedeli della parrocchia Maria Madre di Dio, a Sukananda, raccontano infatti di essere stati del tutto isolati dal resto della comunità. Se un negoziante indù vendeva qualcosa a un cristiano, il commerciante era costretto a pagare una multa. Lo stesso avveniva per tassisti. Se un contadino trasportava sul proprio trattore materiale di un cristiano, veniva sanzionato. "Dopo due anni intensi - racconta ad AsiaNews fratel KJ Markose, missionario monfortiano e attivista sociale - di preghiere e dialogo, adesso la situazione è cambiata. I cristiani hanno partecipato alle elezioni dell'ultimo Panchayati Raj (governo del villaggio), e sono parte attiva in tutti i programmi civili e politici della comunità". Un altro "successo" è rappresentato dal villaggio Dodobali (K Nuagam block), che ospita solo cinque famiglie cristiane. "Durante le violenze del 2008 - spiega il missionario - le loro case sono state bruciate e rase al suolo. Una donna è stata uccisa, tutti gli altri sono fuggiti. Persino dopo i pogrom, queste famiglie non potevano nemmeno immaginare di tornare nel loro villaggio: erano terrorizzati". Ora invece, grazie all'intervento della Chiesa locale, queste persone hanno potuto ricostruire le loro case e tornare a vivere a Dodobali. Inoltre, partecipano in modo attivo al "gram sabha" (consiglio del villaggio) e a tutte le attività proposte dalla comunità. (R.P.)

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    Guatemala: mons. Ramazzini invita il governo al dialogo con la popolazione indigena

    ◊   Mons. Alvaro Ramazzini Imeri, vescovo della diocesi di Huehuetenango, ha chiesto pubblicamente al governo di rispondere alle esigenze della popolazione di Totonicapán attraverso il dialogo e non con la repressione. Il vescovo si è rivolto ai rappresentanti del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, sottolineando che dovrebbero ascoltare la popolazione. Il 4 ottobre gli indigeni dei 48 cantoni della zona di Totonicapán avevano bloccato in cinque punti le autostrade che collegano il capoluogo del dipartimento per protestare contro l'alto prezzo dell'energia elettrica e la proposta di riforma costituzionale presentate dall'Esecutivo. L'esercito, giunto sul luogo della manifestazione, chiamato Alaska, per sbloccare le strade, ha aperto il fuoco per motivi ancora non definiti. Nello scontro sono morti 6 indigeni e sono rimasti feriti molti manifestanti. Il 15 ottobre l'Onu ha chiesto al governo del Guatemala di chiarire la vicenda e stabilire un dialogo con gli indigeni. La nota inviata all’agenzia Fides riferisce che mons. Alvaro Ramazzini si è rivolto alle migliaia di indigeni che avevano partecipato, martedì scorso, alla marcia pacifica di 7 chilometri svoltasi senza bloccare le strade. La marcia si è conclusa nella piazza di San Miguel a Totonicapán, dove il vescovo ha guidato la preghiera per i morti negli incidenti di Alaska e ha concluso il suo intervento con una riflessione pubblica diretta al governo. Riguardo alla legge sullo sviluppo rurale, che non viene presa in considerazione, Mons. Ramazzini ha detto: "E' uno schiaffo ai contadini. E' come premere ulteriormente sulla ferita e sulla sofferenza dei fratelli contadini. Bisogna cambiare mentalità e diventare effettivamente rappresentanti degli interessi legittimi del popolo del Guatemala". Poi, parlando di ciò che è successo con la legge mineraria, ha detto: "il ministro dell'Energia e delle Miniere ha proposto una riforma senza tenere conto che siamo contrari a un modello di sviluppo basato sul settore minerario". (R.P.)

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    Sudan: drammatico appello del vescovo di Kadugli per le popolazioni del Sud Kordofan

    ◊   Il vescovo sudanese di Kadugli nel Sud Kordofan, mons. Andudu Adam Elnail, ha rivolto un drammatico appello alla comunità internazionale per aiuti urgenti alla martoriata popolazione dello Stato conteso tra il Nord e il Sud Sudan. “Abbiamo più di 11mila bambini non scolarizzati e chiediamo alla comunità internazionale di aiutare questi bambini ad andare a scuola. Abbiamo bisogno di cibo e medicine, perché stiamo perdendo tre bambini al giorno. La gente cerca di coltivare la terra, ma viene bombardata”, ha dichiarato mons. Elnail, citato dall’agenzia cattolica africana Cisa. Secondo gli ultimi dati dell’Onu, sarebbero ormai più di 900mila le persone sfollate o colpite dai violenti combattimenti tra le truppe governative sudanesi e le milizie ribelli del Movimento di Liberazione Popolare del Sudan-Nord (da non confondere gli ex ribelli del Movimento di liberazione del popolo sudanese – Spla). L’unico ostacolo agli aiuti umanitari, denuncia mons. Elnail, è oggi rappresentato dal Governo sudanese: “Le difficoltà di comunicazione sono superabili. Le agenzie umanitarie sono pronte, hanno il cibo, hanno i soldi e non possono aspettare, perché la gente sta morendo”, ha detto il presule. Nonostante un accordo raggiunto lo scorso agosto con la mediazione delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, dopo più di 16 mesi di trattative, nessun agente umanitario è riuscito finora ad entrare nelle aree controllate dal Splm-N attraverso il Sudan e nessun aiuto è stato distribuito. Lo scontro armato nel Sud Kordofan, è scoppiato alla vigilia dell’indipendenza del Sud Sudan il 9 luglio 2011. L’area è contesa dai Governi di Khartum e di Juba per i suoi ricchi giacimenti petroliferi. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Aiuti della Caritas italiana a Senegal e Sierra Leone colpite da alluvioni e colera

    ◊   Si rafforza l‘impegno di Caritas italiana in Senegal e Sierra Leone, dopo le alluvioni a Dakar e l’epidemia di colera a Freetown. In Senegal, tra il 25 e il 26 agosto scorso, un‘alluvione ha colpito la capitale Dakar e successivamente si sono verificate altre piogge molto intense che hanno aggravato la già difficile situazione. Caritas italiana ha stanziato un primo contributo di 15.000 euro a sostegno degli interventi di Caritas Senegal, che si è prontamente unita al coordinamento nazionale, con l‘invio di primi aiuti nelle aree più colpite attraverso le Caritas diocesane e ora lanciando un progetto di emergenza che focalizza l’attenzione sulle aree periferiche della capitale, allo scopo di assistere le vittime e migliorare le condizioni di vita della popolazione, tra cui oltre 2.500 famiglie. Sempre in Africa, a settembre si è verificata un‘epidemia di colera in Sierra Leone, la più grave verificatasi dal 1995. Freetown, la capitale, è l’area in cui si è manifestato il maggior numero di casi - più della metà sui 20mila accertati - e dove si è registrato il più elevato tasso di mortalità, rispetto ai 278 morti che ci sono stati in tutto il Paese. Caritas italiana ha stanziato un primo contributo di 20.000 euro a sostegno dell’intervento di Caritas Sierra Leone. Caritas Sierra Leone, in complementarità con l’azione del governo senegalese, ha lanciato un "Appello di emergenza", per diminuire l’incidenza dell’epidemia in particolare nelle fasce più vulnerabili della popolazione - bambini, donne in gravidanza, disabili. L‘obiettivo è distribuire trattamenti gratis per la popolazione più povera e contribuire al miglioramento della consapevolezza sulle pratiche di igiene. 1.000 le persone che beneficeranno gratuitamente di trattamenti medici, distribuzione di prodotti di igiene e di purificazione dell’acqua. In totale saranno 600.000 i destinatari delle campagne di sensibilizzazione previste nelle scuole, nei quartieri, nelle comunità di base, nei villaggi. (R.P.)

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    Madagascar: inaugurati un dispensario e un Centro per disabili

    ◊   Due opere al servizio dei più deboli che rappresentano una speranza per un futuro migliore per il popolo malgascio. Si tratta del dispensario San Luigi Orione a Miandrarivo e della Casa di carità per disabili a Antsofinondry, appena inaugurati in Madagascar dal Superiore generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Don Orione), Don Flavio Peloso. In un comunicato inviato all’Agenzia Fides si legge che il dispensario è stato realizzato nella città di Miandrarivo, un centro rurale di circa 3000 abitanti, a 27 km di distanza da Faratsiho. A disposizione degli abitanti ci sono alcuni servizi essenziali di medicina. In particolare sono attivi il reparto maternità e di odontoiatria, oltre al laboratorio per le analisi cliniche e quello ecografico, una farmacia e 10 posti letto per i casi più gravi. La Casa di Carità per disabili, aperta a Antsofinondry, diocesi di Antananarivo, è stata dedicata a San Pio da Pietrelcina. Si tratta di una struttura moderna che ospiterà in regime stabile di accoglienza e riabilitazione i disabili della regione con varie patologie e un dispensario aperto alla cittadinanza, con medico e farmacia. (R.P.)


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    Dialogo interreligioso: presentata l'XI Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico

    ◊   “Cristianesimo ed islam, seppure con diverse prospettive, sono portatori di un messaggio che educa all’arte di vivere insieme”. Lo ha detto ieri pomeriggio a Roma, nella sala polifunzionale di via di Santa Maria in Via, il ministro per l’Integrazione, Andrea Riccardi, introducendo la presentazione dell’XI Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, che si celebra il 27 ottobre. Laicità, ha proseguito Riccardi, “non è un dogma, e quella italiana affonda nella Costituzione”, che “introduce l’idea di uguaglianza” e la connette “al ruolo peculiare delle religioni”. Con la Costituzione si è concretizzata “nella laicità italiana l’idea del ruolo positivo delle religioni”. È tutt’ora viva, ha aggiunto, la coscienza che vede “le religioni come una ricchezza per il nostro Paese” e riconosce la “grande efficacia del lavoro svolto dalle comunità religiose per costruire un tessuto italiano laddove è più in sofferenza”. Come l’uguaglianza sostanziale delle religioni venga declinata nella Costituzione è stato illustrato da Sandra Sarti, direttore centrale per gli Affari dei culti del Dipartimento per le libertà civili del ministero dell’Interno: “Nel 2011 in Italia sono stati censiti 3.200 enti di culto, nel 1997 erano solo 500, suddivisi in diverse forme: l’uguaglianza non può livellare le fattispecie che gli si pongono davanti, ma favorire in modo uguale le esigenze”. “Abbiamo la libertà ma non tutti i diritti perché dipendono anche dai colori dei sindaci”, ha detto Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, che riunisce 50 nazionalità e rappresenta 135 moschee. “Noi - ha proseguito - siamo cittadini italiani di fede islamica, siamo per la libertà d’espressione, ma anche per la responsabilità”, e “lavoriamo per uscire da pratiche come i matrimoni imposti, che non rispondono né all’islam né al valore del nostro attuale Paese”. Secondo Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia, “il pluralismo è uno dei nomi moderni della laicità” e quella a cui le democrazie europee e la comunità islamica sono chiamate è “una doppia sfida: alla tutela dei diritti, per le une, e alla ricerca di un giusto equilibrio per le altre”. L’importanza di “riconoscere le religioni, ancorarle alla Costituzione, e stimolarle al dialogo” è stata sottolineata da Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. Alla primavera araba, all’ondata migratoria e all’“assoluta mancanza di solidarietà da parte nostra” ha fatto riferimento mons. Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei: “L’Europa nel suo insieme non ha saputo guardare con la dovuta simpatia e attenzione a quanto succedeva nel’Africa del Nord”, ha detto, e c’è oggi da affrontare “il problema della diffidenza verso l’Islam”. Il momento storico che viviamo è “un’opportunità che sarebbe grave ingenuità perdere di vista”, secondo don Vittorio Ianari, responsabile del dialogo cristiano-islamico per la Comunità di Sant’Egidio: “Si apre una porta storica di passaggio dall’islamofobia, dal reciproco combattimento e dall’ignoranza verso una comunicazione reale, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri”. (R.P.)


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    Ordine del Santo Sepolcro: pellegrini a Roma nell'Anno della Fede per impegno pro Terra Santa

    ◊   Per l’Anno della Fede verranno l’anno prossimo a Roma almeno tremila cavalieri e dame del Santo Sepolcro di Gerusalemme, cioè più di un decimo dei membri del loro Ordine Equestre, l’unico inserito dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione nel calendario degli eventi a cui prenderà parte il Santo Padre. Dei preparativi del pellegrinaggio internazionale, dal 13 al 15 settembre; della mobilitazione nelle 36 nazioni in cui operano le articolazioni periferiche dell’Ordine; e dell’ accoglienza dei partecipanti, affidata all’Unitalsi, ha discusso la sessione autunnale del Gran Magistero presieduta dal cardinale Edwin Frederick O’Brien. La seduta di ieri è stata anche dedicata agli impegni statutari per la Terra Santa, in particolare per il Patriarcato Latino di Gerusalemme, dopo l’illustrazione delle attività svolte e dei progetti fatta dal patriarca Fouad Twal, che dell’Ordine è il Gran Priore: riguardano soprattutto il campo dell’educazione, anche universitaria, ma specialmente le 42 scuole primarie e secondarie frequentate da oltre 18 mila studenti, per il 61% cristiani ( sono circa 2.500 in Israele, 5.700 in Palestina e 10 mila in Giordania). I generosi contributi annuali dei membri dell’Ordine vengono devoluti pure al sostentamento del clero, al seminario, all’edilizia parrocchiale e ad opere caritative e sociali, anche di altre istituzioni cattoliche. Nella relazione al Gran Magistero, il patriarca Twal ha sviluppato quel che aveva anticipato ai suoi componenti nell’omelia della Santa Messa, introduttiva dei lavori, circa la situazione religiosa, politica e conflittuale in Medio Oriente. Due, in particolare, le riflessioni sulla Terra Santa: alla sua centralità confermata dai riferimenti ad essa nei grandi eventi ecclesiali mondiali a cui aveva partecipato (alla Santa Famiglia di Nazaret ha volto lo sguardo da Milano il Congresso delle Famiglie; al Cenacolo di Gerusalemme, da Dublino, il Congresso eucaristico); e alla inquietante crescita del fondamentalismo islamico nella regione (i cristiani temono che anche in Siria possa ripetersi la dolorosa esperienza irachena). (A cura di Graziano Motta)

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    Torino: mons. Nosiglia scrive una lettera pastorale dedicata ai rom

    ◊   “Conosco tanti di voi, vi ho visitato nei campi dove vivete, vi ho incontrato in molte occasioni per le strade della nostra città e dei nostri paesi. Abbiate fiducia nella possibilità di dare un’istruzione, una casa, un lavoro ai vostri figli! Abbiate fiducia di avere un posto migliore tra noi, nella nostra città e nei nostri paesi. Abbiate fiducia di poter essere amici di noi non rom e non sinti, ma tutti figli dello stesso Dio, che è Padre di tutti”. Comincia così la lettera pastorale “Non stranieri, ma concittadini e familiari di Dio” che l‘arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, dedica ai popoli nomadi, rom e sinti. L‘arcivescovo - riporta l'agenzia Sir - si rivolge prima di tutto ai rom: “Avere fiducia”, scrive, significa “non credere di risolvere i problemi della vita con la violenza o la delinquenza e l‘illegalità”, ma piuttosto affermare “la dignità dei vostri popoli, quella che voi difendete con l’onore di una vita buona, fiduciosa, rispettosa di voi stessi e degli altri, capace di offrire il contributo della vostra umanità alla costruzione di una vita più bella per tutti: rom, sinti e manush uniti. Il nostro futuro è vivere insieme, come una grande famiglia”, dove “si vive insieme ma nessuno è uguale a un altro”. Mons. Nosiglia richiama poi le istituzioni, ricordando che “certe frontiere sono cadute per sempre: “Non ha senso cercare di confinare i nomadi in un ghetto culturale”. Molto è stato fatto, aggiunge l‘arcivescovo, ma “il lavoro non è finito. Il cammino dell‘integrazione e della convivenza si è avviato con l‘accesso all‘istruzione, alla salute, alle opportunità di lavoro, ma la vera equità si fonda sempre sul partire dall‘ultimo e significa non scoraggiarsi mai, non lasciarsi trascinare dalla corrente del consenso. Bisogna coltivare il coraggio del futuro anche confrontandoci con il popolo nomade”. L‘arcivescovo si rivolge infine alla comunità cristiana e lancia la sua provocazione: “Mi chiedo se tra voi non ci siano giovani, famiglie, sacerdoti, religiose, anziani che potrebbero 'adottare’ nell’amicizia fraterna una famiglia rom o una famiglia sinta”, per “accompagnare amichevolmente, fraternamente, una famiglia a trovare casa, ad avviarsi al lavoro, a superare le difficoltà con la scuola, a farsi curare quando è necessario, a condividere le gioie e i dolori della vita”. “Non si tratta - spiega - di inventare gesti eccezionali, ma di saper coltivare la propria capacità di accoglienza nella vita quotidiana”. Mons. Nosiglia conclude con un monito: “Il problema dei rom e sinti non è irrisolvibile” se “scegliamo la via non solo del confronto ma dell’impegno fattivo delle buone opere e non ci scoraggiamo di fronte alle inevitabili sconfitte, ma continuiamo a scommettere sul sogno di Dio”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 299

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.