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Sommario del 01/10/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: pregare per la nuova evangelizzazione. Chiara Amirante: tutti i battezzati sono missionari
  • Loreto attende il Papa. Mons. Tonucci: la nuova evangelizzazione sotto la protezione di Maria
  • Rinunce e Nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Kenya: forse gli shabaab somali dietro l'attacco alla chiesa di Nairobi
  • Guerra civile in Congo: si aggrava l'emergenza profughi
  • Afghanistan: attentato a Khost, almeno 20 morti
  • Conclusa plenaria dei vescovi europei: voce dei cristiani scomoda perché libera
  • L’11 ottobre fiaccolata a Roma per i 50 anni del Concilio Vaticano II
  • Ad un mese dalla morte del cardinale Martini, il ricordo del segretario, don Damiano Modena
  • A Milano, il Forum internazionale di cooperazione. Napolitano: investire nei Paesi in via di sviluppo
  • Don Ciotti: per combattere la corruzione, rinnovare la politica in profondità
  • A Rovereto il quinto incontro nazionale sull'educazione
  • Giornata internazionale delle persone anziane: risorsa, non fardello
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Parigi: conferenza del cardinale Filoni sull'audacia missionaria
  • Pakistan. Rimsha Masih: udienza rimandata al 17 ottobre. Gli accusatori dell’imam ritrattano
  • Bangladesh: migliaia di musulmani danno fuoco a 22 templi buddisti. I timori della Chiesa
  • Siria: violenti bombardamenti su Aleppo, decine di morti
  • Libano: per la riforma elettorale, la Chiesa maronita chiede piena "rappresentatività" dei cristiani
  • Eurostat: aumenta la disoccupazione giovanile.
  • Perù: si apre il Vertice Sudamerica-Paesi arabi
  • Messico: iniziativa dei vescovi per costruire “Un dialogo per la Pace”
  • Mali: i vescovi apprezzano gli sforzi del presidente per la pace e l'unità del Paese
  • Sudan: sui monti Nuba è emergenza malaria
  • Usa: inizia il mese per la difesa della vita
  • Cina: lettere pastorali di tre vescovi per l’Anno della Fede
  • Pakistan: aumentano i bambini soldato e lavoratori
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: pregare per la nuova evangelizzazione. Chiara Amirante: tutti i battezzati sono missionari

    ◊   Benedetto XVI è rientrato stamani in Vaticano, alle ore 11.30, da Castel Gandolfo, dove ha trascorso il periodo estivo. Per questo mese di ottobre, appena iniziato, il Papa chiede di pregare "per lo sviluppo e il progresso della nuova evangelizzazione nei Paesi di antica cristianità". L'intenzione di preghiera si concentra, dunque, sul tema a cui è dedicato il Sinodo che inizierà, domenica 7 ottobre, con la Messa solenne del Papa in Piazza San Pietro. Sull’intenzione di preghiera, Alessandro Gisotti ha intervistato Chiara Amirante, fondatrice della Comunità “Nuovi Orizzonti” e uditore al Sinodo sulla nuova evangelizzazione:

    R. - Penso che dinanzi alle sfide di questo nostro tempo, la nuova evangelizzazione sia sempre più un’urgenza e si auspica che attraverso questa assemblea sinodale si possa dare un prezioso contributo nell’infondere nelle comunità cristiane un nuovo impegno per svolgere con rinnovato slancio questa missione evangelizzatrice e anche contribuire a fornire importanti risposte riguardo alle nuove sfide di questo tempo e alla capacità della Chiesa di evangelizzare, di dialogare con l’uomo contemporaneo. Diciamo che l’uomo contemporaneo tende a vivere sempre più come se Dio non esistesse, anche se in realtà c’è una grande sete di Dio, una grande sete di fede…

    D. – Vista anche la sfida posta dal secolarismo alla nuova evangelizzazione, i laici sono chiamati ad un impegno particolare su questo fronte …

    R. – Penso senz’altro che il Concilio Vaticano II aveva messo in luce quanto tutti i battezzati siano chiamati ad essere evangelizzatori. Non è certo un compito che possiamo delegare ai vescovi, ai sacerdoti. Ma, ancor prima del Concilio Vaticano II, è la Parola di Dio che ci ricorda questo. C’è una frase molto bella di San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, che ci ricorda che non è per noi un vanto, ma un dovere annunciare il Vangelo, e “guai a me se non predicassi il Vangelo”. Penso che oggi più che mai ci sia bisogno di cristiani che sappiano trasmettere quanto il Vangelo dia risposte concrete alle grandi domande dell’uomo contemporaneo, le grandi sfide della nostra società. E credo che sia più che mai urgente proprio da parte di noi laici, incarnare questo messaggio nella vita quotidiana ed essere sempre più coerenti.

    D. – Oggi la Chiesa celebra Santa Teresa di Lisieux, patrona delle missioni. Quale contributo specifico possono dare le donne alla sfida della nuova evangelizzazione?

    R. – C’è un passo bellissimo di Santa Teresina dove dice che nell’amore c’è la sintesi di ogni vocazione e lei trova finalmente la sua vocazione specifica in questo: “Nel cuore della Chiesa, io sarò l’amore”. E proprio la fedeltà a quello che Gesù ci ha dato come suo comandamento, il comandamento nuovo: “Amatevi come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”. Ecco, forse abbiamo un po’ dimenticato Maria, che è madre nostra, madre di tutti i cristiani: Gesù ha voluto indicare proprio una donna come guida degli apostoli nel momento in cui erano smarriti, perché voleva riaffermare con forza quello che è il ruolo della donna come evangelizzatrice, come portatrice di un contributo specifico alla riscoperta di ciò che può rinnovare la nostra società, che è proprio l’amore.

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    Loreto attende il Papa. Mons. Tonucci: la nuova evangelizzazione sotto la protezione di Maria

    ◊   Il 4 ottobre prossimo, a 50 anni dalla visita di Giovanni XXIII, Benedetto XVI si recherà in visita a Loreto. Un evento che la comunità ecclesiale di tutte le Marche attende con trepidazione. Il Santo Padre si recherà al Santuario della Santa Casa per raccomandare alla Madonna la celebrazione dell’Anno della Fede, promosso per ricordare il 50.mo anniversario dall’apertura del Concilio Vaticano II. La visita avviene inoltre a pochi giorni dal Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione. Alessandro Guarasci ha raccolto la testimonianza dell'arcivescovo prelato di Loreto e delegato Pontificio del Santuario della "Santa Casa", mons. Giovanni Tonucci:

    R. - Il Papa ha saputo partire da quella che poteva essere semplicemente una rievocazione storica, per proporre invece nuovi ideali e nuove finalità. Papa Giovanni era venuto per raccomandare l’inizio del Concilio, e porre questa grande impresa della Chiesa sotto la protezione di Maria. E ora, Papa Benedetto guarda alla Nuova Evangelizzazione, alla riflessione proposta da tutta la Chiesa sul Concilio di cinquantanni fa, e chiede la protezione di Maria su questo nuovo cammino. Quindi, il Papa ci propone non uno sguardo indietro, ma un guardare avanti per capire e cogliere meglio il messaggio di questo grande evento, la cui forza non ha ancora spento la propria energia, ma che ha ancora tantissimo da dirci.

    D. - Lei ha appunto parlato di evangelizzazione. Un aspetto particolarmente importante soprattutto per l’Europa che attraversa un periodo si secolarismo...

    R. - La Nuova Evangelizzazione diventa particolarmente difficile, laddove si direbbe che il Vangelo è stato ormai ascoltato e poi rifiutato, oppure messo nel dimenticatoio. Questo rende il lavoro della testimonianza ecclesiale più difficile, perché si presenta come qualcosa di già visto. Il rischio è che qualcuno dica: “Io queste cose già le conosco, quindi non ho nulla di nuovo da apprendere”. Per cui c’è una difficoltà particolare, ma - direi - è una difficoltà che va affrontata perché è l’imperativo del momento.

    D. - Come state pensando appunto di accogliere il Papa? Quali “sorprese” avete messo in campo?

    R. - Noi intanto vogliamo accogliere il Papa con tutto l’affetto di una città che ha ricevuto i Papi tante volte. Noi non dimentichiamo che la storia di questi ultimi secoli, ci parla di una frequenza di visita del Vescovo di Roma a Loreto. Basti pensare che l’ultimo viaggio che ha fatto Pio IX prima della fine dello Stato Pontificio è stato a Loreto. Il primo viaggio di un Papa fuori Roma, fuori dal Lazio, è stato a Loreto. Giovanni XXIII ha aperto in questo modo la stagione dei "viaggi dei Papi". Non dimentichiamo che Papa Giovanni Paolo II è stato cinque volte a Loreto, mentre Benedetto XVI è già stato nel 2007 a Loreto come Papa, e come cardinale, era venuto sette volte. Vorremmo che la decorazione della città fosse fatta nel modo più tradizionale, semplice e allegro possibile, quindi come nell’antica tradizione del mettere le belle coperte alle finestre e far sentire il calore di una presenza. La Piazza della Madonna sarà allestita per la Celebrazione Eucaristica adoperando le cose belle e semplici che abbiamo nel Santuario, con una copertura davanti al sagrato, che non tolga nulla alla bellezza della facciata della basilica, ma che renda sicura la presenza del Papa. In basilica tutto è pronto nell’eventualità della pioggia, ma noi speriamo che non piova. Quindi vorremmo che la piazza fosse piena; calcoliamo quattromila, quattromilacinquecento persone tra posti a sedere e posti in piedi. Le richieste sono tantissime, e noi speriamo che non solo la piazza sia piena, ma anche le strade che il Papa percorrerà; speriamo possano essere piene di gente che faccia sentire al Pontefice il calore della nostra accoglienza. Qualcuno ha detto: “Vorremmo che il Papa tornasse in Vaticano contento di quello che ha visto e che ha sentito”. Credo che questo sia il programma più bello che possiamo svolgere.

    Dopo la Messa a Loreto, il Papa si recherà al Centro Giovanni Paolo II di Montorso. Un’oasi di spiritualità e di dialogo tra i popoli che, da dieci anni, ospita l'Agorà dei Giovani del Mediterraneo, il tradizionale incontro nel quale si incontrano i giovani delegati delle nazioni dei tre continenti che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Alessandro Guarasci ha intervistato il direttore del Centro, don Francesco Pierpaoli:

    R. - Giovanni Paolo II - ai giovani radunati nel 1995, nella spianata di Montorso, davanti al Santuario, nel momento in cui c’era la guerra nell’ex Jugoslavia - disse ai 400 mila giovani provenienti da tutta Europa: “Ecco la vostra casa, la casa di Cristo e di Maria, la casa di Dio e dell’uomo”. Questa frase di Giovanni Paolo II, legata a un luogo come il Santuario della Santa Casa, ha fatto sì che potesse sorgere nello stesso luogo in cui la frase è stata pronunciata, una casa per i giovani che da quel momento in poi è stata sognata e che nel 2000, è stata realizzata. Una casa dove i giovani possano costruire la casa-chiesa.

    D. - Quest’anno non ci sarà l’Agorà del Mediterraneo... Però, questo per tanti anni è stato un riferimento per tanti giovani da tutta Europa, da tutto il Mediterraneo. Insomma un vero centro di dialogo…

    R. - Mi ha fatto molto piacere che nel viaggio che Benedetto XVI ha fatto in Libano recentemente, abbiamo avuto da alcuni amici l’eco dei giovani che si domandavano rattristati, il perché quest’anno non ci sia stata l’Agorà; come a dire che i giovani che vengono qui ormai dal 2001 - i giovani delle tre sponde del Mediterraneo, quindi tre continenti, Asia, Africa ed Europa - trovano a Loreto, in questo luogo, la possibilità di incontrarsi. Giovani libanesi, palestinesi, israeliani, siriani, egiziani, tunisini o algerini, che dove vivono non si incontrano; qui si incontrano. Giovani dei Paesi dell’ex Jugoslavia, si sono resi conto qui che hanno delle tradizioni comuni, dei canti popolari comuni. Quindi potremmo dire che noi diamo loro una “primavera araba” da diversi anni, e di questo, ripeto, ne siamo estremamente contenti, anche se non ci sono grandi segni... non sono cose che appaiono sui giornali, però sono segnali che noi abbiamo perché conosciamo persone, fatti e situazioni!

    D. - Le Marche come respirano la vostra presenza? Come siete integrati nel territorio?

    R. - Noi ogni anno contiamo 17 mila presenze. Di queste, seimila sono marchigiane. Voglio dire che c’è un’integrazione profonda con il territorio marchigiano. Ma anche qui è una scommessa, non solo perché Loreto è al centro delle Marche, ed è quindi facilmente raggiungibile da Nord a Sud, ma perché qui da alcuni anni si sta sognando quella pastorale integrata, di comunione, che a volte nelle nostre diocesi si vive con fatica.

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    Rinunce e Nomine

    ◊   In Germania, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Passau, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Wilhelm Schraml, in conformità al canone 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.

    Sempre in Germania, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Erfurt, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Joachim Wanke, in conformità al canone 401 §2 del Codice di Diritto Canonico.

    Il Santo Padre ha nominato Capo Ufficio nella Congregazione delle Cause dei Santi il Rev.do Mons. Gianpaolo Rizzotti, Officiale del medesimo Dicastero.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Pace e sicurezza per i congolesi: l’Angelus del Papa alla vigilia del rientro da Castel Gandolfo.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, il settembre rosso di sangue in Iraq (il più violento dal 2010).

    In cultura, su radici cristiane e identità comunitaria, l’introduzione dell’arcivescovo ausiliare emerito di Bologna, Ernesto Vecchi, al volume “Le chiese dei santi patroni” (presentato mercoledì a Bologna).

    Quel velo un po’ destabilizzante: Isabella Ducrot e Rossella Fabiani sul nuovo padiglione islamico del Louvre tra ammirazione e qualche perplessità.

    E’ morto lo storico inglese Eric Hobsbawm. Di formazione marxista, raccontò l’età contemporanea descrivendo il Novecento come “secolo breve”.

    La vera fonte della carità cristiana: nell’informazione religiosa, l’intervento del cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, all’incontro, negli Stati Uniti, di Catholic Charities.

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    Oggi in Primo Piano



    Kenya: forse gli shabaab somali dietro l'attacco alla chiesa di Nairobi

    ◊   Il Kenya al centro delle preoccupazioni internazionali, dopo l’attentato dinamitardo di ieri contro una chiesa anglicana di Nairobi, costato la vita a un bambino. Gravemente feriti anche un’altra decina di minori. Dietro l’atto terroristico, probabilmente i fondamentalisti somali al Shabaab, che avrebbero voluto così rispondere all’alleanza tra esercito somalo e kenyano, i cui attacchi hanno costretto i miliziani a lasciare la roccaforte di Chisimaio, in Somalia. Sulle motivazioni dell’attacco, Giancarlo La Vella ha sentito Enrico Casale, esperto di Africa della rivista dei gesuiti, “Popoli”:

    R. – Moltissimi hanno interpretato questo attentato come une vendetta da parte delle frange musulmane più estreme per la conquista, da parte delle truppe keniane, di Chisimaio che era l’ultima roccaforte in Somalia del movimento Al Shabaab.

    D. – Un atto sicuramente di estrema forza, ma anche di debolezza, visto in questa chiave?

    R. – Certo: è una reazione molto violenta. Gli Shabaab probabilmente, nel prossimo futuro, non scompariranno. Sicuramente hanno perso molto consenso per il fatto di essere molto rigidi dal punto di vista ideologico, ma, probabilmente, continueranno ad essere operativi con attentati di questo tipo sia in Somalia sia nei Paesi vicini, come per esempio il Kenya.

    D. – Quale significato strategico ha la perdita della roccaforte di Chisimaio da parte degli Shabaab, presunti autori di questo episodio?

    R. – Credo che la conquista di Chisimaio sia importante perché con questa città non cade solamente l’ultima roccaforte degli Shabaab in Somalia, ma questo gruppo fondamentalista perde anche la sua più grande fonte di guadagno. Infatti, non solo gli Shabaab gestivano il porto di Chisimaio, che è molto importante per la Somalia, ma, attraverso il porto, controllavano anche tutto il commercio del carbone prodotto nell’entroterra. Quindi, questo ha indebolito ulteriormente gli Shabaab, che sicuramente continueranno a combattere; speriamo che questi attentati siano sempre meno e quindi anche gli Shabaab perdano gradualmente consenso, come del resto già sta avvenendo.

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    Guerra civile in Congo: si aggrava l'emergenza profughi

    ◊   Tra i Paesi al mondo dove le violenze armate persistono, con lutti e sofferenze tra le popolazioni, travolte da annosi conflitti civili è la Repubblica democratica del Congo, dove dal maggio scorso oltre 300 mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case nella ragione orientale del Nord Kivu. Per questo il Papa ha lanciato ieri un appello all’Angelus “perché si trovino vie pacifiche di dialogo e di protezione di tanti innocenti” e “torni al più presto la pace, fondata sulla giustizia”. Roberta Gisotti ha intervistato Giusy Baioni, giornalista e membro dell’associazione Beati costruttori di pace:

    D. – Qual è la posta in gioco in questa guerra e chi si contende cosa?

    R. – La posta in gioco è molto alta in questa regione: è una regione ricchissima, ha un sottosuolo tra i più abbondanti al mondo, in quanto a materie prime, un terreno fertilissimo, spazi enormi e una foresta ancora inesplorata. Insomma, le ricchezze sono tante, a tanti livelli, e certo fanno gola, in particolare al vicino Rwanda, che è un Paese piccolo, che ha bisogno di spazi, di risorse, perché il suo terreno non ne ha, e che dopo il genocidio ha avuto un exploit, un boom economico tuttora in piena crescita.

    D. – Chi si sta combattendo in questa regione? I contendenti hanno un nome?

    R. – In questo preciso momento chi crea tutti questi problemi è un nuovo gruppo ribelle, che ha scelto il nome di M23, che fa riferimento ad una data precisa. Si tratta del Movimento 23 marzo, perché il 23 marzo 2009 il governo siglò dei patti con il precedente movimento ribelle. Secondo questi combattenti il governo non ha mantenuto i patti e per questo motivo, da questa primavera, hanno ripreso le armi e creano molti, molti problemi nella regione.

    D. – Quali patti, se si possono riassumere?

    R. – Sostanzialmente i ribelli chiedevano di essere ammessi nel governo, di prendere parte alle decisioni del Paese e chiedevano il riconoscimento della loro minoranza etnica, che è la minoranza tutsi. Sostengono di non essere stati accontentati in queste loro richieste.

    D. - Di questo conflitto si è parlato giovedì scorso in ambito Onu a New York, presenti il presidente congolese, Kabila, e quello ruandese, Kagame. Quest’ultimo ha negato ogni sostegno del suo Paese al gruppo ribelle M23...

    R. – Sì, è stata una riunione fallimentare ed è sicuramente per quello che il Papa ieri ha fatto quest’appello, richiamando la riunione. Erano presenti, oltre ai due presidenti, Hillary Clinton – segretario di Stato americano – e il segretario delle Nazioni Unite. Il presidente Kagame, dopo 45 minuti di colloqui, se ne è andato: si è alzato ed è andato via, lasciando di stucco i presenti, perché non ammette le responsabilità del suo Paese nella ribellione che sta devastando il Congo, e si è rifiutato di firmare l’appello finale.

    D. – Da qui la preoccupazione per la sorte di queste povere popolazioni...

    R. – Esatto. Perché in tutta questa zona le violenze sono sempre in crescita. Teniamo conto che è una zona turbolenta da almeno 20 anni e precedentemente, anche nella storia del ‘900, ci sono stati continui genocidi, ci sono state guerre intestine. Quindi, è proprio una zona di sofferenze decennali. La gente è provata e penso che i giovani non abbiano mai vissuto un giorno di vera pace e tranquillità.

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    Afghanistan: attentato a Khost, almeno 20 morti

    ◊   Ancora una giornata di forte tensione in Afghanistan, dove stamattina almeno 20 persone hanno perso la vita in un attacco kamikaze a Khost, nell'est del Paese. Uccisi tre soldati della Nato ed un interprete afghano dell'Isaf. I talebani hanno rivendicato l'azione. Ieri due statunitensi, un soldato e un contractor, erano stati uccisi da forze regolari afghane in uno scontro a fuoco, nato per un presunto fraintendimento, presso un check point a Wardak ad ovest di Kabul. Per un commento sulla questione, Massimiliano Menichetti ha intervistato Luca La Bella, responsabile per l’Asia del Cesvi:

    R. - Più ci si avvicina con il confine con il Pakistan - l’ultimo caso è proprio questo della provincia di Khost - più l’insorgenza è attiva e forte. Questo perché il retroterra logistico, il rifugio sicuro di tutti i gruppi che compongono l’insurrezione in Afghanistan, è il Pakistan, in particolar modo le aree tribali pakistane adiacenti all’Est afghano, e l’enorme provincia del Balochistan, contigua a Helmand, a Kandahar, la culla dell’insurrezione talebana; i cervelli dell’insurrezione si nascondono in Pakistan. L’episodio di Khost è chiaramente legato alla rete Haqquani, che ha sotto controllo Khost, Paktia e Paktika, le tre provincie contigue che compongono la Loya Paktia in Afghanistan. Gli Haqqani sono, tra l’altro, gli insorti più pericolosi che già da tempo gli Stati Uniti hanno identificato come la principale minaccia alle loro truppe, alle truppe Nato e ai soldati afghani.

    D. - Il Pakistan è comunque "vicino" all’Occidente. Come è possibile che permanga questa situazione?

    R. – Perché ogni minuto della vita del Pakistan è interamente assorbito dalla rivalità che questo Stato ha con il suo vicino indiano. Essendo l’India un Paese che sovrasta il Pakistan soprattutto dal punto di vista militare, questo cerca di fare qualunque cosa per bilanciare questo dilemma di sicurezza che ha nei confronti dell’India. E quello che fa storicamente, è supportare tutta una serie di milizie islamiche fondamentaliste, che sono considerate alleati naturali contro l’India, ma che sono anche, in un certo qual modo, fuggite loro di mano, cioè seguono le loro proprie agende. D’altro canto, per quanto riguarda l’Afghanistan, il Pakistan vuole assicurarsi quel confine; vuole un potere debole o comunque asservito a Kabul, ai propri interessi, in modo che si possa concentrare sul confine orientale con l’India, e stare tranquilli che il confine afghano rimanga stabilizzato.

    D. - In questo scenario, anche gli scontri tra le forze di polizia afghane e le forze dell’Isaf: alcuni dicono per fraintendimento. È solo questo?

    R. - Sicuramente un affronto, anche involontario, da parte di un soldato occidentale può portare ad epiloghi molto tragici. Credo però che il fenomeno dei Green on Blue, cioè degli omicidi da parte di persone che militano nelle forze di sicurezza afghane nei confronti delle forze Isaf, è in larga parte ascrivibile all’insurrezione, sia direttamente - cioè è il risultato di un piano di infiltrazione messo in atto proprio negli anni in cui noi spingevamo sull’acceleratore e facevamo ingrossare le fila delle reclute dell’Ana e dell’Anp - sia anche al fatto che l’insurrezione può fare pressioni indirette sulle migliaia di giovani che militano tra le forze di sicurezza afghane.

    D. - Difficile comprendere l’Afghanistan a partire solo dal 2001. Qual è il volto del Paese?

    R. - Gli insorti sono quasi sempre pashtun. I pashtun sono il 42 per cento del Paese, per cui c’è sempre l’altro 58 per cento che per ragioni etniche o confessionali non si metterà mai con l’insurrezione. Io credo che la nostra permanenza di 11 anni in Afghanistan non abbia fatto altro che tenere in sospeso fazioni la cui lotta, la cui guerra civile, è stata interrotta da noi nel 2001. E nel momento in cui ce ne andremo, ritorneranno a combattersi per ridare inizio alla guerra civile. Una fase della guerra civile che però è stata aiutata dal fatto che l’Occidente, in questi 11 anni, ha riempito il Paese di armi, armando ex novo l’esercito afghano, il quale in futuro potrà - ancora una volta - scomporsi in quelle linee etniche, in quelle milizie, in quelle fazioni che hanno caratterizzato la guerra civile afghana degli anni ‘90.

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    Conclusa plenaria dei vescovi europei: voce dei cristiani scomoda perché libera

    ◊   Accettare la sfida della secolarizzazione: con questa affermazione si è conclusa ieri a San Gallo, in Svizzera, l´assemblea generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). La Chiesa di oggi, ha affermato il presidente del Ccee, il cardinale Peter Erdö, al termine dei lavori, deve accorgersi della presenza dei segni di speranza che sono frutto del Concilio Vaticano II. Il servizio del nostro inviato Mario Galgano.

    Nella cosiddetta Messa delle Nazioni, celebrata nella Cattedrale di San Gallo e che ha concluso la plenaria, sono stati menzionati i temi principali del incontro annuale dei presidenti delle Conferenze episcopali europee. Oltre 50 tra cardinali e vescovi di tutta Europa hanno discusso negli ultimi quattro giorni sulle sfide che il Vecchio Continente sta affrontando, come la crisi economica ma anche la sfida della nuova evangelizzazione. I vescovi ripartono ciascuno per il proprio Paese dopo giorni intensi di confronto sulla situazione in Europa, attraversata da una profonda crisi che assume molteplici volti, ma con una speranza concreta, come ha ricordato il cardinale Peter Erdö. Il porporato ungherese ha menzionato l´evoluzione in Europa negli ultimi 50 anni dopo il Concilio Vaticano II, da allora “la Chiesa - ha ricordato il cardinale - ha continuato ad essere in cammino cercando di rispondere con la verità di sempre alle sfide di ogni momento, testimoniando così uno sviluppo e un rinnovamento organico”. “Anche le conseguenze della globalizzazione, che sono tra l’altro la facilità dei viaggi, dei trasporti, Internet, malgrado alcune difficoltà e la possibilità di essere usate in modo sbagliato, permettono – a giudizio del presidente del Ccee - una comunicazione globale rapidissima, e possono essere al servizio della trasmissione della nostra fede”.

    Nel comunicato finale, i vescovi europei di dicono “consapevoli che l’annuncio di Cristo Gesù è il grande ‘sì’ di Dio alla vita dell’uomo, alla libertà, all’amore. Il Vangelo, infatti, rivela la verità di Dio-Amore e svela il vero volto dell’uomo, lo salva dal male morale e porta a pienezza la sua umanità. Prendendo atto delle gravi derive del liberismo economico e del libertarismo etico – proseguono i presuli nel comunicato finale - vogliamo ricordare che il cristianesimo è quanto mai attuale, e offre a tutti il suo patrimonio di perenne attualità poiché proclama un umanesimo personalista e comunitario”. “Le culture laiche, che si scontrano su diverse visioni antropologiche, non devono guardare con sospetto il messaggio cristiano, che da sempre dischiude l’ala della fede e l’ala della ragione. Le due ali appartengono all’uomo e alla storia europea, e sono alla base della nostra civiltà. La Chiesa rendendo testimonianza della verità della fede, partecipa al dibattito culturale e sociale con il proprio patrimonio di sapienza e di cultura, presentando le elaborazioni della retta ragione. L’intento di ridisegnare i fondamenti naturali della società, come la famiglia o la convivenza delle diverse tradizioni storiche e religiose, è ritenuto non casuale”.

    I vescovi europei s’interrogano “sullo scopo di atteggiamenti di fastidio e di sistematico discredito che esprimono intolleranza, e a volte anche discriminazione e incitamento all’odio, verso la fede e la dottrina cristiana, e quindi verso i cristiani. La loro voce è da taluni ritenuta scomoda ed è accusata d’intolleranza o di oscurantismo: in realtà, è sentita come pericolosa perché voce libera che non si piega ad interessi, né è disposta a cedere a ricatti. Destabilizzare la persona e la società non è per il bene dell’uomo, ma rappresenta interessi di parte. Apprezziamo specialmente, anche alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, la libertà umana, la quale deve essere usata in rispetto ai diritti delle persone, anche alla loro convinzione religiosa”.

    “Abbiamo preso coscienza della grave situazione dei cattolici della Bosnia Erzegovina – prosegue il comunicato - Vogliamo accompagnare la loro sorte con attenzione solidale e speriamo che la loro libertà venga garantita. Nel contesto europeo, nel quale viviamo – concludono i vescovi del Ccee - auspichiamo pieno rispetto e disponibilità di dialogo senza pregiudizi e arroganza. I cristiani sentono la loro responsabilità di cittadini, ed hanno un patrimonio di verità che duemila anni di storia dimostrano nei frutti di servizio, di bene e di civiltà”.

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    L’11 ottobre fiaccolata a Roma per i 50 anni del Concilio Vaticano II

    ◊   Come 50 anni fa nel giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II, la sera dell’11 ottobre una fiaccolata giungerà in Piazza San Pietro. “La Chiesa bella del Concilio” è il titolo di quest’iniziativa organizzata dall’Azione cattolica italiana in collaborazione con la Diocesi di Roma e alla quale sono invitati tutti coloro che vorranno parteciparvi. Previsto anche il saluto di Benedetto XVI dalla finestra del Palazzo Apostolico. Un momento, dunque, di gioia e di preghiera, che è stato presentato stamani, a Roma. Debora Donnini ha intervistato il presidente nazionale dell’Azione cattolica, Franco Miano:

    R. – Noi abbiamo fatto la scelta di questo piccolo momento di riflessione insieme, oggi, con alcuni testimoni dell’epoca per poterci preparare a questo grande appuntamento dell’11 ottobre: momento di apertura dell’Anno della Fede e cinquantesimo – appunto – dall’inizio del Concilio, e per poter riflettere anche in vista della fiaccolata che come Azione Cattolica proponiamo, a 50 anni da quel bellissimo momento, quella bellissima fiaccolata che in un certo senso favorì l’affacciarsi di Giovanni XXIII e il suo “discorso alla Luna”. Noi, con questo Papa e in questo tempo, vogliamo riprendere gli Insegnamenti del Concilio e rilanciarli in avanti, per il tempo a venire. Non siamo in una prospettiva nostalgica: siamo in una prospettiva che ci apre al futuro.

    D. – Quale le sembra la cosa più importante da ricordare e su cui riflettere oggi, del Concilio Vaticano II?

    R. – Il Concilio Vaticano II ci ha detto che il compito fondamentale della Chiesa è raccontare le meraviglie di Dio all’uomo di questo tempo, annunciare il Vangelo del Signore Gesù. E’ su questo, poi, che si fonda il dialogo, la condivisione, la corresponsabilità: a partire da questa grande radice. Noi crediamo che sia importante ritornare a questa radice.

    D. – Quindi è molto importante questo legame in questo momento storico: il ricordo dei 50 anni del Concilio Vaticano II, l’Anno della Fede e il Sinodo per la nuova Evangelizzazione…

    R. – Precisamente. Credo che sia proprio questo il riferimento importante. Noi partiamo dal Concilio per essere aiutati per un tempo nuovo, al quale vogliamo dire la bellezza dell’essere cristiani.

    E fra i presenti oggi alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, oltre all’assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica, mons. Domenico Sigalini, e al direttore della rivista Dialoghi, Piergiorgio Grassi, anche due persone che il Concilio lo hanno raccontato in diretta: il giornalista e scrittore Gian Franco Svidercoschi, allora inviato dell’Ansa al Concilio, e Raniero La Valle, allora direttore dell’Avvenire d’Italia. Debora Donnini ha chiesto a La Valle di raccontarci i suoi ricordi di allora:

    R. – Oggi voglio raccontare una cosa che forse nessuno sa, e cioè che quel famoso “discorso alla Luna” di Giovanni XXIII, se è andato in onda e tutto il mondo ha potuto vederlo, è stato perché quella sera a Via Teulada, alla Rai, io stavo preparando un documentario sul Concilio che sarebbe dovuto andare in onda alle 21: appunto come direttore di un giornale cattolico ero stato considerato esperto delle cose della Chiesa. Avevamo preparato questo documentario che doveva andare in onda e volevamo inserire qualche immagine della fiaccolata, che era stata annunciata. Poi c’è stata la sorpresa che la fiaccolata è finita con un discorso del Papa – “il discorso alla Luna” – e allora lì, con una decisione improvvisa, presa da Luca Di Schiena che era il grande regista di questi avvenimenti, si è deciso di tenere aperto il collegamento, lasciare perdere il documentario e far sentire Giovanni XXIII. E così quel discorso è diventato storia.

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    Ad un mese dalla morte del cardinale Martini, il ricordo del segretario, don Damiano Modena

    ◊   Il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola ha chiesto oggi a tutte le comunità della diocesi di celebrare la Messa di suffragio per il cardinale Carlo Maria Martini nel trigesimo della sua morte. Inoltre, il porporato ha istituito il “Premio cardinale Carlo Maria Martini” per incoraggiare lo studio delle discipline bibliche, l’approfondimento del tema della lectio divina e la riflessione sul rapporto tra il Vangelo e il tempo presente. Il bando del concorso sarà pubblicato il 15 febbraio, giorno del compleanno del cardinale Martini. A un mese dalla morte, Antonella Palermo ha chiesto al segretario personale del cardinale scomparso, don Damiano Modena, un ricordo di Carlo Maria Martini:

    R. - Più che un ricordo, sento di esprimere un grazie al cardinale. Credo che la cosa più difficile nei rapporti umani sia quella di entrare nella sofferenza di un’altra persona. E’ certamente la parte più intima di ciascuno di noi. Non è facile entrarvi dall’esterno perché l’altro tende sempre a tenerla protetta, un po’ come la parte degli affetti, e poi perché non tutti sono in grado di entrarvi senza devastarla, rispettando quello che ci si trova di fronte. Il cardinale ha permesso a me e ai suoi collaboratori infermieri di entrare in questa parte intimissima della sua vita che è la sua sofferenza, la sua malattia. Non siamo entrati in tutte le stanze perché resta sempre qualche camera riservata per sé, però devo dire che per la maggior parte ci ha permesso di entrare nella parte più preziosa della sua vita e di aiutarlo a viverla meglio, di accompagnarlo in queste stanze della solitudine, del dolore fisico, della delusione, della mancanza di possibilità di comunicare. Ecco, credo che fosse questa, soprattutto, la sua più profonda sofferenza. Fondamentalmente il dolore fisico - come lui stesso ha detto più volte – non era molto grande. Spesso ripeteva: 'è una malattia che mi impedisce, più che crearmi dolore'. L’impossibilità di comunicare lo aggrediva al cuore del suo essere relazione, lui che è sempre stato un uomo di grande comunicazione.

    D. - E’ stato detto di tutto sugli ultimi momenti della sua vita…

    R. - La gran parte sono falsità... direi quasi tutte! E’ morto naturalmente, assistito e accompagnato in tutto. E’ chiaro che fino a un certo punto si può intervenire, da un certo punto in poi bisogna solo accompagnare il malato. Quando si capisce che non c’è più nulla da fare … non c’è più nulla da fare! Lo abbiamo accompagnato con l’affetto, con la preghiera, leggendo passi della Bibbia, cantando anche, attorno al suo letto, tenendogli la mano.

    D. - Secondo lei, è stato strumentalizzato il cardinal Martini da certa stampa?

    R. - Io non so giudicare questo, anche perché non ho letto quasi nulla. Può immaginare, non mi interessava in quel momento. Per me era morto un padre e vivevo il dolore della sua assenza, quindi non mi interessava quello che dicevano. Però, penso di sì, ma non saprei...

    R. - Cosa le piace ricordare del pezzo di vita che lei ha avuto modo di condividere con lui?

    D. - Il suo altissimo senso della giustizia nei confronti di tutti: i poveri, gli ammalati, i sofferenti che incontrava. Avrebbe voluto aiutarli tutti, consolarli tutti, liberarli tutti dalle ingiustizie. E la sua accoglienza nei confronti di tutti. Non l’ho mai sentito esprimere un giudizio negativo su qualcuno, mai. Questo mi ha colpito.

    D. - Cosa le ha insegnato circa il vivere e il morire?

    R. - Forse è ancora presto per me capire, dare spessore alle cose che ho imparato da lui. Circa il vivere, non giudicare nulla, lasciare a Dio il giudizio e noi amare. Noi siamo fatti per amare. E circa la morte… beh, devo dire che pensavo fosse più semplice morire. Invece ho visto che è complicato. Ho capito che bisogna conquistarsi anche la morte. L’ho visto faticare molto. Ho visto, insomma, che non si muore in un istante. E’ proprio un cammino, un percorso nel quale bisogna lasciarsi andare. Lasciarsi fare, e non è sempre facile perché – lui lo diceva spesso – la morte è forse l'unico atto di fede che un uomo fa nella sua vita, perché è l’unico nel quale tu non puoi contare assolutamente più su te stesso. Io credo che lui abbia faticato molto a cedere il passo, a lasciare alla morte il passo, perché amava molto la vita.

    D. - Si ricorda, quattro mesi fa, l’incontro privato tra Benedetto XVI e il cardinal Martini a Milano. In quella circostanza il cardinale volle andarlo a trovare per dimostrare la sua solidarietà in un frangente difficile per il Papa e per la Chiesa…

    R. - Lo ricordo bene. Io credo sia stato un incontro tra due uomini che soffrivano molto. Uno di loro non sapeva che sarebbe morto a distanza di due mesi e l’altro probabilmente non immaginava che una volta diventato Papa avrebbe dovuto sopportare tante croci. E’ stato un incontro in cui gli sguardi e le poche parole erano tese a consolarsi reciprocamente, soprattutto il cardinale al Papa. Trovammo il Papa molto stanco e sofferente e il cardinale ce la mise tutta, secondo le sue possibilità, nel dirgli che gli era vicino, che era un momento di prova, che non doveva preoccuparsi.

    D. - L’eredità spirituale del cardinal Martini per don Damiano?

    R. - E’ immensa. Per me credo sia la misericordia. Essere annunciatori della misericordia. Gesù è sempre stato dalla parte dei peccatori, in tutti i passi del Vangelo. Dall’inizio alla fine. Dalla nascita alla morte. Credo dunque che l’eredità che il cardinale ci ha lasciato sia questa. Una Chiesa autentica è una Chiesa che si mette dalla parte di chi ha sbagliato e lo consola, innanzitutto, se non può fare altro, lo consola.

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    A Milano, il Forum internazionale di cooperazione. Napolitano: investire nei Paesi in via di sviluppo

    ◊   Un nuovo impulso alla cooperazione internazionale. Con questo obiettivo, 1600 delegati si sono dati appuntamento a Milano per il Forum Internazionale della cooperazione, promosso dal ministro italiano, Andrea Riccardi. Un settore che necessita di un rilancio culturale certo, ma anche di risorse, penalizzato com’è da tagli negli ultimi quindici anni. Il servizio è di Fabio Brenna:

    Nel suo messaggio d’apertura, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito la cooperazione allo sviluppo come “politica estera nel senso più nobile e più elevato della parola”, sottolineando come l’aiuto ai Paesi in via di sviluppo oggi è “un critico investimento nella relazioni esterne del nostro Paese, è una cartina di tornasole della nostra presenza nel mondo”. Che dunque la cooperazione non sia solo un “fare la carità” ai Paesi poveri, si è detto convinto anche il presidente del Consiglio, Mario Monti. “Fare cooperazione” ha spiegato il premier, “è un imperativo etico di solidarietà, ma anche e soprattutto un investimento strategico in termini di sicurezza nazionale ed internazionale, di gestione dei flussi migratori, di protezione dell’ambiente, di sicurezza energetica, di promozione di opportunità economico-commerciali per le imprese italiane”.

    Monti ha, quindi, riconosciuto come lo strumento operativo rappresentato dalla Legge 49 sulla cooperazione sia “necessario un aggiornamento”, così come l’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione: per il loro rafforzamento, ha però avvertito, occorrerà attendere che le condizioni di bilancio lo rendano possibile. All’apertura dei lavori sono intervenuti anche il Commissario europeo per lo sviluppo, Piebalgs, e il presidente del Burkina Faso, Campaorè, che ha incontrato Monti per parlare della situazione del Sahel. I lavori proseguono nei sei gruppi tematici che forniranno proposte per il rilancio della cooperazione destinate a dare vita ad un Patto nazionale per la nuova cooperazione allo sviluppo.

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    Don Ciotti: per combattere la corruzione, rinnovare la politica in profondità

    ◊   “Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce ed inquina il Paese”. E’ il titolo del dossier presentato, stamattina, a Roma da Libera, Legambiente e Avviso Pubblico che, arricchito da una casistica di storie e fatti degli ultimi vent’anni, disegna un Paese schiacciato da una tangentopoli infinita che scava nei bilanci pubblici, genera un pericoloso deficit di democrazia e devasta l’ambiente provocando centinaia di vittime. Forte e chiaro il messaggio alla politica: approvare subito il ddl anticorruzione. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    “La corruzione inquina i processi della politica e dell’economia, trasforma le risorse pubbliche destinate ai servizi, all’attenzione alle fasce più deboli e più povere in profitti illeciti; minaccia la libertà di impresa, ma soprattutto sottrae risorse alla comunità. Tutto questo è stimato in una perdita di ricchezza nel nostro Paese di circa 10 miliardi di euro”.

    Così, don Luigi Ciotti, presidente di Libera, inquadra un dossier dai numeri inquietanti. Fino al 17% gli italiani che hanno avuto richieste di tangenti e crescente negli anni è la percezione che a praticare questo sistema illecito siano per lo più i politici. 90 di loro, solo nell’ultima legislatura, sono stati indagati ma senza preclusione alla ricandidatura. Una democrazia, dunque, in ostaggio di un veleno, letale anche per l’ambiente. Negli ultimi due anni il dossier stima infatti in 78 le inchieste, per lo più in Lombardia - dal ciclo dei rifiuti al ciclo del cemento, alle grandi opere, alle emergenze - e 1109 arresti, la maggior parte dei quali in Calabria. Edilizia e costruzioni sono i settori più vulnerabili con un effetto spaventoso sull’incidenza di vittime, come spiega Alberto Vannucci, docente di Scienze politiche all'università di Pisa:

    “I Paesi che conoscono una corruzione più diffusa sono i Paesi nei quali, in occasione di eventi sismici e cataclismi, si registra l’82 per cento delle vittime. Sono quei Paesi nei quali, ad esempio, vengono ignorate le norme sulla sicurezza del lavoro e in questa ricerca si dimostra che c’è una correlazione molto forte tra il numero di morti bianche e l’entità di percezione della corruzione a livello regionale. L’ultimo dato: esiste una ricerca della Banca mondiale che riconduce alla corruzione l’1,2 per cento delle morti infantili. La corruzione, infatti, produce un degrado di tutti i servizi essenziali, inclusi quelli sanitari”.

    Cosa fare dunque? La corruzione non può più essere depenalizzata, chiede don Luigi Ciotti:

    “E’ difficile 'dimostrare' la corruzione, perché in questi anni sono stati svuotati di consistenza alcuni reati che erano fondamentali per dimostrarlo: il falso in bilancio, l’abuso d’atto d’ufficio, il giusto processo; la legge ex-Cirielli, che ha dimezzati i termini della prescrizione”.

    Il ddl in Parlamento va dunque approvato al più presto, altrimenti è inutile inasprire le pene. Almeno quattro le modifiche proposte da Libera: sì alla incandidabilità dei condannati per corruzione, alla confisca dei loro beni, all’inasprimento delle pene per concussione e all’introduzione del reato di auto riciclaggio. Ma poi c’è qualcosa di più profondo da operare: don Luigi Ciotti:

    “… senza un rinnovamento profondo e radicale delle coscienze e delle persone responsabili della vita amministrativa e della vita politica, il rinnovamento sarà un affare apparente più che reale”.

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    A Rovereto il quinto incontro nazionale sull'educazione

    ◊   Aiutare i ragazzi a capire quali sono i loro sogni e dare loro la speranza che è ancora possibile realizzarli. Questo tra gli obiettivi del quinto incontro nazionale sull’ educazione “Educa” che si è concluso ieri a Rovereto. Al meeting, che ha avuto come tema “Educare nell’incertezza. Cosa farà da grande?”, si sono alternati oltre 90 relatori. Veri protagonisti della quattro giorni, sono stati, però, proprio i ragazzi che si sono confrontati sul futuro con le famiglie, e gli educatori. Il commento di Michele Odorizzi, presidente di "Educa" al microfono di Marina Tomarro:

    R. – Il primo dato interessante che emerge è la voglia di partecipare, di riuscire a condividere tra di loro ed anche con il mondo adulto - tra le famiglie, i genitori - queste loro riflessioni attorno all’incertezza. E’ stata davvero una grande occasione, utile per loro, per pensare effettivamente a cosa li riguarderà, in prospettiva, che cosa faranno e cosa saranno da grandi, senza dimenticare per un attimo che la crescita delle persone evidentemente non è riconducibile solo alla possibilità di avere il necessario posto di lavoro, la necessaria possibilità di essere autonomi, ma che tutto questo, alla fine, è in subordine alla risposta alla domanda: “Che uomo sarà? Che cittadino sarà?” Ed è questo che ha attraversato le sale di “Educa”, con uno sguardo al futuro, che ci si è concessi di fare anche guardando indietro.

    D. – Lo scorso anno avete lanciato il progetto “Officina giovani”. Ad oggi quali sono i risultati?

    R. – “Officina giovani” è nata come progetto rivolto in specifico ai ragazzi giovani. Ci sono stati 15 gruppi che a livello nazionale hanno cominciato ad interrogarsi sul proprio futuro, su cosa faranno da grandi, e hanno individuato queste tracce di futuro in una riflessione attorno ai temi della cittadinanza, della legalità, dell’utilizzo dei beni comuni come occasioni e strumenti per consentire loro di darsi delle prospettive effettive di lavoro. E’ stato interessante, perché si sono confrontati ragazzi da Napoli, dal Piemonte all’Emilia, portando le loro esperienze concrete.

    D. – Tra le tante esperienze c’è qualcuna che ricorda in particolare?

    R. – L’esperienza dei ragazzi del quartiere "Sanità" a Napoli, che sviluppando un progetto sulle Catacombe di San Gennaro e costruendo percorsi turistici sono riusciti a rilanciare il turismo anche all’interno di quel quartiere, che era assolutamente fuori da qualsiasi rotta e interesse dei turisti che andavano a Napoli. Più di 40 mila persone ormai "girano" all’interno del quartiere e riescono a vederlo sotto altri occhi. Questi ragazzi hanno poi ritrovato il senso, non solo dell’utilità di un lavoro, di un’occupazione, ma anche il senso di rinvestire in percorsi d’istruzione scolastica. Quindi, percorsi interrotti sono ripresi, trovando un nesso tra l’acquisizione di competenze specifiche e prospettive anche di riscatto, di liberazione per ciascuno.

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    Giornata internazionale delle persone anziane: risorsa, non fardello

    ◊   “Gli anziani contribuiscono in modo essenziale allo sviluppo e alla stabilità della società e molto ancora deve essere fatto per sfruttarne il potenziale”. Così il segretario generale Onu Ban Ki-moon nel messaggio per l’odierna Giornata internazionale dedicata alle persone anziane. La 22.ma edizione di questa giornata si celebra nell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni. Per l’occasione a Roma questa mattina si è svolto il convegno “La crisi e gli anziani in Italia e in Europa. Quali prospettive”, organizzato da Age Platform, rete europea di organizzazioni per persone over 50. Al microfono di Paolo Ondarza il coordinatore per l’Italia Elio D’Orazio:

    R. – Queste nostre iniziative sono occasioni nelle quali lavorare per incrementare ed accrescere questa grande risorsa che è la disponibilità degli anziani.

    D. – Qual è il contributo che gli anziani danno alla società in Europa?

    R. – Innanzitutto nel lavoro, ma soprattutto nel volontariato, in termini di solidarietà, di aiuto, di impegno culturale, civile, di trasmissione di sapere, e, non ultimo, di trasmissione di quelli che sono i valori fondanti della stessa Unione Europea.

    D. – Qual è il rapporto tra la crisi in atto e la popolazione anziana?

    R. – E’ un rapporto difficile. Gli anziani in Italia, ma anche nella società europea, stanno pagando un prezzo molto alto. Ci sono dei rischi, come quello dell’impoverimento, soprattutto delle fasce anziane più deboli.

    D. – Ricordiamo che spesso gli anziani sono un validissimo sostegno anche in termini economici per le nuove generazioni, che non riescono a fronteggiare la crisi...

    R. – Certo, non soltanto in termini familiari o aziendali-familiari, come positivamente spesso succede, per fortuna, ma anche in termini di trasmissione del sapere, di conoscenza, di competenze. Su tutti questi temi noi proponiamo e chiediamo che venga costituito un comitato permanente presso la Presidenza del Consiglio tra le vecchie generazioni di anziani e le nuove generazioni. Su quel tavolo vogliamo portare il nostro contributo d’idee e d’impegni.

    D. – Quando si parla di contributo degli anziani alla società, non parliamo solo in termini fattivi, ma anche di ciò che rappresentano come semplice presenza, come testimonianza nella società; valori spesso disconosciuti, tanto che l’Onu rimarca: discriminazione ed esclusione sociale persistono...

    R. – Purtroppo gli stereotipi persistono e vanno combattuti. Cerchiamo di praticare la nostra lotta alla discriminazione non soltanto a parole, ma anche con i fatti reali, con gesti concreti, coinvolgendo le nuove generazioni.

    D. – Riconoscere il valore degli anziani, puntare a migliorarne la qualità di vita, che è poi ciò che anima il lavoro di Age Platform ed è anche l’obiettivo dell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, contrasta però – va detto – con una realtà sconcertante di chi in Europa – sono gruppi isolati – vorrebbe depenalizzare l’eutanasia per persone anziane sane, ma non più desiderose di vivere. Realtà questa che è frutto di una visione della vita che considera la vecchiaia non come una risorsa per la società, ma piuttosto come un fardello o un costo...

    R. – Sono problemi delicati, che noi solitamente non trattiamo, ma le nostre associazioni sicuramente sono presenti per dare supporto concreto, in modo che non ci sia bisogno di ricorrere a decisioni estreme, per risolvere un problema di sofferenza. La sofferenza ha in sé un suo valore, noi non la vogliamo assolutamente negare, e il nostro supporto non mancherà in questo senso.

    D. – Soprattutto la vecchiaia non va intesa come fardello o costo, ma come una risorsa...

    R. – Certamente, come una grande risorsa anche nel senso di consegna di speranza di vita, di futuro, di progettazione di un futuro che talvolta ci viene negato anche nella prospettiva o nell’immaginazione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Parigi: conferenza del cardinale Filoni sull'audacia missionaria

    ◊   “Evangelizzare non è mai una cosa semplice. In alcuni Paesi per evangelizzare è necessaria una autentica audacia missionaria. Questo è il caso del Tibet: non solo oggi, ma fin dai primi tentativi della sua evangelizzazione. Da qui la necessità di inviare uomini di fede dal carattere temprato, animati da un ardente zelo apostolico e entusiasti della loro missione”. Con queste considerazioni il cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha iniziato la sua conferenza dedicata all’audacia missionaria, tenuta nel pomeriggio di sabato scorso a Parigi, presso la Società per le Missioni Estere di Parigi (Mep) dopo aver inaugurato la mostra dedicata alla missione in Tibet. Nella sua esposizione - riporta l'agenzia Fides - il cardinale ha ripercorso la complessa e travagliata storia della missione in Tibet, i cui inizi risalgono al XVI secolo, con i portoghesi, fino all’affidamento, il 27 marzo 1846, del vicariato apostolico del Tibet alla Società per le Missioni Estere di Parigi. A quel tempo, alla Società di Rue du Bac non mancavano uomini audaci, perfino eroici, come i primi tre missionari martirizzati a Seoul, nella missione della Corea. Il cardinale Filoni ha quindi citato i primi due vicari apostolici del Tibet, mons. Thomine-Desmazures e mons. Chauveau, “che più volte hanno dovuto frenare lo zelo e l'audacia dei loro missionari. La vita di questi missionari, come rilevano gli studiosi, fu contrassegnata da espulsioni, distruzione, ricostruzione, morti violente e crudeli. “In questo contesto, questi pionieri di Dio hanno vissuto l’audacia, l’avventura, la fede, la passione, in modo assolutamente unico – ha sottolineato il cardinale Filoni -. Dal punto di vista etico, non si può ignorare che il martirio e la testimonianza eroica di tanti missionari sono stati i frutti di questa missione ‘impossibile’ portata avanti da uomini in cui il Vangelo aveva rapito cuore, spirito e corpo”. Dopo circa un secolo di lavoro missionario, fecondato dal sangue di numerosi martiri, nel 1950 il Tibet divenne una regione cinese autonoma e tutti i missionari furono espulsi, costretti a lasciare un’opera appena iniziata. “Ma oggi possiamo ancora parlare di audacia missionaria ?” si è chiesto il cardinale, sottolineando le profonde differenze del contesto preconciliare con l’attuale. “Le Chiese frutto della ‘audacia’ di un tempo erano guidate dal personale e dai vescovi occidentali, i religiosi erano per lo più bianchi, i mezzi materiali venivano dall'Occidente, i progetti erano creati da occidentali con forme di adattamento pratico. Oggi le Chiese in Africa, Asia e Oceania sono molto diverse: i vescovi e i sacerdoti sono per lo più indigeni, i seminari sono ricchi di vocazioni autoctone, le istituzioni culturali lavorano con il personale del luogo, le opere educative e sociali rispondono ad amministratori locali. Nel frattempo stiamo assistendo ad una rapida diminuzione dei missionari dei Paesi di antica cristianità, alla crisi delle vocazioni, all’abbandono delle tradizioni in Africa, Asia e Oceania”. Il cardinale ha quindi proseguito: “Tale contesto mi fa pensare, in questo momento, ad un esaurimento storico di questa audacia, ma, al tempo stesso, alla nascita di nuove forme di presenza missionaria legata, ad esempio, ad un laicato più consapevole del proprio ruolo missionario, con una sensibilizzazione a livello di giovani, di famiglie, di professionisti e, perché no, di anziani disposti a dare alcuni anni della loro vita come missionari”. Nella parte conclusiva della sua relazione, il Prefetto del Dicastero Missionario ha invitato ad interrogarsi sulle nuove frontiere della missione ai nostri giorni, e di quale tipo di “audacia” dobbiamo parlare oggi, ed ha sottolineato come i due fattori “immutabili ed intrinseci” della missione siano sempre gli stessi: il messaggio e l’uomo. Ieri mattina il cardinale Filoni ha celebrato la Santa Messa nella sede del Mep. Nella sua omelia ha messo in evidenza, alla luce delle Letture del giorno, il ruolo centrale dello Spirito Santo nell’opera missionaria. Il cardinale ha sottolineato che “il Signore è sovranamente libero: fa dono dello Spirito a chi vuole. Il frutto di questo dono è un profondo atteggiamento di apertura e di servizio, in contrasto con il nostro istinto naturale che è quello di escludere, controllare, dominare”. Quindi ha ricordato che “lo Spirito Santo è il protagonista di tutta la missione della Chiesa.… Dal momento che è il fuoco d'amore che sviluppa l'azione evangelizzatrice, è essenziale lasciarsi guidati dallo Spirito Santo per ottenere una missione fruttuosa”. (R.P.)

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    Pakistan. Rimsha Masih: udienza rimandata al 17 ottobre. Gli accusatori dell’imam ritrattano

    ◊   L'Alta corte di Islamabad questa mattina ha aggiornato il processo a carico di Rimsha Masih, la giovane cristiana arrestata con false accuse di blasfemia e liberata su cauzione il 7 settembre scorso grazie al lavoro congiunto di legali, inquirenti e governo pakistano. Il processo a carico della minorenne - secondo un rapporto medico ha circa 14 anni e soffre di un ritardo mentale - è aggiornato prossimo 17 ottobre. Ma è dal Dipartimento distrettuale che giunge la novità più clamorosa di oggi: i tre accusatori dell'imam Khalid Jadoon Chishti, che avrebbe bruciato pagine del Corano per "incastrare" Rimsha e determinare la cacciata della comunità cristiana, hanno ritrattato, affermando che in precedenza avevano subito "pressioni" e "minacce" da parte della polizia. Si fa perciò sempre più intricata - riferisce l'agenzia AsiaNews - la vicenda giudiziaria della giovane cristiana che, sebbene innocente, rischia di trascinarsi a lungo in tribunale a dispetto degli appelli di leader cristiani e membri della società civile, che chiedono il "proscioglimento immediato" perché "innocente". Lo slittamento al 17 ottobre si è reso necessario perché mancava il legale rappresentante dell'accusa, fuori città per altri impegni. Il tribunale ha accolto l'istanza e aggiornato il processo. Nel frattempo i tre testimoni che, in un primo momento, hanno accusato l'imam Khalid Jadoon Chishti di aver falsificato le prove per incastrare Rimsha Masih e cacciare i cristiani, hanno ritrattato la loro versione dei fatti. A riferirlo è il quotidiano pakistano The Express News, secondo cui i tre giovani avrebbero sottoscritto una falsa accusa dietro "pressioni" della polizia. A denunciare l'imam sono stati il muezzin della moschea Hafiz Zubair, assieme a Hafiz Awais e Khurram Shahzad. Nella nuova versione dei fatti presentata oggi, i tre affermano di aver testimoniato sotto le "torture" degli investigatori che volevano incastrare in ogni modo l'imam Jadoon. Di recente la polizia ha depositato il fascicolo di inchiesta relativo a Rimsha Masih, dal quale emerge che non vi sono né indizi, tantomeno prove o testimonianze di colpevolezza a suo carico. Il fermo risale al 16 agosto scorso, quando la giovane cristiana è stata imprigionata in base alla "legge nera", perché avrebbe bruciato pagine del Noorani Qaida, un libro di testo usato per apprendere le basi dell'arabo e del Corano, con impressi dei versetti tratti dal libro sacro dei musulmani. In realtà, sarebbe stato l'imam Khalid Jadoon Chishti (arrestato e ora sotto processo) a gettare pagine bruciate nell'immondizia appena scaricata dalla ragazza, per fomentare una campagna contro la minoranza religiosa e sequestrarne beni e proprietà. Dall'8 settembre, giorno del rilascio, Rimsha e la famiglia vivono in un luogo protetto nel timore di ritorsioni e vendette personali. (R.P.)

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    Bangladesh: migliaia di musulmani danno fuoco a 22 templi buddisti. I timori della Chiesa

    ◊   Circa 25mila musulmani hanno dato alle fiamme e distrutto 22 templi buddisti e centinaia di case nel sudest del Bangladesh, in uno dei più rari e violenti attacchi contro la comunità buddista del Paese. A scatenare l'aggressione, consumatasi nella notte del 29 settembre - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata una foto apparsa su Facebook, giudicata "offensiva" contro l'islam. Secondo alcuni rivoltosi, un buddista della zona avrebbe postato l'immagine sul social network. Per il momento, le autorità hanno fermato un giovane, Uttam Kumar Barua, ma non è chiaro se sia davvero responsabile della diffusione della foto. Nei disordini, sono stati demoliti anche due templi indù. La violenza ha colpito decine di villaggi degli upazila (sotto-distretti) di Ramu, Ukhia, Patia e Teknaf (Chittagong Division). Le perdite più gravi si registrano a Ramu, dove 15 templi buddisti sono stati rasi al suolo e oltre 100 case date alle fiamme. Tutto è iniziato intorno alle 10 di sera (ora locale), quando centinaia di persone hanno invaso l'area di Choumuhani, inscenando una protesta. La folla si è presto ingrossata, raggiungendo il migliaio di persone e rompendo il cordone di sicurezza della polizia. Intorno a mezzanotte, la gente ha iniziato a spargere polvere esplosiva e benzina, e a dare fuoco a templi e abitazioni. Tra i luoghi di culto distrutti, vi era anche il tempio Shima Bihar, antico di 250 anni. Al momento, per i disordini la polizia ha arrestato 26 persone. Secondo le autorità locali, a fomentare le proteste sarebbero stati musulmani Rohingya, minoranza islamica originaria dello Stato Rakhine del Myanmar. Da mesi questa comunità è vittima di persecuzione di matrice etnica: il Paese, infatti, non riconosce i Rohingya come etnia, ma li considera immigrati clandestini provenienti dal Bangladesh. Il Bangladesh è un Paese a maggioranza musulmana (90%). Con una popolazione di circa 161milioni di persone, è una delle nazioni più povere al mondo, ma il terzo Stato islamico più grande al mondo. Gli indù sono circa il 9% della popolazione, buddisti e cristiani una minoranza dalla percentuale irrisoria di appena l'1%. Tuttavia, la comunità buddista non ha mai sperimentato una violenza di tale portata.“ Per ora le chiese e i cristiani sono stati risparmiati – afferma all'agenzia Fides padre Ezio Mascaretti, del Pime, responsabile di una missione a Chittagong, provincia dove è esplosa la violenza – ma siamo in una situazione molto precaria. Il governo ha messo alcuni gendarmi a protezione della chiesa, ma è una vigilanza solo apparente. Da un momento all’altro potrebbe essere istigata, dalle madrase circostanti, una folla di 5.000 militanti musulmani che, in men che non si dica, possono radere al suolo tutta la missione. Siamo qui, in silenzio, e preghiamo che non ci prendano di mira”. Dietro la violenza, dichiara il missionario italiano, “ci sono gruppi estremisti islamici, molto attivi in Bangladesh. Hanno colto l’occasione e, sulla scia delle manifestazioni in Pakistan, stanno finanziando cortei violenti per prendersi rivincite e guadagnare spazio. I partiti religiosi islamici hanno un interesse politico a fomentare la violenza per mettere nell’angolo il governo della Awami League, considerato troppo filo occidentale, e conquistare così il potere nello Stato”. (R.P.)

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    Siria: violenti bombardamenti su Aleppo, decine di morti

    ◊   L'esercito siriano ha bombardato oggi le regioni di Daraa e Homs, nel sud e nel centro del Paese, causando almeno sette morti, e condotto raid contro i quartieri ribelli della città di Aleppo. Lo rende noto l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Mentre sono almeno 30 le persone, tra cui 7 bambini, che sarebbero state uccise a Idlib, nel nord della Siria, dalle truppe fedeli al regime del presidente Bashar al-Assad. Sono invece quindici persone, di cui cinque bambini, morte in un bombardamento aereo compiuto dalle forze governative su Salqin, localita' nella provincia di Idlib, nel nord-ovest del Paese. Mentre è di "235 ribelli uccisi ieri" il bilancio della controffensiva delle forze militari siriane ad Aleppo: lo afferma il quotidiano filo-governativo al Watan. Sono ''oltre 500'' i negozi distrutti nel suk di Aleppo, nella cittadella dichiarata patrimonio dell'umanita' dall'Unesco: lo scrive il filo-governativo al Watan, accusando i ribelli per i danneggiamenti nell'area. Altri bombardamenti governativi sono segnalati dai Comitati dell'opposizione su diverse localita' fin dalle prime ore di oggi. Tra queste, Qusair e Hula, nella provincia di Homs, e Kafrzita, in quella di Hama. L'antico mercato di Aleppo e' stato dato alle fiamme e parzialmente distrutto nei combattimenti tra esercito e ribelli nella capitale commerciale della Siria: sono oltre 500 i negozi andati distrutti dalle fiamme. A denunciarlo e' l'Unesco, che dal 1986 ha inserito il suk nel Patrimonio Universale dell'Umanita'. I Comitati locali di coordinamento (Lcc) dell'opposizione affermano che 11 persone sono morte e 20 sono rimaste ferite oggi quando una bomba e' caduta su una moschea di Aleppo mentre i fedeli erano riuniti per la preghiera dell'alba. La moschea e' quella di Othman Bin Mathun, nel quartiere di Masaken Hanano. Secondo i Comitati locali di coordinamento dell'opposizione siriana, 64 persone sono gia' morte oggi in Siria, tra cui 12 bambini. (L.F.)

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    Libano: per la riforma elettorale, la Chiesa maronita chiede piena "rappresentatività" dei cristiani

    ◊   La Chiesa libanese invoca un nuovo sistema elettorale in vista del voto parlamentare del prossimo anno, che dia maggiore garanzia di "rappresentatività" ai cristiani e permetta "anche agli espatriati" di esprimere la propria preferenza. È quanto emerge da un comunicato diffuso dal patriarca Bechara Rai, al termine dell'incontro mensile del Consiglio dei vescovi maroniti a Beirut. Al contempo, egli respinge l'attuale sistema che non tutela tutte le anime che compongono il Paese e auspica il "rispetto" della scadenza elettorale, fissata per la primavera del 2013. L'appello della leadership maronita - riferisce l'agenzia Fides - cade in un momento di aspra battaglia politica sulla futura legge elettorale, con i due principali schieramenti (le fazioni rivali dell'8 marzo, legata al movimento sciita Hezbollah, e quella del 14 marzo, vicina all'ex premier Hariri) divisi sul sistema da adottare. Al centro del dibattito un disegno di legge approvata dall'esecutivo il mese scorso, che intende dividere il Libano in 13 distretti medio-grandi, con un sistema di rappresentazione di tipo proporzionale. Di contro, il meccanismo al momento in vigore, adottato nel settembre 2008 in previsione del voto nel giugno 2009, si rifà invece alla legge elettorale del 1960 che, secondo Bechara Rai, non garantisce la rappresentatività dei cristiani. Essa è caratterizzata da un sistema maggioritario secco e dalla divisione del Libano in numerose circoscrizioni elettorali di piccole dimensioni, corrispondenti in massima parte ai distretti (qada'). La settimana scorsa lo scontro si è fatto ancor più serrato, con la proposta dei partiti cristiani della fazione del 14 marzo volta a creare distretti elettorali di piccole dimensioni; un progetto respinto dai rivali dell'8 marzo e dal Partito sociale progressista guidato da Walid Jumblatt, leader della fazione drusa. "Il popolo libanese - ha ammonito il patriarca Rai - sia i residenti, sia quanti vivono all'estero, guardano con rinnovata speranza ai lavori del Parlamento", perché sia approvata una nuova legge che "assicuri una vera rappresentatività per tutti i cittadini". I vescovi maroniti auspicano infine che venga data "priorità" alla legge, dato che il "fattore tempo" lavora in senso contrario "alle riforme a lungo invocate dal popolo libanese". (R.P.)

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    Eurostat: aumenta la disoccupazione giovanile.

    ◊   Ennesimo picco della disoccupazione nell’eurozona, secondo quanto certifica Eurostat, ad agosto si è raggiunto un nuovo record dell’11,4%, il dato più alto da quando è stata istituita la moneta unica. Come segnala l’istituto statistico di Bruxelles, i disoccupati (su base mensile) in agosto erano 25,466 milioni in Europa (49 mila in più rispetto a luglio) di cui 18.196 milioni nell’eurozona. Più pesante il bilancio su base annua che, rispetto ad agosto 2011, è aumentata di 2,170 milioni di unità nella Ue e di 2,144 milioni nella zona euro. Particolarmente grave è la situazione giovanile con il 22,8% di disoccupati under 25 nell’Eurozona e 22,7% in Ue. Tra gli Stati membri, i tassi di disoccupazione più bassi invece, sono stati registrati in Austria (4,5%), Paesi Bassi (5,3%) e Germania (5,5%), mentre Spagna(25,1%)e Grecia(24,4%), si confermano i Paesi con il livello di disoccupazione più elevato. In Italia il dato si conferma stabile per il terzo mese consecutivo al 10,7%. Rispetto ad un anno fa, il tasso di disoccupazione è aumentato in 20 Stati membri, mentre è rimasto stabile nel Regno Unito. (L.F.)

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    Perù: si apre il Vertice Sudamerica-Paesi arabi

    ◊   Fervono i preparativi nella capitale peruviana Lima, con un forte dispiegamento di forze di sicurezza, per l’avvio dei lavori del III Summit Sudamerica-Paesi arabi (Aspa): al vertice - riporta l'agenzia Misna - sono attesi 2000 partecipanti in rappresentanza dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) e della Lega Araba, oltre a centinaia di imprenditori. Il presidente Ollanta Humala ha rivolto un messaggio di benvenuto agli ospiti – dall’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, al segretario generale della Lega Araba, Nabil El Arabi, al re di Giordania, Abdullah II – a nome del Perù, “nazione dalla cultura millenaria e dalla vigorosa modernità”. Ha rassicurato gli investitori sostenendo che il suo Paese gode di un’economia solida e di una politica macro-economica che incentiva la partecipazione straniera, senza tuttavia fare riferimento ai numerosi conflitti sociali che ne scaturiscono. Inizialmente previsto nel febbraio 2011, ma rinviato a seguito delle cosiddette ‘primavere arabe’, il Summit segue quelli di Brasilia (20005) e Doha (2009). La giornata odierna sarà dedicata a riunioni bilaterali tra delegazioni e a una conferenza degli imprenditori; domani si terrà il vertice dei capi di Stato, essenzialmente a porte chiuse, che si concluderà con una dichiarazione congiunta, già “pronta al 90%”, come ha detto ieri il capo della diplomazia peruviana, Rafael Roncagliolo. Il ministro ha anche precisato che il Perù ha insistito per porre l’accento nel testo sui temi del disarmo e della risoluzione pacifica dei conflitti; la dichiarazione dovrebbe contenere riferimenti alla situazione in Siria, una condanna del terrorismo e della violenza a sfondo religioso, ma anche a una serie di accordi futuri nei campi della finanza, dell’economia, dello sviluppo sociale, dell’ambiente e della scienza e tecnologia. Inizialmente prevista, la partecipazione del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, non è stata infine confermata; tra gli altri sono attesi invece il presidente tunisino, Moncef Marzouki, e il libanese Michel Sleiman. Per l’Unasur saranno presenti Juan Manuel Santos (Colombia), Sebastián Piñera (Cile), Rafael Correa (Ecuador), José Mujica (Uruguay), Donald Ramotar (Guyana), Cristina Kirchner (Argentina), Dilma Rousseff (Brasile) e Evo Morales (Bolivia). (R.P.)

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    Messico: iniziativa dei vescovi per costruire “Un dialogo per la Pace”

    ◊   Padre Mario Ángel Flores Ramos, rettore della Pontificia Università del Messico, ha annunciato l'incontro di diversi intellettuali, religiosi e professori del Paese, con lo scopo di promuovere un "Dialogo per la Pace". Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, l'iniziativa viene dalla Conferenza episcopale messicana, consapevole di essere parte responsabile dello sviluppo nel settore culturale, sociale, economico e politico del Paese. "A questo primo incontro non abbiamo invitato i politici - comunque se vogliono partecipare sono invitati ad ascoltare, sono i primi che devono ascoltare -, in quanto abbiamo pensato di invitarli dopo, in un secondo momento, per fargli assumere il loro impegno" ha spiegato padre Flores. Il vescovo di San Cristóbal de las Casas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel, aprirà ufficialmente l'evento il 3 ottobre. Il vescovo ha anticipato che "la fede non è estranea al mondo della cultura, della scienza, della politica e dell'economia, in quanto ha molto da offrire". "Si richiedono nuove strategie, nuove azioni, ma soprattutto il consolidamento di una cultura che si basi su principi universali, come il rispetto e la promozione della dignità di ogni essere umano e, naturalmente, un modello di sviluppo più umano" ha sottolineato il rettore dell’università illustrando la necessità di un Dialogo per la Pace. Padre Flores ha anche detto che "le famiglie, i sindacati, le religioni e i partiti politici hanno bisogno di ascoltarsi gli uni gli altri, e questo fa parte degli obiettivi dell'incontro che si svolgerà il 3 e 4 ottobre presso il Centro Cultural Universitario. Per due giorni si discuterà su quattro temi principali: dolore e sofferenza di una nazione; il dialogo che ci riconcilia; strategie per la ricostruzione; speranze per il futuro. Alla fine dell'incontro non è programmata la firma di un accordo, ma la pubblicazione di interventi e commenti. (R.P.)

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    Mali: i vescovi apprezzano gli sforzi del presidente per la pace e l'unità del Paese

    ◊   “Preghiamo, come tutti i maliani, per l’unità del Paese e per il ritorno della pace” scrivono i vescovi del Mali in una missiva indirizzata al Presidente ad interim, Dioncounda Traoré. Il documento, inviato all’agenzia Fides, è stato redatto al termine della Sessione plenaria della Conferenza episcopale del Mali, che si è tenuta a fine settembre. I vescovi esprimono il loro apprezzamento per il perdono concesso dal Presidente a coloro che, a maggio, lo hanno assalito nel palazzo presidenziale, e affermano di condividere le preoccupazioni del Capo dello Stato per la situazione nel nord del Paese, in mano ad alcuni gruppi integralisti. “Salutiamo ancora una volta il vostro piano di risolvere i problemi attraverso il dialogo, sempre il dialogo e ancora il dialogo, prima di arrivare all’uso di altri mezzi” sottolinea la missiva. I vescovi salutano inoltre la costituzione del nuovo governo di unità nazionale e “prendono atto della creazione del Ministero degli Affari Religiosi e di Culto”. “Auspichiamo che questo ministero si occupi degli incarichi che gli sono stati affidati: il rafforzamento della laicità dello Stato; il rinvigorimento del dialogo tra tutte le religioni e la coabitazione pacifica tra tutte le confessioni religiose” concludono i vescovi maliani. (R.P.)

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    Sudan: sui monti Nuba è emergenza malaria

    ◊   Settimane di piogge intense e la mancanza di cibo sono alcuni dei fattori che stanno aggravando un’epidemia di colera nella regione dei Monti Nuba, un’area del Sudan dove da oltre un anno è in corso un conflitto tra esercito e ribelli: lo riferiscono fonti dell'agenzia Misna, sottolineando che alcuni ospedali sono al collasso. In una clinica, una delle poche nella regione, i bambini ricoverati per la malaria sono oltre 100 nonostante i letti disponibili siano solo 43. Molti dei pazienti hanno contratto infezioni e presentano segni evidenti di malnutrizione. Secondo il personale medico, l’emergenza potrebbe continuare fino a dicembre. All’origine dell’epidemia c’è lo scarso raccolto dell’ultimo anno, dovuto anche al conflitto tra i militari e i ribelli del Movimento di liberazione popolare del Sudan-Nord (Splm-N). In un bombardamento aereo sul villaggio di Ngadoro la settimana scorsa, è stata uccisa una donna e altre sette persone sono rimaste ferite. L’Splm-N ha legami storici con gli ex ribelli ora al potere in Sud Sudan, un Paese divenuto indipendente nel luglio 2011. Come la vicina regione di Abyei, ricca di petrolio, i Monti Nuba sono rimasti fuori dagli accordi sottoscritti ieri ad Addis Abeba dai governi di Khartoum e di Juba. (R.P.)

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    Usa: inizia il mese per la difesa della vita

    ◊   La Chiesa cattolica degli Stati Uniti si prepara a vivere il mese di ottobre con una serie di iniziative per la promozione della difesa della vita. La prima si svolgerà domenica 7 ottobre, con la celebrazione di apertura del Respect Life Month, periodo dedicato alla preghiera e all’azione per affermare il valore e il rispetto della dignità dell’essere umano. Quest’anno anno la celebrazione avrà come tema “La fede ci apre gli occhi alla vita umana in tutta la sua ampiezza e bellezza”. In una nota inviata all’agenzia Fides, il cardinale arcivescovo di Galveston-Houston e presidente del Comitato per le attività pro-vita dell’episcopato statunitense, Daniel N. DiNardo, ha osservato che il tema si collega all’inizio dell’Anno della Fede (11 ottobre) e al tema della pace, a proposito del quale il cardinale ha rievocato in particolare la visita di Benedetto XVI in Libano. “I legami tra la fede, la dignità intrinseca e i diritti degli esseri umani, e una società giusta e pacifica, sono stati compresi anche dai padri fondatori degli Stati Uniti e questi principi morali di base hanno forgiato per millenni la civiltà”. Tuttavia, aggiunge, “negli ultimi decenni molte persone che influenzano la politica pubblica hanno promosso diverse eccezioni a questi principi”. Numerose sono le questioni che preoccupano l’episcopato: a partire dalle pratiche abortive alla lotta alla povertà e alla discriminazione. Ma anche il fine vita, la tutela del matrimonio e la pena di morte rientrano tra i punti di riflessione su cui si incentra l’iniziativa, avviata nel 1972 e che viene portata avanti in circa duecento fra arcidiocesi e diocesi. Nel concludere la nota, il cardinale ricorda i “fronti” che rimangono aperti, soprattutto la lotta all’aborto e la tutela della libertà di coscienza, colpita dalle nuove direttive sanitarie che impongono l’estensione della copertura assicurativa anche per l’interruzione volontaria di gravidanza e la contraccezione. Iniziato nel 1972, il Respect Life Program, viene seguito da 195 diocesi negli Stati Uniti. (R.P.)

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    Cina: lettere pastorali di tre vescovi per l’Anno della Fede

    ◊   Sono diversi i vescovi diocesani della Cina continentale che hanno pubblicato una loro Lettera pastorale per l’Anno della Fede. Tre di loro, di cui è pervenuta notizia all’agenzia Fides, lo hanno fatto nella festa di San Matteo apostolo, per “rispondere all’appello di Papa Benedetto XVI per l’Anno della Fede”. Mons. Gan Jun Ren, vescovo della diocesi di Guang Zhou, nella sua Lettera conferma l’impegno della Chiesa “a guidare i fedeli nell’Anno della Fede cercando la verità, per essere tutti testimonianza valida del Cristo Risorto”. “La fede è come la staffetta che noi abbiamo preso dai nostri antenati nella fede, e abbiamo il dovere di trasmetterla, precisa e veloce... Quindi tutti i fratelli e le sorelle devono seguire l’insegnamento del Papa nella vita per ingrandire al massimo lo spirito della Porta della Fede”. In questo cammino il vescovo invoca l’intercessione della Madonna, Stella dell’Evangelizzazione. “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 28) è il titolo della Lettera di mons. Silvester Lee, vescovo della diocesi di Tai Yuan, e del suo coadiutore, mons. Paulus Meng, in cui illustrano lo scopo dell’Anno della Fede; la manifestazione della fede; la Rivelazione e la trasmissione della Rivelazione; il ruolo della Chiesa nella Rivelazione; la fede nella vita dei fedeli; l’impatto del mondo odierno sulla fede; l’appello della Chiesa nell’Anno della Fede. Inoltre presentano il programma della diocesi per vivere l’Anno della Fede: la solenne apertura, in concomitanza con la Chiesa universale, il 13 ottobre, nella Cattedrale, “per riconfermare la nostra Fede”; seminari sui temi della fede; l’approfondimento in parrocchia dell’insegnamento del Papa e del magistero; l’adorazione pubblica per condurre i fedeli ad incontrare Gesù incarnato nell’Eucaristia; campeggi estivi e altre iniziative indirizzate ai giovani e ai ragazzi sul tema “fede e vocazione”; la formazione degli operatori pastorali. Nella Lettera i due Pastori invitano i fedeli alla riscoperta della fede e a scegliere un’altra volta nella loro vita di seguire Gesù. “Non temere, soltanto abbi fede!” è il tema scelto dal vescovo di Xuan Hua, che sottolinea nella sua Lettera l’importanza dell’Eucaristia e del Rosario per vivere bene l’Anno della Fede. Scrive: “Nonostante cause esterne impediscano al Pastore della diocesi di stare con il suo gregge, il suo cuore paterno è sempre con voi, prega per voi e offre il Sacrificio per voi. Quindi condivo anche la grazia dell’Anno della Fede con voi, esortandovi a vivere bene l’Anno della Fede”. Il vescovo ha anche indicato la Vergine Maria come perfetto esempio di vita di fede per i suoi fedeli. (R.P.)

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    Pakistan: aumentano i bambini soldato e lavoratori

    ◊   In Pakistan si registrano oltre 10 milioni di bambini lavoratori nella fascia di età tra 10 e 15 anni, molti dei quali occupati nella pesca, nelle miniere, nei raccolti e nei forni di cottura. Secondo l’ultimo rapporto annuale della Società per la Tutela dei Diritti del Bambino (Sparc), intitolato ‘Lo stato dei bambini del Pakistán 2011”, in seguito alle continue inondazioni del Paese, 1,8 milioni di piccoli hanno abbandonato la scuola negli ultimi 2 anni. I bambini di strada vivono prevalentemente nelle città delle zone colpite dalle inondazioni, e solo il 53% di questi beneficiano di programmi nutrizionali. Nel frattempo, i conflitti armati nel nord hanno aumentato il reclutamento di bambini soldato e terroristi suicidi. Il fenomeno è aggravato dal numero di scuole che sono state costrette a chiudere. I militanti ne hanno distrutte o parzialmente danneggiate 710, penalizzando 600 mila piccoli della provincia di Khyber Pakhtunkhwa. Le aree tribali sotto l’Amministrazione Federale avevano già chiuso 956 scuole nel 2010, a causa delle minacce dei militari. Lo scenario politico ed economico attuale ha aggravato il fenomeno del lavoro minorile. L’intensificarsi della crisi energetica nel Paese ha fatto crescere la domanda di mano d’opera, e l’aumento di bambini lavoratori nelle fabbriche. Inoltre il governo ha ridotto le spese per l’istruzione, passando nell’ultimo bilancio dal 2 all’1,8%. Determinante è stato anche l’impatto dei fondamentalismi religiosi nei piccoli. A causa della mancanza di supervisione e regolamentazione da parte del governo, nelle scuole islamiche non registrate sono state riscontrate forme estreme di punizioni corporali da parte dei religiosi autorizzati. L’islamizzazione dei libri di testo discrimina gli studenti non musulmani. I bambini che fanno parte delle minoranze sono obbligati a convertirsi all’Islam attraverso violenze e sequestri, ad opera di organizzazioni estremiste e religiose. Sempre dal rapporto della Sparc risultano 2.303 casi di abusi sessuali su minori, 1.421 casi di detenzione, 7.000 casi di sequestro, 167 di morte di bambini soldato nella provincia settentrionale e 27 piccoli hindu sequestrati negli ultimi mesi del 2011 a scopo di riscatto. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 275

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.