Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 10/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Benedetto XVI: la "bussola" del Concilio segna sempre la rotta della Chiesa
  • Anno della Fede. La gioia delle persone che riceveranno dal Papa i messaggi all'umanità
  • Sinodo: il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa, essenziale per la nuova evangelizzazione
  • Sinodo. Interviste con il primate anglicano, Williams, Marco Impagliazzo e mons. Conry
  • Nomine
  • Fiaccolata a Roma promossa dall'Azione Cattolica a 50 anni dall'apertura del Concilio
  • Anniversario Concilio. Numero speciale dell'Osservatore Romano con testo inedito del Papa
  • Oggi in Primo Piano

  • Violenze in Siria, tensioni tra Ankara e Damasco. Sempre vivo il dramma dei profughi
  • Israele, elezioni anticipate. Contrasti nel governo in materia economica
  • Libia, scarcerati marinai italiani. Mons. Mogavero: servono accordi internazionali
  • Giornata contro la pena di morte: esecuzioni in calo ma pratica in uso in 21 Paesi
  • Alla vigilia della Giornata internazionale delle bambine parte la campagna "Indifesa" di Terre des Hommes
  • Sicilia. I vescovi: giustizia e legalità in vista delle regionali, "basta degrado in politica"
  • Giornata della salute mentale: la depressione colpisce 350 milioni di persone
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Appello Caritas: si allarga l'emergenza umanitaria. Servono aiuti
  • Pakistan: spari contro la giovane attivista che sfida i talebani
  • India: per aborti selettivi e infanticidi “scomparse” tre milioni di bambine
  • Filippine. Vescovo di Basilan: sì all'accordo con il Milf, ma rispetto per i cristiani
  • Terra Santa: luoghi cristiani sotto tiro a Gerusalemme
  • Somalia: la malnutrizione continua ad aumentare. Il Paese rischia un’altra grave carestia
  • Mali: acceso dibattito politico sulla crisi del nord
  • Perù. Tratta delle persone: 8 vittime su 10 sono minorenni
  • Spagna: 2.267.000 bambini vivono al di sotto della soglia di povertà
  • Cerimonia alla Sinagoga di Roma per ricordare l'attentato di 30 anni fa
  • Italia: istituito il Commissario anticorruzione. Arrestato un assessore della Lombardia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Benedetto XVI: la "bussola" del Concilio segna sempre la rotta della Chiesa

    ◊   Il Concilio Vaticano II è “un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede”. Con questo invito, Benedetto XVI ha concluso l’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, presenti circa 40mila pellegrini. Alla vigilia dell’apertura dell’Anno della Fede, il Papa ha dedicato la catechesi odierna all’assise conciliare di 50 anni fa, di cui fu protagonista attivo e a cui – ha detto – “bisogna tornare” liberandola da interpretazioni che spesso l’hanno falsata. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Un “grande affresco”, un “dipinto” davanti al quale mettersi, o rimettersi, per scoprirne, o riscoprirne, la “straordinaria ricchezza” dei “frammenti”, dei “tasselli”, dei suoi “particolari passaggi”. Per venti minuti, Benedetto XVI invita le persone in Piazza San Pietro ad ammirare, attraverso l’occhio dei suoi ricordi, i giorni e gli anni di quella che, prendendo a prestito Papa Wojtyla, ribadisce essere stata “la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo”: il Concilio Vaticano II. Giorni e anni sui quali, osserva subito il Papa, si è depositato il sedimento di troppe analisi, che hanno tolto brillantezza ai colori originali:

    “I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti, sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta”.

    Il prof. Joseph Ratzinger al Concilio c’era con la qualifica di “perito”, uno specialista. E da esperto ricorda alla gente che, in duemila anni di storia, quando la Chiesa ha indetto un Concilio è perché doveva dirimere questioni dottrinali. Invece, osserva Benedetto XVI, a metà del 20.mo secolo “non c’erano particolari errori di fede da correggere”. Ai Padri conciliari, dunque, Giovanni XXIII chiede soprattutto che si trovi un “modo rinnovato”, “incisivo”, di mettere in dialogo la fede con un mondo che se ne sta allontanando:

    “Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Ma da questa seria, approfondita riflessione sulla fede, doveva essere delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza”.

    Oggi, gli uomini “sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli”, il nostro è un tempo “in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale”. Queste parole, citate da Benedetto XVI, furono pronunciate nel 1965 da Paolo VI, quando il Concilio volgeva al termine. Eppure, rileva il Papa, la loro attualità è impressionante:

    “Noi vediamo come il tempo in cui viviamo continui ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Penso, allora, che dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue”.

    Nel ricordare i “quattro punti cardinali” della bussola del Vaticano II, in grado di orientare anche la Chiesa di oggi nella sua missione evangelizzatrice – e cioè le Costituzioni conciliari Sacrosanctum Concilium, Lumen gentium, Dei Verbum e Gaudium et spes, il Papa ha terminato auspicando che l’eredità del Concilio aiuti i cristiani a “riscoprire ogni giorno la bellezza” della fede:

    “La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda - di nuovo, con chiarezza - che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo".

    L’udienza generale si è poi conclusa con le consuete sintesi in varie lingue da parte del Papa e, per la prima volta, la catechesi è stata riassunta nei suoi contenuti principali anche in lingua araba. Ai saluti, Benedetto XVI ne ha rivolti alcuni in particolare all’Associazione Famiglie per l’Accoglienza, nel 30.mo di fondazione, ai partecipanti al convegno promosso da Radio Maria e ai diaconi permanenti dell’Arcidiocesi di Milano.

    inizio pagina

    Anno della Fede. La gioia delle persone che riceveranno dal Papa i messaggi all'umanità

    ◊   Al termine della Messa solenne per l’apertura dell’Anno della Fede, che Benedetto XVI presiederà domattina in Piazza San Pietro in coincidenza con il 50.mo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, il Papa consegnerà dei messaggi al Popolo di Dio, sulla scia di quanto fece Paolo VI. A ricevere il testo, tra gli altri, vi sarà anche Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada, mamma di Valeria scomparsa a soli 17 anni in un incidente. Benedetta Capelli l’ha intervistata:

    R. - E’ stata una cosa inaspettata, ma molto bella, perché mi è sembrato il riconoscimento di tutto l’impegno svolto nell’ottica della speranza, della valorizzazione della vita. Abbiamo avuto precedenti rapporti con il Vaticano: nel novembre del 2010, abbiamo partecipato all’udienza generale del mercoledì e proprio io avevo consegnato nelle mani del Santo Padre una scultura che rappresentava il significato della nostra Associazione. Sono delle mani che accolgono e su queste si riversa un fiore spezzato e poi altri fiori che emergono. Il significato: dal sacrificio - rappresentato dal fiore spezzato - la vita, perché il sacrificio riafferma il valore della vita e perché quando diciamo che non è giusto che la vita venga distrutta, così ne riaffermiamo il valore.

    D. – Credo che lei si attenda un messaggio di vicinanza, anche soprattutto per questa sofferenza che molte madri, come lei, hanno avuto per la perdita di un figlio…

    R. – Certamente. Ci attendiamo un messaggio di vicinanza, ma soprattutto l’impegno a sollecitare tutti ad avere comportamenti rispettosi della vita. E questo non soltanto per le persone che sono alla guida, ma anche per le istituzioni: c’è molto bisogno di questa comunicazione di recupero dell’etica per migliorare la nostra società, perché l’incidente stradale capita proprio perché c’è il disprezzo dei valori, perché c’è questa centralità su se stessi e ciascuno pensa di poter fare tutto quello che vuole. La vita, che è espressione di libertà, non viene quindi vissuta come una realtà che si deve coniugare con il senso del limite. Noi ci dobbiamo impegnare tutti – quindi la Chiesa, la famiglia, la scuola – a riaffermare il valore dell’etica.

    D. – Come ha fatto a trasformare il dolore per la perdita di sua figlia Valeria in un impegno così importante, come quello della vostra Associazione che viene oggi riconosciuto ancor più?

    R. – E’ la vita stessa che ci porta a continuare a vivere e a difenderla. Valeria era ed è vita: il suo sacrificio deve servire per affermare il valore della vita. Quindi, la prima cosa che ho pensato è stata quella di dire che il dolore va trasformato in una proposta di cambiamento. Il nostro destino è combattere la “buona battaglia”, come diceva San Paolo: “Sono arrivato alla fine della corsa. Ho combattuto la buona battaglia”. Non dice "ho vinto la buona battaglia", ma dice "ho combattuto". E non dice neanche di aver combattuto la battaglia, ma dice ho combattuto la "buona" battaglia. Noi dobbiamo combattere e dobbiamo vivere in questa ottica e allora anche il sacrificio di Valeria, il sacrificio dell’innocente, è un sacrificio che noi dobbiamo valorizzare perché si riaffermi il valore stesso della vita. Allora, una vita sacrificata è una voce muta che affida a noi l’istanza di difendere la vita.

    Un messaggio sarà indirizzato anche agli uomini di scienza e di pensiero: tra coloro che lo riceveranno c’è Fabiola Gianotti, fisica del Cern di Ginevra, responsabile del Progetto Atlas, che ha verificato l’esistenza del cosiddetto “bosone di Higgs”. L'intervista è di Benedetta Capelli:

    R. – Sono veramente onorata di poter incontrare il Santo Padre. Sono anche molto felice della sua apertura, della sua sensibilità per i vari aspetti della cultura, in questo caso della scienza e della ricerca. Sono dunque veramente molto felice e attendo con ansia ed emozione di ricevere il messaggio. Questo Papa è una persona di grandissima cultura, di grandissima intelligenza, di grandissima sensibilità verso tutti i temi che hanno a che fare con le scienze umane, sociali e anche con la fisica e con gli aspetti delle scienze naturali. Quindi, effettivamente, è senz’altro una figura che sentiamo vicina.

    D. – Scienza e fede a volte hanno preso strade diverse. Oggi, lei ritiene che invece questi due percorsi si possano incontrare?

    R. – Assolutamente. Non c’è contrapposizione fra scienza e fede. Si basano su due principi diversi: la scienza sulla sperimentazione e la religione appunto sulla fede e non sono assolutamente in contrasto l’una con l’altra.

    D. – Com’è cambiata la sua vita da quel 4 luglio scorso, quando è stata annunciata la verifica dell’esistenza del “bosone di Higgs”?

    R. – La mia vita è cambiata nel senso che quella è stata una grandissima scoperta, una grandissima soddisfazione. C’è una gioia maggiore, un grandissimo entusiasmo che si respira negli esperimenti, soprattutto da parte dei giovani, quindi è senz’altro un momento di grande euforia, di grande soddisfazione.

    Altri messaggi saranno indirizzati ai governanti, agli artisti, ai giovani, ai catechisti, ai lavoratori e alle donne. Queste ultime, saranno rappresentante tra gli altri dalla vaticanista messicana Valentina Alazraki e da Annalisa Minetti, cantante e atleta paralimpica, vincitrice di un bronzo ai Giochi di Londra 2012, che Benedetta Capelli ha intervistata:

    R. – Mi hanno chiamato anticipandomi quest’onorificenza incredibile che poi, per me che sono una credente, è veramente il massimo. Nella vita si dice sempre che non si arriva mai, però questo è un reale traguardo: in qualche modo sono stata capita nei miei percorsi, nella ricerca fondamentalmente della voglia di raccontare alla gente quanto meravigliosa sia la vita.

    D. – E’ un messaggio per le donne, quello che il Papa le consegnerà: donne, madri. Lei è un po’ tutto questo…

    R. – E’ meraviglioso poterle rappresentare tutte e poterlo fare da credente, da persona che nella fede ha trovato la forza e l’energia per poter fare tutto.

    D. – L’ultima tua impresa è quella delle Paralimpiadi di Londra. Da te allora cosa c’è da aspettarsi di più?

    R. – Io dò sempre il meglio che ho in tutto quello che faccio. Riesco a capire in segnali che Dio mi manda attraverso le cose e le persone. Cerco di ascoltarLo molto, perché tutte le imprese che ho supportato e sopportato hanno sempre avuto la loro Croce. Ti assicuro, non è mai stato tutto semplice…. Quindi, ho sempre vissuto tutto come il percorso che Gesù ha fatto. Già domani, in qualche modo, ricevo il messaggio più bello, l’onorificenza più alta per quella che è la mia fede. Mi sentivo già "medagliata" nell’animo da tempo. Mi sentivo comunque di aver raggiunto il massimo del mio rapporto con Lui, da veramente molto, molto tempo. Quindi domani festeggeremo insieme questa unione, questo grande amore reciproco che c’è e spero, in qualche modo di continuare a rappresentarLo tra le persone e parlare d’amore.

    inizio pagina

    Sinodo: il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa, essenziale per la nuova evangelizzazione

    ◊   Lavori a porte chiuse, stamani, al Sinodo generale sulla nuova evangelizzazione, in corso in Vaticano. In programma, la prima sessione dei circoli minori. La discussione generale riprende nel pomeriggio, con l’intervento dell’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, per illustrare la sfida della nuova evangelizzazione dal punto di vista anglicano. Ieri pomeriggio, invece, ampio intervento del cardinale Marc Ouellet: il prefetto della Congregazione per i Vescovi ha presentato una relazione sulla recezione, nel mondo, dell’Esortazione apostolica "Verbum Domini", siglata due anni fa da Benedetto XVI e frutto del Sinodo sulla Parola di Dio del 2008. Il servizio di Isabella Piro:

    Più di 200mila copie diffuse in diverse lingue, tra cui 60mila solo in italiano. I numeri della Verbum Domìni parlano chiaro: la distribuzione è stata ampia in tutto il mondo. Ma l’elemento di maggior compiacimento, spiega il cardinale Ouellet, si riscontra nell’entusiasmo crescente dei fedeli per la Lectio Divina, sempre più praticata negli ambienti più diversi. Percorsi formativi, inoltre, vengono offerti dalle diocesi o dalle comunità per sostenere questo modo di incontrare Dio attraverso la Sacra Scrittura. Altri risultati positivi, continua il porporato, si contano nell’animazione biblica, soprattutto nelle parrocchie: numerose le Settimane o gli Anni biblici organizzati dalle Chiese locali, così come gli eventi di lettura ininterrotta della Parola di Dio.

    Particolare, poi, l’iniziativa dei vescovi statunitensi che hanno messo a punto una guida omiletica per sacerdoti e diaconi come risposta alla Verbum Domini. Si è persino organizzato un Festival della predicazione. Anche il settore scientifico ha espresso apprezzamento per l’Esortazione apostolica, definita "il più importante documento ecclesiale sulla Scrittura dopo il Vaticano II" e che ha portato ad un’accresciuta collaborazione tra pastori, teologi ed esegeti, contribuendo anche alla recezione del libro del Papa dedicato a Gesù di Nazaret. Centrale anche la riflessione cristologica ed antropologica dell’Esortazione apostolica che afferma: l’uomo è creato dalla Parola di Dio ed è quindi figlio di Dio in Cristo.

    Infine, il cardinale Ouellet ha messo in stretta relazione la Verbum Domini con la nuova evangelizzazione: l’Esortazione apostolica, infatti, si conclude con una preghiera affinché lo Spirito Santo susciti “zelanti annunciatori e testimoni del Vangelo”, tema principale dell’attuale Sinodo.

    Ma ieri pomeriggio, l’Assemblea dei vescovi ha riflettuto su numerose tematiche, tra cui quella del ruolo delle donne: nella Chiesa, si è detto in Aula, esse rappresentano i due terzi dei membri complessivi, eppure molte di loro si sentono discriminate. Ma bisogna affermare con chiarezza, ha ribadito il Sinodo che, se la Chiesa non ordina sacerdoti donne, non è perché esse siano meno capaci o meno degne, ma solo perché il sacerdote è un rappresentante di Cristo, venuto per sposare l’umanità. Fondamentale, quindi, il contributo consistente delle donne all’evangelizzazione e gesti forti dovrebbero indicarlo chiaramente, perché - hanno sottolineato i Padri sinodali - senza donne felici, riconosciute nella loro essenza e fiere di appartenere alla Chiesa, non ci sarà la nuova evangelizzazione.

    Ancora: il Sinodo ha ricordato l’importanza della nuova evangelizzazione anche nell’ambito ecologico, poiché essa implica il rispetto di tutti gli esseri viventi, e del dialogo tra fede e cultura, alla ricerca di punti di incontro con coloro che sono aperti alla verità ed impegnati nella ricerca del bene comune. Un grande aiuto, in questo senso, arriva dalle parrocchie, che non devono essere soltanto centri di servizi spirituali, ma devono ‘fare rete’, affinché le comunità ed i gruppi di fedeli si sentano davvero discepoli missionari di Cristo.

    La sfida, in fondo, è quella di far comprendere al mondo che la fede cristiana non è in contraddizione con la ragione umana. Di qui, l’esortazione ad evangelizzare attraverso una testimonianza di fede che aiuti l’uomo ad affrontare, ad esempio, il dramma della morte grazie ad una cultura della vita che ne spieghi il senso. Ed è per questo che i Padri sinodali hanno richiamato alla memoria le parole del cardinale Suhard, iniziatore della Missione in Francia: “Non si tratta di costringere il mondo a entrare nella Chiesa così come essa è, bensì di fare una Chiesa capace di accogliere il mondo così come esso è”.

    Infine, proiezione speciale, ieri sera, nell’Aula del Sinodo: i partecipanti all’Assemblea hanno, infatti, assistito in anteprima ad una versione sintetica del docu-film sul Concilio Vaticano II, realizzato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e da Micromegas Comunicazione, grazie ad immagini inedite della Filmoteca vaticana. La distribuzione mondiale del documentario inizierà domani, giorno di apertura dell’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI proprio per commemorare il 50.mo anniversario conciliare.

    inizio pagina

    Sinodo. Interviste con il primate anglicano, Williams, Marco Impagliazzo e mons. Conry

    ◊   Ospite di riguardo al Sinodo per la nuova evangelizzazione è oggi il primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Douglas Williams, il quale dopo il suo intervento nell'Aula sinodale sarà ricevuto in udienza da Benedetto XVI. A 50 anni dall’apertura del Concilio, il primate anglicano rievoca l’importanza del Vaticano II e la sua influenza sullo sviluppo del dialogo ecumenico. L'intervista è della collega della nostra redazione inglese, Philippa Hitchen:

    R. – It was enormously important...
    E’ stato enormemente importante. Io ero un adolescente, quando ha avuto inizio il Concilio: ero un anglicano praticante, e quello che è stato abbastanza insolito – affascinante e piuttosto strano, ma che certamente ha aperto qualcosa per tutti – penso sia stato l’effetto che questo evento ha avuto su di me e su altri. Potevamo vederne le dinamiche. Invece di vedere un’istituzione chiusa in se stessa, vedevamo una trasparenza nella Chiesa cattolica romana, che naturalmente essendo profondamente connessa con Papa Giovanni XXIII, che è stato un dono per tutti i cristiani, divenne qualcosa da custodire profondamente. E a causa del Concilio Vaticano II, penso che altre Chiese abbiano iniziato a ripensare alcuni loro modi di fare le cose, a causa delle riforme liturgiche. Quindi, è stato enormemente importante per tutti.

    D. – E’ stato anche un momento di forte slancio per l’ecumenismo. Ma poi, col passare del tempo, sono tornate alcune difficoltà. E’ in qualche modo deluso?

    R. – Sometimes, of course, yes I feel…
    Qualche volta sì, provo delusione. Ma dall’altra parte, se guardo indietro, agli anni Sessanta, ricordo che allora noi credevamo che fosse tutto possibile, nell’ambito della Chiesa, della politica, nelle relazioni internazionali, e c’era una certa fretta e una certa ingenuità riguardo a tutto questo. Ma c’è anche da dire che negli anni Cinquanta, quand’ero bambino, sarebbe stato impensabile pregare assieme ai cattolici romani, come oggi facciamo, e quindi questo è qualcosa di cui essere orgogliosi. Quindi, il fatto di essere arrivati a capire che in qualche modo ci apparteniamo, questo è irreversibile. Ora, naturalmente, sarebbe stato meraviglioso fare maggiori passi avanti verso qualcosa di più concreto…

    D. – L’ecumenismo è ancora una priorità per la Chiesa d’Inghilterra oggi, con così tanti altri problemi, apparentemente più pressanti, al suo interno?

    R. – If we’re interested about unity...
    Se siamo interessati all’unità della Chiesa? Certamente dovremmo esserlo. La reale questione è cosa significhi essere la Chiesa di Dio. Questa è la domanda che ci facciamo all’interno della famiglia anglicana e questa è la domanda che ci dobbiamo fare nelle altre denominazioni.

    D. – Una delle questioni al centro del dibattito tra gli anglicani è quella delle donne vescovo. Come andrà a finire?

    R. – We will find a solution...
    Troveremo una soluzione accettabile da tutti nella Chiesa d’Inghilterra. Quello su cui i vescovi stanno lavorando negli ultimi mesi è provare a trovare un equilibrio che sia abbastanza generoso con la minoranza e abbastanza chiaro sui principi per non allontanare nessuno.

    Anche l’immigrazione fenomeno sociale che contraddistingue la nostra epoca, può essere veicolo di annuncio del Vangelo. E’ stato ribadito dai Padri sinodali che, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, rilanciano anche il fondamentale contributo dei laici per la trasmissione della fede. Il nostro inviato al Sinodo, Paolo Ondarza, ha intervistato in proposito Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e uditore all'assise in corso in Vaticano:

    R. – Il mondo del laicato, reso "libero" dal Concilio, ha dato delle risposte molte interessanti in questi anni. Anni fa, i Padri conciliari chiedevano ai laici realmente di diventare gli evangelizzatori di questo tempo. Io credo che stia emergendo da questo Sinodo come la vera novità degli ultimi tempi sia la vitalità del laicato nell’evangelizzazione, perché i laici riescono a toccare i tanti ambienti in cui la gente vive normalmente. Oggi, il mondo vive soprattutto nelle metropoli: ha lasciato le campagne e più della metà della popolazione mondiale vive nelle città ed è lì che oggi la sfida dell’evangelizzazione attende i laici.

    D. – Da sempre, la Comunità di Sant’Egidio è attenta alle esigenze dei poveri, degli immigrati che provengono nelle nostre città e qui, dal Sinodo, è stata ribadita l’importanza della presenza degli immigrati come nuovi evangelizzatori…

    R. – Sì, particolarmente in Europa abbiamo ricevuto con l’immigrazione non quell’invasione islamica che si temeva, ma l’arrivo di tantissimi immigrati cristiani che – penso soprattutto a Paesi come le Filippine, ai Paesi ortodossi, alla Romania e all’Ucraina, ai Paesi dell’America Latina – vivono la loro fede con grande intensità. Il problema è come lavorare insieme, affinché queste forze non rimangano ghettizzate, non siano emrginate, ma entrino a far parte di tutta la comunità ecclesiale e, in questo senso, diventino esse stesse evangelizzatrici.

    D. – Il suo augurio per questo Sinodo?

    R. – L’augurio è che la Chiesa viva realmente quella nuova primavera che ci aveva annunciato il Concilio.

    La crisi cha attraversa la fede in Europa è un problema che i cristiani di tutte le confessioni sono chiamati ad affrontare insieme. Al Sinodo, il tema sarà toccato questo pomeriggio anche dal primate anglicano, Rowan Williams. In Gran Bretagna, come nel resto dell’Occidente si assiste ad una crescente secolarizzazione, ma per i Padri sinodali la crisi può essere anche un’occasione di rilancio del Vangelo. Lo conferma mons. Kieran Thomas Conry, vescovo di Arundel e Brighton, della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. L’intervista è di Paolo Ondarza:

    R. – Viviamo sicuramente un momento di crisi per la fede, ma se osserviamo nella storia la Chiesa ha attraversato e superato vari momenti di crisi, quindi non dobbiamo essere troppo pessimisti. Viviamo non tanto un secolarismo aggressivo, piuttosto c’è una certa indifferenza nei confronti della fede. Ma dobbiamo recuperare fiducia, io sono ottimista per i lavori del Sinodo; saranno un aiuto per la Chiesa universale, contribuiranno a costruire un futuro migliore per la Chiesa.

    D. - Lei parlava di un momento di crisi, ma la crisi – è stato detto in aula – può rappresentare anche un’opportunità…

    R. - Certo. Qualcuno una volta ha detto: la Chiesa ha attraversato momenti di crisi dal momento in cui il gallo ha cantato tre volte. Quindi, non dobbiamo spaventarci: non è una novità vivere attraversare un momento di crisi.

    D. - Perché in Europa, ma allargando l’orizzonte, nel mondo occidentale oggi si tende a considerare la fede come un fatto privato?

    D. - Siamo in un mondo caratterizzato dall’individualismo, abbiamo perso il senso della comunità, della famiglia, di una vera società. Dagli anni ’60, prima del Concilio, il mondo è cambiato ed è iniziato un periodo di “globalizzazione” culturale che ha sfaldato le tradizioni locali.

    D. - Oggi, la frontiera dell’evangelizzazione si è allargata se pensiamo all’avvento di Internet e dei social network. Strumenti che la Chiesa già sta utilizzando per la nuova evangelizzazione…

    R. - Specialmente per i giovani: Internet è il loro mondo, comunicano fra loro attraverso il web, Twitter, Facebook e noi dobbiamo essere lì. Certo, è un mondo in cui la comunicazione è un po’ artificiale, superficiale, mentre il messaggio che noi portiamo, il Vangelo, non è superficiale ma è più profondo. Quindi, dobbiamo imparare ad bilanciare quel modo di comunicare con il messaggio del Vangelo.

    D. - Non si possono comunicare nella loro profondità concetti come quelli espressi nel Vangelo in un tweet?

    R. - No, credo di no. Sicuramente, però, è possibile iniziare attraverso un tweet un discorso sul Vangelo. Poi, per l’approfondimento occorre intraprendere un discorso diverso, a livello personale, non attraverso il web.

    inizio pagina

    Nomine

    ◊   In Brasile, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Marabá il sacerdote Vital Corbellini, del clero della diocesi di Caxias do Sul, finora missionario nella diocesi di Ji-Paraná, nella quale è Parroco della Parrocchia "São João Batista", a Jaru. Il rev.do Vital Corbellini è nato il 1° dicembre 1959 a Garibaldi, nella diocesi di Caxias do Sul, Stato del Rio Grande do Sul. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso l’Università di Caxias do Sul e la Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul. È stato ordinato sacerdote il 28 dicembre 1986. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale delle Parrocchie São Sebastiãoa Jaquirana;Santa Maria do Belo Horizontea Cazuza Ferreira e São Francisco de Paula a São Francisco de Paula, nella diocesi di Caxias do Sul (1987-1988); Coordinatore Pastorale della Regione di São Francisco de Paula (1987-1988); Parroco della Parrocchia Nossa Senhora Medianeira a Cuiabá, nell’omonima arcidiocesi (1988-1993); Amministratore Parrocchiale e poi Parroco della Parrocchia São Francisco de Assis, a Monte Belo do Sul, diocesi di Caxias do Sul (1997-2001); Membro dell’Equipe Sacerdotale (2003-2007); Vicario Generale della diocesi di Caxias do Sul (2007-2010). Attualmente svolge il proprio ministero come Parroco della Parrocchia São João Batista, nella località di Jaru, nella diocesi di Ji-Paraná, Stato di Rondônia, nell’Amazzonia orientale.

    Sempre in Brasile, il Pontefice ha nominato Vescovo di Petrópolis mons. Gregório (Leozírio) Paixão Neto, O.S.B., finora Vescovo titolare di Fico ed Ausiliare dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia. Mons. Gregório (Leozírio) Paixão Neto, O.S.B., è nato il 3 novembre 1964 ad Aracaju, nell’omonima arcidiocesi, nello Stato di Sergipe. Ha compiuto gli studi preparatori presso il Collegio Nossa Senhora Auxiliadora di Aracaju e quelli di Filosofia e Teologia presso l’Istituto di Teologia dei Benedettini a Rio de Janeiro, affiliato al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma. Ha approfondito gli studi di Antropologia presso la Libera Università di Amsterdam ed ha seguito corsi di pianoforte e di organo presso l’Istituto di Musica dell’Università Cattolica di São Salvador. Il 7 dicembre 1986 ha emesso la Professione religiosa e il 21 marzo 1993 è stato ordinato sacerdote. Nell’ambito dell’Ordine Benedettino, ha svolto i seguenti ministeri: Economo ed Amministratore del Monastero, Maestro dei Novizi, Priore del Monastero e Direttore del Collegio São Bento. Inoltre, è stato Professore invitato presso la Libera Università di Amsterdam (1998-2006) e Professore nell’Istituto Teologico São Bento e Consultore economico dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia (2000-2006). Il 7 giugno 2006 è stato nominato Vescovo titolare di Fico ed Ausiliare di São Salvador da Bahia ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 luglio dello stesso anno. Dal 2007 è Segretario della Conferenza Episcopale Regionale Nordeste 3. È autore di numerose pubblicazioni di spiritualità benedettina.

    Benedetto XVI ha elevato alla dignità di Arcivescovo mons. Frans Daneels, O.Praem., vescovo titolare di Bita, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

    inizio pagina

    Fiaccolata a Roma promossa dall'Azione Cattolica a 50 anni dall'apertura del Concilio

    ◊   All'origine della nuova evangelizzazione c'è il dinamismo impresso dal Concilio Vaticano II. Lo ha ricordato Benedetto XVI durante la celebrazione eucaristica che ha aperto il Sinodo dei Vescovi. E proprio domani sera, all'apertura dell'Anno della Fede, si terrà a Roma una fiaccolata per ricordare quella che cinquant'anni fa, sotto le finestre di Papa Giovanni XXIII, inaugurò l'assise conciliare. Ma cosa significa riscoprire gli insegnamenti del Concilio? Fabio Colagrande lo ha chiesto a Franco Miano, presidente dell'Azione Cattolica italiana che organizza l’avvenimento:

    R. – La riscoperta degli insegnamenti più autentici del Concilio Vaticano II va nella linea di una nuova evangelizzazione, di uno sforzo rinnovato di evangelizzazione. Che cos’altro è il dialogo della Chiesa con l’uomo del nostro tempo, se non un dialogo che ha al cuore la comunicazione, la trasmissione, l’annuncio della bella notizia del Vangelo? Il dialogo, prima di tutto, si fonda su questo cardine che naturalmente rappresenta la base, da cui poi discendono anche principi di vita, modi di pensare, stili, prassi. Da questo punto di vista il riferimento al Concilio Vaticano II, e ai 50 anni dal suo inizio, è un riferimento importantissimo, dove mi sembra provvidenziale quell’accostamento che il Papa ha proposto dell’11 ottobre come momento in cui viene aperto l’Anno della Fede, si celebrano i 50 anni dall’inizio del Concilio, durante il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Credo che sia un provvidenziale accostamento che dice poi quello che è il cuore anche dello stesso messaggio conciliare: l’incontro della Chiesa con gli uomini e le donne del nostro tempo, un incontro per dire il suo tesoro, il tesoro della fede. Parteciperemo quindi alla celebrazione che il Papa presiederà e la sera abbiamo promosso, insieme alla diocesi di Roma, una fiaccolata per ricordare la fiaccolata di 50 anni fa, della serata di apertura del Concilio. Oggi con Benedetto XVI, ieri con Giovanni XXIII: è la vita della Chiesa che continua, presentando al mondo il tesoro della fede.

    D. – Come si svolgerà questa serata e perché l’avete pensata?

    R. – Si svolge in modo molto semplice. Ci sarà un momento di raduno a Castel Sant’Angelo e una fiaccolata, in uno spirito di preghiera, lungo Via della Conciliazione, per arrivare a Piazza San Pietro e attendere il saluto e la benedizione del Santo Padre. Vorrebbe essere un segno di luce nella sera, nella notte, come fu la fiaccolata di 50 anni fa, che ispirò poi quell’intervento bellissimo di Giovanni XXIII. Noi oggi vogliamo dire, con Benedetto XVI, che anche questo tempo è un tempo favorevole, è un tempo di grandi speranze, è un tempo favorevole all’annuncio del Vangelo. L’abbiamo pensata come un’esperienza promossa sì dall’Azione Cattolica, ma proprio in collaborazione con la diocesi, con la Chiesa locale, perché è per tutti: è nello spirito di un Anno della Fede vissuto insieme, è nello spirito di un Concilio Vaticano II, che è patrimonio da riscoprire per tutti noi.

    D. – Quale significato ha tornare al clima di quei giorni del ’62?

    R. – Il clima di 50 anni fa è il clima che - da un lato - accoglie un lungo cammino, ma - dall’altro – anche la grandezza che l’evento conciliare rilancia, ripensa, trasforma in qualcosa di nuovo quel cammino. Un po’ è così sempre nella vita della Chiesa, come poi nella vita delle persone: si cammina, ma ci sono dei momenti in cui c’è un passo avanti, una novità di vita che si è espressa. Noi vorremmo, anche con questa fiaccolata dell’11 ottobre, rilanciare nell’Anno della Fede, con Benedetto XVI, una grande esperienza di novità di vita che i cristiani pensano di poter testimoniare oggi.

    inizio pagina

    Anniversario Concilio. Numero speciale dell'Osservatore Romano con testo inedito del Papa

    ◊   Un testo inedito di Benedetto XVI apre il numero speciale che l’Osservatore Romano pubblica in occasione del 50.mo anniversario di apertura del Concilio Vaticano II. La narrazione dello speciale si sviluppa sulla base delle cronache dell’epoca, spesso con dettagli inediti o poco conosciuti, ed è corredato di immagini e fotografie rare, di testi dei Pontefici che hanno guidato il Concilio o lo hanno vissuto. È edito in italiano, inglese, spagnolo e viene pubblicato su L’Osservatore Romano dell’11 ottobre nell’originale tedesco e in italiano, e sul sito del giornale nelle sue sette lingue (italiano, inglese, spagnolo, tedesco, francese, portoghese, polacco). La tiratura complessiva del numero speciale è di 40 mila copie.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Violenze in Siria, tensioni tra Ankara e Damasco. Sempre vivo il dramma dei profughi

    ◊   Sono ancora nervosi i rapporti tra Damasco e Ankara. Oggi, il premier turco Erdogan ha assicurato che il suo Paese non intende “interferire” negli affari interni del Paese confinante. Tuttavia, Il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Ozel, ha minacciato la Siria di rispondere ''con più violenza'', se continueranno i colpi di mortaio verso il territorio turco. I media siriani riferiscono intanto di una massiccia offensiva contro Homs dell’esercito di Assad e altre fonti di rinforzi governativi inviati a Idlib per tagliare i rifornimenti degli oppositori ad Aleppo. E dall’opposizione antiregime arrivano le cifre di un nuovo bilancio di sangue, che parla di un quindicina di morti oggi e di circa 200 ieri. Un quadro sempre drammatico, dunque, che vede coinvolti migliaia di profughi. Fra loro, anche numerosi cittadini iracheni che avevano ricevuto asilo a Damasco dopo la guerra del 2003 e che si trovano dunque, per la seconda volta in pochi anni, nella condizione di sfollati. Davide Maggiore ha parlato della loro situazione con Rosette Hechaïme, coordinatrice regionale di Caritas per il Nord Africa e il Medio Oriente:

    R. – Il numero dei rifugiati iracheni in Siria ha raggiunto il milione, e anche di più, durante questi anni. Oggi, evidentemente il loro numero è diminuito, in quanto parecchi di loro sono stati ospitati nei Paesi occidentali. Soprattutto, da quando è scoppiata la crisi in Siria, si riscontra un flusso molto importante di rifugiati iracheni verso il Libano, la Turchia e meno verso la Giordania. Questi rifugiati provengono da varie parte dell’Iraq: sono sunniti, sciiti ed anche cristiani. Si tratta di famiglie, di individui, di gente che ha lasciato tutto e che andando nei Paesi intorno ha cercato sia di trovare una vita più tranquilla sia di avere un punto di appoggio prima di chiedere asilo in altri Paesi.

    D. – Quali erano le condizioni di questi rifugiati, una volta arrivati in Siria?

    R. – La Siria, essendo un Paese limitrofo, ha accolto gli iracheni come ospiti. In un primo momento, non ci voleva nemmeno un visto per entrare in Siria. Poi, con il tempo, il governo siriano si è premunito e ci sono voluti dei visti, perché questo afflusso cominciava a pesare. Cosa facevano gli iracheni in Siria? Tante volte si trattava di gente che non immaginava quanto tempo sarebbe rimasta. Qualcuno avendo venduto tutto, per alcuni mesi aveva di che sopravvivere, ma presto doveva cercare un lavoro. E a quel punto non era una cosa sempre facile, perché non avendo un permesso di soggiorno – avevano documenti che non permettevano di lavorare – cresceva il numero di gente che lavorava in nero. Chi è rimasto più di uno, due o tre anni ha conosciuto periodi molto difficili, non vivendo una vita molto dignitosa.

    D. – Sappiamo che, oltre a cercare rifugio nei Paesi vicini, molte di queste persone stanno rientrando nel loro Paese di origine. In Iraq ci sono dei rischi per loro?

    R. – Il grande rischio è che di nuovo si debba ricominciare tutto, perché chi è partito ha venduto tutto – beni, proprietà, case – avendo bisogno di queste somme. Quindi, adesso si tratta prima di tutto di identificare dove tornare e poi cosa fare, dove inserirsi. E questa non è una cosa facile. Si parla adesso di decine di migliaia di persone che tornano.

    D. – Abbiamo citato anche la Turchia tra i Paesi che ospitano i rifugiati iracheni. La cronaca di queste ore ci dice che il conflitto rischia di allargarsi. Quali potrebbero essere le conseguenze dal punto di vista umanitario?

    R. – Questo è un futuro che veramente vorremmo non arrivasse: la possibilità che si allarghi il conflitto. Sappiamo che la Turchia in passato, durante la Guerra del Golfo e in tutti questi anni, ha avuto parecchi flussi di rifugiati, che venivano dall’Iraq. Quello che cambia è il fatto che questa popolazione sia ancora una volta sradicata, che ancora una volta debba rifare tutte le pratiche, chiedere asilo, ricominciare da capo. E’ gente che ormai è anche ferita psicologicamente. Quale sarà il futuro? E’ una grande domanda, che penso tutti noi dobbiamo farci: come fare perché questo ennesimo esilio non duri anni.

    inizio pagina

    Israele, elezioni anticipate. Contrasti nel governo in materia economica

    ◊   Elezione anticipate in Israele all’inizio del nuovo anno, inizialmente previste nell’ottore 2013. Le ha annunciate ieri il primo ministro Netanyahu. All’origine della crisi politica, il mancato accordo nella maggioranza di governo sulla Legge finanziaria da approvare in parlamento. Roberta Gisotti ha intervistato Marcella Emiliani, storica del Medio Oriente:

    D. – Dott.ssa Emiliani, Netanyahu, parlando con i giornalisti si è vantato, dicendo: “Abbiamo evitato una disoccupazione di massa, creato posti di lavoro, investito in sanità, educazione e trasporti”. Dunque, perché ora queste divergenze in materia economica?

    R. – Le divergenze in materia economica derivano dall’alleanza, che attualmente regge il governo Netanyahu: lui è alleato con molti partiti ultraortodossi, che battono cassa in continuazione sulle case, sui trasporti… E in Israele, quelle ultraortodosse sono le famiglie più numerose e quindi operare dei tagli è più complicato. Sempre con gli ultraortodossi, ha poi il problema dell’esenzione dal servizio militare degli studenti delle "yeshi-vot", cioè delle scuole religiose. Diciamo quindi che c’è un po’ di "maretta". Quello che vuol fare è conquistare voti al centro - e per centro intendiamo il partito Kadima, che attualmente è molto diviso al proprio interno e sotto la leadership della Shelly Yacimovic - non dà sufficienti garanzie di un ruolo politico che garantisca agli israeliani sicurezza, che è poi quello che interessa Netanyahu.

    D. – Non solo crisi economica in quest’anticipo annunciato di elezioni: Netanyahu ha, infatti, citato anche i “trambusti regionali”, la minaccia iraniana e la necessità – ha detto – di garantire “gli interessi nazionali in future trattative”…

    R. – E’ parere quasi unanime di tutti i commentatori israeliani in questo momento, che i motivi di bilancio siano solo secondari nella richiesta di elezioni anticipate. Quel che Netanyahu vuol fare è farsi trovare forte al momento delle elezioni americane per poter eventualmente fronteggiare una rielezione di Barak Obama, con cui non va molto d’accordo. Quello che si teme, soprattutto in Occidente, è che voglia poi andare - con un governo forte - ad una prova di forza con l’Iran: questa famosa guerra contro l’Iran che viene temuta non solo in Occidente, ma anche in tutto il Medio Oriente, perché è evidente che toccare l’Iran significherebbe scatenare l’equivalente di una terza guerra mondiale.

    D. – Netanyahu si è candidato già per un nuovo mandato. E’ certa la vittoria del suo partito?

    R. – Il Likud, in questo momento, è un partito forte. Il problema in Israele - con quel proporzionale quasi secco che hanno, con una soglia dell’1,5% - è che il panorama politico è estremamente sbriciolato. Difficilmente, il Likud potrà conquistare la maggioranza assoluta per fare un governo da solo. Quindi, in questo caso, Netanyahu deve preoccuparsi di conquistare più partitini possibili per la sua coalizione: le coalizioni – come sappiamo – sono sempre piuttosto ballerine… Lui parte da una posizione forte, ma ritiene che se arriva ad ottobre con quello che sta succedendo in Siria - con la tensione tra Turchia e Siria, con i partiti islamici al potere in Egitto soprattutto, che è il Paese arabo che in questo momento gli dà più preoccupazione, assieme alla Siria - debba rafforzarsi immediatamente con elezioni anticipate per affrontare tutte le possibili evenienze, che si sono create in Medio Oriente con le ‘primavere arabe’.

    inizio pagina

    Libia, scarcerati marinai italiani. Mons. Mogavero: servono accordi internazionali

    ◊   “Un primo passo positivo, ma servono accordi internazionali”. Così mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, dopo la scarcerazione dei marinai italiani, della sua diocesi, accusati in Libia di sconfinamento. Gli uomini stavano lavorando, domenica, in acque internazionali, considerate, però, da Tripoli di propria competenza. Fermate nel porto di Bengasi le imbarcazioni “Daniela L.” e “Giulia PG”, i marittimi dovranno comunque aspettare la definizione del procedimento, mentre sono in corso le trattative per il rilascio dei natanti. Ieri, è stata pagata anche un'ammenda di 14 mila dinari. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento dello stesso, mons Mogavero:

    R. - Questa notizia è veramente buona, è un primo passo verso una soluzione positiva dell’intera vicenda. E poi lo è perché la condizione di libertà, pur se sotto sequestro, nei due pescherecci è sicuramente preferibile a quella della detenzione.

    D. - Lei ha parlato con il console italiano a Bengasi che sta seguendo l’intera vicenda: qual è la situazione?

    R. - E’ abbastanza buona, nel senso che gli equipaggi hanno accolto con comprensibile soddisfazione la fine della detenzione e aspettano adesso con una certa impazienza la conclusione della vicenda.

    D. - Ma per le informazioni che abbiamo quanto tempo ci vorrà?

    R. - Si sta trattando per completare l’iter di liberazione delle navi e degli equipaggi. Io credo che una soluzione a breve non possa essere ragionevolmente preventivata. Diciamo che noi auspichiamo che i tempi non siano eccessivamente lunghi e che soprattutto non ci si perda in lungaggini di tipo procedurale. Dobbiamo aspettarci come fatto naturale che le trattative abbiano una certa durata. Questo tuttavia non implica un pregiudizio per il suo esito positivo. Il nostro console a Bengasi è una persona molto esperta, perché ha trattato già diversi casi, è una persona che ha un ottimo rapporto con le autorità libiche e quindi i nostri pescatori, dal punto di vista dell’assistenza, sono in ottime mani. Noi li accompagniamo con la preghiera perché il buon Dio possa aiutare a dare efficacia persuasiva a coloro che stanno lavorando per loro, in modo che il tutto possa auspicabilmente essere risolto in tempi relativamente brevi.

    D. - Lei è a Palermo per la Conferenza episcopale regionale. Rientrando incontrerà le famiglie dei marinai?

    R. - Spero in serata, o al più tardi domani, di poter contattare le famiglie per poter dire loro una parola di confronto e invitarle alla pazienza, senza nervosismi vari, perché non gioverebbero alla causa.

    D. - Lei ha parlato di dispiacere riferendosi a queste situazioni e di necessità di svolte operative: cosa serve?

    R. - Si intavoli una trattativa diplomatica che ci eviti nel futuro di dovere continuare a raccontare queste vicende così tristi. Io mi sono permesso di commentare a caldo questa vicenda, dicendo che non è il caso di aspettare che ci “scappi il morto” per potersi decidere dare un dinamismo nuovo a questa che è una vicenda che ci prende tutti. Però, non vediamo come efficacemente la cosa venga affrontata a livello politico e diplomatico.

    D. - Bisogna fare pressione affinché questo accada?

    R. - Bisogna che ci sia un movimento di opinione che faccia decidere il governo. Non sarà una trattativa facile, ce ne rendiamo perfettamente conto. Né si potrà pensare di far valere il nostro punto di vista, che è quello del diritto internazionale comune, che prevede 12 miglia per il riconoscimento delle acque territoriali. Però, se non si mette mano alla trattativa, continuiamo a rimanere sempre in questo stadio di empasse dal quale non possiamo uscire se non con episodi di questo genere, che regolarmente si moltiplicano. In questo momento, ricordiamo che abbiamo quattro barche sequestrate: due in Libia, una in Tunisia e l’altra ad Alessandria d’Egitto. La faccenda si complica, perché si è riaperto il fronte di contenzioso con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

    inizio pagina

    Giornata contro la pena di morte: esecuzioni in calo ma pratica in uso in 21 Paesi

    ◊   Si celebra oggi la decima Giornata mondiale contro la pena di morte. Amnesty International ricorda che le esecuzioni sono in calo, ma che la pratica è ancora in uso in 21 Paesi: succede in Cina e Iran ma anche negli Stati Uniti e in Bielorussia. Alcune nazioni, come l’india e il Giappone, hanno ripreso le condanne capitali dopo un periodo di stop mentre segnali positivi arrivano dal continente africano. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International, che invita ad andare sul loro sito Internet per firmare appelli e petizioni on line:

    R. – Ogni anno, c’è qualche piccolo passo avanti, ma c’è anche la conferma che la battaglia per abolire la pena di morte non sarà di breve periodo, perché una piccola manciata di Stati si ostina ad utilizzarla con estrema regolarità.

    D. – La tendenza è, comunque, verso l’abbandono?

    R. – Sì, è una tendenza irreversibile. Nell’ultimo decennio, in media, due Paesi hanno abolito la pena di morte per legge o comunque non vi ricorrono più. Il dato è completamente invertito rispetto a quando Amnesty International ha iniziato a lavorare sulla pena di morte, alla fine degli anni Settanta, quando il numero di Paesi che l’avevano abolita coincideva con quello dei Paesi che oggi la mantengono. Passi avanti importanti, quindi, ma la strada è ancora lunga.

    D. – Cina e Iran "maglia nera", ma nella lista ci sono anche l’Iraq e l’Arabia Saudita...

    R. – Sì, questi ultimi due Paesi hanno fatto registrare un aumento purtroppo molto drastico delle esecuzioni: sono 119 in Iraq, dall’inizio dell’anno, e almeno 65 in Arabia Saudita. La tendenza è quella di un aumento delle esecuzioni ulteriore nel corso degli ultimi mesi dell’anno. Poi, ci sono stati Paesi che hanno ripreso a eseguire condanne a morte nel 2012, come il Giappone - nonostante il 2011 fosse passato senza impiccagioni - mentre nel Botswana e nel Gambia, le fucilazioni sono riprese dopo quasi un trentennio di moratoria.

    D. – Cosa dire della situazione negli Stati Uniti?

    R. – Negli Stati Uniti, le esecuzioni continuano con regolarità. Sono state già 30 quest’anno. Cresce però il numero delle esecuzioni scongiurate grazie a nuove tecniche del Dna, cresce la sensibilità dei mezzi di informazione e crescono anche i sondaggi nei quali il pubblico si dimostra disponibile ad accettare pene alternative alla pena capitale. E poi, c’è uno sviluppo sorprendente, che è quello dell’esaurimento progressivo delle scorte di uno dei medicinali per eseguire la condanna a morte, con un’iniezione di veleno, e questo ha dato vita ad una serie di ricorsi e sospensioni che mettono in discussione tanto l’uso di medicinali alternativi quanto l’uso di protocolli alternativi.

    D. – Qual è il quadro in Africa?

    D. – L’Africa da anni guida il movimento globale dei Paesi abolizionisti ed è il continente dal quale arrivano i successi più importanti. In controtendenza, possiamo dire che quest’anno con la ripresa delle esecuzioni nel Gambia è stato fatto un passo indietro. Tuittavia, anche in quei Paesi - persino in quelli in cui la pena di morte continua ad essere mantenuta - ci sono forti opposizioni e movimenti abolizionisti che crescono significativamente.

    D. – L’obiettivo del movimento è ottenere una legge sulla moratoria. Quali segnali arrivano dalle istituzioni internazionali?

    R. – E’ un obiettivo che vogliamo cogliere per la quarta volta dal 2007: una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu, che stabilisca una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione definitiva della pena capitale. Nell’ultima occasione, nel 2010, la risoluzione era stata approvata con 109 voti e ci sono segnali che quest’anno potrebbero aumentare. Amnesty International sta facendo pressioni su alcuni Stati che sono indecisi, o che si astennero nel 2010, perché aggiungano anche il loro voto a quello degli altri Stati a favore di una moratoria.

    inizio pagina

    Alla vigilia della Giornata internazionale delle bambine parte la campagna "Indifesa" di Terre des Hommes

    ◊   Portare i diritti delle bambine, non ancora pienamente riconosciuti a livello di politiche e pianificazioni internazionali, tra le priorità dei prossimi decenni: è l’obiettivo della “Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze”, proclamata dall’ONU per domani, 11 ottobre, e presentata oggi a Roma alla Presidenza del Consiglio. Numerose le discriminazioni di cui sono vittime le bambine a partire, come in Cina e in India, dallo stesso diritto a nascere. Sono poi maggiormente esposte a malnutrizione, mancanza di istruzione, matrimoni precoci, sfruttamento sessuale e sul lavoro. Per difendere i diritti delle bambine in Italia e nel mondo, parte intanto la campagna triennale “Indifesa” di Terre des Hommes a cui si affianca anche un sms solidale attivo fino al 21 ottobre. Emanuela Campanile ha intervistato Paolo Ferrara dell’ organizzazione umanitaria.

    R. - L’idea di partire con una campagna per i diritti delle bambine è già nata lo scorso anno, ancora prima che venisse proclamata la giornata mondiale delle bambine, ed è nata sulla base di notizie sconcertanti che ci arrivavano dai Paesi in cui siamo impegnati. Situazioni di bambine vittime di violenza, di abusi, sempre più vittime di sfruttamento sul lavoro. Ci siamo resi conto che in Italia si parlava ancora troppo poco di questi argomenti. Abbiamo allora deciso di partire in maniera strutturata, cercando alleanze, cercando collaborazioni su una campagna che mettesse al centro le bambine, la loro condizione in Italia e nel mondo. E’ una campagna che ha uno strumento di raccolta fondi che è un sms, il 45501, con cui ci auguriamo di riuscire non soltanto a destare le coscienze ma anche a realizzare concreti progetti che sono fondamentali per le bambine che qui e in altri Paesi purtroppo non hanno voce, che purtroppo non hanno sufficiente protezione e non trovano un accompagnamento nel loro giusto diritto di crescere sane e libere.

    D. – Questa campagna come l’avete articolata, come l’avete pensata?

    R. - L’abbiamo articolata innanzitutto partendo da informazioni. Quello che abbiamo fatto è stato creare un dossier sulla condizione delle bambine in Italia e nel mondo, dall’accesso all’istruzione all’accesso alla sanità, alla questione delle mutilazioni genitali femminili, ai matrimoni precoci, alla situazione delle spose bambine. Abbiamo anche raccolto dati, insieme alla Polizia italiana, sulla condizione della violenza sulle bambine in questo Paese. Anche qui, dato purtroppo sconcertante che vede un aumento del 300% in un anno di casi di violenza sessuale su minorenni. Le violenze sessuali colpiscono soprattutto le bambine in oltre l’82% di casi.

    D. - Quando si parla di bambine quale fascia d’età s’intende?

    R. - La criminologia internazionale parla di bambine tra i 0-18 anni, i dati che abbiamo riguardano però soprattutto ragazzine che non hanno ancora compiuto i 15 anni e in molti casi, soprattutto all’estero, l’età che ci viene segnalata è un’età che scende addirittura più in basso. Il mercato internazionale della violenza sessuale, degli abusi sulle bambine, ormai chiede bambine che arrivano sui 9, 8 anni. Purtroppo queste bambine non vengono considerate come esseri umani, ma vengono considerate esclusivamente come giocattoli con cui trastullarsi. E mentre alcuni Paesi sono dotati di legislazioni forti e strumenti di controllo, ci sono altri Paesi che danno accoglienza a questo tipo di fenomeni non contrastandoli a sufficienza.

    D. - L’Italia in quali dei due campi si trova?

    R. - L’Italia è un Paese che ha fatto tanto in questi anni per dotarsi di una buona legislazione, di buoni controlli; siamo stati tra i primissimi Paesi al mondo a dotarci di una legge che punisce certi reati anche extra-territorialmente. Il problema vero è che la violenza spesso e volentieri è intra-familiare o intra-scolastica e qui non bastano solamente buone leggi, ma sono necessari anche interventi di educazione e sensibilizzazione. Secondo aspetto, l’Italia ha fatto tanto e sta facendo tanto per contrastare fenomeni come la mutilazione genitale femminile e anche per questo abbiamo una legge all’avanguardia. Il problema vero è che sono fenomeni che sfuggono al controllo sia perché le mutilazioni vengono compiute, ovviamente, fuori da ogni ospedale pubblico e sia perché, in molte occasioni, le bambine a cui vengono praticate le mutilazioni genitali vengono inviate per un viaggio vacanza nel loro Paese d’origine e poi tornano dopo che la mutilazione è stata compiuta e lì purtroppo anche in questo caso le leggi possono fare poco. Bisogna lavorare sulla sensibilizzazione e sul coinvolgimento delle comunità coinvolte.

    inizio pagina

    Sicilia. I vescovi: giustizia e legalità in vista delle regionali, "basta degrado in politica"

    ◊   “Ora che il degrado morale e sociale della politica ha oltrepassato ampiamente il livello di guardia, noi riteniamo – per non mancare ad una responsabilità di guida del popolo di Dio – di dover tornare ad alzare la nostra voce, per denunciare che lo stile e le modalità di approccio dell’attuale assetto politico, manifestano incontestabile carenza di seria fondazione morale”. E’ un passo del documento dei vescovi siciliani, in vista delle prossime elezioni regionali, sul tema “Amate la giustizia, voi che governate sulla terra”, presentato oggi dal cardinale di Parlamento e presidente della Conferenza episcopale siciliana, Paolo Romeo. Da Palermo, Alessandra Zaffiro:

    La prima sfida da vincere, sostengono i vescovi siciliani, è quella di superare l’individualismo. “E’ l’ora di una solidarietà lungimirante, di una concentrazione assoluta e senza distrazioni su alcune priorità: il lavoro per tutti, la lotta penetrante e inesorabile alla corruzione e al malaffare, la riforma dei meccanismi e degli strumenti della partecipazione democratica”. Occorre ripartire dalla stima per l’originaria vocazioni al bene, che ciascuno uomo, nella sua unicità irripetibile, rappresenta. “In nome di questa centralità intendiamo fare appello a tutte le coscienze, affinché la partecipazione al voto sia ampia, piena, consapevole, libera da occulti e fuorvianti condizionamenti soprattutto di natura criminale, affrancata da logiche clientelari o di mera tutela di rendita parassitaria o privilegi prevaricanti”. La campagna elettorale, che prepara nuovi assetti istituzionali al governo della Regione – prosegue la riflessione – sta rivelando che il bene comune e lo spirito di servizio, le istanze etico-sociali non occupano la priorità di attenzione che loro compete nella gestione della cosa pubblica. Lo scontro tra scelte politiche e contrastanti ha ormai assunto toni di guerra tra le parti. Esso esprime quasi esclusivamente una deprimente logica di spartizione del potere, lo scontro tra forze più o meno occulte, la strumentalizzazione delle persone, la pressione mediatica e il condizionamento dell’opinione pubblica. “Questo degrado etico-sociale non può non inquietarci come pastori”, si legge nel documento.

    “In quanto uomini di Chiesa non abbiamo né particolari parametri di valutazione o ricette politiche da indicare, né piani strategici da proporre: non è questo il nostro compito. Ma il dovere di orientare, di richiamare e di denunciare siamo convinti di averli!”. Segnaliamo, con preoccupazione, il fenomeno della presa di distanza dall’agone politico da parte di persone indubbiamente valide. Un senso di smarrimento e di delusione fa sì che molti cittadini non sentano più la politica rappresentativa dei loro interrogativi. Un rifiuto, quasi un’avversione, porta all’astensionismo e a quel disimpegno che fa poi spazio all’antipolitica e al qualunquismo”. “In quanto uomini di speranza non ci chiudiamo affatto a prospettive e scenari altri, illuminate da idealità alte, impegno forte per un bene comune, amato e disinteressatamente cercato.

    inizio pagina

    Giornata della salute mentale: la depressione colpisce 350 milioni di persone

    ◊   Ricorre oggi la 20.ma Giornata mondiale della salute mentale. Venne istituita nel 1992, con l’obiettivo di attirare l’attenzione su patologie e disturbi comuni a persone di qualsiasi nazionalità, cultura o condizioni economiche e sociali. Il tema della Giornata è “Investire nella salute mentale” e, quest’anno, l’attenzione è sulla depressione che, secondo la World Federation for Mental Health, colpisce 350 milioni persone nel mondo. Si stima che fra pochi anni, nel 2025, la depressione sarà la prima causa di disabilità cronica. Eliana Astorri ha intervistato il prof. Luigi Janiri, docente presso l’Istituto di Psichiatria e Psicologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

    R. – Per salute mentale s’intende una condizione – potremmo dire – di benessere psichico o anche se vogliamo, in modo più esteso, benessere psico-fisico, per cui un individuo nel suo ambiente di riferimento riesce a funzionare in modo soddisfacente, per se stesso e per gli altri, nelle varie aree previste: l’area familiare, l’area delle relazioni sociali, l’area lavorativa e anche l’area legale. Quindi nelle varie aree esistenziali questa persona deve poter trovare non soltanto un proprio funzionamento ottimale, ma anche una sua realizzazione. Questo è un po’ il concetto di salute mentale: una persona sufficientemente adattata e sufficientemente in pace con se stessa.

    D. – Qual è il futuro di una persona con patologie o disturbi mentali che non viene trattata e che viene lasciata a se stessa?

    R. – Se non interviene un programma di trattamento per una persona con problemi di natura mentale, certo il destino è quello della cronicizzazione. Noi ci dobbiamo ricordare che la depressione entro pochi anni, entro il 2025, diventerà la prima causa di disabilità cronica. Quindi il problema è proprio questo: se una patologia mentale non viene sufficientemente indirizzata ad un trattamento, può diventare una causa di disabilità cronica, con tutte le conseguenze che ne derivano a livello sociale, a livello economico, a livello lavorativo. Parliamo, quindi, proprio di un discorso di ricaduta importante sulla società.

    D. – Quali sono i sintomi della depressione…

    R. – La depressione è una malattia che a livello di gravità va da situazioni abbastanza leggere - le famose sindromi ansiose-depressive, in cui la depressione è mista all’ansia in modo inestricabile - a situazioni, invece, anche molto gravi – le cosiddette depressioni psicotiche, maggiori o anche endogene – in cui probabilmente c’è un ruolo importante, che è il fattore biologico, alla base. Ci sono poi dei disturbi in cui si manifestano dei sintomi molto gravi: si arriva addirittura al delirio, alle allucinazioni oppure si può arrivare, al culmine della disperazione, a tentare il suicidio. Quindi sono disturbi in cui c’è un’importante componente dell’ideazione – le idee sono pessimistiche, c’è una auto-svalutazione, una sfiducia negli altri e verso di sé; c’è una componente affettiva ed emotiva, per cui la persona piange in continuazione oppure - al contrario può avere apatia e non provare sentimenti di alcun tipo, non provare gioia e piacere nelle cose che prima, invece, la interessavano. Poi, la terza importante componente sintomatologica è quella dei disturbi e delle turbe neurovegetative o somatiche: quindi ansia, ma ancora più importanti sono i disturbi del sonno, i disturbi del comportamento alimentare e quindi le abbuffate bulimiche di tipo compensatorio oppure, al contrario, il lasciarsi andare e non mangiare perché non si ha più la voglia di vivere e quindi di nutrire il corpo. Ci sono molti, molti sintomi che ci fanno capire che la depressione, oltre che essere una malattia psicologica, è anche una malattia somatica.

    D. – Però è importante dire che tristezza e malinconia non sono depressione?

    R. – Negli ultimi tempi, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) parla della melanconia come di una forma di depressione, caratterizzata soprattutto dalla mancanza della capacità di provare piacere. Quindi è un termine ripreso da Ippocrate ed è quindi un vecchio termine, che però è ripreso e rimesso un po’ in circolo. La tristezza, no: la tristezza è un sentimento e come tutti i sentimenti appartiene a tutte le persone. Quando la tristezza diventa patologica e chiaramente per intensità, per durata, ma soprattutto perché si accompagna a questi altri sintomi - di cui abbiamo parlato - allora entriamo nel campo della depressione.

    D. – I problemi di tipo mentale possono colpire tutti, ma c’è una differenza - quantomeno di incidenza - fra le popolazioni dei Paesi sviluppati, di quelli intermedi o di quelli poveri?

    R. – Nei Paesi sviluppati sicuramente le patologie da stress - e quindi intendiamo disturbi d’ansia e disturbi depressivi, soprattutto di tipo reattivo - sono più frequenti. Nelle civiltà meno industrializzate, e quindi anche nei Paesi più poveri, prevalgono patologie legate, in parte, alla cultura – e alcune di queste sono anche di difficile classificazione, pensiamo ad esempio ai disturbi dissociativi - e altre sono invece delle forme un po’ variate di patologie mentali come quelle che vediamo anche noi. Quindi la schizofrenia o la depressione sono malattie che in altri Paesi si possono presentare anche in altri modi rispetto a quelli a cui noi siamo abituati. Alcuni disturbi, però, come quelli psicotici sembrano essere in queste forme, per certi versi, anche più frequenti rispetto a noi. Però, ripeto, da noi prevalgono le patologie che potremmo considerare genericamente da stress.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Appello Caritas: si allarga l'emergenza umanitaria. Servono aiuti

    ◊   “Ad Aleppo la popolazione è allo stremo perchè da tre mesi regnano insicurezza, disoccupazione, povertà, mentre le scuole sono chiuse e negli ospedali mancano medici e medicinali. Tuttavia assistiamo ad una grande solidarietà tra le famiglie e vediamo che i giovani si mobilitano per servire i poveri”: così mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente della Caritas Siria, racconta all'agenzia Fides la situazione nella città di Aleppo. La sofferenza della popolazione siriana è stata ieri al centro della preghiera innalzata dai partecipanti al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, in corso in Vaticano. “Quel che ci rattrista di più – nota il vescovo Audo a Fides – è lo stato di prostrazione psicologica che spinge molte famiglie cristiane a emigrare. Ci conforta, invece, la guida del Santo Padre e le sue parole consegnateci nell’Esortazione Apostolica post sinodale durante la sua visita in Libano. Ci aggrappiamo ai suoi insegnamenti – conclude mons. Audo – per continuare ad andare avanti giorno per giorno, compiendo servizi di carità ai poveri e lavorando per la pace, restando fedeli nell'ascoltare la Parola di Dio e nel celebrare l'Eucaristia”. Sempre alla Fides, il laico cattolico Pascal Kateb, direttore esecutivo di Caritas Siria, che coordina il lavoro dell’organizzazione a Damasco, afferma che mentre il conflitto continua, “l’emergenza umanitaria si allarga sempre più: anche se facciamo del nostro meglio, non riusciamo a soddisfare tutti i bisogni dei profughi. Abbiamo urgenza di altri aiuti umanitari. Siamo presenti a Damasco, Aleppo, Homs e in altre aree interessate dal conflitto. Lavoriamo in condizioni molto difficili - prosegue Kateb -. Ma gli sfollati da assistere sono migliaia e la Caritas è fra le poche organizzazioni che raggiunge zone remote o pericolose, in forza della sua neutralità, riconosciuta in tutti i contesti dove opera nel mondo. Ma la situazione si fa ogni giorno più pesante”. Il direttore racconta che “solo a Damasco la Caritas assiste 1.500 famiglie bisognose di tutto, molti sono sfollati giunti dall’area di Homs. Ai profughi non chiediamo il gruppo etnico o la religione: sono di tutte le comunità e confessioni. A Homs lavoriamo insieme con i Gesuiti del Jesuit Refugees Service, e siamo molto vicini alla gente che soffre”. “Accade che in alcune scuole – spiega Kateb – i bambini seguono le lezioni la mattina, ma nel pomeriggio e la notte gli stessi edifici ospitano i profughi. E’ una situazione terribile. Per l’apertura delle scuole mancavano libri, penne, oggetti scolastici: abbiamo usato i fondi che la Caritas aveva per il proprio piccolo ufficio. Ora stiamo cercando nuovi donatori che possano coprire queste spese per i bambini siriani, di tutte le confessioni”. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: spari contro la giovane attivista che sfida i talebani

    ◊   I medici hanno definito un "successo" l'operazione cui è stata sottoposta Malala Yousafzai, 14enne attivista per l'istruzione delle ragazze in Pakistan. La ragazza, è rimasta vittima di un attentato talebano nella Swat Valley, area montagnosa della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l'Afghanistan roccaforte degli estremisti islamici contrari all'istruzione femminile; i fondamentalisti le hanno sparato all’uscita di scuola. La giovane era diventata famosa nel 2009 all'età di 11 anni, per aver tenuto un blog sul sito in lingua locale della Bbc in cui denunciava gli attacchi dei fondamentalisti islamici pakistani contro le ragazze e gli istituti scolastici femminili, per impedire loro di studiare ed emanciparsi. Colpita da due proiettili alla testa e al collo mentre si trovava a bordo dello scuolabus che l'avrebbe accompagnata a casa, dopo aver concluso le lezioni del mattino. Nell'assalto è rimasta ferita anche una sua compagna. Il portavoce dei talebani Ehsanullah Ehsab, raggiunto dalla versione urdu della Bbc, ha rivendicato il gesto, sottolineando che il gruppo estremista ha inteso colpire la ragazza perché "contraria ai talebani" e dallo stile di vita "laico". Il suo lavoro per l'istruzione delle donne, ha aggiunto, è bollato come una "oscenità". Egli ha infine chiarito che, se riuscirà a sopravvivere all'attentato, "non verrà risparmiata". Dal canto suo mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad–Rawalpindi, la diocesi che include la valle di Swat (provincia di Khyber Pakhtunkhwa), dove ieri i talebani hanno attaccato Malala Yousafzai, ha affermato che “Ogni persona ha un diritto sacro alla vita e all’istruzione. Dio ha creato l’uomo a sua immagine - ha detto a Fides il vescovo - ogni vita è preziosa ed appartiene a Lui solo. Come comunità cristiana esprimiamo simpatia e solidarietà a Malala”. Parlando dei distretti di Swat e Malakand, il vescovo spiega che "i cristiani ci sono, ma per i sacerdoti è difficile raggiungere i fedeli perché mancano condizioni basilari di sicurezza, anche se negli ultimi tempi la situazione sembra migliorata. Infatti di recente le Suore della Presentazione hanno riaperto una scuola femminile, e questo è un buon segno per la popolazione e per i cristiani della diocesi. La Chiesa in Pakistan è molto impegnata per l’istruzione delle ragazze, per contribuire al loro sviluppo ed emancipazione”. (L.F.)

    inizio pagina

    India: per aborti selettivi e infanticidi “scomparse” tre milioni di bambine

    ◊   Sono circa 3 milioni le bambine indiane "scomparse" nel nulla nel 2011. Lo dimostra lo studio "Children in India 2012: A Statistical Appraisal", pubblicato dal Centro statistico del Paese. Secondo la ricerca, nello stesso arco di tempo "solo" 2 milioni di bambini sono spariti. L'indagine - ripresa dall'agenzia AsiaNews - rivela anche che oggi vi sono in media 48 bambine in meno ogni 1000 maschi, rispetto alle cifre del 1981. Alla vigilia della Giornata internazionale della bambina, per il dr. Pascoal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita, questi dati "confermano che l'India ha perso 3 milioni di bambine per colpa dell'infanticidio femminile". "La forte influenza patriarcale - nota il medico di Mumbai - trova il suo consenso nella religione, nella cultura e nella tradizione dell'India. Essa rafforza questa radicata discriminazione nei confronti delle bambine. Il feticidio femminile significa abortire solo perché si aspetta una femmina. E nonostante nel Paese la determinazione del sesso sia illegale, tale pratica è in crescita". Secondo il dr. Carvalho, il fenomeno degli aborti selettivi e degli infanticidi femminili "dipendono in gran parte da una 'cultura della morte' diffusa nella società indiana". Da parte sua, aggiunge, "la Chiesa cattolica ha sempre proclamato non solo una cultura della vita, ma anche il diritto alla vita, all'istruzione, alla salute e allo sviluppo di bambine e donne". La Chiesa alle bambine dedica la giornata dell'8 settembre. Oltre alle conseguenze sul breve periodo - come la scomparsa di 3 milioni di bambine - tali pratiche avranno ripercussioni a lungo termine. "I demografi - spiega il medico - avvertono che tra 20 anni non ci saranno abbastanza spose, ed è inoltre previsto un generale calo della fertilità. Alla luce di questo, governo, società civile e famiglia devono lavorare a stretto contatto per fermare questo malessere sociale". Nel 1994 il governo ha promulgato il Pre-Natal Diagnostic Technologies (Pndt) act, che rende illegale l'uso di particolari esami per determinare il sesso del feto. In base alla legge, i medici devono presentare una lista delle pazienti su cui, per ragioni di pura salute, hanno condotto tali test. Chi viola il decreto può scontare una pena fino a tre anni di prigione e il pagamento di una multa di 10mila rupie (circa 146 euro). Tuttavia, il Pndt non ha frenato la diffusione di feticidi e infanticidi femminili. Per questo, di recente il Maharashtra ha chiesto al governo centrale di abolire la legge, affinché gli aborti selettivi passino sotto il reato di omicidio e puniti in base all'art. 302 del Codice penale indiano, che prevede l'ergastolo o la pena di morte. Nella lettera ufficiale, le autorità dello Stato definiscono la propria richiesta l'unico modo efficace "se si vuole fermare davvero questo tipo di crimine contro l'umanità". In Haryana, il Dipartimento per la salute ha annunciato che tutte le donne incinte che devono eseguire ultrasuoni, dovranno presentare una fotocopia del loro documento d'identità. Sarà responsabilità dei radiologi richiedere tale fotocopia. (R.P.)

    inizio pagina

    Filippine. Vescovo di Basilan: sì all'accordo con il Milf, ma rispetto per i cristiani

    ◊   Mons. Martin Jumoad, vescovo di Basilan sostiene la creazione della nuova entità autonoma di Mindanao. Essa è frutto dello storico accordo fra governo filippino e i ribelli islamici del Moro Islamic Liberation Front su futuri dialoghi di pace, annunciato lunedì al termine dei colloqui sulla questione di Mindanao a Kuala Lumpur (Malaysia). "Accolgo questa decisione - afferma il prelato - perché è un primo passo verso la pace. In questi anni la popolazione ha sofferto molto e ogni piccolo passo è un segno di speranza". La sede della diocesi di Basilan si trova nella città di Isabela, dove i cristiani sono circa il 50%. Insieme a Cotabato essa è una delle città con una consistente presenza cristiana che entrerà a far parte della nuova regione autonoma musulmana di Bangsamoro. Isabela e Cotabato, sono state teatro di numerosi attentati da parte degli estremisti islamici. Il più grave è avvenuto il 5 luglio 2009 ed è costato 5 morti. Fonti dell'agenzia AsiaNews, anonime per motivi di sicurezza, raccontano che in questi anni molte famiglie cristiane hanno abbandonato le loro case per trasferirsi in aree più sicure e il trend rischia di aumentare con la nascita della entità autonoma musulmana, dove secondo gli accordi fra governo e ribelli sarà possibile applicare la sharia, ma solo per i musulmani. L'ingresso delle due città nella regione di Bangsamoro avverrà però solo dopo un referendum popolare che si terrà nel 2013. Mons. Jumoad sottolinea che "dobbiamo essere vigili allo stesso tempo per guidare la popolazione nella comprensione di questo accordo, cercando di avere chiari i rischi e le opportunità nel votare 'si' o 'no' al referendum". Il prelato spera che ci sia rispetto per le religioni e le minoranze a Bangsamoro. (R.P.)

    inizio pagina

    Terra Santa: luoghi cristiani sotto tiro a Gerusalemme

    ◊   Un nuovo ignobile atto di vandalismo ha profanato lunedì un luogo di culto cristiano a Gerusalemme, dove sconosciuti hanno lanciato pietre, bottiglie e spazzatura contro la chiesa ortodossa di San Giorgio, danneggiandone il portone d’ingresso. La chiesa di San Giorgio si trova vicino al quartiere di Mea Sharim, abitato in prevalenza da ebrei ultraortodossi. Il grave episodio arriva a meno di una settimana da quello avvenuto nel convento di San Francesco sul Monte Sion di Gerusalemme, conosciuto come il Cenacolino, sul cui portone d’ingresso il 3 ottobre era stata scoperta una scritta blasfema accompagnata da minacce. In quel caso, gli autori del grave e ignobile gesto si erano firmati come aderenti al movimento dei coloni. Un mese fa, scritte altrettanto oltraggiose, accompagnate da un tentativo di incendio, erano state tracciate anche sul portone dell’abbazia trappista di Latrun, a ovest di Gerusalemme. Il susseguirsi di tali fatti dimostra che non si è più davanti a episodi isolati, ma piuttosto a «un fenomeno a cui non è possibile abituarsi», come dichiarato dal presidente israeliano, Shimon Peres dopo la profanazione del Cenacolino. (T.C.)

    inizio pagina

    Somalia: la malnutrizione continua ad aumentare. Il Paese rischia un’altra grave carestia

    ◊   Secondo i dati dell’Oxford Commitee for Famine Relief (Oxfam), lo scorso anno in Somalia, la siccità e la carestia hanno fatto decine di migliaia di vittime oltre ad aver lasciato altri 4 milioni di persone, circa la metà della popolazione, dipendenti dagli aiuti umanitari. Il livello della malnutrizione è diventato allarmante ed il paese africano rischia ora un’altra grave carestia. Le scorte idriche e alimentari hanno raggiunto un livello critico e rischiano di peggiorare in alcune zone del paese nel giro dei prossimi mesi. Questa emergenza lascia presagire una crisi umanitaria che potrebbe prolungarsi per il prossimo anno. Le statistiche dell’Oxfam si riferiscono ad uno studio condotto su oltre 1.800 famiglie e 240 gruppi in 40 regioni della Somalia, tra i mesi di luglio e agosto. Circa la metà degli intervistati ha dichiarato di saltare regolarmente i pasti e un quinto ha ridotto le porzioni per garantire cibo a sufficienza ai propri figli. Alcune donne sono costrette a percorrere 18 chilometri a piedi al giorno in cerca di acqua. (L.F.)

    inizio pagina

    Mali: acceso dibattito politico sulla crisi del nord

    ◊   “In Mali c’è un acceso dibattito tra i sostenitori del dialogo e coloro che invece premono per una soluzione militare alla crisi del nord” dice all’agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario della Conferenza episcopale del Mali. “Quale tra le due posizioni prevarrà forse lo vedremo nei prossimi giorni. L’Algeria, che ha inviato di recente un suo Ministro a Bamako, afferma che il negoziato è la soluzione migliore, mentre qui in Mali ci sono diversi sostenitori dell’opzione militare. Lo Stato finora non ha effettuato una scelta ufficiale, anche se il Presidente ad interim aveva affermato che il dialogo è la prima delle soluzioni da seguire”. La Comunità Economica dell’Africa Occidentale (Cedeao) ha offerto circa 3.000 soldati. “L’obiettivo primario del governo è liberare le grandi città del nord dagli estremisti, per poi trovare un modo per risolvere definitivamente la crisi” dice a Fides don Dembele. Una delle incognite è l’atteggiamento del Movimento di Liberazione dell’Azawad (Mnla), il gruppo laico che ha avviato la guerra ma che ha perso il controllo delle principali città settentrionali a favore dei gruppi islamisti. “Il mediatore nominato dalla Cedeao, il Presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, ha avviato dei contatti con l’Mnla, che ha rivisto la sua posizione: dopo aver proclamato l’indipendenza del nord, ora parla di autodeterminazione. (L.F.)

    inizio pagina

    Perù. Tratta delle persone: 8 vittime su 10 sono minorenni

    ◊   L'Osservatorio sulla criminalità del Ministero pubblico ha riferito che in Perù si sono registrati 1,112 casi di traffico di persone da gennaio 2008 a luglio 2012, in tal modo viene considerato come il secondo delitto più redditizio per la criminalità organizzata. La nota inviata all'agenzia Fides da Radio Onda Azul di Puno, riferisce che più della metà delle denunce si concentra a Lima, Madre de Dios, Loreto, Puno e Piura. Inoltre 8 vittime su 10 della tratta sono minorenni, fra 13 e 17 anni, e 5 trafficanti su 10 sono donne. La responsabile dell'ufficio del Procuratore ha commentato che il modo migliore per affrontare questa realtà è svolgere un'indagine completa sul crimine, partendo dal passato, ed ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra il pubblico ministero e la polizia nazionale. Per questo tipo di reato l'imputato può essere condannato alla reclusione da 8 a 15 anni. Le vittime sono utilizzate ai fini dello sfruttamento sessuale o lavorativo, per l'accattonaggio o il traffico di organi. La Chiesa ha denunciato in diverse circostanze questa drammatica realtà, diffusa in modo particolare nelle zone di frontiera. (R.P.)

    inizio pagina

    Spagna: 2.267.000 bambini vivono al di sotto della soglia di povertà

    ◊   Sulla base dei dati 2011 pubblicati da Eurostat, l'Unicef Spagna stima che circa 2.267.000 bambini vivono al di sotto della soglia di povertà nel Paese. Sono 80.000 bambini in più rispetto al 2010, con un tasso di povertà infantile pari al 27,2%, rispetto al 26,2% riportato dal rapporto “L'infanzia in Spagna: l'impatto della crisi sui bambini” (presentato nel maggio scorso dall'Unicef Spagna). Il nuovo dato Eurostat conferma che l'infanzia è diventata la fascia di età più colpita dalla povertà in Spagna. Altri dati del Rapporto sottolineano che sono 760 mila le famiglie con figli in cui nessun adulto lavora, 46.000 in più rispetto all'anno scorso. Inoltre, il 14,4% dei bambini vive in famiglie con un alto tasso di povertà, dato in aumento rispetto al 13,7% dell'anno precedente. Questo aggiornamento delle statistiche è particolarmente importante in un momento in cui in Spagna è appena iniziato l'iter parlamentare del Bilancio generale dello Stato per il 2013. A questo proposito, il direttore generale dell'Unicef Spagna, Paloma Escudero ha dichiarato che "ora più che mai dobbiamo prestare attenzione alle categorie più vulnerabili, che sono ingiustamente colpite dalla crisi. E' imprescindibile che le misure che verranno adottate valutino l'impatto e le conseguenze sull'infanzia". (L.F.)


    inizio pagina

    Cerimonia alla Sinagoga di Roma per ricordare l'attentato di 30 anni fa

    ◊   Con la proiezione di un filmato di quelle ore drammatiche che per sempre hanno segnato la vita della comunità ebraica di Roma si è aperta questa mattina nel Tempio Maggiore la cerimonia in ricordo dell’attacco in cui, il 9 ottobre 1982, sotto i colpi del terrorismo palestinese, perse la vita il piccolo Stefano Gay Taché e furono ferite 42 persone. Tra gli ospiti presenti alla cerimonia - riferisce l'agenzia Sir - il capo dello Stato Giorgio Napolitano e alcune tra le più alte cariche istituzionali. Il primo a prendere la parola è stato il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che ha portato al presidente Napolitano la sua testimonianza personale di quel terribile attentato. “Chi le parla da questo luogo sacro - ha detto - non è solo il presidente della più antica comunità ebraica della diaspora occidentale, ma il figlio di un sopravvissuto a quel vile gesto”. Il padre Emanuele, presente alla cerimonia di oggi, ha lottato per mesi fra la vita e la morte, dopo che una bomba a frammentazione gli aveva conficcato schegge in tutto il corpo, lacerato il ventre, squarciato la gola e ferito gravemente un occhio. Creduto morto dai medici fu il Rabbino Elio Toaff a rendersi conto che ancora respirava, salvandogli così la vita. “La mia vita ed il mio destino, così come quella delle famiglie dei tanti feriti - ha detto Pacifici -, cambiò alle ore 12 del 9 ottobre del 1982”. “Questa esperienza ha segnato non solo le mie aspirazioni ma anche la mia vita ebraica perché quel giorno giurai a me stesso che avrei combattuto con anima e corpo per la mia Comunità. Per Israele”. Nel suo discorso, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, Renzo Gattegna ha detto: “Gli ebrei insieme a tutti coloro che si riconoscono nei valori democratici hanno visto in quel gesto criminale un concentrato di tutto ciò che di più barbarico la mente umana potesse concepire”. “Non hanno colpito solo le persone ma la sensibilità che gli ebrei italiani condividono con tutta la società civile. Quell’atto criminoso rivelò inoltre una componente di intolleranza religiosa il cui ritorno ha caratterizzato la fine del 20° secolo e sembra ancora in crescita inquietante”. Nel prendere la parola anche il Rabbino Capo di Roma, Riccardo di Segni si lascia andare ad un ricordo: “Il pomeriggio delle esequie di Stefano Gay Tachè ero con un piccolo gruppo di rabbini nella camera mortuaria dell’Ospedale Fatebenefratelli, qui all’isola Tiberina, raccolti intorno alla piccola bara, quando arrivò il Presidente Pertini, accolto nelle strade da un assordante gelido silenzio. Davanti alla bara Pertini scoppiò in un pianto infrenabile, certo non cerimoniale”. Di Segni esprime poi gratitudine al presidente Napolitano: “La Sua visita in questo luogo segna una nuova tappa nella lunga storia dei rapporti dello Stato con la Comunità ebraica che vive qui da 21 secoli”. (R.P.)

    inizio pagina

    Italia: istituito il Commissario anticorruzione. Arrestato un assessore della Lombardia

    ◊   L'assessore alla Casa della Regione Lombardia, Domenico Zambelli, è stato arrestato oggi dai carabinieri con l'accusa di aver comprato 4.000 voti, decisivi per la sua elezione nelle regionali del 2010, pagando 200 mila euro a due esponenti della 'ndrangheta. Uno di loro è Giuseppe D'Agostino, gestore di locali notturni, già condannato negli anni scorsi per traffico di droga, che appartiene alla cosca calabrese Morabito-Bruzzaniti; l'altro, referente del clan Mancuso, e' l'imprenditore Eugenio Costantino. La notizia arriva all’indomani dello scioglimento dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria, disposta ieri dal Consiglio dei ministri, per contiguità con ambienti mafiosi. Il Comune sarà guidato per 18 mesi da 3 commissari. Intanto ieri il Consiglio dei ministri ha deciso di istituire nella legge di stabilità un Commissario anticorruzione che presiederà la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche. (D.D.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 284

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.