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Sommario del 02/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • L'attesa del Papa a Loreto, il Santuario che custodisce la Santa Casa di Nazareth
  • Mons. Mamberti all'Onu: crisi in Siria si risolve rispettando il diritto internazionale
  • Ripartire dagli Archivi: in Vaticano, un Convegno internazionale sul Concilio
  • Processo in Vaticano. Gabriele: "Sono innocente". La Gendarmeria: rispettati i diritti del detenuto
  • Mons. Tomasi: servono norme internazionali a tutela dei non vedenti
  • Nuova App per Iphone della Radio Vaticana
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: 300 mila gli sfollati. Mosca a Nato: no intervento militare
  • Obama-Romney, tutto pronto per il primo dibattito televisivo
  • Georgia: l'opposizione in testa nelle legislative di ieri. Saakashvili ammette la sconfitta
  • "Giornata internazionale della Nonviolenza". L'Onu: urge diffondere educazione alla pace
  • La famiglia al centro della 47.ma Settimana Sociale, a Torino nel settembre 2013
  • Forum cooperazione: investire nei Paesi in via di sviluppo e nella green economy
  • Morto a Roma Shlomo Venezia, sopravvissuto ad Auschwitz. Testimone della Shoah
  • Un convegno ricorda le donne del Concilio Vaticano II
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Appello delle Chiese: "Salvate il patrimonio religioso, storico e culturale del Paese"
  • India: Giornata di preghiera e digiuno per dire “no” alla violenza anticristiana
  • Pakistan. Paul Bhatti: “Rimsha verso l’assoluzione”
  • Giordania: timori di mons. Lahham per la manifestazione islamista di venerdì
  • Onu: crisi umanitarie a livelli mai raggiunti nella storia recente
  • Congo. Guerra in Kivu: appello delle donne di Goma
  • Kenya: il vescovo anglicano invita a "non rispondere con la violenza alla violenza"
  • Sudan: conclusa la plenaria dei vescovi. Confermato un solo Segretariato
  • Senegal: speciale cappellania per i cattolici in politica
  • Vietnam. La missione: “sfida” dei cattolici nell’Anno della Fede
  • Cile: nel mese missionario il Paese vive anche la “Missione giovane”
  • Francia: nota dei vescovi sul matrimonio omosessuale
  • Repubblica Ceca: messaggio dei vescovi per la Beatificazione dei 14 martiri di Praga
  • Austria: i musulmani chiedono la costruzione di chiese cristiane in Arabia Saudita
  • Unicef: al via la Settimana per l'allattamento materno
  • Il Papa e la Santa Sede



    L'attesa del Papa a Loreto, il Santuario che custodisce la Santa Casa di Nazareth

    ◊   La città marchigiana di Loreto e non solo conta le ore che la separano dall’incontro con Benedetto XVI, che dopodomani mattina celebrerà la Messa sul sagrato del celebre Santuario mariano, mezzo secolo dopo o’analoga visita che Giovanni XXIII fece prima di aprire il Concilio Vaticano II. Il Santuario, secondo un’antica tradizione, oggi comprovata da ricerche storiche e archeologiche, custodisce la casa nazaretana della Madonna. Ma quali sono le prove di ciò? Alessandro Guarasci lo ha chiesto a padre Giuseppe Santarelli, direttore della Congregazione Universale della Santa Casa:

    R. - Sono soprattutto gli elementi di carattere archeologico che identificano proprio le pietre della casa di Loreto come pietre provenienti da Nazareth, sia per la lavorazione esterna di stile nabateo, come ce ne sono in Palestina, introdotte dai Nabatei di Petra, ma sia soprattutto per i graffiti giudeo-cristiani, circa 50, che si possono leggere nelle pietre della Santa Casa, uno in modo particolare in greco con lettere ebraiche che si può spiegare solamente se si pensa che le pietre vengono da Nazareth e sono state segnate così con quei graffiti dai giudeo-cristiani e poi venute su nel 1291-94 durante la traslazione della Santa Casa secondo la tradizione. Sono elementi oggettivi davanti ai quali difficilmente si possono muovere obiezioni.

    D. - E’ sorprendente che sia arrivata ai nostri tempi in uno stato quasi perfetto di conservazione…

    R. – Sì, perfetto. A Nazareth la Santa Casa era conservata sotto una chiesa di stile sinagogale, costruita dai giudeo-cristiani intorno alla fine del secondo, inizio terzo secolo, poi custodita sotto una chiesa bizantina, una basilica, e al tempo dei crociati tra l’11.mo e il 12.mo secolo sotto una splendida basilica crociata nella cripta. Quindi, un edificio, per quanto fragile, custodito dentro un altro edificio sfida i secoli, nel senso che non è soggetto all’erosione degli agenti atmosferici. A Loreto, è avvenuto altrettanto perché è stata subito protetta con un muro grande e poi è stata protetta da una prima chiesa della fine del ’300 e infine da questa splendida basilica sorta nel 1469 su disegno probabile di Francesco di Giorgio Martini, un grandissimo architetto toscano del 15.mo e 16.mo secolo.

    D. - Voi frati di Loreto che cosa fate per favorire la devozione mariana?

    R. - C’è il Rettorato con il rettore che coordina il tutto, c’è la sagrestia che accoglie i sacerdoti per le celebrazioni, c’è la Custodia che accoglie i pellegrini che vanno in Santa Casa, c’è la Congregazione della Santa Casa che promuove il culto mariano lauretano con un’équipe di collaboratori, e soprattutto c’è il Corpo dei penitenzieri, che accolgono i penitenti da ogni parte del mondo anche nelle varie lingue. Naturalmente, la Congregazione Universale della Santa Casa e anche l’archivio promuovono molte pubblicazioni di carattere scientifico, devoto, promozionale, divulgativo, per far conoscere la Santa casa il santuario, la sua storia, la sua arte, perché il Santuario di Loreto è il più ricco di opere d’arte fra tutti i Santuari mariani del mondo. Lo ha messo in evidenza anche ultimamente il ministro Ornaghi, che è venuto a Loreto per la festa della Natività di Maria l’8 settembre.

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    Mons. Mamberti all'Onu: crisi in Siria si risolve rispettando il diritto internazionale

    ◊   Sulla crisi in Siria “non è possibile una soluzione fuori del rispetto delle regole del diritto internazionale e del diritto umanitario”. Lo ha affermato l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati nel suo intervento di ieri a New York, durante la 67.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il presule è tornato a invocare una riforma degli organismi Onu, in sintonia con l’attuale scenario internazionale. Il servizio di Alessandro De Carolis.

    È un dato di fatto: a 67 anni dalla sua fondazione, l’Onu è un gigante dai piedi d’argilla e forse non solo i piedi. È molto esplicito mons. Mamberti nel mettere il dito su una piaga – quella della effettiva capacità delle Nazioni Unite di incidere sulle vicende internazionali – che potrebbe essere sanata se l’Onu cambiasse pelle. Dalla sua nascita a oggi, riconosce il presule, le Nazioni Unite hanno prodotto un corpus di leggi di riferimento “quasi universale” a tutela della pace. Difesa dei diritti umani, disarmo nucleare, cooperazione per lo sviluppo, risoluzione dei conflitti regionali, bilaterali o civili: innumerevoli sono gli ambiti in cui l’Onu è intervenuta e ha legiferato. Allora “com’è possibile – si chiede mons. Mamberti – che, malgrado l’adesione universale alla Carta delle Nazioni Unite e ai Trattati fondamentali, non si riesca a stabilire una giusta e vera governabilità mondiale?”.

    La domanda è cruciale come lo sono i drammi che interessano varie parti del pianeta, spesso travolte da guerre, terrorismo, criminalità, ovvero mezzi considerati – ha notato mons. Mamberti – come “il modo più facile” per “certi settori della popolazione mondiale” per “uscire dalla povertà” e ritagliarsi uno spazio sullo scacchiere internazionale. Perché questo è e resta il nodo irrisolto, sottolinea il rappresentante vaticano: il persistere di sperequazioni di vario genere, una mai ridotta distanza fra ricchezza e povertà, un progresso tecnologico da un lato impetuoso e dall’altro disordinato e, non ultimo, una crisi economica e finanziaria che ha gettato sul mondo l’ansia di una grave precarietà. Tutto ciò, ha affermato mons. Mamberti, ha minato gli equilibri internazionali dalla Guerra fredda in qua, sgretolando negli anni il nucleo di valori difeso dall’Onu. Ad esempio, la “perdita di fiducia nel valore del dialogo” ha evidenti riflessi sulla crisi siriana dove – ha scandito il presule – “non è possibile una soluzione fuori del rispetto delle regole del diritto internazionale e del diritto umanitario”.

    Ripetendo le parole di Benedetto XVI, il segretario per i Rapporti con gli Stati è tornato a sollecitare l’Onu a ripensare a se stessa a fronte di ciò che mons. Mamberti definisce un “indebolimento della portata pratica e degli obiettivi, fissati nel Preambolo e al capitolo primo della Carta delle Nazioni Unite. Quella che propone la Santa Sede, ha indicato, è una “risposta di ordine morale” e “conviene chiedersi – ha soggiunto – se le crisi che sconvolgono il pianeta non siano legate a una profonda crisi antropologica, cioè a una mancanza di una comune intesa su che cosa sia in verità l’uomo”. Negare questa visione trascendente, ha proseguito mons. Mamberti, rende “illusorio” peraltro il voler garantire una convivenza pacifica tra i popoli. Peggio, apre la porta a quelle forze che intendono riscrivere l’agenda degli impegni Onu minacciando il diritto alla vita, alla famiglia naturale, riducendo l’uomo a “consumatore” o ad “agente di produzione del mercato”.

    Dunque, perché le Nazioni Unite tornino a riflettere la “visione fondatrice dell’Organizzazione”, “risulta di primaria importanza – ha indicato mons. Mamberti – dare uno sbocco effettivo al dibattito aperto circa la riforma e il miglioramento del funzionamento degli organi” dell’Onu stessa. E questo, ha concluso, “non si potrà fare senza una convinzione condivisa circa i valori fondamentali”: rispetto della dignità umana, specie della libertà religiosa, e promozione di uno “sviluppo umano integrale”, che crei “le condizioni giuridiche, economiche e sociali che riflettono realmente l’importanza della dignità umana e della sua dimensione trascendente, sia a livello personale che collettivo”.

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    Ripartire dagli Archivi: in Vaticano, un Convegno internazionale sul Concilio

    ◊   “Il Concilio Ecumenico Vaticano II alla luce degli archivi dei Padri Conciliari”: è il tema di un Convegno internazionale nel 50.mo dell’apertura del Concilio, che si terrà in Vaticano, da domani al 5 ottobre prossimo. L’evento è stato presentato, stamani in Sala Stampa Vaticana, da padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche, e dal prof. Philippe Chenaux, direttore del Centro studi e ricerche “Concilio Vaticano” II della Lateranense, enti organizzatori del convegno. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Una vasta inchiesta su tutti i continenti per una “più profonda comprensione del Concilio Vaticano II”. E’ questo l’originale e ambizioso intento che si prefiggono il Pontificio Comitato di Scienze Storiche e l’Università Lateranense che ha, tra i suoi punti forti, la ricerca sugli archivi privati dei Padri conciliari. Uno sforzo che avrà come “primo passo” un Convegno internazionale che si terrà in Vaticano, in questi giorni. Evento, ha sottolineato padre Bernard Ardura, che alla luce del Magistero del Papa vuole promuovere una rilettura del Concilio aliena da ispirazioni ideologiche. Nell’occasione, padre Ardura ha anche annunciato un’importante iniziativa: la realizzazione di un primo Repertorio degli archivi dei Padri conciliari che verrà pubblicato, in un database on-line, sul sito web del Pontificio Comitato, con accesso gratuito:

    “I risultati del primo censimento saranno, perciò a disposizione del vasto pubblico degli studiosi e fungeranno da stimolo permanente alla prosecuzione della ricerca nei più diversi ambiti di studio”.

    Dal canto suo, il prof. Philippe Chenaux si è soffermato sulle due diverse ermeneutiche, che hanno letto il Concilio l’una come “evento”, l’altra come “rottura”. Quest’ultima interpretazione, portata avanti dalla “scuola di Bologna”, è stata l’osservazione dello storico, “non è quella indicata” dal Magistero della Chiesa sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e, del resto, “non è priva di presupposti ideologici”. Si tratta, prosegue il suo intervento, di un’interpretazione che “sta alla base dei progetti e delle attese di quanti continuano a far riferimento allo ‘spirito’ del Concilio più che alla ‘lettera’ dei documenti conciliari”. Di qui, lo storico della Lateranense ha indicato l’obiettivo del Convegno in Vaticano e della ricerca sugli archivi:

    “La posta in gioco fondamentale che si pone agli storici del concilio è dunque: come riconciliare queste due letture contrapposte dell’evento conciliare e delle sue decisioni? Non si tratta di scrivere una 'contro-storia' del concilio Vaticano II, quanto piuttosto, più modestamente, di riprendere l’indagine storica sulla base di una documentazione la più larga possibile e senza a priori di tipo ideologico (….) per arrivare ad una comprensione più equilibrata e più condivisa dell’evento e delle sue decisioni”.

    “Ripartire dagli archivi”, ha concluso il prof. Chenaux: questa è “la scommessa che sta alla base del grande progetto di ricerca” a cinquant’anni dall’apertura del grande evento conciliare. Il Convegno, è stato sottolineato in Sala Stampa, sarà anche un'occasione per ricostruire come i Padri conciliari guardavano allo sviluppo del Concilio e alle differenze tra i lavori sotto Papa Roncalli e sotto Papa Montini.

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    Processo in Vaticano. Gabriele: "Sono innocente". La Gendarmeria: rispettati i diritti del detenuto

    ◊   “Volevo trovare una persona con la quale sfogarmi per condividere lo sconcerto”. Così Paolo Gabriele oggi nella seconda udienza in Vaticano dove è accusato di furto aggravato di documenti riservati. L’ex assistente di camera del Papa si è dichiarato innocente per il reato contestatogli: non ho rubato documenti, ha detto, “mi sento colpevole per aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Santo Padre”. Durante l’acquisizione delle testimonianze, sono emersi particolari sullo stato di detenzione in cella d’isolamento durante il primo periodo di arresto di Gabriele. Disposta dal promotore di giustizia l’apertura di un fascicolo per accertare se sono stati rispettati gli standard internazionali, confermati, comunque, da una nota della Gendarmeria Vaticana. A seguire il processo per la Radio Vaticana c’era Massimiliano Menichetti:

    Un’ora e dieci minuti: tanto è durato l’interrogatorio di Paolo Gabriele che ha ricostruito tutta la vicenda, dichiarandosi innocente per il reato che gli viene contestato. Gabriele ammette di aver fotocopiato e diffuso, ma non di aver sottratto, rubato, documenti riservati. “Mi sento colpevole – ha dichiarato nella piccolissima aula delle udienze del Tribunale Vaticano – di aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Papa”. “L’intenzione – ha spiegato l’ex aiutante di Camera di Benedetto XVI, facendo riferimento ai documenti pubblicati – era quella di trovare una persona di fiducia con la quale sfogarmi e condividere lo sconcerto per una situazione diventata insopportabile, ad ampio raggio, in Vaticano”.

    Apparentemente sereno, con pacatezza, ha riferito ai magistrati di aver agito da solo “nel modo più assoluto”, di aver cominciato ad archiviare materiale dal 2010 durante il cosiddetto “caso Viganò” (la vicenda che riguardò l’allora segretario del Governatorato, il vescovo Carlo Maria Viganò, oggi nunzio negli Stati Uniti), anche se alcuni fogli risalgono al 2006 perché raccolti casualmente dall'imputato. Ha ribadito che non ha mai preso soldi, mai avuto una pepita d’oro e mai visto l’assegno da 100 mila euro, rinvenuti, secondo le carte processuali, in casa sua, in Vaticano dopo essere stati sottratti dall’appartamento papale insieme a una copia rara dell’Eneide. Il libro, di cui ignoravo il valore – ha comunque precisato l’ex aiutante di camera – mi è stato dato da mons. Gaenswein, segretario del Papa, per i miei figli. “Non escludo, ma non è un’assunzione di colpevolezza – ha comunque aggiunto – che l’assegno sia potuto finire nelle carte che avevo fotocopiato”.

    Poi, su richiesta del suo avvocato, Cristina Arru, ha confermato che i primi giorni di detenzione, presso la cella di custodia nella Caserma della Gendarmeria Vaticana, sono stati difficili per lo spazio ridotto e per la costante luce accesa. Il Tribunale ha disposto l’apertura immediata di un fascicolo per accertare se siano stati rispettati gli standard minimi internazionali di detenzione. Una nota della Gendarmeria si è poi espressa in tal senso, ribadendo che Gabriele è stato trasferito dopo circa 20 giorni in un altro ambiente per lunga detenzione, inagibile al momento dell’arresto. E che solo per motivi di sicurezza la luce è rimasta accesa per ventiquattr’ore.

    Cinque i testimoni ascoltati oggi, tra i quali anche il segretario del Papa, mons. George Gaenswein, il quale ha ribadito la massima fiducia che aveva in Gabriele, di non aver mai sospettato nulla fino a quando non ha visto divulgate tre missive indirizzate a lui personalmente e che mai avevano abbandonato la sua stanza. Mons. George ha confermato di aver visto dei documenti originali tra gli atti sequestrati. I gendarmi hanno spiegato che la grande quantità di materiale rinvenuta in casa di Gabriele durante la perquisizione dell’abitazione non ha permesso di vagliare il materiale in loco, e che quindi sono state sequestrate le ormai note 82 scatole piene di fogli e materiale informatico. Discrepanti infine le testimonianze di due gendarmi sul ritrovamento della presunta pepita d’oro e dell’assegno: secondo uno rinvenuti entrambi in una scatola delle scarpe nel soggiorno di Gabriele, secondo l’altro la sola pepita sarebbe stata trovata nella scatola, mentre l’assegno sarebbe emerso in un secondo momento durante il controllo degli atti in Gendarmeria.

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    Mons. Tomasi: servono norme internazionali a tutela dei non vedenti

    ◊   Creare uno strumento internazionale per aiutare le persone disabili a sviluppare le proprie competenze. E’ l’appello che ieri mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, ha lanciato nel corso del suo intervento all’Assemblea della Wipo, l'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, in programma nella città elvetica fino al 9 ottobre. L’arcivescovo ha ricordato gli importanti sforzi dell’organizzazione in diversi Paesi del mondo per promuovere l’innovazione e la creatività e il grande contributo venuto dalla firma del Trattato di Pechino, del luglio scorso, che conferisce agli artisti audiovisivi diritti per lo sfruttamento delle loro esecuzioni. Mons. Tomasi ha espresso poi l’auspicio perché si lavori per arrivare a “uno strumento internazionale giuridicamente vincolante riguardante le limitazioni per le persone cieche ed ipovedenti”. Il presule ha ricordato infatti che solo il 5% delle persone non vedenti ha accesso ai libri pubblicati nei Paesi più sviluppati mentre in quelli poveri la percentuale scende all’1%. “Un fatto sconvolgente”, soprattutto in un’epoca in cui la tecnologia ha fatto passi da gigante.

    Pertanto, mons. Tomasi ha richiamato l’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nella quale si riconosce a tutti gli individui il diritto di partecipare alla vita culturale della comunità. “Il copyright – ha aggiunto – non è un ostacolo alla parità di accesso alle informazioni, alla cultura e all'educazione delle persone con disabilità”. Da qui, il richiamo alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II nella quale si affermava che era “indegno” far lavorare solo le persone pienamente funzionali, “una grave forma di discriminazione” quella dei “forti e sani contro i deboli e gli ammalati”. “La Santa Sede riconosce che la protezione della proprietà intellettuale è necessaria per il progresso” e allo stesso tempo “si ricorda che l’obiettivo primario della conoscenza è il bene comune”. “Il bene comune – ha proseguito mons. Tomasi – deve essere servito nella sua pienezza, non secondo una visione riduzionista solo a vantaggio di alcune persone”. Lavorare per il bene comune significa cercare il bene altrui come se fosse il proprio bene e nel rispetto della giustizia sociale. “In conclusione – ha detto l’arcivescovo – la delegazione della Santa Sede desidera ricordare che in ogni impresa di pensiero e di azione, in ogni approccio scientifico, tecnico o giuridico, la proprietà intellettuale è chiamata al rispetto del Creato e in particolare al rispetto della persona umana”.

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    Nuova App per Iphone della Radio Vaticana

    ◊   La Radio Vaticana offre da oggi la sua nuova App per Iphone. Come per la precedente, lanciata ai primi di settembre per la piattaforma Android, la nuova App ha una forte impronta multimediale. Ascolto in diretta su cinque canali di tutti i programmi della Radio in 40 lingue diverse, dirette video, pagine web, servizi giornalistici, racchiusi in un unico strumento, che permette di conoscere e seguire gli appuntamenti quotidiani del Papa.

    L’App, interamente gratuita, è scaricabile da ITunes, all’indirizzo: http://rv.va/iphone

    L’applicazione si apre sull’Agenda degli appuntamenti pubblici del Papa (disponibili, in questa prima versione, in italiano, inglese, francese, spagnolo e cinese). Grazie a un sistema ideato e prodotto dalla Radio Vaicana - il "Vatican TIC" - a ogni singolo appuntamento sono collegati tutti gli articoli e i contenuti audio prodotti in quella lingua, e anche dalle altre 39 redazioni linguistiche dell'emittente pontificia. Inoltre, l’Agenda è costantemente aggiornata sulle trasmissioni in diretta audio e video delle celebrazioni del Papa, prodotte in collaborazione con il Centro Televisivo Vaticano.

    L’App per Iphone offre inoltre un servizio di News, con le ultime notizie prodotte dai notiziari della Radio Vaticana sui principali avvenimenti di attualità nel mondo e nella Chiesa (disponibili, in questa prima versione, in italiano e inglese). E una sezione Radio con 5 canali audio, che corrispondono alle reti di diffusione degli oltre settanta programmi quotidiani nelle 40 lingue diverse della Radio Vaticano.

    L’offerta di App da parte della Radio Vaticana prevede, oltre alle piattaforme Iphone e Android, a breve anche una per Windows Phone.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, alla vigilia dell'Anno della fede, Robert P. Imbelli su Francesco, Newman e il Vangelo.

    Il rispetto della dignità umana presupposto di una pace duratura: nell'informazione internazionale, l'intervento dell'arcivescovo Dominique Mamberti, capo della delegazione della Santa Sede, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

    Certe parole hanno un peso: in cultura, Christoph Markschies sull'importanza di stabilire cosa significhi cattolicità per la Chiesa evangelica.

    Con il sapore del sangue: intervista di Luca Pellegrini al regista francese Jacques Audiard sui temi del suo ultimo film.

    "Lui non chiese asilo, fui io a offrirglelo": Giulia Galeotti sulla storia di Elena Hoehn - ai tempi del nazismo - raccontata nel volume di Armando Droghetti.

    Non solo il più italiano ma anche il più poetico dei santi: Felice Accrocca illustra i risultati della sua ricerca riguardo alla celebre definizione di Francesco d'Assisi, la cui paternità è da attribuire a Vincenzo Gioberti.

    E' questione di fede: nell'informazione religiosa, sulla necessità di rinnovare l'incontro con la persona viva di Cristo e con la Chiesa, la conferenza - oggi pomeriggio ad Augusta, in Germania - dell'arcivescovo Salvatore Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

    Quel treno per Loreto: nell'informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi all'arcivescovo Loris Capovilla, che ricorda la visita di Giovanni XXIII al santuario mariano alla vigilia dell'apertura del Vaticano II e spiega perché il Papa voleva organizzare il viaggio di nascosto dal suo segretario. E un articolo di Giovanni Tonucci, arcivescovo prelato di Loreto, delegato pontificio per il santuario lauretano, dal titolo "Ai piedi di Maria le speranze e le attese dei Pontefici" (da Pio IX a Benedetto XVI).

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: 300 mila gli sfollati. Mosca a Nato: no intervento militare

    ◊   Imperversa la violenza in Siria, oltre 30 le vittime di oggi, mentre la Russia ha messo in guardia la Nato e i Paesi del Medio Oriente dal cercare un pretesto per un intervento militare. Intanto, secondo stime Onu, il numero dei rifugiati siriani nei Paesi confinanti è triplicato negli ultimi tre mesi. sono oltre 300 mila. Della diffile situazione in Siria, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del prof. Massimo Campanini, docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università di Trento:

    R. – Personalmente, a breve termine, non mi pare di vedere una via d’uscita. Assad è ancora sufficientemente forte, oltretutto non ha perso l’appoggio dell’esercito, delle minoranze etniche su cui ha sempre fondato il suo potere. Dall’altra parte, i ribelli sono divisi al loro interno: certamente hanno l’appoggio della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Stati Uniti. Però, se non ci fosse una vera e propria svolta militare, trovo abbastanza difficile che i ribelli possano tenere sotto controllo la situazione, per lo meno in tempi brevi.

    D. - Tra l’altro, stiamo assistendo proprio ad una sconfitta della diplomazia internazionale, perché né i mediatori Annan né Brahimi stanno riuscendo a trovare un canale per far sì che in Siria si dialoghi e si arrivi ad una soluzione…

    R. – Da una part, Assad non vuole mollare la presa e quindi, evidentemente, non è disposto a fare concessioni che vadano oltre un ridimensionamento puramente formale del suo potere. Dall’altra parte, è vero che la rivolta contro Assad è stata una rivolta del popolo ed è stata una rivolta per la libertà. Però, è anche vero che i ribelli si sono macchiati di stragi e da questo punto di vista è chiaro che i mediatori internazionali non trovino orecchie disposte ad ascoltarli. Oltretutto, si tratta di mediatori internazionali deboli a loro volta perché non hanno un mandato chiaro alle spalle che giustifichi anche, per esempio, un ultimatum ad Assad, del tipo: O accetti questa cosa, oppure ci saranno delle conseguenze molto gravi per il Paese e per te stesso”.

    D. – La componente religiosa può essere di aiuto, di supporto per una pacificazione, secondo lei?

    R. – Secondo me no, anzi secondo me la componente religiosa potenzialmente porterebbe ad una deflagrazione dello Stato siriano, con l’emergere delle rivalità fra i vari gruppi etnici e religiosi. La Siria è un mosaico non così complesso e così articolato come quello libanese, però è sempre e comunque frammentato.

    D. – Qual è una via d’uscita?

    R. – Io vedrei bene due tipi di soluzione. Una soluzione post-assadiana senza Assad: non è detto che dopo di lui ci debba essere il diluvio, ci potrebbe essere anche una transizione guidata che potrebbe salvaguardare il sistema politico siriano. Un’altra soluzione sarebbe quella di un rivolgimento completo, basato su una ricomposizione del quadro etnico religioso, che dia veramente spazio a un governo alternativo a quello di Assad. Allora, si potrebbe veramente costruire una nuova Siria, secondo categorie democratiche che finora in Siria non sono state praticate. Tra l’altro, ci si può anche chiedere come faranno i siriani a ricostruire il Paese: avranno bisogno di interventi stranieri, di un impegno economico da parte degli arabi, soprattutto da parte delle potenze del Golfo. Queste ultime, però, darebbero un aiuto a un eventuale governo siriano solo se esso avesse una prevalenza di sunnismo e quindi garantisse una rottura degli equilibri, soprattutto dell’equilibrio di forze che dalla Siria arriva all’Iran e che preoccupa in maniera estremamente profonda l’Arabia Saudita e le altre monarchie conservatrici.

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    Obama-Romney, tutto pronto per il primo dibattito televisivo

    ◊   Presidenziali Usa: Barack Obama ha due punti percentuali di vantaggio su Mitt Romney a livello nazionale, ma negli Stati in bilico il presidente sarebbe molto più avanti. E’ quanto emerge da un sondaggio “Washington Post-Abc” in vista delle elezioni del prossimo 6 novembre. Intanto, è tutto pronto all’università di Denver, in Colorado, per il primo dibattito presidenziale, domani sera, fra i due candidati. Ma quanto conta ancora un confronto televisivo nell’era dei social network? Alessandro Gisotti lo ha chiesto al prof. Fausto Colombo, direttore dell'Osservatorio sulla Comunicazione dell'Università Cattolica di Milano:

    R. – Conta molto. Da un certo punto di vista, i social media, Twitter e così via moltiplicano l’efficacia del dibattito televisivo e lo fanno perché il momento del dibattito, soprattutto nei sistemi come quello americano, in cui ci sono due candidati semplicemente – cosa che succede ormai in molti Paesi – è uno dei pochi momenti in cui si può fare un confronto diretto senza particolari mediazioni. Quindi, per i cittadini quello diventa il momento clou della comprensione del candidato. Questo è ancora valido. In più, i cittadini esprimono attraverso la Rete le loro opinioni, i loro commenti, anche se – va detto – su twitter e in tutti gli altri social media ci sono degli opinion leader che sono diversi da quelli dei giornali, ma che sono seguiti da vari followers e che, in qualche modo, riescono ad influenzare, a mediare l’influenza del dibattito.

    D. – In qualche modo, dopo la sfida televisiva, nello specifico Obama-Romney, inizia la sfida dei collaboratori, degli strateghi dei due candidati...

    R. – Direi ancora di più, direi che comincia “durante”, nel senso che Twitter commenta in diretta. Quindi, la gente guarda la televisione e scrive. Naturalmente, questo è noto agli strateghi della comunicazione dei due, che faranno di tutto per orientare, interpretare, modificare e suggerire. E’ una complicazione che aumenta. Sale esponenzialmente la complessità del dibattito. Detto questo, io rimango convinto che sia la politica che fa la politica e quindi penso che la gente aderisca alle idee più che alla comunicazione. Naturalmente, la comunicazione fa la sua parte.

    D. – Da Kennedy-Nixon il dibattito televisivo tra i candidati alla Casa Bianca è ormai un momento irrinunciabile e anche un momento evidentemente spettacolare, in qualche modo, con una grande attenzione a tutti i dettagli. Quanto, però, l’immagine rischia di superare quelli che sono i temi, i contenuti?

    R. – Il problema, naturalmente, è che più la politica è agita e condivisa dai cittadini e meno conta il momento finale della campagna elettorale. Ma in una situazione come quella di gran parte delle democrazie occidentali, in cui c’è una specie di delega – magari poi scontenta – un disinteresse dei cittadini nei confronti della politica, allora è chiaro che la scelta diventa più emotiva e più istantanea. In questo senso, lo spettacolo è importante.

    D. - Sicuramente, quindi, non tramonterà questa formula, almeno nell’immediato futuro. Anche se diventa molto più articolata, molto più integrata con gli altri media...

    R. – Penso che ci sarà ancora un lungo futuro e penso che comunque l’idea del dibattito forse non coincida con l’idea di democrazia, come alcuni media vogliono farci credere. Ma l’idea del dibattito fra i due candidati rimane uno strumento saliente per comprendere alcune cose e soprattutto esprimere almeno una coincidenza emotiva con il candidato che si vuole votare.

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    Georgia: l'opposizione in testa nelle legislative di ieri. Saakashvili ammette la sconfitta

    ◊   Cambiamento nello scenario politico della Georgia. Nelle elezioni legislative svoltesi ieri nella Repubblica caucasica ex sovietica, a spoglio ancora in corso, risulta in testa, con il 53% dei consensi, il fronte dell’opposizione al presidente Saakashvili, alla guida del Paese dal 2004. Il capo dello Stato ha ammesso la sconfitta. Sul significato di questo voto, Giancarlo La Vella ha intervistato il prof. Aldo Ferrari, responsabile delle ricerche su Caucaso e Russia dell’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:

    R. - Si tratta di una vittoria molto importante, perché, innanzitutto, segnerebbe la sconfitta del partito al potere, cosa che nei Paesi ex sovietici accade molto di rado, per non dire mai. Poi, segnerebbe l’inizio della fine per il potere di Saakashvili e del suo partito, che è stato quasi assoluto in questi otto anni e che ha provocato una forte e crescente insoddisfazione di buona parte della società georgiana. Saakashvili è stato un presidente che sicuramente ha risolto molti problemi della Georgia, soprattutto nell’ambito della lotta alla corruzione o della pressione fiscale, ma ha lasciato aperti tanti altri problemi, a partire dal difficile rapporto con la Russia, dalla sconfitta nella guerra del 2008 con Mosca per il possesso dell’Ossezia del Sud, nella quale le responsabilità di Saakashvili sono molto forti. Inoltre, sono numerosi i problemi economici che rimangono ancora molto gravi nel Paese.

    D. - Qual è la posizione del fronte delle opposizioni rispetto ai rapporti con la Russia e con l’Europa?

    R. - Il fronte dell’opposizione è di per sé molto eterogeneo, è un cartello elettorale la cui solidità dovrà essere verificata. Però, assolutamente non intende venir meno alla svolta filoccidentale e filoeuropea già segnata da Saakashvili. Tant’è vero che, nel programma elettorale, si conferma il progetto di ingresso nell’Unione Europea e nella Nato. Al tempo stesso, l’opposizione è portavoce di un atteggiamento più equilibrato nei confronti della Russia, in quanto la Georgia non può, nonostante il suo orientamento filoccidentale, prescindere dall’aspetto geopolitico, storico ed economico, di trovarsi nel Caucaso e dall’avere come vicino forte ed importante, anche economicamente, la Russia. La rottura dei rapporti politici ed economici con Mosca è, infatti, una delle ragioni delle difficoltà economiche del Paese.

    D. - La questione caucasica può essere ammorbidita da questo cambio di guardia nella maggioranza parlamentare?

    R. - Io spero di sì, perché, almeno in parte, il peggioramento dei rapporti tra la Georgia e la Russia - una delle cause che ha fatto del Caucaso una regione calda, insieme al conflitto per il Nagorno-Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian - è almeno in parte determinato da atteggiamenti estremistici ed isterici dello stesso Saakashvili. È chiaro che l’intera società georgiana propende legittimamente per un allontanamento dall’orbita russa, vista come una secolare occupazione e ingerenza. M credo che una dirigenza più equilibrata, più pacata nei suoi atteggiamenti, sia verso l’interno, che verso l’esterno, possa contribuire notevolmente al miglioramento dei rapporti con Mosca e di conseguenza - se naturalmente anche la controparte favorirà il dialogo - migliorare il clima politico dell’intera regione.

    D. - Che ricadute ci saranno su quello che è il problema energetico? Il Caucaso è zona di passaggio di oleodotti, gas, petrolio…

    R. - Queste elezioni non dovrebbero avere una ricaduta immediata su questo problema, in quanto le rotte energetiche sono già sostanzialmente tracciate. Non ci saranno cambiamenti sostanziali da questo punto di vista. Però, un eventuale miglioramento della situazione politica determinerebbe, inevitabilmente, anche un miglioramento della situazione economica, che risente ancora del fatto che diverse frontiere sono chiuse, che la collaborazione tra questi Paesi è molto più limitata di quello che potrebbe e dovrebbe essere.

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    "Giornata internazionale della Nonviolenza". L'Onu: urge diffondere educazione alla pace

    ◊   Si celebra oggi la “Giornata internazionale della Nonviolenza”, indetta dalle Nazioni Unite, nel giorno in cui si ricorda anche la nascita di Ghandi. Dalla Siria alla Repubblica Democratica del Congo, sono attualmente oltre 30 le guerre che insanguinano e affamano molti Paesi del mondo. Per una riflessione su questa iniziativa, nata per ribadire il messaggio della nonviolenza, attraverso l’informazione e la consapevolezza pubblica, ma anche per diffondere l'educazione alla Pace, Cecilia Seppia ha sentito Flavio Lotti, presidente della Tavola della Pace.

    R. – E' una Giornata che ci dovrebbe interrogare e far riflettere un po’ tutti quanti, perché la violenza purtroppo sta crescendo assieme a tanta ingiustizia, a troppe disuguaglianze e a tanta intolleranza in troppe parti del mondo. Abbiamo bisogno di riscoprire il significato e la possibilità di percorrere una strada nuova, che vuole dire impegno quotidiano a rispondere e a reagire con responsabilità a tutti i problemi, alla domanda di aiuto, di solidarietà e di collaborazione che viene da tutti coloro che non ce la fanno da soli.

    D. – Purtroppo, la violenza è praticata in ogni sua forma a tutte le latitudini: fame, povertà, diritti negati, discriminazione e non soltanto conflitti armati, che sono sì più evidenti, ma che di certo non sono i soli. Questo bisogna ribadirlo…

    R. – Assolutamente sì. L’altro giorno il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha detto chiaramente di fronte a tutti i capi di Stato del mondo, all’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che non stiamo facendo abbastanza per riconoscere le nostre responsabilità. Questo richiamo dobbiamo ricordarcelo e ci deve portare a richiedere tutti insieme una politica nuova, una politica migliore. Allo stesso tempo, però, ci deve anche portare a riscoprire e a riconoscere che questa domanda di pace e di non violenza richiede anche un maggior senso di responsabilità da parte di ciascuno di noi, su tutti i fronti.

    D. – Oggi, ci sono più di trenta guerre in tutto il mondo. Sono tante le zone di conflitto: una su tutte la Siria, ma c’è anche il Congo, dove il conflitto dura dal 1997 e dove la vita quotidiana è fatta di stupri, di omicidi, di saccheggi… Viene da pensare anche ai bambini, ai piccoli che sono costretti a imbracciare le armi. Ancora una volta la violenza, purtroppo, miete vittime facili come i minori, come le donne…

    R. – Queste guerre crescono perché continuano ad aumentare i traffici di armi nel mondo e perché, allo stesso tempo, si presta sempre meno attenzione a quello che è il bene comune. Così facendo, noi perdiamo di vista quelli che sono anche gli strumenti fondamentali di cui ancora oggi disponiamo. La solidarietà e la cooperazione non sono il dare un qualcosa a chi ne ha bisogno, ma è il pensare le relazioni tra le persone, tra i popoli, tra i Paesi diversi in modo nuovo e dove abbiamo tutti qualcosa da guadagnare. Oggi, la crisi profonda che stiamo vivendo deve essere ancora una volta per noi di stimolo a poter costruire e cercare delle vie di uscita insieme con gli altri.

    D. – Un altro impegno importante che questa Giornata ci ricorda è quello del disarmo nucleare…

    R. – Certamente sì. Un disarmo sempre più urgente, partendo dal Medio Oriente, dove purtroppo si sta preparando una nuova guerra e dove per scongiurarla non c’è che una strada: organizzare quanto prima – come vogliono fare le Nazioni Unite – una conferenza per mettere al bando in tutto il Medio Oriente le armi nucleari.

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    La famiglia al centro della 47.ma Settimana Sociale, a Torino nel settembre 2013

    ◊   La famiglia sarà al centro della riflessione della prossima Settimana sociale dei cattolici italiani, la 47.ma, che si svolgerà a Torino dal 12 al 15 settembre del 2013 e che è stata presentata oggi. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    La famiglia come luogo educativo privilegiato, da sostenere, da accudire. Lo si sottolineerà a Torino il prossimo anno, così come già fatto due anni fa. La famiglia compariva infatti in più punti dell’agenda di Reggio Calabria, luogo dell’appuntamento della scorsa Settimana Sociale, quella del 2010. La prossima edizione, nel 2013, è stata presentata stamane da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e vicepresidente della Cei, da Piero Fassino, sindaco della città, e da mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani:

    "La famiglia in rapporto alla necessità di dare fiato, di dare speranze, di dare futuro alla società. La famiglia intesa come risorsa anche dal punto di vista economico, ma prima ancora la famiglia come soggetto primario, fondamento di una società civile dove è portatrice di diritti che nascono dalla struttura della famiglia. Parliamo evidentemente di quella famiglia che noi da sempre consideriamo tale: fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna, aperta alla vita, una famiglia dunque stabile, fondamento della società civile, quindi anche garanzia di uno spazio di libertà".

    Sempre più spesso la famiglia, aggiunge mons. Miglio, svolge il grande ruolo di ammortizzatore sociale, allo stesso tempo però in molti rimarcano come ormai la famiglia stia smettendo di essere luogo di risparmio.

    "Innanzitutto, prima ancora che chiedere risorse economiche, in questo momento molto scarse, noi chiediamo che vengano alleggeriti i pesi sulla famiglia. Ad esempio, alleggerire il peso fiscale, riconsiderare i parametri fiscali, alle famiglie più numerose. Queste sono proposte che già da tanti anni vengono presentate, ad esempio, dal Forum delle Famiglie".

    Uno dei rischi che la famiglia corre è quello che a prevalere sia una visione negativa delle situazioni familiari. Ci sono in realtà molti esempi di famiglie che vivono un’esperienza costruttiva e positiva:

    "C’è bisogno di fare emergere questa realtà, di non confondere la realtà della vita delle famiglie con immagini e cliché stereotipati che si diffondono. Questo è sicuramente un rischio che scoraggia, mentre esistono tantissime esperienze positive. Dal punto di vista economico, il rischio più grosso, che credo tutti vedano, riguarda proprio i giovani: mancanza di futuro, l’impossibilità di progettare per tempo la loro vita e quindi di iniziare una loro propria esperienza familiare".

    Nella prassi delle Settimane Sociali vige l’alternanza tra Sud, Centro e Nord. Quest’anno, tocca proprio a quest’ultimo, per questo anche la scelta di Torino che però, precisa ancora mons. Miglio, resta un importante laboratorio nazionale ed internazionale:

    "È una Torino dove la crisi dei posti di lavoro, la crisi della grande industria si fa sempre più preoccupante. Una Torino dove c’è una città nella città, di immigrati, con cui abbiamo molto da dire e da condividere proprio sul senso, sul valore e sull’importanza fondamentale della famiglia: una Torino multietnica, multireligiosa. Quindi, l’aspetto dell’immigrazione, ma anche l’aspetto dell’incontro tra le diverse confessioni cristiane e anche con il mondo dell’Islam, rappresentato in maniera massiccia. E quindi, il luogo della Settimana Sociale porta sicuramente con sé anche un confronto con queste realtà e con il messaggio che noi vogliamo lanciare".

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    Forum cooperazione: investire nei Paesi in via di sviluppo e nella green economy

    ◊   L’Italia deve fare di più per la cooperazione internazionale: è quanto emerso dal Forum per la Cooperazione, in corso a Milano. Ora si attendono le mosse da parte del governo e del Parlamento. Il servizio di Fabio Brenna:

    L’Italia è in grave ritardo sul fronte degli investimenti in progressivo calo allo 0,19% del Pil, livello di Paesi come Cipro, ma ben distanti dall’1.02% erogato dalla Svezia ed anche dallo 0,7% della media europea. Non solo: dal 2007 ad oggi il settore ha subito tagli dell’80%. "E' troppo poco", ha osservato Paolo Dieci, portavoce delle Ong italiane, dobbiamo reagire a chi dice che la cooperazione "è un lusso che non ci possiamo permettere". Per il 2013, il ministro dell’Economia Grilli ha annunciato uno stanziamento di 174 milioni a fronte dei 133 del 2012. In questo contesto, diventa importante anche l’azione delle aziende e delle fondazioni.

    Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, l’associazione delle fondazioni bancarie, ha spiegato come le Fondazioni abbiano destinato al settore 30 milioni di euro negli ultimi sei anni, annunciando poi un progetto da 1 milione e mezzo per il Burkina Faso cui seguiranno interventi per 1,7 milioni in Senegal e Uganda del Nord. Il sindacato, con Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, ha indicato come priorità la promozione dei diritti dei lavoratori, il sostegno alla green economy, l’equa redistribuzione delle risorse, la tassazione delle transazioni finanziarie. Il passo importante, caldeggiato dal ministro italiano per la cooperazione internazionale Andrea Riccardi, deve essere allora la riforma della Legge 49 che regola il settore, e che risale al 1987. I principi ispiratori sono quelli raccolti nei lavori preparatori affidati a 10 gruppi di lavoro e a quelli emersi e rielaborati nel corso del forum milanese.

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    Morto a Roma Shlomo Venezia, sopravvissuto ad Auschwitz. Testimone della Shoah

    ◊   E' morto, a Roma, Shlomo Venezia, ebreo italiano, tra i sopravvissuti all'internamento nel campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau. Aveva 89 anni. Durante la prigionia, fu obbligato a lavorare nei Sonderkommando, squadre composte da internati e destinate allo smaltimento e alla cremazione dei corpi nelle camere a gas. Instancabile il suo impegno nella testimonianza dell’orrore della Shoah tra i giovani. Cordoglio è stato espresso dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Per un ricordo di Shlomo Venezia, Paolo Ondarza ha intervistato il compagno di prigionia ad Auschwitz, Piero Terracina:

    R. – Abbiamo avuto esperienze terribili tutti e due. Direi che quelle di Shlomo sono state le più terribili: a contatto continuo, per tutta la giornata, con la morte. Lui era addetto alle camere a gas e ai forni crematori, nel centro del massacro. Di quelli che erano al Sonderkommando è stato l’unico italiano che è tornato, che è riuscito a sopravvivere. E’ una perdita grave, gravissima, per tutti noi. E' la perdita di una persona che conosceva i fatti ed è una perdita perché – tra l’altro – lui si era dedicato molto alla testimonianza.

    D. – Proprio questo suo impegno nella testimonianza è stato un lavoro assiduo, un lavoro che lo motivava profondamente, perché era convinto che la memoria fosse fondamentale, irrinunciabile per andare avanti…

    R. – Sì, lo scopo era quello. E’ lo scopo che abbiamo noi tutti, che ci dedichiamo alla testimonianza rivolta soprattutto ai giovani. Il nostro impegno è questo. Shlomo l’ha fatto veramente a tempo pieno. Speriamo che qualche cosa rimanga.

    D. – Tra i giovani che lo hanno ascoltato nei luoghi in cui Shlomo Venezia è andato a dare testimonianza, il ricordo è vivo, è forte: una testimonianza, dunque, che ha lasciato un segno. Questa è la sua eredità e questo lo rende ancora vivo tra i giovani a cui ha parlato…

    R. – Sì, questa è la nostra speranza. Quando noi andiamo a parlare con i giovani, rimane qualcosa di positivo: rimane la consapevolezza di avere lasciato delle emozioni, delle commozioni. E questo significa che un segnale è arrivato. E’ molto importante per noi. E’ importante per il futuro: i giovani, gli uomini di domani, avranno un giorno una famiglia e racconteranno ciò che hanno ascoltato. Questo penso che sia la cosa più importante.

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    Un convegno ricorda le donne del Concilio Vaticano II

    ◊   A cinquanta anni dall'apertura del Concilio Vaticano II, sono molte le iniziative che ricordano lo storico evento. Presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo si svolgerà, giovedì prossimo, il convegno teologico internazionale “Teologhe rileggono il Vaticano II. Assumere una storia, preparare il futuro”. Un momento di confronto ecumenico tra studiosi e teologi su come la Chiesa cattolica abbia saputo riconoscere - nella differenza tra uomini e donne - un contributo di intelligenza e una riserva di entusiasmo. Il servizio di Michele Raviart:

    Il Concilio Vaticano II è stato l’evento che ha riunito l’intero mondo cattolico. Non solo tutti i vescovi della Chiesa di Roma e centinaia di teologi, ma anche, su quasi 2800 partecipanti, 23 donne: 10 religiose e 23 laiche, scelte secondo criteri di internazionalità e di rappresentanza. La riflessione di Marinella Perroni, presidente del coordinamento teologhe italiane.

    “Sono state invitate rigorosamente come uditrici. Questo significa che non avevano alcun diritto di parola, ma potevano partecipare ed ascoltare. Questo a partire, però, dalla terza sessione del Concilio, perché nella seconda sessione del Concilio il cardinale Suenens ha fatto emergere qualcosa che c’era già negli altri Padri conciliari, notando l’assenza delle donne da una assise così globale. Alcuni vescovi e alcuni teologi le hanno invitate all’interno dei lavori delle Commissioni e lì hanno potuto esprimere e far passare anche alcune cose”.

    In particolare l’influenza delle uditrici nelle commissioni si ebbe su due documenti: la Lumen Gentium, dove si sottolinea, tra l'altro, il rifiuto di ogni discriminazione sessuale, e la Gaudium et Spes, in cui emerge una visione unitaria della persone umana e l’uguaglianza fondamentale dei due sessi. Una presenza solo apparentemente marginale, quindi, ma rivelatrice di come la Chiesa stava ripensando il ruolo della donna nella comunità. Mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente nazionale dell’Azione Cattolica:

    “Se per valutare il ruolo delle donne, vediamo soltanto gli scranni su cui siedono, non risolviamo niente; ma se vediamo la pervasività della loro esperienza di fede nella vita del popolo, credo che questa sia aumentata moltissimo. Questo merito le donne l’hanno sempre avuto: le statistiche fanno vedere come permane di più la fede nei figli, se è la linea femminile che li aiuta a crescere e quindi la mamma, la nonna… Oltre a questo c’è anche una seria condivisione delle responsabilità all’interno della comunità cristiana”.

    Da questo senso di responsabilità nasce l’esigenza di riunire le donne teologhe in un’associazione, per offrire un punto di vista non diverso, ma complementare a quello maschile. Ancora Marinella Perroni:

    “Le donne fanno una vita molto spesso diversa da quella degli uomini: le donne non possono accedere al ministero e quindi fanno una teologia interna alla città, da donne credenti ma interna più al laicato. Inevitabilmente pone la teologia insieme a tanti altri saperi all’interno dell’Agorà, e quindi modifica anche la funzione e l’identità del pensiero teologico”.

    Le celebrazioni in onore delle donne che hanno partecipato al Concilio culmineranno sabato prossimo all’Auditorium di via della Conciliazione con lo spettacolo di musica, danza e recitazione “Tantum aurora est. Donne, Vaticano II, futuro”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Appello delle Chiese: "Salvate il patrimonio religioso, storico e culturale del Paese"

    ◊   Accanto all’accorato e pressante appello per tenere fuori dal conflitto i civili innocenti, le Chiese cristiane della Siria lanciano un nuovo messaggio: “Uniamo le nostre voci a quelle delle istituzioni internazionali per la tutela del patrimonio mondiale dell'umanità e dei tesori culturali della Siria. Urge salvare il patrimonio religioso, storico e culturale del Paese!” recita un appello inviato all’agenzia Fides, all’indomani della distruzione dello storico suk di Aleppo. I leader cristiani, di tutte le confessioni e comunità, hanno inoltrato l’appello all’Unesco, nonché alla Congregazione per le Chiese orientali e al Pontificio Consiglio per la Cultura. Il testo afferma: “I combattimenti hanno toccato aree culturalmente rilevanti come Palmyra, Apamea, centri storici di antiche città, musei, e mettono in pericolo questi preziosi beni culturali”. Inoltre “si continuano ad utilizzare edifici religiosi (sinagoghe, chiese, moschee, monasteri e santuari), per scopi militari, il che provoca la loro progressiva distruzione”. I vescovi mettono anche in guardia da quanti “approfittano della situazione di caos per saccheggiare o vandalizzare edifici storici”. “Supplichiamo i belligeranti – conclude il messaggio – di risparmiare le aree protette e di non utilizzarle per scopi militari. Preghiamo perchè il conflitto siriano sia risolto nella saggezza e nella giustizia, con la riconciliazione”. (R.P.)

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    India: Giornata di preghiera e digiuno per dire “no” alla violenza anticristiana

    ◊   Le comunità cristiane indiane, di tutte le confessioni, sparse nei diversi Stati della Federazione indiana, vivono oggi, 2 ottobre, una speciale Giornata di preghiera e digiuno comunitario, per invocare “la non violenza e la benedizione di Dio sulla nazione”. Come riferito all'agenzia Fides da comunità e associazioni cristiane locali, i fedeli dicono “no” a ogni forma di violenza, dopo i recenti attacchi contro i cristiani, e chiedono “verità, giustizia e trasparenza nella società; un governo etico e onesto; una magistratura imparziale ed efficace; il rispetto della legalità e dei diritti delle donne; lo sviluppo dei poveri; la riconciliazione fra comunità e caste”. In un comunicato inviato a Fides, la “Evangelical Fellowship of India” nota che i cristiani indiani sono scossi per i recenti episodi di violenza. Il 24 settembre a Krutamgarh, nel distretto di Kandhamal, nello stato dell’Orissa, 12 estremisti indù del movimento “Bajrang Dal” hanno interrotto un incontro di preghiera e picchiato un Pastore, ferendolo gravemente. I credenti hanno cercato di fuggire, ma gli estremisti hanno fermato e malmenato il giovane Pastore Mantu Nayak, che ha subito lesioni gravi al capo e fratture ad entrambe le braccia. In Orissa la comunità ricorda anche la morte sospetta del Pastore battista Nirakant Pradhan, 48 anni, originario di Kandhmal. Un anno fa Pradhan era stato convocato dalla polizia locale, ma non ha mai più fatto ritorno a casa. Il Pastore, arrestato ufficialmente il 6 ottobre 2011, era accusato di fornire disposizioni ai ribelli maoisti. A maggio 2012 i suoi familiari sono stati informati che il Pastore Nirakant Pradhan era deceduto in prigione per malattia. L'esame del corpo ha però rivelato segni di strangolamento e torture. Nei giorni scorsi fanatici indù hanno lanciato una serie di attacchi contro i cristiani anche nello Stato di Uttar Pradesh, accusandoli di conversioni forzate, e hanno fermato con minacce l’imminente matrimonio fra due giovani cristiani perchè “appartenenti a caste diverse”. Inoltre, nello stato di Chhattisgarh, la polizia ha arrestato il Pastore Anand Nirala che, secondo i gruppi radicali indù, compiva conversioni forzate, diffondeva commenti sprezzanti contro le divinità indù e turbava la pace sociale. (R.P.)

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    Pakistan. Paul Bhatti: “Rimsha verso l’assoluzione”

    ◊   Gli avvocati dell’accusa nel processo a Rimsha Masih – la bambina cristiana arrestata per blasfemia e poi liberata su cauzione – stanno mettendo in atto “una tattica ostruzionistica, con il solo fine di tirare per le lunghe il caso e impedirne la completa risoluzione”: è quanto spiega all’agenzia Fides Paul Bhatti, leader della “All Pakistan Minorities Alliance” e Ministro per l’Armonia nazionale, riferendosi al caso dalla bambina, per cui l’Alta Corte di Islamabad ha rinviato l’udienza del processo al 17 ottobre, vista l’assenza (per motivi di salute) degli avvocati dell’accusa. La strategia dell’accusa, dice Bhatti, è comunque destinata al fallimento, dato che “il caso è in mano all’Alta Corte, tribunale non condizionabile, e le prove presentate dalla difesa sono schiaccianti”. Rimsha procede dunque “speditamente verso l’assoluzione” e “a nulla può valere la ritrattazione dei testimoni che hanno accusato l’imam Khalid Jadoon Chishti di aver orchestrato il caso”. Infatti le loro dichiarazioni sono state registrate secondo la sezione n. 164 del Codice Penale del Pakistan. Ciò significa che il giudice ha sottoposto per ben tre volte il documento ai testimoni, chiedendone conferma, e assicurandosi che non vi fossero condizionamenti di sorta. Dopo tale procedura, le dichiarazioni sono ritenute inoppugnabili, e la ritrattazione, secondo le leggi vigenti, risulta inammissibile. Il rinvio di 15 giorni dell’udienza, informa Bhatti, è stato causato solo dall’assenza temporanea del giudice. Se tutto procederà normalmente, “nulla toglie che l’assoluzione con formula piena possa avvenire già il 17 ottobre”: Bhatti resta ottimista. Parlando a Fides, stigmatizza inoltre l’atteggiamento di alcune Ong cristiane pakistane che continuano a diffondere appelli della famiglia di Rimsha e a far credere di gestire il caso, “unicamente per scopi commerciali e per speculare, attirando benefattori occidentali”. Il Ministro ricorda che Rimsha e la sua famiglia sono in un luogo sicuro, sotto la tutela della “All Pakistan Minorities Alliance” e che nessuna Ong ha contatti diretti con loro. Anche la contestazione organizzata contro Bhatti a Islamabad nei giorni scorsi era “fittizia e pretestuosa”: secondo il Ministro, le famiglie di sfollati del quartiere di Mehrabadi, dove viveva la famiglia di Rimsha, “non erano presenti, come si voleva far credere”. (R.P.)

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    Giordania: timori di mons. Lahham per la manifestazione islamista di venerdì

    ◊   “Venerdì prossimo i Fratelli Musulmani hanno convocato una grande manifestazione contro le elezioni. I capi delle tribù avrebbero minacciato di far scendere in piazza 200mila persone all'arma bianca pronte a creare il caos. Speriamo che non succeda”. Così l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, descrive all'agenzia Fides il passaggio critico a cui si prepara il regno hashemita, con le elezioni previste – salvo probabili rinvii – entro la fine dell'anno. Davanti alle prospettiva – ventilata da più parti - che anche la Giordania di re Abdallah II venga contagiata dai processi destabilizzanti in corso nello scenario mediorientale, l'arcivescovo ribadisce alcuni punti fermi: “Le prossime elezioni dovrebbero essere in Giordania le prime elezioni libere e democratiche. Il governo sarà nominato per la prima volta dal partito di maggioranza. Finora era il re a nominare il governo e il primo ministro. I Fratelli Musulmani hanno annunciato da tempo di voler boicottare le elezioni. Se le promesse di una competizione elettorale libera e democratica verranno mantenute, loro potrebbero esercitare un peso effettivo nella evoluzione politica del Paese. Se invece rimarranno fermi nella scelta del boicottaggio, la loro posizione finirà per essere solo negativa”. Secondo l'arcivescovo Lahham anche sulla delicata fase politica in Giordania si riflette l'instabilità del quadro mediorientale: “in Siria le cose sono sempre più oscure. Finora, come Chiesa, insistiamo nell'appello alla pace, alla riconciliazione e al perdono, ma non si vede una via d'uscita da questa crisi, con il governo che non cede e la resistenza che sembra sempre più appoggiata dall'esterno con l'invio di armi. Mentre si avvicina l'inverno, si fa insostenibile il dramma umanitario degli immigrati, come quelli ammassati a decine di migliaia nel campo di Zataari. Tra loro si sono infiltrati decine di agenti siriani, per creare problemi anche in Giordania. Quando li si individua, vengono subito rimandati nel loro Paese”. (R.P.)

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    Onu: crisi umanitarie a livelli mai raggiunti nella storia recente

    ◊   In occasione dell’apertura del meeting annuale del Comitato Esecutivo dell’Unhcr (composto attualmente da 87 membri) tenutosi a Ginevra, L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres ha affermato che l’Unhcr è di fronte ad un livello di crisi di rifugiati mai raggiunta nella sua storia recente, con nuove emergenze parallele: “quest’anno, fino ad ora, più di 700mila persone sono fuggite dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Mali, dal Sudan e dalla Siria.” Guterres ha ricordato come i costi per aiutare gli oltre 42 milioni di persone costrette alla fuga in tutto il mondo crescano rapidamente, con situazioni di esilio protratto che non accennano a risolversi, come quelle della Somalia e dell’Afghanistan. L’Alto Commissario ha poi sottolineato come, se da un lato porre fine ai conflitti richiede una soluzione politica, dall’altro gli attori umanitari dovrebbero anche fare di più per migliorare le prospettive di pace - mettendo in atto strategie di advocacy, investendo nei mezzi di sostentamento, nell’educazione e in altre attività che rafforzino l’autonomia delle popolazioni di rifugiati. Quest’anno il meeting è presieduto dal Rappresentante permanente della Svezia alle Nazioni Unite, l’ambasciatore Jan Knutsson e durerà da oggi fino al 5 Ottobre. L’Alto Commissario ha rivolto un appello ai membri del Comitato Esecutivo affinchè facciano ancora di più per le persone in fuga nel mondo: “Viviamo in tempi pericolosi e in un mondo imprevedibile. (L.F.)

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    Congo. Guerra in Kivu: appello delle donne di Goma

    ◊   Rafforzamento delle pattuglie di agenti di polizia e soldati per ristabilire l’autorità dello Stato a Goma: è l’impegno preso dal ministro dell’Interno Richard Muyej che ha presieduto nel capoluogo del Nord Kivu un consiglio per la sicurezza con i dirigenti della città, teatro la scorsa settimana di una decina di omicidi. L’ultimo fatto violento, risalente a venerdì, - riferisce l'agenzia Misna - ha causato la morte di un operatore economico nel settore petrolifero, Kambale Nzereka Mutinga, caduto in un’imboscata tesa da uomini armati non identificati che lo aspettavano al suo domicilio. Le autorità hanno annunciato un’inchiesta e una ventina di persone sospettate di coinvolgimento nell’ondata di omicidi sono state arrestate. “In questo periodo davvero buio le donne di Goma chiedono al governo di assumersi le proprie responsabilità per interrompere una guerra infinita che ci ha fatto soffrire fin troppo. E noi donne, con i nostri bambini, lo sappiamo più di tutti cosa significa soffrire. Urge una riforma dell’esercito, corrotto e poco equipaggiato, che non è in grado di fare muro per cacciare i ribelli dal nostro territorio” dicono alla Misna fonti del ‘Collettivo delle associazioni femminili per lo sviluppo’ contattate a Goma. L’interlocutrice, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, sottolinea che “la prima responsabilità del potere deve essere la tutela dei civili, per questo motivo deve escludere ogni tipo di dialogo o negoziato col nemico che trucida la popolazione e minaccia l’integrità del nostro territorio”. Dalla costosa missione di peacekeeping dell’Onu, la Monusco, “la gente si aspetta un nuovo mandato di sostegno operativo all’esercito regolare (Fardc) – conclude la stessa fonte – Per sconfiggere il Movimento del 23 marzo (M23) non servono altre truppe che vengano da fuori. Qui c’è già troppa confusione armata!”. Secondo un deputato eletto a Goma, Muhindo Nzangi, la recente ondata di omicidi è “sintomatica di un terrorismo urbano pianificato dai ribelli del M23 infiltrati in città per seminare paura e panico”. In un’intervista all’emittente locale ‘Radio Okapi’ il ministro Muyej ha denunciato una situazione di grande precarietà che vige a Goma dove “ci sono troppe armi in circolazione”, puntando il dito contro “alcune autorità locali complici” e i ribelli “che alimentano insicurezza e traffici di vario genere”. Intanto a Kinshasa la crisi dell’Est è ancora al centro del dibattito politico, in particolare dopo l’intervento della scorsa settimana alle Nazioni Unite del presidente Joseph Kabila giudicato dalle forze di opposizione “timido e non diplomatico”; un’occasione che ha fatto perdere al capo dello Stato “la sua occasione di dimostrare al mondo intero il coinvolgimento diretto del Rwanda” nelle regioni orientali congolesi. “Non c’è diplomazia che tenga quando centinaia di congolesi stanno morendo e altre migliaia sono costretti a rifugiarsi nelle foreste” ha dichiarato Lisanga Bonganga, moderatrice delle ‘Forze per il cambiamento’ (Fac), piattaforma dell’opposizione politica. Il mini-vertice sul conflitto dell’Est, tenutosi il 27 settembre al Palazzo di Vetro a margine dell’Assemblea generale, si è concluso senza dichiarazione congiunta tra Kinshasa e Kigali, né alcuna condanna o soluzione internazionale. (R.P.)

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    Kenya: il vescovo anglicano invita a "non rispondere con la violenza alla violenza"

    ◊   “Questo attacco è una provocazione crudele, ma faccio appello ai cristiani perché non alimentino la violenza con la violenza, sia con le parole che con l’azione. Siamo chiamati a vincere il male con il bene”. È l’appello dell’arcivescovo Eliud Wabukala, leader della Chiesa anglicana del Kenya, diffuso dopo il tragico attacco di domenica scorsa a Nairobi alla parrocchia anglicana di San Policarpo. Ieri - riferisce l'agenzia Sir - l’arcivescovo Wabukala e il vescovo della diocesi di Nairobi, Joel Waweru, hanno visitato e pregato con quattro dei sei bambini ancora ricoverati al Kenyatta National Hospital. In un comunicato rilanciato dalla Comunione anglicana, l’arcivescovo Wabukala ha dichiarato che “il Kenya è una società multi-religiosa” e ha definito “gli attacchi come un’atrocità i cui responsabili devono affrontare ora il pieno rigore della legge”. Il leader della Chiesa keniota ha quindi invitato il governo “a offrire una sicurezza adeguata in quanto chiedere ai cittadini di essere vigili non è sufficiente”. Successivamente il vescovo di Nairobi ha anche fatto visita alla famiglia di uno dei due bambini morti. Si chiamava Ian Maina, di nove anni, ed è deceduto al suo arrivo a Radiant Hospital di Nairobi. La madre del bimbo ucciso, Jane Siavinya, è distrutta dal dolore. “Il governo - dice - deve prendere i colpevoli, non riesco a capire perché hanno preso di mira i più piccoli”. (R.P.)

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    Sudan: conclusa la plenaria dei vescovi. Confermato un solo Segretariato

    ◊   Non due segretariati, come richiesto dai vescovi del Sud, ma uno solo con sede a Juba: è questa - come riferisce l’Osservatore Romano - la decisione emersa dalla recente assemblea plenaria della Conferenza episcopale del Sudan svoltasi a Juba, capitale del nuovo Stato del Sud. La richiesta perché alla divisione politica del Sudan facesse seguito la creazione di due segretariati distinti non è stata dunque accolta. Si è deciso invece per il mantenimento di una sola struttura che avrà sede a Juba, come ha confermato all’agenzia Misna padre Santino Maurino, segretario generale della Conferenza episcopale. Durante l’assemblea plenaria, la scelta sarebbe stata accolta come segno di “un impegno per la comunione dei cattolici e come riconoscimento della funzione universale della Chiesa”. Secondo padre Maurino, la decisione riflette l’esigenza di “adeguarsi” alle sfide di “un contesto in forte mutamento”, simboleggiato negli ultimi due anni dal ritorno di centinaia di migliaia di migranti sud-sudanesi nelle loro terre d’origine. La Conferenza episcopale del Sudan è rimasta un organismo unitario nonostante la divisione del Paese nel luglio 2011, sei anni dopo la fine della guerra civile. Nel Nord, a maggioranza musulmana, ci sono solo due diocesi sebbene il Paese sia esteso su un milione e 886.000 chilometri quadrati. Molto differente la situazione al Sud, con un territorio di 620.000 chilometri quadrati con sette vescovi e milioni di fedeli di religione cristiana. Per la Conferenza episcopale uno dei prossimi passaggi sarà la nomina del nuovo segretario generale. È probabile che sia un religioso originario del Sud, come la grande maggioranza dei sacerdoti e gli stessi vescovi delle diocesi del Nord. Oltre alla questione del segretariato, al centro della riunione dei vescovi sudanesi sono stati altri due temi importanti: la situazione del seminario maggiore e i progetti per celebrare l’Anno della Fede, che si aprirà l’11 ottobre. (L.Z.)

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    Senegal: speciale cappellania per i cattolici in politica

    ◊   Incoraggiare una presenza più incisiva dei laici nella vita politica in Senegal. Questo l’obiettivo che si prefigge la Chiesa senegalese con la creazione di una speciale cappellania per i cattolici impegnati in politica. Il progetto, che prevede diverse fasi di realizzazione, è stato presentato e discusso nei giorni scorsi nella capitale senegalese. La nuova struttura avrà essenzialmente il compito di promuovere e coordinare l’apostolato dei laici con ruoli di responsabilità in politica, ma anche in altri settori della vita civile. La creazione della nuova cappellania, spiega un comunicato diffuso domenica dall’arcidiocesi di Dakar e ripreso dall’agenzia Apic, “permetterà agli attori politici cattolici di vivere la loro fede nei diversi ambiti dell’impegno umano, di vivere bene il Vangelo e di essere forti nella loro vita di fede per poterla testimoniare” meglio. I partecipanti all’incontro hanno salutato positivamente l’iniziativa, sottolineando come la creazione di questa cappellania sia un’esigenza molto avvertita dai fedeli senegalesi, uomini e donne, impegnati in politica, che spesso si sentono trascurati dalle gerarchie ecclesiastiche. A loro giudizio è importante che i politici cattolici possano ritrovarsi insieme, lontani dalle logiche di partito, e avere una piattaforma di concertazione “basata sulla solidarietà e sull’aggiornamento spirituale”. Essi hanno identificato in particolare sette aree di impegno comune dei politici cattolici: i valori, le virtù civiche, l’etica, la giustizia , l’equità, la pace e la promozione del bene comune. L’impegno dei laici nei molteplici ambiti della vita pubblica – lo ricordiamo - è stato uno dei temi principali all’attenzione dei partecipanti al secondo Congresso panafricano del laicato cattolico, svoltosi lo scorso settembre a Yaoundé in Camerun. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Vietnam. La missione: “sfida” dei cattolici nell’Anno della Fede

    ◊   Attraverso incontri, iniziative pastorali e programmi rivolti alla missione, con particolare attenzione al contributo dei laici, la Chiesa cattolica vietnamita si prepara a celebrare l'Anno della fede, proclamato da Benedetto XVI. E sarà proprio la "sfida missionaria", in un Paese segnato da decenni di ateismo imposto dall'ideologia comunista - riporta l'agenzia AsiaNews - l'elemento su cui la Chiesa punterà nei prossimi anni "per raggiungere quel 90% di vietnamiti che non sono cattolici". Nei giorni scorsi l'Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Conferenza episcopale vietnamita ha organizzato il proprio incontro annuale, incentrato proprio sull'Anno della fede. Nella due giorni di discussione, i 21 capi commissione e i 26 rappresentanti di ciascuna diocesi del Paese hanno proposto attività rivolte alla famiglia e iniziative pastorali per il 2012-2013. I membri della diocesi di Long Xuyen, sud-ovest del Vietnam, hanno dedicato molta attenzione alle attività missionarie per genitori e figli. Il vescovo, i religiosi e i fedeli della diocesi di Phu Cuong, invece, hanno espresso interesse per il tema del matrimonio tra cattolici e non cattolici, sviluppando problematiche e difficoltà che emergono dalle unioni miste. Assieme ai catechisti era presente anche un nutrito gruppo di catecumeni. Diverse le iniziative dell'arcidiocesi di Saigon attraverso il proprio Centro per la pastorale, che ha approfondito oltre 150 tematiche fra cui classi di catechismo e seminari per la formazione dei parrocchiani. In una lettera ai fedeli mons. Vo Duc Minh, della diocesi di Nha Trang, invita "ciascun membro della famiglia" a impegnarsi con "determinazione" per gli altri; il prelato chiede anche partecipazione alla messa, l'accostamento all'eucaristia e la recita del Rosario in ogni famiglia. La "sfida" più grande ai cattolici vietnamiti viene lanciata da padre Mark Bui Quan Duc, Redentorista di Ho Chi Minh City, che ricorda il compito missionario affidato a ciascun cristiano. In una nazione in cui cresce il desiderio di fede, spiega il sacerdote, in cui "l'85% delle persone segue una religione" è necessario chiedersi "come possiamo raggiungere il 90% della popolazione vietnamita che non è cattolica". E per vincere questa sfida, conclude, è fondamentale il contributo dei laici. (R.P.)

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    Cile: nel mese missionario il Paese vive anche la “Missione giovane”

    ◊   Il Cile vive quest’anno il mese missionario di ottobre in modo particolarmente intenso per lo svolgimento della “Missione giovane”. “Lo vogliamo vivere arricchendo la nostra fede e manifestando la nostra speranza e carità, perché è proprio l'amore di Cristo che riempie i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Oggi come ieri, Egli ci invia per le vie del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28, 19)”: è questo l’invito delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) del Cile. La nota inviata all’agenzia Fides prosegue: "In questo mese missionario, lo slogan che ci accompagna ci ricorda che la fede si rafforza donandola. Inoltre, quest’anno, proprio il mese di ottobre viene ulteriormente caratterizzato dall’inizio dell'Anno della Fede, che è un invito a ricordare che la fede cresce quando è vissuta come esperienza di un amore che si riceve e viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia”. “Il momento chiave sarà la celebrazione della Giornata Missionaria Domenica Universale delle Missioni, il 21 ottobre – prosegue la nota - in cui ci uniremo in una preghiera speciale, ma anche in un gesto concreto di carità. La raccolta di questa giornata, in tutte le nostre chiese e cappelle, sarà completamente destinata per il lavoro missionario della Chiesa in tutto il mondo. E' la fede trasformata in carità che consente alle Pontificie Opere Missionarie, strumento per la cooperazione nella missione universale della Chiesa nel mondo, di continuare a sostenere l'annuncio del Vangelo attraverso numerosi progetti di aiuto verso il prossimo, di giustizia per i poveri, di possibilità di istruzione e cure mediche in aree remote, cercando di lottare contro la povertà, per la riabilitazione degli emarginati e per sostenere lo sviluppo dei popoli.” (R.P.)

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    Francia: nota dei vescovi sul matrimonio omosessuale

    ◊   Se è vero che spetta al potere politico ascoltare la richiesta di un certo numero di persone omosessuali, tesa a beneficiare di un quadro giuridico formale in grado di dare validità nel tempo alla loro relazione affettiva, è altrettanto vero che la risposta deve essere in funzione del bene comune, di cui lo stesso potere politico è garante. Quindi “la richiesta di estendere il matrimonio civile non può essere trattata soltanto sotto la prospettiva della non discriminazione” o del principio di uguaglianza “poiché ciò supporrebbe di partire da una concezione individualistica del matrimonio”. È quanto afferma una nota diffusa in questi giorni dal Consiglio “Famiglia e Società” della Conferenza episcopale francese e in cui i vescovi prendono ufficialmente posizione sul dibattito in corso nel Paese circa la legalizzazione del matrimonio e dell’adozione omosessuale allo studio del Governo. Una decisione in questo senso — si legge nella nota intitolata “Allargare il matrimonio alle persone dello stesso sesso: apriamo il dibattito!” e ripresa dall’agenzia Apic e dall’Osservatore Romano — avrebbe conseguenze importanti sui bambini, sull’equilibrio delle famiglie e sulla coesione sociale”. Di qui la proposta di una riflessione approfondita e rispettosa, rivolta ai cattolici, ma che “può interessare tutte le persone che si interrogano sulle misure annunciate” e che in questo senso non esprime “solo un punto di vista religioso”. La nota ribadisce la disponibilità della Chiesa all’accoglienza delle persone omosessuali e che essa “continuerà a dare il suo contributo alla lotta contro ogni forma di omofobia e di discriminazione”. Tuttavia – afferma - pretendere di regolare questi problemi ignorando le differenze fra le persone, “appare una scelta ideologica pericolosa”. Il principale compito del potere politico — sottolineano i vescovi — è difendere non solo i diritti e le libertà individuali, ma anche e soprattutto il bene comune e “il bene comune non è la somma degli interessi individuali”, bensì il bene dell’intera comunità. La vera questione è allora di sapere se, nell’interesse del bene comune, la legge che disciplina il matrimonio debba continuare ad affermare il legame fra stato coniugale e procreazione, fra l’amore fedele di un uomo e di una donna e la nascita di un bambino, per ricordare a tutti che la vita è un dono, che i due sessi sono uguali e l’uno come l’altro indispensabili alla vita, che la leggibilità della filiazione è essenziale per il bambino”. Per i vescovi un’evoluzione del diritto di famiglia è sempre possibile ma, invece di cedere alle pressioni di determinati gruppi, la Francia dovrebbe stabilire un vero dibattito nella società e cercare “una soluzione originale che risponda alla domanda di riconoscimento delle persone omosessuali senza tuttavia danneggiare i fondamenti antropologici della società”. (L.Z.)

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    Repubblica Ceca: messaggio dei vescovi per la Beatificazione dei 14 martiri di Praga

    ◊   I vescovi cechi e moravi hanno indirizzato una speciale lettera pastorale ai fedeli in occasione dell’imminente beatificazione dei 14 martiri francescani di Praga che si terrà il 13 ottobre nella cattedrale di S. Vito a Praga. Ricordando i tragici eventi del febbraio del 1611 - riferisce l'agenzia Sir - quando l’esercito di Leopoldo d’Asburgo invase la città di Praga, i vescovi sottolineano che quel crudele spargimento di sangue dovrebbe servire da “monito” per i nostri tempi ed essere per noi una testimonianza di fede che ci aiuti a capire le “ferite storiche” nella convivenza dei cattolici con altre denominazioni. “Gesù ha affermato che non esiste amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici. I nostri fratelli martiri hanno vissuto e testimoniato questa sublime dimensione dell’amore nella terra in cui arrivarono come missionari”, scrivono i vescovi, sottolineando “il carattere internazionale della comunità” e ricordando a tutti “la necessità di una vera solidarietà costruita su valori profondi”. I presuli invitano tutti i fedeli a partecipare a una novena dal 4 al 12 ottobre per prepararsi spiritualmente alla beatificazione. (R.P.)

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    Austria: i musulmani chiedono la costruzione di chiese cristiane in Arabia Saudita

    ◊   Non una proclamazione astratta della libertà religiosa, ma un segno concreto che apre nuovi orizzonti di reciprocità e di dialogo. Un’associazione musulmana a Vienna, «Iniziativa musulmani liberali Austria» (Ilmoe), ha sollecitato la costruzione di una chiesa in Arabia Saudita, Paese dove la professione pubblica della religione cristiana è vietata. «Come l’islam in Europa, anche il cristianesimo deve veder riconosciuto il diritto alla libertà di culto», si legge in uno scritto dell’organizzazione inviato all’ambasciatore saudita a Vienna, Mohammed al-Salloum, citato dall’agenzia Apa. Il presidente dell’Ilmoe, Amer al-Bayati, ha chiesto al diplomatico un colloquio «per esporre le idee per la realizzazione del progetto». Il fatto che la professione pubblica di fede cristiana in Arabia Saudita sia vietata - riporta L'Osservatore Romano - rappresenta «una violazione eclatante del principio della libertà di confessione», scrive Bayati. Dal momento che l’Arabia Saudita sostiene massicciamente, anche finanziariamente, la costruzione di moschee e luoghi di culto in Europa, la mancanza di libertà di religione per i cristiani è fonte di «grande disappunto». L’organizzazione aveva annunciato in primavera alle autorità saudite il permesso di costruzione di una chiesa dopo che il gran mufti saudita aveva chiesto la distruzione di tutte le chiese cristiane nella penisola araba. Ilmoe aveva sottolineato che l’islam non vieta la costruzione di chiese cristiane. Nella Penisola arabica per i cristiani la vita non è facile, soprattutto nei Paesi dove è proibito costruire chiese e celebrare la messa. Dal 2006 le autorità saudite si sono impegnate a garantire ai non musulmani il diritto di pregare in privato, nelle loro case. Ma ai fedeli non musulmani continua a essere vietato pregare in pubblico. Vietate anche le conversioni dall’islam al cristianesimo. Il 15 settembre prossimo a Riad, la capitale saudita, comincia il processo contro un cristiano libanese e un cittadino saudita accusati di aver fatto convertire al cristianesimo una ragazza, impiegata in un’agenzia di assicurazioni, che ora abiterebbe in Gran Bretagna. L’opinione pubblica saudita chiede che i due uomini siano puniti in modo esemplare per conversione forzata. (L.Z.)

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    Unicef: al via la Settimana per l'allattamento materno

    ◊   “Dal 1° al 7 ottobre 2012 si celebra anche in Italia la Settimana per l’Allattamento Materno (Sam), giunta alla sua 15° edizione (la prima è stata nel 1997). La Sam 2012 è dedicata al 10° anniversario dalla pubblicazione della 'Strategia globale per l’alimentazione dei neonati e dei bambini' da parte dell'Oms e dell’Unicef” - ha ricordato il Presidente dell'Unicef Italia Giacomo Guerrera - “La 'Strategia globale' ha l'obiettivo fondamentale di aumentare i tassi di allattamento al seno - in particolare l’allattamento al seno esclusivo per i primi 6 mesi di vita - e di raggiungere il 4° Obiettivo di Sviluppo del Millennio che mira a ridurre di due terzi la mortalità infantile tra 0 e 5 anni”. L'Unicef afferma che la riduzione nella mortalità infantile (passata da circa 12 milioni di decessi annui globali nel 1990 a 6,9 milioni nel 2011) è dovuta in buona parte all’adozione di interventi sanitari di base e a basso costo, fra cui l’allattamento al seno esclusivo e il suo inizio tempestivo. Da quando è stata lanciata l’iniziativa internazionale dei "Baby Friendly Hospitals" (Bfhi), all’inizio degli anni ’90, sono stati riconosciuti più di 20.000 ospedali in 152 Stati. Ciò ha contribuito a un incoraggiante aumento nei tassi di allattamento, nonostante l’aggressiva promozione commerciale di latte artificiale e biberon. Evento di primo piano della Sam 2012 è il IX Incontro della Rete degli "Ospedali & Comunità Amici dei Bambini" in programma a Verbania il prossimo 19 ottobre. (L.F.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 276

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.