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Sommario del 11/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa apre l’Anno della fede: la Chiesa riannunci Cristo nei deserti spirituali del mondo contemporaneo
  • La gioia dei 20mila fedeli in Piazza San Pietro per l'apertura dell'Anno della fede
  • Il Papa: i Padri conciliari non volevano creare una Chiesa nuova ma rinnovarla nella continuità
  • Fiaccolata in San Pietro a 50 anni dal discorso della luna di Giovanni XXIII
  • Sinodo: l'intervento del primate della Comunione anglicana Rowan Williams
  • Il presidente del Rinnovamento Martinez: dall'Anno della fede una nuova generazione di testimoni del Vangelo
  • Nomina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Guerra in Siria: cresce la tensione tra Russia e Turchia
  • Pakistan. Fuori pericolo la piccola Malala ferita dai talebani
  • Il presidente Napolitano invoca una legge per stroncare gli abusi di denaro pubblico
  • La terra può nutrire tutti, basta non rubarla. Il Cesvi punta il dito contro i biocarburanti
  • Giornata della vista: 39 milioni i ciechi nel mondo, rafforzare la prevenzione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: la Croce Rossa entra ad Homs. La situazione è drammatica
  • Pakistan: appello al governo di cristiani e musulmani per i diritti della donna
  • Cina: i cattolici vivono l’apertura dell’Anno della fede
  • Myanmar: per l’Anno della fede preghiera nelle famiglie e catechismo per i giovani
  • Nobel della letteratura allo scrittore cinese Mo Yan
  • Libano: il Sinodo greco-ortodosso chiede maggiore tutela per i cristiani del Medio Oriente
  • Nigeria: l'alluvione causa 120 mila senza tetto, case, ospedali, scuole, chiese ed edifici distrutti
  • Congo: si moltiplicano i gruppi che commettono violenze nel Nord Kivu
  • Guatemala: i vescovi chiedono la verità sul massacro di 8 indigeni compiuto dai militari
  • Bolivia: nota dei vescovi per i 30 anni di democrazia
  • Messico: una religiosa raccoglie dalle discariche bambini disabili abbandonati e li adotta
  • Vietnam: Assemblea dei vescovi su Anno della fede e Concilio Vaticano II
  • Usa: i vescovi esortano i fedeli a riscoprire il valore dei sacramenti
  • Francia: cattolici ed ortodossi contro la legalizzazione dei matrimoni gay
  • Turchia. Assassinio di mons. Padovese: rinviata l’ennesima udienza
  • Per l'Anno della fede un nuovo sito della Chiesa italiana
  • Chiesa romana di Santa Maria in Traspontina: riprendono gli incontri di Lectio divina
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa apre l’Anno della fede: la Chiesa riannunci Cristo nei deserti spirituali del mondo contemporaneo

    ◊   La “cosa più importante” sia quella di ravvivare in tutta la Chiesa “quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo” appoggiandosi sulla base concreta dei documenti conciliari. Così il Papa che stamani, in coincidenza con il 50.mo dell’inizio del Concilio Vaticano II e il 20.mo della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, ha presieduto la Santa Messa per l'apertura dell’Anno della fede. Quattrocento i concelebranti - fra cui 8 patriarchi delle Chiese orientali, 80 cardinali e 15 padri conciliari - che in una suggestiva processione sono saliti sul sagrato della Basilica di fronte ad una Piazza San Pietro affollata da circa 20mila persone. Alla fine della celebrazione eucaristica il Papa ha riconsegnato al Popolo di Dio i 7 Messaggi del Concilio e il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il servizio di Debora Donnini:

    “Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede”.

    In un’atmosfera solenne e gioiosa Benedetto XVI apre l’Anno della fede. E’ Cristo il centro della fede, sottolinea nell’omelia. Dio è il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo mediante Gesù Cristo che ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione e continua a farlo infondendo lo Spirito Santo nei discepoli sino alla fine dei tempi. “La Chiesa - ricorda – è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo”. L’Anno della fede che oggi è stato inaugurato, sottolinea poi, è legato a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: "dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre”. Il Papa rileva, quindi, la profonda convergenza proprio fra Paolo VI e Giovanni Paolo II nel porre l’accento su Cristo quale centro del cosmo e della storia e sull’ansia apostolica di annunciarlo e ribadisce il senso del Concilio Vaticano II ricordando le parole dello stesso Giovanni XXIII all’inaugurazione dell’assise conciliare da lui convocata: lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina ma far sì che “questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”. E Benedetto XVI ricorda di aver sperimentato lui stesso che durante il Concilio vi era una tensione commovente verso il compito di far risplendere “la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato”:

    “Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo”.

    Ma – avverte il Papa - affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione “non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa”, che sono, appunto, i documenti del Concilio Vaticano II. Per questo ricorda di aver insistito sulla necessità di ritornare ai testi: “la vera eredità del Concilio si trova in essi” afferma. Il riferimento a questi “mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità”. Il Concilio, rileva ancora, “non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede” ma si è preoccupato di fare in modo che la medesima fede continui ad essere “una fede viva in un mondo in cambiamento”:

    “I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità”.

    “Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione – afferma - non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa!”. E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione rientra in questa prospettiva. Benedetto XVI evidenzia, poi, che in questi decenni è avanzata una “desertificazione” spirituale, si è diffuso il vuoto, ma è proprio a partire dall’esperienza di deserto che si può riscoprire la gioia di credere:

    “E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”.

    La prima Lettura della Messa di oggi parla proprio della sapienza del viaggiatore: il viaggiatore sapiente ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli, come avviene – ricorda il Pontefice – ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che “non a caso sono tornate in auge in questi anni”. E forse, si chiede il Papa, tante persone sentono il bisogno di fare questi cammini perché qui trovano il senso del nostro essere mondo:

    “Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione”.

    Come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono, ricorda ancora Benedetto XVI che conclude chiedendo che la Vergine Maria “brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione”.

    All’inizio dell’omelia il Papa rileva che questa Celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici come la processione iniziale, che ha richiamato quella dei Padri conciliari nella Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio, e ancora la consegna dei Messaggi finali del Concilio e del Catechismo della Chiesa Cattolica. Segni, sottolinea, che vogliono far entrare nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per portarlo avanti nel suo vero senso: la fede in Cristo, animata dalla spinta a comunicarlo a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.

    Ad intervenire anche il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I che, citando il Decreto conciliare Unitatis Redintegratio, ha affermato: “ci uniamo nella «speranza che venga rimossa la barriera tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, e che si abbia finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola» (Unitatis Redintegratio §18). “Diamo inizio a preghiere per la pace e la salute dei nostri fratelli e sorelle cristiani che vivono in Medio Oriente”, afferma poi, auspicando che “il desiderio di armonia che dichiariamo qui” sia “modello per il nostro mondo” e che “possiamo lavorare insieme per superare il dolore dei popoli”.

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    La gioia dei 20mila fedeli in Piazza San Pietro per l'apertura dell'Anno della fede

    ◊   Tanti i fedeli presenti in Piazza San Pietro, circa 20mila: grande il loro entusiasmo per l’apertura dell’Anno della fede. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte da Paolo Ondarza:

    R. – Sono venuta qua proprio per sentirmi cellula viva della Chiesa.

    R. – Siamo chiamati a essere cristiani credibili.

    R. – Per tutti noi cristiani è un anno importante.

    D. – Che cosa vuol dire testimoniare la fede nella sua vita?

    R. – Essere d’esempio per gli altri ed essere coerente.

    R. – Diffondere la pace.

    R. – E’ un riavvicinarsi a Dio, per chi magari ha perso la strada.

    D. – E’ difficile testimoniare la fede oggi?

    R. – A volte sì.

    R. – Certe volte, forse, noi cristiani abbiamo paura di testimoniare con la vita e restiamo in disparte. Invece dovremmo avere quel coraggio che hanno avuto i Santi, che hanno avuto i martiri, di testimoniare ovunque che Cristo è veramente la nostra vita.

    D. – Che cosa vuol dire questo inizio dell’Anno della fede?

    R. – E’ un impegno che deve assumere ciascuno di noi per testimoniare la fede nel mondo, perché penso che giorno dopo giorno, in qualsiasi strada, ufficio o posto di lavoro, noi troviamo il modo per testimoniare Cristo, non mettendoci a sventolare bandiere, ma attraverso le nostre azioni.

    R. – E’ un evento importante. Per noi è un ritornare alle radici di ciò che siamo e di ciò che vogliamo essere.

    R. – Andare a riscoprire soprattutto nel nostro contesto, nella nostra società, quelle che sono le nostre origini, la nostra fede, i nostri principi.

    D. – Ha detto il Papa: “Occorre recuperare l’ardore della testimonianza”, quella fiamma che animava anche i primi apostoli...

    R. – Dobbiamo ripartire proprio dal Vangelo, dalla bellezza di sentirsi cristiani!

    R. – Essere confermati nella fede da parte del Successore di Pietro è una cosa molto importante per noi, soprattutto per noi giovani. Noi diciamo che la nostra generazione non è solo la generazione di Facebook o la generazione di Twitter, ma è la generazione di Cristo, una generazione che crede ancora nei valori veri, che ha ancora fede, una fede ancora più forte.

    D. – Oggi c’è il rischio di essere derisi, per il fatto di essere cristiani?

    R. – Sì, c’è il rischio: alcuni di noi vengono derisi quotidianamente a causa della fede. Noi dobbiamo dire ai nostri coetanei – io sono un giovane di 16 anni – nei licei, negli istituti, di non aver paura di credere in Cristo, di non aver paura di rivelare se stessi.

    D. – Come vivete questo inizio dell’Anno della fede?

    R. – Con molta felicità!

    D. – 50 anni fa il Concilio Vaticano II...

    R. – Io ho 50 anni, sono nata con il Concilio e ho vissuto tutto questo percorso e per me essere qui oggi è molto importante.

    R. – Io allora ero piccola, quindi non capivo il senso di certe parole e che cosa volessero dire. Con il passare degli anni, e vivendo in prima persona la fede che il Concilio ci ha mostrato, è diventata più grande la gioia di essere cristiana e la nostra testimonianza si è fatta più vera. Perché la fede, prima ancora di essere detta, deve essere vissuta.

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    Il Papa: i Padri conciliari non volevano creare una Chiesa nuova ma rinnovarla nella continuità

    ◊   L’Osservatore Romano ha pubblicato un numero speciale in occasione del 50.mo anniversario di apertura del Concilio Vaticano II. Una pubblicazione, in 40mila copie, corredata da narrazioni intense della stagione conciliare con dettagli di cronaca poco conosciuti e fotografie rare. Apre il numero speciale un testo di Benedetto XVI che ai lavori del Concilio partecipò come giovane teologo. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    I Padri conciliari “non potevano e non volevano creare una fede diversa o una Chiesa nuova, bensì comprenderle ambedue in modo più profondo e quindi davvero ‘rinnovarle’. Perciò un'ermeneutica della rottura è assurda, contraria allo spirito e alla volontà” di quanti parteciparono al Concilio: così scrive Benedetto XVI nella sua introduzione al numero speciale dell’Osservatore. Il Papa rievoca le sue emozioni di giovane teologo presente ai lavori conciliari:

    “Fu impressionante vedere entrare i vescovi provenienti da tutto il mondo, da tutti i popoli e razze: un'immagine della Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo, nella quale i popoli della terra si sanno uniti nella sua pace. Fu un momento di straordinaria attesa. Grandi cose dovevano accadere”.

    “Il cristianesimo, che aveva costruito e plasmato il mondo occidentale, - scrive il Papa - sembrava perdere sempre più la sua forza efficace”:

    “Appariva essere diventato stanco e sembrava che il futuro venisse determinato da altri poteri spirituali. La percezione di questa perdita del presente da parte del cristianesimo e del compito che ne conseguiva era ben riassunta dalla parola ‘aggiornamento’”.

    Il Papa ricorda come i singoli episcopati si fossero avvicinati al grande avvenimento con idee diverse. L'episcopato centroeuropeo - Belgio, Francia e Germania - aveva “le idee più decise”. Tuttavia c'erano alcune priorità comuni: il tema dell'ecclesiologia, la rivalutazione del ministero episcopale nel contesto del primato papale, il ciclo tematico Rivelazione-Scrittura Tradizione-Magistero, il rinnovamento liturgico - molto importante per gli episcopati centroeuropei - così come l’ecumenismo, argomento sentito in modo particolare dai vescovi tedeschi:

    “Il sopportare insieme la persecuzione da parte del nazismo aveva avvicinato molto i cristiani protestanti e quelli cattolici; ora questo doveva essere compreso e portato avanti anche a livello di tutta la Chiesa”.

    “Tra i francesi – ricorda Benedetto XVI - si mise sempre più in primo piano il tema del rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno, ovvero il lavoro sul cosiddetto «Schema XIII», dal quale poi è nata la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”:

    “Qui veniva toccato il punto della vera aspettativa del Concilio. La Chiesa, che ancora in epoca barocca aveva, in senso lato, plasmato il mondo, a partire dal XIX secolo era entrata in modo sempre più evidente in un rapporto negativo con l'età moderna, solo allora pienamente iniziata. Le cose dovevano rimanere così? La Chiesa non poteva compiere un passo positivo nei tempi nuovi?”.

    “Inaspettatamente, – scrive il Papa - l'incontro con i grandi temi dell'età moderna non avvenne nella grande Costituzione pastorale, bensì in due documenti minori, la cui importanza è emersa solo poco a poco con la ricezione del Concilio”: la Dichiarazione sulla libertà religiosa, “richiesta e preparata con grande sollecitudine soprattutto dall'episcopato americano”, e la Dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Il primo testo affermava la “libertà di scegliere e di praticare la religione, come anche della libertà di cambiarla, in quanto diritti fondamentali alla libertà dell'uomo”. Il secondo documento, che “si sarebbe poi rivelato importante per l'incontro della Chiesa con l'età moderna – rileva il Papa - è nato quasi per caso ed è cresciuto in vari strati”. Infatti “all'inizio c'era l'intenzione di preparare una dichiarazione sulle relazioni tra la Chiesa e l'ebraismo, testo diventato intrinsecamente necessario dopo gli orrori della shoah”. Successivamente, i Padri conciliari aggiunsero i riferimenti all’islam, all'induismo, al buddhismo e al dialogo e alla collaborazione tra le religioni, “i cui valori spirituali, morali e socio-culturali dovevano essere riconosciuti, conservati e promossi”. Una carenza del testo – sottolinea Benedetto XVI – è il fatto che “ignora le forme malate e disturbate di religione, che dal punto di vista storico e teologico hanno un'ampia portata”.

    Il Papa conclude la sua introduzione rilevando che “se all'inizio del Concilio avevano prevalso gli episcopati centro-europei con i loro teologi, durante le fasi conciliari il raggio del lavoro e della responsabilità comuni” si allargò sempre di più:

    “I vescovi si riconoscevano apprendisti alla scuola dello Spirito Santo e alla scuola della collaborazione reciproca, ma proprio in questo modo si riconoscevano come servitori della Parola di Dio che vivono e operano nella fede”.

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    Fiaccolata in San Pietro a 50 anni dal discorso della luna di Giovanni XXIII

    ◊   Fiaccolata questa sera a Roma promossa dall’Azione Cattolica per ricordare l’analoga manifestazione, 50 anni fa, in occasione dell’apertura del Concilio con Papa Giovanni XXIII. L’appuntamento è alle 18.30 a Castel Sant’Angelo: poi la processione tra canti e preghiere lungo Via della Conciliazione fino ad arrivare in Piazza San Pietro. Alle 21.00, Benedetto XVI si affaccerà dalla finestra del suo studio privato per benedire i fedeli. Luca Collodi ha intervistato l’arcivescovo emerito di Siena, mons. Gaetano Bonicelli, 88 anni, che organizzò, come vice-assistente delle Acli, la fiaccolata dell’11 ottobre 1962:

    R. – Piazza San Pietro quel giorno era davvero gremita e una larghissima parte teneva proprio una fiaccola in mano. Per cui, quando il Santo Padre che, su richiesta di Capovilla, aveva declinato di fare altre cose, in una giornata già così piena, si affacciò, o meglio guardò attraverso la finestra la piazza, restò imbambolato, e disse: “Apriamo la finestra, ma non dirò una parola”. Ma una volta aperta la finestra, di fronte a tutta quella gente, quando il Papa sentì il calore della gente, il calore della Chiesa, improvvisò quel bellissimo discorso della luna. Immaginate che io vedevo la gente saltellare, uomini e donne adulti, in Piazza San Pietro, dalla gioia e dall’entusiasmo. Per me, ovviamente, è difficile trovare, nella mia lunga vita, un’occasione come quella per benedire il Signore.

    D. – In quelle ore incontrò anche Papa Giovanni?

    R. – Sì, lo avevo incontrato proprio il giorno prima del Concilio e anch’io avevo timidamente detto: “Ci vuole un bel coraggio”. Lui mi rispose: “Ma credi o non credi alla Provvidenza? Se il Signore ha voluto questo, allora noi ci inginocchiamo davanti a Lui e andiamo avanti sereni”.

    Riascoltiamo un brano del celebre “Discorso della luna” di Papa Giovanni XXIII in quella sera dell’11 ottobre 1962:

    “Cari figlioli … si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera … Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo … Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: ‘Questa è la carezza del Papa’. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Dite una parola buona: ‘Il Papa è con noi, specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza…’. E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino…”.

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    Sinodo: l'intervento del primate della Comunione anglicana Rowan Williams

    ◊   Erano presenti alla solenne Messa di apertura dell’Anno della Fede, presieduta stamani da Benedetto XVI, anche i partecipanti al Sinodo dei vescovi, in corso in Vaticano sul tema della nuova evangelizzazione. Ieri pomeriggio, tra gli interventi più significativi dell’assise, quello pronunciato dall’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Rowan Williams. Il servizio di Isabella Piro:

    Sono le 18.00 in punto quando Benedetto XVI fa il suo ingresso nell’Aula del Sinodo per ascoltare l’intervento dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams. Il Papa entra in modo discreto – come sottolinea il cardinale congolese Monsengwo, presidente delegato della sessione dei lavori – e con attenzione si pone all’ascolto del primate anglicano, che pronuncia un intervento ad ampio spettro. Il suo primo sguardo va al Concilio Vaticano II: lo definisce “il segno di una grande promessa, il segno che la Chiesa era sufficientemente forte da porsi domande impegnative sull’adeguatezza della propria cultura e delle proprie strutture” alla complessità del mondo moderno. In pratica, dice Rowan Williams, il Vaticano II è stato una riscoperta della passione evangelica, concentrata sul rinnovamento e sulla credibilità della Chiesa nel mondo.

    Ma c’è un aspetto particolarmente importante che il Concilio ha messo in risalto, sottolinea il primate anglicano: è il rinnovamento dell’antropologia cristiana, ovvero il comprendere che proclamare il Vangelo significa dire che è possibile essere veramente umani, creati ad immagine dell’umanità di Cristo. In questo senso, la fede cattolica e cristiana rappresenta “un vero umanesimo”.

    In quest’ottica, sottolinea l’arcivescovo di Canterbury, la contemplazione - ovvero il dimenticarsi di sé per guardare a Dio e al prossimo - rappresenta l’unica risposta al mondo “irreale e folle” creato dai sistemi finanziari. E vivere in modo contemplativo significa compiere un atto “profondamente rivoluzionario” perché vuol dire imparare ciò che ci serve per vivere con fedeltà, onestà ed amore.

    Giustizia ed amore, dunque, caratterizzano il volto dei cristiani. E il primate anglicano cita l’esempio delle comunità di Taizé, di Bose, delle grandi reti spirituali come Sant’Egidio, i Focolari di Chiara Lubich, Comunione e Liberazione: tutte aperte ad una visione umana più profonda, perché tutte con l’obiettivo di rendere viva la realtà di Gesù.

    L’arcivescovo di Canterbury affronta, poi, il tema dell’ecumenismo spirituale e ribadisce che quanto più i cristiani si distanziano gli uni dagli altri, tanto meno convincente apparirà il volto della nuova umanità. In questo senso, un’autentica iniziativa di evangelizzazione dovrà sempre essere un’evangelizzazione di se stessi in quanto cristiani, una riscoperta della fede che trasfigura, un itinerario – non ambizioso, ma guidato dallo Spirito – verso la maturità in Cristo, per rendere “attraente” il Vangelo agli uomini del nostro tempo, nella “gioia della comunione”.

    Prima dell’intervento di Rowan Williams, l’Aula del Sinodo aveva ascoltato numerose altre riflessioni, innanzitutto quella sul dialogo interreligioso, che inizia sempre – affermano i Padri sinodali - con l’affermazione delle proprie convinzioni, senza sincretismo o relativismo. Di fronte ai seguaci di altre religioni con un’identità religiosa forte, occorrono, quindi, cristiani motivati e preparati dal punto di vista dottrinale, capaci di rispondere della propria fede, con semplicità e senza paura. Certo, evidenzia il Sinodo, non si tratta di mettere tra parentesi la fede cristiana, di arretrare di fronte alle persecuzioni e alle discriminazioni. Anzi: bisogna denunciare con il massimo vigore la violenza che ferisce e uccide, ancor più ingiustificata quando si fa scudo dietro una religione.

    Tuttavia, esistono esempi positivi di amicizia e fraternità tra credenti, come in Turchia, dove un coro composto da cinque confessioni diverse esegue insieme canti religiosi delle une e delle altre, in un’ottica che ispira la pace, incoraggia la solidarietà, promuove la giustizia e difende la libertà.

    D’altronde - è la considerazione dell’Assemblea episcopale - oggi il mondo e anche il posto della Chiesa nel mondo sono cambiati; sognare il ritorno della cristianità è un’illusione. La Chiesa, però, non deve temere di esporsi allo sguardo della società, ma ha l’obbligo di essere un testimone udibile e credibile.

    Come fare, dunque? Il Sinodo suggerisce di formare sacerdoti in grado di essere veri testimoni della fede, di sostenere i catechisti, per i quali si auspica l’istituzione di un ministero stabile, di seguire l’esempio dei missionari, che trovano Dio in ogni cosa, di evangelizzare le famiglie, base della società.

    Perché oggi non basta la scienza, non bastano i documenti, non bastano le strutture ecclesiastiche: per rispondere alle domande più profonde dell’uomo occorre toccare il suo cuore. E ciò è possibile, afferma il Sinodo, attraverso il messaggio della Divina Misericordia, capace di formare cristiani zelanti e responsabili, portatori di senso e di speranza per l’umanità.

    In fondo, conclude l’Aula sinodale, la nuova evangelizzazione è una “avventura spirituale” che non vuole improvvisazioni, bensì una conversione dei cuori a livello personale, comunitario ed istituzionale, nel contesto del nostro tempo.

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    Il presidente del Rinnovamento Martinez: dall'Anno della fede una nuova generazione di testimoni del Vangelo

    ◊   In 50 anni i frutti del Concilio Vaticano II si sono manifestati a partire da un rinnovato coinvolgimento del mondo laicale nella vita della Chiesa e attraverso l’opera dei movimenti. Lo conferma al microfono di Paolo Ondarza, il presidente italiano del Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez, uditore al Sinodo sulla nuova evangelizzazione in corso in Vaticano:

    R. - Inaugurando il Concilio Ecumenico Vaticano II, il Beato Giovanni XXIII aveva invocato una novella Pentecoste. Possiamo dire che a cavallo tra due millenni, la Chiesa ha conosciuto il cosiddetto ”rinnovamento conciliare” in tutte le sue espressioni. Abbiamo avuto una riconsiderazione della causa ecumenica, dello spazio della Parola di Dio nella vita dei cristiani, un rinnovamento della vita liturgica. Tra queste forme di rinnovamento troviamo certamente anche quello legato alla riscoperta della vita carismatica nella Chiesa e in special modo nel protagonismo dei laici; siamo debitori ai padri conciliari di questa grande apertura.

    D. - Oggi si apre l’Anno della fede. Spesso i padri sinodali rilevano: “Le bocche di chi dovrebbe proclamare il Vangelo sono chiuse, le orecchie di chi lo dovrebbe ascoltare restano chiuse”. Come fare?

    R. - San Paolo ci dice cha la Fede nasce dall’ascolto, e aggiunge: “Come potranno credere se non c’è qualcuno che predicherà, che proclamerà il nome di Gesù Cristo?” Riteniamo che l’afasia di questo nostro tempo, la difficoltà di “dire” Gesù Cristo, derivi essenzialmente da una fede non nutrita dalla preghiera e dalla Parola di Dio. L’importante è che il Vangelo sia comunicato. “In principio era il Verbo”, significa “in principio era la comunicazione”. Gesù dice che questa lieta notizia deve essere gridata anche dai tetti. Certo, impressiona vedere che in molti casi, il cristianesimo conosce stanchezza e non giovinezza; conosce silenzio e non proclamazione. I movimenti, le nuove comunità, rappresentano certamente un aiuto alla causa della nuova evangelizzazione.

    D. - Al Sinodo è stata ribadita anche l’importanza dell’ecumenismo per la nuova evangelizzazione.

    R. - Dobbiamo ricostruire, riconciliare i cristiani. Ricostruire sostanzialmente quell’unità che nello spirito non è mai venuta meno. La Chiesa rimane “una” nello Spirito. Poi nella professione delle fede e soprattutto nella vita delle comunità, cogliamo ancora divisioni. Ma bisogna anche dire che spesso le nuove generazioni non comprendono queste divisioni storiche, talvolta anche di natura politica, che poi gravano nella dimensione dell’unità visibile dei cristiani. E Gesù Cristo l’ha detto: “Sarà questa unità a parlare, a convincere, a portare gli uomini alla fede”.

    D. - Qual è il suo messaggio per questo Sinodo?

    R. - Certamente in questi giorni, in queste prime giornate sinodali, si coglie lo spirito della Pentecoste; diversità di culture, diversità di tradizione ma un solo spirito, una sola fede, una sola Chiesa, un solo desiderio - quello dei padri sinodali - di ridare alle nuove generazioni il sapore pieno, integrale e - direi - ancora profetico del Vangelo di Gesù Cristo. Si colgono indubbiamente motivi di preoccupazione, soprattutto laddove i cristiani sono perseguitati o dove c’è una desacralizzazione delle nostre società o dove si coglie la difficoltà dei giovani di intercettare il Vangelo. Mi pare che le questioni fondamentali si stiano affrontando con grande chiarezza e con lungimiranza. Quest'Anno della fede trova in questo Sinodo una piattaforma di lancio straordinaria, e credo che lo Spirito Santo ci sorprenderà nel farci vedere quanti nuovi testimoni, quanti nuovi missionari, quanti nuovi predicatori sono già presenti all’interno della Chiesa!

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    Nomina

    ◊   Il reverendo sacerdote Vincenzo Peroni è stato nominato cerimoniere pontificio.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Oltre la commemorazione: in prima pagina, un editoriale del direttore sull'apertura dell'Anno della fede nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II.

    La relazione del cardinale Marc Ouellet sull'esortazione postsinodale della precedente assemblea ordinaria e gli interventi dei padri sinodali.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'acuirsi della tensione fra Damasco e Ankara.

    Sorprendente Teodora: in cultura, Ritanna Armeni recensisce il film (ora nelle sale francesi) di Anca Hirte su un'aspirante novizia rumena.

    Il premio Nobel per la letteratura 2012 conferito al cinese Mo Yan, lo sceneggiatore che non vuole parlare.

    Se Pierre Boulez diventa un classico: l'inviato Marcello Filotei intervista Ivan Fedele, direttore artistico della Biennale musica di Venezia.

    Nell'informazione religiosa, un articolo di Umberto Vattani dal titolo "E Teresa d'Avila prese la laurea in Inghilterra": come la santa divenne la prima donna a essere insignita dagli anglicani del titolo di Teacher of Faith.

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    Oggi in Primo Piano



    Guerra in Siria: cresce la tensione tra Russia e Turchia

    ◊   Assume proporzioni sempre più vaste il conflitto civile in Siria. Stamani otto lavoratori siriani sono stati uccisi al confine con il Libano da un commando armato. Intanto, cresce la tensione anche tra Mosca e Ankara, soprattutto dopo che la Turchia ha costretto all’atterraggio sul proprio territorio un aereo siriano proveniente dalla Russia e - sembra - contenente materiale bellico. Il velivolo, su cui viaggiavano anche 17 cittadini russi, è stato fatto poi ripartire una volta sequestrato il materiale a bordo. Dura la protesta di Damasco e Mosca. Il ministro degli Esteri turco ha convocato l'ambasciatore russo ad Ankara. Dalla sua, il regime di Assad ha accusato l’Occidente di fornire armi agli insorti. Di questa situazione Giancarlo La Vella ha parlato con Stefano Torelli, esperto di Medio Oriente del sito “Equilibri.net”:

    R. – Questo è il frutto di una politica non chiara da parte di tutti gli attori internazionali. Quindi la necessità di intervenire o agire per far sì che questo conflitto interno possa evolversi in modo o nell’altro purtroppo, evidentemente, sta creando questa situazione in cui la Siria diventa oggetto di attenzione da parte degli attori internazionali e probabilmente, come stiamo vedendo, diventa destinazione di aiuti finanziari e militari da parte di vari attori statali.

    D. – Questa situazione è quella che consente al regime di Assad di rimanere in sella?

    R. - Da un lato sì, probabilmente. Il fatto che, innanzitutto a differenza di quanto accaduto per esempio in Libia, nessun attore esterno abbia deciso - seppur qualcuno lo abbia auspicato - di intervenire direttamente nel Paese, fa sì che le forze del regime attualmente sul campo, evidentemente ancora più forti di quelle dei ribelli, restino in sella. D’altro canto c’è anche da dire che lo stesso regime ha più vita facile nel giocare la carta propagandistica puntando il dito contro tentativi di destabilizzazione che vengono dall’esterno cercando di far credere anche a quella parte di popolazione che ancora è dalla parte del regime che sia in atto una sorta di complotto internazionale contro Assad.

    D. – Chi è che vuole che invece il gruppo degli insorti vada al potere, considerando che non si è ancora capita l’anima o le anime dei miliziani?

    R. – Sì, in realtà se fossimo davanti a un gruppo di opposizione ben definito, omogeneo, evidentemente tutti gli attori che auspicano una caduta del regime accetterebbero più di buon grado e probabilmente cercherebbero di accelerare questa transizione per far sì che si possa passare a una buona fase. Infatti, anche il regime di Assad dal punto di vista strategico, politico, militare, è diventato scomodo per molti vicini; pensiamo a quello che sta accadendo ai confini con la Turchia, per esempio. D’altro canto, il fatto che queste forze di opposizione siano anche molto frammentate tra di loro e non sia ancora chiara né quale sia l’anima preponderante di questo movimento di opposizione, né quante siano ancora queste anime del gruppo di opposizione, questa ambiguità fa sì che anche quegli attori internazionali, che più di tutti spingerebbero la caduta del regime, siano un po’ frenati.

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    Pakistan. Fuori pericolo la piccola Malala ferita dai talebani

    ◊   E’ fuori pericolo, ma resta in terapia intensiva Malala Yousafzai, la ragazzina pakistana di 14 anni, attivista dei diritti umani, ferita martedì, a Mingora, nella regione di Swat, con due colpi di pistola da un commando di talebani, mentre usciva da scuola. La piccola è stata trasferita in un ospedale di Rawalpindi. Netta la condanna della Comunità internazionale. Il governo della provincia pakistana di Khyber-Pakhtunkhwa, dove è stato sferrato l'agguato contro la piccola, ha annunciato una ricompensa da 10 milioni di rupie circa 81mila euro - per chi collaborerà nell'identificazione dei responsabili. Massimiliano Menichetti:

    Sono ore decisive per capire se uno dei due proiettili, sparati dalla furia talebana, martedì, che ha colpito alla testa Malala Yousafzai, possa averle causato dei danni al cervello. All’età di 11 anni, Malala, ha aperto un blog denunciando la “barbarie” talebana, ed ora sono migliaia in tutto il mondo a pregare, a sperare che la piccola attivista si svegli da questo orrendo incubo. I medici ribadiscono che è fuori pericolo di morte ed oggi è stata trasportata, in terapia intensiva, a Rawalpindi, dopo aver subito un’operazione di oltre tre ore in un ospedale, altamente specializzato, di Peshawar.

    Le autorità pakistane sarebbero già sulle tracce degli attentatori. Il capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Ashfaq Parvez Kayani, ha ribadito che “con l'attacco a Malala i terroristi hanno dimostrato di non aver alcun rispetto per la vita, che lei non è solo una persona, ma un'icona di coraggio e speranza”. “Ci rifiutiamo di piegarci di fronte al terrorismo”, ha sottolineato.

    Molte le manifestazioni in Pakistan contro i talebani, l’ultima ieri sera a Lahore, nella parte orientale del Paese, dove sono stati intonati slogan contro i terroristi. Unanime la condanna della comunità internazionale, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto “indignato”.

    Dura anche la posizione espressa dall’Unicef che chiede tutele per tutti i bambini. Ne abbiamo parlato con Andrea Iacomini portavoce di Unicef Italia:

    R. – L’Unicef condanna fermamente l’attentato a Malala, abbiamo esortato tutte le parti affinché si rispettino i diritti di tutti i bambini. Proprio nel mese di dicembre 2011 – e mi preme ricordarlo – Malala è stata premiata dal governo pachistano con il Premio nazionale per la pace. E una bambina coraggiosa, una bambina che apre un blog in cui parla di diritti, anche quello all’istruzione. Non dimentichiamo che in Pakistan ci sono 20 milioni di bambini che sono fuori dal sistema scolastico e anche con l’istruzione e con la conoscenza si sconfiggono piaghe come quelle che portano a questi atti orribili.

    D. – Oggi la prima Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze, indetta dall’Onu…

    R. – Questa Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze l’abbiamo dedicata proprio ai matrimoni precoci, di cui si hanno dati piuttosto sconcertanti: in Pakistan abbiamo 70 milioni di giovani donne, tra i 20 e i 24 anni, quindi una su tre, che si sono sposate prima dei 18 anni; 23 milioni di queste addirittura prima di aver compiuto i 15. A livello mondiale ci sono 400 milioni di donne, di età compresa tra i 20 e i 49 anni, quindi oltre il 40 per cento del totale, si sono sposate bambine. Non dimentichiamo poi che questi matrimoni precoci – per riagganciarci al discorso di Malala e dell’istruzione – spesso portano proprio alla fine dell’istruzione per le ragazze. Nelle comunità, dove questa pratica è molto diffusa, sposare una bimba fa parte di una serie di norme sociali ed atteggiamenti che poi, di fatto, si abbattono sulle scelte e sui diritti umani. Inoltre le bambine tra i 10 e i 14 anni di età hanno cinque volte più probabilità, rispetto alle donne tra i 20 e i 24 anni, di morire durante la gravidanza e il parto.

    D. – Come si fa a cambiare Paesi dove i matrimoni combinati sono radicati profondamente nella cultura?

    R. – Esperienze in contesti come, per esempio, in Bangladesh o il Burkina Faso, ma anche in Etiopia o in Niger, hanno dimostrato come la combinazione di misure legali e il supporto alle comunità produce risultati positivi. La possibilità di fornire delle alternative come la scuola, il discutere apertamente di questo problema nelle comunità tribali, il raccontare quali sono le problematiche legate a queste decisioni porta dei cambiamenti, produce risultati positivi. Noi ne abbiamo evidenza e quindi riteniamo che questa sia la strada giusta da perseguire.

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    Il presidente Napolitano invoca una legge per stroncare gli abusi di denaro pubblico

    ◊   La politica italiana è scossa dalla vicenda della Regione Lombardia all'indomani dell’arresto di un assessore del Pdl, accusato di aver comprato i voti dalla ‘ndragheta in cambio di appalti e dopo che la Lega ha ritirato il suo appoggio al governatore Formigoni. Al termine dell'incontro tra il presidente della Repubblica Napolitano e i rappresentanti delle Regioni, il Quirinale ha diramato una nota nella quale si chiede "un immediato intervento legislativo per ridurre i costi della politica e stroncare intollerabili fenomeni di abuso del denaro pubblico e di malcostume''. Polemiche anche a Reggio Calabria dopo lo scioglimento del Comune. Su quanto sta accadendo Benedetta Capelli ha raccolto il parere del prof. Alberto Lo Presti, docente di Storia delle dottrine politiche alla Pontificia Università San Tommaso d'Aquino - Angelicum di Roma:

    R. – Ci sono alcuni fattori a monte di tutto questo stato di cose. Intanto, una classe politica che ha vissuto la missione politica con un po’ di spregiudicatezza, mettendo in mostra la capacità di dominare gli interessi in quanto persone fortemente coinvolte nei processi economici. Questo non ha funzionato, perché la stessa politica ne è rimasta influenzata ad un punto tale che oggi il nostro senso di saturazione degli scandali è molto sceso. Quasi non ci meraviglia più del politico corrotto o del politico che ha utilizzato risorse comuni per i propri interessi personali. In più a questo si è accompagnato un processo istituzionale, nel quale abbiamo pensato il federalismo come la semplice distribuzione di risorse a livello locale e il livello locale ha pensato di trovare quegli angoli, quegli interstizi del meccanismo politico, nel quale appunto è difficile operare qualsiasi controllo. In tutto questo, allora, c’è bisogno sia di lavorare sempre sul piano morale, stando attenti e alzando la soglia della propria intolleranza verso il malcostume e, dall’altra parte, considerare la devolution in forma corretta.

    D. – La riforma della legge elettorale come il ddl sulla corruzione possono aiutare un po’ a sgomberare il campo?

    R. – Assolutamente sì. Tornare alle preferenze, discutere di una legge elettorale senza che ci sia un premio di maggioranza assegnato alla coalizione o al partito, queste sono tutte discussioni necessarie. Non crediamo però di affidare alla legge elettorale e alla sua riforma la possibilità di arginare il malcostume, perché questo sarebbe improprio.

    D. – Da Mani Pulite ad oggi che cosa è successo? La stagione di Mani Pulite sembrava essere una stagione di rinascita della politica stessa e invece qualcosa non ha funzionato...

    R. – Quella fu una stagione davvero particolare nella quale c’era un mondo bipolare che veniva meno. Quindi interessi cristallizzati fra destra e sinistra che si sono dissolti con la caduta del Muro di Berlino ed anche una certa carenza a livello etico ha prodotto il crollo di una classe politica, sommersa anche dai fenomeni di corruzione. Qui invece siamo di fronte a qualcosa di ben più grave cioè non c’è più alcun motivo ideologico. Qui non c’è nessun fine "buono" nella corruzione che molti esponenti stanno esibendo. Il problema, dunque, è autenticamente morale. Penso che ci sia proprio un fattore che è ancora più decadente oggi rispetto a quello di allora. E proprio per questa ragione penso che se ne possa uscire fuori meglio. Sta proprio alle coscienze dei cittadini e all’azione partecipata di tante associazioni costituite, in vista del buon governo, far sentire la propria voce e curare i malanni lì dove si presentano.

    D. – Quindi, sostanzialmente, dalla crisi dei partiti siamo passati ad una crisi dei valori...

    R. – Prima c’era la crisi dei partiti, dettata dal declino ideologico, oggi invece c’è proprio un malcostume diffuso dettato da una classe politica spregiudicata che, negli ultimi 20 anni, ha trasmesso un’immagine vincente di sé nella misura in cui era spregiudicata; c’è poi un meccanismo istituzionale che non ha saputo trovare i bilanciamenti rispetto alla devolution e, appunto, da un sistema elettorale che ha mandato in Parlamento o negli scranni della rappresentanza politica persone spregiudicate, perché capaci di aggregare consenso in modo più o meno opaco.

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    La terra può nutrire tutti, basta non rubarla. Il Cesvi punta il dito contro i biocarburanti

    ◊   Burundi, Eritrea e Haiti sono i Paesi con metà della popolazione affetta da denutrizione, e sono in cima alla classifica dei luoghi dove l’indice di fame è “allarmante o estremamente preoccupante”. La sicurezza alimentare dei più poveri è minacciata anche dall’uso non sostenibile delle terre, dell’acqua e dell’energia. Lo spiega il rapporto 2012 sull'Indice globale della fame presentato oggi a Milano dall'ong Cesvi, in collaborazione con Link 2007, Ispi e Comune di Milano. Negli ultimi 10 anni, si legge, la superficie delle terre destinate alle colture per biocarburanti e fibre tessili è stata di sette volte quella dell’Italia, a scapito della produzione di cibo. La Malesia è il Paese in via di sviluppo che ha la maggiore quantità di terra affittata dalle grande società internazionali di tutto il mondo. Francesca Sabatinelli ha intervistato Stefano Piziali, del Cesvi, curatore dell’edizione italiana del Rapporto:

    R. – L’attuale modello di produzione agricolo non è adeguato per produrre al meglio risorse per l’alimentazione, in quanto la terra è sfruttata in modo eccessivo. Una parte cospicua del suolo è sfruttata per produrre biocarburanti, che non sono poi necessari alla nostra alimentazione; la produzione dell’acqua per l’agricoltura è inefficiente; mancano conoscenze e produzione di queste conoscenze nel mondo africano, laddove l’impatto può essere sicuramente più significativo per cambiare gli stili di vita e la nutrizione di questi Paesi.

    D. – Quali soluzioni alternative sono contenute quindi nel Rapporto?

    R. – In particolare, il Rapporto propone uno scenario che si basa sulla diffusione di conoscenze nel mondo africano e nel mondo asiatico e, soprattutto, sulla revisione di tutti quei parametri negativi, che affliggono lo sfruttamento delle risorse per l’alimentazione. Pensiamo semplicemente al suolo: oggi in Africa molte terre sono sottratte ai contadini che non possono quindi più usarle per la loro alimentazione, per produrre alcuni prodotti per l’esportazione, e per integrare il loro reddito, perché queste terre vengono affittate, a volte anche per 99 anni, da società internazionali, con base in Cina, in India, in Medio Oriente e anche in Europa, che producono in queste terre biocarburanti, destinati a sostituire il petrolio per far funzionare le nostre macchine. Quello che noi stiamo dicendo è che possiamo produrre energia in modo diverso, sfruttando per esempio i biocarburanti di seconda generazione ovvero quelli prodotti dagli scarti della produzione agricola, e non sfruttare magari terre, che vorrebbero essere dedicate alla produzione di cereali da destinare all’alimentazione.

    D. – Perché ci si è soffermati sulla produzione di colture per biocarburanti? E’ considerato forse il principale fattore critico?

    R. – E’ uno dei fattori critici, perché dobbiamo pensare che tutti i fattori critici sono tra loro collegati. Oggi produrre energia è fondamentale per lo sviluppo agricolo, perché l’agricoltura richiede energia. D’altro canto, la produzione di energia non è possibile senza lo sfruttamento dell’acqua. L’acqua stessa è fondamentale per l’agricoltura. Ci siamo soffermati sui biocarburanti, perché è uno degli elementi su cui facilmente, già oggi, in Europa, potremmo intervenire. Non dimentichiamo che oggi la rincorsa ai biocarburanti è determinata anche dal fatto che la stessa Unione Europea incentiva la produzione di biocarburanti.

    D. – Come conciliare però l’enorme interesse economico che c’è dietro a questo uso della terra e l’irrinunciabile diritto dei popoli a sfamarsi?

    R. – Si stanno facendo degli sforzi. Ho citato prima l’Unione Europea. La Commissione Europea si è resa conto che sta esagerando con questi mandati per la produzione dei biocarburanti di prima generazione, cioè realizzati per esempio con il mais, per cui sta decidendo in queste settimane di sostenere la produzione di biocarburanti alternativi, che vengano realizzati con gli scarti e con i rifiuti. Questo è un primo segnale positivo. Un secondo segnale positivo ci viene dalle Nazioni Unite, dove il Comitato per la Sicurezza Alimentare ha varato delle linee guida volontarie, però importanti, rivolte ai governi, rivolte alle società private, perché nella gestione dei titoli di proprietà della terra, delle foreste, della pesca, possono tenere meglio in considerazione i diritti dei piccoli proprietari e dei piccoli produttori. Tutto ciò, se adottato, ci permetterà di affrontare il problema di una maggiore produzione, però senza depauperare le risorse che abbiamo e soprattutto rispettando anche i diritti storici di piccoli produttori contadini in Africa e in Asia. Quello che noi diciamo nel nostro Rapporto è questo: oltre al problema della produzione c’è un problema di diritti rispetto alla terra, di compartecipazione dei più poveri alle scelte che li riguardano e c’è anche un problema di modelli energetici e modelli economici, che soggiacciono a queste scelte. Quello che vogliamo ricordare, con l’Indice globale della fame, è che la fame è un problema multidimensionale, non ci può essere una scorciatoia per risolvere questa questione.

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    Giornata della vista: 39 milioni i ciechi nel mondo, rafforzare la prevenzione

    ◊   Si celebra oggi la Giornata mondiale della vista e l‘Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità, Iapb Italia onlus, ha presentato, presso la Camera dei Deputati, la campagna “Ama la tua vista, prenditene cura”. L’iniziativa, volta a sottolineare l’importanza della prevenzione, prevede il controllo oculistico gratuito in molte piazze italiane. Giuseppe Castronovo, presidente Iapb, illustra il ruolo di questa giornata e fornisce alcuni dati sui ciechi e gli ipovedenti, in Italia e nel mondo. L’intervista di Eliana Astorri:

    R. – La Giornata mondiale della vista si tiene in tutto il mondo proprio perché la cecità è diffusissima in Africa, in Asia e nei Paesi del Sud America, così come nel mondo occidentale e quindi anche nella nostra Italia. Dai dati che provengono dall’Organizzazione mondiale della sanità, i ciechi e gli ipovedenti nel mondo sono 285 milioni, di cui 39 milioni i non vedenti assoluti. Per quanto riguarda i bambini – sempre secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità – sono 6milioni e, da un giornale, ho appreso che 4 milioni di questi bambini non hanno avuto mai assistenza perché si trovano nei villaggi sperduti dei deserti e delle campagne e non ricevono quindi quasi nessun aiuto. La situazione in Italia è una situazione un po’ allarmante: abbiamo più di un milione di ipovedenti, che sono coloro che in base ad una legge – la 138 – hanno da uno a tre decimi di vista: questa è la definizione e il collocamento del concetto di ipovisione o di ipovedente, soggettivamente parlando. I ciechi – secondo l’Istat – sono 362 mila; secondo, invece, quelli che ricevono provvidenze economiche dallo Stato sono 136 mila. Questi 136 mila sono, però, costituiti da due categorie: una dei ciechi assoluti, che sono 55 mila; e l’altra non vedenti, con un ventesimo che – come l’espressione di cifra indica – è molto al di sotto del decimo. Questi sono ciechi accertati dalle Commissioni mediche in tutta l’Italia e ricevono provvidenze economiche da parte dello Stato. Per quanto riguarda i bambini in Italia, non abbiamo dati particolari o precisi. Noi abbiamo, però, fatto una campagna e la stiamo ancora facendo in moltissime regioni di Italia, che si chiama “Occhio ai bambini”: abbiamo visitato circa 10 mila bambini da 3 a 6 anni e abbiamo riscontrato che il 6 per cento di essi hanno problemi agli occhi.

    D. – Quindi la prevenzione è la cosa fondamentale?

    R. – La prevenzione è indispensabile. Proteggere la vista sempre, sempre! E questo lo dice una persona che ne è privo da quando aveva nove anni. Importante andare dall’oculista fin da quando si è bambini. Questo bene meraviglioso, questo bene prezioso che è la vista lo si deve tutelare sempre, perché purtroppo – come altre parti del corpo vengono colpite da malattie – anche l’occhio è colpito da malattie e di questo la gente, forse, non se ne prende cura quasi mai. Ecco perché diciamo: fai la prevenzione e prenditi cura della tua vista.

    D. – C’è una sorta di non sensibilità verso le persone con questo tipo di patologie, parlo anche dei loro diritti, visto che lei è, appunto, avvocato?

    R. – Purtroppo nella nostra società ancora per quanto riguarda i ciechi non c’è una cultura che consente il trattamento, il rispetto, la considerazione: il non vedente è un cittadino come gli altri, con i suoi diritti e con i suoi doveri! Quando il vedente "vede" un "non vedente" già si formula un concetto che si tratta di un essere, forse, inferiore. Questo è tutto sbagliato! E’ assurdo! Come quando il cieco pluriminorato, che oltre alla cecità ha altre minorazioni, magari non parla, non sente, sembra non ragionare, ma in quel bambino c’è una grandissima sensibilità, forse capisce, ma quelli che "capiscono" per nomenclatura non capiscono, invece, che quel bambino capisce. E’ necessario che la società abbia assoluta considerazione e rispetto della persona che sfortunatamente ha avuto un po’ meno degli altri.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: la Croce Rossa entra ad Homs. La situazione è drammatica

    ◊   “Dopo giorni di negoziato siamo riusciti ad ottenere garanzie sufficienti per entrare a Homs, dove abbiamo distribuito aiuti e medicinali alla popolazione”: a confermare all'agenzia Misna l’ingresso di una missione umanitaria a Homs, la città epicentro della ribellione contro il governo centrale e teatro di una pesante offensiva armata, è Alexix Heeb, portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa nel Paese. “La popolazione ha bisogno praticamente di tutto, dal cibo alle coperte ai medicinali. Con i nostri partner della Mezzaluna siriana abbiamo distribuito circa 2000 razioni di cibo, ciascuna delle quali è sufficiente per una famiglia di cinque persone. E diverse migliaia di kit igienici” racconta il responsabile, secondo cui nelle ultime 12 ore la popolazione dei quartieri centrali ha ricevuto oltre 4.000 coperte e 24.000 candele. “La corrente elettrica è andata via da giorni e i riscaldamenti non funzionano. Per fortuna la stagione fredda non è ancora arrivata, ma in molte zone manca l’accesso all’acqua potabile” riferisce ancora Heeb, precisando che la squadra di operatori umanitari resterà in città per almeno quattro giorni “sempre che le condizioni di sicurezza, estremamente precarie, lo consentano”. Stando alle cronache riferite dagli abitanti della città, i quartieri più colpiti dai bombardamenti massicci dell’aviazione sarebbero quelli di Al Khaldyia e Jouret Sheyiah, oltre alla vicina cittadina di Qusayr. Le immagini in circolazione sul web raccontano di una devastazione pressoché totale in ampie parti della terza città del Paese che prima dell’inizio del conflitto contava circa un milione di abitanti. “Non siamo ancora in grado di dare informazioni sulla situazione negli ospedali della città – aggiunge il responsabile dell’Icrc – Quello che sappiamo è che i feriti sono numerosi e che medicinali e attrezzature scarseggiano”. (R.P.)

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    Pakistan: appello al governo di cristiani e musulmani per i diritti della donna

    ◊   Il governo pakistano deve rafforzare la collaborazione con gli organismi internazionali, e le Nazioni Unite in particolare, per raggiungere l'obiettivo di una migliore tutela dei diritti umani. È quanto auspicano un gruppo di leader cristiani e musulmani, riuniti a Lahore per una conferenza promossa dalla Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica (Ncjp). In concomitanza con la prima Giornata internazionale delle ragazze bambine, indetta dall'Onu e che si celebra oggi in tutto il mondo, il forum interreligioso chiede a Islamabad di tutelare con forza "i diritti dei minori e delle donne" da attentati, stupri e violenze. Un appello che cade a poche ore dall'attacco alla 14enne attivista pakistana Malala Yousafzai che ha sollevato ira e indignazione nel Paese e nel mondo intero. Tema - e proposito - di questa prima edizione 2012, la lotta contro la pratica delle spose bambine, che tocca diverse nazioni al mondo fra cui Pakistan e Afghanistan. Esso impedisce alle minori di studiare, privandole di un diritto fondamentale che preclude la possibilità di crescita e uno sviluppo completo della persona. Fra le cause della pratica, vi sono discriminazioni di genere, povertà e motivazioni di carattere religioso o sociale. A Lahore, su iniziativa di un gruppo di attivisti musulmani e cristiani e sotto l'egida di Ncjp, si è tenuta una conferenza che ha analizzato proprio il rispetto dei diritti umani, con una particolare attenzione alle violazioni contro donne e bambine. I promotori chiedono al governo pakistano di avviare una seria collaborazione con gli organismi internazionali e sfruttare le opportunità, per "superare gli ostacoli nel solco di un reale miglioramento della situazione in materia di diritti umani". Finora Islamabad ha dato prova "di non essere un membro serio e affidabile", perché non ha saputo tutelare gli elementi deboli della società, fra cui "bambini, donne, lavoratori [sfruttati] e minoranze" etniche e religiose. Per migliorare la realtà del Paese e raggiungere gli obiettivi prefissati, i leader islamo-cristiani rivolgono al governo alcune "raccomandazioni", riassumibili in quattro punti chiave: applicare i trattati internazionali già ratificati e accordare le leggi nazionali ai diritti umani universali; prendere misure concrete, invece di sbandierare slogan su presunti - e fasulli - progressi; creare istituzioni o organismi indipendenti per vigilare sul rispetto dei diritti umani, a livello nazionale e locale; più collaborazione con la comunità internazionale e le istituzioni, favorendo in particolare l'ingresso e il lavoro dei membri Onu. Intanto in Pakistan continua l'ondata di indignazione popolare per l'attentato talebano ai danni di Malala Yousafzai, 14enne attivista per l'istruzione delle ragazze in Pakistan, colpita con due colpi di pistola e dichiarata dai medici fuori pericolo dopo un delicato intervento chirurgico. Il presidente Asif Ali Zardari conferma il proposito dell'esecutivo di difendere il diritto delle bambine e delle giovani allo studio. In una rara dichiarazione alla stampa, il potente capo dell'esercito gen. Ashfaq Kayani definisce Malala una "icona" che infonde "coraggio e speranza" e bolla come "ambizione crudele" quella dei talebani che vogliono imporre la loro "ideologia deviata". (R.P.)

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    Cina: i cattolici vivono l’apertura dell’Anno della fede

    ◊   Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, diocesi e parrocchie della Cina continentale stanno vivendo con grande fervore l’apertura dell’Anno della fede, proponendo diverse iniziative, religiose e culturali. La comunità cattolica cinese ha partecipato all’apertura dell’Anno della Fede, in comunione con la Chiesa Universale e con Papa Benedetto XVI, seguendola anche in diretta su internet. Sono infatti numerosissimi i siti diocesani che dispongono di un link che ha permesso agli utenti del sito di seguire in diretta da San Pietro la celebrazione di apertura. La diocesi di Nan Chong, nella provincia del Si Chuan, ha programmato tre giorni di iniziative per l’apertura dell’Anno della Fede che hanno avuto per tema “Vivere concretamente la fede”, al fine di “aiutare i fedeli a conoscere e ad approfondire la fede, per rendere poi una testimonianza viva con la loro vita”. Il 9 ottobre è stato organizzato un concerto e celebrata una ordinazione sacerdotale, ieri si è svolto un seminario di studio per i cinquanta anni del Concilio e i venti anni del Catechismo della Chiesa Cattolica, mentre questa mattina si è svolta una celebrazione solenne nel monastero di san Benedetto, in comunione con il Papa. Migliaia di fedeli hanno preso parte alla Messa nonostante la fitta pioggia. Mons. Francesco An Shu Xin, vescovo della diocesi di Bao Ding nella provincia dell’He Bei ha presieduto l’apertura dell’Anno della fede nella sua diocesi concelebrando in cattedrale insieme a 12 sacerdoti. Nell’omelia ha invitato i fedeli “a credere fino in fondo, a riconfermare pubblicamente la fede con le loro parole e a viverla con l’azione, per dare testimonianza e perché sempre più persone accolgano l’invito del Signore”. Oltre mille fedeli hanno partecipato all’apertura dell’Anno della Fede della diocesi di Xian Xian, nella provincia dell’He Bei, che è stata presieduta dal vescovo locale, mons. Giuseppe Li Lian Gui. Durante la celebrazione il vicario diocesano ha letto la Lettera pastorale di mons. Li per l’Anno della fede ed ha comunicato il programma diocesano per questo Anno. (R.P.)

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    Myanmar: per l’Anno della fede preghiera nelle famiglie e catechismo per i giovani

    ◊   Incontri biblici di preghiera organizzati nelle famiglie; sessioni speciali di catechismo dedicate ai giovani, con l’uso del sussidio “Youcat”; una lettera pastorale mensile e la preghiera per l’Anno della fede recitata al termine di ogni Santa Messa: sono alcune delle iniziative promosse dalla Chiesa del Myanmar nell’Anno della Fede. Come appreso dall'agenzia Fides, questa mattina nell’arcidiocesi di Yangon, l’arcivescovo Charles Maung Bo ha aperto, con una solenne celebrazione eucaristica in cattedrale, l’Anno della Fede. Una bandiera bianca con il logo dell’Anno della Fede è stata issata davanti alla Cattedrale e vi rimarrà per tutto l’Anno. Nella celebrazione, cui hanno partecipato clero, religiosi e centinaia di laici, l’arcivescovo Bo ha ricordato il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, definendo il Concilio “una finestra aperta sul domani”. “Nell’Anno della fede – ha rimarcato – ogni fedele è chiamato prima di tutto a rendere grazie a Dio per il dono della fede, a rafforzarla e a condividerla con il prossimo, specialmente con quanti sono deboli e sofferenti, per costruire il Regno di Dio”. L’arcivescovo si è anche soffermato sul tema della pace e della riconciliazione: a livello personale, ricordando che il Santo Padre ha concesso l’indulgenza plenaria e le condizioni per riceverla; e a livello sociale, auspicando una piena e definitiva riconciliazione nella nazione, ancora attraversata da conflitti con le minoranze etniche. Come riferito da mons. Bo, nell’Anno della fede sarà data speciale attenzione ai giovani e alle famiglie. Inoltre le diverse comunità religiose, i movimenti e le associazioni ecclesiali prevedono sessioni speciali di studio e approfondimento del “Catechismo della Chiesa cattolica”, mentre, nel corso dell’Anno, si celebreranno Giornate speciali dedicate alle vocazioni, ai catechisti e ai missionari. I fedeli cattolici in Myanmar sono circa 690mila, poco più dell’1% della popolazione, in totale 50,5 milioni di abitanti. (R.P.)

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    Nobel della letteratura allo scrittore cinese Mo Yan

    ◊   Il Nobel alla Letteratura 2012 e' stato assegnato allo scrittore cinese Mo Yan, "per il suo magico realismo che mescola racconti popolari, storia e contemporaneità. Ha creato un mondo la cui complessità ricorda quelli negli scritti di William Fulkner e Gabriel Garcia Marquez, trovando nello stesso tempo - spiega la motivazione dell'Accademia Reale Svedese - un punto di partenza nell'antica letteratura cinese e nella sua tradizione orale''. Mo Yan, 57 anni, è nato in una zona rurale dello Shandong, nel nordest della Cina. Al contrario dell' altro scrittore cinese Gao Xingjian, che nel 2000 ha vinto il premio Nobel per la letteratura e che vive in Europa da piu' di 20 anni e critica apertamente il regime - riporta l'agenzia Ansa - Mo Yan vive in Cina e le sue critiche alla societa' e al sistema politico cinese sono indirette anche se a tratti evidenti, come nel caso del suo recente libro ''Rane'', nel quale mette sotto accusa la politica del figlio unico, in vigore in Cina da oltre 30 anni. ''Mo Yan'' e' un falso nome, che in cinese significa ''Non parlare''. Il vero nome dello scrittore e' Guan Moye. La sua opera piu' conosciuta è "Sorgo Rosso", il romanzo dal quale il regista Zhang Yimou ha tratto un film di grande successo. In Italia la sua opera e' pubblicata da Einaudi. Come tutti i cinesi della sua generazione Mo ha dovuto interrompere gli studi e dedicarsi al ''lavoro manuale'' durante la Rivoluzione Culturale. In seguito, si arruolo' nell'Esercito di Liberazione Popolare e, mentre era ancora un soldato, comincio' a seguire la sua vocazione di scrittore, tanto da guadagnarsi un posto di insegnante nell'Accademia Culturale dell'esercito. Dopo il successo di "Sorgo Rosso", Zhang Yimou ha realizzato un altro film basato su un racconto di Mo Yan, "Happy Times". In seguito, il regista Huo Jianqi ha adattato al grande schermo un' altra delle opere del neo-premio Nobel, "White Dog Swing". Mo Yan ha ricevuto numerosi premi letterari, tra cui il Newman prize for chinese literature nel 2009 e il Mao Dun literary prize lo scorso anno. (R.P.)

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    Libano: il Sinodo greco-ortodosso chiede maggiore tutela per i cristiani del Medio Oriente

    ◊   La difficile situazione in Medio Oriente, l’importanza della presenza dei cristiani nella regione, la necessità di un clima sereno e pacifico che consenta a tutte le popolazioni di poter guardare al futuro con più ottimismo, l’esigenza di una comunicazione religiosa che diffonda sani valori al fine di avvicinare i popoli. Questi – riporta L’Osservatore Romano - i punti salienti al centro della 49.ma sessione ordinaria del Sinodo del Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia svoltosi nel monastero di Nostra Signora di Balamand, in Libano. Durante i lavori, presieduti dal Patriarca Ignazio IV di Antiochia, i metropoliti e i vescovi presenti hanno più volte ribadito che “i cristiani non devono sentirsi minoranze, ma veri e propri partner degli altri componenti della regione”. In un documento, essi sottolineano l’importanza del concetto di “sana cittadinanza” e del principio di uguaglianza dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini di uno stesso Paese” e hanno chiesto una legge elettorale che garantisca una “vera rappresentanza” per tutti. Inoltre, hanno condannato con fermezza gli attacchi contro i simboli religiosi e le reazioni violente provocate dall’intolleranza religiosa. Nel suo intervento il Patriarca Ignazio IV ha spiegato “l’importanza della testimonianza cristiana e delle azioni che mirano a rafforzare la presenza dei cristiani in Medio Oriente e nel mondo, nonché le sfide che devono affrontare i fedeli nei loro rispettivi Paesi”. Preoccupazione è stata espressa per gli eventi negativi che stanno infiammando la regione. Sull’importanza della presenza cristiana in Medio Oriente, i metropoliti e i vescovi greco-ortodossi hanno anche spiegato che: “i cristiani d’Oriente sono i figli di questa regione, che è la culla del cristianesimo” e che hanno dato un notevole contributo alla civiltà araba. Essi, inoltre, vedono nella crescita dell’emigrazione, soprattutto tra i giovani, un pericolo che minaccia la presenza cristiana attiva nella società. Questo è il motivo per cui hanno sottolineato “la necessità di utilizzare le risorse della Chiesa per sostenere le istituzioni ecclesiali e offrire un servizio più ampio ai fedeli, radicare la loro presenza e garantire tutte le condizioni affinché rimangano nel Paese nel quale il Signore li ha chiamati a testimoniare. Infine, è stata sottolineata l’importanza dei media religiosi “invitati a diffondere i valori della conoscenza, della libertà, dell’apertura, così come quelli dell’educazione, della cultura dell’accettazione degli altri. (L.Z.)

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    Nigeria: l'alluvione causa 120 mila senza tetto, case, ospedali, scuole, chiese ed edifici distrutti

    ◊   Sono un milione e 300 mila i nigeriani sfollati e 431 sono morti a causa di quella che le autorità locali hanno definito la peggiore alluvione in oltre 40 anni, con 30 dei 36 stati colpiti dal mese di luglio. Secondo le autorità e la Croce Rossa Nigeriana (Nrc), le piogge torrenziali hanno sommerso gran parte degli stati sudoccidentali di Delta e Bayelsa, colpendo 350 comunità e lasciando 120 mila persone senza tetto. Le piogge sono iniziate nel mese di luglio nello Stato di Plateau nella Nigeria centrale, raggiungendo ad agosto anche gli stati di Borno, Cross River, Ebonyi, Nassarawa, Bauchi, Gombe, Katsina e Kebbi, per poi proseguire a settembre a Taraba Benue, Niger, Kaduna e Kano, prima di toccare Delta e Bayelsa tra settembre e ottobre. Migliaia di persone che avevano trovato riparo in accampamenti temporanei negli stati di Delta e Bayelsa sono stati costretti a spostarsi ancora quando le piogge sono arrivate anche lì. Nella capitale di Bayelsa, Yenagoa, 3 mila persone vivono nel Complesso sportivo di Ovom. Migliaia di case, circa 20 centri sanitari e 5 ospedali, oltre a dozzine di scuole, chiese ed edifici governativi sono stati distrutti o danneggiati nello stato di Delta. Sei degli otto distretti di Bayelsa sono completamente allagati. La maggior parte delle scuole che si trovano nelle zone colpite sono state costrette a chiudere o sono state occupate dagli sfollati. Ancora non si sa quanti ettari di raccolti siano andati perduti ma i contadini sono certi di aver perso tutto, compresi i campi di manioca e cacao. Inondate anche le attività legate alla pesca. Le agenzie di aiuti umanitari sono sovraccariche di richieste e hanno provveduto subito ad evacuare le comunità più disastrate fornendo tende, utensili da cucina, servizi sanitari e generi di prima necessità a Lagos. C’è anche urgente bisogno di generi alimentari. (R.P.)

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    Congo: si moltiplicano i gruppi che commettono violenze nel Nord Kivu

    ◊   Continuano le violenze contro i civili nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Secondo la stampa locale, tre giorni fa gli uomini dal capo ribelle Manu hanno attaccato il villaggio di Bilulu, dopo aver messo in fuga la locale guarnigione militare. Fonti della società civile affermano che si tratta del quarto villaggio occupato dagli uomini di Manu nel Nord Kivu e nella confinante Provincia Orientale, dove sono segnalati saccheggi con incendi di abitazioni e casi di tortura. “Si fa un gran parlare, giustamente delle violenze dell’M23 (gruppo di militari disertori che si afferma sia appoggiato dal Rwanda), ma questo sta facendo dimenticare a tutti l’esistenza di altri numerosi gruppi armati all’interno del Nord Kivu, nelle aree più remote del territorio di Masisi, in particolare” dice all’agenzia Fides una fonte della Chiesa locale, che ha chiesto l’anonimato per ragioni di sicurezza. “È sicuramente vero che l’M23 sta causando danni enormi ai civili: si pensi che vicino Goma, a Kanyaru, si è creato un nuovo campo spontaneo che ospita ben 60 mila sfollati” continua la fonte di Fides. “Ma nel Nord Kivu, migliaia di sfollati soffrono per le violenze di altri gruppi armati, come le Fdlr (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda) e Nyatura (entrambi di etnia Hutu), Raia Mutomboki e Apcls (tribù Hunde), solo per citarne alcuni”. La stessa fonte afferma inoltre che “nessuno ha riferito che a inizio agosto due campi spontanei di sfollati nel territorio di Masisi (Kishondja e Kihuma) sono stati letteralmente rasi al suolo da queste milizie, costringendo migliaia di persone a fuggire ancora una volta nella loro vita. A fine settembre numerose case del campo ufficiale di Kilimani, sempre a Masisi, sono state bruciate. Ancora una volta, gente costretta a fuggire”. Il 30 settembre Benedetto XVI ha lanciato un appello per non dimenticare gli sfollati del Nord Kivu. In questi giorni la Rdc si trova al centro dell’attenzione internazionale per il Vertice della Francofonia, che si svolgerà a Kinshasa dal 12 al 14 ottobre, al quale parteciperà il Presidente francese François Hollande. (R.P.)

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    Guatemala: i vescovi chiedono la verità sul massacro di 8 indigeni compiuto dai militari

    ◊   I vescovi del Guatemala chiedono che venga fatta chiarezza sul massacro di 8 indigeni compiuto dai militari durante una protesta la scorsa settimana. “Di fronte alle versioni contraddittorie dell’accaduto, la Chiesa cattolica considera fondamentale e imprescindibile che si stabilisca una sincera e credibile ricerca della verità”. Così il comunicato dell’episcopato guatemalteco a proposito del massacro avvenuto il 4 ottobre quando agenti della polizia e militari hanno aperto il fuoco contro una pacifica dimostrazione di contadini e abitanti del distretto di Totonicapàn, nella regione del Quiché, popolata prevalentemente da comunità indigene maya. Nella nota, mons. Rodolfo Valenzuela Núñez, vescovo di Verapaz e presidente della Conferenza episcopale del Guatemala chiede che “le indagini siano portate avanti da istituzioni libere da ogni sospetto di parzialità”. Inoltre, i vescovi condividono la posizione del Procuratore per i Diritti Umani e appoggiano il lavoro di inchiesta dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Il massacro è avvenuto lungo la Carretera Panamericana, (strada che attraversa tutto il Centroamericana) dove comunità contadine della zona protestavano contro la riforma costituzionale avviata dal Presidente Otto Perez Molina che andrebbe a colpire l’autonomia e le terre delle popolazioni indigene preoccupate dalle concessioni dello Stato per investimenti nel settore minerario, per centrali energetiche e per piantagioni che si stanno facendo in tutto il Paese. Al centro della protesta anche gli aumenti esorbitanti delle bollette della luce e la riforma della scuola dell’obbligo. La Chiesa del Guatemala ha ricordato che “lo Stato deve cercare il bene comune e la sicurezza di tutti i cittadini, mentre ha esortato le parti coinvolte a non manipolare la verità e l’informazione che potrebbero alimentare le tensioni. In effetti, le innumerevoli versioni e la poca chiarezza sulle circostanze del massacro, hanno portato diversi rappresentanti politici dell’opposizione e leader indigeni a accusare il Presidente e il suo governo della tragedia. I vescovi guatemaltechi hanno inoltre manifestato la loro vicinanza e solidarietà alle famiglie delle vittime. Così ha fatto anche il Concilio Ecumenico Cristiano del Guatemala che riunisce la Chiesa cattolica, evangelica e luterana che hanno esortato il governo a chiarire i fatti e a porre fine alla repressione delle comunità indigene. Intanto continuano i lavori dei due gruppi di esperti in diritti umani dell’Onu che sono in Guatemala dal giorno successivo al massacro. (A cura di Alina Tufani)

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    Bolivia: nota dei vescovi per i 30 anni di democrazia

    ◊   Commemorando i 30 anni di ininterrotta vita democratica in Bolivia, la Conferenza episcopale ha pubblicato una dichiarazione intitolata: "Bolivia, 30 anni di democrazia, giustizia e rispetto per tutti", ripreso dall’agenzia Fides. “Abbiamo motivi importanti per celebrare la continuità della democrazia. Sono passati 30 anni da quando è stata segnata la fine dei governi autoritari e sostenuti dalla forza delle armi" inizia il testo dei vescovi boliviani. “Ringraziamo Dio e tutti coloro che hanno combattuto per riuscire ad averla. Come Chiesa - scrivono i vescovi - ci congratuliamo con tutta la società boliviana per il recupero e l'istituzionalizzazione della democrazia e delle autonomie locali, per la creazione del Defensor del Pueblo e dei Tribunali di Giustizia, per l'iniziativa legislativa dei cittadini, per il referendum, per l'Assemblea Costituente, tra le altre realizzazioni”. “Una visione del processo democratico boliviano, tuttavia, sarebbe incompleta se non facessimo notare le attuali minacce, che compromettono il pieno esercizio della democrazia in Bolivia. Celebrare i successi della democrazia significa mantenere un atteggiamento di rifiuto del confronto dei boliviani contro i boliviani, e di tutte le forme di violenza; è la realizzazione dei diritti fondamentali delle persone per l'istruzione, la salute e l'autodeterminazione dei popoli. Perciò chiediamo a tutti i boliviani di promuovere la cultura della pace, il dialogo, e di raggiungere accordi nell’unità, per lo sviluppo e la prosperità per tutti”. “30 anni di democrazia, in mezzo a luci e ombre - sottolineano i vescovi - sono un patrimonio importante che dobbiamo proteggere e salvaguardare come la migliore eredità per le generazioni future, nella sfida importante della costruzione di una società più giusta, dignitosa, libera e unita”. Il documento è firmato dalla Segreteria generale della Conferenza episcopale boliviana. (R.P.)

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    Messico: una religiosa raccoglie dalle discariche bambini disabili abbandonati e li adotta

    ◊   In occasione del 50° anniversario della fondazione dell’organizzazione spagnola Mensajeros de la paz, è stato presentato un progetto per costruire due nuove case di accoglienza, una per i bambini gravemente disabili e abbandonati dalle famiglie e l’altra per gli anziani, ognuna con 40 posti, nella località di Metepec, al nord della capitale messicana. Il progetto è stato sollecitato dal lavoro instancabile di una religiosa che negli ultimi anni si è dedicata a “raccogliere piccoli dalla spazzatura”, minori abbandonati per le strade o bambini lasciati nelle discariche perché disabili. Secondo quanto riferito dal presidente e fondatore dell’ong, padre Angel García, in una nota pervenuta all’agenzia Fides, suor Ines raccoglie i bambini che nessuno vuole e dà loro il suo nome. Finora ne ha accolti 200, dei quali circa 70 hanno il suo nome. Nonostante la grande buona volontà che la anima nella sua missione, la religiosa non ha mezzi adeguati per farsi completamente carico dei piccoli, alcuni dei quali sono già grandi e hanno bisogno di cure mediche specifiche perché vengono da ambienti totalmente insalubri. Da qui è nata l’idea di dare ai bambini una casa dignitosa e lo Stato del Messico ha ceduto un terreno di 4 ettari dove saranno costruite le due nuove case di accoglienza. Il progetto comprende anche una cappella e una zona commerciale, con cinema, saloni per le feste, un campo da calcio e locali commerciali che l’associazione affitterà o venderà, a condizione che le ditte acquirenti cedano parte dei profitti per il mantenimento delle case di accoglienza. (R.P.)

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    Vietnam: Assemblea dei vescovi su Anno della fede e Concilio Vaticano II

    ◊   Le iniziative per l'Anno della fede, i riflessi del Concilio Vaticano II nel Paese a 50 anni dall'apertura e la prossima assemblea dei vescovi asiatici, in programma a Ho Chi Minh City e Xuan Loc. Sono questi i punti al centro del secondo incontro annuale della Conferenza episcopale vietnamita, riunita per la prima volta nella diocesi di Than Hoa, che proprio domani festeggia gli 80 anni dalla sua fondazione. I prelati di 24 diocesi e mons. Leopoldo Girelli, rappresentante non permanente della Santa Sede, hanno inaugurato i lavori la sera dell'8 ottobre scorso, con un ringraziamento al Santissimo Sacramento e l'incontro preliminare per definire i temi oggetto dell'assemblea. Ad accogliere i vescovi - riferisce l'agenzia AsiaNews - riuniti nella diocesi di Than Hoa, restaurata di recente, vi era il prelato locale mons. Joseph Nguyen Chi Linh, attuale vice-presidente della Conferenza episcopale, assieme ai sacerdoti, alle suore e a numerose associazioni di laici. L'area è situata nella parte meridionale del nord Vietnam e dista circa 200 km dalla capitale Hanoi. Alla festa in programma domani per gli 80 anni è prevista la partecipazione di tutti i vescovi riuniti in assemblea. L'apertura dei lavori, come di consueto, è stata affidata al presidente mons. Pierre Nguyen Van Nhon, che in prima battuta ha ricordato i cambiamenti avvenuti nel corso dell'anno in seno alla Conferenza. Il prelato ha quindi voluto ricordare e ringraziare per il lavoro svolto l'arcivescovo di Hue, il vescovo di Quy Nhon e il vescovo di Phu Cuong, dei quali il Papa ha accolto le dimissioni per sopraggiunti limiti di età. Mons. Cosme Hoang Van Dat, segretario generale dei vescovi, ha quindi illustrato i temi al centro della seconda assemblea annuale. Tra questi, le iniziative in programma per celebrare l'Anno della Fede; riflessioni e approfondimenti su come il Paese e i cattolici vietnamiti hanno accolto le direttive emerse nel Concilio Vaticano II, di cui ricorre il 50mo dell'apertura; infine la preparazione della prossima assemblea dei vescovi asiatici (Fabc), che si terrà nella ex Saigon e a Xuan Loc. Altri punti oggetto di confronto la creazione di un istituto di teologia, la costruzione di un Centro dedicato ai pellegrini del santuario mariano di La Vang e alcune cariche in seno alla conferenza. Mons. Joseph Nguyen Chi Linh è vescovo di Than Hoa dal 2004. All'atto della sua fondazione, la diocesi contava circa 40mila fedeli su un totale di 1 milione e 500mila abitanti. I missionari erano 16, 48 i sacerdoti locali e 82 i catechisti. Oggi la popolazione cattolica è più che triplicata, passando a circa 130mila fedeli; 80 i sacerdoti vietnamiti che operano sul territorio diocesano. (R.P.)

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    Usa: i vescovi esortano i fedeli a riscoprire il valore dei sacramenti

    ◊   “La partecipazione ai sacramenti non costituisce una semplice opzione”. Lo sottolineano in una nota i vescovi degli Stati Uniti, con particolare riferimento all’avvio dell’Anno della fede che tutti i fedeli sono chiamati a vivere con profonda partecipazione. La pratica sacramentale costante costituisce il segno visibile e concreto “per vivere la propria fede come discepoli impegnati”, sottolinea la nota che - come riporta L'Osservatore Romano, accompagna una serie di sussidi per le diocesi e le eparchie per aiutare vescovi e parroci a sviluppare programmi di insegnamento sul tema. Essa segue la pubblicazione, nei giorni scorsi, di un decalogo per l’Anno della fede, nel quale vengono presentati ai fedeli una serie di “suggerimenti” spirituali per vivere appieno questo Anno speciale a partire in particolare dalla partecipazione assidua alla santa Messa. Tra le indicazioni figurano, oltre alla partecipazione ai sacramenti, la preghiera, le attività caritative e le letture bibliche e dei testi conciliari. Nella nota, preparata dallo speciale per la catechesi e l’evangelizzazione della Conferenza episcopale, i vescovi americani ribadiscono “che nonostante le statistiche che tracciano una partecipazione in calo, rimaniamo consapevoli che la partecipazione ai sacramenti è fondamentale per sostenere la fede. I sacramenti, aggiungono, “proseguono l’opera salvifica di Gesù e formano il centro della celebrazione del mistero cristiano”. Attraverso il ministero della Chiesa, conclude la nota, “tutti sono invitati a udire la Buona Novella, a seguire Cristo e a condividere i misteri della salvezza”. L’Anno della fede è pertanto per i cattolici il momento “per rafforzare la loro fede attraverso un più grande amore e comprensione del sacramento”. A tale riguardo, nel sito dell’episcopato, oltre alle letture, sono offerti ai fedeli dei video che illustrano la pratica sacramentale e il suo valore per la fede. (L.Z.)

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    Francia: cattolici ed ortodossi contro la legalizzazione dei matrimoni gay

    ◊   Al di là della sua dimensione teologica, la questione della forma e della natura del matrimonio è eminentemente “sociale” e si riferisce al concetto di coppia, di famiglia, di filiazione, al diritto all’adozione, all’educazione dei figli, alla nozione di alterità e di regime matrimoniale. E per la Chiesa ortodossa - riporta L'Osservatore Romano - “l’ontologia del matrimonio si fonda sulla complementarietà uomo-donna. Dopo la Chiesa cattolica, anche l’Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia (Aeof) è intervenuta per commentare l’intenzione del Governo di apportare modifiche fondamentali in materia di matrimonio civile. In un comunicato diffuso nei giorni scorsi e citato dall’Osservarore Romano, l’Aeof ricorda che il matrimonio è un’istituzione plurisecolare che struttura società, famiglia e relazioni interpersonali. In una prospettiva ortodossa e cristiana, si tratta di “una comunione fondata dal Creatore (Genesi, 1-2), benedetta dal Cristo (Giovanni, 2) e il cui fine è partecipare con Dio alla sua opera creatrice (la ‘procreazione’) approfondendo l’unione d’amore e di servizio reciproco fra un uomo e una donna, la vocazione e il destino dei quali è diventare “una sola carne” nel mondo e per l’eternità”. Poiché il Pacs (Patto civile di solidarietà) prevede già l’unione civile fra persone dello stesso sesso, la nozione tradizionale e fondamentale di matrimonio, con la sua propria terminologia, “deve essere preservata — si legge nella nota — al fine di marcare una distinzione chiara e netta fra unione civili e vocazione delle coppie eterosessuali”. I vescovi ortodossi di Francia annunciano poi la prossima pubblicazione di una specifica dichiarazione sui fondamenti del concetto cristiano ortodosso di matrimonio. Il progetto di legge per l’allargamento del matrimonio civile alle coppie omosessuali contempla anche il diritto all’adozione, anche se esclude l’equivalente della “presunzione di paternità”, che esiste oggi in seno alle coppie sposate, l’allargamento dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita e la legalizzazione della “maternità surrogata”. Sulla questione i vescovi francesi sono intervenuti il 27 settembre con una nota del Consiglio “Famiglia e Società” della Conferenza episcopale che spiega le ragioni dell’opposizione della Chiesa al provvedimento. Il principale compito del potere politico — sottolinea in particolare il testo — è difendere i diritti e le libertà individuali ma soprattutto il bene comune e “il bene comune non è la somma degli interessi individuali", bensì il bene dell’intera comunità. (L.Z.)

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    Turchia. Assassinio di mons. Padovese: rinviata l’ennesima udienza

    ◊   È durata appena cinque minuti la nuova udienza del processo contro Murat Altun, unico imputato per l'assassinio di mons. Luigi Padovese, tenutasi oggi a Iskenderun. Fonti locali dell'agenzia AsiaNews riferiscono che la difesa ha chiesto che vengano ascoltati un altro testimone e le registrazioni di alcune telefonate. Così, per l'ennesima volta, la corte ha rinviato la seduta, aggiornandola al prossimo 28 ottobre. Mons. Luigi Padovese, cappuccino e vicario episcopale dell'Anatolia, è stato accoltellato e poi decapitato dal suo autista, Murat Altun, il 3 giugno 2012. Il giovane, arrestato dalla polizia, aveva 26 anni. In modo analogo a quanto accaduto nel caso dell'assassinio di padre Andrea Santoro (ucciso a Trabzon nel 2006), i legali di Altun hanno subito tentato di sostenere la linea dell'infermità mentale, procurandosi da alcuni dottori certificati che ne accertavano l'incapacità di intendere e di volere. Tuttavia, nel giugno 2011 una commissione di medici di Istanbul ha stabilito la sua sanità mentale, facendo così partire il processo. La durata irrisoria delle sedute e il regolare rinvio sembrano le cifre caratteristiche di questo caso. Tenutasi il 5 ottobre 2011, la prima udienza è durata 20 minuti. Dopo aver letto i capi d'accusa, il procuratore aveva chiesto ad Altun: "Vuoi dire qualcosa?". L'imputato ha risposto di non sentirsi bene e di aver bisogno di un medico. Lo stesso è accaduto con le successive sedute, durate tutte tra i quattro e i cinque minuti. (R.P.)

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    Per l'Anno della fede un nuovo sito della Chiesa italiana

    ◊   In occasione dell’apertura dell’Anno della fede, oggi arriva www.educat.it, un sito che offre a tutti i navigatori una nuova forma di accesso digitale ai catechismi, anche in linea con le nuove richieste dalla didattica di bambini e ragazzi. Ideato e realizzato dalla Segreteria generale della Cei - che l’ha voluto per iniziare idealmente l’Anno della fede -, il sito ha visto lavorare insieme Ufficio catechistico nazionale e lo staff del Servizio informatico/Seed. “Il sito - spiega mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei - presenta tutti i testi dei catechismi, sia in versione navigabile, sia in versione sfogliabile, le note e, cosa più importante, l’intero apparato sinottico con il Catechismo della Chiesa cattolica”. “Oltre ai collegamenti incrociati tra i diversi testi - prosegue mons. Crociata -, il sito offre la possibilità di accedere direttamente a tutte le citazioni della Bibbia, sia nella versione Cei del 2008 sia in quella del 1974”. I testi - riporta l'agenzia Sir - sono accessibili mediante navigazione e indice tematico, grazie a un motore di ricerca completo ed esteso a tutti i testi di corredo. Una speciale barra di navigazione consente all’utente di mantenere memoria delle proprie visite, attivare un segnalibro, fare stampe personalizzate. Il sito, integralmente accessibile, può essere consultato attraverso i tablet e sarà presto disponibile anche in forma di App. In realtà, chiarisce mons. Crociata, “i vescovi e le comunità diocesane in Italia si sono molto impegnati da oltre un quarantennio a tradurre pastoralmente la teologia e le indicazioni pastorali del Concilio Vaticano II, specialmente nell’ambito catechistico”. Il Documento di base “Il rinnovamento della catechesi”, e i susseguenti catechismi Cei, le tante note sul loro utilizzo, sulla formazione dei catechisti e sul “primo annuncio” e sull’iniziazione cristiana, sono, per il segretario generale della Cei, “un vero 'tesoro’ catechistico, che culmina nel Catechismo degli adulti 'La verità vi farà liberi’, autentica 'mediazione’ del Catechismo della Chiesa cattolica”. “Con il sito www.educat.it viene raccolto quel prezioso materiale che ora, attraverso le funzionalità informatiche, si arricchisce della possibilità di ricerca e confronto”, evidenzia il presule. Mons. Crociata conclude la presentazione del sito, citando le parole di Benedetto XVI, nella lettera apostolica Porta Fidei: “Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno”. (R.P.)

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    Chiesa romana di Santa Maria in Traspontina: riprendono gli incontri di Lectio divina

    ◊   Riprendono gli incontri di Lectio divina presso la Chiesa romana di Santa Maria in Traspontina, in Via della Conciliazione. Il primo appuntamento è per domani alle 18.30 e sarà guidato dal padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana. Si tratta della lettura meditata e orante della Sacra Scrittura: una pratica caldeggiata da Benedetto XVI, che proprio sul tema della Parola di Dio aveva convocato nel 2008 in Vaticano un Sinodo dei vescovi. Per Benedetto XVI la Lectio divina, ovvero “l’assidua lettura della Sacra Scrittura accompagnata dalla preghiera… realizza quell’intimo colloquio in cui, leggendo, si ascolta Dio che parla e, pregando, Gli si risponde con fiduciosa apertura del cuore”. E prosegue: “Essa consiste nel rimanere a lungo sopra un testo biblico, leggendolo e rileggendolo, quasi ‘ruminandolo’ come dicono i Padri, e spremendone, per così dire, tutto il ‘succo’, perché nutra la meditazione e la contemplazione e giunga ad irrigare come linfa la vita concreta. Condizione della Lectio divina è che la mente ed il cuore siano illuminati dallo Spirito Santo, cioè dallo stesso Ispiratore delle Scritture, e si pongano perciò in atteggiamento di religioso ascolto”. Di seguito il calendario degli altri incontri: 26 ottobre, fr. Enzo Bianchi, priore Comunità monastica di Bose; 9 e 23 novembre, padre Bruno Secondin; 14 dicembre, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione; 11 Gennaio, padre Francesco Rossi De Gasperis, teologo e biblista gesuita; 25 gennaio, padre Bruno Secondin; 8 febbraio, padre Ermes Ronchi, teologo e saggista dei servi di Maria; 22 febbraio e 8 marzo, padre Bruno Secondin; 15 marzo, padre Alberto Maggi, teologo e biblista dei Servi di Maria; 12 aprile, padre Bruno Secondin; 26 aprile, Paola Bignardi, pedagogista e saggista, già presidente Azione Cattolica; 10 maggio, padre Amedeo Cencini, canossiano, psicopedagogista e scrittore; 24 maggio, padre Bruno Secondin.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 285

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.