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Sommario del 24/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: Concistoro il 24 novembre per la creazione di 6 cardinali. "Sappiano amare Cristo e la Chiesa con coraggio"
  • Udienza generale. Il Papa: avere fede è un dono di Dio e un atto di libertà dell'uomo
  • L'arcivescovo di Manila, Tagle: mia nomina a cardinale, dono per l'evangelizzazione in Asia
  • Sinodo. Testimonianza di un'uditrice di Aleppo: grati al Papa per la sua vicinanza alla Siria
  • Il Papa nomina il cardinale Monterisi membro della Congregazione per i Vescovi
  • Entrato in vigore l'Accordo tra S. Sede e Lituania sul riconoscimento degli studi superiori
  • Intitolato a Benedetto XVI il nuovo Centro pediatrico del Bambino Gesù a Roma
  • Riapre la cappella sistina di Santa Maria Maggiore, gioiello dell'arte tardo rinascimentale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Damasco dice sì alla tregua proposta da Brahimi, domani l'annuncio ufficiale
  • Ordinari cattolici di Terra Santa: no al muro nella Valle del Cremisan. "Strumentali" accuse alla Chiesa
  • In Kuwait il popolo scende in piazza e chiede riforme
  • Germania: inaugurato monumento in ricordo dell’olocausto di Rom e Sinti
  • La Commissione diritti umani del Senato: clemenza e misure alternative al carcere
  • Politica e trasparenza. Mons. Bressan: servono dirigenti con nuovo codice di moralità
  • Convegno a Roma: Africa e "donne rurali" protagoniste di sviluppo nel continente
  • Roma. Alla veglia missionaria, il cardinale Vallini invia due famiglie in Cina e Sudafrica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: un prete greco ortodosso rapito a Damasco
  • Francia: manifestazioni contro il progetto di legge "matrimonio per tutti"
  • Messaggio dei vescovi italiani per la Giornata della vita: ingiusto chiedere altri sacrifici alle famiglie
  • 600 milioni di bambine nel mondo sono vittime di violenza
  • Congo: si cerca un contatto affidabile per i tre religiosi rapiti nel Nord Kivu
  • Myanmar: mille case incendiate, resta alta la tensione fra birmani e Rohingya
  • Egitto: una tv per i cattolici per mostrare la ricchezza spirituale della Chiesa
  • India: la Chiesa chiede di aiutare i 400 mila profughi dell’Assam
  • Pakistan: un’altra ragazza sotto tiro dei talebani. I vescovi: cresce l’intolleranza
  • Pakistan: una donna su 89 e 500 neonati al giorno muoiono per malattie legate alla gravidanza
  • Tibet: nuova auto-immolazione, settima in un mese per protesta contro Pechino
  • Panama: mons. Ulloa invita alla calma dopo i disordini a Colon
  • India: pubblicato il volume su "La Chiesa e i diritti umani”
  • Riunito il Gran Magistero dell'Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme
  • Mons. Williamson espulso dalla Fraternità San Pio X
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: Concistoro il 24 novembre per la creazione di 6 cardinali. "Sappiano amare Cristo e la Chiesa con coraggio"

    ◊   Un Concistoro il prossimo 24 novembre, alla vigilia della Solennità di Cristo Re, per la creazione di 6 nuovi cardinali: lo ha annunciato oggi “con grande gioia” Benedetto XVI, al termine dell’udienza generale in San Pietro. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    I nuovi porporati provengono da tre continenti: America, Africa e Asia. Si tratta di mons. James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, che il Papa ha in animo di nominare arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura; Sua Beatitudine Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano); Sua Beatitudine Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India); mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria); mons. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà (Colombia); mons. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine).

    “I cardinali – ha ricordato il Papa - hanno il compito di aiutare il Successore di Pietro nello svolgimento del suo Ministero di confermare i fratelli nella fede e di essere principio e fondamento dell’unità e della comunione della Chiesa”. I sei nuovi porporati – ha aggiunto – “svolgono il loro ministero a servizio della Santa Sede o quali Padri e Pastori di Chiese particolari in varie parti del mondo”. Quindi ha concluso con una esortazione:

    “Invito tutti a pregare per i nuovi eletti, chiedendo la materna intercessione della Beata Vergine Maria, perché sappiano sempre amare con coraggio e dedizione Cristo e la sua Chiesa”.

    Si tratta del quinto Concistoro di Benedetto XVI: gli altri si sono svolti il 24 marzo 2006, il 24 novembre 2007, il 20 novembre 2010 e il 18 febbraio di quest'anno. Con il Concistoro del prossimo 24 novembre saranno in tutto 90 i cardinali creati da Benedetto XVI. In quella data il Collegio cardinalizio risulterà composto da 211 cardinali, di cui 120 elettori e 91 ultraottantenni.

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    Udienza generale. Il Papa: avere fede è un dono di Dio e un atto di libertà dell'uomo

    ◊   La fede è un “dono soprannaturale”, ma anche un libero atto dell’uomo che decide consapevolmente di affidarsi all’amore di Dio, che cambia la vita. Benedetto XVI ha ripetuto questa “verità elementare” alle migliaia di persone che questa mattina, all’udienza generale in Piazza San Pietro, hanno ascoltato la sua seconda catechesi dedicata all’Anno della Fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Decenni di “pianificazione”, di calcoli esatti, di sperimentazione hanno trasformato l’umanità in una moderna versione di San Tommaso: credo solo a ciò che tocco. Parte da questo punto la riflessione del Papa sullo stato della fede oggi nel mondo. Gli slanci degli inizi, rileva, sono finiti nel vortice di mille domande che chiedono cosa sia la fede e se ancora serva a qualcosa. In parallelo, è cresciuta la “fede” nella tangibilità della scienza e della tecnica, senza che tuttavia la “grandezza” e l’importanza delle loro scoperte, ha constatato Benedetto XVI, siano riuscite a rendere l’uomo davvero “più libero, più umano”:

    “A volte, si ha come la sensazione, da certi avvenimenti di cui abbiamo notizia tutti i giorni, che il mondo non vada verso la costruzione di una comunità più fraterna e più pacifica; le stesse idee di progresso e di benessere mostrano anche le loro ombre (…) Un certo tipo di cultura, poi, ha educato a muoversi solo nell’orizzonte delle cose, del fattibile, a credere solo in ciò che si vede e si tocca con le proprie mani”.

    È il problema che nasce, prosegue il Papa in chi ha una “visione solo orizzontale della realtà”. Una visione che da sola non basta, perché oltre il sapere c’è un’altra sapienza che porta diritti nel cuore di Dio:

    “Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiducioso affidarsi a un ‘Tu’, che è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida di quella che mi viene dal calcolo esatto o dalla scienza”.

    La fede, ha proseguito Benedetto XVI, è un “dono” che viene dall’alto e, insieme, “un atto autenticamente umano” in un amore “che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo”, che consola, che salva:

    “Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche – sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo (...) E questa certezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani”.

    Credere, ha incalzato ancora il Papa, “non è un semplice “assenso intellettuale dell’uomo”, ma un libero atto di fiducia verso Dio. Certo, non un’“adesione priva di contenuti”, perché la fede rende consapevoli che Dio è diventato tangibile, carne, in Gesù:

    “Il rifiuto, dunque, non può scoraggiarci. Come cristiani siamo testimonianza di questo terreno fertile: la nostra fede, pur nei nostri limiti, mostra che esiste la terra buona, dove il seme della Parola di Dio produce frutti abbondanti di giustizia, di pace e di amore, di nuova umanità, di salvezza. E tutta la storia della Chiesa, con tutti i problemi, dimostra anche che esiste la terra buona, esiste il seme buono e porta frutto”.

    Dalla consapevolezza della fede al suo dono. Nel mondo innamorato più della materia che dello spirito, diffondere il Vangelo – ha messo in guardia Benedetto XVI, può presentare dei “rischi”, primo fra tutti quello del rifiuto di Cristo. Ma, ha obiettato…

    “…non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo (…) Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti”.

    Tra i saluti particolari al termine delle catechesi in lingua, il Papa si è rivolto ad alcuni gruppi di religiose – tra le quali le Suore della Santissima Madre Addolorata riunite in Capitolo generale – e ai delegati dell’Unione Apostolica del Clero nel 150.mo di fondazione. Quindi, al tradizionale pensiero finale dedicato ai nuovi sposi, ai giovani e agli ammalati, Benedetto XVI si è soffermato sulla figura del Beato Giovanni Paolo II:

    “Cari giovani, imparate ad affrontare la vita con il suo ardore e il suo entusiasmo; cari ammalati, portate con gioia la croce della sofferenza come ha saputo insegnarci lui stesso; e voi, cari sposi novelli, mettete sempre Dio al centro, perché la vostra storia coniugale abbia più amore e più felicità”.

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    L'arcivescovo di Manila, Tagle: mia nomina a cardinale, dono per l'evangelizzazione in Asia

    ◊   Un sorriso che esprime emozione, gioia e gratitudine al Papa per averlo scelto tra i nuovi cardinali. E’ quello disegnato sul viso di mons. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila nelle Filippine, vicepresidente della Commissione per il messaggio del Sinodo. Paolo Ondarza lo ha incontrato subito dopo l’annuncio dato questa mattina da Benedetto XVI:

    R. - Non sono ben preparato per ricevere questo onore dal Santo Padre! E’ un segno di fiducia e per me è un’esperienza spirituale. Quando il segretario di Stato mi ha chiamato per comunicarmi la decisione del Papa, volevo rispondere con le parole della preghiera prima della Comunione: “non sono degno di partecipare alla tua mensa…”. Però ho sentito anche che Qualcuno, più grande di me, è venuto a chiamarmi.

    D. - Dopo quella al sacerdozio, quella all’episcopato, questa è una nuova chiamata…

    R. - Sì, questa chiamata non è per me come individuo ma è per la Chiesa di Manila e la Chiesa delle Filippine.

    D. - Qual è stato il suo primo pensiero appena saputa la notizia?

    R. - Il primo pensiero che mi è venuto in mente è stata la missione della Chiesa delle Filippine, in particolare la Chiesa di Manila. Questa Chiesa ha un compito e un impegno per la grande missione nel vasto continente dell’Asia. Forse questo dono che ho ricevuto è per promuovere la missione della Chiesa filippina nell'evangelizzazione dell’Asia.

    D. - A questo proposito quale augurio per l’Anno della fede?

    R. - La metà di tutti i cristiani in Asia si trova nelle Filippine. E’ gente semplice, la maggioranza è povera, ma la loro ricchezza è la fede: la fede, la musica e il sorriso! Dobbiamo condividere questo dono della fede con gli altri.

    D. - La nuova evangelizzazione da chi deve partire, da quale categoria di persone?

    R. - Ognuno, ogni battezzato, è chiamato ad essere evangelizzatore: l’età non importa, il livello di educazione non importa. La grazia e la determinazione di far conoscere Cristo: questo è tutto ciò che costituisce il motore per l’evangelizzazione.

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    Sinodo. Testimonianza di un'uditrice di Aleppo: grati al Papa per la sua vicinanza alla Siria

    ◊   Mentre la missione in Siria dei rappresentanti della Santa Sede continua i suoi preparativi, dal Sinodo arriva la testimonianza di un’uditrice proveniente da Aleppo: Gisèle Muchati, responsabile regionale del Movimento “Famiglie Nuove”. Paolo Ondarza l’ha intervistata:

    R. – Sono grata al Santo Padre di poter partecipare a questo Sinodo. E’ un’esperienza molto bella della Chiesa. In questa tragedia che il mio Paese sta vivendo, ci sono tante famiglie impegnate a portare il Vangelo vivo tra le persone, tra coloro che hanno perso il lavoro o che hanno perso la casa… Ci sono tante possibilità di “fare nuova evangelizzazione” da noi in Siria. Inoltre, desidero esprimere la mia gratitudine al Santo Padre per l’invio della delegazione della Santa Sede in Siria: è una cosa speciale, perché questo aiuterà il popolo siriano a sentire la vicinanza di tutto il popolo di Dio.

    D. – Parlavi dell’impegno delle famiglie nel testimoniare il Vangelo. Una sfida particolarmente alta in questo momento di grave tensione nel Paese: com’è possibile portarla avanti, visto quanto sta accadendo?

    R. – Anzitutto, bisogna avere fede certa in Dio amore: è Lui che porta avanti tutte le cose, anche in questi momenti difficili. Dobbiamo andare avanti insieme, perché solo insieme con le altre famiglie, ce la faremo a superare le difficoltà e ad aiutarci a livello pratico: a coloro che non hanno cibo, portiamo cibo; a coloro che non hanno più una casa, li ospitiamo in casa. Queste cose pratiche in questo momento sono le più importanti. Un esempio: qualche settimana fa, una famiglia non aveva più latte per il proprio bambino da due giorni e una delle nostre famiglie si è preoccupata di fornirglielo. Penso che anche attraverso queste cose pratiche si possa portare il Vangelo e si possa vivere questa nuova evangelizzazione.

    D. - Giselle, questa è storia che forse non fa notizia, ma che porta invece in sé qualcosa di molto buono: i semi del Vangelo che voi, attraverso Famiglie Nuove, state spargendo in Siria?

    R. – Sì, certo. Questa esperienza del Sinodo mi sprona a portare ancora di più il Vangelo, a continuare a “seminare” questa vita e a prodigarmi per la nuova evangelizzazione in questo Paese che soffre. Solo così possiamo andare avanti.

    D. – Le persone che hai lasciato ad Aleppo, quando hanno saputo che ti saresti recata in Vaticano per il Sinodo, ti hanno affidato un messaggio da rendere presente ai padri sinodali?

    R. – Erano molto contente che io rappresentassi il mio Paese in questo momento, ma sono stati ancor più contente quando hanno saputo di questa delegazione del Santo Padre. Hanno sentito di essere amate, non dimenticate, perché loro soffrono tanto.

    D. – A nome del tuo Paese, della tua comunità cristiana, che cosa chiedi alla Chiesa, che è qui rappresentata al Sinodo?

    R. – Chiediamo preghiere, affinché si arrivi alla pace nel nostro Paese e in tutto il Medio Oriente.

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    Il Papa nomina il cardinale Monterisi membro della Congregazione per i Vescovi

    ◊   Benedetto XVI ha nominato membro della Congregazione per i Vescovi il cardinale Francesco Monterisi.

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    Entrato in vigore l'Accordo tra S. Sede e Lituania sul riconoscimento degli studi superiori

    ◊   È entrato oggi in vigore l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Lituania, firmato a Vilnius l’8 giugno 2012, riguardante il riconoscimento degli studi superiori. Lo afferma una nota ufficiale vaticana, nella quale spiega che entrambe le parti “hanno notificato, con rispettive Note Verbali, il compimento delle relative procedure, richieste per l’entrata in vigore dell’Accordo sul riconoscimento reciproco delle qualifiche riguardanti l’insegnamento superiore (Agreement on the Recognition of Qualifications Concerning Higher Education)”. Pertanto, prosegue la nota, “l’Accordo, che stabilisce le regole, le procedure e gli strumenti per garantire il riconoscimento degli studi superiori, è entrato in vigore il 23 ottobre 2012, a norma dell’Articolo 8, paragrafo 2, del medesimo Agreement”.

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    Intitolato a Benedetto XVI il nuovo Centro pediatrico del Bambino Gesù a Roma

    ◊   E’ stata intitolato a Benedetto XVI il nuovo Centro dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, inaugurato stamani, a due passi dalla Basilica di San Paolo fuori le Mura. A dare l’annuncio è stato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che ha benedetto la struttura e presenziato all’incontro - ospitato nell’Auditorium del Centro - sul tema “L’innovazione di ieri, la ricerca di oggi, le cure di domani”. Presenti alla cerimonia, i ministri della Salute, Balduzzi, e della Cooperazione internazionale e l’integrazione, Riccardi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “E’ come abbracciare in un solo sguardo lo slancio verso l’innovazione che attinge e fa tesoro della tradizione”: così il cardinale Bertone, dopo la preghiera di benedizione dell’innovativa struttura destinata ad ospitare già nei primi mesi del 2013 “il più grande e moderno Centro di ricerche pediatriche d’Europa”: qui – ha ricordato il porporato nel suo intervento – “ricercatori italiani e di tutto il mondo lavoreranno per mettere a punto nuove cure per malattie rare e complesse”. E sarà anche un Centro di alta formazione, dove condividere – ha sottolineato il cardinale Bertone – il proprio sapere con i colleghi, per “migliorare le competenze e le abilità diagnostiche e terapeutiche a favore di bambini di tutto il mondo”.

    Già operativo, da settembre – ha spiegato il presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Giuseppe Profiti – il Centro per le attività ambulatoriali e di ricovero diurno, oltre centro prelievi e due sale operatorie con attigua recovery room, con ampie sale d’attesa, zone riservate all’allattamento materno, e non potevano mancare aree di gioco attrezzate per i piccoli degenti. Il tutto ospitato su seimila mq. Dalla minuscola sede di via delle Zoccolette, con 12 letti, aperta nel 1869, alla prestigiosa sede del Gianicolo, al modernissimo centro di San Paolo, con un parcheggio coperto di 200 posti auto, ottimamente collegato dai trasporti pubblici. Due poli importanti l’uno accanto all’altro, ha sottolineato il cardinale Bertone: la Basilica di San Paolo, “richiamo di fede di tanti pellegrini di ogni parte del mondo” e l’Ospedale Bambino Gesu “richiamo di speranza di tanti bambini e delle loro famiglie dal’Italia e dall’estero per un futuro di salute”.

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    Riapre la cappella sistina di Santa Maria Maggiore, gioiello dell'arte tardo rinascimentale

    ◊   Dopo oltre sette anni di restauri, ha riaperto al pubblico la cappella del Santissimo Sacramento a Santa Maria Maggiore a Roma. Si tratta di una struttura risalente al 1587, voluta da Papa Sisto V come mausoleo per se stesso e per il suo predecessore S. Pio V. I restauri - eseguiti dalla società “Captolium conservazione restuaro” con la supervisione dei laboratori dei Musei Vaticani e patrocinati dai “Patrons of Arts” della California - hanno riportato la struttura al suo splendore originario. Il servizio di Michele Raviart:

    La cappella del Santissimo Sacramento a Santa Maria Maggiore è sia un mausoleo che un reliquario. I 2.400 metri quadrati di stucchi, affreschi, dipinti su tela, intarsi in marmi colorati, altorilievi e sculture marmoree che decorano questa “chiesa nella chiesa” fanno da cornice alle tombe di due pontefici, il committente Sisto V, Papa dal 1585 e il 1590, e il suo predecessore S.Pio V, che lo aveva creato cardinale e la cui politica di difensore della fede era per lui un modello ai tempi della controriforma. La struttura, alta 47 metri, fu progettata dall’architetto di fiducia del Pontefice, Domenico Fontana, che abbatté tre cappelle preesistenti, con la funzione di custodire l’Oratorio del Presepe dello sculture del duecento Arnolfo di Cambio, reliquia molto cara a Sisto V. Il prof. Arnold Nesselrath dei Musei Vaticani, guida scientifica per i restauri:

    “Sisto V è uno dei grandi costruttori della città, alla fine del ’500. E’ il Papa che ha lasciato la sua impronta sulla città con tutti gli obelischi, con i grandi viali. Ricordiamo la strada che dall’abside di Santa Maria Maggiore arriva fino a piazza del Popolo. La cappella sistina di Santa Maria Maggiore è la sua manifestazione personale. La sua arte è un’arte da vedere nella tradizione. Naturalmente, siamo alla fine di un periodo che inizia con Michelangelo, con Raffaello, con Bramante, sotto i Papi Giulio II, Leone X, però Sisto V è anche visto come il grande successore di Sisto IV, che ha costruito la Cappella Sistina in Vaticano”.

    Gli affreschi della cappella, eseguiti da Cesare Nebbia e Giovanni Guerra, celebrano il trionfo della Vergine e l’Eucaristia, mentre sull’altare quattro angeli in bronzo, opera dello scultore Sebastiano Torregiani, sorreggono il ciborio, che è il modello in scala della stessa cappella. Cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della basilica papale di Santa Maria Maggiore.

    “La cappella del Santissimo Sacramento è il luogo principale nel quale troviamo la presenza del Signore. Anche tutti i motivi che si trovano in questa cappella attorno all’altare maggiore parlano dell’Eucaristia. Dopo questi anni di lavori, siamo contenti di poter restituire alla pietà dei fedeli, al culto del Signore, questa cappella restaurata che veramente è un gioiello”.

    I restauri hanno riportato la cappella al suo stato originario, eliminando i pesanti interventi che si sono seguiti nel corso dei secoli. Ancora il professor Nesselrath:

    "Pio IX, che venerava tanto Santa Maria Maggiore, voleva essere sepolto qua e aveva lasciato dorature molto pesanti, che stonavano con l’arte della fine del ’500, che è un’arte sostanzialmente di contenuto, un’arte iconografica, un’arte che venera i Santi. La cappella ha tante opere - pittura, scultura, metallo - ed è un grande insieme".

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per l'unità della Chiesa nel mondo: all'udienza generale il Papa annuncia che nel Concistoro del 24 novembre creerà sei cardinali.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il tentativo di rilanciare il negoziato nel Darfur tra il Governo di Khartoum e i ribelli del Jem.

    Il senso delle lacrime: in cultura, stralci dal libro di Lucetta Scaraffia (scritto con Eraldo Affinati) "Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati".

    Uomo fragile e imperatore illuminato: Alfredo Tradigo su una mostra che celebra il diciassettesimo centenario dell'editto di Milano e Isabella Farinelli sull'Umbria che ricorda l'età costantiniana con numerose esposizioni diffuse nel territorio.

    Caravaggio e la lotteria: Antonio Paolucci sulla diaspora delle grandi quadrerie fra il xvi e il xix secolo.

    Troppa storia per un'isola sola: un libro dedicato allo storico viaggio di Benedetto XVI a Cipro, crocevia di popoli e culture nel cuore del mediterraneo.

    Intitolato a Benedetto XVI il nuovo centro del Bambino Gesù: inaugurata dal cardinale segretario di Stato la struttura nei pressi della basilica di San Paolo fuori le mura.

    Il manto del concilio: il quinto numero di "donne chiesa mondo".

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Damasco dice sì alla tregua proposta da Brahimi, domani l'annuncio ufficiale

    ◊   Le speranze erano ridotte al lumicino e c’era già chi parlava di un ulteriore insuccesso della comunità internazionale, dopo il nulla di fatto delle precedenti missioni di Kofi Annan. E invece, alla fine il regime di Damasco ha detto sì alla tregua durante la festa del Sacrificio, proposta dall’osservatore di Onu e Lega Araba, Brahimi. E’ stato lo stesso diplomatico a confermare la notizia, anche se l’annuncio ufficiale da parte di Damasco giungerà solo domani. Salvatore Sabatino ha chiesto all’analista Marcella Emiliani se si può parlare di un segnale positivo per l’intero Paese:

    R. - Sì, anche se prima dobbiamo sapere se anche le opposizioni hanno accettato questo cessate-il-fuoco e soprattutto chi è che oggi può rappresentare quei movimenti salafiti, quelle organizzazioni militari salafite che negli ultimi tempi hanno condotto l’assalto contro il regime.

    D. - Il regime in principio aveva fatto intendere che non avrebbe accettato, invece questo è un segnale positivo, almeno di apertura, un primo segnale di apertura…

    R. – Certo, è, comunque, un primissimo segnale di apertura. Lo stesso Brahimi nei giorni scorsi aveva detto che qualora il cessate-il-fuoco fosse stato accettato, sarebbe stato un “micro-passo”. Quindi, per ora accontentiamoci di questo “micro-passo”. Quello che Brahimi vuole fare è che dal cessate-il-fuoco si passi a una fase negoziale tra regime e opposizioni. Speriamo che riesca a ottenere questo risultato.

    D. - Questa decisione giunge a poche ore dall’intervento di Brahimi in Consiglio di sicurezza proprio sul tentativo di tregua e sulle difficoltà riscontrate. Questa apertura può aprire una nuova fase in seno alla comunità internazionale, secondo lei?

    R. - In teoria, sì. Certo, fino ad oggi il regime non aveva mai accettato un cessate-il-fuoco. Auguriamocelo che questo sia il prodromo di una partenza di un processo negoziale.

    D. - Intanto, però, la cronaca ci racconta di ulteriori stragi anche oggi e di un proiettile di artiglieria antiaerea caduto in territorio turco, che porta ancora la Turchia torna in primo piano. Il rapporto tra i due Paesi si può incrinare ancora di più?

    R. - Finora, la Turchia ha accuratamente evitato che scoppiasse un conflitto aperto, cosa che si sospettava volesse fare il regime di Damasco per regionalizzare il conflitto o internazionalizzarlo. Certamente, la frontiera turca e quella libanese rimangono due confini molto sensibili. E’ per questo che il processo negoziale dovrebbe avviarsi al più presto possibile, prima che il conflitto siriano si estenda a tutta l’area.

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    Ordinari cattolici di Terra Santa: no al muro nella Valle del Cremisan. "Strumentali" accuse alla Chiesa

    ◊   L'Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) condanna con forza il progetto del muro di separazione che le autorità israeliane vogliono erigere nella valle di Cremisan, tra Betlemme e Gerusalemme. Gli ordinari cattolici smentiscono perentoriamente ogni sia pur tacito “via libera” vaticano all'opera, ritenuta illegale anche dalla Corte di giustizia internazionale che si è pronunciata a luglio 2004. Fausta Speranza ha intervistato padre Pietro Felet dell'Aocts:

    R. – Il progetto è stato pensato da ormai molti anni ed è stato portato avanti lentamente. Quando raggiungerà la Valle di Cremisan? Noi non lo sappiamo, ma sappiamo che quando Israele prende una decisione, prima o poi la realizza: che sia oggi, domani o magari fra 3-4-5 anni, questo poco importa… Siamo noi che dobbiamo prendere l’iniziativa e la nostra prima reazione risale a ormai otto anni fa, quando la causa è stata portata di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Adesso si riprende il discorso, nonostante vi sia stata una condanna.

    D. – Padre Pietro, spieghiamo: lo Stato di Israele è stato condannato…

    R. – E’ stato condannato dalla Corte internazionale di giustizia, ma a volte tutto ciò che è internazionale è disatteso localmente. Penso che abbia molta più forza la Corte suprema locale. Noi ora siamo disposti a andare anche alla Corte suprema di Israele per ottenere una sentenza che condanni questa costruzione su un terreno che non è parte dello Stato di Israele.

    D. – Padre Pietro, questo muro ha sollevato davvero parecchie denunce di violazioni di diritti umani: la vostra è particolare. Ci spiega bene?

    R. – La nostra è suscitata dal fatto che alcune voci hanno detto che la Chiesa locale e la Santa Sede sono d’accordo e che quindi esiste un accordo esplicito o implicito. Non è assolutamente secondo la verità! Non vogliamo che una falsità sia sostenuta per accendere una minaccia di violenza tra musulmani e cristiani e questo perché vendere una parte del terreno palestinese è già un crimine, condannato dalla legge palestinese. Non vogliamo ritrovarci, quindi, sul banco degli imputati, senza aver commesso un crimine. E quando la violenza si scatena è difficilmente controllabile. C’è un nostro tentativo di far sapere che la Chiesa non c’entra nulla in questo.

    D. – E’ un chiarimento doveroso e importantissimo. Poi, però, ci sono anche le preoccupazioni per quello che questo muro significherebbe, al di là della polemica delle responsabilità…

    R. – Io dico sempre che se Israele vuol costruire un muro è libero di costruire il muro, ma su un terreno che appartiene a Israele. Qui, invece, ci sono chilometri quadrati di terreno che se ne vanno. E’ un muro che separa una comunità da tutta una zona verde: Bejala, Betlemme… A questi abitanti, a questi contadini, rimane solo quella parte verde per piantare le olive, gli alberi da frutta. Con la costruzione del muro, sarà invece impedito il passaggio. In Israele, c’è una legge secondo la quale se un terreno è abbandonato, dopo tot anni diventa proprietà del demanio: praticamente è una confisca di terreno gratuita.

    D. – Ci dice qualcosa di più di questo terreno in particolare?

    R. – Questo terreno è stato comprato intorno al 1880 da un sacerdote italiano, che aveva lasciato la Liguria e si era installato nella diocesi di Gerusalemme. Aveva comprato parecchi terreni per realizzare delle opere sociali, delle scuole agricole. Questi terreni si trovano a Tantur, alle porte di Betlemme, si trovano all'inyerno di Betlemme, a Beta Jamal, a Nazareth e altrove. Come a Beta Jamal, a Cremisan è sorta una scuola di agraria e una scuola vinicola, che dava lavoro a parecchia gente e forniva vino e altri beni a molti alberghi. Era quindi un servizio reso anche al turismo che arrivava nella zona di Betlemme. Costruendo questo muro, persino la comunità dei salesiani e quella delle Salesiane sarebbero tagliate completamente fuori da un centro abitato e lontane da Gerusalemme, perché ci sarebbero molti chilometri per arrivare nella città di Gerusalemme.

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    In Kuwait il popolo scende in piazza e chiede riforme

    ◊   In Kuwait, si respira aria di "primavera araba". Nei giorni scorsi, decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro le modifiche alla legge elettorale. Almeno un centinaio di manifestanti sono rimasti feriti negli scontri con la polizia. L’opposizione, inoltre, è insorta per la convocazione delle elezioni legislative, seguita alla decisione dell’Emiro di sciogliere anticipatamente il parlamento. E’ l’ennesimo scontro tra il governo, in mano alla dinastia regnante, e il parlamento, dominato soprattutto dall’opposizione composta dai partiti islamici. Francesca Sabatinelli ha intervistato Younis Tawfik, giornalista e scrittore iracheno, docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Genova:

    R. – Oggi, il popolo del Kuwait si trova tra l’incudine e il martello: da una parte, c’è la famiglia reale, che ha in mano tutto nel Paese, e dall’altra ci sono gli estremisti islamici. La discesa in piazza del popolo del Kuwait vuol dire che c’è un accumulo di abusi fatti sia da parte del governo che del Parlamento.

    D. – Ma l’opposizione in Kuwait è composta esclusivamente dall’estremismo islamico?

    R. – Possiamo dire di sì, perché è abbastanza radicato, abbastanza forte ed anche abbastanza consistente. C’è un’ala moderata e poi ci sono i laici. Il problema, però, è che anche la Costituzione non aiuta, per cui ci sono abusi.

    D. – L’emiro al-Sabah è riuscito sempre in questi anni a tenere saldo il potere nelle sue mani, nelle mani della sua famiglia. Riuscirà ancora o ci sono le premesse perché in Kuwait ci sia un completo stravolgimento dell’assetto di potere?

    R. – In tutti i Paesi arabi ci sono dei tumulti sotterranei. Il momento della dittatura, del super-governo o degli abusi ormai non regge più nemmeno nei Paesi stessi della "primavera araba": non è mica finita in Egitto, in Tunisia e nemmeno in Libia, come vediamo. Quindi, è un riassestamento che sconvolgerà tutti e penso che anche l’Emiro del Kuwait, se non corre ai ripari, dovrà affrontare qualche sconvolgimento. Anzitutto, bisogna rivedere la Costituzione, bisogna rivedere la legge elettorale e anche il super potere che ha in mano l’emiro. Devono essere fatte una serie di riforme immediatamente, nel Paese. Oggi come oggi, la gente chiede una sorta di monarchia costituzionale. Non si possono avere monarchie assolute, decisionali, che hanno in mano la facoltà di poter intervenire addirittura nello scioglimento del parlamento. Dov’è che il governo scioglie il parlamento? In Kuwait è stato così.

    D. – C’è il rischio che questi cambiamenti in atto portino in Kuwait ad un’ascesa del fondamentalismo?

    R. – Questo è inevitabile, anche perché, dopo questo terremoto che ha buttato giù dittature fra le più radicate e più atroci, ovviamente la piazza risponde nella scelta dell’estremo. Questo, però, non durerà. Non dobbiamo aver paura dell’ascesa dell’estremismo islamico al potere, perché la gente ha imparato a scendere in piazza, a protestare, a dire la sua. Ha imparato che ci deve essere un parlamento supremo e che ci deve essere una Costituzione suprema, non si accontenterà mai, come una volta, di quel poco che gli veniva dato. C’è la pretesa di andare verso il meglio. Dubito, però, che arrivino gli estremisti in Kuwait, perché c’è un’ala moderata che è la maggioranza, quella che poi, se ci sarà la possibilità di andare al governo, andrà al governo. Gli estremisti poi sono sempre stati nel parlamento del Kuwait e hanno sempre combinato guai. L’importante è che l’ala moderata, quella della stragrande maggioranza, riesca comunque a vincere. L’estremismo un giorno finirà, per cui ci vuole una riconciliazione tra laicità e fede.


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    Germania: inaugurato monumento in ricordo dell’olocausto di Rom e Sinti

    ◊   Inaugurato a Berlino, in Germania, un monumento in ricordo dell’olocausto di Rom e Sinti durante la seconda guerra mondiale. La cerimonia, oggi, alla presenza di alcuni superstiti e della cancelliera tedesca Merkel, la quale sul suo canale Youtube ha sottolineato “l’importanza di coltivare la cultura della memoria”. L’avvenimento rappresenta l’occasione per riflettere su questo particolare aspetto della persecuzione nazista. Eugenio Bonanata ne parlato con Brunello Mantelli, docente di Storia Contemporanea all’Università di Torino:

    R. – E’ molta la dimenticanza dell’opinione pubblica, ma in realtà sono usciti in Germania - ma non solo e anche in Italia – studi pregevoli sulla persecuzione di Rom e Sinti. Quello che si può dire è che la persecuzione di Rom e Sinti è stata ricondotta alla dimensione della persecuzione degli asociali, data la marginalità sociale di Rom e Sinti, trascurando quindi la dimensione razziale. Invece, entrambe le cose, procedevano parallele.

    D. – Perché venivano perseguitati i Rom e i Sinti?

    R. – Originariamente, prima del nazismo, in tutta Europa c’era una sorta di ostilità verso Rom e Sinti per la loro marginalità sociale, che li faceva sostanzialmente identificare con persone che vivevano di espedienti. Nel caso del Terzo Reich, questa marginalità sociale venne ricondotta ad una dimensione razziale: Rom e Sinti - dicevano - si comportano in modo – tra virgolette – asociale e questo, a loro avviso, dipendeva da un dato razziale. Questo è il processo di "razzizzazione" che il Terzo Reich applica anche a categorie di oppositori politici o a figure come quelle degli omosessuali. Se sono diversi è perché sono razzialmente impuri. Questo è il principio.

    D. – Quanti furono quelli sterminati dai tedeschi?

    R. – Questa cosa è abbastanza complessa da definire, perché mentre gli ebrei erano cittadini della Germania o degli Stati occupati e quindi avevano i documenti ed erano registrati alle anagrafi, i Rom e i Sinti, in quanto nomadi, non erano ben registrati oppure si spostavano di continuo. Ragionevolmente una stima di 200 mila è significativa. Le stime vanno da 80 mila a 200 mila: diciamo che 200 mila può essere una cifra significativa e vicina alla realtà.

    D. – Provenivano da quali Paesi?

    R. – Diciamo da un po’ tutti i Paesi occupati, con prevalenza dall’Europa Centro-orientale e dalla zona balcanica. Ci fu una persecuzione anche in Italia e attualmente c’è una ricerca di dottorato, in corso, di una mia allieva, in cui ha dimostrato come il regime fascista abbia avuto una propria politica di persecuzione di Sinti e Rom, che sfocia poi anche nella deportazione di alcune decine di Sinti e Rom italiani, definiti anche come italiani o residenti in Italia, nonostante le difficoltà di cui dicevo prima. Quindi anche l’Italia non è fuori da questo cono d’ombra.

    D. – C’è un campo di concentramento che è stato – diciamo così – maggiormente utilizzato per i Rom e i Sinti?

    R. – Sicuramente Auschwitz-Birkenau. Una sezione di Birkenau fu utilizzata proprio come campo per famiglie Rom e Sinti dell’Europa centro-orientale.

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    La Commissione diritti umani del Senato: clemenza e misure alternative al carcere

    ◊   La detenzione in via cautelare, così come la presenza di detenuti tossicodipendenti o immigrati, sono alcune delle cause del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani dove, anziché 45 mila detenuti, vi sono rinchiusi circa 67 mila. Nel 2011, inoltre, i suicidi in carcere sono stati 66. Lo evidenzia il Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri d'accoglienza per migranti in Italia, condotto nei mesi scorsi dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e presentato ieri nel carcere romano di Regina Coeli. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    La violazione dei diritti umani è una violazione della legalità, nel caso di ciò che avviene nelle carceri a violarla è lo Stato. La Commissione diritti umani del Senato denuncia: se da una parte le strutture carcerarie hanno i loro problemi, il parlamento ha le sue responsabilità, perché nelle carceri si vivono situazioni di illegalità. Occorre riflettere, spiega la Commissione, su un’idea diversa del carcere. La logica securitaria ha fallito e lo dicono i numeri che il rapporto presenta: circa il 40% dei detenuti oggi non ha sentenza definitiva, mentre una percentuale molto alta è in prigione per reati legati a leggi da cambiare. Il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani del Senato:

    “Il sovraffollamento delle carceri è una conseguenza, non è una causa della situazione. E’ conseguenza di leggi che esistono e che riempiono le carceri oltre ogni limite accettabile. Facciamo un elenco: la ex Cirielli, quella che priva della possibilità di avere misure alternative coloro che sono recidivi. La Legge sulle tossicodipendenze (Fini-Giovanardi - ndr), che invece che indirizzare verso le comunità e verso la cura, indirizza verso il carcere. La Legge sull’immigrazione (Bossi-Fini - ndr), che rende o reato penale le situazioni irregolari o che ne fa un’aggravante e che è una delle ragioni che ha portato ad aumentare il numero delle persone in carcere. Queste sono alcune delle cose che se fossero fatte aiuterebbero a svuotare le carceri”.

    Con le pene alternative, spiega ancora la Commissione, 20 mila persone sarebbero fuori. Inoltre, le statistiche dimostrerebbero che chi ottiene le pene alternative non torna in carcere. Proprio in questi giorni, è in discussione alla Camera il disegno di legge sulle misure alternative. Ancora Marcenaro:

    “Noi, in questo Rapporto, utilizziamo l’espressione 'carcere minimo', cioè separare il concetto di pena dal concetto di carcere. Occorre considerare il carcere come soluzione solo quando è necessario, solo quando c’è bisogno di farlo, e naturalmente esistono situazioni così. Ma il carcere non va identificato con la pena. Per certezza della pena, le persone intendono certezza della prigione, certezza del carcere. Invece no, bisogna separare questi due aspetti e, dove è possibile, utilizzare altre forme di pena. La certezza della pena ci deve essere, il rispetto della legge deve essere garantito e chi la viola deve risponderne, io non ho il minimo dubbio su questo, ma questo può essere fatto in vari modi. Può soprattutto essere fatto in un modo che recuperi le persone alla vita civile e non le consegni alla criminalità, perché la criminalità recluta dentro il carcere”.

    La situazione carceraria, insiste la Commissione, "ha bisogno di misure di emergenza", tra queste una potrebbe essere "un atto di clemenza":

    “Se parte un’azione di riforma strutturale, penso che un atto di clemenza sarebbe giustificato e capito dall’opinione pubblica. Il fatto che pochi giorni fa, poche settimane fa, con l’equilibrio e la cautela che gli è propria, il presidente della Repubblica abbia accennato a questa possibilità, secondo me, è una cosa che dovrebbe fare riflettere”.

    Le posizioni "forcaiole" - è la conclusione alla quale vuole far arrivare il Rapporto - non contribuiscono dunque alla sicurezza del Paese.

    Ultimo aggiornamento: 24 ottobre

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    Politica e trasparenza. Mons. Bressan: servono dirigenti con nuovo codice di moralità

    ◊   "I cristiani contribuiscano a costruire una politica buona". S'intitola così la riflessione pubblicata, in questi giorni, sul sito dell'arcidiocesi di Milano. Di fronte alla corruzione dilagante e alle infiltrazioni mafiose la nota lancia l'allarme per una grave crisi del sistema politico e sociale italiano. Fabio Colagrande ne ha parlato con l'autore dell'articolo, mons. Luca Bressan, vicario dell’arcidiocesi di Milano per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale:

    R. – Ultimamente, quando si ascoltano le notizie o quando si leggono i giornali, non ci si stupisce più del fatto che la politica è sempre più utilizzata per raggiungere l’interesse di pochi o per raggiungere interessi personali. Tutti hanno dimenticato che, invece, il film della politica è quello di aiutare il buongoverno, di aiutare il legame sociale a svolgere la sua mansione, cioè quella di difendere il bene comune, di custodirlo e di permettere quindi a tutti gli uomini – soprattutto ai più deboli – di vivere una vita dignitosa e di essere considerati uomini.

    D. – Si può dunque parlare di indebolimento del codice di moralità dei singoli attori della politica?

    R. – Sicuramente. L’indebolimento del codice di moralità è sotto gli occhi di tutti. Quello che noi vediamo – continuando questo Osservatorio e continuando il nostro esercizio di discernimento – è che l’indebolimento del codice di moralità è in realtà la conseguenza di una crisi più grave, che è la crisi della percezione che si ha come classe politica, come attori del sociale dell’importanza del legame sociale tra di noi, ovvero della capacità di sentirci responsabili del bene di tutti.

    D. – Nella sua analisi c’è una descrizione interessante del mondo politico, che è diventato ormai un mondo a parte: autoreferenziale, sempre meno soggetto a regole e controlli. Questa è una diagnosi interessante…

    R. – Purtroppo, questo lo si vede ed è la conseguenza del “tutto lecito” e del fatto che, in un mondo sempre più globalizzato, anche la politica richiede tanta competenza e quindi è giusto che ci siano dei professionisti che vengano preparati per svolgerla. Il risultato, però, che si è creato – e che non era voluto da nessuno – è che questi professionisti, a un certo punto, si sono emancipati ed effettivamente non rispondono più a nessuno del loro operato e soprattutto non intuiscono che il loro operato può generare conseguenze politiche negative sulla vita degli altri, anzi non si preoccupano di queste conseguenze.

    D. – Non si riconoscono affatto il bene comune e i valori della persona come fondamento della società…

    R. – Non vengono considerati questi valori, come anche il presupposto a partire dal quale immaginare la propria presenza e la propria azione. Senza voler ricorrere a citazioni di singoli episodi, però tutti vediamo come, anche in questi mesi di crisi, a volte la classe politica abbia fatto fatica a mostrare segni di responsabilità nell’affrontarla. Anche la presenza stessa di un governo tecnico sta a dire che, effettivamente, la classe politica in sé fatica a trovare le energie per confrontarsi in modo adulto alla gravità della situazione.

    D. – Quale deve essere di fronte a questa situazione il ruolo delle istituzioni ecclesiali, secondo lei?

    R. – Il ruolo delle istituzioni ecclesiali deve partire da lontano, deve tornare a ricostruire dalla base quel senso politico che si vive anzitutto nella vita quotidiana, nel quartiere, nella parrocchia, per far capire che il bene di tutti è responsabilità di ognuno di noi: nessuno può esimersi da questa responsabilità. E partendo da lì, chiedere a qualcuno di prepararsi: ma di prepararsi in un modo anche moralmente degno, così da essere capaci – una volta diventato competente della politica – di ricordarsi il motivo per cui lo è diventato e ricordarsi anche i valori verso i quali è chiamato a svolgere la sua mansione, quei valori che devono diventare il criterio fondamentale di riferimento per la sua azione.

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    Convegno a Roma: Africa e "donne rurali" protagoniste di sviluppo nel continente

    ◊   L'Africa non raggiungerà la propria sicurezza alimentare, senza un'adeguata affermazione del ruolo delle donne nel settore agricolo. E' la conclusione di un gruppo di esperti africanisti ed esponenti della cooperazione internazionale, riuniti a Roma per iniziativa del Ministero degli Esteri italiano - Direzione generale per la Cooperazione allo Sviluppo - e dell'Istituto Agronomico per l'Oltremare. Sui lavori del Convegno, dal titolo "Relazioni di genere, soggettività e sicurezza alimentare in ambiente rurale: cosa è cambiato e cosa deve cambiare in Africa Sub-sahariana, il servizio di Silvia Koch:

    Da soggetti vulnerabili a “protagoniste dello sviluppo rurale”: è il nuovo ruolo riconosciuto alle donne africane, responsabili dell’80% del lavoro agricolo. E la produzione alimentare potrebbe aumentare del 20% - prospettiva vitale per un continente che in molte regioni soffre ancora la fame - se le donne avessero meno ostacoli da superare, soprattutto in termini di accesso sulle terre, e partecipazione ai processi decisionali. Con l’aiuto di operatori agricoli provenienti da Mozambico, Senegal e Burkina Faso, ricercatori africanisti ed esponenti della Cooperazione internazionale si interrogano oggi sui punti deboli del mondo rurale africano, che ne rallentano lo sviluppo e che impediscono una piena affermazione delle donne nelle attività agricole, nel tentativo di tracciare alcune linee guida per i protagonisti della politica e dei mercati internazionali. Anche nelle economie africane “in crescita”, si continua a registrare povertà diffusa nella popolazione: è necessario quindi ripensare le politiche di sviluppo future, che devono assolutamente focalizzare sulla promozione della popolazione femminile. Anche la regolamentazione dell’investimento privato nel settore agricolo diventa fondamentale, soprattutto alla luce del nuovo approccio di parte della cooperazione, che tende a inseguire forme di profitto, ispirandosi al paradigma "sociale = conveniente". La signora Binta Sarr, di un’Associazione senegalese per la promozione della donna, spiega l’importanza di coinvolgere le popolazioni locali in tutti i progetti di sviluppo e negli accordi economici tra imprese:

    R. – Si le multinationales interviennent dans une perspective...
    Se le multinazionali intervengono nel Paese, in una prospettiva di governo democratica e, dunque, negoziando alla presenza delle popolazioni locali i loro interventi e i loro investimenti economici, allora certo che ci può essere una partecipazione della popolazione e un beneficio. Ma se le negoziazioni vengono fatte in assenza della popolazione, solamente con lo Stato, questo ovviamente priva della necessaria partecipazione, quindi della trasparenza e delle possibilità di sviluppo della popolazione.

    D. – Come si può promuovere l’accesso delle donne alla terra e una loro partecipazione nel controllo delle terre?

    R. - Je pense que c'est un processus...
    Io penso sia un processo molto lungo, soprattutto in un contesto rurale. Queste continue battaglie vanno combattute attraverso il rafforzamento delle capacità delle donne, quindi di informazione e formazione delle donne sui loro diritti, in modo che possano far sentire la propria voce attraverso le attività di lobby.


    Le donne si sono mobilitate – conclude la sig.ra Sarr – il processo di emancipazione è attivato: ora bisogna solo garantire loro gli strumenti essenziali, ovvero istruzione di base, controllo sulle terre e sulle altre risorse produttive.

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    Roma. Alla veglia missionaria, il cardinale Vallini invia due famiglie in Cina e Sudafrica

    ◊   “Essere missionari non è un impegno solo di alcuni generosi uomini e donne, ma deve essere di tutti, perché si è cristiani veri solo se si è testimoni.” Con queste parole, ieri sera a Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il cardinale vicario, Agostino Vallini, ha aperto la veglia missionaria. Durante la liturgia, è stato consegnato il mandato missionario a tre religiose dirette in Camerun e a Timor est, a un sacerdote che andrà in Iraq e a due famiglie che partiranno per la Cina e per il Sudafrica. Il servizio di Marina Tomarro:

    “Annunziare il Vangelo a tutti, con coraggio, fino al rischio della vita. San Paolo ci ha ricordato che siamo “vasi di creta”, ma fidando della grazia di Gesù Risorto, possediamo un tesoro di straordinaria potenza, che ci permette di trasmettere la Parola che salva.” Così, ieri sera, il cardinale vicario, Agostino Vallini, ha salutato i nuovi missionari che ieri sera hanno ricevuto il mandato. “Siamo felici che voi - ha continuato il porporato - ascoltando la voce del Signore, con coraggio e fiducia partiate per diventare annunciatori della buona novella. Siate benedetti. E sentitevi accompagnati dal nostro affetto e dalla nostra preghiera”. Tra loro, anche due giovani sposi Marco e Marta in partenza per il Sud Africa:

    R. - Non vogliamo andare là con tanti progetti, ma veramente giorno per giorno seguire Gesù Cristo e dire questo "sì" tutti i giorni. La missione inizia già vedendo una famiglia che è disposta a lasciare tutto e questo pone un interrogativo alle persone. Già dare questa testimonianza è tanto ed è sicuramente importante.

    D. – Qual è la cosa più difficile da lasciare qui in Italia?

    R. – Umanamente tutto è difficile: il lavoro, la famiglia, gli affetti, gli amici… Ma diventa tutto leggero se si pensa che si sta facendo tutto questo per il Cielo. Se portiamo Cristo, Lui riempirà tutti i vuoti che umanamente si possono creare partendo, con la certezza che andiamo pieni di gioia.

    Alla celebrazione era presente anche l’arcivescovo di Abuja, mons. John Olorunfemi Onaiyekan, prossimo nuovo cardinale, che ha raccontato la convivenza non sempre facile tra musulmani e cattolici nel suo Paese. Ascoltiamo la sua testimonianza:

    R. - Se io vivo la mia vita cristiana, faccio amicizia con loro, cerchiamo di trovare tra i valori cristiani anche nelle cose che abbiamo in comune, come per esempio l’amore di Dio, l’importanza della preghiera, del sacrificio, l’onestà nella vita. Quando cominciamo a parlare in questo senso - non solo a parlare ma ad agire in questo senso - ci prendiamo per mano con i musulmani e lavoriamo insieme per il Regno di Dio. Secondo me, anche questa è evangelizzazione autentica.

    D. – Perché, secondo lei, sono avvenuti questi terribili attentati in Nigeria?

    R. – Perché prima c’è il mistero del male. Poi, in tutta la storia dell’uomo ci sono sempre stati pazzi che uccidono con convinzione. Soltanto che, in questi casi, dicono di farlo nel nome di Dio, il che è terribile.

    D. – Ha notato se i cristiani hanno paura adesso ad andare in Chiesa?

    R. – Il cristiano non deve aspettare che la vita sia comoda per praticare la fede. La nostra fede cristiana non è cominciata come un affare di comodità e anche quando ci sono contraddizioni e opposizioni questo è normale. Infatti, il Vangelo ci ha detto: quando ci portano davanti al tribunale quella sarebbe l’occasione di testimoniare il Vangelo. Non può essere sempre comodo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: un prete greco ortodosso rapito a Damasco

    ◊   Il sacerdote greco ortodosso padre Fadi Jamil Haddad, parroco della chiesa di Sant’Elia a Qatana, sobborgo di Damasco, è stato rapito da un gruppo armato non identificato. Secondo informazioni pervenute all'agenzia Fides, i sequestratori, che tre giorni fa hanno prelevato con lui altri due uomini, hanno chiesto alla famiglia del prete e alla sua chiesa un riscatto di 50 milioni di sterline siriane (oltre 550mila euro). La comunità cristiana greco ortodossa è fortemente preoccupata per la sorte del sacerdote e degli atri due rapiti. Secondo quanto riferito a Fides da membri della comunità greco ortodossa a Damasco, questa mattina gruppi armati nella galassia dell’opposizione siriana hanno lanciato colpi di mortaio sul villaggio cristiano di Kafarbohom, nei pressi di Hama, luogo di nascita del Patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Ignatius IV Hazim, uccidendo due persone e ferendone altre due. Un gruppo armato è entrato nel villaggio e ha rapito 20 donne chiedendo alle loro famiglie un riscatto di 10 milioni di sterline siriane (circa 150mila euro), con la minaccia di ucciderle tutte. Secondo fonti di Fides, tali episodi confermano che in questa fase del conflitto le comunità cristiane sono sotto pressione, per diverse ragioni: perché sono sempre meno coinvolte nelle file dei ribelli armati; per vendette private; o anche per semplici motivi di speculazione e ricerca di denaro da parte delle bande armate presenti sul territorio. Fra le diverse comunità cristiane presenti in Siria, quella greco-ortodossa è la più ampia (conta circa 500mila fedeli) ed è concentrata principalmente nella parte occidentale del Paese e a Damasco. (R.P.)

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    Francia: manifestazioni contro il progetto di legge "matrimonio per tutti"

    ◊   Francia in fermento per il progetto di legge che apre il diritto al matrimonio e all’adozione alle coppie omossessuali e che sarà presentato il 7 novembre al Consiglio dei ministri. Ieri si sono svolte in 75 città del Paese (Parigi, Lione, Lille, Strasburgo, Digione) manifestazioni contro il progetto di legge. È in questo contesto - riferisce l'agenzia Sir - che, dal 3 all’8 novembre, si svolgerà l’Assemblea plenaria dei vescovi francesi a Lourdes; nel delineare ai giornalisti le questioni che verranno affrontate, mons. Bernard Podvin, portavoce della Conferenza episcopale francese, ha detto che la prolusione del cardinale presidente André Vingt-Trois avrà “una tonalità politica forte”. Sebbene la Conferenza episcopale ha sempre mantenuto un certo riserbo nell’indire manifestazioni di piazza, in questi ultimi due mesi - dal momento cioè in cui all’inizio di settembre il ministro della Giustizia aveva annunciato le intenzioni del governo sul matrimonio gay - la Chiesa cattolica e i vescovi singolarmente hanno più volte espresso la loro opinione chiedendo di aprire su questo argomento “un vasto dibattito nazionale”. Ieri la Conferenza episcopale ha pubblicato sul suo sito una lunga serie di riflessioni dei vescovi sul progetto di legge. Nell’introdurli si precisa che l’esame del progetto da parte dei deputati francesi è previsto per metà dicembre ma potrebbe slittare a fine gennaio 2013. “Dietro a questa proposta - afferma mons. Yves Le Saux, vescovo di Le Mans - c’è la teoria del genere. Si cerca cioè di far passare l’idea secondo la quale la differenza sessuale non è di ordine biologico e non riguarda l’identità della persona, lasciando quindi a ciascuno la possibilità di scegliere il proprio orientamento sessuale indipendentemente dal sesso”. “Queste questioni - aggiunge - sono fondamentali e non possono dipendere da scelte superficiali…Non posso quindi che invitare tutti a riflettere, a mobilitarsi dando vita ad un dibattito serio, senza violenza, con carità e delicatezza”. Secondo mons. Hippolyte Simon, arcivescovo di Clermont-Ferrant e vice-presidente della Conferenza episcopale francese, “occorre chiedere al governo di precisare il modo con cui intende regolare le questioni amministrative, prima di procedere al voto della legge”. Perché se il progetto di legge che prevede la cancellazione di ogni riferimento ai termini “madre-padre” per un più generico “genitori”, dovesse passare, “occorrerà riscrivere numerosi articoli del codice civile. È impossibile - sostiene mons. Simon - lasciare ai giuristi il compito di regolare con dei semplici decreti applicativi una questione così decisiva per i figli, la paternità e la maternità, in una parola per l’identità stessa dell’individuo”. Mons. Laurent Ulrich, arcivescovo di Lille e vice-presidente della Conferenza episcopale, punta il dito sulla definizione che è stata data al progetto di legge, “un matrimonio per tutti”. “Resteranno sempre - afferma - delle situazioni a cui sarà impedito il matrimonio: uno zio e una nipote, un fratello e una sorella continueranno a vedersi impedito il matrimonio”. Ma è soprattutto la possibilità che la legge dà alle coppie omosessuali di accedere all’adozione, la parte che più viene reputata delicata. “Nel progetto di legge che sarà proposto - afferma infatti il vescovo di Lourdes, mons. Nicolas Brouwet - l’adozione non sarà più un mezzo per aiutare dei bambini, ma una maniera per istituzionalizzare un diritto al bambino, il che è radicalmente diverso”. Sempre a questo riguardo, il vescovo di Versailles, mons. Eric Aumonier fa notare che “occorre prima di tutto far valere il bene del bambino. È lui il primo soggetto da tutelare e non può passare dopo il desiderio, benché sincero, degli adulti a diventare genitori”. Le domande e le riflessioni sono tante - commenta da parte sua mons. Michel Dubost, vescovo di Evry-Corbeil secondo il quale è opportuno aprire sulla questione un vasto dibattitto a cui possono partecipare tutti, “psichiatri, psicologi, filosofi e studiosi, evitando però le visioni semplicistiche e pseudo-scientifiche e gli studi che avvalorano una sola tesi”. (R.P.)


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    Messaggio dei vescovi italiani per la Giornata della vita: ingiusto chiedere altri sacrifici alle famiglie

    ◊   “La logica del dono è la strada sulla quale si innesta il desiderio di generare la vita, l’anelito a fare famiglia in una prospettiva feconda, capace di andare all’origine - in contrasto con tendenze fuorvianti e demagogiche - della verità dell’esistere, dell’amare e del generare”. Lo si legge nel Messaggio del Consiglio episcopale permanente della Cei per la 35ª Giornata nazionale per la vita, che si celebrerà il 3 febbraio 2013. “Generare la vita vince la crisi” è il titolo del Messaggio. Per i vescovi italiani, “la disponibilità a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo: non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, bensì facendo forza sulla verità della persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in una situazione di crisi”. “Donare e generare la vita - sottolineano i presuli - significa scegliere la via di un futuro sostenibile per un’Italia che si rinnova: è questa una scelta impegnativa ma possibile, che richiede alla politica una gerarchia di interventi e la decisione chiara di investire risorse sulla persona e sulla famiglia, credendo ancora che la vita vince, anche la crisi”. La crisi del lavoro – afferma inoltre il messaggio - aggrava “la crisi della natalità e accresce il preoccupante squilibrio demografico che sta toccando il nostro Paese: il progressivo invecchiamento della popolazione priva la società dell’insostituibile patrimonio che i figli rappresentano, crea difficoltà relative al mantenimento di attività lavorative e imprenditoriali importanti per il territorio e paralizza il sorgere di nuove iniziative. A fronte di questa difficile situazione – scrivono i vescovi italiani - avvertiamo che non è né giusto né sufficiente richiedere ulteriori sacrifici alle famiglie che, al contrario, necessitano di politiche di sostegno, anche nella direzione di un deciso alleggerimento fiscale”. (R.P.)

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    600 milioni di bambine nel mondo sono vittime di violenza

    ◊   Dei 600 milioni di bambine adolescenti che vivono nei Paesi in via di sviluppo, molte continuano ad essere invisibili per le strutture e i programmi nazionali. Milioni di loro vivono in condizioni di povertà, vittime di discriminazione di genere e disuguaglianza, subiscono diverse forme di violenza, abuso e sfruttamento, tra queste lavoro minorile e matrimonio precoce. Quella dell’America Latina e Caraibi è l’unica regione dove in alcuni Paesi si registrano tassi di fertilità adolescenziale che, invece di diminuire, sono stabili o in aumento. Attualmente il tasso medio nella fascia di età tra 15 e 19 anni ogni 1000 nate è di 70,5. Molte rimangono incinta prematuramente, si dedicano alla crescita dei figli, si sposano o vivono con il loro compagno. La maggior parte proviene da zone rurali e povere, molte di loro sono vittime di violenza sessuale. Per alcune la gravidanza, il matrimonio o comunque l’unione di coppia, sono l’unica maniera per sopravvivere. Tutte queste bambine e adolescenti sono molto vulnerabili e la maggior parte lascia la scuola, limitando così la possibilità di trovare un lavoro, oltre che la loro autonomia, e diventando sempre più dipendenti dagli altri, spesso i loro stessi aguzzini. Il matrimonio infantile è un altro grave fenomeno che riguarda seriamente tante bambine. Secondo le ultime statistiche dell’Unicef, 70 milioni di giovani donne tra 20 e 24 anni, una su 3, si è sposata prima di aver compiuto 18 anni, e 23 milioni prima dei 15 anni. A livello mondiale 400 milioni di donne tra 20 e 49 anni si sono sposate da piccole. In Bolivia oltre 800 mila bambini e bambine da 5 a 17 anni lavorano al di sotto dei parametri della legislazione nazionale e internazionale, tra questi 364 mila sono bambine, la maggior parte coinvolte in lavori pericolosi. Oltre un milione di bambine fanno lavori domestici, esposte a rischi come fuoco, gas, sostanze chimiche, strumenti pericolosi. Le famiglie ancora preferiscono mandare i figli maschi a scuola e tenere a casa le femmine. Tra i motivi principali dell’abbandono scolastico ci sono anche le grandi distanze da casa a scuola, il bisogno di lavorare per problemi economici, la ritardata iscrizione, il lavoro domestico, e l’impegno con i bambini e le gravidanze. (R.P.)

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    Congo: si cerca un contatto affidabile per i tre religiosi rapiti nel Nord Kivu

    ◊   Ha chiesto il rilascio “senza condizioni” dei tre missionari rapiti lo scorso sabato nel Nord-Kivu, la Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco). In una nota firmata da mons. Nicolas Djomo, presidente della Cenco, si condanna il rapimento dei padri Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasinkundi e Edmond Bamutute e si chiede che vengano restituiti “sani e salvi al loro servizio pastorale e di assistenza della popolazione”. A lanciare un appello per la liberazione sono stati ieri anche i Padri sinodali riuniti a Città del Vaticano. Secondo fonti locali dell'agenzia Misna che preferiscono mantenere l’anonimato, presunti rapitori dei tre missionari si sono fatti vivi telefonicamente chiedendo il pagamento di un riscatto: si nutrono però dubbi sull’attendibilità della telefonata. “Ignoriamo ancora l’identità del gruppo responsabile del rapimento” ha detto ieri alla Misna mons. Melchisedech Paluku Sikuly, vescovo della diocesi di Butembo-Beni. “Purtroppo – ha aggiunto il prelato – ci sono tante milizie armate e bande di criminali che seminano violenza e instabilità nella nostra regione. A pagare il prezzo di esazioni e insicurezza sono come sempre i civili. Finora preti e religiosi erano stati risparmiati anche se lo scorso 26 settembre il vescovado della diocesi era stato attaccato”. I tre missionari, tutti di nazionalità congolese, fanno parte della congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione. Sono stati rapiti sabato alle 21 (ora locale) nel convento della parrocchia di Nostra Signora dei Poveri a Mbau, a una ventina di chilometri a nord dalla città di Beni, nella provincia del Nord-Kivu. (R.P.)

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    Myanmar: mille case incendiate, resta alta la tensione fra birmani e Rohingya

    ◊   Resta alta la tensione nello Stato di Rakhine, teatro di nuove violenze negli ultimi giorni fra la maggioranza buddista birmana e la minoranza musulmana Rohingya. Secondo gli ultimi dati forniti dalle autorità sarebbero oltre 600 le case incendiate negli scontri, anche se fonti non ufficiali parlano di oltre mille abitazioni date alle fiamme in almeno otto diversi villaggi. Resta confermato, di contro, il numero delle vittime: i morti sarebbero tre, di cui due donne musulmane appartenenti alla minoranza etnica e un birmano locale. Nella zona i funzionari di governo hanno imposto il coprifuoco dal tramonto all'alba; a dispetto dei proclami che parlano di una situazione di "relativa calma", il clima resta teso e vi è il rischio concreto di gravi incidenti fra le due fazioni, come avvenuto nei mesi scorsi. Fonti ufficiali riprese dall'agenzia AsiaNews parlano di "660 case bruciate" negli ultimi tre giorni, ma "non si sa quante appartengono ai Rakhine e quante ai Bengali". Tuttavia, in un articoli pubblicato dal giornale ufficiale New Light of Myanmar emerge che sono "1.039 sparse in otto villaggi" le abitazioni distrutte dal fuoco. Il fronte dello scontro continua ad allargarsi, con l'Oic (Organizzazione della Cooperazione Islamica) che vuole aprire una sede nello Stato di Rakhine per sostenere la minoranza musulmana, mentre i monaci buddisti scendono in piazza chiedendo la cacciata dei Rohinga dalla terra birmana. Negli ultimi giorni il presidente Thein Sein ha provato a giocare la carta della mediazione, sottolineando che la nazione "non ha scelta" se non quella di "accogliere gli aiuti" per la minoranza musulmana, altrimenti dovrà subire sanzioni dalla comunità internazionale. Egli ha inoltre aggiunto che fra le "soluzioni di lungo periodo" vi sono "istruzione e lavoro", i soli fattori che potranno portare "pace e armonia". A giugno la Corte distrettuale di Kyaukphyu, nello Stato di Rakhine ha condannato a morte tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione a fine maggio di Thida Htwe, giovane buddista Arakanese (Rakhine). Questa l'origine dei violenti scontri interconfessionali fra musulmani e buddisti. Nei giorni seguenti, una folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10, del tutto estranei al fatto di sangue. La spirale di odio ha causato la morte di altre 29 persone, di cui 16 musulmani e 13 buddisti. Secondo le fonti ufficiali sono andate in fiamme almeno 2600 abitazioni, mentre centinaia i profughi Rohingya hanno cercato rifugio all'estero. (R.P.)

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    Egitto: una tv per i cattolici per mostrare la ricchezza spirituale della Chiesa

    ◊   Il suo nome sarà “Salam”, che in arabo vuol dire “pace”. Vedrà la luce entro il 2013, ma la fase progettuale è già entrata nel vivo. Sarà la prima rete televisiva cattolica egiziana, voce catodica del pluriforme cattolicesimo che vive e opera nel grande Paese ora guidato politicamente dai Fratelli Musulmani. Il progetto era in incubazione da tempo. “Ma qui - spiega all'agenzia Fides il vescovo Adel Zaki, vicario apostolico di Alessandria - ci sono 7 riti cattolici. Per intenderci e organizzare tutto a nome della Chiesa cattolica nel suo complesso sono stati necessari un po' di tempo e di pazienza”. Le ultime perplessità sono state accantonate solo da poche settimane, quando mons. Zaki ha ottenuto dall'assemblea dei vescovi cattolici d'Egitto la delega a portare avanti il progetto a nome di tutta la compagine cattolica nazionale, a condizione di non pesare sui bilanci delle Chiese locali. La rete televisiva avrà una sede in affitto in un edificio del Cairo a ridosso dell'episcopio latino. Un'agenzia specializzata è stata incaricata di elaborare un progetto della futura Tv che ne evidenzi le finalità e i costi. Si prevede che per la fase iniziale sarà necessario disporre di un budget di 5 milioni di euro. “Ma il progetto in allestimento - spiega il vescovo Zaki - dovrà indicare anche i costi ordinari, una volta che l'iniziativa sarà entrata a regime. Solo presentando un piano dettagliato e sostenibile potremo rendere operativa anche la ricerca di finanziamenti”. Gli interlocutori principali per la raccolta di fondi sono le Conferenze episcopali di Italia, Germania e Stati Uniti, coi rispettivi organismi per il sostegno alle altre Chiese. Ma il vescovo Zaki conta soprattutto “sulla provvidenza del Signore, che certo metterà sulla nostra strada qualcuno disposto ad aiutarci. Ci sono già egiziani facoltosi che dagli Stati Uniti o dall’Australia si sono detti entusiasti del progetto, e hanno assicurato il loro sostegno”. Sono cominciati i primi incontri con operatori televisivi già attivi su altri network, per selezionare lo staff incaricato di far partire l'impresa. Si inizierà con l'emissione di trasmissioni per due ore al giorno, per poi allargare progressivamente il palinsesto. “Ovviamente - spiega il vicario apostolico di Alessandria - siamo partiti cercando collaboratori all'interno della nostra comunità, e speriamo di attivare presto sinergie con le emittenti cattoliche di altri Paesi. Ma il primo criterio nella selezione del personale sarà la competenza. Potranno essere coinvolti anche copti ortodossi e musulmani”. Se molti dettagli operativi e finanziari del progetto appaiono ancora da definire, sono ben chiare le sue motivazioni ideali: “Anche il Sinodo in corso a Roma” avverte il vescovo Zaki” ha riconosciuto che i media, volenti o nolenti, sono diventati uno strumento per far arrivare alle persone l'annuncio del Vangelo. In Egitto la nostra identità cattolica spesso non viene distinta da quelle dei copti ortodossi e dei protestanti, che dispongono di parecchi network mediatici. Nell'attuale situazione egiziana, ci sembra utile avere uno strumento per mostrare a tutti la ricchezza dello sguardo cattolico, anche sul terreno della dottrina sociale. É un piccolo sogno che vogliamo realizzare in tutta umiltà, come contributo all'unità dei cristiani e di tutti gli egiziani”. (R.P.)

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    India: la Chiesa chiede di aiutare i 400 mila profughi dell’Assam

    ◊   Serve "un aiuto economico" per "sostenere e riabilitare" le vittime delle violenze tra tribali Bodo e settlers musulmani, che a luglio hanno insanguinato l'Assam. Attraverso l'agenzia AsiaNews, mons. Thomas Pulloppilil, vescovo di Bongaigaon, lancia un appello a vescovi, superiori religiosi e uomini di buona volontà dell'India. "Le violenze - sottolinea il prelato - hanno causato 90 morti e più di 400mila profughi. È il più grande esodo interno mai avvenuto dopo l'indipendenza dell'India". Le rivolte sono esplose nella notte tra il 21 e il 22 luglio scorsi, quando uomini armati non identificati hanno ucciso quattro giovani nel distretto di Kokrajhar, area popolata da Bodo. Secondo le ricostruzioni della polizia, per vendetta alcuni tribali avrebbero attaccato dei musulmani, sospettandoli di essere i responsabili dell'uccisione. Le violenze sono esplose poi in modo incontrollabile, con gruppi diversi che hanno dato fuoco ad auto, case e scuole, sparando contro persone e in luoghi affollati. Mons. Pulloppilil racconta: "Ho visitato personalmente le aree colpite, perché appartengono alla mia diocesi. Attraverso i nostri gruppi diocesani - la Bongaigaon Gena Seva Society e l'Inter Church Peace Mission (Icpm) - e con l'aiuto di alcune Ong abbiamo portato riso, sale, cibo per bambini, zanzariere e utensili da cucina ai profughi". Inoltre, aggiunge, "abbiamo organizzato numerosi incontri tra leader Bodo e islamici, per cercare di ristabilire un rapporto pacifico". I gruppi di soccorso hanno prestato particolare attenzione alle cure igienico-sanitarie, per prevenire la diffusione di malattie. Per il momento, non tutti gli sfollati - sia tribali che musulmani - hanno trovato una sistemazione alternativa ai campi profughi. Secondo le informazioni disponibili, almeno 150mila persone affollano 163 tendopoli, nei distretti assamesi di Bongaigaon, Chirag, Kokrajhar e Dhubri. Oltre alla sopravvivenza quotidiana, una nuova minaccia si staglia all'orizzonte. "Ora che sta arrivando l'inverno - spiega il prelato - la vita nei campi diventerà molto, molto più difficile. I profughi hanno bisogno di coperte, lenzuola, abiti pesanti. C'è bisogno di case complete di tutti i servizi; strumenti agricoli; buoi per l'aratura; materiale scolastico per i bambini. Al momento, stiamo allestendo delle 'balwadis' (scuole materne) per permettere ai più piccoli di studiare". (R.P.)

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    Pakistan: un’altra ragazza sotto tiro dei talebani. I vescovi: cresce l’intolleranza

    ◊   Hina Khan è una adolescente minacciata dai talebani come Malala Yousafzai, la ragazza colpita da un attentato nella valle di Swat e oggi in ospedale nel Regno Unito. Anche Hina, 17enne musulmana, vive nella valle di Swat ed è attiva in una campagna per l’istruzione femminile da quando aveva 13 anni. Hina ha ricevuto una serie di avvertimenti e ha trovato una “X” rossa dipinta sulla porta principale della sua residenza a Islamabad. Secondo gli osservatori, è l’obiettivo n.1 nella lista dell’organizzazione “Tehrik-e-Taliban Pakistan” (Ttp), quella che ha colpito Malala. Oggi Hina non può uscire di casa, né andare a scuola e la sua famiglia ha chiesto la protezione del governo. Nel 2007 Hina aveva pubblicamente denunciato, con coraggio, la “talebanizzazione” del Pakistan: i militanti hanno demolito centinaia di scuole (400 solo nella valle di Swat) e privato dell’istruzione migliaia di ragazze. Secondo il Rapporto pubblicato dall’Unesco la scorsa settimana, oltre tre milioni di bambine in Pakistan non hanno accesso all’istruzione. “L'intolleranza è penetrata nel tessuto sociale poco a poco. Il Pakistan nel 2012 è diventato più intollerante, in realtà, rispetto a quanto mostrano i mass media pakistani”, commenta in una nota inviata a Fides, Peter Jacob, Segretario della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi pakistani. Jacob non ha troppa fiducia nell’azione politica: “Anche se la retorica politica è piena di sermoni su pace e armonia, nei piani alti della politica si crede che l’estremismo sia troppo difficile da affrontare. Inoltre i casi di blasfemia sono difficili da trattare, anche perché le elezioni sono dietro l'angolo”. “Questo significa – prosegue Jacob preoccupato – che i gruppi vulnerabili, come le minoranze, le donne e i bambini sono spacciati. L'intolleranza è penetrata nel tessuto sociale e ora è nutrita da un autentico sottosistema economico. A preoccupare è la crescente violenza contro le fasce più deboli, che resta impunita”. La speranza, secondo il Segretario, sta in quei segmenti della società civile pakistana che, al di là di ogni credo religioso, “resistono attivamente alla brutalizzazione della società”. (R.P.)

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    Pakistan: una donna su 89 e 500 neonati al giorno muoiono per malattie legate alla gravidanza

    ◊   In Pakistan una donna su 89 muore ogni giorno a causa di malattie collegate con la gravidanza oltre a 500 neonati che muoiono per la mancanza di assistenza sanitaria materna e neonatale adeguata (Mnh), in particolare nelle Aree tribali di amministrazione federale (Fata), Balochistan e Khyber Pakhtunkhwa. Questi dati - riferisce l'agenzia Fides - emergono da uno studio di valutazione condotto dalla SoSec Consulting Services in collaborazione con il Research and Advocacy Fund (Raf) per individuare le prestazioni dei servizi sanitari nelle zone più turbolente, soprattutto per quelli che vi hanno un accesso limitato o addirittura nessuno. Calamità naturali, situazioni economiche e politiche nelle aree tribali e in alcune parti del Balochistan e del Khyber Pakhtunkhwa, barriere sociali, mobilità delle donne molto limitata, mancanza di mezzi di trasporto, scarsa conoscenza dei servizi sanitari, spostamento di popolazioni, strutture sanitarie danneggiate, povertà, prezzi elevati dei servizi sanitari privati, sono le cause che determinano la mancanza di assistenza sanitaria materna e neonatale, contribuendo ad aumentare la mortalità. Per ridurre al minimo i decessi di donne e neonati occorre concentrare gli sforzi sul ripristino dell’assistenza e sul miglioramento della situazione dell’ordine pubblico in queste aree, per mitigare la sofferenza delle persone in difficoltà. (R.P.)

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    Tibet: nuova auto-immolazione, settima in un mese per protesta contro Pechino

    ◊   Un tibetano si è dato fuoco di fronte a una caserma della polizia, poco distante il celebre monastero di Labrang, nella provincia cinese di Gansu, ed è morto a causa delle ustioni riportate. Secondo fonti locali riprese dall'agenzia AsiaNews, citate da Radio Free Asia (Rfa), il gesto estremo si è consumato ieri pomeriggio verso le 3.30 ora locale, ed è la settima persona a darsi fuoco in questo mese per protestare contro il dominio di Pechino nella regione. Dorje Rinchen, 58 anni, ha deciso di uccidersi nella via principale di Labrang, nei pressi dell'omonimo monastero, molto noto nel Tibet orientale per la propria opposizione alle politiche cinesi. I monaci di Labrang sono famosi per aver messo in atto una protesta anti-Pechino nel 2008, durante la visita di un gruppo di giornalisti occidentali. Nella cittadina di Labrang, Prefettura tibetana di Kalho, è ancora alta la tensione, con le forze di sicurezza cinesi intente a presidiare strade e luoghi di ritrovo. Nelle fasi successive all'auto-immolazione la polizia ha cercato di sequestrare in tutta fretta il corpo, incontrando l'opposizione della cittadinanza. I tibetani si sono scontrati con gli agenti, riuscendo infine a prelevare il cadavere di Dorje Rinchen e a riportarlo presso la sua abitazione. Nel frattempo le forze di sicurezza cinesi hanno sbarrato il passaggio ai monaci di Labrang, che si stavano recando nella casa della vittima per renderge l'ultimo saluto. In risposta, i religiosi buddisti - assieme a un gruppo di abitanti della zona - hanno recitato preghiere e inni per la strada, poco lontano l'abitazione dell'uomo protetta da un rigido cordone di polizia. L'auto-immolazione di ieri è la terza negli ultimi giorni nella provincia cinese di Gansu e la settima nel solo mese di ottobre in tutta la Regione autonoma tibetana. Il totale dei roghi sale così a 58 dal febbraio 2009, quando sono iniziate le proteste contro quello che viene definito "imperialismo" di Pechino nell'area, per una piena libertà religiosa e per chiedere il ritorno del leader spirituale dei tibetani, il Dalai Lama. Per arginare il dramma di monaci e gente comune che decide di darsi fuoco, la comunità tibetana in esilio ha deciso di riunirsi in seduta plenaria a fine settembre, per la prima volta in quattro anni, per proporre una nuova politica che possa fermare questa serie di suicidi. Oltre 400 tibetani da tutto il mondo - delegati eletti nelle varie comunità della diaspora - si sono riuniti a Dharamsala, sede del governo del Dalai Lama sin dalla fuga da Lhasa. Invece di adottare una politica conciliatoria, il Partito comunista cinese in Tibet ha aumentato il livello di repressione. I monasteri della regione sono blindati e guardati a vista dalla polizia speciale, le lezioni di lingua tibetana sono proibite, la pratica religiosa è di fatto impedita. Il Partito è arrivato a proibire le auto-immolazioni "pena una condanna in carcere di 5 anni". Il Dalai Lama, leader spirituale della comunità, ha detto più volte di "comprendere" i motivi che spingono al sacrificio, ma ha chiesto ai suoi fedeli di "non sprecare" le proprie vite. (R.P.)

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    Panama: mons. Ulloa invita alla calma dopo i disordini a Colon

    ◊   L'arcivescovo metropolita di Panama, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, che sta partecipando all’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi in Vaticano, ha inviato un messaggio al popolo panamense, in seguito ai tragici eventi accaduti nei giorni scorsi nella città di Colon. "Da Roma, abbiamo seguito con grande preoccupazione i recenti avvenimenti vissuti nella città di Colon. Pertanto ribadiamo l'invito al dialogo fatto da mons. Audilio Aguilar, vescovo della diocesi di Colón-Kuna Yala. Riteniamo che, in questo momento, il modo per risolvere il problema sia il dialogo, condotto con tolleranza e rispetto, in cui tutti noi possiamo deporre i nostri interessi personali e pensare soprattutto al bene comune di tutti i panamensi e, in questo momento, in particolare al bene comune di tutti i colonensi. Ripetiamo: non c'è un mezzo più efficace per risolvere i problemi che il dialogo. Quindi chiediamo a Dio che in questo momento dia a tutti la luce di cui abbiamo bisogno, e per poter così vedere tornare prontamente la pace e la tranquillità nella nostra amata città di Colon". Dopo i disordini del 19 ottobre, che hanno causato la morte di un bambino - riferisce l'agenzia Fides - una ventina di feriti e molti arresti, le violenze sono continuate anche lunedì scorso in diversi punti della città di Colon, dove era in corso uno sciopero generale contro l'approvazione della legge che consente la vendita dei terreni nella Zlc (Zona Libera di Colón), la principale di tutta l’America. Purtroppo le ultime agenzie informano di una donna morta per un colpo di arma da fuoco e di un centinaio di fermati. Il Presidente di Panama si è mostrato disponibile a riconsiderare la legge contestata. Dal canto suo il vescovo Audillo Aguilar Aguilar, aveva proposto alcuni elementi di riflessione sulla situazione. Il documento ha la data del 18 ottobre, ma solo adesso i media lo stanno citando come la voce della Chiesa, presente nella questione fin dall'inizio. "Dinanzi al progetto di legge 529 che riforma quello n. 18 del 1948, - scrive il vescovo - vogliamo manifestare quanto segue: 1. La città di Colon ha contribuito al Paese non solo con la Zlc ma con i profitti dei porti, con il Canale di Panama e la ferrovia Interoceanica. 2. La popolazione di Colon soffre la povertà, la mancanza di Centri di pubblica istruzione, la mancanza di Centri di assistenza sanitaria, la mancanza dell'acqua potabile; c'è il problema delle abitazioni e della disoccupazione, quindi non si può sacrificare solo la città di Colon dinanzi alla crisi del Paese. Lo Stato ha l'obbligo di gestire le risorse di tutti per il bene di tutti. 3. Invitiamo i cittadini di Colon a lavorare per migliorare la qualità della vita e a rispettare la dignità umana, in modo di lavorare insieme per uno sviluppo integrale. 4. Facciamo appello a tutti al dialogo - conclude il vescovo - per evitare così la violenza, che va solo contro persone innocenti”. (R.P.)

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    India: pubblicato il volume su "La Chiesa e i diritti umani”

    ◊   La seconda edizione del volume “La Chiesa e i diritti umani” ristampata nel 2011 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è ora disponibile anche per il pubblico indiano. Il volume – riferisce l’agenzia Ucan - è stato presentato nei giorni scorsi durante una consultazione che ha visto riuniti a Trichy i segretari delle Commissioni giustizia e pace delle diocesi del Tamil Nadu. All’incontro, organizzato in collaborazione con il “Tamil Nadu Social Service Society”, è intervenuto mons. Yvon Ambrose, presidente del’Ufficio giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale indiana (Ojdp) che ha spiegato di avere ottenuto l’autorizzazione alla ristampa dal Pontificio Consiglio Giustizia e pace “per incoraggiare il popolo di Dio in India ad un impegno coordinato e concreto per la promozione e la difesa dei diritti umani”. Nella lettera che autorizza la pubblicazione in India, il Segretario del dicastero vaticano, mons. Mario Toso, ha espresso l’auspicio che “il documento, possa suscitare nei lettori indiani un rinnovato zelo per la causa dei diritti umani e anche per quella della giustizia e della pace”. “La Chiesa e i diritti umani” è stato pubblicato per la prima volta nel 1975 da quella che era allora la Pontificia Commissione “Iustitia et Pax”, in occasione del 25° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo firmata nel 1948. La ristampa in versione elettronica è stata voluta per dare la possibilità a tutti gli studiosi e a coloro che si occupano di diritti umani di poter accedere a questo importante strumento di studio e di riflessione, che non è più disponibile in formato cartaceo. Come spiega la premessa della seconda edizione, scopo della pubblicazione è di essere “non una guida ufficiale” né di “delineare il lavoro” delle Commissioni Nazionali della giustizia e della pace. Esso è piuttosto un punto di partenza, uno stimolo alla ricerca. Esso vuole aiutare le stesse Commissioni Nazionali nel lavoro che hanno già intrapreso per “portare i cristiani ad una maggiore consapevolezza” e a un maggiore impegno nella promozione dei diritti fondamentali della persona umana nella società, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. (L.Z.)

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    Riunito il Gran Magistero dell'Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme

    ◊   Il cardinale Edwin Frederick O’ Brien, che domani prenderà possesso del titolo diaconale di san Sebastiano al Palatino, ha annunciato che nell’ultima settimana di novembre, come Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, si recherà nella Città Santa proprio per la solenne entrata nella basilica del Santo Sepolcro. “Un evento che mette in evidenza la considerazione e il rispetto che i cristiani di Terra Santa manifestano per il nostro Ordine” ha sottolineato il Governatore generale Agostino Borromeo nella sessione in corso a Roma del Gran Magistero chiamato a spronare la vita spirituale dei 30mila cavalieri e dame di ogni parte del mondo, e a coordinare il loro generoso sostegno per i cristiani di Terra Santa, in particolare per il Patriarcato Latino, le sue scuole, istituzioni e attività. Quest’anno la raccolta dei fondi, nonostante la crisi, sembra conseguire risultati similari a quelli degli anni passati, di oltre dieci milioni di euro. Il 2013 sarà un anno molto intenso per la riunione quinquennale della Consulta (l’assise dei luogotenenti e delegati magistrali dell’istituzione) e per lo svolgimento del pellegrinaggio internazionale nel quadro dell’Anno della Fede. Prosegue intanto il processo di espansione geografica dell’Ordine. Lo scorso settembre si è svolta la prima investitura della Delegazione Magistrale di Guam, con l’ingresso di 19 nuovi membri. In Brasile sono state riorganizzate le articolazioni territoriali operanti a Sao Salvador de Bahia, Rio de Janeiro e Sao Paulo. Nel marzo prossimo sarà celebrata la prima investitura della Luogotenenza del Venezuela e della Delegazione Magistrale di Lettonia. E il Gran Maestro, in un colloquio a margine del Sinodo dei vescovi con l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco cattolica di Ucraina Sviatoslav Shevschuk, ha gettato le basi per l'erezione di una Delegazione Magistrale in quel Paese, destinata a raccogliere tanto i fedeli di rito greco quanto quelli di rito latino. (A cura di Graziano Motta)

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    Mons. Williamson espulso dalla Fraternità San Pio X

    ◊   La Fraternità San Pio X, fondata nel 1979 da mons. Marcel Lefebvre, annuncia in una nota che mons. Richard Williamson è stato dichiarato espulso per decisione del superiore generale. Mons. Williamson – si legge nel documento – ha “preso le distanze dalla direzione e dal governo della Fraternità sacerdotale San Pio X da diversi anni” e ha rifiutato “di manifestare il rispetto e l'obbedienza dovute ai suoi superiori legittimi”. Questa decisione dolorosa – si sottolinea nella nota - si è resa necessarie per la preoccupazione del bene comune della Fraternità San Pio X e del suo buon governo”. Richard Williamson è il vescovo negazionista che in un’intervista televisiva del 2008 aveva detto di non credere all’esistenza delle camere a gas naziste.


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 298

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.