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Sommario del 09/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Sinodo: appello per la pace in Siria. Nuova evangelizzazione non sia solo uno slogan
  • Sinodo. Mons. Laham: il mondo aiuti la Siria a riconciliarsi. Mons. Michalik: più forza all'ecumenismo
  • Mons. Fisichella presenta l'Anno della Fede: si ritrovi freschezza e slancio evangelico
  • Rinuncia episcopale in Cile
  • Possessi cardinalizi
  • Le anticipazioni sul terzo libro del Papa dedicato a Gesù di Nazareth
  • Nobel Medicina. Mons. Sánchez Sorondo: rafforzata etica nella ricerca sempre difesa dalla Chiesa
  • Mons. Tomasi: la crisi non riduca l'impegno in favore dei profughi dovuti alle guerre
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Bce, Fmi e Banca Mondiale lanciano l’allarme crescita
  • Libia ancora nel caos. Scontri al sud, il governo torna al premier ad internim Al-Kib
  • Pyongyang annuncia missili in grado di colpire gli Usa. L'esperto: è propaganda
  • Rapporto Fao-Ifad-Pam: meno affamati in Asia, in aumento in Africa. Troppi sprechi alimentari
  • Istat-Caritas: oltre 47 mila i senza dimora in Italia, urgono azioni concrete
  • "Salute senza barriere": al via il programma di integrazione sanitaria dei cittadini stranieri detenuti
  • Inaugurato il primo Monastero cattolico della Georgia. Iintervista con mons. Pasotto
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Lettera dei vescovi cattolici di Terra Santa sull'Anno della Fede
  • Vescovi europei: Nobel per la medicina sulle staminali "importante pietra miliare"
  • Nord Kivu: nessun risultato dal vertice dei Grandi Laghi
  • Filippine: la Chiesa definisce l'accordo di pace governo-ribelli, un segno di speranza
  • Pakistan: 24.enne cristiana rapita, costretta a convertisti all’islam e sposare l’aguzzino
  • Hong Kong: il governo mette fine all'"educazione patriottica" nelle scuole
  • Myanmar: cresce il numero di sfollati nello Stato di Rakhine
  • Usa: pellegrinaggio per la vita e la libertà promosso dai vescovi per l'Anno della Fede
  • Haiti. Segnali di ripresa nell’emergenza post terremoto: riaperte le scuole
  • Perù: appello della Chiesa al dialogo nella provincia di Cajamarca
  • Honduras. Il cardinale Maradiaga: “Il Paese ha bisogno di cambiare, non scegliete i corrotti”
  • Guatemala: morti e feriti negli scontri tra indigeni e polizia
  • Burundi: l'impegno dei Gesuiti per l'istruzione delle donne
  • Uganda: la Chiesa esorta il governo a liberare tutti i prigionieri politici per il 50.mo d'indipendenza
  • Cipro: appello di Chrysostomos II per il rispetto della libertà religiosa nel nord dell'isola
  • Libano: i Cappuccini tornano nel villaggio di Abey
  • Premio Nobel per la Fisica a Serge Haroche e David Wineland
  • Il Papa e la Santa Sede



    Sinodo: appello per la pace in Siria. Nuova evangelizzazione non sia solo uno slogan

    ◊   Si è aperto stamani con un appello alla pace in Siria il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, in corso in Vaticano. Alla presenza del Papa, i vescovi di tutto il mondo - tra cui 142 che prendono parte al Sinodo per la prima volta - hanno richiamato anche la valorizzazione dei migranti e l’importanza di un esame di coscienza della Chiesa stessa, nel modo in cui vivere la fede. Nel pomeriggio, i lavori proseguiranno con una relazione del cardinale Ouellet: il prefetto della Congregazione per i Vescovi spiegherà come sia stata recepita, nel mondo, la Verbum Domini, l’Esortazione apostolica siglata da Benedetto XVI dopo il Sinodo del 2008 sulla Parola di Dio. Il servizio di Isabella Piro:

    Pace e solidarietà alle vittime del conflitto in Siria: l’Aula del Sinodo non dimentica il mondo esterno e prega per la stabilità di Damasco. Poi, lo sguardo dei presuli si allarga alle sfide della nuova evangelizzazione e punta sulla valorizzazione dei migranti, il cui tesoro principale è la fede che essi portano con sé in tutto il mondo, trasformandosi in veri evangelizzatori. La Chiesa, quindi, li sostenga e li tuteli da certe discriminazioni della società, aiutandone l’integrazione e la conservazione della loro identità.

    Ma il Sinodo fa anche autocritica e chiede un esame di coscienza nel modo di vivere e testimoniare la fede: il rischio di burocratizzare la vita sacramentale può portare alla perdita di credibilità e ciò significa dimenticare che, per evangelizzare, bisogna prima essere evangelizzati.

    Di qui, anche il richiamo forte al Sacramento della penitenza, quasi scomparso in alcune regioni del mondo, e definito invece il Sacramento della nuova evangelizzazione. E centrale anche l’appello a una nuova umiltà della Chiesa, così che non si rinchiuda in dibattiti intra-ecclesiali, ma sappia proporre il Vangelo con umiltà, nell’ottica di una nuova carità. Importante, poi, evitare il ripetersi di scandali nella vita sacerdotale e affrontare l’emergenza educativa perché, dice l’Aula, non si può evangelizzare bene se non si educa bene e viceversa.

    Forse, si chiede il Sinodo, la “chiave di volta” della nuova evangelizzazione sta proprio nel passare da una pastorale passiva e di mera conservazione a una pastorale intrepida, di missione permanente, che veda sacerdoti testimoniare con entusiasmo la Buona Novella.

    Alcune riflessioni dei Padri sinodali, inoltre, auspicano una consacrazione del mondo allo Spirito Santo, guardano a Maria come primo esempio di donna laica evangelizzatrice e al dialogo tra la bellezza dell’arte e della fede come strumento di nuova evangelizzazione. Particolare, poi, la testimonianza della Chiesa degli Stati Uniti che ha introdotto il rito della benedizione del bambino nel grembo materno: un modo, spiega il Sinodo, per avvicinare tutta la famiglia del nascituro ai sacramenti, in particolare a quello del battesimo. Poi, il suggerimento di mettere maggiormente a frutto la pastorale militare, per sua natura legata alla pace e alla promozione del bene comune dei popoli.

    Al termine della Congregazione, infine, l’Aula ha ascoltato l’intervento del delegato fraterno Simo Peura, luterano, e dell’invitato speciale Lamar Vest, presidente dell’American Bible Society, alla quale per la prima volta, in 200 anni di operato, è stata offerta questa opportunità. Al centro della prima riflessione, la valorizzazione del Battesimo e di una Chiesa missionaria, che testimoni Cristo nella promozione della giustizia. Dal suo canto, Lamar Vest ha richiamato la grandezza e la freschezza della Bibbia, che resta sempre uguale nonostante i mutamenti del mondo.

    Nel pomeriggio di ieri, invece, l’Assemblea dei vescovi ha accolto la presentazione delle relazioni dei cinque continenti, per illustrare come il tema della nuova evangelizzazione sia stato recepito nelle Chiese particolari di tutto il mondo. Comune denominatore dei cinque interventi è stata la sfida della globalizzazione che tende a trasformare le culture locali, sfaldandone i valori tradizionali come la famiglia.

    Nello specifico, per riuscire nell’opera evangelizzatrice, l’Asia punta al dialogo - definito una necessità, non un lusso - con le culture, con i poveri, con le religioni, anche affrontando in modo eroico le sofferenze della crescente persecuzione. L’Africa, dal suo canto, combatte il fondamentalismo islamico e guarda agli insegnamenti di Paolo VI che diceva: “Africani, siate missionari di voi stessi”. E quindi, mette in guardia da quegli evangelizzatori che vanno all’estero non per missione, ma per guadagno.

    L’Europa si appella a quell’eredità cristiana di cui sembra aver smarrito la memoria e guarda agli esempi positivi delle Giornate mondiali della gioventù e delle missioni cittadine, per combattere una società dominata dai mass-media, dall’economia e dai diritti umani di terza e quarta generazione, lontani da una visione umana, cristiana e morale del mondo e legati solo alle opinioni e ai desideri personali di ciascuno.

    Dal suo canto, la Chiesa d’America identifica la nuova evangelizzazione con la Missione Continentale e chiede, al contempo, un esame di coscienza sul modo di vivere la fede, puntando sulla famiglia come Chiesa domestica e coinvolgendo i laici, definiti i principali protagonisti della nuova evangelizzazione.

    In Oceania, infine, dove si riscontrano “isole di umanità”, la nuova evangelizzazione riparte dai giovani, dalle scuole, dalla vitalità dei cattolici uniti pur nella diversità etnica, dalla promozione dei diritti dei nativi e dal Cortile dei Gentili. L’iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura, pensata per facilitare il dialogo con i non credenti, viene infatti vista come il lato buono della secolarizzazione, al contrario del secolarismo più aggressivo che impedisce il confronto, ad esempio, sulle questioni bioetiche.

    L’auspicio complessivo, in fondo, è che si prosegua il cammino intrapreso con coraggio e ottimismo, mostrando rispetto per chi non ha ricevuto ancora il dono della fede e facendo sì che la nuova evangelizzazione non sia soltanto uno slogan.

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    Sinodo. Mons. Laham: il mondo aiuti la Siria a riconciliarsi. Mons. Michalik: più forza all'ecumenismo

    ◊   Il pensiero dei padri sinodali, dunque, oggi è andato alle vittime del conflitto in Siria. Presente ai lavori in Vaticano il Patriarca greco-cattolico melkita di Damasco, Gregorio III Laham. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – Ringraziamo mons. Eterovic, segretario generale del Sinodo, che oggi ha ricordato la Siria. Io vorrei approfittare di questa situazione, in cui ho la possibilità di incontrare un così gran numero di persone provenienti da tutti i continenti, per far presente la situazione in questo tempo così tragico in Siria. La crisi siriana non riguarda solo la Siria, ma tutto il Medio Oriente e in particolare cinque Paesi, le cui vicende sono legate tra loro: Siria, Libano, Giordania, Palestina e Israele. In questi cinque paesi si può vivere liberamente la fede e i problemi di questi cinque Paesi, limitrofi ad Israele, e quindi più a contatto con il conflitto israelo-palestinese, sono molto importanti per l’equilibrio di tutto il Medio Oriente. Alla vita di questi Paesi è legata la pacifica convivenza tra islam e cristianesimo in Medio Oriente e la presenza stessa dell’islam in Europa. Tutto questo è legato.

    D. – Quale il ruolo della Chiesa in Siria per la risoluzione del conflitto?

    R. – Noi, come Chiesa, vogliamo tentare di presentare una via: come possiamo aiutare a superare questa crisi in modo equilibrato. Non vogliamo andare contro o a favore riguardo al governo: noi bypassiamo tutto questo! Noi vogliamo salvare il valore della Siria come realtà storica, unica. Non dimentichiamo che Gesù è nato in Palestina, il cristianesimo è nato in Siria: per questo voglio approfittare del Sinodo per levare la voce e parlare a quanti più possibili vescovi e cardinali provenienti da tutti i continenti per far presente loro questa missione della Chiesa in Siria, questo ruolo della Chiesa in Siria. Io ho presentato un documento dal titolo “Riconciliazione, l’unica via per l’avvenire e per risolvere la crisi della Siria e del Medio Oriente”. Se noi aiuteremo la riconciliazione in Siria, aiuteremo anche l’Occidente a dialogare con l’Islam.

    D. – La testimonianza cristiana è, dunque, di aiuto per un cammino di riconciliazione?

    R. – Per me, questo è molto importante. Credo che per l’avvenire della Chiesa, qualsiasi sia il governo che verrà, qualsiasi direzione ci sarà, la missione del credente è riconciliare e unire: questa sarà la salvezza della Chiesa e del suo ruolo e della sua missione in Medio Oriente.

    D. – Anche oggi arrivano notizie di sangue e di guerra dalla Siria: l’ennesimo attentato kamikaze in una sede dell’intelligence a Damasco…

    R. – Di nuovo, chiediamo all’Europa di incontrarsi con i Paesi arabi per cercare di comprendere come poter uscire da questa situazione. Il problema più grande è che nessun Paese ha una risposta alla situazione attuale. Perciò, dico che c’è bisogno di una solidarietà del mondo arabo e del mondo europeo per cercare una via d’uscita. Poi, chiediamo di pregare per la Siria: io credo molto alla forza della preghiera.

    Cuore dell’evangelizzazione è l’incontro dell’uomo con Gesù Cristo. E’ quanto sottolinea l’Instrumentum Laboris, documento programmatico di questa assise sinodale. Solo a partire da un rapporto personale con il Risorto, alimentato dalla preghiera e dalla partecipazione ai sacramenti, è possibile trasmettere la fede cristiana. Tale compito interpella i cristiani di tutte le confessioni. Lo ribadisce mons. Józef Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca. L’intervista è del nostro inviato al sinodo Paolo Ondarza:

    R. – Le premesse della nuova evangelizzazione partono da noi: cioè, dalla convinzione che il Vangelo ha un valore per noi, dà senso alla nostra vita e che per questo vogliamo condividerlo con gli altri. Siamo chiamati a riflettere prima di lamentarci la religione e il Vangelo non interessa gli altri… Se noi per primo non siamo interessati al Vangelo, se il messaggio di Gesù non ci “brucia” dentro, manca la condizione per toccare il cuore del nostro prossimo. Ma innanzitutto l’evangelizzazione avviene grazie allo Spirito Santo.

    D. - E’ importante per la nuova evangelizzazione il dialogo ecumenico. La divisione tra cristiani infatti è una contro-testimonianza?

    R. - Anche le altre Chiese sono interessate a collaborare alle sfide che la fede incontra al giorno d’oggi. In Polonia, abbiamo ospitato qualche settimana fa, alla fine d’agosto, un incontro con il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, con il quale abbiamo firmato un documento di perdono reciproco tra Polonia e Russia. Vogliamo lavorare insieme alla promozione del Vangelo, affrontando ostacoli e sfide; vogliamo impegnarci per la difesa della vita, della famiglia e anche per favorire la presenza di Dio nella vita sociale, pubblica, politica.

    D. - Secondo lei, come mai nell’Europa cristiana il fuoco della fede sembra essersi indebolito?

    R. - In Europa, manca oggi una cultura integrale, quella cultura creativa sul bello, sul buono: cioè, oggi siamo presi da una corsa per il guadagno, il mercato, i soldi, la carriera… tutto questo è umano, ma dovrebbe essere coordinato con valori spirituali, con la coscienza. Se mancano i riferimenti ai valori superiori, l’uomo vive un “handicap”.

    D. - Le frontiere della nuova evangelizzazione in Polonia?

    R. – Cerchiamo di rimanere fedeli alle basi, cioè alla Rivelazione, alla Sacra Scrittura, alla tradizione, nelle nuove condizioni, che sono più o meno uguali a quelle che si vivono nel resto dell’Europa, negli altri Paesi. Il Santo Padre nel suo libro intervista ha detto: le cose vere sono semplici, le cose semplici sono vere. Da bambino, quando si imparano certe realtà di fede, queste divengono un punto di riferimento: la bellezza di fede, la devozione mariana, il catechismo nelle scuole, la messa domenicale. Dobbiamo rimanere fedeli a questi valori che sostituiscono una base per il dialogo con il mondo moderno. Occorre poi svegliare il nostro laicato:un laicato molto promettente. Negli ultimi 20 anni, è aumentato l’impegno dei laici così come la consapevolezza della responsabilità di testimoniare Cristo nella società.

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    Mons. Fisichella presenta l'Anno della Fede: si ritrovi freschezza e slancio evangelico

    ◊   “La celebrazione di apertura dell’Anno della Fede sarà fortemente impregnata di segni che evocano il Concilio Vaticano II”. Così mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ha illustrato stamani in Sala Stampa Vaticana la celebrazione di dopodomani mattina in Piazza San Pietro, che sarà presieduta da Benedetto XVI. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Una celebrazione nella quale si ritroverà la “grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel 20.mo secolo”. Nella definizione del Concilio Vaticano II, coniata da Benedetto XVI nella Lettera Apostolica Porta Fidei, è espresso l’importante momento che la Chiesa universale si appresta a vivere. La messa di giovedì, nello stesso giorno del 50.mo anniversario dell’apertura del Concilio, sancirà l’inizio dell’Anno della Fede, “occasione propizia – ha detto mons. Rino Fisichella – per ravvivare la fede dei credenti e animarli di uno spirito di evangelizzazione sempre più convinto”:

    "Esso permane anche come un Anno dedicato allo studio e all’approfondimento dell’insegnamento conciliare, perché abbia ad essere di sostegno nella formazione dei credenti – in particolare con la catechesi - nella vita sacramentale della comunità cristiana e nella testimonianza di vita che ognuno è chiamato a perseguire, perché la credibilità della fede non sia offuscata da nulla, ma ritrovi la sua freschezza e la sua forza evangelizzatrice con un linguaggio sempre più coerente ed efficace".

    La Chiesa si appresta dunque a ricordare il cinquantesimo del Concilio, ma anche a celebrarlo attraverso segni che chiaramente richiamano il Vaticano II. Saranno infatti letti brani delle quattro Costituzioni conciliari e sarà ripetuta la lunga processione del 12 ottobre 1962:

    "Vi parteciperanno tutti i Padri sinodali che in questi giorni partecipano ai lavori sulla nuova evangelizzazione, tutti i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo e 14 Padri conciliari che, nonostante l’età, sono riusciti a venire a Roma. Erano stati invitati 70 Padri conciliari che ancora sono vivi, ma l’età avanzata o i problemi di salute hanno impedito di essere tra noi".

    Altro momento di richiamo alla celebrazione conciliare sarà l’utilizzo dello stesso leggio e della stessa Sacra Scrittura usata 50 anni fa: allora, nelle sedute solenni nella Basilica di San Pietro, il Vangelo veniva posto al centro dell’assise “per ricordare a tutti di essere a servizio della Parola di Dio” che permane come il nucleo dell’azione della Chiesa. Infine, come Paolo VI consegnò al termine del Vaticano II dei messaggi al Popolo di Dio, Benedetto XVI farà lo stesso a conclusione della celebrazione eucaristica.

    I messaggi saranno dati ai governanti, agli uomini di scienza e pensiero come Fabiola Giannotti, fisico di ricerca del Cern, responsabile dell’esperimento "Atlas", ovvero la prima osservazione di una particella compatibile con il "bosone di Higgs". Agli artisti come il compositore scozzese James MacMillan, allo scultore Arnaldo Pomodoro e al regista Ermanno Olmi. Alle donne, come per esempio l’atleta paralimpica Annalisa Minetti, o Jocelyne Khoueiry la fondatrice di un movimento di donne libanesi che hanno a cuore l’educazione dei giovani. I messaggi ai lavoratori saranno consegnati a Luis Alberto Urzúa Iribarren, uno degli operai cileni rimasti intrappolati per più di due mesi nella miniera di San José, ma anche a Renato Caputol e Flor Ventura con i loro quattro figli, lavoratori immigrati in Italia dalle Filippine 23 anni fa. Una crocerossina e membri dell’Unitalsi riceveranno il messaggio del Papa per i poveri, gli ammalati e i sofferenti. Benedetto XVI consegnerà il testo anche a Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente nazionale dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada, mamma di Valeria, morta in un incidente stradale a 17 anni. Infine, i messaggi saranno consegnati ai giovani e ai catechisti, nel ventesimo anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica.

    Personalità conosciute e non – ha sottolineato l’arcivescovo Fisichella – ma questa è la Chiesa:

    "Passano gli anni, ma la forza del Vaticano II permane con la sua carica di desiderio perché al mondo intero possa giungere il Vangelo di Cristo. Lo facciamo con l’intento di offrire ai cristiani un motivo ulteriore per sentirsi parte di una Chiesa che non conosce confini e che ogni giorno rinnova la sua fede nel Signore con un impegno di vita paradossale per lo stile che siamo chiamati ad assumere".

    Rispondendo ad alcune domande dei giornalisti, mons. Rino Fisichella ha anche ricordato che l’Anno della Fede è stato pensato come un anno particolare, di fronte alla "crisi gravissima della fede" ma che il suo cammino è iniziato già molto tempo fa:

    "La Nuova Evangelizzazione è uno dei frutti del Concilio Vaticano II. Ho parlato intenzionalmente di questo, perché il Vaticano II voleva parlare di Dio all’uomo di oggi. Questa era la cosa più importante. Quindi, in questo parlare di Dio, già si metteva in atto un progetto pastorale per la vita della Chiesa. Adesso c’è bisogno che questo progetto sia maggiormente unitario. Il dicastero che il Papa ha voluto è nient’altro che lo strumento perché nella Chiesa possa esprimersi concretamente, anche dopo il Sinodo, un progetto pastorale di Nuova Evangelizzazione che mostri l’unità più che le singole esperienze particolari".

    Una maniera nuova quindi di vivere “la vita ordinaria della Chiesa in modo straordinario”, ma attenzione agli errori del passato:

    "Penso che in alcuni momenti ci siano delle sovrastrutture che possono soffocare l’azione evangelizzatrice della Chiesa. E quindi, ritengo che in alcuni momenti, abbiamo burocratizzato troppo la vita ecclesiale e anche gli stessi Sacramenti, la vita sacramentale. Da questo punto di vista, abbiamo bisogno di ritornare a essere delle comunità che annunciano l’incontro vivo con il Signore, e che siano anche capaci di esprimere la gioia di questo incontro. Se rimaniamo rinchiusi in noi stessi, autosufficienti di ciò che siamo, la nuova evangelizzazione non può partire. Così, si soffoca il movimento della Nuova Evangelizzazione".

    Al termine della conferenza stampa, il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha annunciato che a partire da domani, all’udienza generale del Papa, ci sarà anche uno speaker arabo che riassumerà i contenuti principali della catechesi di Benedetto XVI e tradurrà i suoi saluti. “Una scelta – ha concluso padre Lombardi – in continuità con il viaggio dello scorso settembre in Libano”.

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    Rinuncia episcopale in Cile

    ◊   In Cile, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Iquique, presentata da mons. Marco Antonio Órdenes Fernández, in conformità al canone 401 - paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico.

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    Possessi cardinalizi

    ◊   L’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice dà comunicazione delle Prese di Possesso che avranno luogo nei prossimi giorni:

    Domenica 14 ottobre 2012, alle ore 11.30, l’Em.mo Cardinale Timothy Michael Dolan, Arcivescovo di New York, prenderà possesso del Titolo di Nostra Signore di Guadalupe a Monte Mario, Piazza Nostra Signora di Guadalupe, 12.

    Martedì 23 ottobre, alle ore 18.00, l’Em.mo Cardinale Thomas Christopher Collins, Arcivescovo di Toronto, prenderà possesso del Titolo di San Patrizio, Via Boncompagni, 31.

    Giovedì 25 ottobre 2012, alle ore 17.00, l’Em.mo Cardinale Edwin Frederick O’Brien, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, prenderà possesso della Diaconia di San Sebastiano al Palatino, Via di San Bonaventura, 1.

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    Le anticipazioni sul terzo libro del Papa dedicato a Gesù di Nazareth

    ◊   E’ vero ciò che è stato detto? Riguarda proprio me? E se mi riguarda in che modo?: sono le domande con le quali Benedetto XVI invita il lettore a leggere il suo nuovo libro “L’infanzia di Gesù”, terzo volume della Trilogia su Gesù di Nazareth, un’analisi dei testi dei Vangeli che in Italia uscirà prima di Natale, in coedizione con la Libreria Editrice Vaticana. L’editore, Rizzoli, ne dà dei brevi cenni in occasione della presentazione del libro del Papa alla Buchmesse di Francoforte, mentre sono in corso le trattative con editori di 32 Paesi per le traduzioni dall’originale tedesco in 20 lingue. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Una “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù. Così il Papa definisce nella premessa il suo libro. Benedetto XVI spiega di aver voluto interpretare ciò che Matteo e Luca raccontano sull’infanzia di Gesù all’inizio dei loro Vangeli. Un’interpretazione che parte da due domande: la prima sul significato del messaggio dei due autori nel loro momento storico, la componente storica dell’esegesi. Poi, precisa il Papa, la seconda domanda, del “giusto esegeta”: “E’ vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda in che modo lo fa?”. Di fronte al testo biblico, il cui ultimo e profondo autore è Dio stesso, spiega Benedetto XVI, la domanda sul rapporto del passato con il presente fa parte della nostra interpretazione. Nelle pagine fornite in anteprima, il Papa scrive che “Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione”, “non è nato e comparso in pubblico nell'imprecisato 'una volta' del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda”.

    Successivamente, si legge che “Maria avvolse il bimbo in fasce”: questa immagine, afferma Benedetto XVI, è “un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato”. Il Papa, partendo poi dall’interpretazione di Sant’Agostino della mangiatoia, scrive che essa “è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento”, ma è laddove giace “Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo, il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana”. Ecco allora che “la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.

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    Nobel Medicina. Mons. Sánchez Sorondo: rafforzata etica nella ricerca sempre difesa dalla Chiesa

    ◊   Riprogrammare le cellule del corpo umano fino a uno stato “pluripotente”, rendendole quindi adatte a rigenerare tessuti malati. È la geniale scoperta che è valsa ieri al britannico John Gurdon e al collega giapponese Shinya Yamanaka il Premio Nobel per la medicina 2012. Ad accogliere con particolare soddisfazione la notizia del Premio è certamente la Chiesa, che da molto tempo difende la ricerca sulle cellule umane adulte in opposizione all’altra che utilizza cellule di embrioni umani, che vengono così distrutti. Al microfono di Alessandro De Carolis, il commento di mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze:

    R. – Questa ricerca è un cambio sostanziale ed è giusto premiarla. L’Accademia ha capito questo e ha organizzato poco tempo fa un meeting sulle cellule staminali cosiddette “indotte”. Qual è la questione? Ogni cellula, questa è la grande novità, si può riprogrammare attivando certi geni che ci sono nella cellula, oppure inducendo nella cellula stessa certi geni: la cellula viene riprogrammata e si converte in una cellula pluripotente, e questo vale per qualsiasi cellula, anche quelle che non sono staminali. Questo è un nuovo dono della scienza, che serve per ogni tessuto. Già si stanno ottenendo risultati per il tessuto della pelle, per il tessuto osseo, anche per il tessuto del cuore. E’ più complicato, ma ci sono anche possibilità per il tessuto nervoso. Loro chiamano questo un salto nella "medicina rigenerativa". Si pensa che in un futuro, quando si potrà capire meglio come si sviluppano queste cellule, qualsiasi tessuto si potrà rigenerare: si potrà rigenerare un tessuto a partire dalle stesse cellule della persona e dunque non vi sarà un problema di rigetto. E’ interessantissimo che senza toccare gli embrioni si possa ottenere una cellula diversa da qualsiasi cellula dell’organismo.

    D. – Lei crede che questo Nobel cambierà i rapporti di forza dal punto di vista della sperimentazione scientifica rispetto al passato?

    R. – Credo che sarà una cosa molto importante, perché si potrà lavorare senza alcun tipo di richiamo etico. Speriamo che sia così. Gli scienziati sono molto interessati a studiare il confronto tra l’evoluzione delle cellule staminali e l’evoluzione delle cellule pluripotenti. Evidentemente, per quelli che sono coscienti dell’etica naturale e dell’etica cristiana qui si può lavorare con cellule e si possono trovare medicine a partire da queste novità che non vanno contro la dottrina naturale naturale né contro la Dottrina della Chiesa.

    D. - Lei prima ha parlato di medicina del futuro di medicina rigenerativa, quindi possiamo dire che lei è ottimista nei confronti di questo futuro?

    R. – Io sono molto ottimista, perché sembra sia un dono della Provvidenza che fa capire anche alla gente qual è la strada da seguire. Effettivamente, nell’incontro che abbiamo avuto specialmente con Giovani Paolo II ma anche con Benedetto XVI, entrambi erano molto inclini ad appoggiare le ricerche sulle cellule staminali adulte. Adesso questo nuovo campo, insieme a quell’altro, apre formidabili potenzialità di sviluppo. Possiamo dire che l’intuizione del Magistero della Chiesa che ha fatto per una parte da “luce rossa” ha aiutato a trovare la “luce verde” per l’altra parte.

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    Mons. Tomasi: la crisi non riduca l'impegno in favore dei profughi dovuti alle guerre

    ◊   L’inutilità della violenza come metodo di soluzione delle controversie internazionali, violenza che anzi provoca unicamente sofferenze e drammatici disagi nelle popolazioni civili. Questo il tema affrontato dall'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, intervenuto nei giorni scorsi alla 63.ma sessione del Comitato esecutivo dell’Alto Commissariato per i Rifugiati. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    L'aumento dei conflitti nel mondo ha prodotto nuove ondate di profughi e sfollati. Si tratta di centinaia di migliaia di persone - ha detto mons. Tomasi - soprattutto donne e bambini, che stanno pagando lo scotto di decisioni politiche che non tengono conto del loro impatto umano. Famiglie intere, spesso smembrate, sradicate a forza dalle proprie radici, vagano allo sbando, in cerca di accoglienza, in realtà pericolose dove sono a rischio non solo le prerogative fondamentali della persona, ma la vita stessa. I minori sono coloro che soffrono maggiormente per questa emergenza. Mancano loro le condizioni primarie per uno sviluppo idoneo e per ricevere la necessaria educazione. Un panorama tragico, che a ogni conflitto si ripete puntualmente, ma di fronte al quale la comunità internazionale non riesce ad intervenire, rimanendo sempre più spiazzata.

    La delegazione della Santa Sede - ha affermato ancora il presule - esprime gratitudine a tutti quei Paesi che hanno accolto nel proprio territorio migliaia di rifugiati in fuga dagli Stati limitrofi, invitando tutti i Paesi a contribuire nel condividere l'onere del mantenimento di profughi e rifugiati. Occorre un impegno continuo - ha poi sottolineato - che, a causa della perdurante crisi economica, diventa sempre più arduo. A tutto questo si aggiungono i danni causati dalle calamità naturali, come la siccità, che impediscono alle popolazioni in fuga, a causa della mancanza di cibo e acqua, di interrompere il proprio peregrinare in cerca di condizioni di vita sostenibili. Su tutta la comunità internazionale grava un’evidente responsabilità morale. Perdono, dialogo, riconciliazione, solidarietà - ha detto ancora mons. Tomasi - sono le parole d’ordine per interrompere questo circolo vizioso. L’obiettivo è quello di garantire a ogni individuo, anche attraverso forme più creative di solidarietà e protezione, la sopravvivenza di tutti coloro che si trovano in condizioni di precarietà e sofferenza a causa di scontri armati.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il Sinodo prega per la Siria: l'appello durante i lavori della terza congregazione generale. Nelle pagine interne, i testi degli interventi.

    Nell'informazione internazionale, in rilievo l'economia: l'Fmi rivede al ribasso le stime sulla crescita.

    Quattro segni per evocare il concilio: l’arcivescovo Rino Fisichella presenta alla stampa la celebrazione di apertura dell’Anno della fede.

    Concrete forme di solidarietà a difesa dei rifugiati: intervento dell'arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite e delle Istituzioni Specializzate a Ginevra.

    In cultura, anteprima del terzo volume di Benedetto XVI su Gesù, che sarà presentato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte.

    Il Vaticano II in mostra: Marco Roncalli, presidente della Fondazione Papa Giovanni XXIII su una mostra di manoscritti inediti nel Palazzo della Provincia di Bergamo.

    Nell'informazione religiosa, ebrei e musulmani uniti contro l'islam radicale: il presidente francese Hollande chiede una comune mobilitazione di fronte alla minaccia terroristica.

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    Oggi in Primo Piano



    Bce, Fmi e Banca Mondiale lanciano l’allarme crescita

    ◊   “La crescita dell'economia mondiale si è indebolita e i rischi di un deterioramento restano alti, soprattutto nell'Eurozona”. A dirlo è il Fondo Monetario Internazionale in previsione delle assemblee annuali dell’organismo e della Banca Mondiale, a Tokyo. Dati confermati anche dalle dichiarazioni del presidente della Bce, Mario Draghi, all’Europarlamento, secondo il quale ''ci aspettiamo nel breve termine una debole attività economica e la ripresa in seguito sarà molto rallentata''. Eppure, i segnali che arrivano dai singoli governi dell’Eurozona sono di tutt’altro genere. Nelle scorse settimane, più volte si è parlato di una crisi alle battute finali. Da cosa deriva questa discordanza di vedute? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista Carlo Altomonte:

    R. – In realtà, non ci sorprendono questi dati. Siamo tutti d’accordo che il 2012, e poi il 2013, ha visto non solo un rallentamento dell’eurozona, ma anche in prospettiva un rallentamento dell’economia americana, con l’aggiustamento fiscale che gli Stati Uniti dovranno affrontare, e anche dell’economia cinese, in quanto sta passando da un’economia di investimenti a un modello basato sui consumi interni: cambiamento che influirà in maniera negativa sui tassi di crescita. Combinando questi tre elementi, il quadro per la crescita mondiale è sicuramente negativo. Tuttavia, questo non vuol dire che ci saranno gravi problemi da un punto di vista finanziario, perché sappiamo che le banche centrali stanno dietro la crisi e quindi stanno aiutando molto la risoluzione della crisi.

    D. – Questi dati quindi disegnano un quadro generale, ma senza lanciare allarmi preoccupanti…

    R. – Fondamentalmente, da un mese sui mercati finanziari si dice: la crescita sarà negativa, ma le banche centrali stanno dietro all’economia, stanno sostenendo l’economia e quindi va bene così. E’ un po’ strano da sentire, ma diciamo che, in qualche misura, è la certificazione da parte delle agenzie internazionali di un qualcosa che i mercati hanno già da tempo metabolizzato.

    D. – Anche perché bisogna dire che dietro le banche centrali comunque ci sono gli Stati…

    R. – Sì, ci sono gli Stati ed evidentemente c’è la volontà dei governi - a livello globale, parlo – di evitare di cadere di nuovo in trappole perverse, di spirali negative, di crescita negativa, di debito che aumenta e di ulteriore austerità...

    D. – Il nuovo Fondo Salva-Stati permanente, varato a Lussemburgo, può di fatto variare queste previsioni negative? Può cioè influire in qualche modo?

    R. – Il Fondo Salva-Stati è un pezzo della strategia concertata a livello della Bce. Nel momento in cui Draghi ha deciso di intervenire, lo ha fatto nel quadro del Fondo Salva-Stati e per cui, diciamo, è già stato incamerato nelle aspettative dei mercati.

    D. – Si è parlato tanto della crisi della Grecia, della crisi della Spagna, però probabilmente la situazione più critica è quella della Francia. Le misure messe in campo da Hollande sono sufficienti?

    R. – No, perché non tagliano la spesa. Rischiano, quindi, di finire nella spirale “maggiori tasse, minore crescita, maggior debito” e che noi, purtroppo, abbiamo già visto.

    D. – E’ un po’ quello che è successo anche in Grecia?

    R. – Sì, in una certa misura sì. Anche se la Grecia ha un serio problema di raccolta fiscale: i greci non pagano le tasse e continuano a non pagare le tasse.

    D. – Per quanto riguarda l’Italia, invece, la politica di rigore messa a punto da Monti sortirà qualche effetto positivo o la crisi continuerà a deprimere l’economia del Belpaese?

    R. – Noi dobbiamo metterci l’anima in pace: abbiamo cinque anni di marcia nel deserto... Dobbiamo rifondare il funzionamento della macchina statale, attraverso tagli della spesa pubblica. Solo attraverso questa cosa possiamo diminuire la pressione fiscale.

    D. – In una visione più globale della crisi, pesa più l’Europa - che pur tra mille difficoltà sta comunque agendo - o gli Stati Uniti che invece hanno assunto un ruolo attendista, forse in attesa proprio delle presidenziali di novembre?

    R. – L’Europa è la prima che ha iniziato ad affrontare i suoi problemi strutturali nel contesto post-crisi e quindi è la prima che ha iniziato a soffrire, però sarà la prima ad uscirne fuori. Gli Stati Uniti devono ancora iniziare il loro processo di aggiustamento alla crisi.

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    Libia ancora nel caos. Scontri al sud, il governo torna al premier ad internim Al-Kib

    ◊   Non si stabilizza la situazione in Libia. Il Paese torna al premier ad interim, Abdulrahim al-Kib, dopo le dimissioni di Mustafa Abushagur e l’ennesima bocciatura del suo Esecutivo. In questo scenario, l'Assemblea nazionale libica, ovvero il parlamento, ha approvato ieri un meccanismo per la designazione del nuovo premier che si basa sul consenso tra gruppi parlamentari, scartando il sistema del voto in aula. In sostanza, ora saranno scelti uno o più candidati per la premiership attraverso le consultazioni tra i blocchi politici e parlamentari, ma modalità e tempi per eleggere il nuovo capo dell'esecutivo in base la nuovo meccanismo sono - secondo fonti locali - ancora in discussione. Intanto, sul terreno continuano le tensioni e gli scontri nel sud della Libia. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La Libia fatica a trovare un’identità dopo la caduta di Gheddafi. Per la seconda volta in pochi giorni, è stata respinta la lista dei ministri presentata dal premier designato, Mustafa Abushagur, anche esso dimessosi. Ora, il governo del Paese è affidato al premier ad interim, Abdulrahim al-Kib, che svolgerà le sue funzioni fino alla formazione del nuovo esecutivo. Intanto, si profila un accordo tra l'Alleanza liberale e i Fratelli musulmani. E proprio questa intesa sarebbe all'origine della doppia bocciatura della lista dei ministri proposta da Bushagur, che non avrebbe tenuto nel giusto conto le due formazioni politiche più forti, uscite dalle elezioni libiche dopo quaranta anni di dittatura.

    Sullo sfondo, ma neanche tanto, rimane la questione dell’attacco, a settembre, alla sede diplomatica Usa di Bengasi in cui hanno perso la vita l'ambasciatore Chris Stevens e altri tre americani. L’ex premier Abushagur ha parlato di un possibile "intervento militare straniero" che porterebbe la Libia “nel baratro”. Washington avrebbe approntato, infatti, una "lista di obiettivi", tra cui individui collegati all'assalto di Bengasi, da colpire con i droni o blitz a terra delle forze speciali, dopo il via libera, però, del presidente, Barack Obama. Intanto, le accuse nei confronti dei due tunisini arrestati in Turchia, sospettati di essere coinvolti nell’attacco, sarebbero "inconsistenti", tanto che sarebbero stati già rimpatriati.

    Rimane complessa la situazione nel sud del Paese, dove la pace è ancora lontana, anche per la mancanza di un vero esercito nazionale. Qui, si resgistra ancora il forte attivismo degli ex fedelissimi di Gheddafi, di mercenari e jihadisti che continuano nel traffico di armi e droga.

    Difficile la situazione anche a Bani Walid, dove proseguono gli scontri con morti e feriti: i rivoluzionari vogliono vendicare la morte di Omran Shaban, il giovane che aveva individuato Gheddafi a Sirte, morto in Francia in seguito alle torture subite proprio a Bani Walid, dove era stato sequestrato a luglio.

    Sulla situazione in Libia abbiamo raccolto l'analisi del prof. Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università della Calabria:

    R. - La rivoluzione che ha portato alla caduta del vecchio regime - come in altri Paesi arabi confinanti - ha creato delle situazioni molto fluide. Una delle specificità della Libia rispetto ai Paesi vicini è che i partiti islamici non hanno avuto quel successo che invece hanno registrato in Egitto e in Tunisia. La logica tribale, quella interna dei rapporti anche sociali e culturali che ci sono in Libia, impedisce un’affermazione forte delle tendenze rigoriste, dell’islam ideologizzato. Per di più, in Libia c’è un’altra cosa che non è stata molto rilevata dai mezzi d’informazione: i movimenti più radicali hanno cominciato ad attuare una politica piuttosto aggressiva verso la devozione popolare, che però costituisce uno degli elementi essenziali della cultura musulmana. Questa situazione ha creato fortissime reazioni in Libia e a testimonianza di ciò c'è il fatto che gruppi di libici si sono sollevati contro Ansar al-Islam e tutti i movimenti più violenti: li hanno addirittura scacciati dopo i fatti dell’11 settembre scorso, quando le violenze avevano portato anche alla morte dell’ambasciatore americano a Bengasi. Insomma, in Libia c’è un clima molto diverso nei confronti del fondamentalismo. Quindi, anche un accordo politico tra un governo che dovrebbe essere ancora di transizione, ma già più stabile del precedente, con la componente dei Fratelli Musulmani, non viene visto di buon occhio.

    D. - Secondo lei, sull’instabilità politica incidono anche gli scontri che rimangono nel sud del Paese, dove ci sono i fedelissimi di Gheddafi, Jihadisti…

    R. - Si tratta di ultime resistenze in cui entrano anche tanti altri elementi: non c’è più solo la politica nazionale, ci sono anche gli incroci, le appartenenze di questi miliziani che provenivano talvolta da altri Paesi… Insomma, è inevitabile che dopo eventi così traumatici come quello della rivoluzione libica, possano rimanere dei residui di turbolenze. Però, non vedrei in questo una causa dell’instabilità politic. Questa, secondo me, dipende dal fatto che non si riesce a trovare un momento di intesa per la costruzione di una nuova identità nazionale.

    D. - Cosa serve per creare questa coesione, questa identità?

    R. - In Libia, per anni sotto il regime di Gheddafi si riusciva a tenere insieme - più o meno con la forza - identità fondamentalmente piuttosto diverse. Con la caduta di Gheddafi, queste identità reclamano nuovamente una partecipazione maggiore. Non credo si possa arrivare a una transizione più o meno comunemente accettata, se non si tiene conto delle molteplici realtà che la Libia ha mantenuto nel tempo e che in qualche modo devono essere soddisfatte.

    D. - C’è una situazione in evoluzione…

    R. - La situazione è sicuramente in evoluzione in Libia come altrove. Purtroppo, però, esistono - in Libia forse più che altrove - dei condizionamenti di carattere internazionale: ci sono degli interessi esterni che potrebbero indirizzare e condizionare anche pesantemente questo futuro, che è ancora tutto da costruire.

    D. - E questo è il rischio…

    R. - È un rischio, perché le transizioni democratiche di questi Paesi non si possono fare da un giorno all’altro. Non possono essere importate meccanicamente. Tanti sono gli interessi in gioco, interni ed internazionali. Queste costruzioni avvengono talvolta in maniera forzosa, artificiosa, e il rischio è che ciò che in un primo momento possa sembrare una soluzione, si riveli poi una via effimera con reazioni che non è possibile prevedere.

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    Pyongyang annuncia missili in grado di colpire gli Usa. L'esperto: è propaganda

    ◊   La Corea del Nord fa sapere di avere in arsenale missili strategici capaci di colpire non solo le forze Usa in Corea del Sud, ma anche il Giappone, Guam e il territorio stesso degli Stati Uniti. L’annuncio arriva poco dopo l’accordo tra Washington e Seul per ampliare la gittata dei missili in dotazione a Seul. Secondo gli esperti, la Corea del Nord sta sviluppando un programma capace di lanciare missili intercontinentali fino a circa 7.000 km, ma due test effettuati, soprattutto quello dello scorso aprile, non hanno sortito gli effetti desiderati. Sui motivi della dichiarazione di Pyongyang, Fausta Speranza ha intervistato Marco Lombardi, docente di Politiche della Sicurezza all’Università Cattolica di Milano:

    R. - Sicuramente, c’è una buona dose di propaganda. La storia recente della Corea del Nord è sempre stata di difficile interpretazione, perché è difficile distinguere tra realtà e mito, ma statisticamente c’è più mito che realtà. Le condizioni economiche in cui si trova, le difficoltà tecniche - non sottovalutiamolo - che ci sono per allestire i missili annunciati non sembrano essere alla loro portata. Quindi, non ci crederei molto.

    D. - A che cosa può servire allora questa strategia di annunci che non è neanche nuova?

    R. - Non è nuova ma va in continuità e serve anche a riaffermare una leadership, che è cambiata non da tanto tempo: il giovane Kim Jong Un, in carica soltanto da circa un anno, ha ancora bisogno di affermarsi soprattutto sul mercato internazionale del terrore che fa parte della tradizione nordcoreana, per cui lo leggerei più in quell’ambito.

    R. – E’ un annuncio pensato sul piano internazionale, più che a scopo interno?

    D. - Credo che il piazzamento sia necessario anche a livello internazionale. In realtà, non sta smentendo nulla rispetto alle tendenze precedenti in questo senso. Quindi, è come dire: “Guardate che non è cambiato niente. Noi abbiamo ancora i nostri obiettivi e le nostre strategie”.

    D. - Ma cosa può determinare un fattore di cambiamento in quest’area dell’Estremo Oriente?

    R. - Questo è un altro tipo discorso. Tutta quella zona è un’area di enorme interesse e di una certa criticità. Le tensioni si stanno sommando e sicuramente una di queste proviene dalla Corea del Nord, ma non solo. Le relazioni sino-giapponesi, classicamente mai serene, sono ancora meno che belle. Le relazioni con la Corea del Sud e con gli altri Paesi non sono perfettamente equilibrate… Quindi, è un’area che si sta sicuramente arricchendo di molte tensioni. Se pur nella continuità e nella tradizione la posizione nordcoreana, questo non giova.

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    Rapporto Fao-Ifad-Pam: meno affamati in Asia, in aumento in Africa. Troppi sprechi alimentari

    ◊   Calano gli affamati nel mondo, secondo il Rapporto 2012 sullo stato dell’insicurezza alimentare, presentato stamane a Roma, elaborato dalla Fao, (Organizzazione dell’Onu per l’Agricoltura e l’Alimentazione), insieme all’Ifad (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo) e al Pam (Programma Alimentare Mondiale). Servizio di Roberta Gisotti:

    870 milioni i malnutriti cronici nel 2012, 132 milioni in meno rispetto a 20 anni fa, dal 18,6 % della popolazione si è passati al 12,5. Un buon risultato che non cancella la sofferenza di quanti, una persona su 8, soffrono la fame. Tra questi massima parte 852 milioni vivono nei Paesi in via di sviluppo, gli altri 16 milioni nei Paesi sviluppati, dove sono però in aumento, rispetto ai 13 milioni del 2006. A patire maggiormente sono gli africani, dove gli affamati sono pure cresciuti da 175 milioni a 239 milioni, 20 milioni in più negli ultimi quattro anni, in coincidenza con la crisi economica globale. Migliora invece di molto la situazione in Asia, dove si registra un calo del 30%, da 739 milioni a 563 milioni. Passi avanti anche in America Latina da 65 milioni a 49 milioni, dal 14% al 8% sul totale della popolazione. Ma ci sono nel mondo ancora 2 milioni e mezzo di bimbi che muoiono di fame ogni anno e 100 milioni sotto i 5 anni sono sottopeso, compromettendo il loro sano sviluppo psicofisico. Tutto ciò è inaccettabile denunciano Fao, Ifad e Pam “in un mondo di opportunità tecnologiche ed economiche senza precedenti”, appellandosi per garantire a tutti il diritto fondamentale al cibo. L’obiettivo del Millennio di dimezzare il numero di affamati entro il 2015 è ancora possibile!

    Un altro rapporto è stato presentato oggi da Save the children sugli sprechi alimentari. Federico Piana ha intervistato Filippo Ungaro, direttore della comunicazione dell’organizzazione umanitaria in Italia:

    R. - E’ un rapporto sul paradosso sostanzialmente della scarsità nell’abbondanza: parliamo, appunto, degli sprechi alimentari. Ci sono 200 milioni circa di bambini sotto i cinque anni nel mondo che soffrono di malnutrizione e la malnutrizione causa un terzo del totale delle morti infantili. La cosa grave – e noi la abbiamo voluta mettere in luce – e inaccettabile è che il cibo in realtà c’è e si produce abbastanza per tutti, ma un terzo della produzione mondiale di cibo viene assolutamente sprecata!

    D. – Si muore di sprechi, possiamo dire cosi?

    R. – Assolutamente si! Faccio un piccolo paragone: in Italia si sprecano 17 milioni di tonnellate di cibo, pari ad 11 miliardi di euro e questo equivale allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo.

    D. – Come si può evitare, secondo voi, questo spreco?

    R. – Nei Paesi in via di sviluppo gli sprechi sono concentrati nel momento della raccolta e sono dovuti ad emergenze, crisi e catastrofi naturali, che provocano poi crisi alimentari e ovviamente a tecniche di raccolta o di semina. Nei Paesi sviluppati si concentrano, invece, sul consumo. Nei Paesi industrializzati si consumano circa 100 chili di cibo all’anno per persona; nei Paesi in via di sviluppo sono circa 10 chili all’anno a persona e quindi un decimo di quanto sprechiamo noi procapite.

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    Istat-Caritas: oltre 47 mila i senza dimora in Italia, urgono azioni concrete

    ◊   In Italia, sono oltre 47 mila le persone senza dimora, che vivono in povertà estrema e che - tra novembre-dicembre 2011 - hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o di accoglienza notturna in 158 Comuni. Lo rileva il report “Le persone senza dimora”, presentato oggi a Roma dall'Istat, in collaborazione con la Caritas, il Ministero del lavoro e la Federazione italiana degli Organismi per le persone senza fissa dimora. Il profilo socio-demografico che ne emerge è dettagliato e fornisce alla politica dati ineludibili per politiche mirate. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Gli homeless – così si chiamano i poveri senza casa - sono lo 0,2 per cento della popolazione residente: la maggioranza sono uomini, stranieri – rumeni in primis - con meno di 45 anni e, nei due terzi, con licenza media inferiore. Per lo più, sono persone che vivono sole, nel Nord Italia: la stima più elevata a Milano, seguita da Roma e Palermo. Oltre un quarto lavora saltuariamente. Ma c’è una grande segmentazione, almeno così la definisce Linda Laura Sabbadini dell’Istat:

    “Gli italiani, per esempio, vivono più a lungo la condizione di homeless e gli stranieri di meno. Gli italiani hanno una età più avanzata mentre gli stranieri sono molto giovani. Gli stranieri, nella maggioranza dei casi, sono arrivati in Italia ed erano già homeless, nel caso degli italiani si sono spostati di comune, si sono spostati addirittura di provincia e quindi non hanno più alcun legame con la propria comunità. Questo elemento della permanenza nello stato di senza dimora è molto grave, perché abbiamo 2,5 anni di durata media: in particolare per gli italiani, la situazione si cronicizza. Quindi, o si fanno delle politiche adeguate, oppure difficilmente soltanto il volontario potrà ò essere in grado di risolvere la situazione”.

    La perdita di un lavoro - nel 61,9% dei casi, a causa del fallimento o del licenziamento - e la separazione da coniuge e/o figli – nel 59,5% dei casi - sono gli eventi più critici, e spesso sommati tra loro, nel percorso di progressiva auto-emarginazione, sostituiti nel 53% dei casi dal sostegno di amici o associazioni e dal ricorso delle persone senza dimora a mense e dormitori in 9 casi su 10. Dunque, il fenomeno ha un quadro variegato, diverse concause, si può prevedere e soprattutto affrontare anche con esito positivo. I dati raccolti ribaltano molti pregiudizi: i senza dimora non sono pochi, non sono barboni, non sono pigri o svogliati. Ciò che manca sono le opportunità di lavoro, non la capacità. Manca loro un'educazione adeguata, una socializzazione familiare equilibrata, diritti fondamentali e accesso ai servizi di base. La realtà è dunque un’altra, come spiega Paolo Pezzana, delle Federazione italiana Organismi per le persone senza dimora:

    “Io credo addirittura che lo stereotipo classico non esista. Chi si ritrova per strada, ci si ritrova per una molteplicità di condizioni e per una serie di storie, che sono le più diverse. E’ un rischio di cui occorre essere consapevoli, perché davvero può toccare tutti”.

    Conoscere i numeri, oggi, con questo Rapporto, significa rimuovere anche una serie di alibi a livello istituzionale e soprattutto permettere un adeguato contrasto al fenomeno. La Caritas chiede anzitutto attenzione alle persone, la Federazione si rivolge allo Stato per scelte precise. Ancora Paolo Pezzana:

    “Anzitutto, un reddito minimo contro la povertà assoluta e l’Italia è uno dei Paesi, dei pochissimi Paesi europei, a non averlo. Inoltre, le politiche per l’alloggio e anche un’attenzione diffusa a ogni singolo cittadino: non possiamo innalzare muri tra noi e loro, ma dobbiamo lavorare insieme per l’inclusione”.

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    "Salute senza barriere": al via il programma di integrazione sanitaria dei cittadini stranieri detenuti

    ◊   Promuovere l’integrazione sanitaria degli stranieri detenuti attraverso il pieno e consapevole accesso al servizio sanitario nazionale, anche durante il periodo di detenzione. Questo l’obiettivo del progetto “salute senza bandiere”, presentato ieri al carcere romano di Regina Coeli e frutto della collaborazione tra i Ministeri dell’Interno, della Salute e della Giustizia, insieme all’Istituto nazionale per la promozione dalla salute delle popolazioni migranti (Inmp) e al forum nazionale “salute in carcere”. C’era per noi Michele Raviart:

    Su oltre 66mila detenuti in Italia, quasi 24mila sono stranieri. Si tratta del 36% della popolazione carceraria totale, che proviene per la maggior parte da Marocco, Romania, Tunisia e Albania. Un numero ingente, in carceri che contengono un terzo di persone in più della capienza consentita. In questo contesto nasce quindi il progetto “salute senza barriere”, per promuovere il diritto alla salute dei cittadini stranieri detenuti in Italia. Un programma che riguarda principalmente la formazione del personale sanitario, degli operatori penitenziari e dei detenuti. Concetta Mirisola, direttore dell’Inmp:

    “Le linee sulle quali ci siamo orientati, per la formazione, sono quelle in cui c’è una problematica maggiore di salute: salute mentale, dermatologia, infettivologia, ma anche medicina delle migrazioni. Riuscire a parlare con pazienti che hanno altre culture e provengono da altri Paesi, è importante. E, di fatto, l’attività del nostro istituto vede al centro la presenza del mediatore culturale, che è proprio l’interfaccia tra medicina e aspetti di tipo sociale e culturale”.

    In carcere è maggiore il rischio di diffusione di malattie che sono sostanzialmente debellate tra la popolazione “libera”, come la tubercolosi, mentre il tasso di contagio dell’Hiv e dell’epatite C è tra le dieci e le venti volte superiore alla media. “Salute senza barriere” si pone anche l’obiettivo di monitorare a riforma della sanità penitenziaria del 2008, che prevede il trasferimento di competenze in materia dal Ministero della Giustizia a quello della Salute. Una riforma poco conosciuta dagli stessi operatori del servizio sanitario nazionale, come ci spiega il senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum nazionale “salute in carcere”

    “Non si conosce la riforma della salute in carcere. E’ evidente, quindi, che la prima criticità è farla conoscere agli operatori e ai direttori delle asl, i quali devono sapere che hanno tanti detenuti in più e che tante sono le persone che dovranno curare in più per le visite specialistiche, per i medicinali. Quindi, quantomeno dovranno fare una programmazione, sia economica che organizzativa. Far uscire persone sane dal carcere, significa fare uscire persone sane nella società.”

    Il progetto conta su un finanziamento di 300mila euro dal Fondo Europeo per l’integrazione dei Paesi Terzi, gestito dal Ministero degli Interni, e promuove anche la conoscenza e la consapevolezza del diritto alla salute dei detenuti. Ancora Concetta Mirisola:

    “Molto spesso i detenuti non sanno di potersi rivolgere ad una struttura del servizio sanitario nazionale. E’ importante saperlo. La prevenzione si basa sulla capacità di poter andare a trovare assistenza presso le strutture. Molti pazienti non hanno mai avuto un approccio con il servizio sanitario nazionale”.

    L’iniziativa durerà un anno e coinvolgerà nove carceri, scelti tra quelli in cui il numero dei detenuti stranieri è maggiore, come il carcere di Opera a Milano, dove i cittadini non italiani raggiungono il 60% del totale.

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    Inaugurato il primo Monastero cattolico della Georgia. Iintervista con mons. Pasotto

    ◊   In Georgia, su una collina della città di Akhaltsikhe, nel quartiere di Rabati, sabato scorso è stata consacrata la Chiesa intitolata alla Madonna del Rosario e inaugurato il Monastero di San Benedetto. E’ il primo Monastero cattolico del Paese dove sono state inviate 4 suore benedettine provenienti dal Monastero di Offida, nelle Marche. Un evento molto importante e sentito come ci conferma, al microfono di Debora Donnini, l’Amministratore Apostolico del Caucaso dei Latini, mons. Giuseppe Pasotto:

    R. - E’ stato il vertice di una grande attesa e di un grande lavoro, perché siamo una piccola Chiesa, quindi ogni iniziativa per noi è piena di sacrifici. È stata una delle cose che ha coinvolto di più la gente, perché da due anni abbiamo iniziato i lavori, in ogni comunità la prima domenica del mese si pregava alla Messa per questa intenzione e si raccoglievano le offerte per questa costruzione. Certamente piccole offerte, perché abbiamo potuto fare questa costruzione solamente con aiuti più consistenti che ci hanno inviato dalla Germania, da qualche diocesi, però è stata una cosa che ha coinvolto tutta la nostra Chiesa e la gente attendeva questo momento: sia perché Rabati è un luogo significativo per i cattolici - perché era una chiesa distrutta - sia perché attaccato ad essa abbiamo costruito anche un Monastero di clausura. Questo era un mio desiderio da tantissimo tempo: da 10 anni almeno avevo cominciato a cercare qualche Monastero che potesse mandare qualcuno per iniziare la vita monastica in Georgia. La vita monastica in Georgia la volevo sia per una diocesi, per la preghiera, sia perché con la Chiesa ortodossa la vita monacale è un segno anche di collegamento. Io spero che questo Monastero diventi un punto di incontro con altre monache.

    D. - E’ stato un momento toccante quello dell’inaugurazione? Ci può raccontare qualche particolare…

    R. - E’ stato molto bello perché c’erano un migliaio di persone, c’erano tanti preti, praticamente c’eravamo tutti: c’era il nunzio, poi l’inviato della Chiesa armeno-cattolica, l’inviato per la Chiesa siro caldea, l’inviato della Chiesa apostolica armena e c’erano anche due rappresentanti della Chiesa ortodossa - due sacerdoti che sono venuti per farci gli auguri - poi c’erano alcuni invitati, gente dall’Italia, benefattori, volontari che hanno lavorato durante questi due anni. Tra i momenti significativi: l’unzione dell’altare con il crisma - questa grande pietra vecchissima, con cui abbiamo fatto l’altare - la consegna delle chiavi. Poi, quando abbiamo portato la Regina del Rosario: l’abbiamo benedetta ed incoronata e messa al suo posto, perché diventa un Santuario, quindi un luogo per tutte le parrocchie, anche se diventa anche Chiesa parrocchiale per la città che non ha la chiesa.

    D. - La chiesa che avete ricostruito è intitolata alla Madonna del Rosario. Il Rosario in questo senso è in fondo un po’ il cuore…

    R. - Io sono contento, perché quella chiesa era già dedicata alla Regina del Rosario e noi l’abbiamo riconsacrata, perché era completamente distrutta. L’ho fatto volentieri anche perché quando io sono arrivato in Georgia - la prima esperienza che ho avuto con un viaggio con i giovani - sono stato colpito, perché di fronte ad ogni problema che ci trovavamo davanti, loro dicevano: “padre Giuseppe, noi preghiamo, lei vada avanti. Noi pregheremo con il Rosario”. Secondo me, la Chiesa cattolica in Georgia è stata salvata nel periodo comunista dal Rosario, perché non c’erano preti, però la gente recitava il Rosario, non sapeva come si faceva la Messa, avevano perso un po’ tutto… Quando sono arrivato siamo ripartiti da zero in tutte le cose, però il Rosario era conosciuto e pregato. Questa chiesa è dovuta anche come ringraziamento a Maria, perché la Chiesa cattolica attuale - secondo me - ha avuto questo aiuto da Lei per la preghiera del Rosario. Prima, c’erano diverse Chiese cattoliche nella città e sono tutte distrutte, quindi la comunità cattolica non aveva più nessun luogo come ritrovo, se non una casetta che abbiamo comprato, ma era molto povera.

    D. - La Georgia è un paese post-comunista. Qual è la situazione rispetto alla secolarizzazione? C’è ancora un forte senso religioso? Quanti sono i cattolici nel Paese?

    R. - C’è un senso religioso ancora molto forte, perché credo che questo popolo ce l’abbia dentro, nel sangue; ma anche se adesso c’è ancora tantissima gente che frequenta la Chiesa anzi sta crescendo, la secolarizzazione si sente. I cattolici nella Georgia sono circa 50 mila - quindi l’1,3-4% - sono una piccola parte, però hanno sempre fatto parte attiva della società georgiana durante i secoli passati e sono stimati ancora oggi. La nostra Chiesa è stimata per tanti motivi: per l’impegno culturale, anche per l’impegno sociale; gli interventi sociali della nostra Chiesa - adesso comincia anche lo Stato ad impegnarsi - prima erano visti come un esempio da seguire.

    D. - Ora ha preso il via il Sinodo per la Nuova Evangelizzazione. In questo senso qual è la situazione in Georgia? Si può annunciare il Vangelo? Un monastero di clausura che prega per l’evangelizzazione, è una realtà importante?

    R. - Io vorrei che quel luogo fosse un luogo di preghiera, proprio di incontro con Dio. La chiesa è bella, è antica, cioè è stata ristrutturata in modo antico e poi avere un monastero di clausura che prega, sarà un punto indicativo per tutti. Adesso dobbiamo prepararci anche noi a fare delle iniziative, per rendere più efficace la presenza della Chiesa, anche a livello di annuncio del Vangelo. Annunciamo il Vangelo attraverso la nostra Chiesa, che si mette a servizio della comunione e dell’incontro con tutte le altre Chiese.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Lettera dei vescovi cattolici di Terra Santa sull'Anno della Fede

    ◊   Con una Lettera pastorale, l'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici di Terra Santa offre il suo contributo all'itinerario che la Chiesa universale è chiamata a realizzare nell'Anno della fede. I Pastori delle Chiese cattoliche della regione, citando l'Esortazione post-sinodale di Benedetto XVI “Ecclesia in Medio Oriente”, ricordano a tutti che "L’esempio della prima comunità di Gerusalemme può servire da modello per rinnovare l’attuale comunità cristiana". L'Anno della fede – sottolinea in apertura la Lettera pastorale inviata all’agenzia Fides – assume una connotazione propria nella terra che “è stata la geografia di questa storia di fede”, da cui si è levata “la grande nube di testimoni della fede che popolano le Sacre Scritture” e dove a Pentecoste nacque la Chiesa stessa. “La Chiesa Madre di Gerusalemme, custode della fede degli Apostoli” scrivono i vescovi di Terra Santa “è la nostra Chiesa e continua a donare ancora modelli di fede fino ad oggi: la Beata Maryam Bawardi, la Beata Marie-Alphonsine, il Venerabile Samaan Sruji”. La Lettera non nasconde i travagli in cui le Chiese locali sono chiamate a vivere l'Anno della Fede. “La nostra terra” scrivono i vescovi ”continua ad essere lacerata dalla violenza, dall’ingiustizia, dall’occupazione e dall’insicurezza. Molti sono rinchiusi dietro muri e check points, altri languono nelle carceri, soffrono discriminazione, piangono i loro cari, anelano ai propri familiari ai quali non possono essere riuniti, vivono nella paura e nell’ansia”. Anche le rivolte che stanno scuotendo l'intera regione hanno tratti enigmatici: “Intorno a noi” riconoscono i vescovi “si sta come sgretolando un mondo conosciuto e dittatori potenti vengono destituiti. Il futuro appare incerto quando correnti sotterranee, in passato trattenute, si scatenano. Molti dei nostri fratelli e sorelle nella fede hanno scelto di emigrare lasciando le nostre comunità ancora più povere e fragili”. In uno scenario che “a volte appare minaccioso”, i vescovi mediorientali riconoscono che la fede stessa può essere tentata dalla disperazione. Eppure proprio i tempi difficili rendono ancora più evidente che la fede non è questione di sforzo, ma è un dono gratuito del Signore. “La fede che cerchiamo è una grazia, e così preghiamo che il nostro Signore risorto possa veramente aumentare la nostra fede e renderci Suoi testimoni gioiosi e pieni di speranza. Dobbiamo ricercare la grazia di Dio in mezzo a tutti questi eventi, anche dove c’è la morte, il sangue, l’emigrazione forzata e la persecuzione”. Solo con l'aiuto della grazia i cristiani del Medio Oriente potranno discernere quale sia il loro ruolo in questa tempesta che infuria intorno a loro. Per domandare il dono della fede, i vescovi suggeriscono di coltivare i gesti ordinari della vita cristiana: l'assiduità nell'avvicinarsi ai sacramenti, la partecipazione alla Messa e alle celebrazioni inter-rituali, l'attenzione al catechismo, la pratica del pellegrinaggio e la preghiera presso i Luoghi Santi. (R.P.)

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    Vescovi europei: Nobel per la medicina sulle staminali "importante pietra miliare"

    ◊   “Si tratta di una importante pietra miliare nel riconoscimento del ruolo chiave che le cellule staminali non-embrionali svolgono nello sviluppo di nuove terapie mediche, come alternativa alle cellule staminali embrionali umane”. Con queste parole di soddisfazione i vescovi europei accolgono l’annuncio dato ieri a Stoccolma del nome dei due vincitori del Premio Nobel 2012 per la Fisiologia e la Medicina - John B. Gurdon e Shinja Yamanaka - premiati per la scoperta delle cosiddette Ips (staminali pluripotenti indotte). I vescovi della Comece (Commissione degli episcopali della Commissione europea) in un comunicato affermano che “dal punto di vista scientifico, le cellule staminali embrionali umane sono state finora piuttosto deludenti, rispondendo sempre meno alle promesse cliniche” e fanno notare a questo proposito come “di recente la GeronCorp., compagnia leader mondiale nella ricerca sugli embrioni, ha annunciato che stava chiudendo il suo programma sulle cellule staminali”. “Al contrario - aggiungono i vescovi -, ci sono stati continui progressi scientifici nel settore della ricerca sulle cellule staminali alternative (adulte, derivate dal cordone ombelicale o pluripotenti indotte) che presentano migliori prospettive di applicazioni cliniche, o hanno già dimostrato risultati clinici diffusi (senza sollevare particolari problemi etici). Oggi - sottolinea la nota della Comece ripresa dall'agenzia Sir - il Premio Nobel riconosce questi sforzi per scoprire alternative alle cellule staminali embrionali umane in cellule specializzate mature che, una volta riprogrammate, diventano cellule immature capaci di svilupparsi in tutti i tessuti del corpo”. Nella nota i vescovi della Comece fanno anche notare come “la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane non può più essere brevettati in base alla recente sentenza della Corte di giustizia europea nel caso di Greenpeace contro Brüstle. La Corte definisce chiaramente l‘embrione umano come un ovulo umano appena fecondato, o come il prodotto della clonazione, e conferma che le invenzioni biotecnologiche che utilizzano cellule staminali embrionali umane non possono essere brevettate”. Nonostante però tutti questi nuovi sviluppi scientifici e le decisioni giuridiche, la Commissione europea ha deciso di lasciare aperta la possibilità di finanziare la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane nell‘ambito del programma di ricerca Horizon 2020, che è attualmente in discussione presso il Consiglio dell‘Unione europea e il Parlamento europeo. La Comece chiede pertanto alle istituzioni dell‘Unione europea di adottare una norma che stabilisce che non possono essere finanziate nell‘ambito di Horizon 2020 le ricerche che comportano la distruzione di embrioni umani o che utilizzano le cellule staminali embrionali”. (R.P.)


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    Nord Kivu: nessun risultato dal vertice dei Grandi Laghi

    ◊   Si è concluso senza comunicato ufficiale il vertice dei Paesi dei Grandi Laghi tenutosi ieri fino a tarda sera a Kampala, ma con dichiarazioni sparse rilasciate dai presidenti dell’Uganda, Yoweri Museveni, e del Rwanda, Paul Kagame. I rappresentanti della regione dei Grandi Laghi - riferisce l'agenzia Misna - hanno “preso atto con rammarico” dell’avanzata dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) che hanno conquistato nuove località nel territorio di Rutshuru, nella provincia del Nord-Kivu, e minacciano il capoluogo di Goma. I capi di Stato e di governo, riferisce l’emittente congolese ‘Radio Okapi’, hanno stabilito una scadenza di due settimane entro la quale l’apposito gruppo di esperti militari, costituito il mese scorso, dovrà “attuare tutte le procedure operative in vista del dispiegamento della Forza internazionale neutrale” lungo il confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda. Quattro dei Paesi partecipanti avrebbero dato la propria disponibilità a far conoscere “in tempi brevi la natura e il grado di contribuzione per materializzare la forza in questione”. Al presidente in esercizio della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi (Cirgl), il capo di Stato ugandese Yoweri Museveni, è stato chiesto di “contattare altri Paesi africani pronti a fornire un contributo” e di “proseguire il dialogo con le forze belligeranti”. Al termine del vertice di Kampala, il quarto organizzato in meno di tre mesi, Kigali ha pubblicato un comunicato a firma della presidenza ruandese nel quale sottolinea “i progressi compiuti nella cooperazione tra Stati membri” e l’ “impegno rinnovato a raggiungere una pace durevole basata su soluzioni proposte dalla stessa regione dei Grandi Laghi”, ma senza fare alcun riferimento alla forza internazionale. Da settimane il presidente congolese Joseph Kabila e il suo omologo ruandese Kagame si accusano reciprocamente di sostenere gruppi ribelli attivi nell’est del Congo ostili da una parte a Kinshasa e dall’altra a Kigali. Se il governo congolese auspica il coinvolgimento della locale missione Onu (Monusco) nella futura Forza neutrale, quello ruandese ha già espresso la sua “diffidenza” nei confronti dei caschi blu accusati di “essere parziali”. Rapporti diffusi negli ultimi mesi da fonti congolesi e dalle Nazioni Unite hanno denunciato il sostegno militare di Kigali al M23, movimento nato lo scorso aprile dalle ‘ceneri’ del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp, tutsi) – ex formazione ribelle di Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) – i cui miliziani erano stati integrati nell’esercito dopo gli accordi di pace firmati nel 2009 col governo congolese. Il Rwanda ha formalmente respinto le accuse e, a sua volta, ha puntato il dito contro Kinshasa per l’appoggio dato alle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), la ribellione hutu stabilita nell’est del Congo. La Società civile del Nord-Kivu si aspettava dai capi di Stato e di governo dei Grandi Laghi “maggiore attenzione al quadro umanitario in costante peggioramento”. Il conflitto riaccesosi sei mesi fa, ha già causato almeno 390.000 sfollati interni e 60.000 rifugiati in Uganda e Rwanda. “Liberate la popolazione del territorio di Rutshuru divenuta l’ostaggio dei gruppi armati”: è il grido d’allarme lanciato ai Paesi della regione dopo la conquista da parte del M23 di Nyamilima e Ishasha, località importanti da un punto di vista strategico e commerciale, al confine con l’Uganda. “Temiamo futuri scontri tra i ribelli del M23 e i loro ‘alleati’ Mayi Mayi di Shetani Muhima con le Fdlr Soki in lotta per il controllo del territorio” ha avvertito il coordinamento della società civile della provincia nord-orientale. (R.P.)

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    Filippine: la Chiesa definisce l'accordo di pace governo-ribelli, un segno di speranza

    ◊   “Un primo passo verso la pace” e quindi “un segnale di speranza”. Così mons. Martin Jumoad, vescovo della diocesi di Isabela nell’arcipelago di Mindanao, saluta l’accordo-quadro raggiunto in questi giorni a Kuala Lumpur, in Malesia, tra il governo di Manila e i ribelli del Milf (Moro Islamic Liberation Front). “Abbiamo sofferto molto e ogni passo verso la pace è un segno di speranza, ma dobbiamo rimanere vigilanti e guidare la nostra gente in questo processo”, ammonisce il presule, vescovo di una delle zone più direttamente toccate dal conflitto che da 40 anni insanguina l’arcipelago nel Sud delle Filippine. Mons. Jumoad mette in particolare l'accento sulla questione del rispetto della libertà religiosa anche nel Bangsamoro, la nuova regione musulmana semi-autonoma che dovrebbe essere creata a Mindanao nel 2016: “La religione deve essere sempre rispettata - spiega - e deve essere garantita libertà di espressione della propria fede e rispetto della dignità di ogni persona. Non dovrà essere favorito un gruppo ma la nuova situazione dovrà essere inclusiva per tutti”. L'accordo raggiunto a Kuala Lumpur, che sarà sottoposto a referendum popolare, prevede che nella nuova regione autonoma, dove abitano circa 6 milioni di musulmani filippini, il governo manterrà il controllo della difesa e della sicurezza, nonché la gestione della politica estera ed economica. Le parti daranno vita a un Comitato provvisorio per gestire la fase di transizione che dovrà supervisionare cinque province, tre città e sei comuni che faranno parte della regione autonoma. I comuni potrebbero aumentare in seguito alle elezioni locali, previste nel 2013. Il risultato è un successo per la presidenza di Benigno Aquino jr che, nel suo programma politico, aveva promesso un accordo di pace che, rimarca il comunicato congiunto, "da un lato garantisca i diritti, la dignità e la prosperità del popolo Bangsamoro (come si definiscono i musulmani filippini)" e, al tempo stesso, "rispetti la sovranità e la Costituzione delle Filippine". (L.Z.)

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    Pakistan: 24.enne cristiana rapita, costretta a convertisti all’islam e sposare l’aguzzino

    ◊   Sequestrata alle prime luci dell'alba, costretta a subire abusi sessuali, sposare il giovane musulmano che l'aveva rapita con l'aiuto della famiglia e a convertirsi all'islam. È la drammatica vicenda di Shumaila Bibi, 24enne operaia cristiana di Nishatabad, sobborgo di Faisalabad (nel Punjab), impiegata in un'azienda tessile della zona. Il fatto risale al 24 settembre e per giorni la ragazza ha vissuto con il suo aguzzino giorni da incubo; il 5 ottobre, utilizzando uno stratagemma, è riuscita a fuggire. Tuttavia, il sedicente "marito" ha denunciato la sua fuga e i suoi genitori - ribaltando i fatti - per "sequestro di persona". E la polizia ha accolto la richiesta, aprendo un fascicolo di inchiesta, asserendo che la ragazza si è convertita e sposata "di sua spontanea volontà". Il futuro di Sumaila - riferisce l'agenzia AsiaNews - è appeso a un filo e dipenderà dalle decisioni della giustizia pakistana, che in più di una occasione ha mostrato di non tutelare i diritti e le ragioni delle minoranze religiose nel Paese. Gli attivisti cattolici della Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp) hanno assunto le difese di Mansha Masih, 68enne padre della ragazza, che rischia ora il carcere per rapimento. Gli avvocati hanno presentato una controdenuncia e ora sarà la giustizia, sebbene in più occasioni succube della volontà della maggioranza islamica a dispetto del diritto e della legalità, a decidere sulla vicenda. Il suo futuro è appeso a un filo e vi è il timore concreto che venga restituita ai suoi aguzzini. Intervistata da AsiaNews, Shumaila conferma di voler "vivere con i miei genitori e praticare la fede cristiana". Il giovane musulmano l'ha aiutata a trovare un impiego e con questo "sotterfugio" si è introdotto in famiglia e ha cercato di avvicinarla. "Ma io - precisa - ho rifiutato e l'ho più volte invitato a desistere" dal suo proposito. "E per questo, mi ha rovinato la vita". Padre Nisar Barkat, direttore diocesano di Ncjp a Faisalabad, conferma che "facciamo del nostro meglio per fornire aiuto e assistenza alle vittime come Shumaila". Il sacerdote invoca "l'intervento" della polizia per "assicurare la legalità e la libertà" delle comunità. "Dobbiamo prestare attenzione - avverte - alla manipolazione della religione al cospetto della giustizia; e lo Stato deve garantire la libertà di religione nel Paese". (R.P.)


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    Hong Kong: il governo mette fine all'"educazione patriottica" nelle scuole

    ◊   Il capo del governo del Territorio ha annunciato che le linee guida per l'introduzione della controversa "educazione patriottica" nelle scuole di Hong Kong "saranno messe da parte. Spero in questo modo di ricostruire la fiducia reciproca nella nostra società". Dominic Y. Yung, direttore dell'Ufficio delle comunicazioni sociali della diocesi, sottolinea ad AsiaNews: "Si tratta di una vittoria della società civile: la fine dell'educazione patriottica a Hong Kong dimostra la coesione della popolazione e la sua volontà di non cedere ai soprusi". La Chiesa cattolica - riferisce l'agenzia AsiaNews - guida sin dal 2002 una battaglia serrata contro la riforma del sistema scolastico imposta da Pechino all'ex colonia britannica. La riforma prevede una nuova e complicata direzione per ogni istituto, che deve essere formata da personale eletto in maniera da favorire i dirigenti pro-Cina. All'interno del testo era prevista anche l'introduzione delle classi di "educazione patriottica", una materia costruita per magnificare i successi del regime di Pechino senza accennare alle gravi violazioni dei diritti umani e civili compiuti dalle autorità. Secondo il cardinale Zen, che ha guidato la battaglia contro l'interferenza dell'esecutivo nelle scuole, la cosiddetta educazione patriottica è un "lavaggio del cervello" degli studenti. Anche se il capo dell'esecutivo Leung Chun-ying ha sottolineato che la questione "non è ancora accantonata del tutto", il dr. Yung dice ad AsiaNews: "Questa deve essere la conclusione della questione. Io non credo che il governo deciderà di portarla avanti: sia da parte loro che da parte della Chiesa, non credo che ci saranno altre azioni". Il fattore da mettere in luce è però un altro: "Abbiamo ottenuto una vittoria sociale, non politica. La mobilitazione dei giovani contro le nuovi classi è stata impressionante e molto efficace, soprattutto da parte da parte degli studenti liceali. È un grande passo in avanti per tutti noi, per la consapevolezza della nostra comunità". (R.P.)

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    Myanmar: cresce il numero di sfollati nello Stato di Rakhine

    ◊   A quattro mesi dall'insorgere della violenza nell'ovest dello Stato di Rakhine, nel Myanmar, le dimensioni dell'esodo continuano ad aumentare e gli abitanti dei villaggi colpiti continuano a fuggire dalle proprie case in cerca di cibo, cure mediche e altre forme di assistenza. Attualmente, in base alle cifre fornite dalle autorità locali, sono circa 75mila gli sfollati nei campi dello Stato di Rakhine che si trovano all'interno e nelle vicinanze dei distretti di Sittwe, Kyauk Taw e Maungdaw. La comunità internazionale si è impegnata ad assistere tutte le comunità colpite, in conformità con i principi di umanità, imparzialità e neutralità. Nonostante si assista a un generale aumento dell'esodo, vi sono stati anche alcuni rientri. In quanto parte della risposta inter-agenzie nello Stato di Rakhine, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha distribuito aiuti umanitari a circa 54mila persone nei siti per sfollati. L'Agenzia sta inoltre sostenendo la costruzione di alloggi temporanei d'emergenza che possono ospitare circa 10.500 persone. Allo stesso tempo l'agenzia umanitaria sta distribuendo forme di assistenza di prima necessità in questi campi per sfollati gestiti dal governo, accertandosi che siano garantiti cibo, acqua, servizi igienici e cure mediche finché la situazione non si sia stabilizzata sufficientemente da consentire il loro ritorno a casa. (L.F.)

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    Usa: pellegrinaggio per la vita e la libertà promosso dai vescovi per l'Anno della Fede

    ◊   In occasione dell’ Anno della fede, i vescovi degli Stati Uniti hanno promosso un pellegrinaggio “per la vita e la libertà” che si terrà il 14 ottobre presso il santuario dell’Immacolata Concezione a Washington. Come riporta L’Osservatore Romano, sarà il presidente della Commissione ad hoc per la libertà religiosa della Conferenza episcopale (Usccb), mons. William Edward Lori, a presiedere la Messa, cui seguirà la recita del Santo Rosario nel primo giorno della novena dedicata alla vita e alla libertà che si concluderà il 22 ottobre. I presuli americani intendono così rinnovare il loro impegno a favore della libertà religiosa, “la più cara delle libertà”. Libertà che, come è noto, in numerosi Paesi del mondo subisce pesanti e violenti attacchi ai danni delle minoranze, in primo luogo contro i cristiani. Dalla Usccb viene ribadito, per l’occasione, che la libertà religiosa ha profonde implicazioni per il bene comune degli stessi Stati Uniti e per tutto il mondo. Nel Paese questo tema è legato particolarmente alla tutela della vita. Da lungo tempo, infatti, i vescovi statunitensi conducono una pressante campagna di sensibilizzazione e di contrasto alle politiche volte alla diffusione delle pratiche abortive, che impongono limitazioni all’obiezione di coscienza di coloro che intendono rispettare i propri convincimenti religiosi. Si tratta, in particolare, delle nuove direttive sanitarie che, come è noto, impongono l’estensione della copertura assicurativa anche per l’interruzione volontaria della gravidanza e la contraccezione. Sul tema sono disponibili nel sito dell’episcopato diversi sussidi e testi volti a favorire la comprensione della questione. Tra questi il documento diffuso lo scorso aprile “La nostra prima, più cara libertà” richiamato, insieme ad altri, proprio per accompagnare la celebrazione del 14 ottobre. Per quanto concerne il contesto internazionale, alla nota che informa sullo svolgimento del pellegrinaggio, fa da sfondo anche un recente intervento del presidente della Usccb, il cardinale arcivescovo di New York, Timothy Michael Dolan, svolto durante una conferenza internazionale a Washington, in occasione della festa del Santissimo Nome di Maria. Il presidente dei vescovi statunitensi aveva ricordato che “l’assenza di libertà religiosa porta a terribili sofferenze umane e che, allo stato attuale, i cristiani sono il gruppo religioso che soffre per il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede”. Il pellegrinaggio del 14 ottobre si inserisce nel contesto delle iniziative che l’Episcopato ha avviato per dare un rinnovato impulso alla testimonianza cristiana. Tra queste è stato presentato recentemente anche un decalogo per l’Anno della Fede. (L.Z.)

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    Haiti. Segnali di ripresa nell’emergenza post terremoto: riaperte le scuole

    ◊   Sono trascorsi quasi tre anni dal violento terremoto che ad Haiti ha distrutto il 90% delle scuole e il 60% degli ospedali, uccidendo migliaia di persone, lasciandone ferite oltre 350 mila e provocando più di un milione di bambini orfani. La metà della popolazione dell’isola vive con meno di un dollaro al giorno, 500 mila persone sono senza casa, il 90% dei bambini hanno malattie provocate dall’acqua inquinata, l’epidemia di colera non accenna a fermarsi, e anche la crisi economica internazionale ha raggiunto il Paese già duramente provato. Tuttavia la popolazione non si è mai arresa e continua a lottare per una vita migliore. Di recente oltre 3 milioni di bambini sono tornati alle loro scuole, più di 20 mila negli istituti salesiani presenti sull’isola, tra questi oltre 10 mila ricevono anche un pasto al giorno presso l’Opera delle Piccole Scuole di padre Bohnen. In una nota dell’Ans pervenuta all’agenzia Fides si legge che i missionari salesiani vivono ad Haiti da più di 75 anni, lavorando con i bambini più vulnerabili, le donne, i malati. Secondo i dati della Banca Mondiale, diversi interventi sembrano testimoniare la voglia di rinascita del Paese. Ad esempio, la rimozione di 11 milioni di metri cubi di detriti ha reso di nuovo possibile la circolazione per le strade; un milione di persone hanno lasciato i campi per gli sfollati, 600 mila persone avranno presto accesso all’elettricità. Inoltre la Procura delle Missioni Salesiane di Madrid ha lanciato un appello alla solidarietà, promuovendo la campagna “75 anni ad Haiti”, che invita la comunità internazionale a continuare a lavorare e a sostenere i missionari perché l’isola non sia dimenticata. (R.P.)

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    Perù: appello della Chiesa al dialogo nella provincia di Cajamarca

    ◊   La chiesa peruviana manifesta la sua preoccupazione per l’annuncio dell’avvio, ieri, di nuove proteste nella provincia di Cajamarca, contro la prosecuzione del progetto di esplorazione di una miniera che minaccia le risorse idriche della regione. L’arcivescovo di Trujillo, mons. Miguel Cabrejos Vidarte, in un comunicato emesso a Roma dove sta partecipando al Sinodo dei Vescovi, ha esortato le parti coinvolte ad evitare l’uso della violenza verbale o fisica ricordando che in passato tale atteggiamento ha portato a forti scontri finiti in azioni repressive e perdite di vite umane. Il comunicato, firmato anche da padre Gastón Garatea, uno dei mediatori nel dialogo, chiama il governo regionale a riflettere sullo sviluppo della regione ricordando che lo Stato ha l’obbligo di mettere a disposizione i mezzi per risolvere i problemi del Paese in un clima di rispetto e di dialogo. Da più di due anni, il progetto di esplorazione di nuovi giacimenti d’oro, conosciuto come Minas Conga, è contestato dalle popolazioni della regione che vedono le loro risorse acquifere minacciate dall’inquinamento. I manifestanti hanno fermato i lavori in varie occasioni per chiedere al governo la chiusura del progetto e il rispetto della legge di protezione ambientale che vige sulle quattro lacune naturali ubicate nell’Alto Perù, al nord del Paese. Questo è l’ennesimo comunicato di mons. Cabrejos che ha insistito sulla necessità di una riflessione profonda sul modello di sviluppo che si vuole nella regione, tenendo conto della qualità della vita e dell’impatto ambientale del progetto, invitando l’industria mineraria a prendere coscienza delle proprie responsabilità nei confronti della popolazione, e lo Stato a ricordare, al di là di far rispettare la legge, il suo ruolo di supervisore del lavoro delle Compagnie, favorendo il benessere della gente. I dirigenti che contestano il progetto Congas hanno annunciato ieri l’inizio di nuove proteste fino a ottenere la sospensione definitiva dei lavori. D’altra parte, il portavoce del Collettivo Cajamarca, che appoggia l’esplorazione aurifera, ha dichiarato che la protesta fallirà perche sostenuta da una minoranza radicale. Yanacocha, in funzione dal 1993, è la miniera d’oro più grande dell’America Latina e contribuisce a rendere il Perù il sesto produttore d’oro al mondo. Secondo le denunce dei residenti, lo Stato non esercita alcun controllo sulla miniera e le sue attività, mentre l’inquinamento è in aumento, cosi come il disagio sociale. Infatti non è stato fatto nessun investimento sociale per compensare i danni prodotti e Cajamarca rimane una delle zone più povere del Perù. (A cura di Alina Tufani)

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    Honduras. Il cardinale Maradiaga: “Il Paese ha bisogno di cambiare, non scegliete i corrotti”

    ◊   Il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, in previsione delle prossime elezioni, ha invitato gli honduregni a votare i cittadini che abbiano le giuste potenzialità per dirigere il governo. Il cardinale ha insistito sul concetto che per cambiare il Paese dovranno essere eletti i cittadini migliori e non certo i politici che sono stati segnati dalla corruzione. "L’Honduras ha bisogno di cambiare" ha sottolineato il porporato nella sua omelia durante la Messa celebrata in Cattedrale. L'arcivescovo di Tegucigalpa ha chiamato i politici a fare un esame di coscienza e ha ricordato a tutti che "il Paese vive in una società che ha voltato le spalle a Dio e va solo alla ricerca dei soldi a tutti i costi, anche se si tratta di quelli provenienti dalla corruzione, dal narcotraffico o dalla corruzione politica". La stampa locale ha parlato in questi giorni dell'esistenza di "narcoplanillas", vale a dire di un elenco di politici stipendiati dal narcotraffico, proprio mentre il Paese sta vivendo la campagna elettorale. In Honduras infatti le elezioni primarie si svolgeranno il prossimo 18 novembre. Vi partecipano 3 partiti che dovranno scegliere i loro candidati per le elezioni regionali e presidenziali che si terranno nel 2013. (L.F.)

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    Guatemala: morti e feriti negli scontri tra indigeni e polizia

    ◊   L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchar) in seguito agli scontri avvenuti tra le comunità di Totonicapán, la polizia e l’esercito, ha lanciato l’allarme per l’assassinio di 6 indigeni in Guatemala. In questi incidenti - riferisce l'agenzia Fides - sono stati feriti almeno 40 civili e 7 membri dell’esercito, sono andati distrutti un camion militare e un altro commerciale, come si legge in una nota diffusa dall’Ohchar. Gli scontri sono stati scatenati da diversi posti di blocco stabiliti dai contadini indigeni che protestavano contro l'aumento delle tariffe elettriche e per la fornitura dei servizi di base. Ovviamente le versioni sono diverse, chi accusa la popolazione di aver provocato i soldati, chi l’esercito di essere intervenuto con armi da fuoco. Le fonti locali dichiarano che non è possibile ancora accusare nessuno delle morti, visto che le indagini sono ancora in corso e c’è molta confusione sull’accaduto. Intanto il Governo del Guatemala ha contestato ogni responsabilità. Diverse organizzazioni sociali, guidate dal premio Nobel della Pace 1992, la leader indigena Rigoberta Menchú, hanno condannato gli episodi di violenza e richiesto indagini indipendenti per portare davanti alla giustizia i responsabili dei fatti. (L.F.)

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    Burundi: l'impegno dei Gesuiti per l'istruzione delle donne

    ◊   Istruire le donne significa far progredire l’intera società del Burundi, uno dei Paesi più poveri dell’Africa. Per questo il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs) sta investendo in progetti educativi rivolti alle donne che, pur rappresentando il vero motore della società burundese, risultano ancora fortemente escluse dall’accesso all’istruzione e dalla possibilità di raggiungere uno sviluppo personale pieno e dignitoso. Solo il 31% delle ragazze, infatti, continua a frequentare i banchi di scuola al termine del ciclo di studi primari, secondo i dati ufficiali dell’Unesco. Eppure, afferma il Jrs nelle informazioni inviate all’Agenzia Fides, innalzare il tasso d’istruzione delle donne non soltanto le renderà persone più sicure di sé e consapevoli delle proprie capacità, ma servirà anche come contributo fondamentale per lo sviluppo delle comunità locali e della società intera. Swavis Nzeyimana ha 22 anni ed è madre di due bambini, rispettivamente di 5 anni e 7 mesi. Dallo scorso gennaio frequenta le lezioni per imparare a leggere, scrivere e fare i calcoli. Fino a qualche anno fa viveva in un campo di rifugiati in Tanzania e non è mai andata a scuola perché il padre, che non disponeva di mezzi economici sufficienti per educare tutti i suoi otto figli, ha preferito che le ragazze restassero a casa a fare le faccende domestiche mentre i maschi studiavano in classe. “Ora che ho imparato a leggere e scrivere mi sento una donna più forte e indipendente e vedo che anche mio marito mi riserva un rispetto maggiore – racconta Swavis -. Per esempio, se io non sono in casa e ha bisogno di dirmi qualcosa di urgente prima di uscire, può lasciarmi un bigliettino scritto e sa che io capirò. E a mia volta lo stesso posso fare io. In più ho imparato a fare i calcoli e i vantaggi li tocco con mano quando vado al mercato. Prima, magari, mi capitava spesso di essere imbrogliata dal commerciante che approfittava della mia ignoranza”. Tra i maggiori ostacoli alla frequenza scolastica femminile in Burundi, ci sono i matrimoni precoci delle giovani ragazze le quali, di conseguenza, abbandonano la scuola perché i mariti le vogliono a casa e a lavorare nei campi. Sensibilizzare gli uomini a mandare a scuola le proprie figlie o le propri mogli è pertanto una missione centrale nel progetto di educazione del Jrs. Fidel Nahayo è il marito di Swavis e mostra tutto l’orgoglio di avere una moglie istruita e capace: “Grazie al fatto di saper leggere e scrivere, Swavis è diventata presidentessa di un’associazione di donne e quando avrà il certificato di alfabetizzazione del ministero avrà le carte in regola per cercare un lavoro” spiega l’uomo. “Mi sono convinto di permetterle di frequentare i corsi perché ho riflettuto sul fatto che io da piccolo ho avuto la possibilità di andare a scuola e tuttora ringrazio per questo. Quindi ho pensato che fosse giusto che anche lei ricevesse l’istruzione”. “Esiste una correlazione chiara tra livello di alfabetizzazione e povertà: un Paese con un alto tasso di scolarizzazione sarà un Paese sviluppato, viceversa un Paese in cui la maggior parte della gente non sa leggere e scrivere sarà impantanato nella miseria - è l’analisi del direttore del Jrs Grandi Laghi, padre Tony Calleja -. Il Burundi non può prescindere dalla via dell’istruzione come fattore chiave del proprio sviluppo e nel fare questo deve assolutamente puntare sull’aumento del numero di donne nelle scuole. Rinforzare le donne, infatti, avrà un impatto positivo sulle famiglie, sugli uomini e sulla società intera”. (R.P.)

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    Uganda: la Chiesa esorta il governo a liberare tutti i prigionieri politici per il 50.mo d'indipendenza

    ◊   L’arcivescovo di Kampala Cyprian Kizito Lwanga ha esortato il governo ugandese a liberare tutti i prigionieri politici nel Paese come gesto di clemenza in occasione del 50° anniversario dell’indipendenza che ricorre oggi, 9 ottobre. Durante la Messa domenicale nella capitale – riporta il quotidiano locale New Vision - il presule ha evidenziato che la liberazione dei prigionieri politici sarebbe un passo importante per la riconciliazione, la giustizia e la pacificazione dell’Uganda, anche perché alcuni di essi sono detenuti ingiustamente. Parlando più in generale della situazione del Paese a 50 anni dall’indipendenza dall’Inghilterra, mons. Lwanga ha denunciato i mali che continuano ad affliggerlo: abusi di potere, violazioni dei diritti umani, corruzione, ignoranza, un sistema educativo inadeguato, la commistione tra religione e politica. Nell’omelia l’arcivescovo di Lusaka ha poi parlato della questione agraria denunciando gli espropri e l’ingiusto accaparramento di terre da parte di alcuni ai danni dei più poveri nonostante la riforma agraria. “Viviamo in un Paese pieno di contraddizioni”, ha osservato. “La scienza e la tecnologia stanno facendo passi da gigante in tutti gli ambiti della vita umana, fornendo all’umanità quanto serve a rendere il nostro pianeta un luogo meraviglioso per tutti, eppure la povertà estrema, la malattia e la fame continuano a mietere migliaia di vittime ogni giorno. Mons. Lwaga ha concluso con una nota di speranza: “Il nostro destino è ancora nelle nostre mani, l’unica cosa che ci chiede è lo spazio per respirare e prosperare”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Cipro: appello di Chrysostomos II per il rispetto della libertà religiosa nel nord dell'isola

    ◊   Un appello perché Cipro diventi “un luogo in cui le libertà religiose sono rispettate ed esercitate senza restrizioni”. A lanciarlo nel quadro della presidenza cipriota dell’Unione europea è stato Chrysostomos II, arcivescovo di Cipro, intervenendo al seminario sulla libertà di religione e credo che si è tenuto a Nicosia per iniziativa della Rappresentanza della Chiesa di Cipro presso le istituzioni europee e della Commissione “Chiesa e Società” della Conferenza delle Chiese europee (Kek). “Ci duole dover dire che, purtroppo, negli ultimi 38 anni, le libertà religiose nella parte settentrionale dell’isola occupata dai turchi non sono state né rispettate né applicate”. Nel suo intervento l’arcivescovo denuncia le distruzioni e i saccheggi che “sistematicamente” subiscono “i luoghi di culto e i monumenti, le chiese e i monasteri, e tutto ciò che è sacro per noi, compresi i nostri cimiteri. In generale - ha proseguito l’arcivescovo - stanno tentando di distruggere ogni traccia dell‘esistenza e della presenza di una popolazione cristiana nel nord di Cipro”. C’è dunque da parte delle leadership religiose pieno consenso e sostegno affinché nella parte settentrionale occupata dell’isola, la libertà di religione sia rispettata ponendo “fine al saccheggio dei nostri luoghi sacri”. (L.F.)

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    Libano: i Cappuccini tornano nel villaggio di Abey

    ◊   Dopo 28 anni i Cappuccini, e con loro i cristiani, sono tornati nel villaggio di Abey, situato sul Monte Libano, da dove erano stati cacciati dai drusi nel 14 febbraio 1984 durante la così detta “guerra civile libanese”. Abey è uno dei pochi luoghi in cui i cristiani non erano ancora ritornati perché le loro case erano ancora occupate. Due anni fa sono cominciate le trattative tra i Cappuccini e lo Stato libanese per facilitare sia il loro ritorno che quello dei cristiani, e, allo stesso tempo, per definire il contributo finanziario per il restauro del grande complesso, gravemente danneggiato. Dopo sei mesi di lavoro, il 30 settembre scorso è stato riconsacrata la chiesa e benedetto il convento alla presenza di molti capi politici e religiosi, ma soprattutto di moltissima gente, cristiani e drusi. I Frati sono stati gli ultimi a lasciare questo luogo e i primi a farvi ritorno, nonostante le molte vicende e le tante difficoltà vissute nei quattro secoli di presenza ad Abey che nel 1646 divenne il capoluogo dell’Emirato. I Religiosi vi costruirono un orfanotrofio (400 orfani), un casa per le suore, una scuola media, una scuola tecnica e una chiesa. Nella prima metà del XIX secolo nei pressi del convento vi subì il martirio padre Carlo da Loreto. Tutti dicono che il ritorno dei Frati e il restauro del convento è il primo frutto della visita che Papa Benedetto XVI ha fatto al Libano dal 14 al 16 settembre scorsi. (A cura di padre Egidio Picucci)

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    Premio Nobel per la Fisica a Serge Haroche e David Wineland

    ◊   Il Premio Nobel per la Fisica 2012 è stato assegnato allo scienziato francese, Serge Haroche, e al collega statunitense, David Wineland per aver aperto "una nuova era" nella fisica quantistica con le loro ricerche sull'interazione tra fisica e materia. I due scienziati sono stati premiati per "i rivoluzionari metodi sperimentali che hanno permesso la misurazione e la manipolazione dei singoli sistemi quantistici". Secondo il comitato dell'Accademia Reale Svedese ''i loro metodi innovativi hanno permesso di muovere primi passi verso la costruzione di un nuovo tipo di computer super veloce basato sulla fisica quantistica'' e alla ''costruzione di orologi estremamente precisi che potrebbero revisionare la futura concezione del tempo''. L'americano David Wineland, 68 anni, lavora nell'Istituto statunitense per gli Standard e la tecnologia (Nist); il francese Serge Haroce, anche lui 68 anni, insegna Fisica quantistica al College de France. Entrambi, saranno premiati in una cerimonia ufficiale il prossimo 10 dicembre in occasione dell'anniversario della morte del fondatore Alfred Nobel, avvenuta nel 1896. (L.F.)
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 283

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