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Sommario del 22/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Sinodo lavora alle proposizioni finali. Mons. Gadecki: servono catechesi per adulti
  • Sinodo. Padre Tasca: il Vangelo passi attraverso tutti i mass media
  • Udienze e rinuncia
  • La missione in Siria di rappresentanti della Santa Sede e del Sinodo si prepara a partire al più presto
  • Memoria del Beato Karol Wojtyla, il Papa della Nuova Evangelizzazione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: infuria la guerra a Damasco e Aleppo. Sparatoria al confine con la Giordania
  • Militari in Libano: momento decisivo. Sleiman riflette sull’esecutivo Miqati
  • Congo: nessuna notizia sui missionari rapiti. L'impegno della Caritas nel Kivu
  • Mons. Valentinetti: poca informazione su rischi di estrazione idrocarburi in Abruzzo e Molise
  • Napoli, fiaccolata anticamorra. Don Patriciello: la gente non si arrende alla criminalità
  • "Todi 2". Olivero: Italia ha bisogno di una trasformazione profonda
  • Danni ingenti al Santuario di Lourdes ma mercoledì la Grotta sarà riaperta ai pellegrini
  • Abbazia di San Galgano, Convegno su temi religiosi e informazione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: domande, paure e preghiere dei cristiani dopo la strage a Damasco
  • Filippine: il Paese si è fermato per festeggiare il nuovo Santo Pedro Calungsod
  • Orp: iniziative per i pellegrini che giungeranno a Roma per l'Anno della Fede
  • Aperto a Dubai il Forum mondiale dell’energia. Parola chiave: sostenibilità
  • Mali: i ribelli del Nord si preparano alla guerra. Il Presidente Traoré in Qatar
  • Guinea Bissau: per l'assalto alla caserma, accuse al Portogallo
  • Panama: la Chiesa chiede pace e dialogo dopo la morte di un bimbo negli scontri a Colón
  • Cile: 100 mila giovani al pellegrinaggio di Santa Teresa de Los Andes
  • Colombia: i Gesuiti appoggiano i negoziati di pace
  • Vietnam: pellegrinaggi e iniziative sociali per l’Anno della Fede
  • Cina: l'Anno della Fede ad Hai Men nel segno del Sacramento della Cresima
  • Filippine: l'impegno delle suore per 600 disabili
  • Sinodo anglicano: ordinazione delle donne vescovo ed il saluto a Rowan Williams
  • Roma. Le reliquie di Papa Wojtyla e Padre Pio accolte al Policlinico Umberto I
  • Strasburgo: il 2013 sarà proclamato "Anno dei cittadini"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Sinodo lavora alle proposizioni finali. Mons. Gadecki: servono catechesi per adulti

    ◊   Lavori a porte chiuse, oggi, al Sinodo sulla nuova evangelizzazione, in corso in Vaticano. In programma, l’unificazione delle proposizioni finali da parte del relatore generale e del segretario speciale. L’elenco unico, in versione provvisoria, verrà poi presentato domattina. Nei giorni scorsi, intanto, si è ribadito che la nuova evangelizzazione deve guardare anche agli adulti, spesso dimentichi del loro ruolo educativo e di testimoni della fede nei confronti delle giovani generazioni. In particolare, la Chiesa in Polonia ha presentato l’esperienza di una scuola di catechesi per adulti rivolta ad evangelizzatori laici. Ne parla al microfono di Paolo Ondarza, l’arcivescovo di Poznan, mons. Stanislaw Gadecki:

    R. – Finora ci siamo preoccupati di fornire la catechesi ai bambini e ai giovani, senza pensare ad una catechesi per gli adulti. I frutti e lo sviluppo della catechesi dei bambini però, dipendono proprio dagli adulti che con il loro comportamento, spesso lontano dalla fede, distruggono quanto seminato nei ragazzi. La trasmissione della fede e dei suoi contenuti tramite la testimonianza, se non avviene da parte degli adulti, rischia di svanire.

    D. - I genitori stanno disertando il loro ruolo educativo?

    R. - Questa è una triste realtà che dobbiamo constatare. Tanto più ai nostri giorni in cui gli adulti vivono una situazione abbastanza penosa, costretti a lavorare non otto, ma da 12 o anche 14 ore al giorno, quindi, arrivano a casa di sera stanchi e non hanno tempo da dedicare ai bambini. Questi ultimi rimangono soli, nel pomeriggio non hanno la vicinanza dei genitori e trascorrono l’intera giornata su internet.

    D. - Per sopperire a questa mancanza di catechesi per gli adulti, voi presentate l’esperienza di una scuola di catechisti laici, che vengono proprio formati per trasmettere a loro volta la fede agli adulti …

    R. - Abbiamo creato una scuola appositamente, perché non ci si può improvvisare catechisti, testimoni, senza una preparazione. Questa esperienza della scuola di catechesi ci ha rivelato che il linguaggio dei laici nella trasmissione della fede agli adulti è molto più persuasivo del linguaggio dei sacerdoti.

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    Sinodo. Padre Tasca: il Vangelo passi attraverso tutti i mass media

    ◊   I mass media e i nuovi media siano strumenti della nuova evangelizzazione. Lo chiedono i Padri sinodali. Ma perché internet, tv e radio siano veicoli di trasmissione del Vangelo è necessario che gli operatori della comunicazione sociale abbiano una chiara identità cristiana. E’ quanto sostiene padre Marco Tasca, ministro generale dell'Ordine Francescano dei Frati Minori Conventuali, presente al Sinodo. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. - Credo che sia proprio uno dei più grandi strumenti che il Signore ci ha dato in questi tempi. Credo che la cosa più importante sia usarli con un’identità e avere una chiara identità cristiana cattolica per poter evangelizzare. Sono degli strumenti che ci permettono di avvicinare tutti: tutti quelli che ascoltano la radio, la tv, internet, smartphone o altri mezzi … sono tutti strumenti buoni.

    D. - Che cosa distingue un comunicatore cattolico da un comunicatore in senso generale?

    R. - Credo che sia proprio questo che ci differenzia, l’avere dentro di noi la passione per il Signore Gesù, per il suo Regno, l’essere convinti che abbiamo una bella notizia da dare, una cosa bella per la gente, per una vita piena, realizzata, una vita felice, una vita in cui si può dire: “La mia vita è bella. Sono felice di viverla con il Signore Gesù, e vivere secondo il Vangelo”.

    D. - I mezzi di comunicazione di massa sono capaci di trasmettere contenuti importanti, profondi, come sono quelli del Vangelo?

    R. - Io sono perfettamente convinto di sì. Dipende da come noi li usiamo, da che contenuti diamo, da quale stile utilizziamo.

    D. – Oggi, i fruitori dei mezzi di comunicazione di massa attendono qualcosa di particolare dal mondo cattolico?

    R. - Io sono perfettamente convinto di sì. Basta pensare in Italia quale audience registrano alcune radio cattoliche. La gente sta cercando una parola vera; una parola che rifletta sulle cose serie della vita. Che senso ha la mia vita? Dove voglio andare? Da dove vengo? Che senso ha il dolore? Che senso ha la morte? Che senso ha l’amore? La gente sta cercando risposte a queste domande, forse lo fa in modo strano, non così chiaro, non così esplicito, ma sono domande che ogni uomo e ogni donna hanno nel loro cuore. E quindi, quanto è bello che noi possiamo dare dei tentativi di risposta a questi interrogativi!

    D. – Quindi, la sfida è quella di andare oltre il livello epidermico, emotivo, che talvolta caratterizza un po’ il fare informazione?

    R. - Certo. Sono perfettamente d’accordo con questo. Noi non dobbiamo copiare il modo di fare la comunicazione che il mondo utilizza; non è nostro. È proprio questo che noi vogliamo approfondire: le domande che oggi si pone l’uomo, affinché possa cogliere le risposte che il Vangelo e la Chiesa danno.

    D. - C’è anche un interessante passaggio del suo contributo in aula: “se il mondo dei media è per definizione ‘massificante’, la prospettiva cristiana che deve operare in essi è quella che conduce la persona a cogliere la sua singolarità…”

    R. - … la persona con tutto quello che è. E noi siamo chiamati a stare attenti a quella persona, in quella situazione, con quella storia, con quelle domande, con quelle fatiche. È questa la sfida enorme che oggi abbiamo noi come cristiani: l’essere attenti con strumenti che sono “massificanti”, essere attenti a quella persona, ascoltarla. Questa è la sfida che siamo chiamati a prendere in mano e a portare avanti.

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    Udienze e rinuncia

    ◊   Il Papa ha ricevuto stamani in successive udienze il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e il cardinale Giuseppe Bertello, Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

    In Ecuador, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Machala, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Luis Antonio Sánchez Armijos, S.D.B., in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto canonico.

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    La missione in Siria di rappresentanti della Santa Sede e del Sinodo si prepara a partire al più presto

    ◊   “L’annunciata missione in Siria di rappresentanti della Santa Sede e del Sinodo dei Vescovi continua a essere allo studio e in preparazione, al fine di attuarla quanto prima possibile”: è quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, interpellato dai giornalisti. La missione – ha ricordato il portavoce vaticano - vuole “rispondere efficacemente alle finalità proposte di solidarietà, pace e riconciliazione, nonostante i gravissimi fatti avvenuti recentemente nella regione”.

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    Memoria del Beato Karol Wojtyla, il Papa della Nuova Evangelizzazione

    ◊   La Chiesa è oggi in festa per la memoria liturgica del Beato Karol Wojtyla. Lo straordinario Pontificato di Giovanni Paolo II si è caratterizzato, tra l'altro, per l’ardore nell’impegno della nuova evangelizzazione. Anzi, è stato proprio il Papa polacco a coniare il termine “nuova evangelizzazione” già nel lontano 1979, nel suo primo viaggio apostolico in Polonia. Per questo, il suo Magistero è fonte ricchissima per i vescovi di tutto il mondo che, in questi giorni, sono riuniti in Vaticano per il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Nel servizio di Alessandro Gisotti, riproponiamo alcuni pensieri di Karol Wojtyla sulla grande sfida che la Chiesa affronta oggi nei Paesi di antica tradizione cristiana:

    “Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione”: è il 1990 quando Giovanni Paolo II lancia questa vibrante esortazione a tutti i fedeli. Lo fa nel modo più autorevole possibile, con la pubblicazione di un’Enciclica, la Redemptoris Missio. In quel documento, Karol Wojtyla afferma che le Chiese di antica cristianità, “alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione”, non “possono essere missionarie verso i non cristiani di altri Paesi e continenti se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria”.

    Se dunque 22 anni fa, il Papa consacra in una Enciclica l’impegno della “nuova evangelizzazione per la missione ad gentes”, già agli albori del suo Pontificato aveva indicato esplicitamente nella nuova evangelizzazione una delle sfide per la Chiesa del Terzo Millennio. E’ il giugno del 1979: il Beato Wojtyla si trova in Polonia per il suo primo viaggio apostolico. Lì, mentre il regime comunista cerca invano di sminuire la portata storica dell’evento, il Papa pronuncia parole profetiche. “E’ iniziata – dice nel Santuario della Santa Croce di Mogila – una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso. La croce sta alta sul mondo che volge”. Giovanni Paolo II mostra subito di aver chiari i capisaldi di questo nuovo impegno: “L’evangelizzazione del nuovo millennio – avverte – deve riferirsi alla dottrina del Concilio Vaticano II”. E sottolinea come tutti siano coinvolti in questa opera, vescovi e sacerdoti, laici e consacrati. Una chiamata alla responsabilità, in particolare per i laici, che il Papa sottolinea nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici:

    “La ‘Christifideles laici’ afferma che la ‘nuova evangelizzazione’, rivolta non solo alle singole persone, ma anche ad intere fasce di popolazione nelle loro varie situazioni, ambienti e cultura, è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio”. (Discorso ai vescovi italiani, 18 maggio 1989)

    Il Papa “pellegrino nel mondo” è convinto che la “Chiesa o è missionaria o non è più nemmeno evangelica”. E nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte rinnova l’appello per la nuova evangelizzazione. “Occorre – scrive il Pontefice – riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste”. Gli anni passano e il corpo di Karol Wojtyla si indebolisce. Non si affievolisce, anzi si rafforza invece la convinzione del Papa che, per l’Europa e l’Occidente, alle prese con l’avanzare della secolarizzazione, sia sempre più urgente un nuovo annuncio della Buona Novella:

    “La nostra responsabilità di cristiani si esprime nell’impegno della ‘nuova evangelizzazione’, tra i cui frutti più importanti va annoverata la civiltà dell’amore. Il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture, tuttavia possiedono una forza rigenerante che può influire positivamente sulle culture” (Udienza generale, 15 dicembre 1999)

    Negli ultimi anni di Pontificato, il Papa lega dunque il tema della “nuova evangelizzazione” a quello delle “radici cristiane” dell’Europa. Binomio su cui si registra un’identità perfetta tra l’attuale Pontefice e il suo venerato predecessore:

    “La cultura europea dà l’impressione di ‘un’apostasia silenziosa’ da parte dell’uomo sazio, che vive come se Dio non esistesse. L’urgenza allora più grande che attraversa l’Europa, a Est come ad Ovest, consiste in un accresciuto bisogno di speranza, così da poter dare senso alla vita e alla storia e camminare insieme”. (Angelus, 13 luglio 2003)

    Il Papa, stanco e malato, sa quanto la dignità della persona sofferente sia occasione feconda di testimonianza evangelica. E così, il Beato Giovanni Paolo II dedica la Giornata Mondiale del Malato del Duemila proprio al tema della “nuova evangelizzazione”. Gli ospedali, come ogni casa dove sono accolte persone sofferenti, scrive Karol Wojtyla, sono “ambiti privilegiati della nuova evangelizzazione che deve impegnarsi per far sì che proprio lì risuoni il messaggio del Vangelo, apportatore di speranza”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del vicedirettore sui lavori sinodali entrati nella settimana conclusiva.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, gli scontri e le proteste a Beirut e a Tripoli.

    No, l’anima non ve la do: in cultura, Adriano Dell’Asta, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Mosca, sul concetto di persona nel pensiero cristiano russo del ventesimo secolo (dalla terribile esperienza del gulag emerge la nozione ancora attuale di “irriducibilità”).

    Un articolo di Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro, dal titolo “La cattedrale rinnovata”: il vescovo Giovanni Giudici ha solennemente riaperto il duomo di Pavia dopo sedici anni di restauri.

    Tutta la fatica di chi è salvato: Silvia Guidi su “Morte e vita di Lazzaro” di Gino Nebiolo.

    Nuovi attacchi al matrimonio naturale: nell’informazione religiosa, un articolo in merito alle critiche dei vescovi degli Stati Uniti sulla sentenza di una Corte d'Appello.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: infuria la guerra a Damasco e Aleppo. Sparatoria al confine con la Giordania

    ◊   Dopo la Turchia e il Libano, si infiamma anche il confine tra Siria e Giordania. Un soldato di Amman è rimasto ucciso all'alba di oggi negli scontri scoppiati con alcuni miliziani lungo la frontiera. Intanto proseguono i combattimenti in varie aree del Paese. Una donna e i suoi quattro figli sono rimasti uccisi durante i bombardamenti in un sobborgo di Damasco, mentre combattimenti sono in corso anche ad Aleppo. Proprio la città più popolosa della Siria è diventata il simbolo della guerra che sta insanguinando il Paese. La città da settimane è teatro di battaglie senza esclusioni di colpi, in cui a pagare il prezzo più alto sono i civili. Sulla drammatica situazione che vivono i suoi abitanti, Salvatore Sabatino ha intervistato il collega Cristiano Tinazzi, appena rientrato da Aleppo:

    R. - La situazione che ho trovato è di estremo disagio per la popolazione civile. Chi può va via, cerca di scappare dalla Siria. Il problema è che adesso, all’interno del confine siriano si è formata una tendopoli di circa novemila persone che non possono neanche più andare in Turchia, perché il campo profughi è pieno, quindi si trovano in una zona che è una terra di nessuno e sono lì, fermi, aspettando la possibilità di poter passare.

    D. - Ci sono numerose testimonianze anche di grande solidarietà tra la popolazione...

    R. - Io - purtroppo – ho avuto la sfortuna di assistere ad un bombardamento in diretta proprio nei pressi dell’ospedale di Al Chifa, ad Aleppo. Dopo pochissimi secondi, forse un minuto o due, le macchine di civili che andavano avanti e indietro, correvano per portare aiuto ai feriti, per tirarli fuori dalle macerie rischiando di essere, a loro volta, colpiti perché comunque continuavano a cadere proiettili di mortaio. Le persone poi vengono ospitate da altre famiglie, si cerca di dividere quel poco che si ha. Come a Sarajevo si formano code lunghissime per il pane e fin dalle sette del mattino: uomini, donne e bambini in fila, divisi, aspettando il loro turno. È una situazione che mette tutti a dura prova. Devo dire che poi adesso è stata colpita anche la comunità cristiana; vedremo che cosa succederà. Però quella zona della comunità cristiana è sotto controllo governativo, per cui è anche difficile parlare con i cristiani e cercare di capire il loro stato d’animo.

    D. – Aleppo, da cuore economico della Siria, si è trasformata in cumolo di macerie ed epicentro delle violenze. C’è comunque una reazione della gente di fronte a quanto sta accadendo o no?

    R. - Non vedono la fine del tunnel. Purtroppo la gente pensa a quello che deve fare ogni giorno per “tirare a campare”. L’economia è ferma. Quasi più nessuno lavora, e si vive del minimo di sussistenza grazie alle raccolte di fondi organizzate nei villaggi dove qualcuno che ha più soldi di altri li mette a disposizione per comprare la farina, le lenticchie, un po’ di grano... le cose che servono per mangiare tutti i giorni. Di carne se ne vede poca sulle tavole delle persone. La benzina è aumentata incredibilmente, e la gente sta aspettando che in qualche modo la situazione si sblocchi o che dall’esterno arrivino degli aiuti. Purtroppo non può entrare nessuno; nessuna ong riesce ad entrare in maniera concreta nel territorio siriano per aiutare la popolazione colpita da questa grave sventura.

    D. - Insomma, come in tutte le guerre, anche quello che sta avvenendo in Siria è più drammatico di quello che possiamo immaginare noi che non siamo nel Paese...

    R. – Sicuramente. Io credo che non ci sia una percezione concreta. È la stessa cosa che è accaduta in Bosnia: fino a quando tutti focalizzano lo sguardo su quegli avvenimenti, tutto il mondo si mobilita. Però ormai è passato un anno e mezzo e 30 mila morti, e ancora si continua a non parlare della Siria, a non parlare della situazione siriana a meno che non ci sia un’autobomba o che i morti superino le due – trecento unità ogni giorno; allora in quel caso, magari, esce un articolo sui giornali. Però la realtà di tutti i giorni è veramente terrificante. A noi giornalisti è bastato stare una settimana – dieci giorni per poter uscire traumatizzati da quella realtà, ma sapendo che comunque saremmo andati da qualche parte, e potevamo uscire. La maggior parte delle persone non ha nessun posto dove andare.

    Intanto si affievoliscono le speranze per il cessate-il-fuoco in occasione della festa musulmana del Sacrificio, chiesto dall'inviato di Onu e Laga Araba, Brahimi, che ieri a Damasco ha incontrato il presidente Assad. Una richiesta, la sua, reiterata più volte in queste settimane. A sottolineare le fragili speranze al riguardo, il numero due della Lega Araba, Ahmad ben Hilli, a margine del Forum internazionale sull'energia a Dubai. Sulla possibilità reale di far tacere le armi, Salvatore Sabatino ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze:

    R. - La tregua sarebbe di soli quattro giorni ed è una cosa minima! Per arrivare a qualcosa di più serio occorre che discutano i veri soggetti: gli occidentali e la Russia, che ha enormi interessi in Siria.

    D. - Brahimi in questi ultimi giorni, Annan prima: gli inviati in Siria non sono riusciti a portare in primo piano il dialogo tra le parti. Può essere considerata questa l’espressione più concreta dell’impotenza della Comunità internazionale di fronte ad una crisi così difficile?

    R. - Credo che tutto dipenda dall’estrema complicazione del quadro interno siriano, che era complicato già quando le cose andavano bene. Figuriamoci ora, dopo un anno e mezzo di guerra civile vera…

    D. - Ora i rischi di una regionalizzazione del conflitto diventano sempre più concreti e quello avvenuto in Libano nelle ultime ore ne è la dimostrazione. Cosa può, in questo momento, spegnere la miccia libanese?

    R. - Soltanto un serio colloquio tra occidentali, che mestano un pochino anche loro, e i russi che difendono il loro porto sul Mediterraneo. Solo questo!

    D. - E sulle responsabilità, invece, di quanto è accaduto in Libano ci sono delle visioni che sono differenti…

    R. - Probabilmente in Libano sono stati i siriani e probabilmente in Libano non è stato hezbollah, che - pur essendo un alleato dei siriani - non può essere così poco avveduto da fare un gesto del genere, mettendo a rischio tutta la sua politica di questi anni.

    D. - La Turchia, da parte sua, ricopre un ruolo importantissimo nella regione: il fatto che sia in prima linea nel conflitto siriano può essere un rischio per la stabilità dell’intero Medio Oriente?

    R. - No, perché la Turchia è vista da tutti come un Paese tranquillo, stabile, che difende soltanto cose prioritarie come la sua questione curda o, appunto, il disordine che può arrivare dalla Siria. Semmai la Turchia non sa come intervenire efficacemente senza provocare disastri ancora maggiori.

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    Militari in Libano: momento decisivo. Sleiman riflette sull’esecutivo Miqati

    ◊   Il Libano sta attraversando “un momento decisivo". Lo affermano i militari, invitando le forze politiche ad usare moderazione. Arresti si registrano a Tripoli e Beirut dopo i disordini di ieri, ai funerali del capo dei servizi di sicurezza. Intanto, il presidente Michel Sleiman ha avuto un incontro con gli ambasciatori dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e con il rappresentante delle Nazioni Unite nel Paese, per fare il punto sul futuro dell’esecutivo Miqati. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    In Libano, molti hanno paura di ripiombare nella guerra civile del 1975. Preoccupa il fronte siriano, gli scontri sul terreno tra sostenitori e oppositori di Assad, e le accuse al governo Miqati di appoggiare la strategia del terrore.

    Oggi, l'esercito ha fatto sapere in un comunicato di essere impegnato nel ripristino dell'ordine, dopo le tensioni esplose, ieri, ai funerali del capo dell'intelligence della polizia, il generale Wissam al Hassan, ucciso venerdì scorso insieme ad altre sette persone in un attentato, in un quartiere a maggioranza cristiana di Beirut.

    I militari parlano di “momento decisivo" per il Libano, in cui "la tensione in alcune zone ha raggiunto livelli senza precedenti". Poi, l’invito alle forze politiche a usare moderazione nelle dichiarazioni e le rassicurazioni che le divise “continueranno a svolgere il proprio ruolo per evitare il caos". Intanto, arresti e scontri, nelle ultime 24 ore, con vittime e feriti, si sono registrati a Beirut e Tripoli, qui tre uomini armati, non identificati, sono stati uccisi.

    Solo ieri, centinaia di manifestanti hanno tentato di assaltare la sede del governo. L'Alleanza “14 Marzo”, che fa capo al leader dell'opposizione Saad Hariri, ha chiesto lo scioglimento dell'esecutivo, nel quale siedono anche rappresentanti di Hezbollah. Oggi, il presidente libanese, Michel Sleiman, ha avuto un incontro con gli ambasciatori dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, e con il rappresentante delle Nazioni Unite in Libano, prima di decidere sulla sorte dell’esecutivo.

    Ma sulla situazione abbiamo raccolto una testimonianza da Beirut, che lasciamo anonima per motivi di sicurezza:

    R. – Abbiamo il timore che quanto sta accadendo sia una scintilla di una ripresa delle ostilità. Già viviamo la violenza del Paese a noi vicino: vengono qui e una volta entrati… E' come nella prima guerra del 1975, dove erano loro i potenti. La situazione è così oscura…

    D. - Durante la visita del Papa, si era avuta l’immagine di un Libano tranquillo?

    R. - Si pensava che si fosse risolto questo odio, questa folli. Invece, quando ci siamo trovati a vivere questi ultimi fatti, ci è tornato alla mente tutto il nostro passato. Ora, non si sa proprio come sarà il domani. Si butta fuoco sul fuoco, come ieri dopo i funerali, la violenza dei giovani...

    D. - Tensioni e violenze, quindi, nel giorno dei funerali del capo dell’intelligence della Polizia: un assassinio prevedibile in qualche modo? Ve lo aspettavate?

    R. - No, no. Nessuno se lo aspettava. E adesso si capisce che è stata una cosa meditata e preparata e questo perché, da come sono state messe le macchine, Wissam al Hassan non poteva sfuggire alla morte.

    D. - Tra le vittime anche civili e in particolare lei mi raccontava, una donna…

    R. - Questa mattina mi hanno detto: sai quella mamma che è morta? Era vedova, lavorava in un bar e in quel momento stava tornando a casa per portare qualcosa ai bambini. Mentre tornava è rimasta investita dall’esplosione, per la strada, e i suoi bambini rientrando non hanno trovato più nessuno … E’ possibile che, ancora oggi, in questo secolo, ci siano cuori che non battono più per l’altro? C’è troppa ingiustizia, troppo egoismo. E’ sempre la povera gente che subisce: i grandi vanno avanti lo stesso.

    D. - Che cosa vuole dire ai nostri microfoni?

    R. - Io vorrei dire a tutti, specialmente ai grandi, di pensare a chi soffre, di pensare a chi è rimasto senza papà e senza mamma. Chi pensa ora a questi bambini? Il problema principale sembra essere quello della potenza terrena, dell’essere il più forte, il più grande… Chi è davvero grande deve guardare, invece, chi soffre: che guardino chi non ha il pane. Davanti a Dio devono avere una coscienza. Prima di tutto, non dimentichiamo Dio, perché Dio è misericordia, Dio è perdono, Dio è Padre di tutti. L’uomo è diventato un oggetto: mi servi, stai con me; non mi servi, allora ti tolgo di mezzo. Ecco, vorrei suggerire una preghiera a tutto il mondo, non solamente per la fine dei combattimenti, ma per la pace del cuore, affinché tutti sentiamo l’altro come fratello e un bambino come il nostro bambino.


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    Congo: nessuna notizia sui missionari rapiti. L'impegno della Caritas nel Kivu

    ◊   Ancora nessuna novità dei tre missionari assunzionisti rapiti la sera di venerdì scorso da un gruppo di uomini armati nel Nord Kivu, la regione congolese dove infuria lo scontro tra esercito e gruppi ribelli appoggiati, secondo diverse fonti, anche da milizie di Paesi confinanti. Sulla vicenda, Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza di don Gaspard Lukongo, coordinatore di Caritas Kindu:

    R. – Monseigneur l’éveque de Butembo-Beni, mons. Melchisedec Sikuli Paluku…
    Il vescovo di Butembo-Beni, mons. Melchisedec Sikuli Paluku, ha rivolto un appello anche attraverso i media chiedendo alle autorità politico-amministrative di impegnarsi per la liberazione dei preti che a tutt’adesso risultano introvabili. Inoltre, si meraviglia del fatto stesso che siano stati rapiti, perché non c’erano stati conflitti in precedenza, né con la popolazione né con le autorità. Egli si indigna per il fatto che sono passati ormai molti giorni e che non siano stati ancora ritrovati. La situazione generale qui da noi, all’est, è che ci sono molti movimenti e gruppi armati e le nostre chiese sono spesso il bersaglio preferito: si vuol fare tacere la Chiesa ad ogni costo perché è essa che denuncia le ingiustizie, il male e c’è chi non vuole che quello che accade sia portato a conoscenza di tutti. Il fatto provoca indignazione: perché prendersela con i sacerdoti, oltretutto missionari, che non sono nemmeno di questo Paese, che vengono a portarci il Vangelo?

    D. – Vuole rivolgere un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana?

    R. – Je demande vraiment à tous les hommes de bonne volonté…
    Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà che condividono la nostra fede di comprendere le difficoltà nella quale cerchiamo di viverla, soprattutto nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Che ci aiutino a far arrivare il nostro grido di disperazione a tutti i livelli ai quali sia possibile trovare una soluzione, in modo che la popolazione possa ritrovare la calma e la pace. Non si riesce più a vivere in pace: nelle case non si dorme più perché si ha paura di essere violati, rapiti, minacciati di morte e di dover subire ogni tipo di ingiustizia.

    D. – La Chiesa, in questa situazione, da dei segni di speranza. Uno di questi, è l’iniziativa di Caritas Kindu e di Caritas Goma per la riabilitazione degli ex bambini-soldato…

    R. – Pour nous a Kindu l’encadrement a commencé en 2007…
    Per noi, a Kindu, la formazione è iniziata nel 2007: in quella situazione di crisi, di guerra, di insicurezza era necessario occuparsi di quei bambini strappati ai gruppi armati. Normalmente, i bambini sono il primo bersaglio delle milizie armate, che si fanno scudo di loro e ai quali è impedito andare a scuola, ai quali si insegna ad utilizzare le armi, a far soffrire gli altri. Noi cerchiamo con ogni mezzo di rimettere in sesto questi ragazzi, che un tempo erano scolarizzati. Cerchiamo di reinserirli nella scuola e anche nell’ambiente sociale. Nel 2007, abbiamo avuto il primo supporto in tal senso da parte della Caritas italiana, e così in quell’anno abbiamo potuto raccogliere 3.200 ragazzi.

    D. – Quale situazione avete dovuto affrontare, e in quali condizioni sono questi bambini-ragazzi? Quali metodi utilizzate per la riabilitazione e per la formazione dei ragazzi?

    R. – Il faut d’abord avouer que au jour d’aujourd’hui la situation s’est…
    Innanzitutto, bisogna riconoscere che oggi la situazione è molto migliorata: dopo cinque anni di accompagnamento, tanti cambiamenti si sono verificati in questi bambini. Abbiamo voluto per prima cosa formare le persone che avrebbero a loro volta accompagnato e formato i ragazzi e che in linea di massima erano direttori di istituti scolastici o insegnanti degli stessi istituti. Alla formazione hanno partecipato molti psicologi. Per quanto riguarda i bambini stessi, abbiamo organizzato molte attività tese al loro reinserimento nelle famiglie e nella scuola. A livello familiare, abbiamo favorito la ripresa del contatto tra i bambini e le loro famiglie, perché molti bambini sono vissuti lontano dalle famiglie. La nostra strategia è quella di cercare di far loro dimenticare il contesto nel quale sono cresciuti per un certo periodo per portarli a comprendere che non devono avere paura di tornare in famiglia e nemmeno di tornare a studiare a scuola tra gli altri bambini. Abbiamo previsto anche incontri di gioco perché sappiamo che i ragazzi si distendono e si aprono maggiormente nel gioco: giocano "con" l’altro, si aprono all’altro e inducono anche l’altro all’apertura. E’ un modo per aiutarli a convincersi del fatto che sono uguali agli altri ragazzi e che quindi è bene che vivano come gli altri bambini.

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    Mons. Valentinetti: poca informazione su rischi di estrazione idrocarburi in Abruzzo e Molise

    ◊   In Abruzzo e in Molise, sono diversi i progetti di trivellazioni per l’estrazione di idrocarburi e gas naturali. Ad Ortona è prevista la realizzazione di un ‘Centro Oli’ dell’Adriatica Idrocarburi, del gruppo Eni. Nel comune di Bomba, sempre in provincia di Chieti, la Società "Forest Cmi" intende costruire un impianto per la produzione di gas. La Chiesa locale chiede che la popolazione sia adeguatamente informata sugli eventuali rischi, soprattutto ambientali, connessi a queste iniziative. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Pescara - Penne, mons. Tommaso Valentinetti, presidente della Conferenza episcopale abruzzese – molisana:

    R. – Abbiamo bisogno di sapere veramente quali sono i rischi che corriamo e quale è l’impatto di questi nuovi stabilimenti, perché tenendo presente ciò che accade anche in altre nazioni, il pericolo di un incidente di percorso è veramente grave e in un territorio così piccolo procurerebbe un danno enorme. Ecco perché, come pastori delle diocesi, noi abbiamo presentato un documento con cui vogliamo attirare l’attenzione di tutti su questo argomento, per far sì che tutti possano riflettere molto bene su come procedere e su quali strade percorrere.

    D. - Occorre in particolare un’attenta valutazione sull’impatto ambientale derivante dall’eventuale trasformazione di territori di assoluto pregio naturalistico in aree invece petrolifere …

    R. – Noi andiamo fieri delle nostre “Regioni verde dell’Europa”. Dunque, un impatto ambientale così devastante, quale è l’estrazione di idrocarburi o la costruzione di un “Centro oli”, sicuramente non porta a bonificare le nostre terre dagli inquinamenti e da quello che può avvelenare anche l’agricoltura, che è la nostra prima risorsa e la risorsa migliore che noi possiamo avere.

    D. – I piani d’investimento dei due progetti superano complessivamente i cento milioni di euro. Secondo le due società, avrebbero anche un impatto positivo per l’occupazione. E’ così?

    R. – Secondo noi, è un impatto positivo relativo, perché se facciamo il conto di quanto invece verrà a mancare ccirca gli altri benefici - quelli dell’agricoltura e quelli che si possono ricavare da una ricerca per procurare un’energia alternativa rispetto a quella dell’estrazione del petrolio o del Centro Oli di Ortona - sicuramente l’impatto di impiegati o di manodopera non è assolutamente paragonabile alla situazione che abbiamo già adesso.

    D. – I progetti di sfruttamento energetico sono l’unica via percorribile, o Abruzzo e Molise hanno altre risorse per uno sviluppo, per una crescita economica che sia anche sostenibile?

    R. – Noi contiamo molto sulle energie alternative, sia su quelle eoliche sia su quelle fotovoltaiche, perché in realtà da queste due fonti di energia si possono trarre grandi vantaggi. Abbiamo la possibilità di avere energie alternative e crediamo molto in queste.

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    Napoli, fiaccolata anticamorra. Don Patriciello: la gente non si arrende alla criminalità

    ◊   Duemila persone hanno partecipato ieri sera a Marianella, quartiere di Napoli, alla fiaccolata organizzata da 20 parrocchie per ricordare Pasquale Romano, il giovane ucciso per errore dalla camorra alcuni giorni fa. “Non abbiamo paura, giustizia per Lino”: lo hanno gridato tante volte le persone presenti. Rivolgendosi agli assassini, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, li ha chiamati “condannati a morte in questa vita e nell’altra”. “La gente non si arrende”: ribadisce al microfono di Benedetta Capelli, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, a nord di Napoli, da anni impegnato nella lotta alla camorra:

    R. - La gente non si sta arrendendo alla camorra: le persone perbene di questi territori sono degli eroi e questo deve essere detto a chiare lettere, ad alta voce. Sono persone che meritano la medaglia, la medaglia d’oro, perché il loro vivere in queste zone è veramente difficile. Io ho scritto un articolo per “Avvenire” sulla morte di Lino, in cui dicevo: “E’ possibile morire a Napoli, una città nella nostra Italia, perché hai comprato la macchina dello stesso colore del boss? A Napoli si muore perché hai la sfortuna di somigliare al figlio di un altro boss”. Questo è un assurdo! E’ qualcosa di assurdo! L’altro giorno, sono stato ai funerali di Lino e c’era anche il Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti… Vedere la figlia di Silvia Ruotolo, vedere i fratelli e le sorelle delle persone che sono morte… sono tante, è una cosa impressionante. E’ possibile che noi moriamo anche per andare a bere un caffè al bar?

    D. - Si muore per tanti motivi che possono essere futili: ma si spera per cosa allora?

    R. - Si spera per che cosa? Io l’ho scritto mille volte. C’è stato un giovane della mia parrocchia che è stato arrestato qualche giorno fa. Questo giovane andò in galera quando di anni ne aveva appena 18: io l’ho seguito in carcere, sono andato a trovarlo fino a quando non ha avuto i domiciliari. Era veramente - e questo lo posso dire - un giovane ben intenzionato a cambiare e chiedeva un aiuto, un lavoro minimo. Ma non ha trovato niente. Subito è arrivata questa “mano nera”, che è sempre là, a offrire l’aiuto. La camorra si sostituisce allo Stato: quando tu non hai niente da dar da mangiare ai bambini e qualcuno ti dà la possibilità di avere il pane, in quel momento tu il pane lo prendi. Io sono un prete ed è normale che io dica: “C’è uno Stato. Noi amiamo lo Stato, noi amiamo la libertà”. Noi viviamo in questa zona, chiamata anche "terra dei fuochi", terra dei veleni, dove le istituzioni mancano: non c’è un aggancio, non c’è un aiuto. Anche noi parroci facciamo tante cose belle. Ieri, io ho celebrato quattro Messe e ogni Messa era affollatissima, sono passate migliaia di persone per la chiesa. La Messa dei bambini, alle 10, era uno spettacolo, alla Messa delle 8 c’erano almeno 5-600 persone. Tutte queste persone noi possiamo metterle insieme, perché loro ci credono. Noi possiamo fare qualche cosa, ma dateci un agganciio. Facciamo tanto, ma poi ci manca un aggancio... Se viene nella mia parrocchia, la mia parrocchia sembra un dispensario: la gente viene a prendere un po’ di pasta la sera. Immagini che fino a pochi anni fa erano le donne che venivano: adesso arrivano i papà, che si vergognano pure… Le bollette da pagare le portano in parrocchia.

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    "Todi 2". Olivero: Italia ha bisogno di una trasformazione profonda

    ◊   Bisogna continuare sulla strada intrapresa da Monti, dando più sostegno al welfare e alle famiglie. E’ uno dei punti del manifesto di Todi, elaborato nella cittadina umbra dal Forum delle Associazioni cattoliche del mondo del lavoro. Secondo il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, il futuro del Paese non può essere nelle mani delle attuali oligarchie e i cattolici devono favorire la nascita di una nuova offerta politica. Il servizio dell'inviato, Alessandro Guarasci:

    Un anno fa, i cattolici di Todi definirono conclusa l’esperienza del governo Berlusconi. Ora guardano a Monti, ma precisano: “E' indubbio – sostiene il presidente delle Acli Andrea Olivero – che oggi è necessario operare per dare al prossimo governo una maggioranza autenticamente politica”. Servono comunque nuove proposte sia nel contenitore quanto nei contenuti, perché i partiti non riescono a rinnovarsi. A metà novembre, il quadro potrebbe essere già più chiaro. Andrea Olivero, presidente delle Acli:

    “Noi abbiamo bisogno di una grande rivoluzione nel nostro Paese, di una trasformazione profonda che deve vedere i corpi sociali e la società civile giocare un ruolo da protagonista. Crediamo che non soltanto il mondo cattolico, ma anche altre culture, abbiano questa visione di società partecipata, ricca, capace effettivamente di dare nuova linfa alla democrazia”.

    Luigi Marino, presidente di Confcooperative, rileva che nel Paese c’è attesa per un nuovo contenitore politico che veda impegnati anche tanti cattolici che hanno come punto di riferimento la Dottrina Sociale della Chiesa. Le priorità sono il welfare, il lavoro per i giovani, una nuova legge elettorale. Ed ancora, la famiglia. Bernard Scholtz, presidente della Compagnia delle Opere:

    “Soprattutto nel momento attuale, occorre sottolineare in modo particolare che la famiglia è la prima cellula del welfare. Per queste ragioni, è necessario abbassare in modo sensibile la pressione fiscale, agevolare la possibilità di avere un’abitazione degna e di creare condizioni che siano più efficaci per armonizzare vita, famiglia e lavoro”.

    Il Forum di Todi quindi invita ad andare avanti sull’agenda Monti, aggiornandola però. Dunque, bisogna far coincidere risanamento dei conti pubblici e crescita.


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    Danni ingenti al Santuario di Lourdes ma mercoledì la Grotta sarà riaperta ai pellegrini

    ◊   “A Lourdes la situazione si è stabilizzata”: così il vescovo di Tarbes e Lourdes, mons. Nicolas Brouwet, in un messaggio video rivolto ieri sera a tutti i pellegrini e gli amici di Lourdes. Ma il vescovo spiega che l'ondata di pioggia che si è abbattuta nel sud della Francia, provocando l‘esondazione del fiume Gave, ha lasciato nel santuario mariano “ingenti danni” e che “ci sarà un grosso lavoro da fare”. Ieri all’Angelus Benedetto XVI ha rivolto un pensiero al Santuario in questo momento di difficoltà. Dell’accoglienza a Lourdes delle sue parole e delle prospettive concrete di riapertura, Fausta Speranza ha parlato con il cappellano del Santuario di Lourdes, padre Nicola Ventriglia:

    R. – Il pensiero del Papa ha colpito tutti quanti noi. Abbiamo sentito, in modo tangibile, l’affetto e la vicinanza del Papa, che ci ha rivolto un pensiero nella domenica delle Canonizzazioni e della Giornata missionaria mondiale. Questo ha toccato profondamente tutti.

    D. - Qual è la situazione in questo momento?

    R. - Grazie agli aiuti dei Vigili del fuoco che sono stati veramente tempestivi - sono subito arrivati sul posto – si è iniziato subito a pulire la zona che riguarda la Grotta. Oltre a loro ci sono anche tanti volontari - tra questi c’è un gruppo arrivato dall’Italia - e ancora tanti telefonano dicendo che se ce ne fosse bisogno partirebbero subito per venire a dare una mano, per pulire il Santuario per farlo tornare alla normalità quanto prima.

    D. - Si può fare una previsione precisa circa la riapertura del Santuario?

    R. - Il Santuario riaprirà domani pomeriggio con la processione eucaristica e il tradizionale Flambeau. Dopodomani sarà sicuramente garantito nuovamente l’accesso alla Grotta. Non sappiamo se è possibile la celebrazione, perché l’impianto di amplificazione per le riprese audio e video è saltato, ma il passaggio alla Grotta sarà sicuramente possibile da dopodomani.

    D. - Che ci dice di questa esperienza accaduta in un luogo particolarissimo, come è Lourdes, dove arrivano persone con una storia particolare, spesso di grande dolore? È andato tutto bene per i pellegrini, ma c’è stato un momento anche di spavento, di caos...

    R. - Certo il dispiacere è stato grande anche perché non ci si aspettava un’inondazione del genere; non si pensava che la Grotta venisse travolta, sommersa da oltre un metro e mezzo di acqua. I pellegrini sono stati - per quanto mi è dato di conoscere, di sapere - comprensivi, anche se sono tutti addolorati sia per ciò che è accaduto e sia perché quando si viene a Lourdes, e non ci si può avvicinare alla Grotta il dispiacere è grande. Fortunatamente non ci sono stati danni a persone, ma solo a cose; questo ci rallegra e ci rasserena. Abbiamo avuto problemi in alcuni alberghi dove si è dovuto intervenire per far evacuare; ma tutto è stato fatto per una maggiore sicurezza nei confronti dei pellegrini. La gente continua ad arrivare al Santuario e tutti si danno da fare per pulirlo. Oggi, grazie a Dio abbiamo una bella giornata di sole, e questo ci incoraggia ancora di più. Stamattina ho celebrato nella cripta un cinquantesimo di matrimonio con undici nipotini, quattro figli... La vita del Santuario va avanti nonostante questi disagi.

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    Abbazia di San Galgano, Convegno su temi religiosi e informazione

    ◊   Disinformazione su temi strettamente religiosi e su tematiche scientifiche che investono profondi valori etici. Di questo si è parlato al convegno intitolato “Spingitori di cavalieri. San Galgano e la spada della disinformazione”, svoltosi sabato scorso all’Abbazia dedicata al Santo del XII secolo, in Toscana, su iniziativa dell’Ucsi, l'Unione Stampa Cattolica Italiana, con la partecipazione dell’arcivescovo di Siena, mons. Antonio Buoncristiani. Lo storico Eugenio Susi ha illustrato forzature e falsità dei media su San Galgano, non a caso preso come esempio emblematico. Intervenuti, tra gli altri, giornalisti di testate cattoliche e laiche, gli storici Francesco Salvestrini e Fabrizio Dal Passo, il critico televisivo Mariano Sabatini. A moderare il dibattito con Antonello Riccelli, presidente dell’Ucsi Toscana, la nostra collega Fausta Speranza, vicepresidente dell’Ucsi Lazio. Ha seguito i lavori per noi Stefano Leszczynski che ha intervistato mons. Antonio Buoncristiani:

    R. – Il problema è nelle prevenzioni che si creano. Quando c’è un’informazione religiosa, subito ci si pone a dire: è qualcosa che mi piace o qualcosa che contrasto? Quindi, non c’è mai quell’oggettività dell’ascolto che dovrebbe esserci. D’altra parte, anche nell’informazione spesso c’è la tendenza a dare un’informazione che serva in una realtà e in un’altra. Lo dico ricordando che viviamo l’Anno della Fede e che forse non ci si rende conto che la fede è qualcosa che dev’essere trasmessa ma non imposta, piuttosto innanzitutto testimoniata. E la fede autorizza ad avere un rapporto totalmente libero da prevenzioni. Quindi, un rapporto di dialogo, di possibilità di non malintesi o altro. E questo mi sembra fondamentale.

    D. – Nel contesto del Sinodo, dell’Anno della Fede, del 50.mo del Concilio si è parlato spesso di comunicazione e del problema di correggere qualcosa nella comunicazione anche da parte della Chiesa. Cosa bisognerebbe fare per indirizzare meglio la comunicazione della Chiesa?

    R. – Io trovo che l’impegno dei mass-media sia importante e difficile, però, il rapporto della fede, secondo me, non passa innanzitutto attraverso i media: passa attraverso la testimonianza delle persone, perché la fede nasce dal cuore, e l’informazione viene dopo. E’ il cuore che la recepisce in un senso o in un altro. Certamente, dobbiamo dare grande importanza alla fede e alla comunicazione, perché ha grande importanza nella società di oggi.

    D. – Quanto c’entra la secolarizzazione nella mistificazione delle questioni religiose?

    R. – Tutto quello che è religione, in qualche modo, in molte persone crea un senso di colpa, e quindi c’è sempre la necessità di trovare giustificazioni contro: è un modo di difendersi, perché la parola di Dio “taglia”. E, dinanzi a questo fenomeno, hanno paura tutti quelli che non vogliono essere “tagliati” dalla Parola di Dio… In fondo, la Parola di Dio chiede che tu ti spogli, che ti umilii nel riconoscere che ne hai bisogno, e allora ti cambia.

    A 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, si è preso spunto anche dal libro “Giornalismo e religione” di don Giuseppe Costa, don Giuseppe Merola e Luca Caruso, edito di recente dalla Libreria Editrice Vaticana, che mette sotto esame la stampa laica e la stampa cattolica. Delle cause della disinformazione e delle responsabilità, Stefano Leszczynski ha parlato a San Galgano con il presidente nazionale dell’Ucsi, Andrea Melodia:

    R. – Il problema della disinformazione nasce da molteplici cause: di natura economica, culturale ed ideologica. Se si parte da preconcetti, da interessi estranei alla professione, cioè alla corretta informazione, è facile finire nella facile disinformazione. In gran sintesi, io credo che gli strumenti principali che abbiamo per combattere la disinformazione siano la competenza e la responsabilità: sapere di essere al servizio del pubblico, dei cittadini. Noi cattolici, in particolare, siamo al servizio anche della nostra comunità religiosa.

    D. – C’è qualche rischio insito nel definirsi "giornalisti cattolici"?

    R. – Io non credo che il giornalismo cattolico debba essere sostanzialmente diverso dal giornalismo nei media non cattolici. Cioè, il problema della competenza e della responsabilità è uguale per tutti. E’ chiaro che, nel momento in cui si lavora in un media cattolico, si ha una responsabilità specifica in relazione alla comunità nei confronti della quale si svolge un servizio, che ha il suo sistema di fede, di credenze che vanno ulteriormente sviluppate e rispettate. Però, il problema della responsabilità è generale: vale per tutti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: domande, paure e preghiere dei cristiani dopo la strage a Damasco

    ◊   L'attentato stragista perpetrato ieri nel quartiere di Damasco di Bab-Touma, rinnova per i cristiani siriani angosce e domande a cui solo “i giorni che verranno potranno portare una risposta”. Ma intanto “molti hanno già preso la via dell'esodo. Altri si preparano all'eventualità di una partenza precipitosa”. E una Chiesa senza fedeli è destinata a diventare come “un testimone muto”. Così, in una nota fatta pervenire all'agenzia Fides, l'arcivescovo maronita di Damasco, Samir Nassar, racconta a caldo le prime reazioni registrate tra i cristiani della capitale siriana dopo che un'auto-bomba fatta esplodere nella zona cristiana della Città Vecchia ha lasciato sul terreno 13 vittime e decine di feriti. L'arcivescovo Nassar descrive le scene di panico di cui è stato testimone, con i genitori che corrono angosciati “a cercare i loro piccoli nelle scuole del quartiere”, mentre le sirene delle ambulanze accentuano la sensazione insostenibile di vivere in un tempo apocalittico. “Alcuni fedeli – racconta - si sono messi in ginocchio per recitare il rosario implorando Nostra Signora della Pace, prima della Messa, che è iniziata con 20 minuti di ritardo. Io ho celebrato la Messa solenne di domenica alle ore 18, per 23 persone soltanto, pregando per le vittime della mattina e per i musulmani che in Siria si preparano a celebrare la festività di Eid al Adha, il prossimo 26 ottobre, nel dolore e nel silenzio”. Il quartiere di Bab-Touma è un luogo-simbolo anche per il martirologio della cristianità siriana. Qui – ricorda l'arcivescovo Nassar - negli stessi vicoli che San Paolo ha dovuto percorrere al tempo della sua conversione e del battesimo ricevuto da Anania, “11 mila martiri nel 1860 hanno bagnato col loro sangue ogni centimetro quadrato”. Finora Bab-Touma era stato risparmiato dalle violenze che sconvolgono la Siria dal 15 marzo 2011. Adesso – si chiede Nassar – quale messaggio si è voluto dare con una strage programmata di domenica, proprio nella parte della Città Vecchia dove sono concentrate le chiese cristiane? “E' la violenza gratuita che bussa alla porta per terrorizzare gli ultimi cristiani già prostrati?” Davanti al terrore e alla violenza – conclude l'Arcivescovo maronita – l'annuncio cristiano si manifesta più che mai come quello “della Croce redentrice, dell'amore e del perdono”. E i cristiani di Damasco e della Siria hanno bisogno dell'amicizia e della preghiera di tutti per farsi carico di una condizione segnata da una “solitudine caotica e amara”. (R.P.)

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    Filippine: il Paese si è fermato per festeggiare il nuovo Santo Pedro Calungsod

    ◊   Messe, veglie di preghiera, processioni ed eventi musicali sono stati organizzati in questi giorni in tutte le Filippine per celebrare la canonizzazione di S. Pedro Calungsod, giovane catechista martirizzato nel 1672 nelle isole Marianas all'età di soli 17 anni. Il giovane santo è stato canonizzato ieri da Papa Benedetto XVI in occasione della Giornata missionaria mondiale. A Manila decine di migliaia di persone si sono accalcate all'interno e davanti alla chiesa del Santo Nino de Tondo per seguire la messa celebrata dal Papa in piazza S. Pietro proiettata anche sui maxischermi. A San Juan City (Manila) 4mila fedeli hanno seguito la cerimonia dall'Arena civica. Le attività più importanti sono avvenute nella piccola città di Ginatilan luogo di nascita di S. Pedro a 135 km da Cebu (arcipelago delle Visayas) dove l'acclamazione del Santo è stata accolta come una vera e propria festa per tutta la popolazione, collegata via tv e via radio con Roma. In un comunicato alla Conferenza episcopale filippina, il presidente Benino Aquino ha annunciato la decisione di proclamare il 21 ottobre festa nazionale per permettere a tutta la popolazione di celebrare il Santo. Padre Giovanni Re, responsabile regionale del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), racconta che la figura di San Pedro Calungsod possiede qualcosa di speciale che unisce tutti i filippini. San Pedro Calungsod è il secondo filippino a ricevere gli onori degli altari dopo san Lorenzo Luis, canonizzato nel 1987 da Giovanni Paolo II. La sua giovane età lo ha reso molto popolare fra i giovani. "Anche quando era solo beato, in molti lo consideravano già il patrono degli studenti e delle nuove generazioni. La sua testimonianza di vita data interamente a Gesù è un invito per tutti i filippini a seguire gli insegnamenti della Chiesa e mettere il proprio destino nelle mani di Dio". Secondo il sacerdote la canonizzazione di san Pedro è anche un nuovo tassello per l'identità cattolica delle Filippine: "Per secoli la popolazione ha onorato santi e martiri stranieri importati dai missionari. Ora vi sono ben due figure che guardano a questo popolo, mostrando loro che è possibile vivere totalmente anche nel presente quella fede giunta in queste terre quasi 500 anni fa". Per l'ufficio per l'immigrazione di Manila, circa 3mila filippini sono giunti in Italia per partecipare alla funzione. Ad essi si aggiungono centinaia di migliaia di migranti che hanno festeggiato la canonizzazione del giovane martire negli Stati Uniti, in Asia, ma soprattutto nei Paesi del Medio Oriente. John Leonard Monterona, direttore regionale di Migrante Middle East, sottolinea che la testimonianza di San Pedro aiuta i lavoratori filippini a vivere la fede nel dramma dello sfruttamento e della persecuzione. (R.P.)

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    Orp: iniziative per i pellegrini che giungeranno a Roma per l'Anno della Fede

    ◊   L‘Anno della fede entra nel vivo con la definizione delle strutture di accoglienza ai pellegrini che giungeranno a Roma. L'Opera Romana Pellegrinaggi (Orp) collabora con il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione e gli enti ecclesiali competenti affinché i fedeli in tutto il mondo possano vivere l‘Anno della fede secondo le indicazioni del Papa. Il programma - riferisce l'agenzia Sir - è stato presentato oggi da mons. Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. “In un momento di deserto interiore e di crisi generalizzata di fede - ha detto mons. Fisichella - i fedeli sono chiamati a ravvivare la fede. Il pellegrinaggio è percorso di conversione e quindi abbiamo pensato quanto sia importante fare un pellegrinaggio alla Tomba di Pietro”. Tra le iniziative che l’Orp avvierà per l‘Anno della fede, i pellegrini avranno modo di condividere pensieri e emozioni sul “Faith Scroll”, luogo dove sarà possibile scrivere sul tema “che cosa è la fede per voi”: in un unico posto, accanto a piazza San Pietro, saranno così raccolti i pensieri di chi è venuto in pellegrinaggio a Roma in una sorta di “collage” multiculturale che verrà condiviso con il resto del mondo su internet. (R.P.)

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    Aperto a Dubai il Forum mondiale dell’energia. Parola chiave: sostenibilità

    ◊   Aperto oggi a Dubai il Forum mondiale dell’energia, per la prima volta organizzato fuori dal quartier generale delle Nazioni Unite, a New York, in una località geograficamente strategica, polo affaristico per gli interessi finanziari, economici, turistici che qui convergono. L’evento assume particolare rilievo nell’Anno internazionale per l’energia sostenibile. Presenti al Forum una ventina di capi di Stato e primi ministri, oltre a 40 ministri dell’energia e 200 amministratori delegati di aziende internazionali del settore pubblico e privato. Un “Forum per leader mondiali”, il sottotitolo del summit, volto a tracciare una ‘roadmap’ per un sistema energetico sostenibile globale con accesso universale. Ad inaugurare i lavori, il vice presidente e primo ministro degli Emirati Arabi Uniti e governatore di Dubai, Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, e a seguire - a nome del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon - il sottosegretario per gli Affari sociali ed economici Wu Hongbo. Dopo la prima giornata riservata agli interventi dei leader politici, il Forum prevede domani diverse Tavole rotonde ministeriali dedicate ai combustibili fossili, all’economia verde, all’energia alternativa, all’elettricità, all’efficienza energetica, alla collaborazione pubblico-privato; vi sarà poi un summit ad hoc sull’energia in Africa. Nel terzo giorno si dibatterà su legislazioni e politiche d’investimento, su piani integrati urbani, cambiamenti climatici e ambiente ed uso razionale e promozione della tecnologia verde, di energia per tutti, di petrolio e gas e nuovo nucleare, di energia rinnovabile, di sviluppo sostenibile. Il Forum si chiuderà nel pomeriggio del 24 con la messa a punto di specifiche azioni a breve termine per realizzare le raccomandazioni emerse dalle tre giornate dei lavori. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Mali: i ribelli del Nord si preparano alla guerra. Il Presidente Traoré in Qatar

    ◊   I gruppi armati del Nord si preparano alla guerra: a dar loro man forte, riferiscono oggi fonti di stampa maliana ed internazionale, ci sono centinaia di jihadisti arrivati nel fine settimana dal Sudan e dal Sahara occidentale. Testimoni locali nei capoluoghi di Timbuctù e Gao- riferisce l'agenzia Misna - hanno raccontato della presenza in città di “uomini stranieri armati”, almeno in 150 nelle ultime 48 ore, che dichiarano “essere venuti per aiutare i fratelli musulmani contro i miscredenti”. Da sette mesi Timbuctù (nord-ovest) è controllata dal gruppo islamico armato di Ansar Al Din e da Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) mentre Gao (nord-est) è diventata la base degli islamici del Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao). Il quotidiano locale ‘Journal du Mali’ conferma l’arrivo di rinforzi armati di origine sudanese, tunisina, senegalese, ivoriana, algerina e nigerina ma anche di combattenti sahrawi che giungono direttamente dai campi profughi vicini alla città algerina di Tindouf. Alcuni osservatori ricollegano lo ‘sbarco’ dei jihadisti nel Nord del Mali alla risoluzione Onu e alla riunione internazionale che si è tenuta venerdì a Bamako. I Paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao), l’Unione Africana, l’Unione Europea e l’Onu hanno espresso “piena solidarietà” con le autorità maliane per facilitare il dispiegamento di truppe africane e la riconquista della vasta regione desertica che copre i due terzi del territorio nazionale. La Francia ha formalmente ripreso la sua cooperazione militare con Bamako, interrotta dopo il golpe dello scorso marzo, mentre capi di Stato e di governo Ue hanno dato il loro via libera all’addestramento delle truppe maliane. Un’altra notizia, passata in secondo piano, è arrivata dal complesso scenario settentrionale: alla luce di un possibile intervento militare regionale, i capi di Ansar Al Din e del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla, tuareg) hanno avviato colloqui per cercare di riavvicinarsi dopo le rivalità emerse negli ultimi mesi. Tuttavia non sono chiare le intenzioni dei due capi ribelli Iyad Ag Ghali – che intrattiene stretti legami con l’Algeria – e Bilal Ag Cherif, stabilitosi in Burkina Faso. Da alcune indiscrezioni sull’esito di un incontro di tre giorni a Kidal si evince che i due hanno parlato di possibile fusione – anche se l’accordo appare ancora lontano – e di propensione per una soluzione negoziata e non armata al conflitto con Bamako. La strada imboccata da Ag Cherif è contestata da una parte della ribellione tuareg mentre dall’altra Ansar Al Din non si è ancora ufficialmente staccato dagli alleati di Aqmi e del Mujao. Intanto il presidente ad interim Dioncounda Traoré è partito alla volta del Qatar nell’ambito della gestione della crisi armata del Nord, che vedrà il sostegno logistico di alcuni Paesi occidentali. Ma a Bamako alcune forze politiche chiedono la sospensione della cooperazione diplomatica con il Qatar e con tutti quei Paesi accusati di sostenere gli islamici che hanno preso il controllo dei territori settentrionali. Per Traoré si tratta del primo viaggio ufficiale all’estero dal suo ritorno in Mali lo scorso luglio, dopo mesi di convalescenza medica trascorsi a Parigi in seguito all’aggressione subita nel suo ufficio della capitale maliana. (R.P.)

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    Guinea Bissau: per l'assalto alla caserma, accuse al Portogallo

    ◊   “La situazione al momento è calma, le forze di sicurezza hanno però rafforzato i controlli alle frontiere e lungo le strade, ed hanno perquisito alcune abitazioni alla ricerca dei responsabili dell’assalto alla caserma” dice all’agenzia Fides una fonte della Chiesa da Bissau, che desidera l’anonimato per motivi di sicurezza, dove nella mattina di ieri, un gruppo armato ha attaccato la caserma dei Berretti Rossi, una unità di elite, nei pressi dell’aeroporto. Nell’assalto almeno 7 persone sono morte.“Si tratta dell’unità più efficiente dell’esercito locale ed è un po’ al centro di tutti gli scontri di potere interni” dice la fonte. Il governo ha accusato il capitano Pansau N'Tchama, considerato fedele all’ex Primo Ministro Carlos Gomes Junior, rovesciato dal golpe militare del 12 aprile. I golpisti guidati dal Capo di Stato Maggiore, il generale Antonio Indjai, hanno ceduto il potere ad alcuni uomini politici dopo aver firmato un accordo per l’insediamento di un governo di transizione guidato dal Presidente Manuel Serifo Nhamadjo. Questo accordo è stato approvato dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao) ma è stato respinto dal Portogallo (l’ex colonizzatore) e dalla Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese (Cplp). L’Unione Europea ha imposto sanzioni nei confronti dei principali esponenti della Guinea Bissau. Il governo di Bissau ha accusato il Portogallo, la Cplp e l’ex Premier Carlos Gomes Junior di essere gli istigatori dell’assalto alla caserma. “È la versione di chi sta al potere. Stiamo cercando di capire chi ci sia dietro questo episodio, ma è molto difficile comprendere cosa si muove dietro le quinte della politica del Paese. Di sicuro il governo, accusando esplicitamente il Portogallo e la Cplp, accentua il suo isolamento internazionale” commenta la stessa fonte. Sicuramente vi sono intrecci tra gli ultimi eventi ed il narcotraffico perché “la lotta per il potere politico è legata al controllo dei traffici di cocaina che transitano nel Paese, provenienti dall’America Latina in direzione dell’Europa” concluda la fonte di Fides. (R.P.)

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    Panama: la Chiesa chiede pace e dialogo dopo la morte di un bimbo negli scontri a Colón

    ◊   Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, il governo di Panama ha considerato l'opportunità di avviare un dialogo sulla vendita dei terreni nella Zlc (Zona Libera di Colón), dopo i disordini di venerdì scorso, che hanno causato la morte di un bambino, una ventina di feriti e molti arresti. Le violenze sono scoppiate nella città di Colón, 80 chilometri a nord della capitale, dopo che, nello stesso giorno del 19 ottobre, il Presidente del Panama Ricardo Martinelli, aveva approvato la legge che consente la vendita dei terreni nella Zlc, la principale di tutta l’America. Gruppi istituzionali del Paese e la Chiesa cattolica si sono invece dichiarati contrari alla vendita. Il vescovo della diocesi di Colón-Kuna Yala, mons. Audilio Aguilar Aguilar, si è espresso pubblicamente contro la violenza di venerdì 19 e contro la vendita dei terreni della Zlc, invitando al dialogo e alla pace. Il ministro della Presidenza, Roberto Henriquez, ha annunciato la sua intenzione di incontrare il vescovo Aguilar per avviare un processo di dialogo con i vari leader dei gruppi manifestanti di Colon. Purtroppo l’iniziativa del governo non suscita fiducia, così la Camera di Commercio ha annunciato per oggi, uno sciopero generale contro la legge. Il "Fronte Amplio de Colón", una piattaforma di sindacati e organizzazioni civiche, ha annunciato che si unirà allo sciopero e ha minacciato inoltre di bloccare tutte le strade di accesso alla città portuale, al confine con l'ingresso al canale di Panama. La Zlc è la seconda “zona franca” più grande al mondo dopo Hong Kong. (R.P.)

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    Cile: 100 mila giovani al pellegrinaggio di Santa Teresa de Los Andes

    ◊   Più di 100 mila persone, in gran parte giovani, hanno partecipato sabato scorso al pellegrinaggio al santuario di Santa Teresa de Los Andes, percorrendo 27 chilometri, dal paesino di Chacabuco fino al “Santuario della Carmelita”. Questa 22esima edizione del pellegrinaggio si è conclusa con la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Ricardo Ezzati, arcivescovo di Santiago, che ha detto ai giovani che la Chiesa ha fiducia in loro per costruire un Cile più fraterno. “Dovete essere orgogliosi di essere cristiani, questa sarà la Chiesa che Cristo vuole. Solo Cristo dà un significato più profondo e vero all'uomo che cammina. Cerchiamo di diventare un popolo con il cuore aperto, che cresce solo se ciò avviene insieme agli altri; solo così lo sviluppo avrà un volto umano" ha detto l'arcivescovo durante l’omelia. La nota inviata all'agenzia Fides sottolinea che mons. Ezzati ha invitato tutti a vivere questo Anno della Fede impegnati nella "Missione Giovane". Dalle 4 del mattino fino all'ora della Messa, le 17, più di mille volontari hanno segnalato il percorso ai pellegrini, mentre un centinaio di carabinieri chiudeva l'autostrada 57 per permettere il passaggio dei centomila giovani. L’annuale pellegrinaggio al santuario di Santa Teresa de Los Andes è uno degli eventi nazionali più sentiti e con larga partecipazione di giovani. Durante il cammino sono state fatte 12 soste, per riflettere, pregare e cantare. Hanno colpito molto anche i momenti di silenzio, durante i quali i pellegrini camminavano in profondo silenzio, ognuno portando in alto una croce colorata con scritta una intenzione di preghiera. "Sono qui per miei studi", "Prego per la salute di mio padre", "Per la causa dei Mapuches", "Vorrei entrare a studiare all'Università", "Prego perché in Cile ci sia la giustizia", "Perché voglio manifestare la mia fede cattolica in pubblico" sono alcune risposte date dai giovani che hanno partecipato al pellegrinaggio, interrogati sul motivo della loro presenza. (R.P.)

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    Colombia: i Gesuiti appoggiano i negoziati di pace

    ◊   Il processo di pace per tentare di porre fine a 48 anni di conflitto in Colombia è una “opportunità straordinaria”: ne è convinto padre Francisco de Roux, provinciale dei gesuiti in Colombia, a proposito dei negoziati di pace iniziati il 18 ottobre ad Oslo (Norvegia) tra la delegazione del governo colombiano e quella delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). I negoziati - riporta l'agenzia Sir - proseguiranno all‘Avana il 15 novembre, dove si sono svolti gli incontri preliminari. Padre de Roux ricorda il recente invito dell’episcopato colombiano a pregare per la pace - lanciato da mons. Rubén Salazar, presidente della Conferenza episcopale della Colombia l’11 ottobre scorso - e assicura l’appoggio dei gesuiti al processo. Ne parleranno nelle loro università, collegi, parrocchie, centri sociali, mezzi di comunicazione. “È il momento di far valere la nostra autorità morale e la credibilità personale e collettiva - afferma il religioso -, per mantenere vivo l’appello alla pace, per sostenere coloro che perdono la speranza, per far comprendere le difficoltà del cammino agli scettici”. “Questa volontà esplicita di appoggiare in privato e in pubblico i colloqui tra le parti è necessaria”, precisa il gesuita, perché il processo potrebbe incontrare ostacoli, “sia per interessi favorevoli alla soluzione armata, sia per mancanze umane all’interno dei negoziati”. (R.P.)

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    Vietnam: pellegrinaggi e iniziative sociali per l’Anno della Fede

    ◊   Pellegrinaggi ai luoghi sacri, preghiere speciali e attività nell'ambito della pastorale sociale, con la collaborazione della Caritas locale. I cattolici di Ho Chi Minh City - come in tutto il Vietnam - hanno promosso una serie di eventi in occasione dell'Anno della Fede. Intanto sono stati oltre cinque milioni i cattolici vietnamiti che hanno aderito alle iniziative pastorali in programma dal 14 al 21 ottobre, in concomitanza con la Settimana dedicata alle celebrazioni per l'apertura dell'Anno della Fede e che hanno coinvolto ciascuna parrocchia delle 26 diocesi nelle quali è suddiviso il Paese. Il 18 ottobre scorso il cardinale di Saigon, Jean Baptist Phạm Minh Mẫn ha presieduto la concelebrazione eucaristica, che ha dato il via agli eventi legati all'Anno della Fede a Ho Chi Minh City. Assieme al porporato hanno partecipato alla messa il vescovo ausiliare della ex Saigon mons. Peter Nguyễn Văn Khảm e altri 200 sacerdoti vietnamiti; alla funzione erano presenti migliaia di cattolici locali ed emigranti di origine vietnamita. Il cardinale Phạm Minh Mẫn ha rinnovato l'invito a "tornare alle radici dell'amore di Gesù", per trovare la vera fonte della vita, dell'amore e del servizio alla comunità. Il porporato ha inoltre rilanciato l'invito alla preghiera e il pellegrinaggio - personale o di gruppo - ai luoghi santi e storici del cattolicesimo in Vietnam. In precedenza, il 12 ottobre, la Conferenza episcopale vietnamita riunita per la prima volta a Than Hoa, alla presenza del rappresentante apostolico non permanente della Santa Sede mons. Leopoldo Girelli, ha aperto l'Anno della Fede, con una solenne funzione religiosa. Nell'omelia il diplomatico vaticano ha ricordato che "la vera fede non si ferma ai rituali, ma deve permeare il profondo di ciascuno" prendendo esempio dai "martiri vietnamiti", che hanno sacrificato la loro vita per Cristo. Intanto la lettera pastorale di Benedetto XVI, tradotta in lingua locale, è stata distribuita in tutte le parrocchie e a tutte le famiglie vietnamite. Per quanto concerne il Vietnam, sarà proprio la "sfida missionaria" - in una nazione segnata da decenni di ateismo di Stato, imposto dall'ideologia comunista - l'elemento su cui puntare nei prossimi anni "per raggiungere quel 90% di vietnamiti che non sono cattolici". Nel contesto, la Caritas di Saigon ha organizzato corsi di aggiornamento per 60 leader delle 211 parrocchie di Ho Chi Minh City, chiamati a coordinare il lavoro dei 705 volontari nell'assistenza a poveri, malati e bisognosi, sulle orme del Vangelo. (R.P.)

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    Cina: l'Anno della Fede ad Hai Men nel segno del Sacramento della Cresima

    ◊   Sono stati 445 i fedeli adulti della diocesi di Hai Men, nella provincia di Jiang Su, in Cina continentale, che hanno ricevuto i doni dello Spirito Santo nel sacramento della Cresima, all’apertura dell’Anno della Fede nella diocesi. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, mons. Giuseppe Shen Bin ha presieduto la solenne Eucaristia dinanzi a più di mille fedeli nella chiesa più antica della diocesi, dedicata a San Paolo. Come ha spiegato nell’omelia, “abbiamo fatto questa scelta per ricordare il nostro cammino della fede e la continuità della fede, che non si manifesta nelle parole, ma anche e soprattutto in gesti e testimonianze concrete, guidati dalla Parola di Dio. Con l’Anno della Fede dobbiamo consolidare la nostra fede, per essere sale e luce”. Inoltre il vescovo si è soffermato ad illustrare il senso e lo scopo dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, l’impatto storico del Concilio Vaticano II e la missione dell’evangelizzazione dei fedeli di oggi. La diocesi di Hai Men conta oltre 400 anni di storia dell’evangelizzazione, è una delle prime sei diocesi cinesi il cui vescovo, di origine cinese, venne consacrato da Pio XI nel 1926 in San Pietro in Vaticano. Nel suo lungo cammino di fede, la comunità cattolica ha contributo in modo sostanziale allo sviluppo religioso, culturale, educativo, sanitario e caritativo della società locale. Oggi la diocesi conta oltre 30 mila fedeli, 10 sacerdoti, una ventina di suore della Congregazione di Santa Teresina, 22 parrocchie. (R.P.)

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    Filippine: l'impegno delle suore per 600 disabili

    ◊   L’elenco di bambini e adulti fisicamente e mentalmente disabili nelle Filippine è pesante. Sono 600 i piccoli e grandi colpiti da differenti disabilità assistiti presso il centro Elsie Gaches, a Manila, gestito dalle Suore della Carità di Sant’Anna. La maggior parte - riferisce l'agenzia Fides - sono stati abbandonati, alcuni raccolti per le strade, tutti provenienti da famiglie molto povere che non sapevano cosa fare. Nell’istituto, l’unico del Paese che si occupa di persone diversamente abili, lavorano sette religiose e 170 professionisti e collaboratori. Ogni piccolo progresso, un sorriso, alcuni passi, l’apprendimento dei numeri o dell’alfabeto vengono celebrati come una festa e, sottolineano le suore, per ottenere questi risultati e dare ai bambini speranza e un futuro degno è necessaria la solidarietà, anche per far fronte ogni giorno alle tante necessità alimentari, di vestiario, terapie e farmaci, come pure agli stipendi dei collaboratori. Tanti bambini, tante storie. Nelle vicinanze del Centro, si possono vedere enormi agglomerati di baraccopoli in contrasto con i grattacieli. Non è semplice per le suore, ma il loro unico obiettivo è che possano vivere degnamente. In un contesto di estrema povertà, dal 1994 il Centro si occupa di questa fascia della popolazione particolarmente vulnerabile: alcuni sono arrivati da situazioni di “prigionia” in famiglia, vivendo segregati o completamente abbandonati. (R.P.)

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    Sinodo anglicano: ordinazione delle donne vescovo ed il saluto a Rowan Williams

    ◊   Ordinazione delle donne vescovo e saluto di addio all’arcivescovo Rowan Williams che lascia la guida della “Chiesa di Inghilterra” e della Comunione anglicana alla fine di dicembre. Questi i due temi più importanti del prossimo Sinodo Generale, che si svolgerà a Londra dal 19 al 21 novembre prossimi. Martedì 20 novembre potrebbe essere approvato il compromesso trovato dai vescovi anglicani lo scorso settembre per garantire chi è contrario all’ordinazione delle donne vescovo. La legislazione - riferisce l'agenzia Sir - era rimasta infatti bloccata al Sinodo dello scorso luglio dalle donne che ritenevano eccessive le concessioni fatte ad anglocattolici ed evangelici che si oppongono alla loro presenza nella “Chiesa di Inghilterra”. L’opposizione di evangelici conservatori e di anglocattolici non sarà dunque sufficiente per bloccare la legislazione ed è difficile immaginare che molti altri anglicani passeranno all’Ordinariato di Nostra Signora di Walsingham, avviato nel 2011, grazie alla costituzione apostolica del Papa “Anglicanorum coetibus”, che ha già accolto 80 sacerdoti e 1.500 fedeli. Mercoledì 21 novembre l’addio definitivo del Sinodo a Rowan Williams che lascia la guida della chiesa per diventare preside del Magdalene college di Cambridge. Il Primate anglicano, che ritorna alla vita accademica, ha definito “molto difficile” il compito del suo successore che dovrà mantenere unita una chiesa gia’ divisa sull’ordinazione dei gay e delle donne. (R.P.)

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    Roma. Le reliquie di Papa Wojtyla e Padre Pio accolte al Policlinico Umberto I

    ◊   “Pietro ma tu mi ami?”, “Tu lo sai che ti amo”: così il dialogo tra il Signore e l’apostolo nel Vangelo di oggi. E’ proprio in questa domanda e soprattutto nella sua risposta il messaggio profondo che ci conduce al cuore della vita di Giovanni Paolo II e di Padre Pio. Il loro amore profondo per il Cristo la fiducia incondizionata, sono il segreto delle loro vite. La fede cristiana è un rapporto personale con Cristo, non è adesione a messaggi o norme etiche. E’ fidarsi di Gesù!». Così mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma e delegato per la Pastorale della salute, ha accolto questa mattina nella cappella centrale del Policlinico Umberto I, le reliquie del Beato Giovanni Paolo II e di San Pio di Pietrelcina che, da oggi, saranno portate pellegrine durante quest’Anno della Fede, nei vari ospedali e case di cura della capitale. "Tutti ricordiamo - ha continuato il presule - l’immagine di Giovanni Paolo II nell’ultima Via crucis al Colosseo: lui e il Crocifisso. Anche oggi è il Crocifisso che interpella tutti noi, in particolare coloro che sono nella sofferenza, perché Lui è l’unico e vero interlocutore dell’uomo perché ha condiviso la nostra sofferenza". E facendo un accenno alle nuove generazioni, il vescovo ha sottolineato la necessità di educarle all’idea che la sofferenza umana è parte integrante dell’esistenza, ma che anche nel dolore non saremo mai soli. "Il Signore - ha spiegato - ha condiviso tutto della condizione umana perfino la sofferenza e la morte, ma è nella sua domanda “Mi ami tu?” il segreto di riuscire a trasformare la sofferenza in un’esperienza d’amore! E se la nostra risposta non sarà superficiale, ma un’espressione reale della fede della Chiesa, non sarà un semplice gesto che nasce solo dal bisogno e che si consuma nell’istante, ma la piena adesione al suo Vangelo per tutta la nostra esistenza nel tempo e oltre il tempo".

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    Strasburgo: il 2013 sarà proclamato "Anno dei cittadini"

    ◊   Un intero anno per rafforzare i legami tra cittadini e istituzioni europee: è quanto prevede l’Europarlamento che, riunito in sessione plenaria discute oggi, e voterà domani, sulla proposta per proclamare il 2013 “Anno europeo dei cittadini”. Tale iniziativa ha già di fatto l’avallo delle istituzioni Ue e prevede nel corso dei prossimi dodici mesi, in tutta Europa, “eventi per informare il pubblico, soprattutto i giovani, sui diritti dei cittadini dell’Unione, in modo particolare chi decida di studiare, lavorare, aprire un’attività o usufruire della propria pensione in un altro Stato membro”. Una nota del Parlamento europeo ripresa dall'agenzia Sir chiarisce: “I trattati Ue hanno creato il concetto di cittadinanza europea e ogni cittadino dell’Unione beneficia di una serie di diritti, inclusi il diritto di spostarsi e vivere liberamente in un altro Stato membro, il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni europee e locali e il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo”. L’Anno dei cittadini seguirà quello in corso dedicato all’invecchiamento attivo e alla solidarietà tra le generazioni. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 296


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