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Sommario del 08/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Sinodo. Il Papa: evangelizzare è avere il fuoco di Dio dentro e accenderlo con coraggio nel mondo
  • Il cardinale Wuerl al Sinodo: i cristiani superino la sindrome dell'imbarazzo di annunciare Gesù
  • Sinodo. Mons. Celli: la nuova evangelizzazione è una sfida comunicativa della Chiesa
  • Sinodo. Mons. Dal Covolo e mons. Dos Santos: fede è carità non solo contenuti, i giovani aspettano risposte
  • Sala Stampa Vaticana: del tutto disinformato articolo del Messaggero su Fabbrica di San Pietro
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nobel Medicina a due ricercatori specialisti in staminali adulte. Commento del card. Sgreccia
  • Filippine. L’Ue definisce "storico" l’accordo di pace tra governo e ribelli islamici
  • Venezuela. Hugo Chavez rieletto presidente per il quarto mandato consecutivo
  • Eurogruppo: via libera a nuovo meccanismo permanente di salvataggio Ue
  • Irlanda: iniziato il mese di preghiera per la vita. Corte europea pressa Dublino sull'aborto
  • Convegno mondiale di Radio Maria. Padre Livio: servono testimoni della fede anche nei media
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • India: in Orissa arrestati 20 cristiani. Celebravano un battesimo
  • Nigeria: mons. Onaiyekan chiede un Forum nazionale per trattare con Boko Haram
  • Messico. Mons. Arizmendi: non possiamo restare indifferenti di fronte alla violenza
  • Haiti ringrazia Caritas Messico per l'incessante aiuto ai terremotati del 2010
  • Corea: ong di Seul inviano nuovi aiuti al Nord dopo le inondazioni
  • Sri Lanka: il cardinale Ranjith difende i pescatori contro i mega progetti turistici
  • Pakistan: le inondazioni hanno causato 450 morti. 5 milioni le persone colpite
  • Giappone: vescovo di Sendai denuncia discriminazione contro gli abitanti di Fukushima
  • Sudafrica: per il vescovo di Rustenburg si rischia una guerra tra minatori
  • Guinea Bissau: nuova parrocchia nella diocesi di Bissau dedicata a Santa Bakhita
  • Cile: esortazione di mons. Chomali per l’Anno della Fede
  • Filippine. Lettera di mons. Tagle: l’Anno della Fede "anno di ascolto, ma anche di missione”
  • La Libreria Editrice Vaticana a Francoforte per la Fiera del libro
  • Premio “Cuore Amico” a missionario in Pakistan, a religiosa in India e a due laiche in Congo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Sinodo. Il Papa: evangelizzare è avere il fuoco di Dio dentro e accenderlo con coraggio nel mondo

    ◊   Si è evangelizzatori se si ha nel cuore la consapevolezza che è Dio ad agire nella Chiesa e se si ha una passione bruciante di comunicare Cristo al mondo. Con questi pensieri, Benedetto XVI ha aperto stamattina i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Il Papa ha preso la parola dopo la lettura e l’Inno iniziali con una meditazione spontanea e particolarmente intensa. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La grande domanda è sempre lì, in moltissimi cuori. C’era prima che in una notte di Betlemme un Bambino cambiasse la storia, e risuona – tra persecuzioni e indifferenza montante – dopo duemila anni di diffusione del Vangelo: Chi è Dio? E cosa c’entra con l’umanità? Benedetto XVI tocca il nervo centrale del Sinodo portando anzitutto nella quiete dell’Aula il rumore e i palpiti di chi nel mondo alza gli occhi al cielo, non vede nulla e continua a chiedersi:

    “Dietro il silenzio dell’universo, dietro le nuvole della storia, c’è un Dio o non c’è? E se c’è questo Dio, ci conosce, ha a che fare con noi? Questo Dio è buono e la realtà del bene ha potere nel mondo o no? Questa domanda è oggi così attuale come lo era in quel tempo. Tanta gente si domanda: Dio è un’ipotesi o no? E’ una realtà o no? Perché non si fa sentire? ‘Vangelo’ vuol dire che Dio ha rotto il suo silenzio: Dio ha parlato, Dio c’è (...) Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato nella storia. Gesù è la sua Parola, il Dio con noi, il Dio che ci mostra che ci ama, che soffre con noi fino alla morte e risorge”.

    Ecco la risposta della Chiesa alla grande domanda. Tuttavia, in tono sommesso ma senza giri di parole, il Papa pone un secondo quesito, quello vitale per i Padri sinodali: “Dio – ha ripetuto Benedetto XVI – ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato. Ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi affinché diventi salvezza?”. Avendo chiari tre passi fondamentali, che il Papa ha spiegato prendendo spunto dall’Inno dell’Ora Terza recitata poco prima. Primo passo, la preghiera. Gli Apostoli, ha affermato, non crearono la Chiesa “elaborando una costituzione”, ma raccogliendosi in preghiera in attesa della Pentecoste:

    “Noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il nostro fare, ma con il fare e il parlare di Dio (...) Solo Dio può creare la sua Chiesa. Se Dio non agisce, le nostre cose sono solo nostre e sono insufficienti. Solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato”.

    Dunque, ha osservato il Papa, non è “una mera formalità” se ogni assise sinodale comincia con la preghiera, ma una dimostrazione di consapevolezza del fatto che “l’iniziativa” è sempre di Dio, che noi possiamo implorarla e che con Dio la Chiesa può solo “cooperare”. Da qui nasce il secondo passo, con quella che in latino si chiama “confessio”, la confessione pubblica della propria fede. Questo atto, ha spiegato il Papa, è più che un professare la fede in Cristo: è una vera e propria “confessione”. Come quella fatta con coraggio davanti a un tribunale, “davanti agli occhi del mondo”, pur sapendo che potrà costare:

    “Questa parola ‘confessione’, che nel linguaggio cristiano latino ha sostituito la parola ‘professione’, porta in sé l’elemento martirologico, l’elemento del testimoniare davanti a istanze nemiche alla fede, testimoniare anche in situazioni di passione e di pericolo di morte (…) Proprio questo garantisce la credibilità: la ‘confessio’ non è qualunque cosa che si possa lasciar anche cadere. La ‘confessio’ implica la disponibilità a dare la mia vita, ad accettare la passione”.

    La “confessio” ha però bisogno di un abito che la renda visibile. Ed ecco il terzo passo: la “caritas”. Cioè la più grande forza che deve bruciare nel cuore di un cristiano, la fiamma da cui attingere per appiccare l’incendio del Vangelo attorno a lui:

    “C’è una passione nostra che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità (...) Il cristiano non deve esser tiepido (…) Fede deve divenire in noi fiamma dell’amore: fiamma che realmente accende il mio essere, che diventa la grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questa è l’essenza dell’evangelizzazione”.

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    Il cardinale Wuerl al Sinodo: i cristiani superino la sindrome dell'imbarazzo di annunciare Gesù

    ◊   Subito dopo l’intervento del Papa, a prendere la parola nell’Aula del Sinodo è stato il presidente delegato, il cardinale John Tong Hon, vescovo di Hong Kong, seguito dal segretario generale del Sinodo, mons. Nikola Eterović. Quindi, spazio alla “Relazione prima della discussione” presentata dal relatore generale dell’assise, il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington. Ce ne parla Isabella Piro:

    Sono parole vibranti quelle che il vescovo di Hong Kong rivolge ai Padri sinodali: ricorda il timore del regime comunista vissuto da tante famiglie della diocesi, prima dell’annessione della città alla Cina, nel 1997. Ma proprio questa crisi, che in cinese significa anche opportunità, ha portato tanti cattolici non praticanti a riavvicinarsi alla Chiesa, per trovare un sostegno spirituale. Tanto che la scorsa Pasqua ha visto il battesimo di tremila adulti. Poi, il cardinale Tong Hon ricorda tre principi fondamentali dell’evangelizzazione: la comunione sia con Dio che con gli uomini, in particolare con i poveri; il servizio inteso come dono di sé e la dottrina, ovvero quell’incontro personale con Cristo che ci porta ad essere suoi testimoni:

    “We must be zealous witnesses of our faith”.
    “Dobbiamo essere - conclude il vescovo di Hong Kong- testimoni zelanti della nostra fede”.

    Dal suo canto, mons. Eterović ripercorre a grandi linee tutto il lavoro preparatorio di questo 13.mo Sinodo generale, il quinto convocato da Benedetto XVI in otto anni di Pontificato, e rivela che il tema della nuova evangelizzazione è stato scelto dal Papa nell’ambito di una terna suggerita dai presuli e che comprendeva anche la parrocchia come comunità e le sfide antropologiche contemporanee. Importate anche lo spirito collegiale dei vescovi alle fasi di preparazione dell’assise, tanto che oltre il 90% delle Chiese particolari ha collaborato, con i propri suggerimenti, alla stesura del documento di lavoro.

    Poi, la parola passa al cardinale Wuerl: la sua “Relazione prima della discussione”, pronunciata in latino, è, insieme, appassionata e lucida. Partendo dal principio che ciò che si proclama “non è un’informazione su Dio, ma piuttosto Dio stesso” fattosi uomo, il porporato non esita ad affrontare il difficile contesto della nuova evangelizzazione nella società contemporanea, in cui esiste “la separazione intellettuale ed ideologica di Cristo dalla sua Chiesa”, la “barriera dell’individualismo” che fa decadere la responsabilità dell’uomo nei confronti dell’altro; il razionalismo che trasforma la religione in una “questione personale”; la “drastica riduzione della pratica della fede” tra i battezzati.

    Questo volto della società che cambia “in modo drammatico”, spiega il cardinale Wuerl,affonda le sue radici negli anni ’70 e ’80, decenni di “catechesi veramente scarsa”, di discontinuità, di “aberrazioni nella pratica della liturgia”.

    “È stato come se uno tsunami di influenza secolare – dice il porporato – portasse via con sé indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione fra bene e male”. E non solo: “i peccati di pochi” hanno alimentato la sfiducia nelle strutture della Chiesa.

    In questa cultura segnata da “secolarismo, materialismo e individualismo”, tuttavia, non mancano segnali positivi lanciati dai giovani, dai bambini e dai loro genitori. In una parola: dalla famiglia, “modello-luogo della nuova evangelizzazione”, “primo elemento costitutivo della comunità”, così spesso sottovalutata e ridicolizzata dalla società contemporanea. E se i missionari del passato hanno coperto “immense distanze geografiche” per annunciare il Vangelo, i missionari del presente devono superare “distanze ideologiche altrettanto immense”, senza neppure uscire dal quartiere.

    “La nuova evangelizzazione non è un programma – sottolinea il cardinale Wuerl – Si tratta di un nuovo modo di pensare, di vedere e di agire. È come una lente attraverso cui vediamo le opportunità di proclamare di nuovo il Vangelo”.

    Di qui, l’invito ad avere, nella verità del messaggio cristiano, “una nuova fiducia”, spesso erosa da un sistema di valori laici impostosi come superiore allo stile di vita proposto da Gesù. In sostanza, spiega l’arcivescovo di Washington, i cristiani devono “superare la sindrome dell’imbarazzo” di annunciare “il tesoro semplice, genuino e tangibile dell’amicizia con Gesù”. Tale annuncio, però - esorta il relatore generale – sia testimoniato nella vita, perché evangelizzare significa offrire l’esperienza dell’amore di Gesù e non “una tesi filosofica di comportamento”.

    Tre, quindi, i fondamenti dell’evangelizzazione: quello antropologico, che dice che ogni uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio ed ha in sé il desiderio naturale di comunione con il trascendente; quello cristologico, per il quale il Cristo si è rivelato e non è una creazione sociologica o un’aberrazione teologica; ed il fondamento ecclesiologico, che porta la salvezza di Cristo “dentro e attraverso la Chiesa”.

    Il cardinale Wuerl allarga, inoltre, lo sguardo ai movimenti e alle comunità ecclesiali, “segno della nuova evangelizzazione”. Ne cita tre per tutti - Comunione e liberazione, Opus Dei ed il Cammino Neocatecumenale – ed esorta tutti ad “integrare più pienamente le loro energie e attività nella vita di tutta la Chiesa”. Inoltre, continua il porporato, è vero che Gesù non ha promosso “un particolare programma politico”, però ha stabilito principi di base fondamentali per la libertà e la dignità umana e per l’ordine morale naturale, che si devono riflettere anche nella politica.

    Infine, quattro sono le caratteristiche dell’evangelizzatore di oggi, conclude l’arcivescovo di Washington: avere coraggio, quel “pacifico coraggio” di San Massimiliano Kolbe o di Madre Teresa di Calcutta; essere in comunione con la Chiesa e solidale con i suoi pastori; annunciare con gioia il messaggio di Dio; avvertire l’urgenza di una missione “troppo importante” per la quale “non c’è tempo da perdere”.

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    Sinodo. Mons. Celli: la nuova evangelizzazione è una sfida comunicativa della Chiesa

    ◊   Al termine della prima sessione dei lavori della 13.ma Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi, si è svolto un briefing in Sala Stampa Vaticana, al quale ha preso parte il cardinale Donald William Wuerl, relatore generale del Sinodo, e l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. “Annunciare il Vangelo in un contesto caratterizzato dalle nuove tecnologie. Questa è una delle sfide principali della nuova evangelizzazione”, ha affermato mons. Celli, sottolineando con precisione uno dei temi più difficili che i Padri sinodali dovranno affrontare nella definizione degli obiettivi della nuova evangelizzazione.

    Da parte sua, il cardinale Wuerl, sollecitato dalle domande dei giornalisti, ha detto che tra i principali temi messi in evidenza dal Sinodo c'è il recupero di una corretta identità cattolica: tanto fra i giovani adulti, quanto in chi si è allontanato dalla fede. Il porporato ha spiegato inolte come una scarsa coscienza identitaria renda difficile anche il confronto e il dialogo in ambito ecumenico. Una delle basi dalle quali ripartire nel complesso percorso della nuova evangelizzazione – ha aggiunto ancora – è quella fornita dal Catechismo della Chiesa Cattolica per il quale ci apprestiamo a celebrare il 20.mo anniversario.

    Ma come trasmettere correttamente il messaggio evangelico, la parola di Gesù, nell’attuale contesto sociale, come trovare il giusto metodo? Mons. Celli ha parlato ai giornalisti di una Chiesa che per propria natura deve annunciare il Vangelo e se non lo fa tradisce la propria vocazione. Il problema non è tecnologico – ha spiegato presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali – bensì di metodo: “Bisogna capire come la Chiesa possa dialogare con gli uomini e le donne di oggi, entrando in sintonia con loro, condividendone gioie, speranze, difficoltà e tensioni”. La Chiesa, Maestra, deve tornare anche ad essere Madre ponendosi al fianco dell’uomo con profonda simpatia. (A cura di Stefano Leszczynski)

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    Sinodo. Mons. Dal Covolo e mons. Dos Santos: fede è carità non solo contenuti, i giovani aspettano risposte

    ◊   Promuovere una cultura più profondamente radicata nel Vangelo. Si può definire così la nuova evangelizzazione. Una sfida che chiama ad un esame di coscienza anche il mondo accademico-universitario. L’insegnante non può solo limitarsi a trasmettere contenuti, deve anche testimoniare la Buona Notizia. Al microfono del nostro inviato al Sinodo, Paolo Ondarza, il pensiero del rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo:

    R. – La teologia e l’approfondimento culturale devono essere sempre di più, testimonianti. Le parole che oggi ha usato il Papa sono state estremamente significative. Per evangelizzare occorre coniugare tra loro, efficacemente, due categorie: la “confessio fidei” e la “caritas”. La “confessio”, come ha spiegato il Papa, non è semplicemente – come dire – una serie di contenuti, che vengono proposti e trasmessi, ma è la disponibilità a mettersi in gioco, nella testimonianza, fino al dono totale della propria vita. Ecco, dunque, ciò che a me interessa particolarmente: una teologia più testimoniante, un approfondimento culturale che non sia fatto soltanto di contenuti, ma che giunga efficacemente alla testimonianza della carità.

    D. – Quindi, testimonianza e conoscenza dei contenuti non possono essere due realtà scisse?

    R. – Certamente: mai l’una senza l’altra, vorrei dire. Non si testimonia una fede ortodossa e autentica se non ci sono i contenuti della “traditio fidei”, ma – dall’altra parte – questa fede puramente oggettiva rischia di rimanere sterile, non feconda, se non è sostenuta dalla testimonianza personale di colui che crede.

    D. – Si corre il rischio, secondo lei, nel mondo accademico e nel mondo della cultura di offrire una testimonianza “tiepida”?

    R. – Certo, è un rischio che io riscontro, quotidianamente. Direi che c’è una sorta di deformazione professionale in noi teologi che insegniamo: affidiamo infatti troppo il nostro messaggio ai contenuti, rischiando di dimenticarci di quella testimonianza personale che siamo tenuti a dare. Pensiamo: “la testimonianza non appartiene alla mia professione!”. Invece non è così: se consideriamo la testimonianza dei Padri della Chiesa, ci rendiamo conto benissimo che un padre è anzitutto un santo; se non è santo, non è un padre.

    D. – Per quale motivo, oggi, si assiste ad un distacco dalla fede nei giovani?

    R. – Credo che sia un dato culturale, legato alle esperienze che questi ragazzi vivono famiglie non più intessute del messaggio cristiano. Non parliamo della scuola, che rischia di non essere l’ambiente educativo che dovrebbe essere e l’esempio, poi, che viene offerto da certo mondo della politica... Non funziona il contesto e a causa di questo i giovani non si appassionano veramente dell’annuncio cristiano. D’altro canto, però, ci sono gruppi di giovani oggi più testimonianti rispetto ad altre situazioni storiche. Però, stiamo parlando ancora di una minoranza.

    D. – Il bisogno di Dio è scritto nel cuore dell’uomo, nel cuore dei giovani?

    R. – Certo, è proprio così. Il giovane non può non cercare Dio: magari non sa come cercarlo, sbaglia l’obiettivo, ma quel desiderio è inscritto nel suo cuore. La nostra sfida, il nostro impegno dovrebbe essere quello di intercettare questa domanda di verità e di senso che alberga nel cuore del giovane.

    La prossima Giornata mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro rappresenta una forma di nuova evangelizzazione per il Brasile. Sulla vita della Chiesa nel Paese, Paolo Ondarza ha intervistato mons. Benedito Beni Dos Santos, vescovo di Lorena:

    R. – In Brasile, la religiosità popolare è ancora molto diffusa, ma la fede comincia ormai a vivere una fase di crisi a causa della cultura della post modernità. La nuova evangelizzazione sarà una luce, che ci permetterà di salvare la fede in Brasile. Dunque, da questo Sinodo ci aspettiamo veramente molto.

    D. – Il Vangelo resta sempre lo stesso in tutte le epoche: nello specifico la Chiesa in Brasile pensa a nuove modalità di trasmissione?

    R. – L’evangelizzazione ha come contenuto l’annuncio dell’avvento di Gesù Cristo e questo annuncio è legato alla sua morte e resurrezione. Il metodo con cui annunciare il Vangelo, però, cambia a seconda dei mutamenti sociali. In Brasile, abbiamo una risposta alle sfide poste dalla società contemporanea: la missione permanente. Abbiamo anche un’evangelizzazione svolta anche dalle nuove Comunità e dai nuovi Movimenti.

    D. – Un pensiero, parlando di nuova evangelizzazione in Brasile, non può non andare ai giovani, visto l’imminente appuntamento, nell’estate 2013, che li vedrà coinvolti a Rio de Janeiro…

    R. – La Giornata mondiale della gioventù rappresenta una forma di nuova evangelizzazione e per noi è un dono molto grande. E’ una fortuna per noi poter celebrare la Giornata mondiale della gioventù in Brasile. Con l’arrivo della Croce della Giornata, in tutto il Brasile ha preso il via un movimento di evangelizzazione della gioventù: parteciperanno due milioni di giovani provenienti dal Brasile e, forse, un milione proveniente da fuori.

    D. – Cosa attendono i giovani dalla nuova evangelizzazione?

    R. – Penso che le sfide che i giovani pongono alla nuova evangelizzazione siano anzitutto la speranza in un mondo migliore: trovare Colui che è la via, la verità e la vita. E’ questo che i giovani aspettano dalla Chiesa.

    D. – Il suo augurio per questo Sinodo sulla nuova evangelizzazione?

    R. – Spero che questo Sinodo porti a tutta la Chiesa la speranza e che la Chiesa senta di aver la possibilità di annunciare Gesù Cristo, morto e risorto, per portare la salvezza a tutto il mondo.

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    Sala Stampa Vaticana: del tutto disinformato articolo del Messaggero su Fabbrica di San Pietro

    ◊   In relazione a un articolo comparso sull’edizione odierna de Il Messaggero, intitolato “Fabbrica di San Pietro, al setaccio i bilanci”, la Sala Stampa vaticana, dopo aver preso le “dovute informazioni”, precisa in un comunicato che “nessun dossier giace sul tavolo del Segretario di Stato relativo ai bilanci della Fabbrica di San Pietro”, che “tutti i bilanci della Fabbrica di San Pietro sono stati sottoposti all’esame della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede e sono stati sempre approvati dalla Segreteria di Stato”, e che dunque “l’articolo in parola risulta del tutto disinformato”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il fuoco del Vangelo: in prima pagina, un editoriale del direttore sull'apertura della tredicesima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi e sulla proclamazione a dottori della Chiesa di san Giovanni d'Avila e santa Ildegarda di Bingen. Nelle pagine interne, tutti i testi della prima giornata dei lavori sinodali.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il via libera al fondo salva-Stati dato dal vertice dell'Eurogruppo a Lussemburgo.

    Operazione militare contro Boko Haram: uccisi trentuno presunti terroristi nello Stato settentrionale nigeriano di Yobe.

    Dialogo tra Governo e Farc e prospettive di pace in Colombia.

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    Oggi in Primo Piano



    Nobel Medicina a due ricercatori specialisti in staminali adulte. Commento del card. Sgreccia

    ◊   E’ stato assegnato oggi a Stoccolma il Premio Nobel per la Fisiologia e per la Medicina 2012. Il prestigioso riconoscimento è andato a due ricercatori, il britannico John Gurdon ed il giapponese Shinja Jamanaka, per aver scoperto che le cellule staminali adulte possono essere riprogrammate diventando pluripotenti, come quelle embrionali, capaci cioè di trasformarsi in ogni tessuto umano. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Un Premio che, mai come quest’anno, fa chiarezza su una divisione apparsa già da anni nel mondo della ricerca medico-scientifica sulle cellule staminali. Da una parte, chi ha puntato esclusivamente su quelle embrionali - per utilizzare le quali è tuttavia inevitabile sopprimere la vita dall’embrione stesso - e chi ha invece spostato la ricerca sulle cellule adulte, tra l’altro con risultati ben più efficaci. Sentiamo il cardinale Elio Sgreccia, presidente della Fondazione “Ut vitam habeant”:

    “Le cellule staminali somatiche hanno dato per prime - e sempre più significativamente - il loro risultato. Sulle cellule staminali embrionali rimane, invece, la grave prescrizione etica, perché si deve passare attraverso l’uccisione dell’embrione per arrivare al prelievo di queste cellule. Inoltre, non si è avuto ancora alcun successo, mentre si insiste da parte di molti centri - anche nazionali e internazionali - a sovvenzionare e a spendere denari che vengono naturalmente sottratti laddove potrebbero invece dare frutto. Quindi, l’impiego e il perfezionamento dell’applicazione delle cellule staminali somatiche pluripotenti, che hanno già dimostrato la loro validità”.

    Per un’efficacia più completa nella lotta contro il male, occorrerà certamente una sperimentazione ancora di vari anni. Ma già da ora l’utilizzo delle cellule mature sta da dando risultati importanti come afferma il prof. Domenico Di Virgilio, presidente dell’Associazione dei Medici Cattolici Italiani:

    “La scienza ha dimostrato che le cellule programmate possono diventare totipotenti e possono essere utilizzate per la terapia di molte malattie degenerative, neurologiche - come l’Alzheimer o il Parkinson – molte malattie tumorali e linfomi, molte malattie che una volta avevano un successo soltanto dell’1-2 o 3%. Oggi, arriviamo al 75-80%. Si tratta quindi di una scoperta che porterà sicuramente frutti, anche se non dobbiamo illudere le persone. Già oggi è possibile, utilizzando le cellule staminali adulte, curare molto malattie contro le quali, finora, non avevamo sistemi o mezzi”.

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    Filippine. L’Ue definisce "storico" l’accordo di pace tra governo e ribelli islamici

    ◊   L'accordo tra il governo delle Filippine e i ribelli del Fronte islamico di liberazione Moro è un evento "storico” che costituisce un “grande passo in avanti verso una pace duratura” che porterà “stabilità e prosperità”. E’ quanto ha affermato l'Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton, congratulandosi con il governo di Manila e il movimento ribelle islamico che hanno annunciato ieri l'accordo che pone fine a 40 anni di guerriglia nell'area di Mindanao. Un conflitto che ha provocato circa 120.000 morti. Dell’accordo raggiunto e della situazione sociale nelle Filippine Fausta Speranza ha parlato con lo storico Fabrizio Dal Passo, docente all’Università di Roma La Sapienza:

    R. – Il Paese giunge sicuramente stremato da 40 anni di guerriglia e dal fallimento del precedente accordo, il patto stretto fra il Fronte islamico e il governo di Manila alla fine degli Anni Ottanta, per avere una maggiore autonomia nell’isola di Mindanao. Questo accordo, dopo 20 anni, è risultato fallace, perché poi in realtà questa autonomia è stata relativa. Adesso con questo nuovo accordo, che verrà siglato nei prossimi giorni tra Benigno Aquino III e il capo del Fronte islamico di liberazione Moro, si dovrebbe sancire invece una maggiore autonomia non soltanto amministrativa, ma anche economica, per un’area ben precisa di Mindanao, che viene chiamata Bangsamoro. Questa entità di Bangsamoro, che dovrebbe prendere l’aspetto di uno Stato federato alle Filippine, avrebbe in qualche modo una maggiore garanzia di autonomia fiscale, finanziaria ed economica. E’ un Paese che è arrivato esasperato da questa guerra costante, questa guerriglia nelle isole del Sud, ma sembra che questo accordo possa sancire una svolta.

    D. – A parte lo sviluppo che ci si augura a partire da questo accordo, quali sono le risorse su cui puntare per le Filippine?

    R. – Su questo c’è qualcosa da dire in più riguardo all’accordo: come sempre, non è mai puramente una questione religiosa o politica. In realtà, questa entità di Bangsamoro, gestita dal Fronte islamico, è un fronte che è stato spesso sovvenzionato anche da società multinazionali e da imprese finanziarie che comunque sfruttavano il fatto che le Filippine sono tuttora, anche per l’Italia tra l’altro, uno dei Paesi dove non ci sono accordi per controllare i fondi bancari o i fondi di investimento. Per cui è chiaro che questi eserciti di opposizione al governo - che sono diventati più di uno - erano sovvenzionati e sostenuti da gruppi eterogenei rispetto a quelli che hanno effettivamente combattuto per 40 anni. Il futuro chiaramente è quello di una maggiore presa di potere di questo Fronte islamico nel Sud del Paese, anche per il controllo delle risorse, che sono sicuramente ancora poco sfruttate nelle Filippine. E’ un Paese che ha delle risorse importanti nel sottosuolo de è uno dei pochi Paesi dell’Asia che ha ancora un margine di crescita e di sviluppo economico notevole. Quindi, sicuramente, c’è anche un interesse alternativo e diverso rispetto – ripeto – a quello puramente politico e religioso o culturale ed etnico.

    D. – Facciamo una considerazione pensando all’Asia. Questo era uno dei conflitti di più lunga durata in Asia e le Filippine sono il Paese con il maggior numero di cattolici. Quindi, come si distingue questo Paese nella regione?

    R. – Proprio per la sua stessa origine: il termine Filippine richiama Filippo II di Spagna. Il Paese, infatti, ha conosciuto la dominazione spagnola per quattro secoli e poi quella degli Stati Uniti, ed è un Paese che, negli ultimi cinquanta anni, pur con alterne vicende è riuscito a diventare una repubblica democratica. Il fatto che la maggior parte della popolazione - circa il 94 per cento - sia cattolica, sicuramente lo pone come una sorta di avamposto dell’Occidente nel Sud Est asiatico. E’ in prossimità di altri Paesi molto potenti ed emergenti, come il Giappone, Taiwan e la Cina, ma dall’altro lo pone appunto come un vicino percepito come pericoloso per altre realtà, come l’Indonesia o la Malesia, che invece sono a forte maggioranza islamica. Per cui, chiaramente, è un Paese che gioca molto la propria economia, ma anche la propria politica, su questa doppia presenza: una presenza cattolica nell’area del Sud-Est asiatico, e dall’altra una vicinanza di potenze islamiche molto forti – la stessa Indonesia e Malesia – che comunque hanno sovvenzionato in questi anni i Fronti di liberazione islamica.

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    Venezuela. Hugo Chavez rieletto presidente per il quarto mandato consecutivo

    ◊   Hugo Chavez si conferma alla presidenza del Venezuela. Nelle elezioni di ieri, il capo dello Stato, già da 14 anni alla guida del Paese, ha avuto la meglio sul candidato liberista, Enrique Capriles, con oltre il 54% delle preferenze. L’opposizione che ha ottenuto circa il 44% dei voti, ha riconosciuto la sconfitta. Alta l’affluenza ai seggi, secondo i dati ufficiali resi noti dal Comitato nazionale elettorale, il 90,94% degli aventi diritto si è recato alle urne. Massimiliano Menichetti:

    ''Grazie al mio amato 'Pueblo!. Viva il Venezuela! Viva Bolivar". E’ il primo commento di Hugo Chavez affidato a Twitter dopo la conferma della sua vittoria alle presidenziali di ieri. Per la quarta volta da capo di Stato, sostenitore del “nuovo socialismo del XXI secolo” e della lotta contro capitalismo e imperialismo, Chavez in serata si è affacciato dal balcone di “Palacio Miraflores”, sede della presidenza a Caracas.

    Davanti a migliaia di sostenitori, mostrando la spada del padre della patria, Simon Bolivar, ha ribadito che il Venezuela “è una delle migliori democrazie al mondo” e ha parlato di vittoria “su tutta la linea”, precisando che ha battuto il rivale, Henrique Capriles, in 20 dei 24 Stati del Paese. Si è comunque complimentato con l'opposizione "perché – ha detto – ha riconosciuto la verità della vittoria, la vittoria del popolo”.

    Molti gli auguri da parte dei capi di Stato e di governo tra i quali spiccano quelli della presidente dell'Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner: “La tua vittoria è anche la nostra – ha dichiarato – quella dell'America del Sud e dei Caraibi”. Sull’esito del voto, non ha pesato il cancro che gli ha impedito una campagna elettorale intensa come le precedenti.

    Ora, dovrà affrontate i due principali problemi del suo Paese, ovvero l'inflazione, fra le più alte nel mondo e l'insicurezza legata al crescere della criminalità. Sul fronte internazionale, sarà impegnato nell’integrazione con i Paesi dell’America Latina, a proseguire l’alleanza con Cuba, i rapporti con l'Iran e l’affermata autonomia dagli Stati Uniti.

    Per un’analisi dell’esito elettorale, abbiamo raccolto il commento di Stefano Femminis, direttore del mensile internazionale dei Gesuiti “Popoli”:

    R. – Il dato va letto in una doppia ottica. Da un lato, certamente è una conferma della capacità di Hugo Chavez di continuare ad avere un consenso molto ampio, nonostante queste elezioni fossero state anche segnate dai dubbi sull’efficienza fisica di Chavez, che è stato operato per un tumore. Evidentemente, però, questo non ha scalfito le certezze e l’entusiasmo di molti sostenitori. Il risultato può comunque essere letto anche da un altro punto di vista e cioè come una tendenza che vede una diminuzione dei consensi di Chavez. Basti ricordare che nelle elezioni precedenti, nel 2006, il presidente aveva ottenuto il 63% dei voti e qui siamo al 54%. Questo fa pensare a un’erosione lenta ma progressiva dei consensi, a tutto vantaggio di un’opposizione che, in queste elezioni, esce certamente sconfitta, ma con un risultato non deludente.

    D. – Per quanto riguarda le sfide del presidente, molti sono i problemi interni del Venezuela...

    R. – Il Venezuela è un Paese in cui c’è una certa crescita economica in ripresa dopo alcuni anni di crisi, ma c’è anche un’inflazione galoppante, un debito pubblico fuori controllo ed è soprattutto un Paese dove l’insicurezza è elevatissima: c’è criminalità e girano molte armi. Si calcola che su 29 milioni di abitanti ci siano 17 milioni di armi da fuoco, quasi tutte illegali. Queste sono sfide che riguardano tutta la popolazione e quindi è nell’interesse del presidente Chavez affrontarle soprattutto in questo mandato, che adesso davvero diventerà lunghissimo. Alla fine di questa scadenza, infatti, saranno quasi 20 anni di potere ininterrotto.

    D. – Da più parti, si ribadisce che Chavez lavora all’integrazione dell’America Latina, ma il Venezuela è considerabile come un attore principale in questo senso oppure sta lavorando ad un altro livello?

    R. – L’integrazione latinoamericana prosegue indipendentemente da Chavez, nel senso che negli ultimi anni sono stati fatti passi verso un’abolizione dei dazi doganali. Non siamo ancora a un livello paragonabile a quello dell’Unione Europea, non si parla di moneta unica. Tuttavia, certamente il continente latinoamericano è più integrato che dieci o quindici anni fa e questo avviene con il traino, più che del Venezuela, del Brasile. Il Venezuela – Chavez in particolare – è capofila di una coalizione più piccola, che raccoglie Paesi come la Bolivia, l’Ecuador, il Nicaragua, che hanno leader che somigliano a Chavez dal punto di vista delle proposte politiche, da un lato certamente populiste e, dall’altro, comunque attente maggiormente ai bisogni delle fasce più deboli della popolazione.

    D. – Sul fronte internazionale, rimane l’asse con Cuba e la posizione di favore che Chavez ha assunto nei confronti dell’Iran. Questo ha più volte creato tensione con gli Stati Uniti. Come leggere queste posizioni?

    R. – Nel caso di Cuba, c’è questo tentativo del Venezuela di fare entrare l’isola nel proprio ambito d’influenza, anche economica. Con l’Iran, l’impressione è che davvero sia una mossa da leggere più in chiave antiamericana. Sappiamo quanto Chavez cerchi sempre di sottolineare la sua distanza dall’amministrazione statunitense. E in questioni di geopolitica, essere amico del nemico è un po’ un messaggio che si dà all’interlocutore, che in questo caso appunto è Washington.

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    Eurogruppo: via libera a nuovo meccanismo permanente di salvataggio Ue

    ◊   In giornata arriverà il via libera dall’Eurogruppo, riunito a Lussemburgo al’Esm, il nuovo meccanismo permanente di salvataggio europeo, la cui dotazione finale sarà di 500 miliardi di euro. Da oggi, il fondo sarà in pratica operativo. Ma cosa cambia da questo momento in poi per l’Europa e la difficile gestione della crisi? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Ugo Bertone, direttore di “Finanza e Mercati”:

    R. - Cambia che, finalmente, viene aumentata la quotazione - diciamo - delle “munizioni” a disposizione dell’Unione Europea. Fino ad oggi avevamo soltanto l'Efsf (Fondo di Stabilità Finanziaria). Dietro questa sigla, c’è stato il fondo che ha raccolto i soldi che sono serviti per la Grecia, e in misura minore per il Portogallo e l’Irlanda. Adesso, invece, scatta qualche cosa di più forte, perché la dotazione sarà di 500 miliardi, anche se è inferiore a quello che avrebbe voluto sia il Fondo monetario, sia l’Italia, sia la Francia. Comunque, è la forza d’urto che permetterà di aiutare la Spagna - eventualmente anche l’Italia - quindi, da quel punto di vista è uno strumento indispensabile. Non sappiamo se sarà sufficiente, ma sicuramente indispensabile sì.

    D. - Da chi sarà gestito questo meccanismo europeo di stabilità e come funzionerà in pratica?

    R. - Viene finanziato dai singoli Stati. In questo momento, viene avviata la sua dotazione - perché vengono versati soltanto i due quinti del totale - avrà una dotazione, quindi, di 32 miliardi. Però, da questi 32 miliardi - altri 32 arriveranno nel 2013, ed altri 16 nel 2014 - si vuole avviare una dotazione di “fuoco”, una forza di “fuoco”, di 500 miliardi. Viene gestito da rappresentanti dell’Unione Europea e dovrà lavorare in stretta sinergia con la Banca centrale europea.

    D. - Invece, per quanto riguarda la Grecia, che sta vivendo un ulteriore momento di criticità - abbiamo visto che il governo di Samaras ha già comunicato che hanno fondi a sufficienza per tirare avanti solo fino alla fine di novembre – in questo Eurogruppo nessuna decisione…

    R. - Assolutamente no. L’Esm riguarda i Paesi che hanno ancora accesso al mercato, quindi non riguarda la Grecia, così come non riguarda lo “scolaro diligente”, che è il Portogallo. La Grecia ha già avuto molti soldi, perché a calcolarli sono oltre 300 miliardi, ma non sono sufficienti. La Grecia dice: “Se volete che noi continuiamo a fare degli sforzi, e continuiamo a fare sacrifici, dovete renderci il compito possibile, altrimenti è meglio gettare la spugna subito”. Atene, in sostanza, ha chiesto di rinviare di due anni le scadenze per raggiungere gli obiettivi già concordati precedentemente. A questo punto, la palla passa agli altri: dovrà decidere la Germania cosa fare e sarà una decisione estremamente complessa, perché in Germania si stanno avvicinando le elezioni e credo che almeno l’80% dei tedeschi sia contrario a dare nuovi aiuti alla Grecia, che finora non è che abbia fatto quanto richiesto.

    D. - Non è un caso che la Merkel arrivi nelle prossime ore ad Atene: una visita molto attesa ma anche carica di tensione…

    R. - Carica di tensione, però diciamo che la Merkel compie un gesto di grande coraggio, perché in questo modo sta a indicare esplicitamente che la Germania non vuole che la Grecia esca. La cancelliera si espone in prima persona, espone la sua faccia per evitare questo. È il massimo che in questo momento può fare la Merkel, perché fino a ieri, bene o male, le riforme europee sono passate al Bundestag tedesco grazie all’opposizione. Adesso, stiamo entrando in una fase pre-elettorale forte: la tentazione dell’opposizione di fare uno “sgambetto” è altrettanto forte e la Merkel è assolutamente meno sicura di quanto poteva essere alcuni mesi fa. Quindi, questo, da un certo punto di vista, è positivo, perché vuol dire che di qui al prossimo vertice europeo occorre dare la spallata decisiva, perché - mano a mano che passa il tempo - la situazione della Grecia rischia di nuovo di essere un grosso problema.

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    Irlanda: iniziato il mese di preghiera per la vita. Corte europea pressa Dublino sull'aborto

    ◊   In Irlanda è iniziato ieri uno speciale mese di preghiera per la vita in vista di un importante decisione che il governo irlandese dovrà prendere nei prossimi giorni: la risposta ufficiale di Dublino alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che, in una sentenza del 2010, intima all’Irlanda di introdurre una legge sull’aborto laddove la vita della donna sia in pericolo. Nel Paese l’interruzione di gravidanza è ancora vietata. I vescovi irlandesi, in una lettera pastorale intitolata “Scegli la vita!” e letta ieri in tutte le parrocchie, invitano a non separare il diritto alla vita della madre dal diritto alla vita del figlio. Ascoltiamo in proposito l’arcivescovo irlandese di Tuam, mons. Michael Neary, al microfono di Emer McCarthy:

    R. – In the coming weeks our government...
    Nelle prossime settimane il nostro governo irlandese deciderà come rispondere alla sentenza emessa nel 2010 dalla Corte Europea dei diritti umani. Nonostante quanto alcune persone hanno asserito, il governo irlandese non intende essere costretto dalla Corte europea a legiferare in materia di aborto. Come vescovi facciamo appello a chi rappresenta il nostro Paese a rispettare l’essere umano e la vita dei nascituri e quindi a rifiutare l’aborto. La Chiesa non ha mai pensato che la vita di un bambino nell’utero possa essere preferita a quella della madre: la vita di entrambi, della madre e del nascituro, sono sacre. Questo causa confusione, ma – ripetiamo - la preoccupazione per la vita della madre deve andare di pari passo con la preoccupazione per il bambino che deve nascere. E chiunque è a favore della vita deve essere a favore sia del nascituro che della madre.

    D. – L’Irlanda è uno dei pochi Paesi nel mondo in cui l’aborto non è legale...

    R. – The World Health Organization recognized...
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto che l’Irlanda, Stato senza aborto, rimane uno dei Paesi più sicuri in cui aspettare un bambino e partorire. E questo è qualcosa di cui dovremmo essere orgogliosi come Paese, ma è anche qualcosa che dovremmo cercare di proteggere. E’ un momento decisivo per il nostro Paese.

    D. – Recentemente si è tenuto un grande raduno a favore della vita con molte persone, cattolici e non, preoccupati per la vita dei nascituri in Irlanda. In migliaia hanno partecipato all’evento: lei ne è rimasto sorpreso?

    R. – No, I’m not surprised, because...
    No, non sono sorpreso, perché la genetica e la tecnologia sono state in grado di mettere in risalto alcune delle bellezze e dei misteri della vita durante la gravidanza. Ogni madre e padre che abbiano guardato con meraviglia l’ecografia del loro bambino, o abbiano ascoltato il suo cuore battere per la prima volta, sicuramente sanno quanto sia veloce lo sviluppo del loro bambino nell’utero: tutto ciò fa capire ancora di più come il bambino non diventi un essere umano quando nasce ma lo sia sin dall’inizio del concepimento.

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    Convegno mondiale di Radio Maria. Padre Livio: servono testimoni della fede anche nei media

    ◊   “Cammino di fede, missione d’amore”. E’ il tema del V Convegno mondiale della Famiglia di Radio Maria, in corso a Collevalenza presso il Santuario dell’Amore Misericordioso, fino al prossimo 12 ottobre. All’appuntamento partecipano oltre 200 delegati, provenienti da tutti i Continenti, delle 64 "Radio Maria" oggi operanti nel mondo. Quali le nuove sfide per l’emittente cattolica? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria in Italia:

    R. – Noi ci rendiamo conto, come tante volte ha sottolineato il Santo Padre, che il mondo vive una crisi di fede e una crisi può essere fronteggiata soltanto con la testimonianza della fede, che deve avvenire, ovviamente, attraverso la vita personale, ma anche attraverso i mass media. Oggi, abbiamo bisogno di evangelizzatori che testimonino con la vita, ma che allo stesso tempo parlino di Dio alle persone, dopo aver però parlato loro stessi con Dio. Quindi, la prima grande sfida, a mio parere, è quella della testimonianza della fede in un mondo in cui, purtroppo, c’è la nebbia dell’incredulità e del dubbio. L’altra grande sfida è, secondo me, quella di essere presenti, sul piano tecnologico, seguendo l’evoluzione dei mass media. Da questo punto di vista, devo dire che la radio ha un grande futuro.

    D. – La radio ha un grande futuro e l’Anno della Fede, che si aprirà giovedì prossimo con la Messa solenne presieduta dal Papa, è una straordinaria opportunità proprio per la grande famiglia di Radio Maria nell’affiancare la Chiesa in quest’opera di evangelizzazione. In che modo Radio Maria accompagnerà e scandirà questo Anno della Fede?

    R. – Intendiamo come sempre ovviamente collaborare, anche in stretta connessione con Radio Vaticana, nel far risuonare la parola del Santo Padre ovunque, nel far risuonare le parole del Santo Padre nelle varie lingue. Poi, soprattutto per quanto riguarda l’Anno della Fede, noi abbiamo una grande tradizione alle spalle, che dobbiamo soltanto rinverdire: la tradizione del Catechismo della Chiesa Cattolica. L’Anno della Fede deve essere un anno del grande rilancio del Compendio della fede che è il Catechismo della Chiesa cattolica. Il Catechismo della Chiesa cattolica racchiude la grandezza, la bellezza e la ricchezza spirituale del Concilio. Con i direttori, abbiamo messo all’ordine del giorno che ogni direttore prenda in mano il Catechismo e faccia ogni giorno una catechesi su di esso, che è di una ricchezza non solo dottrinale, ma anche spirituale straordinaria. E’ una fonte di acqua viva, verso la quale dobbiamo portare le persone.

    D. – Quali i tratti peculiari di Radio Maria?

    R. – Noi non possiamo dimenticare che Radio Maria porta il nome di Maria, e quindi portando il nome di Maria deve ispirarsi alle caratteristiche della Madre di Dio, che sono la dolcezza, l’umiltà, la maternità, l’attenzione ai figli che soffrono, a quelli più diseredati, alle persone anziane, alle persone deboli, ai carcerati… Sono dei tratti fondamentali di Maria come Madre che dobbiamo portare qui a Radio Maria. Poi, dobbiamo affidarci alla Provvidenza. Noi dobbiamo vivere con le risorse dei nostri ascoltatori. Escludiamo assolutamente la pubblicità e abbiamo portato Radio Maria in 74 nazioni. In 64 di queste Radio Maria è già operativa. Nelle altre speriamo che lo siano entro la fine del prossimo anno. Abbiamo fatto tutto questo con le risorse, con le offerte della gente e senza finanziamenti esterni.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    India: in Orissa arrestati 20 cristiani. Celebravano un battesimo

    ◊   Aggrediti e picchiati da nazionalisti indù, infine arrestati dalla polizia locale, perché "colpevoli" di celebrare un battesimo. È accaduto a Kanthapada, nel distretto di Balasore (Orissa), a 20 cristiani pentecostali (di questi, 10 erano i catecumeni), il 2 ottobre scorso. Per Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), il fatto è "scandaloso", e per questo "chiediamo al chief minister dell'Orissa di aprire un'inchiesta sui funzionari di polizia coinvolti". Responsabili dell'incidente, un nutrito gruppo di nazionalisti indù appartenente alla Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) e al Vishwa Hindu Parishad (Vhp). Questi hanno fatto irruzione nel bel mezzo della cerimonia, picchiando e insultando il pastore Jayaram Marandi e i fedeli. Poco dopo, agenti della stazione di polizia di Khantapada hanno raggiunto il posto, costringendo i 20 cristiani a salire sulla camionetta, che li ha portati in centrale per l'interrogatorio. Dopo l'arresto, la polizia ha dispiegato un considerevole numero di agenti per "controllare" che nulla accada nel villaggio. Sajan George spiega: "Per perseguitare, intimidire e far arrestare queste comunità cristiane, i nazionalisti indù sfruttano l'atroce Orissa Freedom of Religion Act 1997 (Ofra Act 1997, la legge anticonversione dello Stato), con la connivenza e il tacito assenso di amministrazione e polizia". Secondo il presidente del Gcic, "il governo dello Stato dovrebbe fermare quanti usano il decreto per perseguitare la popolazione e minacciare la Costituzione, che si basa sul rispetto della giustizia e della libertà". Sulla carta, le leggi anticonversione proibiscono le conversioni che avvengono "tramite forza, coercizione o frode", e permettono così al governo di indagare. Di fatto, esse vengono applicate solo nei casi di indù che passano a un'altra religione. Dalla loro attuazione, le conversioni sono diminuite. Intanto, il Gcic è giunto a conoscenza di un altro attacco avvenuto in Orissa. Il 24 settembre scorso a Krutamgarh (distretto di Kandhamal), 12 attivisti indù del Bajrang Dal hanno interrotto un servizio di preghiera di una comunità cristiana pentecostale. L'attacco è stato particolarmente violento: gli aggressori hanno infatti costretto a terra e picchiato il pastore Mantu Nayak, che ha riportato gravi ferite alla testa e fratture a entrambe le braccia. Per il momento, la polizia ha fermato otto attivisti e sarebbe in cerca degli altri. (R.P.)

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    Nigeria: mons. Onaiyekan chiede un Forum nazionale per trattare con Boko Haram

    ◊   “I propositi esitanti” del governo nigeriano per aprire un contatto con l’organizzazione jihadista Boko Haram “devono essere perseguiti con più vigore e trasparenza, perche “quelli che il governo ha sempre definito come ‘gente senza volto’ devono far cadere la maschera. Se il dialogo avviene a vantaggio di tutti noi, abbiamo bisogno di essere adeguatamente informati a un certo momento, e quel momento è arrivato”. Lo ha dichiarato l'arcivescovo di Abuja, mons. John Olorunfemi Onaiyekan intervenendo la scorsa settimana alla Conferenza internazionale di Rodi, organizzata dal World Public Forum-Dialogue of Civilizations (Wpf-Dc). Secondo l’arcivescovo nigeriano, il governo di quella che lui stesso ha definito la più grande nazione cristiano-islamica del mondo, “ha bisogno di coinvolgere altri soggetti interessati nella discussione, a partire dalle forze religiose, politiche, economiche e etnico-sociali”. Solo un Forum nazionale di tale natura secondo mons. Onaiyekan, potrebbe “facilitare un approccio più ampio per trovare una soluzione definitiva”. Nella sua ampia relazione - riferisce l'agenzia Fides - l’arcivescovo ha riconosciuto che le violenze di Boko Haram hanno obiettivamente ottenuto l’effetto di “polarizzare la nostra nazione lungo linee di demarcazione religiosa, portando duri colpi alla nostra fragile armonia costruita in tanti anni di sforzi pazienti”. Anche in quest'ultimo weekend almeno 17 persone sono state uccise nel villaggio di Doko Kuka, nello Stato di Yobo da terroristi di Boko Haram. Allo stesso tempo, ha ammesso il presule, “non è solo l’Islam che deve trattare coi suoi ‘cani pazzi’. Ci sono fanatici anche nel campo cristiano, le cui attitudini sono tutt’altro che pacifiche. Gli Yoruba – ha raccontato l’arcivescovo - traducono la parola ‘fanatici’ con ‘Agbaweremesin’, che letteralmente significa ‘quelli che hanno adottato la follia come religione’. Le comunità religiose hanno il dovere di eliminare ogni ‘follia’ tra i propri seguaci, attraverso un sistema di auto-regolamentazione dei propri predicatori. Ma finché molti di questi predicatori pazzi non sono sotto il controllo di alcuno, toccherà allo Stato monitorare l’uso della libertà di espressione”. Il World Public Forum per il dialogo tra le civiltà, presieduto Vladimir Ivanovich Yakunin – che in Russia è anche presidente della compagnia statale delle ferrovie - riunisce ogni anno nell’isola di Rodi studiosi, leader religiosi e protagonisti del mondo dell’economia e della politica per incontri e dibattiti centrati sulla questione del dialogo tra le civiltà. Quest’anno alla decima edizione degli incontri di Rodi hanno partecipato anche l’arcivescovo slovacco Cyril Vasil’, Segretario della Congregazione per le Chiese orientali, e mons. Giorgio Biguzzi, vescovo emerito della diocesi di Makeni, in Sierra Leone. (R.P.)

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    Messico. Mons. Arizmendi: non possiamo restare indifferenti di fronte alla violenza

    ◊   “Non possiamo restare indifferenti di fronte a tanti problemi; e neanche ridurci solo al lamento e alle critiche, a dare la colpa a uno o all'altro. Vogliamo generare speranza, perché non tutto è perduto. Ci sono le strade, c'è la luce, ci sono cuori buoni e nobili. Ci si può sedere e parlare, ascoltarsi a vicenda, con le nostre legittime differenze e posizioni”: si è espresso così mons. Felipe Arizmendi, vescovo di San Cristóbal de las Casas, nel suo intervento all'incontro “Fede e Cultura, dialogo per la Pace” svoltosi presso il Centro Culturale Universitario e organizzato dalla Conferenza episcopale e dall'Università autonoma del Messico. Mons. Arizmendi ha sottolineato che “la violenza vissuta nel paese, ci ha portato oggi ad assumere diverse posizioni radicali, e a non far rispettare le leggi civili e religiose, così ognuno cerca di ottenere quello che vuole senza dare importanza a ciò che succede". Il vescovo ha detto di ritenere che il Messico soffra una frattura sociale, politica, culturale e religiosa, "per questo motivo, dinanzi alle posizioni radicali e alla incapacità di vivere nel rispetto, nell’armonia e nella pace all'interno di una legittima pluralità, è necessaria l'unità al di là delle differenze". (R.P.)

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    Haiti ringrazia Caritas Messico per l'incessante aiuto ai terremotati del 2010

    ◊   Mons. Pierre Dumas, vescovo di Anse-à-Veau et Miragoane, nella sua veste di presidente di Caritas Haiti, ha ringraziato la Conferenza episcopale messicana, "che dopo il terremoto non ha smesso di aiutare il nostro Paese, la Chiesa di Haiti e i più vulnerabili. In questo senso, si può dire che c'è veramente un rapporto fraterno tra il Messico e Haiti, tra la Chiesa del Messico e la Chiesa di Haiti, grazie al coinvolgimento diretto di vescovi e cardinali del Messico”. La nota inviata all’agenzia Fides dall'Arcidiocesi di Città del Messico ricorda che l'occasione di tale pronunciamento è stata data dalla presentazione, ad Haiti, del "Piano Strategico Caritas Haiti 2012-2017", alla presenza dei delegati Caritas di diversi Paesi dell’America, vescovi e laici, che hanno riconosciuto lo spirito di fratellanza, la perseveranza e la dedizione di Caritas Messico, che dopo il terremoto del gennaio 2010 "non ha mai lasciato sole le persone in disgrazia". "Oggi ci sono circa 12 Caritas, tra cui quella del Messico, che continuano ad avere una presenza fisica ad Haiti. Il Messico dovrebbe essere orgoglioso della sua capacità di rispondere immediatamente ad un Paese fratello. La Caritas messicana ha avuto un ruolo da protagonista senza precedenti" ha detto Francisco Hernandez Rojas, coordinatore regionale della Caritas in America Latina e nei Caraibi, che comprende 22 organizzazioni. (R.P.)

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    Corea: ong di Seul inviano nuovi aiuti al Nord dopo le inondazioni

    ◊   In seguito alle pesanti alluvioni che si sono abbattute nella Corea del nord la scorsa estate, che hanno causato centinaia di vittime e migliaia di senza tetto, varie Ong della Corea del Sud hanno inviato altre 500 tonnellate di farina. Secondo fonti sudcoreane riprese dall'agenzia Fides, undici delegati del Consiglio per la cooperazione con la Corea del Nord, in rappresentanza di 51 benefattori privati, sono andati a Kaesong, vicino alla striscia militare divisoria con il Sud, e hanno verificato la distribuzione dei generi alimentari. Si tratta del secondo invio privato di aiuti umanitari dal Sud al Nord, dopo che a metà settembre una associazione buddista aveva inviato un altro carico di farina. In passato il Nord aveva rifiutato una proposta di aiuti del Governo della Corea del Sud consistente in 10.000 tonnellate di farina, medicinali e altri generi di prima necessità, ritenendola inappropriata. Il contingente non includeva infatti riso e cemento, materiali richiesti subito dopo le inondazioni dalla Corea del Nord ma che il Sud aveva rifiutato di mandare per timore che potessero essere utilizzati per usi non umanitari. Le piogge torrenziali, effetto degli abituali tifoni estivi, hanno provocato la morte di circa 300 persone e 600 tra feriti e dispersi, oltre ad aver lasciato migliaia di persone senza casa, campi allagati e infrastrutture distrutte. Il Governo della Corea del Sud segue da vicino il percorso di tutti gli aiuti inviati al Nord, per evitare che non raggiungano quanti si trovano realmente in stato di necessità. (R.P.)

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    Sri Lanka: il cardinale Ranjith difende i pescatori contro i mega progetti turistici

    ◊   Lo Sri Lanka "ha bisogno di sviluppo", ma che abbia come obiettivo "il benessere del popolo, nel rispetto di dignità, diritti e libertà di ognuno. Al contrario, decisioni prese sulla pelle della gente non renderanno il Paese una 'Meraviglia dell'Asia'". Così il cardinale Malcolm Ranjith, presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, invita il governo a rivedere la propria politica fiscale, denunciando una corsa allo sviluppo che favorisce le grandi multinazionali, a scapito però di popolazione ed ecosistema. La zona più colpita da questo "progresso a tutti i costi" - riferisce l'agenzia AsiaNews - è la laguna di Negombo (Central Province), comunità di pescatori a maggioranza cattolica, e per questo soprannominata "Little Rome". Per discutere il problema, il 4 ottobre scorso il porporato ha organizzato una conferenza stampa al Cardinal Cooray Educational Centre di Negombo. Nel 2011, il presidente Mahinda Rajapaksa ha avviato una serie di progetti di sviluppo - soprattutto nell'ambito del turismo - per rendere lo Sri Lanka una "Meraviglia dell'Asia". Essi prevedono la costruzione i resort e alberghi di lusso, con l'ambizioso obiettivo di avere 2,5 milioni di turisti entro il 2016 ed entrate per miliardi di rupie. Gli appalti però sono tutti affidati a grandi multinazionali straniere: la popolazione locale non è coinvolta in alcuna decisione, e al massimo viene usata come manodopera. Questo, nonostante i progetti colpiscano i cittadini con espropri forzati e violazioni di vario genere. Padre Pradeep Chaminda racconta che "persone influenti gettano i propri scarichi e rifiuti nella laguna di Negombo". Questo, insieme alla distruzione delle mangrovie, sta causando ingenti danni all'ecosistema della zona. Se le cose andranno avanti in questo modo, aggiunge il sacerdote, "la sopravvivenza di 4mila famiglie sarà a rischio". Un'altra questione delicata riguarda l'aumento del consumo di droga, in particolar modo tra i più giovani. Padre Terrance Bodiyabaduge accusa polizia e autorità di non occuparsi del problema, abbandonando la comunità a se stessa. "La sensazione - spiega il sacerdote - è che ci sia un piano nascosto per distruggere le vite di pescatori, giovani e bambini. Questa zona era famosa per i liquori tossici, ora per la droga: è una tragedia. I piccoli sono il futuro della nostra Chiesa". Di recente, anche il Cardinal Cooray Educational Centre è entrato nel mirino delle autorità, per quel che riguarda l'approvvigionamento di energia elettrica. Il governo, spiega padre Francis Senanayake, vorrebbe tassarlo come ente commerciale, ma "in questa struttura formiamo insegnanti; ospitiamo conferenze e programmi per le famiglie. Non organizziamo attività a scopo di lucro o per finanziarci". (R.P.)

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    Pakistan: le inondazioni hanno causato 450 morti. 5 milioni le persone colpite

    ◊   Sono almeno 450 le persone morte e 4,9 milioni quelle colpite dalle inondazioni provocate dal monsone che quest’anno ha colpito il Pakistan. Circa 275 mila abitazioni e attività commerciali sono state gravemente danneggiate, in particolare nei distretti delle province meridionali del Sindh e del Baluchistán. Il monsone - riferisce l'agenzia Fides - si è esaurito alla fine del mese di settembre ma, secondo fonti locali, in vista dell’inverno arriveranno ulteriori piogge e il ritmo con il quale l’acqua si sta ritirando da alcune zone è molto lento. Nel 2010 il paese ha vissuto le peggiori alluvioni della sua storia in seguito ad un disastroso monsone che, insieme ad un disgelo particolarmente abbondante, ha determinato una piena del fiume che ha allagato gran parte del paese. In quella occasione sono stati registrati oltre 20 milioni di persone danneggiate e circa 2 mila morti, mentre quello dello scorso anno, ha allagato circa il 75% dei campi nel sud del Paese. (R.P.)

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    Giappone: vescovo di Sendai denuncia discriminazione contro gli abitanti di Fukushima

    ◊   Le radiazioni che hanno colpito la zona di Fukushima dopo il terribile incidente dell'11 marzo del 2011 "non sono imputabili alla popolazione della zona, ma al Giappone intero. Abbiamo vissuto fino a quel giorno consumando quantità enormi di energia, e chi le ha prodotte non può pagare per tutti. Si deve interrompere questa campagna di discriminazione prima che sia troppo tardi". È quanto scrive in un appello pubblico mons. Martino Tetsuo Hiraga, vescovo di Sendai (la diocesi che ospita la centrale di Fukushima). Nel testo, il presule spiega che "le radiazioni emesse dopo l'incidente della centrale Daiichi sono state 168 volte più letali di quelle immesse nell'atmosfera dalla bomba di Hiroshima. Questo ha creato seri danni a tutte le Prefetture raggiunte dai venti nucleari. Ma soprattutto ha distrutto l'economia locale e la speranza di ripresa per questa gente: questo non è giusto, dato che loro stanno pagando per tutti noi". Secondo mons. Hiraga "il fatto stesso che le centrali nucleari siano da sempre costruite nelle aree rurali del Giappone è già di per sé una forma di discriminazione. Una volta aperte, le centrali dividono le popolazioni che le ospitano: alcuni si oppongono, altri ci vanno a lavorare. Ma questi ultimi, a contatto quotidiano con le radiazioni, iniziano a morire per le cosiddette 'polveri mortali'. E questo avviene da anni". Oggi i prodotti che vengono da Fukushima non riescono a trovare un compratore, e i bambini della zona non vengono accettati dalle scuole di altre Prefetture nonostante gli ordini di evacuazione del governo: "Questo non è giusto. Dobbiamo imparare a convivere con le radiazioni, dato che queste sono dovunque in Giappone. Dobbiamo combattere per impegnare il governo a trovare nuove forme di energia pulita, ma nel frattempo non possiamo abbandonare i nostri fratelli". L'appello ha prodotto alcuni frutti, fra cui la visita compiuta ieri dal premier nipponico Yoshihiko Noda ai reattori delle centrali che - dopo il terremoto e lo tsunami - hanno ceduto iniziando a contaminare la zona. Noda ha chiesto una "rapida decontaminazione" e ha portato alla popolazione locale "il sostegno di tutto il popolo nipponico". L'11 marzo del 2011, alle 14,46 un terremoto ha colpito le coste settentrionali del Giappone. Subito dopo si è scatenato uno tsunami che ha spazzato via le città e i villaggi nelle prefetture di Sendai, Miyagi e Fukushima e ha provocati ingenti danni ai reattori nucleari della centrale Daiichi. Nella tragedia sono morte più di 19mila persone. (R.P.)

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    Sudafrica: per il vescovo di Rustenburg si rischia una guerra tra minatori

    ◊   “La situazione è esplosiva. C’è il rischio di un conflitto tra i 12.000 minatori licenziati e le altre decine di migliaia di minatori che hanno deciso di continuare a recarsi al lavoro” dice all’agenzia Fides mons. Kevin Dowling, vescovo di Rustenburg, dove la società Amplats, leader mondiale dell’estrazione del platino, ha annunciato il 5 ottobre il licenziamento di 12.000 dei suoi 28.000 minatori, in sciopero selvaggio dal 12 settembre. Chi non si è presentato al consiglio di disciplina, convocato dalla società, è stato immediatamente licenziato. I lavoratori chiedono un forte aumento salariale simile a quello ottenuto, dopo giorni di scioperi e violenze, dai minatori delle miniere della società Lomnin di Marikana. Lo sciopero è caratterizzato da violenze, scontri con la polizia, minacce e intimidazioni nei confronti di chi intende recarsi al lavoro. “A cause delle violentissime proteste di queste settimane, a Rustenburg siamo stati costretti a chiudere il Centro sanitario cattolico che opera nel vicino ‘shack settlement’ (baraccopoli), gestito da una suora che si prende cura delle persone più indigenti. Questa clinica infatti si trova nei pressi della miniera di Amplats dove le proteste si sono fatte molte violente” dice a Fides mons. Dowling. A Rustenburg, il 4 ottobre un minatore è stato ucciso durante gli scontri con la polizia, mentre il 5 ottobre a Marikana, un sindacalista della miniera Western Platinium è stato ucciso in casa sua. “A Marikana la situazione avrebbe dovuto essere più calma, invece c’è stato questo omicidio” dice mons. Dowling. “Le proteste sono ora concentrate a Rustenberg. Non si sa perché il sindacalista sia stato ucciso, forse è in atto uno scontro con un altro sindacato, ma sono solo ipotesi, perché le indagini sono ancora in corso” conclude il vescovo. (R.P.)

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    Guinea Bissau: nuova parrocchia nella diocesi di Bissau dedicata a Santa Bakhita

    ◊   Il vescovo di Bissau, mons. José Camnate na Bissign, ha presieduto ieri, la cerimonia di fondazione di una nuova parrocchia della sua diocesi: si tratta della comunità di San Domenico che sarà ufficialmente dichiarata parrocchia e dedicata a "Santa Bakhita" in San Domenico. L'evento, come informa l’agenzia Fides la Curia diocesana di Bissau, è stato preparato con una serie di iniziative sotto il tema "Sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che unisce in modo perfetto” (Col 3.14). Il 27 settembre il parroco della parrocchia “Nostra Signora della Luce” di Suzana, padre José Fumagalli, ha ricordato “i primi passi della comunità di Santo Domingo. Il passato e il presente". Il giorno 28, padre Domingos Cà, vicario generale della diocesi di Bissau, ha parlato dell'identità di una Parrocchia. Il 29 settembre padre Cristiano Urolis, parroco della parrocchia di San Giuseppe a Bor e rettore del Seminario minore diocesano "S. Kizito", ha presentato l'esperienza di un parroco e illustrato il senso di appartenenza alla parrocchia. E’ stato anche organizzato un ritiro con le confessioni, guidato dal padre missionario Celso Corbioli, parroco della parrocchia "San Francesco d'Assisi" di Antula. Il 4 e 5 ottobre è stato infine proiettato il film “Santa Bakhita”, scelta come patrona della nuova parrocchia. L’ex schiava sudanese (1869-1947) venne canonizzata da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000, ed è la prima santa sudanese. Il primo parroco della nuova parrocchia è il padre italiano Franco Beati mentre vicario parrocchiale è il padre birmano Stephen Du Khu, entrambi missionari del Pime. La parrocchia si trova nella zona nord-est della Guinea-Bissau, alla frontiera con il Senegal e fa parte del settore pastorale di Cacheu. Con questa, il numero delle parrocchie della diocesi di Bissau sale a 27. (R.P.)

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    Cile: esortazione di mons. Chomali per l’Anno della Fede

    ◊   In vista della imminente apertura dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, l’arcivescovo di Concepción, mons. Fernando Chomali, esorta l’intera popolazione cilena a viverlo nei diversi settori della vita sociale e pastorale. “Nessuna parrocchia, nessuna cappella, nessuna famiglia, nessun collegio o università, nè alcun campo pastorale, deve rimanere fuori da questo invito, che si presenta luminoso e pieno di speranza in mezzo a tanta oscurità e sfiducia” si legge in una nota inviata all’agenzia Fides dall’arcivescovo. “Non ci sono dubbi che questa esortazione ci rinnoverà tutti nel nostro impegno e ci illuminerà ancora di più nel nostro impegno di evangelizzazione che ci è stato affidato”. “La fede – continua mons. Chomali - dà un orizzonte totalmente nuovo alla nostra vita e al nostro lavoro. Si presenta come un dono ma anche come un compito che dobbiamo accettare e realizzare. L’invito del Papa ad approfondire la lettura della Bibbia e lo studio costante del Concilio Vaticano II, che celebra 50 anni, e del Catechismo della Chiesa Cattolica al suo 20° anniversario, è rivolto a tutti i cattolici, nel contesto della ‘Missione Giovane’. Infatti, i giovani sono all’instancabile ricerca di senso per le loro vite e questo senso è dato da Gesù. Da Lui germoglierà tutta la vita nuova. Partendo dalla fede, il Papa ci chiama ad impegnarci in una vita concentrata sugli altri. La Chiesa cattolica fiorirà nella misura in cui la nostra fede si realizzerà in opere concrete a favore del nostro prossimo” evidenzia ancora l’arcivescovo. “Raggiungere l’altro annunciando la Parola, annunciando Gesù Cristo, rivelando il suo insegnamento di salvezza e di comunione, e servendo gli altri, soprattutto bisognosi, ci mette sulle orme del Signore” conclude mons. Chomali. (R.P.)

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    Filippine. Lettera di mons. Tagle: l’Anno della Fede "anno di ascolto, ma anche di missione”

    ◊   “L’Anno della Fede ci invita ad ascoltare il grido profondo e le aspirazioni della gente e delle società del nostro tempo, per proclamare loro Gesù Cristo con nuovi metodi, nuovi linguaggi e nuovo fervore. Sarà un anno di ascolto, ma anche di missione”. È quanto sottolinea l’arcivescovo di Manila mons. Antonio G. Tagle in una lettera pastorale letta ieri in tutte le parrocchie della capitale filippina in occasione dell’inizio dell’Anno della Fede l’11 ottobre. Nella lettera il presule, che è stato nominato membro della Commissione per il Messaggio della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi in corso a Roma, ricorda i motivi della scelta del 2012 per l’indizione dell’Anno della fede: ossia il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il 20° del Catechismo della Chiesa cattolica. Due eventi – sottolinea - che hanno segnato profondamente la vita della Chiesa universale in questo mezzo secolo attraversato anche “da drammatici cambiamenti che pongono nuove sfide, anche minacce, alla fede e alla sua trasmissione”. In questo senso “le Filippine, e specificamente l’arcidiocesi di Manila, non fanno eccezione. Ma – afferma la lettera - crediamo anche che il mondo contemporaneo, e specialmente i giovani e i poveri, esprimano una ricerca di Dio attraverso strade che anche la Chiesa deve scoprire”. Mons. Tagle esorta quindi i fedeli ad impegnarsi per “una crescita integrale nella fede” in quattro ambiti: a cominciare da “una più profonda comprensione di ciò in cui crediamo” attraverso un più intenso apostolato biblico, lo studio del documenti conciliari e gli insegnamenti che ne sono derivati nelle Filippine. L’arcivescovo di Manila invita poi a una più intensa “celebrazione del Mistero della Fede nell’Eucaristia, nella liturgia e nella preghiera” e a vivere la gioia della fede soprattutto attraverso “la conversione e una vita morale governata dalla giustizia, dalla carità e dalla solidarietà con i poveri” e la testimonianza coraggiosa di ciò in cui crediamo. Infine, l’invito alla “riscoperta della comunione ecclesiale in cui i diversi doni dello Spirito Santo sono offerti e sviluppati per rafforzare la Chiesa nelle Filippine e in altre parti del mondo”. La lettera pastorale conclude ricordando che l’Anno della Fede aprirà i nove anni di preparazione del quinto centenario dell’evangelizzazione delle Filippine. (A cura di Lisa Zengarini)

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    La Libreria Editrice Vaticana a Francoforte per la Fiera del libro

    ◊   Anche quest’anno la Libreria editrice vaticana (Lev) parteciperà alla Fiera del libro di Francoforte (10-14 ottobre). L’editrice vaticana - riferisce l'agenzia Sir - ha attrezzato uno stand di 80 mq dove ospita anche i Musei Vaticani, la Biblioteca apostolica vaticana e l’editrice della Conferenza episcopale nord americana (Usccb). La Lev a Francoforte presenta oltre 600 titoli anche se l’offerta commerciale per i 70 editori che hanno chiesto appuntamento si limiterà ai titoli più recenti. Tra questi, si apprende dal comunicato diffuso oggi dall’editrice, le pubblicazioni sull’Anno della fede hanno una parte rilevante ad incominciare dallo stesso documento “La Porta della Fede” e “Pensieri sulla Fede” fino agli ultimi “Enchiridion della nuova evangelizzazione” a cura del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione e “Credere. Enchiridion della fede e della vita cristiana” a cura di Giuliano Vigini. Tra i diversi volumi che saranno presentati, le coedizioni Lev-Jaca Book “Origini delle religioni” del cardinale antropologo Julien Ries e “Atlante storico della Liturgia” di Keith Pecklers; in collaborazione con i Musei vaticani, infine, “La guida alla Città del Vaticano”, che “allinea la produzione editoriale vaticana a fianco delle più grandi ‘guide’ mondiali”. (R.P.)

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    Premio “Cuore Amico” a missionario in Pakistan, a religiosa in India e a due laiche in Congo

    ◊   Si terrà il 13 ottobre a Brescia, la ventiduesima edizione del “Premio Cuore Amico” che l’Associazione omonima, fondata nel 1980 da don Mario Pasini, assegna a figure esemplari di missionari con l’obiettivo di dare risalto alla grande opera svolta dalla Chiesa, per l’evangelizzazione e la promozione umana. Come consuetudine, in prossimità della Giornata Missionaria, anche quest’anno l’Associazione assegnerà il “Premio”, che ha una dotazione complessiva di 150mila euro, ad un sacerdote, una religiosa e due laiche. Per il 2012 la scelta di Cuore Amico è caduta sul sacerdote domenicano Aldino Amato, missionario in Pakistan dal 1962, dove si è sempre dedicato all’istruzione e alla formazione dei giovani. La religiosa scelta è suor Maria Giovanna Alberoni, delle suore Orsoline, medico chirurgo in India, in missione dal 1948. Per i laici saranno premiate Lucia Robba e Mariuccia Gorla, volontarie da 31 anni in Congo, la prima come infermiera e la seconda come animatrice di progetti di sviluppo. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 282

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