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Sommario del 15/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Sinodo: laici protagonisti della nuova evangelizzazione
  • Appello per il Mali al Sinodo: nel Nord gli integralisti vogliono imporre la Sharia
  • Sinodo. La testimonianza di una laica francese: portare la speranza dov’è vuoto e dolore
  • Il Movimento dei Focolari promuove un incontro con i Padri sinodali
  • Rinuncia episcopale in Colombia
  • Domenica la canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima Santa pellerossa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Filippine: dopo 43 anni, accordo di pace tra governo e Fronte islamico di liberazione Moro
  • L'Ue vara nuove sanzioni contro la Siria. Ankara chiude lo spazio aereo a Damasco
  • Libia: incaricato il nuovo premier Ali Zeidan
  • Sicurezza alimentare: convegno a Roma in vista della Giornata mondiale dell’alimentazione
  • Giornata delle donne rurali, fondamentali nella lotta alla fame ma escluse e discriminate
  • Jordi Faulí nuovo architetto della Sagrada Familia: "Sarà ultimata entro il 2026"
  • Baumgartner supera il muro del suono in caduta libera: intervista con l'astronauta Paolo Nespoli
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine. Un anno dall'omicidio di padre Tentorio: l’esercito blocca le indagini
  • Pakistan: Malala Yousafzai verrà curata in Inghilterra. Cristiani in preghiera
  • Iraq: Anno della Fede "per i cristiani a contatto con il volto del Crocifisso"
  • Cina: i cattolici sono entrati nel vivo dell'Anno della Fede
  • Sud Corea: nuovo Santuario per i martiri coreani
  • Cambogia: è morto a Pechino l'ex re Norodom Sihanouk
  • Congo: il ruolo di Parigi al summit della Francofonia di Kinshasa
  • Colombia: attesa per l'avvio del negoziato di pace
  • Messico: troppe bambine costrette a sposarsi ancora minorenni o a subire violenze
  • El Salvador: mons. Rosa Chavez chiede di rilanciare la credibilità alla politica
  • El Salvador: premiato padre Angel, "messaggero di pace"
  • Haiti: un disco per la raccolta fondi per le nuove generazioni
  • Francia: no della Federazione protestante ai matrimoni gay
  • Nobel per l'Economia 2012 agli americani Roth e Shapley
  • Il Premio Vittorino Colombo a padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews
  • Il Papa e la Santa Sede



    Sinodo: laici protagonisti della nuova evangelizzazione

    ◊   Formare adeguatamente i laici, sostenere la famiglia, promuovere il dialogo ecumenico ed interreligioso: questi gli ‘strumenti’ della nuova evangelizzazione, messi in evidenza stamani dal Sinodo dei vescovi, in corso in Vaticano. Al centro della Congregazione odierna, l’undicesima, svoltasi alla presenza del Papa, anche un appello per la pace ed il dialogo in Mali. Il servizio di Isabella Piro:

    È un “tempo di inquietudine” quello che sta vivendo il Mali: il Sinodo ne descrive le difficoltà sociali, politiche, ma anche ecclesiali, legate agli ostacoli dell’evangelizzazione, in un contesto in cui gli scontri tra ribelli e governo provvisorio sono una minaccia per la religione. I presuli, quindi, invocano la pace e ribadiscono l’importanza del dialogo.

    Ma oltre a quelle africane, sono oscure anche la pagine europee, in cui la globalizzazione crea nuove forme di martirio, incruento ma sofferto, l’intolleranza nei confronti dei cristiani è subdola, ma continuata, Dio non è solo negato, ma proprio sconosciuto. Di fronte a tale realtà, la nuova evangelizzazione può fare affidamento su tre ‘strumenti’, dice il Sinodo: i laici, le famiglie, il dialogo ecumenico ed interreligioso.

    I laici, dunque, vanno formati in modo adeguato, solido, forte – magari anche attraverso Sinodi locali che li coinvolgano direttamente - così che siano capaci di non cedere alle lusinghe del mondo e di dare testimonianza di valori autentici, basati sul non conformismo della fede. Non si può essere, sottolinea il Sinodo, o membri della Chiesa o cittadini del mondo: le due dimensioni vanno di pari passo. I laici devono ‘fare rete’ nelle diocesi, affermano i vescovi, anche perché se la Chiesa si allontana dalla società, la nuova evangelizzazione non porterà frutti.

    Poi, la grande sfida della famiglia, Chiesa domestica e quindi soggetto di evangelizzazione: deflagrata a causa della storia occidentale basata sulla liberazione da ogni legame, oggi la questione familiare appare come il problema numero uno della società, evidenza l’Assemblea sinodale, tanto che si crede di più alla fedeltà nel tifo calcistico che nel matrimonio. E la Chiesa non può tacere, non perché conservatrice di un istituto desueto, ma perché è in ballo la stabilità stessa della società. Di qui, l’invito a porre la famiglia al centro della politica, dell’economia e della cultura, ma anche l’auspicio affinché la Chiesa sappia diventare ‘famiglia delle famiglie’, anche di quelle ferite. In fondo – e qui la domanda dei presuli diventa autocritica – oggi la Chiesa non è forse più un’istituzione che una famiglia?

    Quindi, i Padri sinodali affrontano la questione del dialogo, altra via auspicabile per la nuova evangelizzazione. Certo, dal punto di vista interreligioso, esso presenta le difficoltà del confronto con l’islam, come in Pakistan, dove è in vigore la legge sulla blasfemia, o in Medio Oriente, dove i cristiani sono sempre meno. Cosa fare, dunque? Il Sinodo scommette proprio sui giovani musulmani, sempre più attratti dal Vangelo nel quale trovano gioia, libertà, amore. Rilanciando il significato profondo della Buona Novella, spiegano i vescovi, si potrà evitare anche la confusione tra la secolarizzazione ed il cristianesimo, così frequente nel mondo musulmano.

    In quest’ottica, rientra anche una scuola di catechesi per adulti, che sempre più abbandonano il ruolo di educatori, preoccupandosi, ma non curandosi, dei giovani. I catechisti adulti possono diventare testimoni e portatori di fede, dicono i Padri sinodali, ottenendo a volte risultati migliori dei sacerdoti stessi.

    Sul fronte ecumenico, la sfida non è da meno: la divisione tra cristiani, sottolinea il Sinodo, è senza dubbio il grande ostacolo della nuova evangelizzazione e non è del tutto innocente riguardo alla scristianizzazione dell’Europa e alla sua attuale debolezza politica e culturale. Una maggiore cooperazione ed una strategia pastorale concordata tra cattolici ed ortodossi, dunque, sarebbe un baluardo contro la secolarizzazione, ma anche un segnale forte nei confronti dell’islam.

    Tra gli altri suggerimenti avanzati per favorire la nuova evangelizzazione, anche la promozione dei pellegrinaggi, come momento di rinnovamento della fede e di ‘sintonia’ della Chiesa con le domande racchiuse nel cuore dell’uomo, così che comprenda la meta del suo cammino.

    Infine, come segnalato dal segretario generale del Sinodo, mons. Eterovic, questa sera, al termine dei lavori, i Padri sinodali assisteranno alla proiezione del film “Le campane d’Europa”: prodotto dal Centro Televisivo Vaticano, insieme ad altre istituzioni, il film è un viaggio della fede attraverso l’Europa e riporta molte interviste inedite, tra cui una anche a Benedetto XVI.


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    Appello per il Mali al Sinodo: nel Nord gli integralisti vogliono imporre la Sharia

    ◊   Mentre l’Unione Europea esprime preoccupazione e pensa ad un’eventuale missione militare in Mali, la grave crisi in corso nel Paese dell’Africa occidentale è stata al centro, oggi, delle preghiere dei Padri sinodali. Al microfono di Paolo Ondarza sentiamo mons. Jean-Baptiste Tiama, vescovo di Sikasso, presidente della Conferenza Episcopale del Mali:

    R. - Nel nostro Paese viviamo una situazione davvero molto drammatica. Dal 1992 fino ad oggi abbiamo vissuto in pace ed in tranquillità, ma dal mese di gennaio 2012 stiamo assistendo ad un intervento islamista nel Nord. Ed oggi gli estremisti islamici occupano i due terzi del Paese e vogliono imporre la legge islamica. Questo è dannoso per le altre religioni e per la laicità dello Stato. L’esercito, purtroppo, non ha il potere materiale per affrontare la situazione. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutto il mondo, dunque, soprattutto dell’Onu.

    D. - La Chiesa come vive tutto questo, come partecipa alle difficoltà della popolazione?

    R. - Finora la Chiesa è sempre stata con la gente. Agiamo attraverso le strutture sociali: dispensario, scuole, soprattutto la Caritas che fa molto per lo sviluppo del Paese. Così facciamo evangelizzazione a quel 2,5 per cento di cristiani presenti nel Paese, cercando soprattutto di formare laici e sacerdoti. Abbiamo, infatti, un Seminario maggiore, dove formiamo i nostri sacerdoti, per poterli poi mandare come missionari nel nostro Paese. Il Nord del Mali, infatti, è composto per il 100 per cento di musulmani. Solo al Sud sono presenti i cristiani che crescono pian piano. Siamo contenti di quello che facciamo, perché ogni anno a Pasqua celebriamo battesimi. Questo vuol dire che c’è gente che accoglie il messaggio cristiano e si converte.

    D. - Tutto questo è la nuova evangelizzazione in Mali?

    R. - Sì, possiamo definire così la nuova evangelizzazione in Mali. Prima c’erano i missionari che venivano da fuori, ma adesso hanno consegnato il Paese agli abitanti del Mali. Questi ultimi adesso cercano di trovare i mezzi spirituali e umani per proseguire l’evangelizzazione.

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    Sinodo. La testimonianza di una laica francese: portare la speranza dov’è vuoto e dolore

    ◊   Riannunciare Cristo nei deserti spirituali di oggi. E’ il mandato affidato dal Papa alla Chiesa in apertura dell’Anno della Fede. Una missione che vede il coinvolgimento particolare dei laici in una società spesso dimentica di Dio. Significativa in tal senso in Francia l’esperienza delle Ausiliarie dell’apostolato, laiche che, su mandato del vescovo, offrono la loro testimonianza di vita cristiana nei vari contesti della società. Il nostro inviato al Sinodo Paolo Ondarza ha raccolto la testimonianza di una di loro, Chantal Le Rique, proveniente dall’arcidiocesi di Parigi e uditrice al Sinodo:

    R. – Ci sono molte, molte persone che non hanno più nessuna speranza. Per me è un dramma. Noi laici ed io stessa, nel luogo in cui mi trovo, posso aiutare a capire il mio prossimo che la vita vale qualcosa, che c’è una speranza, che non siamo destinati al “nulla”. Inoltre, anche noi credenti possiamo ricevere molto da tutta questa gente, lontana dalla fede, perché attraverso le loro domande può dire qualcosa a noi cristiani. La nostra sfida è quella di affidarci completamente a Dio, nel luogo in cui siamo, perché Lui possa agire nella storia.

    D. – E la gente come vi accoglie?

    R. – La nostra è una vocazione molto discreta: la gente non sa, per esempio, che io sono un’ausiliaria dell’apostolato, ma sa che sono cristiana. Questo viene accettato, perché si accetta il fatto che ognuno possa avere la propria filosofia di vita. Quindi, a questo livello sono accettata. Ma accettare poi il messaggio del Vangelo è tutt’altra cosa. Comunque, spesso la gente, sapendo che siamo cristiani, viene da noi per sapere cosa sia la Chiesa cattolica o per affidarci una sofferenza. In questo ambito, noi possiamo dire qualcosa alla gente della speranza che viene dalla nostra fede.

    D. – E’ forse nel momento della sofferenza che la gente più si rivolge a Dio...

    R. – Sì, senz’altro. Di sofferenze ne vediamo ogni giorno. Spesso da noi vengono persone che hanno vecchie sofferenze, mai risolte.

    D. – Quanto è importante, secondo lei, oggi, la formazione del laicato per l’evangelizzazione? Quanto è importante non improvvisarsi nel messaggio del Vangelo?

    R. – E’ importantissimo. Io ho avuto, con altre persone a Parigi, la possibilità di ricevere una formazione sul Concilio e qui al Sinodo mi rendo conto dell’importanza di conoscere le Costituzioni del Concilio. Perché li dentro c’è veramente tutto.

    D. – Aprendo l’Anno della Fede, il Papa ha invitato ad andare nei deserti del mondo per “irrigarli” con l’acqua viva di Cristo. Spesso i valori religiosi tendono ad essere respinti, rifiutati un po’ in tutto il Vecchio continente. Allora come operare? Come portare Cristo?

    R. – La gente non capisce più il messaggio della Chiesa, vede in essa un’autorità. E da noi in Francia l’autorità viene sempre respinta, di qualsiasi tipo essa sia.

    D. – E’ un messaggio che viene visto come dato dall’alto?

    R. – Esatto. E la gente non vede, non capisce come quel messaggio di vita possa raggiungerli. Penso, però, che noi Chiesa dobbiamo andare verso questa gente per capire come farci ascoltare. Sta a noi inventare i mezzi per essere ascoltati, perché è inutile parlare se non ci ascoltano.

    D. – E non c’è il rischio di essere rifiutati in nome della laicità?

    R. – Senz’altro. La maggioranza della gente, però non pensa alla laicità e a tutte queste cose: le preoccupazioni della gente riguardano le difficoltà concrete della vita.

    D. – Sono questi i deserti del mondo, i luoghi cioè in cui la gente aspetta il messaggio del Vangelo?

    R. – Sì, i deserti sono ad esempio nel mondo del lavoro: il lavoro non è più concepito come un luogo di sviluppo della persona. La convinzione è che il lavoro debba essere produttivo, redditizio. Penso che nell’ambiente di lavoro, noi cristiani, dobbiamo aiutare a ritrovare il senso cristiano del lavoro, il senso della difesa dei diritti di quelli che soffrono nel mondo del lavoro.

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    Il Movimento dei Focolari promuove un incontro con i Padri sinodali

    ◊   Un incontro offerto ai vescovi impegnati in questi giorni nel lavori del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, desiderosi di approfondire la spiritualità di comunione presente nella vita del Movimento dei Focolari. Si è tenuto ieri pomeriggio nell’istituto Maria SS. Bambina, accanto a Piazza San Pietro. Ce ne riferisce Adriana Masotti:

    Applicazione del Vangelo nel quotidiano, dialoghi tra cristiani, con le altre religioni e con i non credenti, comunione fra laici e sacerdoti, sono alcuni dei principi sviluppati dal Concilio Vaticano II, già in qualche modo presenti nel Movimento dei Focolari dal suo nascere negli anni '40. Sfide impegnative tuttora aperte e che molto hanno a che fare con la nuova evangelizzazione. Dell'esperienza maturata in questo senso dai Focolari si è parlato in questo incontro. Ma qual è il metodo del Movimento per annunciare Gesù agli uomini del nostro tempo? Sentiamo don Helmut Sievers, sacerdote focolarino, tra gli organizzatori dell'evento:

    “Non esiste metodo, ma esiste un modo di fare che è amare e mettere l’amore al primo posto, cioè non la voglia di convertire, non la voglia di conquistare gente per la nostra Chiesa o la nostra convinzione ma offrire in un modo rispettoso la nostra opinione, la nostra esperienza. E la nostra esperienza è quella del Vangelo vissuto, di mettere in pratica nella vita di tutti i giorni quello che Gesù ha detto e lì ci sono le cose che contrastano evidentemente con la mentalità del mondo della quale tanti cristiani soni impregnati, cioè evitare la persona antipatica, avere rapporti solo con gli amici evitando quelli che non sono amici: con ciò non si vive il Vangelo, magari si annuncia il Vangelo, si predica e le parole però non contengono la vita vissuta. C’è una potenzialità enorme che la Chiesa forse deve sfruttare ancora meglio”.

    A parlare ai presuli presenti, provenienti dalle aree del mondo più varie, del contributo che il Movimento dei Focolari vuole offrire al Sinodo, accanto al copresidente don Giancarlo Faletti, anche mons. Francis-Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok-Thailandia:

    “Per il nuovo millennio abbiamo bisogno della spiritualità di comunione. Ci sono vescovi che cercano di vivere tra vescovi questa spiritualità. Bisogna portare questa spiritualità nel ministero episcopale per rinnovare la diocesi e anche il nostro apostolato, l’evangelizzazione, con il cambiamento della vita e il rinnovamento della vita”.

    Tra i partecipanti all'incontro, mons. Petru Gherghel, vescovo della diocesi di Iasi in Romania. La sua testimonianza:

    “Questa spiritualità dell’unità ha un ruolo molto importante perché se siamo figli di Dio dobbiamo tutti sentirci uniti. Il mio motto è proprio in questa direzione: 'Ut omnia unum sint'. E questa spiritualità dell’unità corrisponde molto a questo movimento dei Focolarini. In questo senso mi impegno personalmente, non soltanto io, con gli altri, per creare un clima di fraternità. Vedere sempre nell’altro Gesù; se si realizza, questo porta veramente frutti positivi. Io spero di portare a numerosi fedeli lo spirito di unità, di amore reciproco.

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    Rinuncia episcopale in Colombia

    ◊   In Colombia, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Duitama-Sogamoso, presentata da mons. Carlos Prada Sanmiguel, in conformità al canone 401 - paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico.

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    Domenica la canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima Santa pellerossa

    ◊   La Chiesa attende la proclamazione di 7 nuovi Santi. Domenica, sul sagrato di Piazza San Pietro, sarà il Papa, insieme ai Padri sinodali, a presiedere la Messa. Tra i nuovi santi 4 saranno religiosi, 3 i laici: tra di loro ha suscitato molta curiosità la storia della Beata Caterina Tekakwitha, scomparsa a soli 24 anni nel 1680, e che sarà la prima santa pellerossa. Costretta a fuggire dal suo villaggio per la sua fede cattolica e per non acconsentire ad un matrimonio combinato, si rifugiò in una tribù di nativi del Canada e qui potè dedicare l’intera vita a Gesù. Conosciuta nei secoli come “il giglio degli irochesi”, Giovanni Paolo II la scelse come icona della Gmg del 2002 di Toronto. Benedetta Capelli ha intervistato per il Centro Televisivo Vaticano padre Paolo Molinari, postulatore della Causa di canonizzazione:

    R. - È la prima ad essere portata come un esempio, una giovane donna, un’indiana che ha vissuto nei villaggi indiani. Quindi il fatto che la Chiesa la dichiari santa evidentemente costituisce per gli Indiani del Nord America, del Canada - che hanno sofferto molto attraverso i secoli per la colonizzazione e anche per la privazione di tutte le loro terre, i loro boschi - un riconoscimento di queste tribù e della loro ricchezza. E questo è stato molto apprezzato già ai tempi della beatificazione voluta da Giovanni Paolo II. Mi ricordo che allora parecchi capi tribù, con i quali avevo un rapporto, si gloriavano del fatto che la Chiesa riconoscesse tutto il valore di uno di loro, e con questo la ricchezza delle loro tradizioni, e della loro cultura.

    D. - La Beata Tekakwitha è ancora una figura attuale?

    R. - Sì, molto. Giovanni Paolo II nella Giornata Mondiale della Gioventù a Toronto, in Canada presentò Caterina Tekakwitha come un modello per tutti i giovani del mondo. Era una giovane donna che nel momento in cui i capi tribù avevano scelto un ragazzo destinato - secondo loro - ad essere suo marito, si rifiutò di accettare sia in base ad un senso cristiano ma evidentemente sotto l’influsso della grazia di Dio. Lei aveva un grande anelito, non soltanto a vivere da cristiana, ma anche a dare completamente la sua vita a Nostro Signore, considerando Gesù come suo sposo. Quando noi pensiamo a ciò cui oggi sono esposti i giovani, una cultura che non è veramente impregnata di cristianesimo e che scarta l’idea della purezza e dell’autentica vita di donazione a Cristo, questo diventa in Caterina Tekakwitha un esempio perché lei fu perseguitata, maltrattata. Canonizzando un’indiana, nativa degli Indiani del Nord America, viene messa in luce non solo la persona, ma tutto quello che una persona rappresenta: una cultura della tradizione, un modo di vivere in cordiale rapporto, come fanno loro in una tribù.

    D. – C’è un episodio della vita di Caterina che può essere considerato emblematico?

    R. - Dopo il Battesimo, che essa ricevette in seguito agli incontri con alcuni missionari gesuiti, che furono tra i primi missionari nel Nord America, Caterina fu molto colpita dalla bontà di queste persone, dal modo in cui essi vivevano interessandosi di chi aveva bisogno. Allora si sentì sempre più desiderosa di favorire quei semi che sua mamma cristiana aveva messo in lei da bambina parlandole di Gesù e della sua vita. Fu ammessa quindi all’Eucarestia. Allora quando arrivava l’inverno, le donne indiane andavano a caccia. Lei aveva fatto una croce con due rami d’albero, e si metteva così a pregare Gesù Crocifisso. E quindi aveva un'autentica devozione per Cristo Crocifisso. Questa è forse una delle sue caratteristiche della sua spiritualità: Gesù nell’Eucarestia, Gesù Crocifisso.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il discorso di Benedetto XVI all'Angelus in piazza san Pietro.

    In prima pagina, un editoriale del vice direttore sulla prima settimana dei lavori del Sinodo. Nelle pagine interne, i testi degli interventi dei Padri sinodali nella nona congregazione generale.

    Nell'informazione internazionale, in rilievo la Nigeria: la violenza investe le comunità islamiche.

    Sempre vestiti per fuggire anche di notte: Giovanni Preziosi sul rastrellamento nazista del ghetto ebraico di Roma nel 1943.

    I Papi, il diavolo e la magia: l'intervento di Agostino Paravicini Bagliani al convegno su “Il diavolo nel medioevo” in corso a Todi.

    Dal cavallo alla Formula I: Sandro Barbagallo sul nuovo allestimento per il Padiglione delle carrozze nei Musei Vaticani.

    Gigante della fede: intervista con il cardinale Stanisław Dziwisz, per quasi quarant’anni segretario di Karol Wojtyła.

    Il catechismo unisce la Francia: nell'informazione religiosa, una giornata nazionale per riscoprire il testo frutto del concilio Vaticano II.

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    Oggi in Primo Piano



    Filippine: dopo 43 anni, accordo di pace tra governo e Fronte islamico di liberazione Moro

    ◊   Accordo di pace nelle Filippine tra il governo ed il Fronte islamico di liberazione Moro(Milf). Gettate le basi per sanare un conflitto iniziato nel 1969 e costato almeno 100 mila morti. Terreno di scontro l’isola di Mindanao, a maggioranza musulmana, dove sarà creata entro il 2016 una regione autonoma col nome di Bangsamoro, ovvero nazione islamica. L’intesa - frutto di 15 anni di negoziati mediati dalla Malaysia - è stata siglata stamane nel Palazzo presidenziale di Malacanang a Manila. Roberta Gisotti ha intervistato padre Sebastiano D’Ambra, responsabile del Dialogo cristiano-musulmano nella Conferenza episcopale filippina, presente stamane alla firma dell’accordo.

    R. – Io sono appena tornato da questa cerimonia che c’è stata in Malacanang. Questo non è un accordo di pace come si può intendere, già tutto stabilito, ma ci sono le basi per poter continuare a parlare. Hanno fissato dei parametri su cui lavorare, però non tutti i gruppi hanno aderito. E’ senz’altro importante ma non è veramente la parola finale.

    D. – Questo accordo preliminare arriva dopo 43 anni di conflitto. Quali sono i punti principali che fanno ben sperare per arrivare alla pace?

    R. – Prima di tutto, dopo più di 40 anni di lotta, tutti hanno capito che alla fine non è questa la via da seguire. Ci sono stati centinaia di migliaia di morti nel conflitto in questi 40 anni. Quindi ha lasciato tanta violenza dietro le spalle. Il secondo punto è che questo governo a differenza degli altri fa sperare in una decisione concreta per raggiungere questa pace. Anche gli altri governi per la verità hanno cercato a modo loro di agire, specialmente il governo di Ramos che nel ’96 ha firmato l’accordo con l’Mnlf. Anche quello è stato un accordo importante. Ma, purtroppo non è stato seguito così come era stato stabilito. Il governo di Aquino rappresenta un punto di fiducia. Credo che alla fine molte cose, anche a livello internazionale, dipendono dalla fiducia che c’è. Mindanao è una terra molto ricca, che potrebbe dare molto. Purtroppo il conflitto ha fermato questo progresso in molte zone. A livello internazionale credo che i Paesi islamici che stanno collaborando dimostrano buona volontà a collaborare perché nelle Filippine ritorni la pace. Quindi non mettono nessun ostacolo. Questo è importante perché i gruppi che lottano dipendono molto dai Paesi islamici.

    D. – Come viene vissuto nell’opinione pubblica filippina l’impegno preso dal governo in questo accordo preliminare di creare una regione autonoma islamica?

    R. – Ci sono senz’altro molti dubbi e molte paure. Infatti, parlavo proprio di questo “autonomous government” con il governatore, che è un mio amico ed ha fatto anche parte del nostro gruppo, del movimento che guido, e mi ha detto: adesso dobbiamo avvertire la gente e quindi abbiamo dei piani per informare a tutti i livelli. Ci vuole molto lavoro e credo e spero che i media lavorino nella direzione giusta. Adesso è il tempo da parte di tutti di 'cucire', anche all’interno dei gruppi ribelli che sono divisi in diverse fazioni, sperando che si uniscano e informino i musulmani… Poi tutti noi, ognuno col nostro ruolo, dobbiamo informare musulmani e cristiani. Quindi è una fase molto bella, è un bel passo in avanti, una fase anche delicata in cui tutti noi dobbiamo lavorare per il bene comune. La gente ancora è disorientata e quando si parla di pace tutti sperano che veramente arrivi e non capiti come per gli altri accordi di pace falliti che ci sono stati in passato.

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    L'Ue vara nuove sanzioni contro la Siria. Ankara chiude lo spazio aereo a Damasco

    ◊   I ministri degli Esteri dell'Unione Europea hanno approvato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Siria. Sul terreno, intanto, non si fermano gli scontri tra oppositori di Assad e militari, mentre continua a salire la tensione tra Ankara e Damasco. Massimiliano Menichetti:

    E’ la 19.ma volta che l’Unione Europea interviene contro Damasco. La nuova tornata di sanzioni approvata dai ministri degli Esteri dei 27, a Lussemburgo, prevede il congelamento dei fondi ed il bando sui visti nei confronti di altre 28 personalità legate al regime di Bashar al Assad e di due società. Sale così a 181 il numero delle persone e a 54 il numero dei gruppi, tra cui oggi la linea aerea Syrian Airlines, inseriti nella lista nera dell'Ue. Il braccio di ferro è per portare Assad ad un confronto sulla situazione nel Paese, anche in seguito agli incidenti con la Turchia. E proprio Ankara ha chiuso lo spazio aereo ai voli civili e militari di Damasco, che a sua volta aveva preso la stessa decisione.

    Intanto i profughi e disertori siriani ufficialmente registrati in Turchia hanno superato quota 100mila. E la Commissione Ue si sta ''preparando'' allo ''scenario in cui molti rifugiati arrivino nell'Ue''. Lo ha affermato il portavoce della commissaria agli Affari interni Cecilia Malmstroem, aggiungendo che la questione sarà presto affrontata dall'Ue. Sul terreno ancora scontri, i più intensi a Damasco, dove sarebbero stati trovati un centinaio di corpi senza vita di miliziani e ad Aleppo. L'inviato dell'Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, ha chiesto oggi una tregua temporanea. In visita a Teheran, ha auspicato un intervento iraniano al fine di ottenere un cessate il fuoco in Siria in coincidenza con la ricorrenza della festa musulmana di Eid al-Adha, che dura quattro giorni e che quest'anno avrà inizio il 25 ottobre.

    In questo scenario le autorità turche hanno imposto l'atterraggio a un aereo battente bandiera armena, diretto in Siria, per sottoporlo a controlli di sicurezza a Erzurum, capoluogo dell'omonima provincia nella Turchia orientale. Una decisione “programmata” ha puntualizzato un portavoce del ministero degli Esteri, ribadendo che a bordo del velivolo, già ripartito, c'erano soltanto "aiuti umanitari". Solo mercoledì scorso un A320 siriano, mentre era in viaggio da Mosca a Damasco, è stato costretto a fermarsi ad Ankara: a bordo sarebbe stato trovato materiale militare non dichiarato.

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    Libia: incaricato il nuovo premier Ali Zeidan

    ◊   In Libia, l’Assemblea nazionale ha incaricato l’ex diplomatico, Ali Zeidan, già costretto all’esilio da Gheddafi, di formare il nuovo governo. La nomina di Zeidan arriva dopo che il precedente premier designato, Mustafa Abushagur, aveva rinunciato all’incarico all’inizio di questo mese. Davide Maggiore ha chiesto ad Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, quali siano gli elementi di novità in questa nomina:

    R. – Abushagur era stato eletto principalmente con i voti dei Fratellanza musulmana e di indipendenti, mentre questa volta Ali Zeidan sembra aver raccolto un consenso un po’ più trasversale. Bisogna inoltre considerare che Abushagur aveva avuto delle difficoltà per la ferma opposizione del Partito di Jibril, vincitore dalle elezioni del luglio scorso. Ci sono i presupposti per cui una personalità terza, tra i due schieramenti, possa raccogliere adesso i consensi: naturalmente, però, deve essere capace di formare un governo rappresentativo. Questa è stata la sfida che non ha saputo vincere Abushagur.

    D. – Quindi, la nomina di un esecutivo, in questo momento, appare più semplice. Ma come cambiano le alleanze e i rapporti di forza all’interno del complesso scenario libico?

    R. – Capire le maggioranze, all’interno del parlamento libico, è una missione impossibile. Il sito Internet del Congresso generale libico non dichiara apertamente chi sono tutti i rappresentanti. Siamo in una delle prime fasi della democrazia e anche questa piccola cosa fa capire quanto sia difficoltoso il percorso democratico. All’interno di questo parlamento, hanno ancora una grande rilevanza, naturalmente, i localismi. Il sistema elettorale ha permesso l’emergere di rappresentanti che sono soprattutto rappresentanti locali: con questi, si dovrà confrontare il nuovo primo ministro, cercando di raccoglierne la maggioranza assoluta. E questo è un compito molto, molto difficile.

    D. – In tale contesto, qual è ancora il ruolo delle milizie che ufficialmente sono state abolite da un ordine delle autorità, dopo l’attacco costato la vita al rappresentante diplomatico americano Stevens?

    R. – L’autorità centrale libica, lo Stato libico, non ha ancora il monopolio dell’uso della forza. Quando non si ha il monopolio dell’uso della forza, non esiste uno Stato di diritto come noi lo conosciamo. In effetti, le milizie controllano ancora larga parte del territorio libico. Alcune di queste sono state cooptate all’interno di un esercito delle forze nazionali della sicurezza libica: è un passaggio molto difficoltoso e abbiamo visto cosa ha comportato, ad esempio in termini di sicurezza, anche per l’assassino dell’ambasciatore americano. Ce ne sono altre che, invece, non si sono ancora – diciamo – uniformate, che non sono ancora entrate a far parte di queste forze. Quindi, è una situazione precaria che deve essere risolta e che un governo, che deve essere formato nel più breve tempo possibile, potrebbe risolvere perché ha una maggiore legittimità.

    D. – E’ forse troppo presto per dire come questa nuova nomina cambi l’allineamento internazionale della Libia e l’atteggiamento della comunità internazionale verso il Paese?

    R. – L’attuale primo ministro nominato ha ottime relazioni con l’Europa, ha ottime relazioni con gli Stati Uniti ed è un attivista dei diritti civili. Ci sono quindi tutti i presupposti perché rimangano ottime relazioni con l’Occidente, ma è ancora molto presto. C’è stata una sorta di involuzione in questi mesi: la Libia ha rischiato l’implosione e quindi è stata tutta rivolta all’interno. Sappiamo, però, che ha necessità di vendere il proprio petrolio - che è la prima risorsa del Paese - e che questo necessita naturalmente di buone relazioni con i Paesi compratori.

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    Sicurezza alimentare: convegno a Roma in vista della Giornata mondiale dell’alimentazione

    ◊   Una giornata per riflettere non solo sulle problematiche della fame nel mondo, ma anche sulla corretta alimentazione e la gestione degli sprechi. E’ quanto si propone il Convegno “Alimentare la Terra. Coltivare il futuro”, organizzato oggi a Roma in vista della Giornata mondiale dell’alimentazione che ricorre domani. Vi prendono parte economisti, esperti e rappresentanti del campo delle Nazioni Unite. Al dibattito conclusivo, nel pomeriggio, intervengono tra gli altri anche il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, e il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva. Ma cosa si può fare in Italia nell’ambito della sicurezza alimentare? Debora Donnini lo ha chiesto a Rita Mannella, coordinatore delle organizzazioni dell’Onu a Roma per il Ministero degli Esteri:

    R. – Ci sono tante cose. Prima di tutto, da un punto di vista privato intendiamo promuovere un principio di consapevolezza e di condivisione del fatto che tutti possiamo, nel nostro piccolo, contribuire non solo dando un apporto personale, ma anche come opinione pubblica, perché i nostri politici sentano quanto sia viva e sentita la tematica della sicurezza alimentare. Questa è una sensibilizzazione dalla base che noi stiamo cercando di promuovere anche attraverso le campagne presso i giovani. Domani, insieme col ministero della Pubblica Istruzione abbiamo organizzato una campagna per tutte le scuole italiane mettendo a disposizione anche materiale didattico.

    D. – Una delle sessioni del Convegno si intitola “Detesto buttare il cibo”: ci sono anche campagne per insegnare alle persone a non sprecare il cibo?

    R. - Noi stiamo cercando di fare proprio questo: insegnare il rispetto del cibo. In Italia, ogni anno, 149 chili di cibo per persona, inclusi i lattanti, vengono buttati via. E’ importante invece ricominciare a stare più attenti quando si fa la spesa, proprio per alimentare questo senso di rispetto nei confronti del cibo, perché all’interno di queste eccedenze alimentari è contenuta tutta una serie di componenti - fra cui la forza lavoro, la materia prima, l’acqua, l’energia – che, buttando queste eccedenze, vengono sprecate.

    D. – In base all’ultimo Rapporto sull’insicurezza alimentare del 2012, presentato da poco, emerge che in realtà la malnutrizione è calata rispetto al 1990, quindi a più di 10 anni fa. Però, questo calo si registra soprattutto in Asia e in America Latina, mentre in Africa c’è ancora un incremento. Perché?

    R. - Per le politiche che hanno adottato molti di questi Paesi, come il Brasile e l’India. Vediamo che molti di questi hanno adottato politiche “zero hunger” che sono specificatamente fatte per i poveri, per ridurre la fame.

    D. - La Cooperazione italiana è in prima linea sulla questione della lotta alla malnutrizione, alla fame: quali sono i progetti che sta portando avanti?

    R. – I progetti importanti, purtroppo con questi tagli, cercano di essere il più mirati possibile. Si sta cercando di dare priorità a quei progetti che permettono una migliore comunicazione fra i vari Paesi, in Africa: in un villaggio sono produttori di manioca e tutto quello che non viene utilizzato va sprecato; nel villaggio accanto sono produttori di riso e tutto quello che non viene utilizzato, viene sprecato… Semplicemente, mettere in contatto queste due regioni può permettere di sfamare, nelle diverse stagioni, molte più persone. E’ molto importante anche lavorare nelle infrastrutture, perché è quello che in particolare manca: la commercializzazione dei prodotti, la conservazione… Bisogna aiutare questi Paesi a migliorare il sistema produttivo impedendo molti sprechi. In alcuni Paesi, si spreca addirittura l’80% della produzione, per esempio nella frutta… Queste sono tutte cose che con un po’ più di organizzazione tecnologica, di infrastrutture, con strutture che permettano la conservazione, potrebbero essere aiutate e migliorate. E’ su questo che dobbiamo basare i nostri progetti per il futuro.

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    Giornata delle donne rurali, fondamentali nella lotta alla fame ma escluse e discriminate

    ◊   Oggi è la Giornata Mondiale della Donna Rurale, stabilita a seguito della quarta Conferenza mondiale dell’Onu sulla donna, che si svolse a Pechino nel 1995. La giornata è un omaggio a quelle donne che contribuiscono allo sviluppo delle economie rurali. Nei Paesi in via di sviluppo rappresentano il 70% della forza lavoro nell’agricoltura, pur non ricevendone alcun merito. Le donne rurali sono necessarie per la lotta alla fame, alla malnutrizione e alla povertà. Eppure proprio a loro è impedito un equo accesso a opportunità e risorse. Queste donne sono ancora oggi discriminate, a livello giuridico e nella vita quotidiana. Solo alcuni esempi: in Cambogia quasi la metà delle donne delle aree agricole sono analfabete. In Burkina Faso la percentuale aumenta. Nelle zone agricole solo il 39% delle bambine ha accesso all’istruzione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Luca De Filicaia, coordinatore del settore sicurezza alimentare in Palestina per conto del Gruppo di Volontariato Civile (Gvc):

    R. - Il nostro progetto riguarda la sicurezza alimentare. Si colloca in due villaggi, nel Governatorato di Nablus e nel Governatorato di Qalqilya. È un progetto che ha come obiettivo finale quello di incrementare la produttività e, di conseguenza, il reddito derivante dalla produzione dell’olio d’oliva nelle due aree di riferimento. Questo viene fatto attraverso l’utilizzo di acque reflue trattate installando un sistema irriguo, così si incrementa la produzione delle olive e quindi di conseguenza anche quello dell’olio di oliva. Nel processo decisionale, e per quanto riguarda la gestione dell’uliveto, cerchiamo di coinvolgere il più possibile anche le donne che si trovano nei due villaggi. Al momento abbiamo selezionato 75 famiglie di olivicoltori e, nell’ambito della formazione che facciamo, coinvolgiamo anche tutte le donne delle 75 famiglie.

    D. – Quanto è importante investire sulle donne rurali? Ritiene, a livello globale, che sia necessario un empowerment, un coinvolgimento di queste donne?

    R. - Sicuramente sì. Soprattutto perché le donne sono spesso direttamente coinvolte nella gestione agricola: sono quelle che vanno a lavorare la terra, sono quelle che, in questo caso ad esempio, raccolgono le olive, o in altri casi prendono parte alla raccolta agricola. Il loro coinvolgimento si ferma soltanto a questa fase, mentre in realtà un coinvolgimento delle donne, appunto un’azione di empowerment, dovrebbe essere fatto in ambito decisionale, porterebbe sicuramente beneficio alle famiglie e allo sviluppo locale.

    D. - Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale in questa direzione?

    R. - Le agenzie dovrebbero sicuramente prestare più attenzione quando si tratta di identificare i beneficiari diretti, o i cosiddetti target groups. Le azioni dovrebbero sempre cercare di porre attenzione all’inclusione di una componente femminile. È una cosa molto semplice da fare e che andrebbe fatta.

    D. - In Palestina le donne rurali vivono discriminazioni?

    R. - Nella pratica direi di sì. Sono sicuramente discriminate, perché la loro attività femminile è richiesta soltanto in determinati momenti.

    D. - Una grandissima fetta degli analfabeti nel mondo, si parla addirittura dei due terzi, sono donne che vivono nelle aree rurali. Questo fenomeno esiste anche in Palestina?

    R. - In Palestina la situazione è un po’ particolare, nel senso che c’è ancora un livello di analfabetismo ancora elevato tra le persone di mezza età, che sono le cosiddette donne rurali, cioè quelle che poi vanno realmente a lavorare nei campi, che ancora fanno parte di tutto il processo agricolo. Mentre tra le giovani generazioni, in realtà, questo problema è minore, c’è un tasso di alfabetizzazione più elevato, che è anche probabilmente fattore di emigrazione di questi ultimi. Questo riguarda un po’ tutti i giovani, non soltanto le donne. Si cerca di ‘educarsi’ il più possibile in modo tale poi da poter lasciare il Paese e andare a lavorare e vivere all’estero, perché qui le condizioni sono ormai abbastanza proibitive in termini economici. I cristiani in particolare, sono quelli che alla fine abbandonano più spesso il Paese.

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    Jordi Faulí nuovo architetto della Sagrada Familia: "Sarà ultimata entro il 2026"

    ◊   La prima pietra è stata posta nel 1882, l’ultima – forse – tra una quindicina d’anni, nel 2026. Intanto, la celebre Basilica della Sagrada Familia di Barcellona, creata dal genio di Antoni Gaudí, ha un nuovo architetto, Jordi Faulí. Con lui si è arrivati alla quinta generazione di architetti alla guida di un monumentale progetto che unisce al massimo grado l’ispirazione della fede con la creatività artistica. Fausta Speranza ha chiesto al nuovo architetto della Sagrada Familia in che modo abbia accolto la nuova nomina:

    R. – Con mucho entusiasmo y con mucha responsabilidad…
    Con molto entusiasmo e con molta responsabilità. Senza dubbio, dopo 22 anni di lavoro nella Sagrada Familia, poter ora proseguire e poterlo fare con una responsabilità ancor più importante è sì motivo di grande soddisfazione, ma anche di grande responsabilità perché si è consapevoli del fatto che si sta lavorando alla realizzazione del progetto di un grande architetto e si sta costruendo una chiesa che è ormai nella cuore dei cristiani di tutto il mondo.

    D. – Quanto è importante la continuità: riuscire cioè a lavorare in continuità con il passato?

    R. – Es muy importante la continuidad...
    E’ molto importante la continuità e il segno della continuità è stato sempre presente nella storia della Sagrada Familia. La stessa continuità che si ha nella costruzione di una qualsiasi cattedrale, dove ammiriamo l’edificio terminato, ma del quale non ci ricordiamo quali siano stati gli architetti, perché questo non è necessario. Qui, nella Sagrada Familia, c’è l’architetto ed è Antoni Gaudì. Dopo la sua morte, c’è sempre stata una continuità con lui su diversi piani: anzitutto la continuità nello studio, nelle indagini e nella fedeltà al progetto di Gaudì. In secondo luogo, la continuità nelle generazioni, nelle persone. Nella Sagrada Familia, hanno sempre lavorato architetti del secolo di Gaudì, architetti ormai di quinta generazione, e la conoscenza è stata trasmessa da una generazione a quella successiva.

    D. – Su cosa state lavorando e su che cosa vi accingete a lavorare in particolare ora?

    R. – Sì, Gaudì planteó la construcción del edificio…
    Sì, Gaudì progettò la costruzione dell’edificio per parti. Gaudì ha, per esempio, concluso la cripta che era stata iniziata e ha realizzato la facciata dell’abside. Gaudì costruì una facciata intera: la facciata della Natività, attraverso la quale la Sagrada Familia è stata immediatamente conosciuta in tutto il mondo. Successivamente, i suoi discepoli costruirono la Facciata della Passione, seguendo i suoi disegni e i suoi modelli. In questi ultimi 25 anni, abbiamo costruito, con la direzione dell’architetto Jordi Bonet, la navata centrale, lo spazio interno della Basilica e lo spazio liturgico. Adesso, stiamo realizzando due elementi. Il primo è la sacrestia: una delle due sacrestie è un edificio di circa 40 metri di altezza con forme paraboliche, con forma a cupola, della quale Gaudì fece il modello, un modello di gesso, come progetto per costruirla, ma anche come modello per la zona centrale. Questo è il secondo obiettivo che abbiamo in questo momento: terminare il progetto e costruire la parte centrale, con la torre della Vergine Maria nell’abside e quella sovrastante la navata centrale, che sarà alta 170 metri circa e che sarà dedicata a Gesù Cristo. Le guglie sono già tutte iniziate, eccetto quella centrale per la quale stiamo costruendo uno spazio di circa 20 metri di altezza in cima alla croce, che sarà la base della grande guglia centrale di Gesù. Uno spazio, quindi, nel quale troveranno posto le colonne, che sono già in costruzione, che saranno la base della torre di Gesù Cristo e dove troveranno posto le entrate della luce per l’illuminazione.

    D. – Lei ha una scadenza in mente? Nell’immaginario di tutti la Sagrada Familia è stata acquisita così ormai: è un progetto in fieri, è una continua preghiera in progressione. Ma ci sarà anche l’obiettivo di arrivare a un termine dei lavori?

    R. – La previsión actual es que el edificio, al menos su parte arquitectónica…
    La previsione attuale prevede che la Sagrada Familia, almeno nella sua parte architettonica, sia terminata nel 2026. Questo lo speriamo, anzitutto perché rappresenta una data molto significativa: si celebreranno, infatti, i 100 anni della morte di Gaudì. Inoltre, possiamo affermarlo anche perché – secondo il flusso delle donazioni e il conseguente ritmo dei lavori di costruzione – questa data è una data possibile per la conclusione della parte architettonica della Chiesa.

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    Baumgartner supera il muro del suono in caduta libera: intervista con l'astronauta Paolo Nespoli

    ◊   Un’impresa che sposta i limiti umani: è quella dell’austriaco Felix Baumgartner, che ieri si è lanciato in caduta libera da un’altezza di 39 chilometri raggiungendo la velocità di 1342 chilometri orari. E’ il primo uomo ad aver infranto, in caduta libera, il muro del suono. Sul senso di questa impresa si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’astronauta italiano dell’agenzia spaziale europea, Paolo Nespoli:

    R. – Uno si domanda, perché si fanno queste cose? E’ difficile trovare un senso, un senso logico, perché queste cose sfidano la logica. Perché uno va a mettere in pericolo la propria vita, spende tante energie e tante cellule del cervello per riuscire a fare una cosa che è quasi impossibile e di dubbio ritorno? Io me la chiedo sempre questa cosa, ma alla fine rispondo dicendo che noi umani siamo programmati per conoscere; per non accontentarci di quello che sappiamo; per volerci mettere, con uno spirito positivo, in situazioni difficili per riuscire a vedere se ce la caviamo. Questo spirito, questo modo di comportarci, secondo me, è stato quello che ci ha differenziato drasticamente dagli altri animali su questo pianeta; è quello che ci ha portato oggi ad essere quello che siamo. Secondo me, quindi, è corretto. E’ corretto continuare a spingere i nostri limiti, è corretto andare dove non si può andare. Quello che si scopre oggi non è tanto chiaro, ma non è importante. Magari servirà o magari non servirà, ma questo è il motore che ci porta ad essere quello che siamo e, secondo me, dobbiamo continuare.

    D. – In ognuno di noi c’è un po’ di Ulisse, ma è giusto che si affrontino imprese così estreme?

    R. – Quello che noi cerchiamo è di andare dove nessuno è mai andato e spostiamo i limiti e non ci rendiamo conto che se guardiamo le cose dal punto di vista storico sostanzialmente le persone che hanno fatto le cose impossibili, hanno fatto in modo che queste cose impossibili diventassero possibili per tutti noi. Perché Cristoforo Colombo è andato a scoprire l’America? Alla fine ha rischiato la vita. Quando sono stati inventati i treni, per esempio, c’era qualcuno che diceva che erano una cosa inutile, che i passeggeri sarebbero morti per lo spostamento d’aria, che non avrebbero potuto respirare… Oggi queste sono forme di trasporto normali, come gli aerei: è innaturale per un uomo volare nell’aria, ma oggi è un mezzo di trasporto del quale non possiamo fare a meno. Insomma, quello che oggi è impossibile e estremo, rischia il giorno dopo o qualche anno dopo di diventare normale; rischia di darci delle conoscenze e dei modi di comportarci che fino a poco prima era inaspettati.

    D. – Un’impresa che può anche essere l’input per altri traguardi: cosa ci possiamo immaginare per il futuro?

    R. – E’ difficile dirlo. Abbiamo tante altre cose impossibili, tante cose di questo mondo che noi conosciamo poco. Pensiamo agli abissi, pensiamo agli oceani, pensiamo a cosa c’è nell’atmosfera: anche quell’area dove è arrivato Felix Baumgartner, è un’area poco conosciuta, perché sì, ci passiamo coi razzi, ma ci stiamo soltanto pochi secondi. Lui, invece, c’è dovuto andare e ha dovuto trovare un modo per andarci e certamente un modo non tanto convenzionale. Certo potremmo pensare che quello che lui ha fatto possa essere una fase di rientro di emergenza da una navicella spaziale. Ma ripeto, spingerci in queste cose ci porta avanti e dobbiamo continuare a guardare avanti, dobbiamo continuare a fare queste cose impossibili, perché solo così ci arricchiamo sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista interno, spirituale. Capiamo che riusciamo ad andare in posti dove questo è impossibile. Continuiamo con questa esplorazione e conoscenza di quello che ci sta attorno.

    D. – Lei è abituato a questo tipo di esplorazioni, a passeggiate spaziali. Sicuramente quella dell’austriaco è un’impresa del tutto particolare, ma penso che si sia anche un po’ immedesimato in quei momenti...

    R. – Sì, sicuramente. Ha avuto molti paralleli con quello che noi facciamo, con le operazioni che noi facciamo con le passeggiate spaziali. Abbiamo anche visto, così come succede nello spazio, che l’astronauta è importante, ma è importantissimo avere un team dietro che lavora, che prepara, che fa le procedure, che ti segue, che ti dà le istruzioni, che ti controlla. Questo fa vedere come l’uomo arriva nei posti impossibili, ma - nella maggior parte dei casi - ci arriva con uno sforzo comune.

    D. – Come reagisce la mente in quei momenti? Forse lei ce lo può dire…

    R. – Sentivo Baumgartner molto rallentato nei suoi movimenti, nei suoi processi mentali così come vedevo il team di terra che cercava di mantenerlo in linea. Questo è esattamente quello che succede in orbita: quando uno si mette in condizioni estreme, a basse pressioni, con poco ossigeno, con il freddo e con una tuta che ti impedisce di muoverti, un casco che ti impedisce di vedere, le nostre capacità vengono ridotte pesantemente. In queste situazioni, a me sembra di essere in un tunnel, di vedere attraverso un tunnel, attraverso una specie di caleidoscopio che mi fa vedere soltanto l’immagine centrale a fuoco e il resto tutto sfocato e colorato in modo strano.

    D. – La mente, in questi momenti, è anche volta a qualcosa che va oltre, verso l’infinito…

    R. – Feliz Felix Baumgartner è molto religioso. Lui crede che la scienza sia un modo per arrivare sostanzialmente a capire quello che ci sta attorno, ma che c’è una dimensione alla quale – facilmente o difficilmente – ci si arriva in questo modo. Sono convinto che dopo questa sfida, questo suo pensiero sia ancora più forte dentro di lui e che continui in questa direzione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine. Un anno dall'omicidio di padre Tentorio: l’esercito blocca le indagini

    ◊   A un anno dalla morte di padre Fausto Tentorio, missionario del Pime ucciso il 17 ottobre 2011 ad Arakan, sull’isola di Mindanao, i colpevoli sono ancora impuniti. Padre Peter Geremiah, missionario del Pime, oggi in Arakan, denuncia a Fides: “Mentre il Dipartimento nazionale per la Giustizia aveva avviato le indagini e indicato alcuni sospettati, è il Dipartimento nazionale per la Difesa a bloccare le indagini. Siamo a un punto morto. Chiediamo al Presidente Benigno Aquino di dare una svolta alle indagini”. “I testimoni – spiega padre Geremiah – sono sotto copertura con le loro famiglie, vivono nel nascondimento e non potranno resistere a lungo. Ci sono delle forze che vogliono insabbiare il caso: i mandanti fanno di tutto per dilazionare i tempi della giustizia così da ottenere l’impunità. Alcuni degli indiziati sono anche candidati alle prossime elezioni. Il gioco politico potrebbe condizionare il caso” spiega il missionario. Padre Geremiah, richiamato dal vescovo di Kidapawan, ha preso il posto di padre Tentorio come Coordinatore diocesano dei programmi per i popoli tribali. L’attività del missionario ucciso prosegue con la gestione di scuole elementari e piccole scuole superiori, inoltre nell’organizzare i tribali in associazioni per ottenere il riconoscimento dei loro diritti, la protezione del loro territorio, la giustizie e la pace”. La popolazione di Mindanao si appresta a ricordare padre Fausto con una serie di celebrazioni e attività. Da oggi è iniziata a Kidapawan la riunione di tutte organizzazioni tribali. Domani, 16 ottobre, nella chiesa di Arakan, dove padre Fausto abitava, padre Geremiah celebrerà una Santa Messa di suffragio. Dopo la Messa una marcia silenziosa deporrà 365 ceri accesi sul luogo dell’omicidio e si leggerà una solenne “Dichiarazione di impegno comune” a continuare l’opera del missionario ucciso. Il 17 ottobre una folla di fedeli da tutte le parrocchie della diocesi (si prevedono 4mila persone) renderà omaggio alla memoria di padre Fausto recandosi sulla sua tomba. Un’altra solenne Eucaristia sarà celebrata sul luogo da padre Armando Angeles, vicario generale della diocesi di Kidapawan (il vescovo è a Roma). Nel pomeriggio, una carovana di migliaia di persone si recherà davanti al Tribunale di Kidapawan e, in silenzio, pregherà per la giustizia, lasciando davanti all’edificio migliaia di cartoline. Un gruppo si spingerà fino al Quartier Generale del 57° Battaglione dell’esercito, dove manifesterà con slogan e cartelli: come riferito a Fides, gli attivisti del movimento “Justice for Fr Pop’s Tentorio” denunciano la responsabilità dei gruppi paramilitari, sostenuti e finanziati dall’esercito. Il movimento ne chiede il totale disarmo. La folla si sposterà poi alla Cattedrale, dove seguirà un concerto e una rappresentazione teatrale che farà rivivere la vita e l’impegno del missionario. Infine, il 17 ottobre, il vescovo Broderick Pabillo, ausiliare di Manila, presiederà una solenne celebrazione in memoria di padre Fausto nella basilica del Nazareno, a Manila. (R.P.)

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    Pakistan: Malala Yousafzai verrà curata in Inghilterra. Cristiani in preghiera

    ◊   Malala Yousafzai, la 14enne attivista pakistana vittima nei giorni scorsi di un attentato talebano, sta per essere trasferita in Gran Bretagna per un trattamento sanitario più specifico. È quanto riferiscono fonti dell'esercito di Islamabad, secondo cui la giovane necessità di cure "prolungate" per poter guarire. Dopo un intervento di urgenza per limitare i danni inferti dal proiettile alla testa, al termine del quale i sanitari avevano giudicato "stabili" le sue condizioni, era stata ricoverata in un ospedale militare di Rawalpindi dove la situazione si è fatta però sempre più "critica". Da qui la decisione di mandarla in Europa, grazie anche al contributo economico del governo degli Emirati Arabi Uniti, dove verrà accolta in un Centro specializzato. Intanto tutto il Paese - e l'intera comunità internazionale - pregano per lei, per una sua pronta e completa guarigione. Il 9 ottobre scorso Malala Yousafzai - vincitrice di un premio nazionale giovanile per il suo impegno sociale a favore dell'educazione femminile - è rimasta vittima di un attentato talebano nella Swat Valley, area montagnosa della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l'Afghanistan roccaforte degli estremisti islamici contrari all'istruzione delle donne. La ragazza è stata colpita mentre si trovava a bordo dello scuolabus che l'avrebbe accompagnata a casa, dopo aver concluso le lezioni del mattino. Finora gli inquirenti hanno disposto il provvedimento di custodia cautelare in carcere a carico di quattro persone, ritenute responsabili a vario titolo dell'attentato. In tutto sarebbero state fermate quasi 100 individui, la maggior parte dei quali rilasciati dietro il versamento di una cauzione. Intanto tutto il Pakistan si è raccolto a sostegno della ragazza, la cui vita resta ancora in pericolo, pregando per una sua completa guarigione. Attivisti per i diritti umani, membri della società civile e organizzazioni pro diritti umani fra cui Life for All e Masihi Foundation hanno condannato l'attacco, definendola un "simbolo di resistenza" contro la follia degli estremisti nonostante la giovane età. Anche la comunità cattolica locale si è mobilitata, promuovendo fiaccolate - alla cattedrale di Lahore - e veglie di preghiera in diverse zone del Paese. Interpellato dall'agenzia AsiaNews il vescovo di Islamabad mons. Rufin Anthony ha sottolineato che "colpire una bambina è l'atto più vile e codardo" che si possa compiere ed è segno di "profonda debolezza e paura" per una ragazzina di 14 anni. Il prelato ha tenuto una speciale veglia di preghiera per una giovane "coraggiosa" ed è "davvero una beffa" che l'attacco contro di lei sia giunto nella settimana in cui si celebrava la Giornata internazionale delle ragazze bambine. La giovane era diventata famosa nel 2009 all'età di 11 anni, per aver tenuto un blog sul sito in lingua locale della Bbc in cui denunciava gli attacchi dei fondamentalisti islamici pakistani contro le ragazze e gli istituti scolastici femminili, per impedire loro di studiare ed emanciparsi. All'interno del suo diario virtuale, Malala testimoniava la crudeltà dei talebani e le violenze attraverso cui mantengono il potere, terrorizzando le popolazioni locali. La frontiera nord-occidentale è considerata una roccaforte dei talebani, tanto che in alcune aree vigono la Shariah e le Corti islamiche, chiamate a giudicare controversie, oltre che comportamenti e regole di morale. Sono centinaia le scuole - anche cristiane - chiuse nella sola Swat Valley, mettendo in pericolo l'istruzione di decine di migliaia di studentesse e il lavoro di circa 8mila insegnanti donne. (R.P.)

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    Iraq: Anno della Fede "per i cristiani a contatto con il volto del Crocifisso"

    ◊   “Ammiro i cristiani di Baghdad, di Mossoul, della Siria, della Palestina, che quotidianamente sono a contatto con il volto del Crocifisso e continuano a sperare e a lavorare per la pace”: lo ha detto mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania ed Iraq, che il 12 ottobre, a Baghdad, ha tenuto l’omelia della messa di apertura dell’Anno della fede in Iraq. Alla celebrazione, presieduta da mons. Jacques Isaac, ausiliare patriarcale caldeo, hanno partecipato anche rappresentanti di altre chiese. Il nunzio - riporta l'agenzia Sir - ha riferito di alcune storie di rifugiati siriani in Giordania e si è detto “sconvolto”. “So - ha aggiunto - che molti di voi hanno conosciuto e sperimentato simili atrocità. E mi domandavo: Dov’è l’amore di Dio nel dolore degli innocenti, nei carcerati torturati, nel dramma degli orfani, nelle sofferenze dei malati, nelle paure dei perseguitati, nel pianto dei disperati, nella solitudine degli anziani abbandonati, nei poveri disprezzati, nella precarietà di chi non trova lavoro, nell’angoscia di chi muore di fame in mezzo all’indifferenza del mondo? Ma non dobbiamo dimenticare che il Risorto è il Crocifisso!”. Da qui l’appello di mons. Lingua ad abbandonarsi “alla volontà di Dio, non nella rassegnazione di chi pensa: ‘le cose dovrebbero andare meglio, purtroppo vanno così, sia fatta la Sua volontà!’” ma nella consapevolezza che “possiamo compiere la sua volontà”. (R.P.)

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    Cina: i cattolici sono entrati nel vivo dell'Anno della Fede

    ◊   Continuano a pervenire all’agenzia Fides informazioni e testimonianze circa l’apertura dell’Anno della Fede nelle comunità cattoliche cinesi del continente. Tra queste ne segnaliamo alcune. La diocesi di Tai Yuan ha invocato anche i martiri che hanno contraddistinto la storia della diocesi nel secolo scorso, durante la cerimonia di apertura dell’Anno della Fede. Oltre 2 mila fedeli hanno preso parte alla Messa presieduta da mons. Meng, coadiutore della diocesi, con una cinquantina di sacerdoti concelebranti. Come avvenuto in tante altre parrocchie della diocesi, oltre alla lettura della Lettera pastorale del vescovo per l’Anno della Fede, è stata anche letta una breve storia dei 5 martiri del secolo scorso, perché la loro intercessione aiuti a consolidare la fede dei fedeli e li faccia diventare testimoni della fede come loro. Nonostante sia la stagione del raccolto per i fedeli contadini del villaggio di Xiao Han della diocesi di Tian Jin, non hanno comunque voluto mancare alla solenne apertura dell’Anno della Fede, celebrata il 14 ottobre. Oltre 700 fedeli della diocesi di Xi An hanno partecipato all’apertura dell’Anno della Fede presieduta da mons. Giuseppe Dang, Vescovo ordinario, la sera dell’11 ottobre in comunione con Papa Benedetto XVI. Mons. Dang ha spiegato il senso dell’Anno della Fede e della Fede stessa, ha presentato il progetto pastorale diocesano per questo anno ed ha consegnato ai fedeli la guida per l’Anno della Fede. Anche la diocesi di Ha Er Bin ha celebrato l’apertura dell’Anno della Fede in concomitanza con la celebrazione presieduta da Benedetto in Vaticano l’11 ottobre. Il rito è stato presieduto dall’Amministratore apostolico, ed è stato seguito da un Seminario sull’Anno della Fede. La diocesi ha preparato abbondante materiale sul tema, incluso uno “speciale” con tutti i documenti del Papa e della Santa Sede per l’Anno della Fede, perché i fedeli possano “approfondire la fede, consolidare la fede e promuovere l’evangelizzazione nell’Anno della Fede, attraverso l’Eucaristia e l’incontro con Gesù, spalancando la Porta della Fede” . (R.P.)

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    Sud Corea: nuovo Santuario per i martiri coreani

    ◊   I martiri "sono stati il dono più grande che Dio abbia fatto alla Corea del Sud. La loro testimonianza, il loro sacrificio sono sorgenti di ispirazione quotidiana per tutti noi. E inaugurare un nuovo santuario dedicati ai martiri cattolici è un atto sentito anche dai non cristiani, a dimostrazione di quanto il loro impegno sia stato recepito da tutti i coreani". Lo dice all'agenzia AsiaNews mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon, a pochi giorni dall'inaugurazione del Santuario "Hwangsae Bawee". Il Santuario, continua il presule, "sarà inaugurato il 20 ottobre e sarà il più grande di tutto il Paese. La costruzione è stata resa possibile dalle donazioni dei fedeli, ma anche dal generoso contributo dello Stato, che ne ha voluto riconoscere l'importanza storica comune a tutti noi. All'interno vi sarà una lapide con i 337 nomi dei martiri che vennero giustiziati durante la terribile repressione della dinastia Joseon". La storia di questo luogo è particolare e di centrale interesse per la Chiesa locale. Alcuni secoli fa, qui si radunavano le cicogne: il nome significa in maniera letterale "la rocca delle cicogne". Ma "Hangswae", che suona allo stesso modo, significa anche "gogna": e durante l'ondata di furia anti-cristiana imposta dalla famiglia imperiale qui vennero condotti per essere giustiziati centinaia di fedeli. Le condanne a morte venivano eseguite sul fondo della vallata - nel luogo esatto dove sorgerà il santuario - in modo da avere quanti più spettatori possibili: i cattolici venivano decapitati, impiccati, lapidati, costretti a morire di fame o torturati fino alla follia. "Per più di un decennio - spiega mons. You - nel corso della persecuzione Byeongin, i seguaci di Cristo condotti qui si sono rifiutati di abiurare la fede e sono morti con coraggio". Fra i martiri di cui si è ritrovata l'identità vi sono Lee Jon-chang, uno dei primissimi leader cattolici coreani, la piccola figlia di Kim Chun-gyeom (impiccata a 10 anni) e Agostino Nam Sang-gyo, morto in prigione a 84 anni e padre di san Jon Nam Chong-sam, anche lui martire. All'inaugurazione del santuario, conclude mons. You, "sarà presente mons. Padilla, nunzio apostolico in Corea e Mongolia, ma anche il governatore della provincia, diversi deputati locali e Moon Jae-in, candidato democratico alle presidenziali di dicembre. Anche questa è una testimonianza di come questi martiri abbiano contribuito a formare tutto il Paese, non solo la nostra Chiesa". (R.P.)

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    Cambogia: è morto a Pechino l'ex re Norodom Sihanouk

    ◊   Norodom Sihanouk, già re della Cambogia, è morto oggi in un ospedale della capitale cinese, dopo essere stato colpito da un infarto. Il re, che ha passato molti anni a Pechino per motivi politici e per cure, aveva 89 anni. Per espresso suo desiderio, il suo corpo sarà portato in Cambogia e cremato. Le sue ceneri verranno sepolte nel palazzo reale di Phonm Penh. Il suo assistente, principe Sisowath Thomico, ha fatto notare che il suo sovrano parente è morto nell'ultimo giorno di Pchum Ben, la festa dei morti. Sebbene avesse abdicato nel 2004 a favore di suo figlio Norodom Sihamoni, la figura del re era ancora molto popolare nel Paese, e considerato quasi una divinità soprattutto nel mondo contadino. Durante il suo ultimo periodo in Cambogia - grazie anche all'intervento di sua moglie, la regina Monique - egli ha riaperto le relazioni diplomatiche con la Santa Sede (1994), confermando i passi per libertà religiosa della Chiesa cattolica, iniziati alcuni anni prima. Il principe Thomiko ha detto che la vita di Sihanouk "appartiene alla Cambogia e alla storia". In effetti nella sua vita si riscontrano tutte le contraddizioni e le speranze del Paese, passato in alcuni decenni da colonia francese a dittatura militare, poi comunista, fino a una discreta democrazia. Il ministero cinese degli esteri ha diffuso un comunicato in cui si esprimono condoglianze per la morte di Sihanouk, definito "un grande amico del popolo cinese”. (L.F.)

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    Congo: il ruolo di Parigi al summit della Francofonia di Kinshasa

    ◊   L’Africa è il futuro della Francofonia e la vecchia “Françafrique” è superata. Sono queste le considerazioni emerse sulla stampa congolese e internazionale all’indomani della chiusura del 14esimo Vertice della Francofonia che si è tenuto a Kinshasa dal 12 al 14 ottobre. L’Organizzazione della Francofonia (Oif) riunisce i Paesi di lingua francese (con l’importante eccezione dell’Algeria) e diversi Stati associati dei 5 continenti. La cosiddetta “Françafrique” rappresenta invece quel sistema di interessi, spesso non molto chiari, che lega Parigi alle sue ex colonie, che permette alla Francia di esercitare una forte influenza sui Paesi africani francofoni (anche quelli, come la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), che non erano stati colonizzati dalla Francia). “Joseph Kabila firma l’atto di decesso della Françafrique” titola oggi il quotidiano congolese “Le Potentiel” che pone l’accento sullo scontro tra il Presidente congolese Kabila e quello francese François Hollande, il quale facendo scalo a Dakar, in Senegal, aveva affermato “che il tempo della Françafrique è tramontato”. Prima di recarsi a Kinshasa, il Capo dello Stato francese aveva definito la situazione nella Rdc “del tutto inaccettabile sul piano dei diritti, della democrazia e del riconoscimento dell’opposizione”. “La Rdc non è assolutamente complessata per il livello di democrazia, di libertà, della situazione dei diritti dell’uomo” ha risposto ieri il Presidente Kabila. Anche sul piano formale l’accoglienza riservata al Presidente francese segna, secondo Le Potentiel, una svolta. Il Capo dello Stato francese è stato infatti accolto all’aeroporto di Kinshasa dal Primo Ministro (la quarta autorità dello Stato) e non dal suo omologo. Il Vertice è però venuto incontro alla richiesta della Rdc di lanciare un appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per imporre sanzioni mirate contro i gruppi che operano nell’est del Congo (ma il Rwanda ha emesso delle riserve su questo punto). Altri punti in discussione sono stati le crisi in Mali, Madagascar e in Guinea Bissau. La Francofonia, nata all’inizio almeno ufficialmente con scopi culturali e educativi, sembra quindi voler assumere una dimensione più politica, ponendo forse le basi per un rapporto diverso tra la Francia e l’Africa. Secondo Le Figaro, attualmente nel mondo vi sono 220 milioni di francofoni. Nel 2050 diverranno 750 milioni, dei quali 85% si troveranno in Africa. (R.P.)

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    Colombia: attesa per l'avvio del negoziato di pace

    ◊   Mentre cresce l’attesa per l’avvio formale del processo di pace tra il governo di Juan Manuel Santos e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) previsto a Oslo, in Norvegia, la memoria del Paese torna ai molteplici tentativi di raggiungere una soluzione negoziata al conflitto interno, falliti negli ultimi 50 anni. Trattative per la maggior parte intraprese negli anni ‘80 e ’90 che condussero al disarmo di gruppi ribelli minori come l’M-19 e l’Esercito popolare di liberazione (Epl), ma che non hanno mai portato a nulla di risolutivo con la formazione guerrigliera più longeva dell’America Latina. Si inserisce, ma solo nel 2006, l’inedito processo di pace tra l’amministrazione di Álvaro Uribe e i paramilitari delle Auc (Autodifese unite della Colombia) che portò alla smobilitazione, almeno sulla carta, di oltre 30.000 combattenti; un esito controverso, rilevano diversi osservatori, dal momento che i comandanti dei ‘paras’ furono estradati in seguito negli Stati Uniti e diversi loro uomini diedero vita a nuove bande criminali dedite al narcotraffico. Nella sua dichiarazione di intenti - riferisce l'agenzia Misna - ora Santos cerca un accordo definitivo con le Farc, dopo i fallimenti registrati da Belisario Betancur (1982-1986) e Andrés Pastrana (1998-2002), nell’auspicio di includere progressivamente nei colloqui anche il più piccolo Esercito di liberazione nazionale (Eln). Molti analisti concordano nel definire la lotta armata priva di qualsiasi fondamento nella Colombia odierna, come ha sottolineato Alejo Vargas, direttore del Centro di indagini di sicurezza e difesa dell’Università nazionale, già coinvolto in passato come ‘facilitatore’ del negoziato. Ricordano anche che il primo colloquio formale tra governo e Farc avvenne all’inizio degli anni ’80, nel pieno della selva, e avanzò fino alla dichiarazione di un cessate il fuoco e alla nascita di un partito, l’Unión Patriótica (Up). Uno schieramento che partecipò nel 1986 alle elezioni con un certo successo (Jaime Pardo Leal, ucciso l’11 ottobre 1987, arrivò terzo alle presidenziali) prima che si scatenasse una guerra senza quartiere attribuita ai paramilitari in concerto con le forze armate che portò allo sterminio di almeno 3000 dei suoi leader e militanti. La novità rispetto al passato, “è il contesto nazionale e internazionale” secondo Vargas. Per l’analista, le Farc giungono a Oslo pesantemente debilitate sul piano militare ma anche su quello politico, in un’America Latina che ha visto arrivare di recente anche settori della sinistra al potere attraverso le urne e non con le armi. (R.P.)

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    Messico: troppe bambine costrette a sposarsi ancora minorenni o a subire violenze

    ◊   In occasione della prima Giornata Internazionale della Bambina, promossa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, che si è concentrata prevalentemente sul matrimonio minorile e sulle sue drammatiche conseguenze, sono stati resi noti alcuni dati relativi al Messico. Nel 2010 - riferisce l'agenzia Fides - sono state uccise 329 bambine, facendo registrare l’indice più elevato dell’ultimo decennio. Nel 2011 sono state arrestate per delitti federali 693 minori, il doppio rispetto al 2010. Di queste, il 34.6% per possesso e consumo di droghe. Nel 2010, il tasso di suicidio tra le bambine da 10 a 14 anni (1.4) ha superato quello di mortalità per omicidio (1.1). Nove madri minorenni su 10 hanno lasciato gli studi, una su sei è stata aggredita sessualmente, il 46% non va a scuola e il 33% ha subito maltrattamenti nell’ambiente familiare. Secondo alcune statistiche recenti, nel mondo, una giovane su 3, tra i 20 e i 24 anni, è obbligata a sposarsi da bambina. Circa 23 milioni di ragazze, tra 20 e 24 anni, sono state costrette a sposarsi prima di avere compiuto 15 anni. In tutto il pianeta 400 milioni di donne dai 20 ai 49 anni, il 41% della popolazione mondiale in questa fascia di età, sono state obbligate a sposarsi ancora minorenni. Ogni anno circa 10 milioni di bambine sono costrette a sposarsi prima di aver raggiunto la maggiore età, e nel peggiore dei casi, hanno anche solo 8 anni. Non tutti i Paesi proibiscono il matrimonio prima di aver compiuto 18 anni: finora sono solo 113 sui 193 che rientrano nell’Onu. Un altro dato allarmante è quello delle aggressioni sessuali subite in tutto il mondo, la metà delle quali su ragazze con meno di 16 anni. Ogni 3 secondi una bambina è costretta a sposarsi, 75 milioni non vanno a scuola e il 64% dei casi di Hiv/Aids nel mondo si registra tra giovani di età compresa tra 15 e 24 anni. Nove minori su 10 che lavorano come domestiche, sono bambine tra 12 e 17 anni. Nei Paesi in via di sviluppo, il 90% delle madri adolescenti dai 15 ai 19 anni sono sposate, e le complicazioni collegate alla gravidanza sono la loro principale causa di morte. (R.P.)

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    El Salvador: mons. Rosa Chavez chiede di rilanciare la credibilità alla politica

    ◊   Il vescovo ausiliare di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chavez, ha criticato duramente il comportamento dei politici che gestiscono la cosiddetta “compra-vendita di volontà” nell'ambito politico. Dai primi giorni di settembre infatti la stampa locale ha ampiamente riferito sulle vicende del partito Arena, che ha chiesto ai suoi membri deputati di firmare un documento che contiene le linee del partito. Alcuni membri - precisa l'agenzia Fides - non hanno firmato il documento, altri hanno reclamato la loro indipendenza al momento di votare, altri ancora hanno cambiato partito. Malgrado non ci siano prove certe, molti politici sembrano ancora indecisi sul da farsi, e così viene rimandato il lavoro del parlamento, mentre il Paese ha bisogno di soluzioni immediate. Una prova di questa situazione è data dalla elezione del Procuratore Generale, posto vacante ormai dalla seconda settimana di settembre. “La politica nel Paese è molto screditata, quasi prostituita, e bisogna recuperarla, perché è un mestiere nobile”: queste le parole di mons. Rosa Chavez pronunciate durante una conferenza stampa, con cui ha commentato quanto sta accadendo. Secondo la nota pervenute all’agenzia Fides, il vescovo ausiliare di San Salvador ha sottolineato che il paese ha bisogno di una nuova classe politica per guidare il futuro della nazione: "I funzionari pubblici, a tutti i livelli, devono assumersi le loro responsabilità, dal Presidente della Repubblica fino all’ultimo sindaco o assessore. Il Paese è in crisi, è a pezzi, e per poterlo ricostruire abbiamo bisogno di leader con molto senso di responsabilità, gente che sia degna di fiducia". Mons. Rosa Chavez ha anche suggerito che la scelta degli alti funzionari, come il Procuratore generale, sia fatta da un gruppo di persone autorevoli, indipendenti, affidabili, con grande amore per il Paese e con la capacità di svolgere questi incarichi. (R.P.)

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    El Salvador: premiato padre Angel, "messaggero di pace"

    ◊   La Grande croce d’argento dell’Ordine nazionale José Matías Delgado è stata assegnata dalla Repubblica del Salvador a padre Ángel García, spagnolo, fondatore e presidente dell’associazione ‘Messaggeri della pace’ per il suo “contributo inestimabile” al fianco di bambini e anziani. Il riconoscimento, assegnato a capi di Stato o cittadini distintisi per il loro servizio al Paese - riferisce l'agenzia Misna - è stato consegnato al sacerdote in una cerimonia presso la sede del ministero degli Esteri alla presenza della ‘primera dama’ (first lady) Vanda Pignato e al capo della diplomazia, Hugo Martínez. Nelle parole del ministro, con ‘Messaggeri di pace’, fondata 50 anni orsono, padre Ángel ha “invertito i paradigmi” sostituendo i vecchi orfanotrofi e ospizi in luoghi funzionali in cui le persone senza casa potessero condurre una vita normale. Oggi l’associazione gestisce in Salvador cinque istituti, per bambini con paralisi cerebrali e colpiti da Hiv, per madri sole adolescenti e due per anziani. “Tutte persone abbandonate che non hanno nessuno che si occupi di loro” ha ricordato la presidente dei ‘Messaggeri’, Norma Edith Reyes. Padre Ángel ha espresso apprezzamento per il riconoscimento, aggiungendo che “il vero premio è poter stare con i bambini” e ricordando la figura di mons. Oscar Arnulfo Romero, assassinato nel 1980, “perché diceva la verità”. Dopo 50 anni, ha detto ancora il sacerdote, “Messaggeri di pace continua a credere in Dio e negli uomini e resta convinto che valga la pena di continuare a fare di questo un mondo migliore”. (R.P.)

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    Haiti: un disco per la raccolta fondi per le nuove generazioni

    ◊   Un gruppo di bambini haitiani accolti nel progetto “Niños Casa de Esperanza”, la maggior parte orfani, che vivono in un campo di sfollati di Port au Prince, ha preparato un album che verrà lanciato per una raccolta fondi a favore dell’accoglienza e dell’istruzione della nuova generazione di giovani haitiani. Il disco contiene 12 brani che sono stati composti dal sacerdote haitiano padre Freddy Elie. Si tratta di canzoni religiose, di lodi e di temi missionari, mirate a dare sostegno per lottare e crescere nella fede, proprio in occasione dell’Anno delle Fede. Con i fondi raccolti dalla vendita, gli organizzatori della “Casa de Esperanza” realizzeranno un progetto di autogestione per il futuro di questa casa, promossa da un gruppo di oltre 20 donne con l’aiuto di padre Freddy. Il loro obiettivo è dare una educazione scolastica ai più poveri degli accampamenti, affinchè nell’arco di una decina di anni possano aiutare Haiti a riprendersi. Anche se la casa non dispone di un reddito mensile, i bambini hanno sempre da mangiare, non solo quelli che frequentano la scuola ma anche tutti quelli che vivono nel campo e che si avvicinano alla struttura. Normalmente sono circa 80 al giorno. A distanza di 2 anni e mezzo dal terremoto che ha devastato Haiti, oltre 400 mila haitiani vivono in condizioni insalubri, circondati dalla spazzatura e, nel migliore dei casi, con unico riparo un tetto di plastica nei campi profughi sparsi nel Paese. (R.P.)

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    Francia: no della Federazione protestante ai matrimoni gay

    ◊   Dopo le prese di posizione dei vescovi cattolici e dell’assemblea dei vescovi ortodossi, sono scesi in campo anche i protestanti di Francia per dire no al progetto di legge annunciato dal governo francese sulla possibilità di aprire alle coppie omosessuali il matrimonio e l’adozione. In un lungo e dettagliato comunicato, la Federazione delle Chiese protestanti di Francia afferma che “l’attuale progetto del 'matrimonio per tutti’, apporta una confusione nella simbologia sociale e non favorisce la strutturazione della famiglia”. Per i protestanti, il no al progetto di legge non è “questione di morale ma antropologica e simbolica”. “La questione - si legge nel comunicato - è fondamentalmente sociale e collettiva. Rivela il modo con cui una società si percepisce e si costruisce e rivela i simboli sui quali lei delinea il campo della sua identità”. Ecco perché “bisogna dire chiaramente che le distinzioni operate tra omosessualità ed eterosessualità, non sono il riflesso di un moralismo desueto, ma rivelano una esigenza profonda del corpo sociale. E ciò domanda di essere strutturato, simbolicamente e realmente, attraverso la presentazione e l’accettazione di una differenza originale e fondamentale che attraversa profondamente le persone e il loro modo di essere”. No dunque anche dei protestanti alla tendenza insita nel progetto di legge di “considerare come indifferenti tutte le diverse forme di sessualità. Il matrimonio - si legge nel comunicato ripreso dall'agenzia Sir - non è la festa dell’amore, la messa in scena dei sentimenti. È una organizzazione sociale che contribuisce a strutturare le relazioni sulla base della differenza tra le generazioni, tra i sessi, tra sposati e non sposati”. Questo è il motivo per cui la Federazione dei protestanti di Francia “incoraggiando i suoi membri all’accoglienza rispettosa delle persone omosessuali” e “senza mettere in dubbio la responsabilità giuridica dei poteri pubblici”, dice no al progetto di legge. La Federazione inoltre esprime “la sua più viva preoccupazione”, se oltre al progetto “matrimoni per tutti” si portasse avanti anche “una riforma sul diritto della filiazione” senza che questo cambiamento non sia preceduto “da un vasto dibattito pubblico analogo a quello che ha preceduto l’adozione delle leggi di bioetica dal Parlamento”. Dunque i protestanti avallano la stessa proposta che aveva fatto tempo fa la Conferenza episcopale francese, sulla necessità di avviare un vasto dibattito nazionale prima di prendere qualsiasi decisione legislativa”. (R.P.)

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    Nobel per l'Economia 2012 agli americani Roth e Shapley

    ◊   Il premio Nobel per l’Economia è stato assegnato agli americani Alvin Roth e Lloyd Shapley per “la teoria delle allocazioni stabili e la pratica del design dei mercati”. I due economisti si divideranno un premio di otto milioni di corone svedesi, poco meno di un milione di euro. Roth è conosciuto per i suoi contributi nel campo della "Teoria dei giochi" e nell'economia sperimentale. Shapley è un matematico ed economista, considerato l'esponente di punta della Teoria dei giochi. Fra i successi della loro ricerca, figurano modelli economici per far incontrare domanda e offerta. I due studiosi utilizzano la “teoria dei giochi” di John Nash per individuare e comparare diverse soluzioni al fine di individuare quelle “ottimali” per le parti coinvolte nell'interazione. Per la Giuria "il premio di quest'anno è un riconoscimento a un incredibile lavoro di ingegneria economica". (A.L.)

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    Il Premio Vittorino Colombo a padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews

    ◊   Si è svolta ieri nella magnifica cornice della Villa Campello di Albiate la cerimonia di consegna del Premio Vittorino Colombo 2012, assegnato quest'anno a padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore dell'agenzia AsiaNews. Il premio è stato istituito nel 1997, a ricordo del grande statista cattolico, che ha dedicato molti anni all'impegno sociale e a costruire ponti di amicizia e collaborazione con la Cina, spingendo Pechino a garantire maggiore libertà religiosa ai cristiani e alle altre comunità. Il premio è stato consegnato dal sindaco di Albiate, Diego Confalonieri, alla presenza di molte personalità del mondo cattolico lombardo della cultura e dell'imprenditoria. Presente anche la sorella di Vittorino Colombo, signorina Tina. Fra le molte personalità che hanno ricevuto il premio, giunto alla XVI edizione, vi sono, fra gli altri, Vaclav Havel, scomparso presidente della Repubblica Ceca; Shirin Ebadi, avvocata iraniana a difesa dei diritti umani; il cardinale Agostino Casaroli e il cardinale Angelo Sodano. Padre Cervellera ha dedicato il premio a tre vescovi cinesi impediti nel loro ministero o scomparsi nelle mani della polizia: mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo ausiliare di Shanghai; mons. Giacomo Su Zhimin, vescovo di Baoding; mons. Cosma Shi Enxiang, vescovo di Yixian. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 289

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