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Sommario del 20/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il dolore del Papa per l'attentato in Libano: cessi la violenza, pace per tutta la regione
  • Il Papa alla consegna del "Premio Ratzinger": c'è bisogno di persone che rendano Dio vicino all'uomo di oggi
  • Sinodo. Presentata la bozza del Messaggio sulla nuova evangelizzazione, intervista al card. Betori
  • Sinodo. Frère Alois: per i giovani, fondamentale l'ecumenismo
  • Nuova evangelizzazione e santità: l’editoriale di padre Lombardi
  • Domani la canonizzazione di Anna Schäffer: la malattia come via per abbracciare la Croce
  • Nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Israele: nuovi insediamenti a Gerusalemme Est. Al via il piano per nominare le strade
  • Libia: un anno fa l'uccisione del colonnello Gheddafi
  • Mali: al via intervento umanitario di Intersos per gli sfollati in fuga dal Nord
  • A Vicenza, una mostra sulla ricchezza della tradizione cristiana in Etiopia
  • Giornata mondiale dell'osteoporosi: una patologia a forte impatto sociale
  • Convegno su religione e disinformazione promosso dall'Ucsi di Lazio e Toscana
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: Brahimi tratta per una tregua, ancora scontri al confine turco
  • Unicef: bambini uccisi in Siria e Afghanistan, un "mostruoso conteggio di morti"
  • Congo: tre padri assunzionisti rapiti nella regione del Nord Kivu
  • Nigeria: a Oyo cristiani e musulmani insieme per la pace
  • Colombia: per la Chiesa il negoziato deve chiarire la situazione dei rapiti
  • Roma: nella chiesa di San Bartolomeo consegnate alcune reliquie di martiri polacchi
  • India: nuove indagini sulle violenze anticristiane di Kandhamal
  • Australia: l'aiuto della Chiesa per la popolazione filippina sconvolta dal tifone Ondoy
  • Sri Lanka: la Caritas lavora per superare le ferite del conflitto
  • Laos: cristiani laotiani costretti a rinnegare la fede
  • Mongolia: l’Anno della fede riparte dal Catechismo
  • Argentina: la Chiesa chiede più attenzione per i poveri nel nuovo Codice Civile
  • Guatemala: allarme per violenze su bambine, adolescenti e giovani donne
  • L’ Università scientifica di Mosca apre anche una cattedra di teologia
  • Slovacchia: a novembre l'apertura del museo su crimini e vittime del comunismo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il dolore del Papa per l'attentato in Libano: cessi la violenza, pace per tutta la regione

    ◊   Dolore di Benedetto XVI per le vittime dell'attentato di ieri a Beirut, che ha causato 8 morti e un centinaio di feriti. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone indirizzato al Patriarca maronita Bechara Boutros Raï, il Papa esprime il proprio cordoglio per le vittime del terribile attentato in Libano e rinnova l'appello di pace per tutta la regione. Una ferma condanna di quanto accaduto è stata espressa anche dal Patriarca maronita. Il servizio di Roberta Barbi:

    Benedetto XVI condanna fermamente la violenza “che genera sempre tanta sofferenza”. A poco più di un mese dal suo viaggio apostolico nel Paese dei Cedri, il Papa chiede dunque a Dio di dare "al Libano e a tutta la regione il dono della pace e della riconciliazione". Il Pontefice è vicino al dolore delle famiglie delle vittime e prega il Signore "affinché li accolga nella sua luce". Nel suo messaggio di cordoglio al Patriarca Bechara Raï, esprime quindi la sua vicinanza al popolo libanese, vittima del "terribile attentato" che ha sconvolto Beirut. Il Papa manifesta la propria solidarietà ai feriti, per i quali invoca il conforto di Dio, affinché li sostenga nella prova. Assicura infine le sue preghiere per tutta la popolazione libanese. Da parte sua, il Patriarca maronita esprime in un comunicato, di cui riferisce l’agenzia Fides, la forte condanna per quanto avvenuto: “Il Libano – scrive – viveva ancora della visita di Benedetto XVI. Quello di ieri è un criminale attentato contro la pace e gli effetti gioiosi della visita del Papa”. Dal Patriarca Bechara Raï arriva anche un invito ai suoi connazionali a unirsi e lavorare insieme per un futuro di pace per il Libano che resta “la terra dei Santi e l’Oasi della pace e della speranza”. “La nostra fede e la nostra speranza non crollano – conclude – Cristo Risorto ha vinto il Male e il peccato. Lo imploriamo per i defunti, i feriti e per le famiglie colpite. Lui solo è il grande e vero Consolatore”.

    Il giorno dopo l’attentato, la tensione resta alta in tutto il Paese: questa notte a Tripoli è stato ucciso un religioso sunnita e nella valle della Bekaa si contano due feriti nel tentato assalto a una sede di partito della maggioranza. Intanto il premier libanese Najib Miqati ha dichiarato che non ci sono dubbi sul legame tra l'uccisione, nell’attentato, del generale Wissam al Hasan, capo dell'intelligence della polizia, "e l'arresto nei mesi scorsi dell'ex ministro Michel Samah", reo confesso di aver pianificato per conto di Damasco attentati in Libano contro personalità antisiriane e si dice pronto a farsi da parte a vantaggio di un governo di unità nazionale. Al microfono di Manuella Affejee, ascoltiamo la testimonianza drammatica sull'attentato di ieri dell’arcivescovo maronita di Beirut, Paul Youssef Matar:

    R. – J’ai entendu de ma maison, de l’archevêché…
    Da casa mia, dall’arcivescovado, ho sentito una grande deflagrazione, a un chilometro, ottocento metri da qui. L’esplosione c’è stata a una sessantina di metri dalla sede del Partito falangista e a quattrocento metri da un’altra sede. Le conseguenze sono tragiche: numerose vittime tra morti e feriti, due edifici semidistrutti.

    D. – Pensa che questo attentato sia stato rivolto in particolare ai cristiani?

    R. – Il s’est produit en plein quartier chrétien; qui est visé ce sont évidemment…
    E’ avvenuto in pieno quartiere cristiano; i bersagli erano chiaramente le persone, i civili. Ed è questo che lo rende più grave: non è, infatti, una guerra politica, non sono i politici il bersaglio degli attentati, ma i poveri civili nelle loro case. Questo provocherà ancora più terrorismo, ancora più paura … Noi cerchiamo di lavorare perché il nostro Paese non sia coinvolto in quello che sta accadendo in Siria, ma ci sono persone che vogliono invece spingerlo nella guerra … non lo so. So che ci vuole tanta saggezza, tanta forza per salvare questo nostro Paese.

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    Il Papa alla consegna del "Premio Ratzinger": c'è bisogno di persone che rendano Dio vicino all'uomo di oggi

    ◊   Il Papa ha consegnato, stamani in Vaticano, il Premio Ratzinger per la teologia a due eminenti studiosi: il gesuita americano padre Brian Daley, docente di teologia storica, e il professore francese Rémi Brague, studioso di Filosofia delle Religioni. “Personalità esemplari - ha detto Benedetto XVI - per la trasmissione del sapere che unisce scienza e sapienza”. Alla cerimonia hanno preso parte anche i Padri sinodali. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Due “personalità” in senso pieno, due professori universitari molto impegnati nell’insegnamento. Così, il Papa descrive i vincitori del premio Ratzinger: padre Brian Daley e il professore Rémi Brague, “entrambi impegnati nella Chiesa – ha detto Benedetto XVI – attivi nell’offrire il loro contributo qualificato alla presenza della Chiesa nel mondo di oggi”. Ed entrambi dediti a "due aspetti decisivi per la Chiesa dei nostri tempi": l’ecumenismo per il padre gesuita in particolare con gli ortodossi; la filosofia delle religioni, soprattutto ebraica e islamica nel Medioevo, per il prof. Brague. Nel consegnare il premio, il Papa ha espresso il desiderio di rileggere alcuni documenti del Concilio Vaticano II come la Dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane e il Decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e ancora la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa:

    “Sicuramente sarebbe molto interessante, caro padre e caro professore, ascoltare le vostre riflessioni e anche le vostre esperienze in questi campi, dove si gioca una parte rilevante del dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo”.

    Esprimendo poi il suo “particolare apprezzamento e gratitudine” per la fatica di comunicare i frutti delle ricerche dei due studiosi, “impegno gravoso ma prezioso per la Chiesa”, il Papa ha ricordato l’importanza delle personalità premiate:

    "Personalità come il padre Daley e il prof. Brague sono esemplari per la trasmissione di un sapere che unisce scienza e sapienza, rigore scientifico e passione per l’uomo, perché possa scoprire l’'arte del vivere'".

    Uomini che hanno lo sguardo fisso verso Dio e che da Lui attingono per aiutare il prossimo a comprendere che “Cristo è la strada della vita” :

    “Persone che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio vicino e credibile all’uomo d’oggi, ciò di cui abbiamo bisogno”.

    Infine, l’invito dei Benedetto XVI a riscoprire la vera “arte del vivere”:

    “Operare nella vigna del Signore, dove ci chiama, perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano scoprire e riscoprire la vera ‘arte del vivere’: questa è stata anche una grande passione del Concilio Vaticano II, più che mai attuale nell’impegno della nuova evangelizzazione”.

    Nel presentare i due vincitori del premio, il cardinale Camillo Ruini, presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, ha sottolineato che “il contesto attuale - l’Anno della Fede e il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, nel 50.mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II - rafforza il significato del conferimento di questi premi”:

    “La fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ha visto, infatti, in Remi Braque e Brian Daley due studiosi che a partire da una straordinaria conoscenza delle origini e della storia della fede cristiana sanno guardare in avanti per costruire, sulla base di questa medesima fede, il presente e il futuro della famiglia umana, in conformità all’intenzione profonda della teologia di vostra Santità”.

    Sulle emozioni nel ricevere questo premio, Catherine Aubin, della nostra redazione francese, ha intervistato il prof. Remi Braque:

    R. – Dans le plexus solaire ... il se trouve que j'étais loin ...
    In realtà, mi ha lasciato senza fiato, perché ero lontano da casa; la lettera ufficiale era stata inviata ad un indirizzo che non è più il mio, e ho saputo la notizia per puro caso, da internet e peraltro grazie ad una "fuga di notizie": il tutto è accaduto alla fine di luglio. Mi trovavo in Croazia, per la precisione a Zadar, per una sorta di “università estiva” alla quale i croati mi avevano invitato. Quando ho appreso la notizia è stata una sorpresa grande, per più ragioni. Intanto, perché non sono un teologo! Pensavo che si trattasse di un premio riservato solo a teologi, e inoltre potrei nominare almeno una decina di persone che più di me meriterebbero una simile distinzione. Ovviamente, ne sono stato molto contento, anche lusingato per il riconoscimento riservato al mio lavoro. Però, sono veramente caduto dalle nuvole quando l’ho saputo. Sono felice perché penso che forse questo premio possa contribuire a far meglio conoscere la mia opera.

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    Sinodo. Presentata la bozza del Messaggio sulla nuova evangelizzazione, intervista al card. Betori

    ◊   I cristiani portino il Vangelo nel mondo con sereno coraggio, vincendo la paura con la fede e consapevoli della nostalgia di Dio racchiusa nel cuore dell’uomo: questo il fulcro del messaggio del Sinodo sulla nuova evangelizzazione, in corso in Vaticano. La bozza del documento, ancora provvisorio, è stata presentata stamani nel corso della 18.ma Congregazione generale. Il testo verrà poi emendato e messo ai voti venerdì prossimo. Il servizio di Isabella Piro:

    Un’anfora vuota che attende di essere riempita da un’acqua pura che dà la vita: con questa immagine si apre la bozza del messaggio del Sinodo. Un’immagine che richiama la sete e la nostalgia di Dio racchiuse nel cuore dell’uomo contemporaneo, ma anche la missione evangelizzatrice della Chiesa ed il suo compito di andare incontro all’umanità, proprio come ha fatto Cristo con la samaritana al pozzo.

    Il messaggio è ancora provvisorio, dovrà essere emendato e poi messo ai voti, nella sua versione definitiva, venerdì prossimo. Ma quello che emerge, fino ad ora, è un tono diretto, chiaro, consapevole delle difficoltà ed anche delle sfide della nuova evangelizzazione. Niente pessimismo, dunque, dicono i vescovi: tutti, consacrati e laici, siano coinvolti nell’annuncio del Vangelo. Non si tratta certamente di inventare nuove strategie di evangelizzazione, evidenzia il Sinodo, perché la Buona Novella non è un prodotto di mercato. Occorre, invece, riscoprire i metodi con cui accostare gli uomini di oggi alla vicenda di Gesù.

    La bozza del messaggio chiama, quindi, in causa tutte le categorie ecclesiali e sociali – vescovi, sacerdoti, consacrati, famiglie, giovani, politici e molti altri – e a tutti rivolge parole di gratitudine e di incoraggiamento per il loro operato e per lo sviluppo integrale dell’umanità. Il documento provvisorio ribadisce anche l’importanza del dialogo interreligioso, delle opere di carità, dell’educazione e di un’evangelizzazione che parta innanzitutto dai membri stessi della Chiesa.

    Inoltre, lo schema del testo guarda ai singoli continenti e per ognuno di essi offre suggerimenti ed esortazioni utili alla nuova evangelizzazione, a seconda delle realtà specifiche di ogni area geografica. Quello che conta, conclude il documento provvisorio, è che i cristiani vincano la paura con la fede ed abbiano il sereno coraggio di portare il Vangelo in tutto il mondo che, sebbene pieno di incongruenze e di sfide, resta creazione di Dio.

    Per un bilancio di queste prime due settimane di lavori del Sinodo in Vaticano, Paolo Ondarza ha intervistato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e presidente della Commissione per il messaggio del Sinodo:

    R. – Lo sguardo che emerge dai nostri lavori è soprattutto uno sguardo di grande fiducia, di positività. La Chiesa si trova a confronto con grandi problemi, ma è una Chiesa viva, non è una Chiesa morta!

    D. – Lo sforzo comune dei Padri sinodali è quello di andare ad intercettare le domande dell’uomo contemporaneo ed anche il suo bisogno di Dio. Le risposte sono molteplici, gli ambiti sono molteplici. Vogliamo cercare di focalizzare alcuni punti?

    R. – Pur nella diversità delle culture e delle situazioni sociali non c’è stata Chiesa continentale che non abbia messo al primo posto la dimensione familiare dell’esperienza di fede sia come luogo in cui ci si trasmette la fede di generazione in generazione sia come luogo in cui oggi questa esperienza di trasmissione della fede è messa in crisi maggiormente, per i molteplici attacchi che la cultura, e a volte le situazioni sociali e politiche, pongono alla famiglia.

    D. – La famiglia oggi sta perdendo la sua identità. Pensiamo a famiglie in cui ci sono genitori risposati o figli nati da più unioni. La Chiesa intende comunque porsi in contatto con queste realtà?

    R. – Io direi che non c’è mai nessun muro tra la Chiesa e le persone. Si tratta, al contrario, di creare spazi in cui anche laddove non sia possibile una pienezza di comunione, che si esprima attraverso la partecipazione all’Eucaristia, non manchino però nella Chiesa spazi per le persone che vivono situazioni familiari, come si usa dire, “irregolari” rispetto all’immagine del matrimonio che Gesù ci ha affidato, e restino però spazi di appartenenza alla Chiesa, di vita, anche di protagonismo ecclesiale nel servizio alla carità, in tanti altri modi con cui appunto ci si rende membra vive della Chiesa stessa. Nessuno è "buttato fuori" dalla comunità, per una sua irregolarità di situazione familiare. Al contrario, ha maggiore bisogno di essere accolto, sostenuto. Si pensi soprattutto ai figli, che forse sono quelli che soffrono di più di queste situazioni.

    D. – Per chiudere: la sua personale esperienza dei lavori di questi giorni...

    R. – Anzitutto, la fraternità tra i vescovi. Noi oggi si viene dagli angoli più lontani del mondo, ci s’incontra qui e si sente di far parte di un’unica famiglia. Anche questo atteggiamento di partecipazione ai sogni, ai pesi, alle sofferenze, ma anche alle gioie degli altri, mi sembra una bella esperienza di comunione. Poi, mi ha molto colpito anche l’atteggiamento del Santo Padre che umile ascolta, prende appunti con la sua matita come uno dei vescovi del mondo, anche se lui è il vescovo di Roma, il centro di tutta la nostra comunione! Quindi, vederlo lì come ciascuno di noi, pronto ad ascoltare gli altri, fa molta impressione. Lui, che è il maestro, diventa nostro discepolo in qualche modo, di tutti noi discepoli del Signore, nell’ascoltare quello che lo Spirito dice attraverso la voce di ciascuno dei vescovi presenti.

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    Sinodo. Frère Alois: per i giovani, fondamentale l'ecumenismo

    ◊   Per le giovani generazioni, la ricerca dell’unità tra i cristiani diventa irresistibile: questa la riflessione che Frère Alois, priore della Comunità ecumenica di Taizé, ha presentato in questi giorni al Sinodo sulla nuova evangelizzazione, al quale partecipa come invitato speciale. Ma perché l’ecumenismo è così importante per i giovani? Al microfono di Paolo Ondarza, ascoltiamo lo stesso frère Alois:

    R. – Penso che i giovani oggi abbiano bisogno di un’esperienza di comunione e questa esperienza di comunione, di amicizia, di condivisione, di ascolto, possa risvegliare una curiosità per la fede. Noi sperimentiamo questo a Taizè. Quando c’è un’esperienza di comunione, possiamo anche approfondire la fede, e grazie a questo con tutti i giovani, di tutte le confessioni - cattolici, ma anche ortodossi e protestanti – possiamo ascoltare la Parola di Dio insieme, possiamo anche pregare insieme e fare così l’esperienza dell’unità della Chiesa.

    D. – La divisione tra cristiani spesso richiama a divisioni storiche, dovute al passato, ma i giovani si sentono già uniti in Cristo?

    R. – Sì e no: si sentono uniti, perché possono fare l’esperienza di pregare insieme. Questo ecumenismo della preghiera è un’esperienza dell’anticipazione dell’unità. Loro, però, sanno anche che ci sono diverse Chiese, ci sono diverse realtà ecclesiali e che dobbiamo tenerne conto.

    D. – Al di fuori del contesto di Taizé, com’è possibile per un giovane vivere l’ecumenismo nel proprio ambiente, nella propria città?

    R. – Io sono stato in Ucraina, alcune settimane fa, e molti giovani ucraini verranno a Taizé: cattolici romani, cattolici greci ed ortodossi. Hanno detto che si sarebbero incontrati a Taizé e che volevano incontrarsi anche nei loro rispettivi Paesi. Abbiamo fatto così una preghiera nella nuova cattedrale greco-cattolica a Kiev. E per la prima volta giovani ortodossi hanno partecipato a questa preghiera e sono entrati nella cattedrale. Penso che i giovani possano aprire cammini per incontrarsi, per ascoltarsi reciprocamente non solo a Taizé, ma anche nelle città in cui vivono.

    D. – Perché il linguaggio dei giovani è un linguaggio comune...

    R. – Sì, è un linguaggio comune, perché vogliono porre domande esistenziali. Perché crediamo? Chi è il Cristo? Cosa vuol dire la Resurrezione? La fede come può cambiare la mia vita? Queste domande sono esistenziali e tutti i giovani se le pongono.

    D. – Oggi i giovani non negano l’esistenza di Dio, però magari non hanno esattamente la conoscenza di chi è Dio...

    R. – Sì, c’è un’indifferenza, che non è un rifiuto della fede. Si può vivere anche senza Dio, ma quando i giovani incontrano situazioni di sofferenza o di divisione, allora la domanda di Dio si fa più presente.

    D. – Per chiudere, il suo augurio per questo Sinodo...

    R. – Che sia un momento, un periodo di comunione gioiosa, perché soltanto così possiamo trasmettere qualcosa.

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    Nuova evangelizzazione e santità: l’editoriale di padre Lombardi

    ◊   Grande attesa per la Messa nella quale, domani, Benedetto XVI proclamerà 7 nuovi Santi. La celebrazione sarà presieduta dal Papa sul sagrato della Basilica di San Pietro alle ore 9.30. Concelebreranno, tra gli altri, i Padri sinodali. Su questo importante evento ecclesiale, ascoltiamo la riflessione del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava dies”, il settimanale d’informazione del Centro Televisivo Vaticano:

    Mentre il Sinodo riunito a Roma continua il suo laborioso cammino di riflessione sul tema sconfinato della “nuova evangelizzazione”, cercando temi unificatori e fili conduttori fra le centinaia di interventi pronunciati nei giorni scorsi da vescovi, ospiti e osservatori, la cerimonia di canonizzazione di domenica 21 ottobre irrompe sulla scena come un fascio potente di luce e di gioia. Ben sette beati vengono proclamati modelli di santità per tutta la Chiesa. Sacerdoti, religiosi, religiose, laici, laiche. Uomini e donne. Vissuti in Europa, Asia, Africa, America, Oceania. Dal gesuita missionario in terre lontane che muore martire in Madagascar, al sacerdote educatore e formatore dei giovani in difficoltà, alla malata che svolge per decenni nel suo letto la missione spirituale preziosissima della sofferenza. Dal giovane catechista laico filippino, martire anch’egli, alla religiosa dedicata alla cura dei lebbrosi e a quella che si spende per l’educazione di bambine, giovani, operaie. E, vero fiore di questo gruppo meraviglioso, la giovane Kateri Tekakwita, frutto straordinario del primo annuncio della fede fra le tribù degli indiani d’America. I santi, da sempre, sono i testimoni più credibili della fede cristiana, della presenza viva e operante dello Spirito di Gesù risorto, della trasformazione dell’umanità grazie alla potenza misteriosa del Vangelo. Senza di essi la Chiesa non vive, tantomeno diffonde efficacemente il Vangelo in mezzo a un mondo che forse ha difficoltà ad accettarlo, ma ne ha un bisogno immenso per ritrovare gratuità di amore, gioia e speranza, che non sa dove attingere. Anche la nuova evangelizzazione ripartirà dai santi del nostro tempo.

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    Domani la canonizzazione di Anna Schäffer: la malattia come via per abbracciare la Croce

    ◊   Anna Schäffer, bavarese che visse a cavallo tra l’800 e il ‘900, aveva il grande desiderio di farsi missionaria ma un grave incidente la costrinse a letto per molti anni. Nonostante ciò fu sempre pronta a offrire ascolto e a pregare per gli altri. Nel beatificarla, nel 1999, Giovanni Paolo II disse che “malattia e debolezza possono essere le righe su cui Dio scrive il suo Vangelo”. Domani, Benedetto XVI la canonizzerà in Piazza San Pietro. Della sua spiritualità, Benedetta Capelli ha parlato con il postulatore della sua causa, Andrea Ambrosi:

    R. – Dobbiamo sempre pensare che era una laica, che ha trascorso gran parte della sua breve vita a letto tra grandi sofferenze a seguito di un incidente occorsole quando aveva poco più di 15 anni. Quindi, da quel momento, per più di 20 anni è vissuta tra queste sofferenze, ringraziando il Signore di tutto quello che le mandava. Costituisce, quindi, per noi laici un richiamo ad accettare la missione che Gesù ha stabilito per ciascuno, fosse anche quella di abbracciare in un atteggiamento di umiltà la più dura delle croci. La vita ci riserva sempre tante sorprese e noi siamo portati sempre al pessimismo, invece lei ci insegna che con l’aiuto di Gesù possiamo sempre trasformare le cose infauste che tutti i giorni ci capitano in momenti di gioia, se li vediamo sempre finalizzati all’incontro con Gesù.

    D. – Voleva diventare tanto una missionaria. La sua vita purtroppo andò in un’altra direzione, ma in un certo senso fu allo stesso tempo anche una missionaria...

    R. – Sì, dal suo letto di sofferenze ha sempre guardato al punto che per lei era centrale, quello di diventare missionaria. Ma missionaria lo è diventata, perché presso di lei affluiva – dato che la fama di santità ha cominciato a circondarla da giovane – tanta, tanta gente. Lei riceveva tutte queste persone e parlava loro in un modo che sembrava molto strano per una giovane contadina non istruita. Poi, nel suo ricchissimo epistolario fatto di centinaia di lettere, che scriveva un po’ a tutti, parlava sempre della diffusione dell’amore di Gesù e quindi delle missioni.

    D. – Si parla spesso dei sogni di Anna Schäffer. Di che si tratta?

    R. – Sì, lei sognava e vedeva quello che poi le sarebbe accaduto. Quindi, attraverso questi sogni lei ha purificato il suo animo fino ad entrare in uno stato di particolare unione con il Signore. La gente si accorgeva di come lei fosse veramente in unione con il Signore, anche dal suo viso che era l’unica parte del corpo che sorrideva ed era felice, mentre il resto era tutto una ferita. Quindi, si capiva questa unione che aveva con Dio.

    D. – Anna morì nel 1925. Ad oggi è una figura conosciuta, soprattutto in Germania?

    R. – Sì, è molto conosciuta naturalmente nella diocesi di Ratisbona e in tutta la Baviera. Molti pellegrini vengono anche da Paesi vicini, specialmente dall’Austria e dalla Svizzera. Si è già visto quando è stata dichiarata beata, nel marzo del ’99, che è venuta molta, molta gente per questa umilissima giovane, che ha vissuto davvero una vita di tanta sofferenza.

    D. – C’è una definizione che le piace associare ad Anna Schäffer ?

    R. – La sua conformità alla volontà di Dio, che era abituale in lei.

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    Nomine

    ◊   In Italia, il Santo Padre ha nominato Vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato mons. Luigi Ernesto Palletti, trasferendolo dalla sede titolare di Fondi e dall’incarico di Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Genova. Il Santo Padre ha inoltre nominato Vescovo della diocesi di Alessandria mons. Guido Gallese, del clero dell’arcidiocesi di Genova, finora Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Università e Responsabile diocesano per la Pastorale giovanile. Infine, il Papa ha nominato Arcivescovo di Brindisi-Ostuni mons. Domenico Caliandro, trasferendolo dalla sede vescovile di Nardò-Gallipoli.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il Libano non torni indietro: Benedetto XVI condanna il sanguinoso attentato a Beirut in cui sono morte otto persone.

    Nell’informazione internazionale, sull’instabilità e l’insicurezza in Libia un articolo di Giuseppe M. Petrone dal titolo “La primavera tarda ad arrivare”.

    Alla scoperta dell’arte del vivere: in cultura, il conferimento - da parte di Benedetto XVI - del Premio Ratzinger (seconda edizione) al patrologo gesuita Brian Daley e al filosofo Rémi Brague.

    “Sopra il tempo inseguendo il Vero” e “Un genio che rivendicava il diritto alla pazienza”: Antonio Paolucci e Sandro Barbagallo sulla mostra, alle Scuderie del Quirinale, “Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese”.

    “Siamo nati e cresciuti in mezzo agli dei”: Lucetta Scaraffia sul libro di racconti “Fallaste corazon” di Isabella Ducrot.

    Nell’informazione vaticana, gli interventi scritti dei padri sinodali e gli interventi di uditori e uditrici.

    Sul valore fondamentale della teologia dell’inculturalità, un articolo del vescovo Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, dal titolo “La Chiesa in Africa e la nuova evangelizzazione”.

    La santità non appartiene al passato: sulle canonizzazioni di domani intervista di Nicola Gori al cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

    Nella strada tracciata dal Vaticano II: nell’informazione religiosa, il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei, sulla ricezione del concilio in Italia.

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    Oggi in Primo Piano



    Israele: nuovi insediamenti a Gerusalemme Est. Al via il piano per nominare le strade

    ◊   La municipalità di Gerusalemme ha deciso, entro il 2013, di dare un nome a tutte le vie della città soprattutto della parte Est. Una buona notizia per facilitare la vita quotidiana del quartiere ma che rischia però di inasprire le già forti tensioni politiche e religiose tra le diverse anime della città. In questi giorni, inoltre, Israele ha annunciato la costruzione di 800 nuovi insediamenti proprio a Gerusalemme Est, provocando la dura risposta dei palestinesi, secondo cui questa ennesima manovra distruggerà definitivamente la prospettiva di due Stati. Cecilia Seppia ne ha parlato con mons. William Shomali, vicario Patriarcale di Gerusalemme.

    R. - E’ vero, tutto è legato al problema del futuro Stato palestinese e delle frontiere tra i due Stati. I terreni di Gilo si trovano nella zona occupata che apparteneva alla città di Betlemme e dunque, costruire insediamenti là vuol dire consacrare l’occupazione e rendere più difficile i futuri negoziati. Il presidente Mahmud Abbas ha legato il ritorno ai negoziati al "congelamento" degli insediamenti; il fatto di non rispettare questa sua precondizione - valida e lecita - implica una provocazione, una sfida.

    D. - Il negoziatore palestinese, tra l’altro, ha chiesto aiuto alla comunità internazionale, perché si esprima con il voto e perché consenta alla Palestina di ottenere lo status di Stato membro delle Nazioni Unite; cosa che dovrebbe accadere nella prossima assemblea di novembre. Questa è l’unica soluzione, di fatto…

    R. - Per il momento, è l’unica richiesta dalla quale ci si può attendere una risposta. Più di così i palestinesi, per il momento, non possono ottenere dai 193 Paesi del mondo. Anzi per il momento essi sperano che 150 votino in favore della Palestina come Stato non membro perché questo darà una promozione allo statuto dei palestinesi che quindi saranno accettati anche come membri di istituzioni internazionali.

    D. - Altra questione, invece, la decisione adottata dalla municipalità di Gerusalemme, di dare un nome a tutte le vie della città. Questo, da una parte, è una buona notizia, perché sappiamo che ci sono problemi anche per lo smistamento della posta. Dall’altra, però nasconde un problema di carattere politico…

    R. - C’è una parte pragmatica: per esempio, nella strada in cui si trova il Patriarcato latino non ci sono numeri. Se qualcuno manda una lettera e nell’intestazione scrive “Via del Patriarcato latino”, ci sono talmente tanti ristoranti, case ed appartamenti, che non si sa di preciso dove recapitare la lettera. Ma, senz’altro, anche qui è tutta una questione politica; se dobbiamo dare un nome alle strade, dipende da quale nome diamo: se diamo nomi cristiani, musulmani o ebrei diventa un atto politico o religioso. Io non conosco tutti i nuovi nomi, ma spero che il municipio rispetterà la diversità nella città e la coabitazione tra le tre religioni.

    D. - Anche perché Gerusalemme cristallizza nelle sue mura un insieme di soggettività, di eredità controverse e, di fatto, dare il nome ad una via è un po’ come prendere posizione, dare indice di autorità. Questo non deve avvenire…

    R. - Si, di fatto è come “battezzare” una strada. Le sette porte di Gerusalemme hanno ciascuna due nomi. Tramite il nome io indico l’identità e la storia di questa porta: c’è un nome arabo, un nome inglese e spesso c’è un nome ebraico per la stessa porta. Lo stesso vale per le strade, perché il nome che si dà alla strada indica una opzione politica.

    D. - Ci potrebbe essere anche l'intenzione di Israele di "appropriarsi" di Gerusalemme Est, "futura capitale palestinese". Quindi, anche qui si ravvisa il pericolo di uno sconfinamento…

    R. - Certo; ma per ora, prima di sapere il risultato, con tutti i nomi, ci affidiamo alla buona volontà. Fino a prova contraria.

    D. - La sua sensazione, insomma, è che ci sia collaborazione in questo senso?

    R. - Hanno richiesto nomi arabi per alcune strade; ai palestinesi, agli arabi hanno chiesto di indicare nomi di personaggi storici influenti, amati e apprezzati, della storia palestinese. Dunque, questo è positivo: perché negarlo?

    D. - C’è un auspicio che lei vuole fare, proprio alle autorità di Gerusalemme, che dovranno prendere questa decisione

    R. - Sì, che rispetti il pluralismo in questa città. Questa città appartiene a tre religioni e bisogna riflettere questo pluralismo in tutti i dettagli: bisogna dare nomi di gente che ha lavorato per la pace, per la giustizia; si possono trovare nomi di autori, poeti, scrittori anche del passato cristiano e del passato musulmano della città: sono nomi su cui si trova sempre una certa convergenza.

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    Libia: un anno fa l'uccisione del colonnello Gheddafi

    ◊   In Libia, un anno fa, l’uccisione del colonnello Gheddafi a Sirte, la sua roccaforte. Una morte ancora piena di ombre per il presunto coinvolgimento di servizi di intelligence francesi. Il Paese da allora è in difficoltà soprattutto sul fronte della sicurezza. Ieri sono stati due i morti, tra di loro un 13enne, negli scontri tra esercito ed ex ribelli a Bani Walid, città natale di Gheddafi. Sulla figura del rais di Tripoli nel primo anniversario della morte, Benedetta Capelli ha chiesto un commento al prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano:

    R. – Gheddafi è stato un opportunista politico in senso stretto: ha tirato fuori la Libia da una situazione di "sonnolenza" ed ha cercato di usare quel Paese come un trampolino per le sue ambizioni personali, scontrandosi però con la realtà dei fatti perché la Libia è un Paese dotato di grandi risorse petrolifere, ma alla fine ha solo quelle. Gheddafi ha sponsorizzato il terrorismo di matrice palestinese ma non solo. Resta un personaggio negativo.

    D. – Ad un anno di distanza, il Paese ha ancora moltissime problematiche aperte. Lei che bilancio può fare di questo primo anno?

    R. – All’inizio eravamo molto più preoccupati di quello che poteva succedere. In un primo tempo è sembrato che, tutto sommato, l’intervento avesse prodotto un risultato positivo. All’improvviso, dal momento delle elezioni in poi, tutto è andato peggiorando. Non tanto in termini di infiltrazioni di estremisti islamisti, quanto nella difficoltà di tenere insieme Cirenaica e Tripolitania. Questo credo che sia il problema principale che abbiamo di fronte in questo momento.

    D. – Un altro problema importante è anche la composizione dell’esercito che non garantisce assolutamente stabilità in questo Paese...

    R. – No, perché le forze di sicurezza rischiano di essere percepite come una formazione armata in mezzo ad altre formazioni armate. Dopo i fatti di Bengasi era sembrato che ci fosse una spinta al disarmo delle milizie. C’è stato anche un tentativo volenteroso di farlo. Alla fine, però, il rischio di una frammentazione del Paese per aree geografiche, per gruppi tribali, ed eventualmente anche per milizie politiche, continua ad essere elevato. Certamente sarebbe un paradosso perché l’intervento in Libia è stato costoso, importante, motivato ad evitare, appunto, il disordine. Se dovessimo ritrovarci in una situazione di anarchia istituzionalizzata, avremmo buttato via tempo, soldi, vite per nulla.

    D. – Intanto sta emergendo un forte coinvolgimento della Francia nella morte di Gheddafi. Che ruolo ha la Francia oggi in Libia?

    R. – La Francia è presente in tutto il Maghreb con le attività d’intelligence. La sensazione, per le informazioni che abbiamo, è che tutto sommato, se c’è un Paese che non ha portato a casa quello che pensava di poter portare a casa, in termini di influenza politica e anche di contratti economici, è proprio la Francia. I francesi hanno assunto la guida della coalizione, hanno effettuato l’intervento, ma poi, alla fine, mi pare che non stiano portando alcun risultato. Anche perché c’è stato un cambio di presidenza e c’è stato anche il fatto che la crisi economica morde più adesso la Francia di quanto non la stesse mordendo ai tempi dell’intervento in Libia.

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    Mali: al via intervento umanitario di Intersos per gli sfollati in fuga dal Nord

    ◊   Una forza internazionale da inviare nel Nord del Mali finita sotto il controllo armato di gruppi fondamentalisti islamici. Se n’è discusso durante un vertice che si è svolto, ieri, a Bamako alla presenza di esponenti dell’Unione Africana, della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale, dell’Unione Africana, Unione Europea e Onu. Intanto sul terreno è iniziato l’intervento umanitario di Intersos a favore di migliaia di sfollati in fuga dal Nord a causa di violenze e violazioni dei diritti umani. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Federica Biondi, capo missione della struttura nella vicina Mauritania:

    R. – Un intervento militare, comunque, provocherà ulteriori movimenti della popolazione che fino ad ora, da un lato, è andata verso Paesi limitrofi, quindi cercando di ottenere lo status di rifugiato, e, dall’altro, invece ha scelto di lasciare le aree del Nord, che prima erano scenari di combattimento - ora invece sono occupati da gruppi armati - per andare nelle aree limitrofe del Sud. Quindi, noi, come Intersos, in questo momento ci troviamo a Mopti - regione nell’immediato confine tra il Nord e il Sud - nel Sud dove un gran numero di sfollati interni ha cercato un’area sicura, un’area sotto il controllo del governo maliano.

    D. – Quali sono le esigenze della popolazione, in questo momento?

    R. – Ovviamente le esigenze primarie della popolazione sono quelle della sopravvivenza. Prima di tutto, quindi, ricevere razioni alimentari e beni di prima necessità. La maggior parte di questa popolazione è stata accolta da famiglie e amici e si è immediatamente innescato un meccanismo di solidarietà, che è molto presente nella cultura locale. I numeri, però, sono altissimi: si parla di 32 mila persone, di notte. Quindi, il carico dell’accoglienza delle persone che vengono dal Nord non può essere lasciato alle sole famiglie maliane.

    D. – Come si articola il vostro intervento?

    R. – In queste situazioni bisogna vigilare perché le fasce più deboli della popolazione, cioè le persone vulnerabili, ricevano l’assistenza, e soprattutto che non ci siano violazioni del diritto. Quindi che non ci siano azioni di violenza sessuale e che per esempio non ci si liberi più facilmente della figlia, facendola sposare precocemente, per sottrarsi dal carico del mantenerla. In queste situazioni, il fenomeno del matrimonio precoce e forzato spesso viene esacerbato.

    D. – Quali sono le altre necessità dei bambini?

    R. – La risposta immediata, che bisogna dare in questi casi, è riuscire a ripristinare un quadro di vita il più vicino possibile alla normalità. E l’offerta principale che bisogna dare ai bambini è, da un lato, l’educazione e, dall’altro, creare attività consone al bambino e eventualmente dare risposte ai problemi psicosociali. Questo, per esempio, lo stiamo facendo in questo momento nei campi di rifugiati in Mauritania, dove sono affluite da gennaio ad ora - i numeri ufficiali dicono - 108 mila persone, nel Sud-Est della Mauritania, nella località del campo di M'beira.

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    A Vicenza, una mostra sulla ricchezza della tradizione cristiana in Etiopia

    ◊   Oltre un centinaio di preziosi manufatti artistici: è questo il contenuto della mostra intitolata “Aethiopia Porta Fidei. I colori dell'Africa cristiana”, presentata ieri a Roma e che sarà ospitata al Museo diocesano di Vicenza, dal 27 ottobre al 24 febbraio. A presentarla, tra gli altri, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, e il cardinale Demerew Souraphiel Berhaneyesus, arcivescovo di Addis Abeba. Il servizio di Fausta Speranza:

    Una storia religiosa millenaria, prima giudaica e poi cristiana, fa dell’Etiopia un Paese definito provincia dell’Oriente cristiano "casualmente" in terra d’Africa. La mostra mette in luce tale storia attraverso icone, rotoli magici, croci, libri, strumenti. Reperti particolarissimi per un’esposizione che ha anche una precisa finalità particolare: sostenere il progetto della realizzazione di un’Università Cattolica intitolata a "San Tommaso d'Aquino" in Etiopia. L’arcivescovo di Addis Abeba, cardinale Demerew Souraphiel Berhaneyesus:

    “I nostri servizi educativi sono molto apprezzati dal popolo ed è il governo etiopico che ha chiesto al Santo Padre Giovanni Paolo II di aprire lì un’università. Questa università sarà molto importante per l’Etiopia, ma anche per tutto il Corno d’Africa: quindi non solo per l’Etiopia, ma per la Somalia, per Gibuti, per l’Eritrea, per il Sudan… Solo con l’educazione si può avere una coesistenza pacifica; con l’educazione si può partecipare allo sviluppo del Paese; con l’educazione si può anche avere un forte influsso sul Medio Oriente, dove si recano molti etiopici per lavorare come domestici, come infermieri. Questa università sarà veramente molto importante”.

    Un significato in più per recarsi a visitare la Mostra, nelle parole del cardinale Angelo Scola:

    “La lunghissima tradizione esposta nella mostra comincia addirittura le sue radici nel popolo ebraico e viene fatta risalire così lontano, fino quasi alla Regine di Saba: piace collegare il grande poema del Cantico dei Cantici. Riscoprire questa ricchezza serve a noi europei per perdere l’autoreferenzialità che ci caratterizza. Non a caso siamo in decadenza - e questo dobbiamo dircelo apertamente - non solo per ragioni demografiche, perché siamo tutti vecchi, e quindi stanchi in quanto vecchi, ma anche per questa pronunciata autoreferenzialità che è derivata spesso da un senso di superiorità che, pur avendo come radice ultima delle giustificazioni dal punto di vista della storia, del pensiero e della cultura, non si giustifica mai quando va oltre i limiti di una capacità di convivenza e di unità con tutta quanta la famiglia umana. La ricchezza di questa Chiesa, che la mostra documenta, è un’occasione e una provocazione per la nuova evangelizzazione in Europa”.

    Impossibile raccontare la particolarità di ogni reperto. Citiamo 40 icone di piccolissimo formato, realizzate tra il XVI e il XVIII secolo, che sembrano sintetizzare, con intensi colori l’immaginario religioso di un popolo, le radici della tradizione artistica in Etiopia.

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    Giornata mondiale dell'osteoporosi: una patologia a forte impatto sociale

    ◊   Ricorre oggi la Giornata mondiale dell’osteoporosi. E’ una malattia che erode lentamente le ossa e colpisce prevalentemente le donne: il 33% tra i 60 e i 70 anni di età e il 66% al di sopra degli 80. Inizia in età premenopausale e la conseguenza più diretta è la facilità alle fratture ossee. Anche se in numero minore, anche gli uomini non ne sono immuni. Eliana Astorri ha intervistato il prof. Alfredo Pontecorvi, Ordinario di endocrinologia e Direttore dell'Unità Operativa di endocrinologia e malattie del metabolismo del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma.

    R. – Gli interventi di prevenzione nei riguardi dell’osteoporosi devono essere attuati soprattutto nella fase di accumulo dell’osso, che è la fase di crescita dell’organismo, anche la fase adolescenziale e la fase di vita giovane-adulta, tra i 20 e i 40 anni. Bisogna raggiungere lì un picco di massa ossea adeguato in modo da sopportare la fisiologica perdita dell’osso che si avrà nel tempo, e non giungere mai a quelle soglie di frattura che pongono poi la persona a rischio di fratture vertebrali o femorali che sono la causa più importante di morbidità e anche di mortalità dovute all’osteoporosi.

    D. – Ci può spiegare di che patologia si tratta?

    R. – L’osteoporosi è una malattia da perdita della massa ossea, cioè diminuisce la quantità di osso. Sia la parte minerale dell’osso, la parte calcificata, per intenderci, sia la parte organica che supporta le ossa. Quindi è una perdita dell’osso in toto, una rarefazione delle ossa che diventano via via sempre più friabili, più sottili e vanno incontro al rischio di fratture. Ci sono due tipi di osteoporosi: c’è un’osteoporosi primaria e un’osteoporosi secondaria. Quella primaria può essere divisa in due grandi sottocapitoli: l’osteoporosi post-menopausale, più precoce, che si verifica esclusivamente nelle donne. Diciamo che incomincia a comparire già quattro-cinque anni prima che scompaiano i cicli mestruali, cioè prima che ci sia la vera certificazione ginecologica di menopausa, e perdurano per i cinque anni successivi alla scomparsa dei cicli mestruali. Questo è il periodo più critico per la donna, il periodo perimenopausale, in cui si verifica questa osteoporosi di tipo uno o post-menopausale, come la chiamiamo noi. Poi c’è un’osteoporosi senile che ha la stessa prevalenza nei maschi come nelle donne e che incomincia dopo i 65 anni e fa parte del fisiologico indebolimento di tutti i tessuti del nostro corpo.

    D. – A questo punto dobbiamo parlare degli esami da fare per accertarci che questo processo sia iniziato oppure no …

    R. – Il gold-standard, l’esame cardine per fare la diagnosi di osteoporosi è la mineralometria ossea computerizzata o Moc, come la conoscono tutti gli italiani, ma che in realtà è meglio definire densitometria ossea. Questa, infatti, ci dà un’idea della quantità di calcio che è depositata all’interno delle nostre ossa. Oggi, purtroppo, si tende a bere molto meno latte di quello che si faceva un tempo. Ci sono teorie che sostengono che il latte faccia male, che l’uomo sia un carnivoro, che non ha bisogno del latte se non nei primi mesi neonatali e quindi la popolazione consuma molto meno latte e conseguentemente assume molto meno calcio. L’altro elemento importante, oltre al calcio, è la vitamina D: infatti, il calcio viene assorbito molto poco tramite l’alimentazione se non c’è un apporto adeguato di vitamina D. La vitamina D è un ormone a tutti gli effetti, non è una vitamina. E’ un ormone simile agli ormoni tiroidei, simile al cortisolo – gli ormoni del surrene – simile agli estrogeni, al testosterone, come meccanismo d’azione; viene prodotta soprattutto dall’esposizione alla luce solare. La vitamina D viene prodotta a partire dal colesterolo a seguito dell’irradiazione con i raggi ultravioletti tramite la cute e quindi basterebbe esporsi una mezz’oretta al giorno al sole per produrre adeguate quantità di vitamina D. Poi, ovviamente, viene introdotta con la dieta.

    D. – L’Organizzazione mondiale della sanità ha collocato l’osteoporosi tra le patologie a forte impatto sociale, perché si ripercuote sul lavoro, sulle relazioni personali …

    R. – Certo: tenga presente che le fratture di femore rappresentano una delle emergenze maggiori nelle fasce di età trai 65 anni in su e nella nostra popolazione anziana, considerando che si invecchia sempre di più. Una frattura di femore ha una probabilità di mortalità successiva intorno al 18 per cento nelle donne, superiore al 20 per cento negli uomini – sono più rare ma più mortali negli uomini – proprio per tutta una serie di complicanze successive che esse comportano: dal tromboembolismo venoso all’allettamento protratto che a sua volta causa tutta una serie di problemi cardiovascolari e respiratori.

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    Convegno su religione e disinformazione promosso dall'Ucsi di Lazio e Toscana

    ◊   “Spingitori di cavalieri”: è il titolo con il quale si è aperto oggi, presso l’Abbazia di San Galgano, in provincia di Siena il convegno sulla disinformazione religiosa organizzato dall’Ucsi, Unione della stampa cattolica, di Lazio e Toscana. Al dibattito hanno preso parte giornalisti, esponenti della Chiesa e storici che si sono confrontati sul difficile rapporto tra informazione e religione. Il servizio di Stefano Leszczynski:

    Il convegno prende spunto dalla storia di San Galgano, forse una delle figure della storia della Chiesa maggiormente mistificata dal mondo dell’informazione. Esoterismo, leggende, appropriazioni massoniche sono all’ordine del giorno ancora oggi, addirittura fino ad ipotizzare cambi di persona con Re Artù e i Cavalieri della Tavola rotonda. Ma la mistificazione, la mala informazione sulle tematiche religiose - come hanno fatto notare giornalisti del calibro di Fausto Gasparroni dell’Ansa, storici come Fabrizio Dal Passo, Francesco Silvestri - hanno radici storiche lontane. Un percorso che viene ricostruito anche nel volume, presentato al convegno, “Giornalismo e religione” di don Giuseppe Costa direttore della Lev, la Libreria Editrice Vaticana, che prende in considerazione oltre sessanta anni di informazione religiosa e analizza in particolare gli anni del Concilio.

    “Dunque, di chi sono le responsabilità della disinformazione?”, si chiedono i relatori. Certamente i giornalisti e il sensazionalismo ricercato giocano un ruolo, ma - fa notare il critico televisivo Mariano Sabatini - grande colpa è da attribuire a un pubblico, a una società che è incapace di scegliere e di premiare con la selezione i programmi più validi. Atteso per il pomeriggio, anche l’intervento di mons. Antonio Buoncristiani, arcivescovo di Siena, cui spetterà l’onere dell’analisi dell’informazione da parte della Chiesa e del mondo dell’informazione religiosa, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca legati alle note vicende di "Vatileaks".

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa 29.ma Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il Vangelo in cui Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di farli sedere accanto a Lui nella sua gloria, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. La richiesta suscita l’indignazione degli altri discepoli, ma Gesù dice:

    “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Ultimo grande insegnamento di Gesù sulla strada verso Gerusalemme. Due discepoli tentano il colpo: ottenere la promessa dei primi posti accanto a Gesù. Il fascino del potere e del prestigio rimane ancora forte se questi due lo chiedono esplicitamente, suscitando l’irritazione degli altri, che forse si vedevano scavalcati. Eppure Gesù aveva parlato poco prima della sua umiliazione, della sua sofferenza a causa dall’ostilità dei capi. Inutile, i discepoli pensavano secondo altre categorie, il Maestro non era riuscito a convincerli. Allora Gesù tenta ancora una volta di proporre la sua logica: non potere e onori, ma croce e umiliazione si devono aspettare i discepoli. È quello che sta per avverarsi per il Figlio dell’uomo: è venuto per servire e dare la vita, con totale disponibilità al nostro bene. Proprio su questo stile alternativo insistono le altre letture bibliche. Una convergenza che non consente fughe o furbizie a nessuno: essere discepoli e poi cercare onori e potere è assurdo, non è la logica di Gesù. Guardiamoci attorno: non sono tanti quelli che si lasciano convincere da Gesù e si mettono al servizio, con cuore generoso… Eppure in questo si gioca l’autenticità dell’identità cristiana.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: Brahimi tratta per una tregua, ancora scontri al confine turco

    ◊   In Siria, 12 soldati sarebbero rimasti vittima di bombardamenti turchi, effettuati in risposta ai colpi di mortaio sparati da oltre frontiera: lo riferisce la stampa di Ankara. Secondo l’opposizione siriana sono invece 30 i morti negli scontri tra lealisti e ribelli, che si stanno affrontando ad Aleppo, e a Maaret al-Numan: qui, secondo l’agenzia Afp, l’aviazione governativa avrebbe usato anche bombe a grappolo. E’ però Damasco il centro dei combattimenti. Molti residenti, sui social network, parlano di un’esplosione nel sobborgo di al-Qadam, e di altre vicino all’autostrada Southern Bypass, accompagnate da scontri tra esercito e insorti. Formazioni di ribelli avrebbero anche cercato di entrare nella città vecchia. Proprio nella capitale si è svolto questa mattina il vertice tra il mediatore internazionale Lakhdar Brahimi e il ministro degli Esteri siriano Walid Muallim. Sul tavolo c’è la proposta di una tregua, appoggiata da Iran e Turchia, che dovrebbe essere applicata durante la Festa islamica del sacrificio, dal 26 al 28 di questo mese. L’appello per la tregua era stato condiviso ieri anche dagli Stati Uniti. (A cura di Davide Maggiore)

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    Unicef: bambini uccisi in Siria e Afghanistan, un "mostruoso conteggio di morti"

    ◊   "Un altro attentato, ieri, in Afghanistan. Fra i 15 morti e i 18 feriti, si contano molti, troppi bambini. Il bus esploso a causa di un ordigno era diretto a una festa di matrimonio”. Tutto questo avviene “mentre infuriano i bombardamenti in Siria da parte delle forze governative. Tra le circa 50 vittime dell‘ultimo raid - riferisce l'agenzia Sir - ci sono 9 donne e 23 bambini. Bambini, quelli uccisi in queste ultime ore, che accrescono un già mostruoso conteggio di morti”. Lo afferma in una nota Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef, sottolineando che i bambini sono “di nuovo protagonisti in negativo di un conflitto, quello siriano, che s‘inasprisce giorno dopo giorno, e di un focolaio di guerra, quello afghano, non ancora estinto. Quanto tempo e quanti appelli serviranno perché lo sfacelo non si bagni di altro sangue innocente? Sangue di bambini colpiti nella loro quotidianità, sangue di bambini che andavano a una festa di matrimonio con le loro madri”. L‘Unicef è da “sempre impegnata con tutte le proprie forze nelle zone di guerra” e continuerà ad aiutare “i più bisognosi, primi fra tutti i bambini”. “Mi auguro - conclude Iacomini - che la comunità internazionale metta in atto con la dovuta celerità ed efficacia tutti i provvedimenti necessari a frenare la furia di guerre politiche e conflitti interreligiosi”. (R.P.)

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    Congo: tre padri assunzionisti rapiti nella regione del Nord Kivu

    ◊   Tre padri assunzionisti sono stati rapiti ieri sera nel nord della regione di Kivu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Padre Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasikundi e Edmond Bamutute, questi i loro nomi, sono stati prelevati intorno alle 21 da sconosciuti dalla comunità sacerdotale della parrocchia di Notre Dame des Pauvres di Mbau, a 22 km a nord della città di Beni. A darne notizia è il Segretario della Commissione per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale congolese (Cenco). Finora non si conosce l’identità dei rapitori né il luogo in cui sono stati portati i tre sacerdoti. (A cura di padre J.P. Bodjoko)

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    Nigeria: a Oyo cristiani e musulmani insieme per la pace

    ◊   Disoccupazione, lotta per le risorse naturali e strumentalizzazioni della politica sono i grandi nemici della convivenza pacifica tra i popoli e le fedi della Nigeria: lo dice all'agenzia Misna mons. Emmanuel Badejo, il vescovo di Oyo, raccontando di un simposio interreligioso organizzato questo mese dalla sua diocesi. “Con i rappresentanti delle religioni tradizionali e delle diverse comunità cristiane e musulmane – dice mons. Badejo – abbiamo discusso di come le violenze minaccino la pace soprattutto quando si sostiene siano commesse nel nome della fede”. Nel territorio della diocesi di Oyo - riferisce l'agenzia Misna - vivono circa due milioni di persone. Nonostante si trovi nel sud della Nigeria, per lo più cristiano, la diocesi è abitata in prevalenza da musulmani. I cristiani sono circa 600.000 e i cattolici appena 55.000. Come nelle edizioni degli anni scorsi, il simposio ha accolto e sollecitato il contributo di tutti. “L’elemento sul quale ci siamo trovati d’accordo – dice il vescovo – è che tra le prime cause delle violenze in Nigeria ci sono la disoccupazione e le strumentalizzazioni di chi cerca di far leva sul senso di appartenenza religiosa per conquistare il potere politico a livello locale o nazionale”. Il titolo dell’ultima edizione del simposio è stato “Violenze nel nome della religione: una preoccupazione per tutti”. Ai lavori ha partecipato anche il capo degli imam di Oyo. In un documento approvato al termine del simposio si fa riferimento agli attentati rivendicati soprattutto nel nord della Nigeria da Boko Haram, un gruppo armato che sostiene di battersi per l’applicazione della sharia. “Boko Haram afferma di essere un gruppo islamico – si sottolinea nel testo – ma le sue stragi sono condannate alla stessa maniera sia dai cristiani che dai musulmani”. (R.P.)

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    Colombia: per la Chiesa il negoziato deve chiarire la situazione dei rapiti

    ◊   La Chiesa cattolica colombiana ha accolto con grande speranza l'avvio dei negoziati di pace tra il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), mettendo in guardia tuttavia sul fatto che, per avere successo, il negoziato deve portare alla luce tutta la verità. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, l’arcivescovo emerito di Medellin, mons. Alberto Giraldo Jaramillo, parlando alla stampa locale, ha sottolineato che nei colloqui dovrebbero essere chiarite molte cose accadute durante il conflitto armato interno, compresa la sorte dei civili e dei soldati che sono ancora rapiti. “Dobbiamo portare alla luce la verità in ogni modo, mettere la verità sul tavolo, soprattutto per ciò che riguarda i rapimenti” ha detto l’arcivescovo, che poi ha aggiunto: “Senza la verità sarà difficile la riconciliazione che tutti si aspettano nel nostro Paese”. Mons. Giraldo ha manifestato fiducia per questo nuovo sforzo per la pace, che formalmente ha avuto inizio a Oslo, in Norvegia e proseguirà a Cuba, con l'accompagnamento di Venezuela e Cile. Il Governo del Presidente Santos e le Farc hanno concordato a Oslo di avviare la discussione il 15 novembre a Cuba, trattando come primo punto lo sviluppo dell'agricoltura. Le due parti nomineranno dei portavoce che dovranno incontrarsi 10 giorni prima a L'Avana a Cuba, per continuare i lavori preparatori necessari, secondo un comunicato diffuso giovedì scorso nella capitale norvegese. (R.P.)

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    Roma: nella chiesa di San Bartolomeo consegnate alcune reliquie di martiri polacchi

    ◊   Ieri sera a Roma nella chiesa di San Bartolomeo all'Isola Tiberina, sono state consegnate alcune reliquie di martiri polacchi: Karolina Kozkowna, Stanislaw Starowieyski, Jerzy Popieluszko. Le reliquie sono un frammento osseo di Karolina Kozkowna; una lettera di Stanislaw Starowieyski alla moglie da Dachau ed una delle pietre con cui Jerzy Popieluszko fu gettato nella Vistola. La solenne liturgia è stata presieduta dal cardinale Stanislaw Dziwisz mentre l'omelia è stata tenuta dal cardinale Kazimierz Nycz, arcivescovo di Varsavia. Erano presenti il presidente della Conferenza episcopale polacca mons. Josef Michalik, il vice-presidente dei vescovi polacchi mons. Stanislaw Gadecki e delegazioni dalla Polonia, fra cui un figlio di Starowieyski, una sorella e un fratello di Popieluszko. (R.P.)

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    India: nuove indagini sulle violenze anticristiane di Kandhamal

    ◊   La Corte suprema dell'India ha inviato una nota a governo, polizia e ufficio investigativo dell'Orissa, per chiedere spiegazioni sull'alto tasso di assoluzioni legate ai pogrom anticristiani di Kandhamal (2008). I giudici hanno dato otto settimane di tempo al chief minister Naveen Patnaik e ai suoi ministri per rispondere alle accuse della Ong "Iniziativa per la giustizia, la pace e i diritti umani". Secondo il gruppo - riferisce l'agenzia AsiaNews -su 185 processi ben 121 si sono risolti con assoluzioni, e le 64 condanne riguarderebbero reati minori, mentre gli accusati di omicidio, stupro, incendio doloso e razzia sarebbero a piede libero. Per Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), la mossa della Corte suprema "dà nuova speranza alle famiglie delle vittime di Kandhamal, che da quattro anni soffrono e chiedono giustizia". Secondo il presidente del Gcic, la decisione presa dalla Corte suprema "sottolinea il ripristino dei principi di giustizia naturale, che sono regole fondamentali. Fino a oggi, la giustizia naturale è stata negata alla comunità cristiana dell'Orissa".(L.F.)

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    Australia: l'aiuto della Chiesa per la popolazione filippina sconvolta dal tifone Ondoy

    ◊   In tutte le parrocchie e diocesi dell’Australia, la Giornata Missionaria Mondiale di domenica 21 ottobre comporterà un particolare impegno per le Pontificie Opere Missionarie del Paese (Catholic Mission Australia). Martin Teulan, direttore nazionale di Catholic Mission Australia, ha proposto come tema della Giornata "Restore Hope, Share Grace". E’ un appello con il quale si vuole sottolineare il principale obiettivo di quest’anno: ridare speranza alla popolazione filippina di Sitio Ronggot che, nel 2009, ha perso case e ogni genere di sostentamento in seguito al tifone Ondoy che ha inondato l’intero villaggio. Le piogge torrenziali - riferisce l'agenzia Fides - hanno sommerso case e popolazione per tre lunghi mesi. Grazie agli instancabili sforzi della missionaria suor Maureen Cejas, sostenuta dalla Chiesa cattolica locale e da Catholic Mission Australia, gli abitanti di Sitio Ronggot hanno ricominciato lentamente a ricostruire le loro vite. Il trasferimento della popolazione dal villaggio di Sitio Ronggot a Canossa Galvaville è già a buon punto, il terreno qui è più elevato, le case sono di nuova costruzione e si sta ultimando una cappella polifunzionale. "Anche se Catholic Mission non è principalmente un fondo di emergenza, appena si è scatenato il tifone Ondoy, i nostri missionari, come suor Maureen, hanno immediatamente provveduto ad offrire assistenza spirituale, pastorale e pratica, compresi generi alimentari, abbigliamento, ripari di emergenza e medicine" si legge in una nota del direttore nazionale inviata all’agenzia Fides. Recentemente Teulan è andato a trovare suor Maureen e ha constatato di persona come la gente del villaggio devastato si stia sistemando nella nuove case, iniziando così a superare il periodo della disperazione. (R.P.)

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    Sri Lanka: la Caritas lavora per superare le ferite del conflitto

    ◊   “Lo sforzo in cui siamo maggiormente impegnati è nell’unire le due comunità del Nord e Sud del Paese e proporre loro esperienze di condivisione, soprattutto alle vittime di guerra, come vedove e orfani, disabili e bambini. Lo sforzo di far sperimentare la differenza delle due culture aiuta a superare le ferite”. A parlare è padre George Sigamoney, direttore di Caritas Sri Lanka, in un’intervista all'agenzia Sir durante un incontro a Roma con le Caritas operanti nel Paese. A tre anni dalla fine di un lungo e sanguinoso conflitto tra il gruppo armato ribelle delle “Tigri tamil” e l’esercito governativo, lo Sri Lanka ha avviato percorsi di riconciliazione a cui partecipa anche la Chiesa locale. “Pochi Paesi hanno avuto uno sviluppo così rapido ad una distanza così breve dalla fine di un conflitto - osserva padre Sigamoney -. Il governo, insieme alle organizzazioni non governative e agli organismi internazionali, sta cercando di riportare le persone sfollate a casa e far sì che la vita riprenda normalmente”. Tra le oltre 5.000 persone scomparse durante il conflitto, conferma padre Sigamoney, vi sono anche “alcuni sacerdoti”. “È importante - auspica - che chi ha responsabilità assolva il proprio compito di dare informazioni ai familiari degli scomparsi. Risolvere questo problema è un modo per giungere alla riconciliazione”. (R.P.)

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    Laos: cristiani laotiani costretti a rinnegare la fede

    ◊   Sedute incentrate sulla religione animista, rituali e giuramenti, pur di strappare i cristiani alla loro fede. Secondo quanto riferiscono fonti di Human Rights Watch for Lao Religious Freedom (Hrwlrf), sarebbe questo l'ultimo tentativo delle autorità laotiane nei confronti di tre pastori protestanti, arrestati nel settembre scorso con generiche - e infondate - accuse di propaganda anti-governativa e attività cospiratore a sfondo confessionale. Visto che non vi sono motivazioni di natura legale - riferisce l'agenzia AsiaNews - per mantenerli in stato di custodia, i funzionari hanno chiesto l'intervento dei capi villaggio della loro area i quali hanno proposto di sottomettere i cristiani a "rituali e pratiche" tipiche della tradizione volte a "rinnegare la loro fede". L'11 settembre scorso le forze di polizia del distretto di Phin, nella provincia meridionale di Savannakhet, hanno fermato tre pastori protestanti - Bounlert, Adang e Onkaew - trasferendoli nel carcere di Savannakhet. Dopo settimane di indagini preliminari, le autorità provinciali non hanno rinvenuto alcun elemento per giustificare l'arresto, disponendo così il rilascio. Il 10 ottobre scorso durante il trasporto dalla prigione alle loro case nei villaggi del distretto di Phin, si sono però perse le tracce dei tre leader cristiani. Le famiglie hanno atteso a lungo, e invano, il loro arrivo. I pastori Bounlert, Adang e Onkaew sono stati trattenuti, dietro disposizione dei funzionari locali, nel carcere distrettuale di Phin, dove hanno subito altri maltrattamenti, vessazioni, minacce e altri abusi alla ricerca di "nuove prove" per incriminarli. Infine la svolta di ieri pomeriggio, quando i vertici della polizia hanno convocato i capi villaggio di Allowmani e il gruppo degli anziani, assieme ai familiari del pastore Bounlert. Capo villaggio e anziani hanno chiesto di sottoporre i cristiani a rituali animisti e a giuramenti della tradizione popolare della zona eseguiti con "acqua sacra", con lo scopo preciso di "farli abiurare dalla loro fede" per poi "farli rientrare nelle loro case". Non trovando espedienti legali o prove di accusa nei loro confronti, gli ufficiali di Phin intendono usare la tradizione popolare per vincere le resistenze dei cristiani. Tuttavia, i tre pastori e le loro famiglie hanno opposto un netto rifiuto, dicendo di essere pronti ad affrontare ogni conseguenza ma che non abbandoneranno mai la loro fede, rivendicando il diritto alla libertà religiosa garantito dalla Costituzione del Laos. (R.P.)

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    Mongolia: l’Anno della fede riparte dal Catechismo

    ◊   Per la giovanissima Chiesa della Mongolia, l'Anno della Fede "è una sfida e un invito a ripartire dal catechismo. Ecco perché oggi più che mai i formatori cattolici sono fondamentali". Con queste parole mons. Wenceslao Padilla, vescovo di Ulaanbaatar, ha aperto il corso mensile di formazione per i catechisti che si è svolto nella capitale mongola. La prima missione mongola - riferisce l'agenzia AsiaNews - venne aperta nel 1992 proprio da mons. Padilla, che arrivò a Ulaanbaatar con due confratelli della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria. Oggi sono 64 i missionari che, provenienti da 18 Paesi, lavorano con la comunità locale: appartengono a 9 congregazioni religiose e alla diocesi coreana di Daejeon. Nel frattempo, i cattolici hanno raggiunto le 415 unità. Al momento, i catechisti sono 16 e lavorano sia a Ulaanbaatar che a Shuwuu: in totale sono 3 le parrocchie diocesane del Paese. A coordinarli sarà la signora Rufina, che ha studiato a Roma per 3 anni, presentata alla sua squadra lo scorso 9 ottobre. Fino a oggi, l'impegno principale del gruppo è stato quello di tradurre dall'inglese al mongolo i testi fondamentali per l'educazione cattolica. Ora, le cose stanno per cambiare. Dopo un momento di confronto e di dialogo sulla propria missione, infatti, i catechisti si sono riuniti per ascoltare il vescovo. Secondo mons. Padilla "l'Anno della Fede e il 50° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II ci chiamano a una nuova missione, a una rinnovata spinta evangelizzatrice. Insieme a queste ricorrenze, la Mongolia festeggia i primi 20 anni della propria esistenza: un sentiero difficile ma anche gratificante". "Ora - ha concluso il presule - dobbiamo portare nelle nostre parrocchie il programma del terzo anno pastorale: 'Seguitemi in una via di santità'. Ed è compito vostro fare in modo che il messaggio arrivi a tutti e venga compreso per quello che è: un rilancio della fede e della missione della Chiesa in Mongolia". (R.P.)

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    Argentina: la Chiesa chiede più attenzione per i poveri nel nuovo Codice Civile

    ◊   La Commissione Giustizia e Pace dell’episcopato argentino, in un comunicato, ha fatto alcune osservazioni sulla proposta di un nuovo Codice Civile e Commerciale, al centro di un ampio dibattito tra tutti i settori della società. La nota inizia ricordando quanto i vescovi hanno già segnalato nelle udienze pubbliche sull’importanza del riconoscimento della qualità di persona dal momento del concepimento, sul rispetto dell’identità dei bambini, sul rifiuto alla “cosificazione” (uso materiale e commerciale) della donna attraverso l'affitto dell’utero, sul rispetto dei diritti essenziali del matrimonio e sulla semplificazione delle procedure per le adozioni. Il testo invita inoltre a una riflessione sulla prospettiva dei più poveri ed esclusi. In primo luogo, a proposito del capitolo sulla proprietà della casa del nuovo Codice Civile e Commerciale, esortano a non abbandonare la denominazione di bene di famiglia - così come definito nella Costituzione Nazionale - nel senso che casa e famiglia sono due concetti che dovrebbero essere protetti unitamente. Sempre nell’ambito della proprietà, i vescovi criticano la forte difesa di quella individuale nella sua accezione classica, che sebbene debba essere difesa, mai deve prevalere sul “destino universale dei beni”, ossia sulla funzione sociale della proprietà. La nota della Commissione di Giustizia e Pace dell’episcopato argentino suggerisce poi la ripresa del progetto iniziale nel capitolo dedicato al diritto all’acqua, poiché l’acceso all’acqua potabile è un diritto fondamentale ancora negato a una parte della popolazione. Ancora chiede che vengano ascoltate le richieste dei popoli autoctoni che hanno espresso, in forma unanime e massiccia, la loro preoccupazione per la mancata consultazione riguardo al riconoscimento della loro personalità giuridica - che dovrebbe essere pubblica e non statale - e una migliore regolamentazione del diritto di proprietà indigena. Infine, l’episcopato si mostra favorevole alla proposta di un parlamentare che chiede la proroga della scadenza per la discussione della riforma del nuovo Codice Civile e Commerciale. “Non si tratta di una legge che debba risolversi per interessi, urgenze o per imposizioni di numero – si legge nel comunicato della Commissione Giustizia e Pace dell’episcopato argentino –. E’ una grande opportunità per costruire insieme una nazione di fratelli”. (A cura di Alina Tufani)

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    Guatemala: allarme per violenze su bambine, adolescenti e giovani donne

    ◊   La fascia della popolazione più vulnerabile del Guatemala è costituita dalle giovani donne che subiscono violenze di ogni tipo. E’ quanto ha dichiarato la direttrice dell’Ufficio per la Tutela dei Diritti Umani dell’arcivescovado di Città del Guatemala in una nota giunta all’agenzia Fides. Le bambine sono le vittime più soggette a maltrattamenti infantili, le adolescenti subiscono abusi sessuali che molte volte non vengono denunciati, e le giovani donne sono oggetto di discriminazione e in alcuni casi sono costrette a sposarsi e privarsi del loro futuro intellettuale. Una bambina che rimane incinta vede svanire tutti i sogni di poter continuare gli studi per costruire un futuro migliore. Questo porta a favorire il livello di povertà. Secondo la responsabile dell’ufficio per la tutela dei diritti umani, il Guatemala è un Paese 'maschilista' e questo influisce molto sull’abuso verso i minori. Il fenomeno è evidente con la gravidanza delle bambine, che spesso rimangano incinte a soli 10 anni. In molti casi i “carnefici” sono loro familiari che non vengono denunciati. In Guatemala esiste una legge che tutela l’infanzia, tuttavia le istituzioni ancora si devono organizzare in modo che le linee guida legali possano essere pienamente messe in atto e avere un impatto reale. La carenza è dovuta al fatto che lo Stato non impiega sufficienti risorse a questo scopo, privilegiando altre problematiche. (R.P.)

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    L’ Università scientifica di Mosca apre anche una cattedra di teologia

    ◊   Una delle più prestigiose scuole scientifiche in Russia, l'Università nazionale per gli studi nucleari, anche conosciuta come "Mefi" sta per aprire un nuovo dipartimento dedicato agli studi teologici. A guidare il Dipartimento sarà il metropolita di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento sinodale per le relazioni esterne del Patriarcato. L'arciprete Vladimir Shmaliy, vicerettore degli Studi ecclesiastici postlaurea, ha spiegato che l'idea del dipartimento di teologia è stata dell'università e risale al 2010, all'epoca della visita del Patriarca Kirill. Secondo quanto riportato dal quotidiano russo Izvestia, la Chiesa sta preparando un documento intitolato "Equilibrio tra fede e scienza" e il nuovo dipartimento di teologia dovrebbe contribuire ad offrire agli studenti una visione meno contrastante della realtà, "in cui fede e ragione non sono per forza una contro l'altra". (L.F.)

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    Slovacchia: a novembre l'apertura del museo su crimini e vittime del comunismo

    ◊   Il Museo dedicato ai crimini e alle vittime del comunismo in Slovacchia avrà la sua sede ufficiale nei locali dell’Università di scienze sociali e della salute di Bratislava. L’accordo, siglato tra l’Università e l’associazione civile “Eroi silenziosi” per un periodo di cinque anni, è entrato in vigore il 18 ottobre. Una “mostra di prova” - riferisce l'agenzia Sir - verrà aperta al pubblico a fine novembre di quest’anno, mentre l’apertura ufficiale è fissata per marzo 2013 in occasione del 25° anniversario della Manifestazione delle candele. “I nostri membri hanno condotto delle ricerche sulla vita dei cosiddetti eroi silenziosi, ossia di tutte quelle persone che durante le persecuzioni comuniste hanno contribuito, con il loro atteggiamento, al ritorno della democrazia”, ha spiegato Frantisek Neupauer, tra i promotori del progetto. L’associazione civile “Eroi silenziosi” invita tutte le persone di buona volontà a contribuire all’istituzione del museo, che si propone di documentare non solo le violazioni della libertà da parte del regime comunista, ma anche tutte quelle ingiustizie che continuano ad essere commesse in varie regioni del mondo. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 294

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.