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Sommario del 30/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai vescovi francesi: urgente affrontare l'ignoranza religiosa
  • Messaggio del Papa a Bartolomeo I: camminare verso l'unità anche se la strada è lunga e difficile
  • Il card. Vegliò: la Chiesa vicina ai circensi, domani l'incontro con il Papa
  • Il Vaticano accoglie con favore il voto dell'Onu che riconosce la Palestina Stato Osservatore
  • Da venerdì 7 dicembre le prediche d'Avvento di padre Cantalamessa al Papa e alla Curia
  • Sinodo dei Vescovi: testimoni credibili e nuovi linguaggi per la nuova evangelizzazione
  • Il Papa ha nominato mons. Couto nuovo arcivescovo di Delhi in India
  • Why Poverty? Giovanni XXIII e la Chiesa madre dei poveri
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La Palestina nell'Onu come Stato: festa nei Territori occupati, delusione israeliana
  • Il patriarca Twal: Palestina, Stato nell'Onu, passo avanti per la pace. Padre Pizzaballa: è la via giusta
  • Egitto. Costituente: sì ai principi della Sharia. Padre Samir: anche molti musulmani non la vogliono
  • Disoccupazione record in Italia. Zamagni: cambiare modello economico o sarà peggio
  • Il cardinale Bagnasco: in Europa c'è una cultura debole. Preoccupazione per ospedali, Ilva e scuole
  • I Comuni italiani sfidano il gioco d'azzardo. Intervista con padre Rastrelli
  • Taglio dei finanziamenti pubblici: è emergenza per gli ospedali religiosi del Lazio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Chiese europee e migranti: una politica di "comunione" per le migrazioni in Europa
  • I vescovi argentini: il Paese sta vivendo una delle pagine più difficili della sua storia
  • Panama: i 500 anni della prima diocesi continentale. Il card. Ouellet incontra Ricardo Martinelli
  • Colombia: "ottimismo" dopo il primo ciclo di colloqui di pace a Cuba
  • Congo: in attesa del ritiro da Goma, violenze e saccheggi dei ribelli
  • Nigeria. Il vescovo di Sokoto: gli attacchi anticristiani indeboliscono lo Stato di diritto
  • India: una chiesa in Karnataka demolita da estremisti indù
  • Cina: l'aiuto della Caritas per i malati di Aids
  • India: il card. Cleemis Thottunkal sull'importanza del dialogo interreligioso
  • Nuova Zelanda: "no" dei vescovi al progetto di legge sulla ridefinizione del matrimonio
  • Polonia: pellegrinaggio e sessione missiologica a Jasna Góra
  • Ungheria: il governo propone di modificare i finanziamenti alla Chiesa
  • Premio Unesco all’arcivescovo anglicano Desmond Tutu per la promozione dei diritti umani
  • Radio Vaticana: seminario di formazione dell'Ebu su Chiesa cattolica e Santa Sede
  • Apre domani la mostra “Puer Natus. L’infanzia di Gesù nei corali miniati del Duomo di Siena”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai vescovi francesi: urgente affrontare l'ignoranza religiosa

    ◊   La nuova evangelizzazione sarà davvero efficace se riuscirà a contrastare l’ignoranza della fede: è quanto affermato da Benedetto XVI nell’udienza all’ultimo gruppo di vescovi francesi, in visita ad Limina, ricevuti stamani in Vaticano. Il Papa non ha mancato di mettere l’accento sul ruolo dei laici e dei giovani in particolare, per dare nuova vitalità alla speranza cristiana in Francia e in Europa. Infine, ha auspicato che nascano nuove vocazioni sacerdotali. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Uno dei “più gravi problemi della nostra epoca”, ha detto Benedetto XVI, è l’ignoranza religiosa nella quale vivono molte persone, “compresi i fedeli cattolici”. Una situazione, ha avvertito, che va affrontata con decisione come è stato ribadito nel Sinodo sulla nuova evangelizzazione:

    “Il s’agit en realité d’une double ignorance…”
    “Si tratta in realtà – ha evidenziato – di una doppia ignoranza”: una "scarsa conoscenza della persona di Gesù Cristo e un’ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti” di valore universale “nella ricerca del significato della vita e del bene”. Questa ignoranza – ha osservato – genera inoltre nelle nuove generazioni l’incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha plasmato la vita, la società, l’arte e la cultura europea”. Ha quindi indicato nell’Anno della fede e nell’impegno per la nuova evangelizzazione l’occasione per rinnovare la testimonianza della fede. “Preghiera e azione – ha aggiunto – sono gli strumenti che il nostro Salvatore ci chiede sempre ancora di utilizzare”:

    “La nouvelle évangélisation sera efficace…”
    “La nuova evangelizzazione – ha affermato – sarà efficace se coinvolgerà profondamente le comunità e le parrocchie”. Ed ha sottolineato come “i segni di vitalità e l’impegno dei fedeli laici nella società francese siano già una realtà incoraggiante”. I laici, assieme ai vescovi e ai sacerdoti, “sono protagonisti nella vita della Chiesa e nella sua missione di evangelizzazione”. I laici, ha detto, sono “il volto del mondo nella Chiesa e al tempo stesso il viso della Chiesa nel mondo”:

    “L’Eglise en Europe et en France ne peut rester…”
    “La Chiesa in Europa e in Francia – ha poi avvertito – non può restare indifferente di fronte alla diminuzione delle vocazioni e delle ordinazioni sacerdotali”. E’ urgente, ha detto, “mobilitare tutte le energie disponibili affinché i giovani possano ascoltare la voce del Signore”. Ed ha messo l’accento sulle famiglie e le comunità ferventi che rappresentano un “terreno particolarmente favorevole” per le vocazioni. Il Papa ha quindi rivolto il suo pensiero alla gioventù “speranza e avvenire della Chiesa nel mondo” mettendo in rilievo il ruolo dell’educazione cattolica. Un compito “ammirabile – ha detto – spesso difficile” che permette ai giovani di “assimilare i valori umani e cristiani” per tendere all’amore del vero e del bello. Ed ha rilevato che gli istituti cattolici sono al primo posto nel favorire il dialogo tra fede e cultura. In tale contesto, ha elogiato l’iniziativa di alcune diocesi per promuovere lo studio teologico tra i giovani:

    “La théologie est une source de sagesse…”
    “La teologia – ha detto – è una fonte di saggezza, di gioia” che “non può essere riservata solamente ai seminaristi, ai sacerdoti e alle persone consacrate”. Proposta a numerosi giovani e adulti li “conforterà nella loro fede e farà di loro, senza dubbi, degli apostoli audaci e convincenti”.

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    Messaggio del Papa a Bartolomeo I: camminare verso l'unità anche se la strada è lunga e difficile

    ◊   Continuare sulla strada intrapresa verso la piena comunione anche se “può sembrare lunga e difficile”: così, Benedetto XVI in un messaggio al Patriarca ortodosso, Bartolomeo I, in occasione dell’odierna festa di Sant’Andrea Apostolo, patrono del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il documento è stato consegnato a Bartolomeo I dal cardinale Kurt Koch, presidente del dicastero vaticano per l’Unità dei Cristiani, che si trova ad Instanbul assieme ad una delegazione vaticana per la festa di Sant’Andrea. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Benedetto XVI auspica “una comunione profonda e reale, anche se ancora imperfetta”, una comunione che “si basi non su ragioni umane di cortesia o di convenienza, ma sulla comune fede nel Signore Gesù Cristo”. Nel suo messaggio al Patriarca ecumenico Bartolomeo I, il Papa esorta ad “andare avanti con fiducia sul sentiero che porta al ripristino della piena comunione”. Una strada sulla quale si sono fatti molti progressi e sulla quale è necessario proseguire anche se può sembrare “lunga e difficile”. "Abbiamo intenzione di continuare in questa direzione - aggiunge il Papa - confortati dalla preghiera che nostro Signore Gesù Cristo rivolse al Padre: ‘siano anche essi uno in noi, affinché il mondo creda’" (Gv 17,21)”.

    Benedetto XVI esprime "viva riconoscenza" per le parole pronunciate da Bartolomeo I al termine delle celebrazioni per il 50.mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e per l’Anno della Fede. Il Pontefice ricorda “l’amicizia sincera e autentica” con il Patriarca ecumenico che nasce dalla responsabilità a cui entrambi sono chiamati come “cristiani e come pastori del gregge”. Amicizia – aggiunge Benedetto XVI – che è motivo di “grande speranza” per rendere la collaborazione ancora maggiore in particolare nel dare “rinnovato vigore alla testimonianza del messaggio evangelico nel mondo di oggi”. Per entrambi “la sfida più urgente – prosegue il Papa – è come raggiungere l’uomo di oggi nell’annuncio misericordioso di Dio”; uomo che è spesso “distratto, incapace di una riflessione profonda sul senso della sua esistenza”, deluso dalle utopie. La Chiesa non ha altro messaggio che “il Vangelo di Dio” – soggiunge - e non ha altro metodo che l'annuncio apostolico, sostenuta in questo dalla testimonianza di santità di vita dei pastori e del popolo di Dio. “Il Signore Gesù - continua il Papa - ci ha detto che ‘la messe è molta’ (Lc 10, 2), e non possiamo accettare che si perda a causa delle nostre debolezze e le nostre divisioni”.

    E Bartolomeo I, dal canto suo, ha detto che “il cammino ecumenico è irreversibile”, nonostante le difficoltà. Nel corso della celebrazione nella chiesa patriarcale del Fanar, ad Istanbul, il Patriarca ecumenico ha inoltre esortato ad impegnarsi nell’esercizio del dialogo, cercando di evidenziare più quello che unisce rispetto a ciò che divide. Infine, ha annunciato la conclusione dei lavori di preparazione per il grande Sinodo panortodosso che a breve sarà convocato. La visita della delegazione della Santa Sede si inserisce nell'ambito del tradizionale scambio per le rispettive feste dei Santi Patroni, il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi apostoli Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea apostolo. La delegazione della Santa Sede, formata dal cardinal Kurth Koch, il vescovo Brian Farrell, monsignor Andrea Palmieri e il nunzio apostolico in Turchia, l'arcivescovo Antonio Lucibello, ha partecipato alla solenne Divina Liturgia e poi ha avuto luogo un incontro con il Patriarca e con la commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa Cattolica.

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    Il card. Vegliò: la Chiesa vicina ai circensi, domani l'incontro con il Papa

    ◊   Far capire ai lavoratori dello spettacolo viaggiante che la Chiesa non li ha abbandonati, anche se oggi sono spesso costretti a vivere in condizioni di marginalità. E’ questo uno dei motivi dell’udienza che Benedetto XVI concede, domani mattina, a circa 7 mila tra circensi, fieranti, artisti di strada, bande musicali e madonnari, provenienti da numerosi Paesi europei, ma anche dalla Russia e dagli Stati Uniti. L’udienza è il momento culminante di un pellegrinaggio che comincia oggi con una celebrazione eucaristica nella Basilica vaticana e uno spettacolo in Piazza del Popolo. Nelle due giornate sono allestiti in piazza San Pietro tre simboli dello spettacolo viaggiante, una giostra, un tendone da circo e un teatrino di burattini. Ma come nasce l’occasione di questa udienza? Fabio Colagrande lo ha chiesto al cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti che lo ha organizzato:

    R. - Il desiderio di essere ricevuti dal Santo Padre è maturato lo scorso anno, dopo l’udienza che il Pontefice ha concesso al mondo degli zingari, con i quali lo spettacolo viaggiante ha in comune l’esistenza itinerante. Alcuni rappresentanti di associazioni circensi hanno allora rivolto una domanda in tal senso al nostro Pontificio Consiglio. Ho risposto con entusiasmo, non solo per accontentare la loro richiesta, ma anche per far conoscere al Santo Padre la complessa realtà di questo mondo speciale e il ruolo che esso può svolgere nella nuova evangelizzazione. Anche la loro adesione è stata corale, tanto che attendiamo la partecipazione di oltre 7 mila persone, tra professionisti del circo, esercenti di luna park e delle fiere, artisti di strada, madonnari e burattinai, componenti di bande musicali e di gruppi folcloristici, provenienti dall’Europa, fin dalla Russia, dagli Stati Uniti e naturalmente in maggioranza dall’Italia.

    D. - Quali sono le problematiche pastorali più attuali che riguardano i lavoratori e gli artisti dello spettacolo viaggiante?

    R. - Anche in questo ambito la crisi economica fa sentire il suo peso e ha portato un calo dei visitatori, degli spettatori, un aumento dei costi delle attrezzature, di gestione e di affitto delle aree di sosta. Inoltre, gli spostamenti da una nazione all’altra sono resi più difficili dalle nuove norme di sicurezza più restrittive. A questi nuovi problemi si aggiungono quelli propri al loro stile di vita, caratterizzato da costanti spostamenti da una città all’altra, che genera provvisorietà, non consente di legarsi ad alcun luogo e crea difficoltà anche alla scolarizzazione dei figli. Il circo, per esempio, in media cambia luogo ogni settimana. Non di rado, nelle aree in cui sostano, sorgono difficoltà con la popolazione residente, e a volte anche con le autorità, per occupazione di suolo pubblico e disturbo alla quiete. La Chiesa è vicina alla famiglia dello spettacolo viaggiante per sostenerla e incoraggiarla nel suo cammino.

    D. - Il titolo di un vostro convegno del 2010 definiva i Circhi e i Luna Park: ‘cattedrali' di fede e tradizione, segni di speranza in un mondo globalizzato’. Cosa significa?

    R. - È vero, il tema di quel Congresso era molto forte: “Circhi e Luna park: ‘cattedrali’ di fede e tradizione, segni di speranza in un mondo globalizzato”. Posso dire che era stato scelto dai direttori nazionali che hanno usato questa metafora per sottolineare come sotto i tendoni del circo e nell’ambito delle feste, delle sagre, si possono comunicare agli altri le verità della fede e la bellezza della vita vissuta in comunione con Dio e nella preghiera. Spesso ciò avviene nel corso degli spettacoli in cui si trasmettono messaggi di serenità e di solidarietà con l’offerta di occasioni di sano divertimento. E la cattedrale è il luogo per eccellenza dell’incontro dell’uomo con Dio e con i fratelli, ove si cresce nella fede. Inoltre, l’arte dei fieranti e l’abilità professionale dei circensi possono essere canali per trasmettere il Vangelo e per testimoniare la bontà di Dio. La famiglia ne è il primo vettore, dove fondamentale è il ruolo della donna per l’educazione scolastica e religiosa dei figli.

    D. - In questi anni di attività come presidente del Dicastero dei migranti ha avuto modo di conoscere la gente del circo, che impressione ne ha ricavato?

    R. - Prima di assumere la guida del Pontificio Consiglio avevo poca familiarità con il mondo dello spettacolo viaggiante. Poi, per motivi d’ufficio, ho incontrato alcune persone impegnate nel settore e ho potuto conoscere la realtà del circo e della fiera in occasione dei congressi organizzati dal Dicastero. Ho così avuto modo di apprendere sulle loro condizioni di vita, le attività lavorative, la loro identità, le difficoltà che incontrano durante i loro spostamenti e l’emarginazione di cui spesso sono vittime. Ciò che mi ha particolarmente toccato è il loro spiccato senso dell’accoglienza e la serena convivenza che esiste al loro interno fra persone di diverse culture e religioni. Apprezzo molto il valore che danno alla famiglia, l’amore per gli anziani, il senso dell’amicizia, la solidarietà e la dedizione al lavoro. Questa udienza è anche segno del loro forte senso di religiosità.

    D. - Quali ricordi personali ha del circo e c’è una figura artistica che predilige tra le diverse del mondo circense?

    R. - I miei ricordi legati al Circo sono di gioia e vivacità. L’arrivo del Circo era una festa, uno spettacolo per tutti da non perdere. Mi vengono in mente gli occhi spalancati dei bambini, incantati di fronte alla perfezione atletica degli acrobati, al ritmo della musica, agli esercizi degli animali con i domatori, alla burla delle comiche, ai colori e alle luci. Il tutto è frutto di esercizio e di fatica, un insieme di bravura e di abilità. Dallo spettacolo viaggiante c’è molto da imparare, esso offre possibilità di aggregazione, di svago, di sana competizione, risveglia in ognuno il desiderio di mettersi in gioco. Un pensiero va anche al clown, alla sua comicità e goffaggine, all’apparente spensieratezza e alla sua grande capacità di coinvolgere il pubblico. Il clown mira a trasmettere un messaggio indirizzato a sollevare lo spettatore dai suoi problemi quotidiani per farlo spaziare nella fantasia e nel gioco.

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    Il Vaticano accoglie con favore il voto dell'Onu che riconosce la Palestina Stato Osservatore

    ◊   Il Vaticano ha accolto con favore la decisione dell’Assemblea Generale dell’Onu di riconoscere la Palestina come “Stato Osservatore non membro”. In un comunicato della Santa Sede si invitano israeliani e palestinesi a riprendere i negoziati e si esorta la comunità internazionale a sostenere il cammino “verso una pace duratura”. Massimiliano Menichetti:

    Una "importante decisione" che "va inquadrata negli sforzi per una soluzione definitiva” delle tensioni tra israeliani e palestinesi. “La pace ha bisogno di decisioni coraggiose!”: così, in sintesi, la nota vaticana saluta “con favore la decisione dell’Assemblea dell’Onu di riconoscere la Palestina come Stato Osservatore non membro”. Ribadito che la votazione manifesta “il sentire della maggioranza della comunità internazionale” ma anche che tale risultato “non costituisce, di per sé, una soluzione sufficiente ai problemi esistenti nella Regione e che ad essi si potrà rispondere adeguatamente solo impegnandosi effettivamente a costruire la pace”. Una pace e una stabilità, si precisa, “nella giustizia e nel rispetto delle legittime aspirazioni, tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi”. Esplicito il riferimento al percorso giuridico avviato, proprio in sede Onu, nel 1947 per favorire la nascita sia dello Stato Israeliano sia Palestinese, quest’ultimo però ancora non costituito. In questo quadro l’appello alla Comunità internazionale ad accrescere l'impegno e sostenere il cammino di pace. Centrale anche l'appello, citato nel comunicato, che Benedetto XVI fece, il 15 maggio 2009, al termine del suo pellegrinaggio in Terra Santa, affinché non ci sia “più spargimento di sangue”, non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra”. E l’esortazione affinché “sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”. La nota precisa poi l’impegno della Santa Sede che a più riprese, "ha invitato i responsabili dei due Popoli a riprendere i negoziati in buona fede e ad evitare di compiere azioni o di porre condizioni che contraddicano le dichiarazioni di buona volontà e la sincera ricerca di soluzioni che divengano fondamenta sicure di una pace duratura". “L’occasione è propizia”, si conclude, per “ricordare anche la posizione comune che la Santa Sede e l’OLP” hanno espresso nel 2000, “volta a sostenere il riconoscimento di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la città di Gerusalemme”.

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    Da venerdì 7 dicembre le prediche d'Avvento di padre Cantalamessa al Papa e alla Curia

    ◊   “Un anno di grazia del Signore”. È questo il titolo delle meditazioni che, a partire da venerdì prossimo 7 dicembre – e per i due venerdì successivi – padre Raniero Cantalamessa, svolgerà nel corso delle prediche d’Avvento alla presenza del Papa e della Curia Romana, tenute nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, con inizio alle ore 9. “Nell’anno 2012-2013 – scrive il predicatore della Casa pontificia – la Chiesa vive tre grazie che sono anche tre impegni: l’anno della fede, il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II, l’appello a un rinnovato sforzo missionario, a seguito del Sinodo dei Vescovi sull’evangelizzazione e la trasmissione della fede”. Con la predicazione dell’Avvento, “sulla scia della Lettera apostolica di Benedetto XVI Porta fidei, si cerca di offrire – prosegue padre Cantalamessa – su ognuno di questi tre temi una riflessione spirituale, in modo che questo tempo, grazie all’unzione dello Spirito Santo, sia davvero un ‘anno di grazia del Signore come quello annunciato da Gesù nella sinagoga di Nazareth”.

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    Sinodo dei Vescovi: testimoni credibili e nuovi linguaggi per la nuova evangelizzazione

    ◊   Di fronte alle sfide della nuova evangelizzazione, nell’attuale “clima culturale e morale di secolarizzazione e agnosticismo”, occorre “un rinnovato dinamismo delle comunità ecclesiali, nuovi linguaggi e nuovi mezzi e soprattutto testimoni credibili”: è quanto sottolinea un comunicato pubblicato al termine del XIII Consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi tenutosi il 26 novembre scorso. All’inizio della riunione, il segretario generale del Sinodo dei Vescovi, mons. Nikola Eterović, ha presentato “un’accurata e particolareggiata analisi” degli argomenti emergenti dalle Proposizioni della recente XIII Assemblea sinodale sulla nuova evangelizzazione. È poi seguita una discussione dalla quale sono scaturiti “utili elementi” da sottoporre a Benedetto XVI in vista della sua Esortazione Postsinodale.

    E’ necessario – è stato sottolineato – che la famiglia, la parrocchia e la scuola ritrovino “con particolare urgenza il loro proprio impegno educativo alla fede”. La Chiesa fa affidamento su queste cooperazioni perché la sua missione di evangelizzare trovi rinnovato impulso attraverso l’annuncio, l’iniziazione, la liturgia, la santità di vita. La Chiesa svolge oggi questa opera di novità nell’annuncio attraverso tutti i soggetti responsabili, pastori e fedeli laici. E il Vangelo che annuncia – è stato affermato - coinvolge tutto l’uomo ed è destinato a ogni uomo: battezzati, credenti allontanatisi dalla pratica ecclesiale della fede, non credenti, indifferenti, credenti di altre confessioni cristiane, credenti di altre confessioni religiose, secondo il mandato del Signore Risorto”. La prossima riunione si terrà il 23 e 24 gennaio 2013.

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    Il Papa ha nominato mons. Couto nuovo arcivescovo di Delhi in India

    ◊   In India, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Delhi, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Vincent Michael Concessao. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Anil Joseph Thomas Couto, finora vescovo di Jullundur.

    Sempre in India, il Pontefice ha nominato vescovo di Khunti mons. Binay Kandulna, ausiliare di Ranchi e attualmente amministratore apostolico di Khunti.

    In Venezuela, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Maracaibo il sacerdote Ángel Francisco Caraballo Fermín, del clero della diocesi di Ciudad Guayana, finora parroco della Parrocchia dei “Santísimos Pedro y Pablo” a Puerto Ordaz, assegnandoli la sede titolare di Dagno. Mons. Ángel Francisco Caraballo Fermín, è nato a Puerto Ordaz, diocesi di Ciudad Guayana, il 30 maggio 1965. Compì gli studi ecclesiastici di Filosofia nel Seminario Maggiore “Divina Pastora” dell’arcidiocesi di Barquisimeto, e quelli teologici presso l’Università di Navarra (Spagna). Ha ottenuto la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, e la Specializzazione in Diritto Canonico e Famiglia presso la stessa Pontifica Università della Santa Croce di Roma. Ha ricevuto l’Ordinazione sacerdotale il 7 dicembre 1991. Ha svolto i seguenti incarichi: Viceparroco e Parroco di “Nuestra Señora de Fátima” a Puerto Ordaz, Parroco di “Nuestra Señora del Valle” a Puerto Ordaz, Professore di Diritto Canonico nel Seminario Maggiore “El Buen Pastor” di Ciudad Bolivar, Vicario Generale della diocesi, Vicario Giudiziale e, dal 2009, Parroco della parrocchia dei “Santísimos Pedro y Pablo” a Puerto Ordaz.

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    Why Poverty? Giovanni XXIII e la Chiesa madre dei poveri

    ◊   La Chiesa è di tutti e particolarmente dei poveri. Con questa affermazione, il Beato Papa Giovanni XXIII indicò, 51 anni fa, con quale animo il mondo cattolico si apprestava a vivere la stagione del Concilio Vaticano II. Nel suo breve e denso Pontificato, Papa Roncalli dimostrò di avere a cuore ogni aspetto della povertà, non solo quella figlia del sottosviluppo ma anche quella prodotta dall’affermazione del capitalismo post-bellico. Alessandro De Carolis ricorda alcuni pensieri di Benedetto XVI sul tema in questo servizio dedicato dalla Radio Vaticana al’iniziativa “Why Poverty?”, promossa dall'Unione Europea di Radiodiffusione (Uer):

    Guardate: su questo stesso sacro colle Vaticano la Chiesa custodisce da secoli tesori immensi di arte di storia, di letteratura: ma i suoi tesori più autentici, e per i quali maternamente trepida, sono i poveri, i malati, i bambini, i deboli, i dimenticati”. (Discorso ai delegati delle “Opere di misericordia” di Roma, 21 febbraio 1960)

    Poteva il Papa della carezza ai bambini, di una limpida sera d’ottobre di 50 anni fa, non averne una per chi, al pari di un bambino, ha bisogno costante di una mano tesa che lo aiuti? I poveri, ricchezza della Chiesa: il paradosso del Vangelo è pura logica per Angelo Roncalli. Figlio di un’epoca e di una terra, la campagna bergamasca di fine Ottocento, dove la sobrietà di vita e la frugalità di mezzi sono pietre di un sentiero che rischia di franare ogni tanto nel dirupo dell’indigenza – basta una gelata di troppo, un raccolto in meno – l’uomo che cambierà per sempre la Chiesa contemporanea ha un rapporto familiare con la povertà. Che in lui, prima di una privazione, è una forma della mente e uno stato dell’anima, che da quella terra traggono linfa non meno dei suoi frutti:

    “Gli occhi nostri per altro, sino dall'infanzia, furono familiari alla visione più semplice del conventino regolare dei Frati Minori di Baccanello, che nella distesa campagna lombarda, dove eravamo nati e cresciuti, era la prima costruzione tutta religiosa che incontravamo: chiesa, modesto romitorio, campanile, e, intorno intorno, umili fratelli che si spandevano fra i campi e i modesti casolari…”. (Omelia per il 750.mo anniversario dell’approvazione della Regola francescana, 16 aprile 1959)

    Questa confidenza, rivelatrice della persona, Giovanni XXIII la condivide proprio con i Francescani ricevuti in udienza sei mesi dopo la sua elezione. Eppure, se l’indole e lo spirito del nuovo Papa sono affini e in qualche modo irradiano una luce di francescana semplicità, lo sguardo sulle cose del mondo è acuto. Da un lato, si annoverano le tensioni della Guerra fredda e il cemento di un Muro che sta per spaccare a metà un emisfero. Dall’altro, il rigoglio del progresso tecnologico e l’evoluzione della libertà sociale. “Si è infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose”, scriverà Giovanni XXIII nella Pacem in terris, e “si approfondisce l’interdipendenza tra le economie nazionali”. Icone della povertà che va alleviata, dunque, non sono più agli occhi del Papa solo i popoli sottosviluppati. Sono anche le masse di lavoratori presi nell’ingranaggio di uno sviluppo con poche regole:

    Il nostro pensiero, il nostro affetto va in primo luogo a questi uomini amareggiati dalla disoccupazione e sotto-occupazione. Ad essi pertanto deve andare la comune sollecitudine; e confidiamo che con opportune provvidenze e con sollecita cura si risolvano le difficoltà, trovando loro la dovuta e necessaria fonte di sostentamento, e di serenità familiare”. (Discorso alle Acli, primo maggio 1959)

    Nei suoi quattro anni di Pontificato, il Vaticano ospita spesso gruppi di lavoratori di ogni settore produttivo. Per uno “Sputnik” lanciato in orbita o un “Nautilus” che passa sotto i ghiacci del Polo Nord – meraviglie di quegli anni che Papa Roncalli segue con grande interesse – c’è in lui prima e più alto il bisogno della concretezza, l’attenzione alla quotidianità dei nuovi poveri. C’è l’imperativo – come Giovanni XXIII ribadisce nell’Enciclica Mater et Magistra – di difendere il bene comune, il posto di lavoro, l’equità dei redditi. In una parola, la dignità delle persone. Sulle quali il “Papa Buono” invoca di volta in volta il patrocinio di S. Giuseppe:

    “Ricorda a tutti i lavoratori che nei campi, nelle officine, nelle miniere, nei laboratori della scienza, non sono soli a operare, gioire e soffrire, ma che accanto ad essi c'è Gesù, con Maria, Madre sua e nostra, a sostenerli, a tergerne il sudore, a impreziosirne le fatiche. Insegna loro a fare del lavoro, come Tu hai fatto, uno strumento altissimo di santificazione”. (Discorso alle Acli, primo maggio 1959)

    Intanto, maturano i tempi dell’Evento. Tre anni di preparazione e poi, a un mese esatto dall’apertura, l’11 settembre 1962, Giovanni XXIII si accosta a un microfono della Radio Vaticana per parlare della “grande aspettazione del Concilio Ecumenico”. Il Radiomessaggio di quel giorno passa alla storia non solo per l’amplissima architettura spirituale e i grandi obiettivi propri dell’imminente assise, che il Papa illustra al mondo non senza emozione. Resta anche per un’annotazione breve e affilata, che riafferma con un pugno di parole duemila anni di Vangelo:

    “In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa di presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. (Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo a un mese dal Concilio Ecumenico vaticano II, 11 settembre 1962)

    La Chiesa è “particolarmente” dei poveri. In questa frase sobria e diretta, ancorché pronunciata con la consueta bonomia, brilla l’essenza di Angelo Roncalli. L’uomo di Dio e dei poveri perché povero egli stesso, come sono poveri gli uomini ricchi di Dio. Colui che nella prima parte del suo testamento dirà di sé:

    “Nato povero, ma da onorata ed umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa (...) Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici”. (Venezia, 29 giugno 1954)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Dichiarazione della Santa Sede riguardo all’approvazione, da parte dell’Assemblea generale, della risoluzione con cui la Palestina è diventata Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite.

    Il conflitto fra diritti umani e morale quotidiana: in cultura, Lucetta Scaraffia recensisce il libro di Franco La Cecla e Piero Zanini “Una morale per la vita di tutti i giorni”.

    Un articolo di Roberto Pertici dal titolo “Quell'impossibile alleanza”: dal primo Novecento all’età dei totalitarismi l’incapacità del pensiero laico di riconoscere un ruolo sociale alla Chiesa.

    Sulle tracce della regina di Saba: Rossella Fabiani su due secoli di missioni scientifiche e diplomatiche raccontati in una mostra al Museo nazionale d’arte orientale a Roma.

    I letterati raccolgono il messaggio del concilio: Marco Beck su un convegno, a Firenze, dedicato alle sfide culturali a cinquant’anni dall’apertura del Vaticano II.

    Il cattolicesimo alla radice dell’identità inglese: nell’informazione religiosa, Mark Langham e Justin Bedford su una fede che ha conosciuto l’esclusione e il martirio e che oggi è divenuta elemento di unione.

    L’ignoranza della fede: nell’informazione vaticana, il discorso ai vescovi francesi in cui il Papa ricorda gli ostacoli che si frappongono all’evangelizzazione.

    Per essere artefici di una grande speranza: il messaggio di Benedetto XVI al Patriarca Bartolomeo I per la festa di Sant’Andrea apostolo.

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    Oggi in Primo Piano



    La Palestina nell'Onu come Stato: festa nei Territori occupati, delusione israeliana

    ◊   Storico voto ieri all’Onu. L’Assemblea generale ha votato a stragrande maggioranza l’ammissione della Palestina nell’Organizzazione delle Nazioni Unite come Paese osservatore non membro. Numerose e di vario tenore le reazioni. Ce ne parla Giancarlo La Vella:

    Il popolo palestinese ha espresso la sua soddisfazione, festeggiando questo importante riconoscimento nelle piazze dei Territori, soprattutto a Ramallah. Nel suo intervento al Palazzo di Vetro, il presidente palestinese, Abu Mazen, ha detto che “la Palestina viene all'Assemblea generale, perché crede nella pace e la sua gente ne ha un disperato bisogno”. Lo stesso Abu Mazen ha poi annunciato l’imminente visita a Gaza nel nuovo clima di riunione, generato dal voto all’Onu, tra Fatah e Hamas, le due anime politiche palestinesi. Di ben altro tenore le reazioni israeliane. Un premier Netanyahu fortemente deluso, ringraziando i Paesi che hanno votato “no”, ha sottolineato che il vero “percorso della pace passa per negoziati diretti senza condizioni preliminari e non attraverso decisioni unilaterali prese all'Onu”. Di fatto il voto non ha dato adito ad alcun dubbio: 138 i Paesi favorevoli, 41 gli astenuti, e 9 i contrari, ovvero Israele, Stati Uniti, Canada, Panama, Repubblica Ceca e gli arcipelaghi della Micronesia, Palau, Marshall e Nauru. Da segnalare la posizione dei Paesi europei, che ancora una volta non sono riusciti a esprimere una posizione comune: al voto favorevole di Francia e Italia, si contrappone l’astensione di Germania e Gran Bretagna.

    Sulla portata della decisione dell'Onu sulla Palestina, l'opinione di Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Firenze. L’intervista è di Massimiliano Menichetti:

    R. – Questa decisione ha una portata storica ed è l’unica iniziativa internazionale corale che possa riportare le due parti – che sarebbero tre, considerando Hamas – al tavolo di un negoziato serio e costruttivo. Ne avevano bisogno tutti e due, sia l’Autorità palestinese, per essere incoraggiata a proseguire sulla strada della non violenza, sia Israele, i cui governi negli ultimi anni hanno perso tempo e continuato a costruire sul terreno. E molto importante anche per la percezione che avrà l’elettorato di Israele, che va a votare tra due mesi, perché bisogna scegliere partiti e posizioni più costruttivi.

    D. – A questo punto, questa decisione potrà portare anche Hamas ad un atteggiamento più dialogante?

    R. – Il voto dovrà costringere Hamas a guardare tutto il tavolo e la scena internazionale e a prendere decisioni, speriamo di riavvicinamento all’Autorità nazionale palestinese, perché se si parla di negoziato per creare uno Stato palestinese, il rischio, senza Hamas, è che si arrivi ad un nulla che creino due pezzi di Stato – uno a Gaza e uno in parti della Cisgiordania.

    R. – Questa decisione ha una portata storica ed è l’unica iniziativa internazionale corale che possa riportare le due parti – che sarebbero tre, considerando Hamas – al tavolo di un negoziato serio e costruttivo. Ne avevano bisogno tutti e due, sia l’Autorità palestinese, per essere incoraggiata a proseguire sulla strada della non violenza, sia Israele, i cui governi negli ultimi anni hanno perso tempo e continuato a costruire sul terreno. E molto importante anche per la percezione che avrà l’elettorato di Israele, che va a votare tra due mesi, perché bisogna scegliere partiti e posizioni più costruttivi.

    D. – A questo punto, questa decisione potrà portare anche Hamas ad un atteggiamento più dialogante?

    R. – Il voto dovrà costringere Hamas a guardare tutto il tavolo e la scena internazionale e a prendere decisioni, speriamo di riavvicinamento all’Autorità Nazionale palestinese, perché se si parla di negoziato per creare uno Stato palestinese, il rischio, senza Hamas, è che si arrivi ad un nulla che creino due pezzi di Stato – uno a Gaza e uno in parti della Cisgiordania.

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    Il patriarca Twal: Palestina, Stato nell'Onu, passo avanti per la pace. Padre Pizzaballa: è la via giusta

    ◊   “E’ un passo avanti verso la pace”. Così il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, ha commentato la decisione dell’Assemblea dell’Onu di riconoscere la Palestina “come Stato osservatore non membro”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

    R. – Esprimiamo una grande soddisfazione per questo risultato: per una volta la comunità internazionale si è sentita libera di dire quello che pensa, senza troppi calcoli. Noi qui, sul posto, condividiamo la gioia della popolazione e quella del presidente, Mahmud Abbas, che ha ottenuto questa vittoria politica. Certamente il cammino è ancora lungo, non siamo ancora alla pace, non siamo ancora alla vita normale che noi auguriamo a tutti gli abitanti della Terra Santa, però siamo fiduciosi che tutto questo un giorno arriverà.

    D. – Poco tempo fa, di nuovo un conflitto nella Striscia di Gaza, quindi la tregua israelo-plestinese e adesso questo riconoscimento. Lei più volte ha detto: occorre una pace giusta e duratura. Si sta percorrendo questa via?

    R. - Questo è un passo avanti. Sono sicuro che il giorno che avremo uno Stato palestinese, fatto dai palestinesi, governato dai palestinesi, da Mahmud Abbas, per cominciare, sarà un passo a favore di Israele. Perché Israele avrà un altro Stato con cui dialogare, accordarsi per il bene di tutta la zona. Non dobbiamo aver paura! Dobbiamo superare questa sfiducia reciproca per dire: possiamo vivere in pace con due Stati vicini, uno accanto all’altro, come lo ha augurato il Santo Padre più di una volta.

    D. - Questa decisione aiuterà anche una coesione, un rapporto tra Hamas e Fatah?

    R. – Sì, perché il presidente è tornato con un credito, con una vittoria, con più rispetto, con più peso. Ormai, ha la veste di un presidente che sa parlare e che è ascoltato. Auguriamo questa armonia e concordia non solamente tra Fatah e Hamas, ma fra tutti i popoli e tutti i governi. Non dimentichiamo che il Natale è alle porte e dobbiamo prepararci a livello istituzionale, di governi, di popoli, persone e famiglie: che il Signore benedica tutti.

    Sul modo in cui è stata accolta la notizia in Terra Santa ascoltiamo padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, intervistato da Robert Attarian:

    R. - Gran parte della popolazione arabo-palestinese l’ha vista in maniera positiva, sono contenti di questo. Devo dire che anche tra gli israeliani, la maggioranza - almeno secondo i sondaggi che ho letto sui giornali - dava per scontato questo passaggio e lo vedeva non in maniera così negativa, come invece il governo israeliano lo sta vedendo. Per cui, devo dire che, tutto sommato, la popolazione era già preparata a questo risultato.

    D. - Quindi, c’è una piccola speranza che almeno questa pace cominci proprio dalla popolazione?

    R. - Diciamo che tutti ormai sono coscienti che la soluzione di due popoli e due Stati, per quanto complicata, è la strada verso la quale bisogna andare. E prima si comincia meglio è.

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    Egitto. Costituente: sì ai principi della Sharia. Padre Samir: anche molti musulmani non la vogliono

    ◊   Migliaia di persone, dopo la preghiera del venerdì, sono riunite a piazza Tahrir, al Cairo, per la manifestazione convocata nel pomeriggio dalle opposizioni liberali, laiche e di sinistra. Protestano contro il decreto del 22 novembre con cui il presidente egiziano ha messo le sue decisioni e quelle della Costituente al riparo della giustizia per evitare il blocco del processo costituzionale. Morsi parla di misure temporanee fino all’approvazione della Costituzione che è stata appena elaborata e che sarà sottoposta a referendum entro due settimane. Anche il recepimento dei principi della Sharia nel nuovo testo costituzionale suscita forti perplessità nel Paese. La decisione dell’Assemblea costituente, in realtà, non trova concorde gran parte della popolazione. Tra i contrari anche molti musulmani. L’obiettivo del provvedimento è di rendere la Sharia il fondamento delle leggi nel Paese. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il gesuita egiziano, padre Samir Khalil Samir:

    R. - Questo è il progetto, da sempre, dei Fratelli Musulmani, dei Salafiti e di tutta la tendenza islamista, che è assai forte in Egitto e che, d’altra parte, è sostenuta finanziariamente, anche militarmente in alcuni casi, da Paesi arabi ricchi, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar. Questo progetto è inaccettabile non solo per i non musulmani, cioè i cristiani e qualche altra minoranza, ma ancor più per una gran parte dei musulmani che vogliono distinguere tra la fede, che dice che una cosa è un male e non deve essere fatta, e la società politica che dice che una cosa sarà punita.

    D. - In quale contesto storico è nata la Sharia?

    R. - La Sharia è stata stabilita in varie forme, almeno in quattro scuole sunnite ed una scuola sciita, nel IX-X secolo, basandosi su alcuni versetti del Corano, ma non sempre. Faccio l’esempio più chiaro e più grave. L’apostata - dice la Sharia - deve essere ucciso: chi essendo musulmano, abbandona l’islam per un'altra religione o per l’ateismo e si dichiara tale deve essere ucciso. Ora, io sfido chiunque a trovare nel Corano un solo versetto che dica questo. Questo non c’è. E’ per questo che anche i musulmani giustamente, spesso, rifiutano la Sharia perché non corrisponde alla cultura attuale dei musulmani, ma corrisponde alla cultura del Medioevo in cui la Sharia è stata elaborata e non alla rivelazione dell'islam.

    D. - Come leggere, nell’Egitto di oggi, la decisione di riconoscere i principi della Sharia?

    R. - Ciò che è stato fatto oggi è un trucco. Stanno approfittando del fatto che il Parlamento provvisorio è a maggioranza islamista per votare. E per questo il presidente Morsi si è dato un potere inammissibile, cioè ha tutti i poteri. Nemmeno la magistratura, adesso, lo può condannare. Dunque tutta questa situazione è inaccettabile, illegale in sé.

    D. - Questo Articolo della Costituzione fa riferimento ai principi della Sharia. Da un punto di vista giuridico sembra un primo passo. Dove si vuole arrivare?

    R. - Si vuole arrivare all’applicazione di tutti i particolari della Sharia, non solo i principi. I principi, si potrebbe dire, sono orientamenti generici. Loro vogliono dire concretamente: si taglia la mano a chi fa questo, si punisce di morte chi fa questo, eccetera. Entrare in tutti i particolari è il secondo passo. Ma una volta votato il primo, il secondo rischia di arrivare. Il punto qual è? La Sharia, come tale, è in contrasto con il pensiero attuale dei musulmani di un Paese come l’Egitto. Il popolo - si è visto pochi giorni fa quando c’è stata una fortissima manifestazione di migliaia di giovani - dice: hanno tradito la rivoluzione del gennaio 2011.

    D. – Molti egiziani, cristiani e musulmani, sono uniti nel difendere i diritti umani...

    R. – Per questo i cristiani lottano. Non solo perché sono cristiani e perché questa è un’ingiustizia per loro. Ma perché è un’ingiustizia contro l’umanità, contro le donne in particolare, contro tutte le minoranze, contro gli atei, contro gli omosessuali, che dovrebbero andare in prigione. E’ una decisione dei fondamentalisti islamici che vogliono imporre ai musulmani e ai cristiani e agli altri una concezione della religione che non è quella di tutti i musulmani. Vogliono imporre un islam medievale. E’ un grande pericolo per la società egiziana e può diventarlo per altre società musulmane.

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    Disoccupazione record in Italia. Zamagni: cambiare modello economico o sarà peggio

    ◊   Nuovo record di disoccupati in Italia che, a ottobre, hanno raggiunto i 2 milioni e 870 mila, superando la soglia dell'11%. E il tasso di disoccupazione giovanile è ancora più drammatico: ha toccato il 36,5%. Luca Collodi ha sentito il parere dell’economista Stefano Zamagni:

    R. – Quanto accade era previsto, ed era già stato scritto e detto, e nei prossimi mesi la situazione peggiorerà ancora! Perché questo succede? Perché continuiamo, testardamente, non solo noi italiani, ovviamente, ma anche i Paesi del mondo occidentale, in particolare dell’Europa, a curare gli effetti di questa grave crisi economica e finanziaria e non ne vogliamo aggredire le cause. Allora, tutte le volte, i nostri governi intervengono, calmano le acque per qualche settimana o qualche mese, e poi il problema si ripropone: bisogna avere il coraggio di dire apertis verbis che è questo modello di economia, di capitalismo finanziario, di “turbo-capitalismo”, come altri lo vogliono chiamare, che non va e che va cambiato! Certo, va cambiato gradualmente, però cominciando a fare qualcosa e, invece, non si fa nulla. Tutti i nostri intereventi, infatti, sono basati sulla seguente filosofia: c’è un modello, noi non possiamo cambiarlo, lo prendiamo per quel che è e – si dice - dobbiamo abbassare la nostra situazione italiana a quel modello. Dunque, tagli della spesa, razionalizzazione di vario tipo, adeguamento delle esigenze e delle aspettative di vita per le persone a quel modello. Questa impostazione è sbagliata, bisogna avere il coraggio di dirlo! Perché piangiamo sull’aumento della disoccupazione quando non facciamo niente? Abbiamo il sistema delle cooperative sociali, delle imprese sociali, è una delle grandi ricchezze che il mondo intero ci invidia: facciamo di tutto per impedire loro di assumere, perché non ammettiamo l’accesso al fondo di garanzia per ottenere credito, perché non consentiamo alle imprese sociali di avere i benefici fiscali. Come facciamo a pensare che in questa situazione si creino posti di lavoro, quando quelli in realtà che potrebbero farlo sono tiranneggiati?

    D. – Per creare posti di lavoro, quindi, il problema ritorna in campo economico e finanziario, quel sistema che noi stiamo criticando…

    R. – Esatto, ma lo critichiamo nel senso di dare più spazio a quelle imprese non di tipo capitalistico, che chiamiamo imprese sociali, cooperative sociali, certi tipi di fondazione, che con modestissimi aiuti e adeguamenti legislativi, potrebbero creare almeno mezzo milione di posti di lavoro. In altre parole, bisogna capire che i posti di lavoro non sono solo quelli per produrre l’acciaio all’Ilva di Taranto o per produrre automobili a Torino. I posti di lavoro si creano per produrre, ad esempio, i beni culturali. Quanti posti il settore dei beni culturali potrebbe generare? Tantissimi! Cambiare il modello di sviluppo vuol dire cambiare anche il modello dei consumi. Noi in Italia stiamo consumando troppi beni privati - automobili, questo, quell’altro - e troppo poco i beni comuni, soprattutto beni di merito, come ad esempio sono i beni culturali, come sono i servizi alla persona. E’ lì che si trovano i posti di lavoro, solo che ci vuole una autorità di governo che capisca questo problema e che abbia il coraggio di aggredire le cause.

    D. – Gli Stati devono tornare a fare gli Stati, cioè a servire il bene comune e l'interesse dei propri cittadini …

    R. – E soprattutto bisogna fare quello che ha scritto Benedetto XVI nella Enciclica “Caritas in veritate”: bisogna che la politica democratica prenda il sopravvento sui mercati perché negli ultimi decenni è accaduto il contrario, cioè che la logica del mercato è entrata dentro le famiglie e le sta rovinando tutte, come stiamo vedendo, è entrata dentro la politica e lo vediamo ... In Italia, tutte le volte che si prende un provvedimento di politica economica, l’argomento che viene enunciato è: perché questo ce lo chiedono i mercati! Ma da quando in qua un politico deve far discorsi di questo tipo? Questo vuol dire che il mercato ha preso il sopravvento sulla politica!

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    Il cardinale Bagnasco: in Europa c'è una cultura debole. Preoccupazione per ospedali, Ilva e scuole

    ◊   In Europa c’è una cultura debole, pericolosa. Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, all'XI Forum del Progetto Culturale, apertosi oggi a Roma. Per il porporato, siamo tutti d’accordo sui principi di non discriminazione e di tolleranza, ma questi vanno tematizzati. “C’è un’applicazione superficiale di queste categorie”, ha detto. Alessandro Guarasci:

    La globalizzazione deve essere regolamentata secondo giustizia evitando che prevalgano ''interessi particolari imposti universalmente''. Il cardinale Bagnasco batte su questo tasto, ribadendo che la dimensione etica deve essere sempre un faro. Va evitata, ha detto il porporato, ogni ''forma d'imposizione, a volte anche violenta, del globale sul locale. In questo caso - ha aggiunto - si verificherebbe un vero e grave fraintendimento di ciò che l'umanità, grazie soprattutto all'elaborazione del pensiero cristiano, ha stabilito essere realmente universale: la dignità della persona, la salvaguardia della sua libertà, il rispetto della vita in ogni suo momento”. Il presidente della Cei mette anche in luce come in Europa manchi “una riflessione culturale attenta e seria”, come ci sia "una cultura debole e quindi pericolosa”. Due principi fondamentali come quello di non discriminazione e tolleranza, vanno argomentati, e questo ancora non avviene. E poi c’è l’attualità, a cominciare dall’allarme finanziario lanciato da alcuni ospedali romani d’ispirazione religiosa come il Gemelli. Sentiamo il cardinale Bagnasco:

    R. - C’è il lavoro di tantissime persone e quindi le rispettive famiglie. Io spero che attraverso un esame più attento, più approfondito e disponibile delle diverse situazioni, se ne possa anche uscire. Se ci sono queste disponibilità, io spero proprio che si possa arrivare alla soluzione.

    D. - Eminenza, secondo lei per l’Ilva si sta trovando una soluzione positiva?

    R. - Mi pare che non sia senza uscita la strada in questi ultimi giorni: la situazione è gravissima a Taranto, ma poi anche a Genova e a Novi. Mi sembra, però, che le diverse responsabilità si siano ancor più coinvolte nella situazione per un’uscita da questo stallo, che è gravissimo dai diversi punti di vista.

    D. - C’è anche molta preoccupazione tra le scuole cattoliche per l’applicazione dell’Imu. Lei che cosa può dire?

    R. - La preoccupazione è legata soprattutto alla mancanza di contribuiti, di quello cioè che sarebbe giusto che lo Stato riconoscesse non tanto agli istituti scolastici quanto alle famiglie per esercitare veramente il diritto di libertà, che da sempre la dottrina sociale raccomanda, per l’educazione dei propri figli. Quindi che possano essere veramente liberi di scegliere il tipo di scuola e quindi istruzione che ritengono migliore. Data questa mancanza di contributo e di sostegno alla famiglia, le scuole paritarie, che fanno parte della istruzione pubblica, sono in gravissima difficoltà. Sarebbe molto grave, gravissimo, se dovessero chiudere sia per i genitori che vogliono un certo tipo di educazione, sia anche per il sistema generale.

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    I Comuni italiani sfidano il gioco d'azzardo. Intervista con padre Rastrelli

    ◊   "Una piaga individuale e sociale, il gioco d'azzardo, che corrompe l'anima, la mente, il modo di pensare, quindi il modo di vivere di giovani ed adulti, promettendo una vita facile e devastando la persona e, di riflesso, la famiglia". Così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, si è espresso intevenendo ieri alla presentazione del volume "L'azzardo non è un gioco". La ludopatia, ha sostenuto, è un fenomeno in continua espansione che va combattuto "con una nuova cultura educativa". Non manca tuttavia, secondo il porporato, un dato positivo e cioè la crescita della “presa di coscienza collettiva” davanti ai rischi collegati, tanto che anche i Comuni, da nord a sud, cercano di limitare il proliferare dei videopoker attraversi vincoli e delibere. E sono allo studio dei Monopoli di Stato meccanismi che bloccano le slot machine dopo un certo numero di giocate. Alessandro Filippelli ne ha parlato con padre Massimo Rastrelli, presidente della Consulta nazionale antiusura:

    R. – Il giocatore distrugge il lavoratore e la famiglia e questo fatto sta diventando esplosivo. Ma noi lo avevamo detto nel provvedimento ultimo, quello che sembra restrittivo. Hanno detto che le nuove sale gioco si aprono non più a 500 metri dalla chiesa, dalla scuola, ma a duecento metri, e questo è gravissimo. Il giocatore non è un lavoratore, il giocatore non è un padre di famiglia. Quindi, famiglie rovinate.

    D. – Come giudica la contraddizione dello Stato, che promuove il gioco in funzione del gettito erariale, ma non considera il costo delle ricadute sociali del gioco stesso?

    R. – Lo Stato è il "biscazziere", cioè gestisce il gioco. Questo non deve accadere. Il governo ha una colpa: ha creduto di fermare il gioco illegale, promuovendo il gioco legale. L’Italia è, a raffronto di tutte le nazioni del mondo, ai vertici della statistica per giocatori, tanto che io ponevo una domanda: se i giocatori in Italia sono tanti, dove sono i lavoratori in Italia, giacché il giocatore esclude il lavoratore? Questo è il problema serio. Io ho notato che nelle valutazioni complessive dello Stato, conta di più un miliardo che entra nell’erario, non importa a quali costi, che non i costi umani. Oggi, i giocatori sono scesi sotto i 12 anni, e cioè nell’età più debole: quando l’uomo deve essere formato, l’uomo viene guastato. Il giovane, infatti, che va nella sala gioco non ascolta più i genitori e apprezza lo Stato perché gli fa fare quello che vuole. E che cosa vuole? Giocare. Questi sono fatti gravissimi e noi li tocchiamo con mano. Il barista vicino alla mia casa ha tolto le macchine da gioco, perché ha detto: “Padre Rastrelli fa sacrifici per far lavorare i giovani e i giovani spendono gli stipendi qua dentro”. Dei fatti di Cremona, quindi, ce ne sono stati tanti, sebbene siamo in un’Italia dove la coscienza morale è praticamente soppressa.

    D. – Qual è, secondo lei, il sistema più efficace per combattere il fenomeno dell’usura, legato alla ludopatia?

    R. – Cerco di convincere la mamma e il papà che il valore della vita sono i figli. Non bisogna utilizzare l’usura, altrimenti muore tutto. E di fatti, chi non mi ha ascoltato non c’è più. Ci sono suicidi per questo. Il cristiano non può diventare corrotto, perché il cristiano, se si corrompe, non c’è più.

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    Taglio dei finanziamenti pubblici: è emergenza per gli ospedali religiosi del Lazio

    ◊   “Siamo pronti anche a ricorrere alla Corte europea per far valere i nostri diritti”. Lo ha annunciato Michele Bellomo, presidente dell’Aris Lazio, Associazione religiosa istituti socio-sanitari, in risposta alla decisione della Regione di tagliare del 7% il budget destinato a queste strutture. Bellomo ha annunciato il blocco delle prestazioni ambulatoriali dal 6 dicembre per gli ospedali religiosi classificati del Lazio. Tra questi, gli ospedali romani Fatebenefratelli, Cristo Re, l’Israelitico, il San Carlo di Nancy. Francesca Sabatinelli ha intervistato lo stesso Bellomo:

    R. – Abbiamo fatto un calcolo: almeno tra gli 800 e i mille dipendenti rischieranno la cassa integrazione o la mobilità, quasi sicuramente. Ovviamente, le più colpite saranno le categorie sanitarie, perché i tagli vanno ad essere imposti proprio alla parte sanitaria. E’ ovvio che la cosa comporterà un taglio e una riorganizzazione delle strutture a 360 gradi.

    D. – Ovviamente, tutto questo con ricaduta sui pazienti che subiranno in quale modo questo taglio?

    R. – Questo taglio è fatto già dal 2012, e quindi molti ospedali avevano già completato il loro budget: a questo punto, si trovano con le liste d’attesa che dovranno essere allungate moltissimo. Come minimo, ci sarà uno slittamento delle liste d’attesa tra i venti giorni e il mese.

    D. – E per quanto riguarda il tipo di prestazioni?

    R. – I nostri ospedali sono ospedali classificati, equiparati alle strutture pubbliche, quindi rendono tutte le prestazioni. E’ ovvio che noi continueremo a garantire le prestazioni che sono necessarie, e quindi continueremo a garantire il pronto soccorso, le urgenze, le rianimazioni, le prestazioni oncologiche, le prestazioni nell’area materno-infantile, prestazioni di alta chirurgia vascolare e tutte le emergenze. E’ ovvio, però, che tutta la specialistica – ad esempio, una risonanza magnetica – subirà dei ritardi.

    D. – Ma il budget a quanto ammontava?

    R. – Il budget di tutte le strutture, compresi quindi anche il Gemelli e il Campus e tutte le altre case di cura, è di un miliardo e 300 milioni di euro.

    D. – Suddiviso, quindi, su quante strutture?

    R. – Tra ospedali classificati e istituti a carattere scientifico, i nostri associati sono dieci; più il Bambin Gesù e il Campus, sono altre due strutture. E in più, ci sono tutte le varie case di cura private, quindi parliamo di un centinaio di strutture. Il problema, però, è che la ripartizione è stata fatta in modo lineare, senza andare a vedere la situazione struttura per struttura. Soprattutto è stata fatta a strutture che avevano già firmato un accordo con la Regione che aveva già previsto un abbattimento del 2 per cento. Quindi, gli ospedali classificati si sono trovati, oltre all’abbattimento del 2 per cento firmato a febbraio, un ulteriore abbattimento di un altro 7 per cento per tutto il 2012, che è arrivato adesso, alla fine di novembre.

    D. – Che voi non vi aspettavate assolutamente?

    R. – Assolutamente no, anche perché avevamo firmato il contratto con la Regione: proprio perché eravamo sempre andati incontro alle necessità regionali, avevamo accettato di buon grado un taglio del 2 per cento nonostante avessimo già avuto tagli per oltre il 15 per cento. Dal 1997 noi non vediamo aggiornate le tariffe dei nostri ospedali. Posso soltanto dire che abbiamo avuto tagli che vanno da un 22,88 per cento dal 1998 ad oggi, per quanto riguarda gli ospedali senza pronto soccorso o senza Dea, che arrivano fino al 37 per cento per le strutture nelle quali c’è pronto soccorso e Dipartimento di emergenza, il Dea. Ciò nonostante, avevamo fatto dei sacrifici, avevamo cercato di organizzare … Fino ad oggi, in tutti questi anni, del piano di rientro non avevamo mai attivato né cassa integrazione, né tantomeno licenziamenti.

    D. – Voi intendete ricorrere addirittura alla Corte Ue …

    R. – Stiamo valutando con i nostri uffici legali questa possibilità. Noi ci troviamo da una parte una legge che dice che siamo equiparati alle strutture pubbliche, e dall’altra parte l’istituzione che così non ci considera e mentre negli anni ha continuato a ripianare a pie’ di lista le strutture pubbliche, a noi ha continuato a tagliare continuamente le risorse. Tagliare a pie’ di lista le strutture pubbliche significa coprire tutti i disavanzi che questi ospedali o le Asl possano avere. Inoltre, vorrei chiarire una cosa: una prestazione resa in un ospedale classificato delle strutture religiose, a parità di prestazione, costa il 40 per cento in meno della stessa prestazione resa in una struttura pubblica.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Chiese europee e migranti: una politica di "comunione" per le migrazioni in Europa

    ◊   La parola d’ordine è qualcosa di più dell’integrazione perché il lavoro con e per i migranti in Europa passa soprattutto attraverso un cammino di “comunione” che richiede un “cambiamento” di atteggiamento e di prospettiva “da parte dei migranti che entrano in un Paese e da parte di chi accoglie”. È il card. Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, a delineare le conclusioni di una due giorni di lavoro che, sul tema “Una pastorale di comunione per una rinnovata evangelizzazione”, ha riunito a Roma circa 40 delegati rappresentanti vescovi e direttori nazionali per la pastorale dei migranti delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). È proprio lo stile della “comunione” - ha detto l’arcivescovo di Zagabria - il contributo “specifico” che la Chiesa può dare nel difficile processo di accoglienza e integrazione dei migranti nei diversi Paesi europei, soprattutto in un periodo di recessione economica. “Un processo importante” al quale “la Chiesa deve lavorare” come “devono lavorare anche altre organizzazioni politiche e sociali”. È stato il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa - riporta l'agenzia Sir - a promuovere l’incontro di Roma. Una due giorni durante la quale i partecipanti si sono confrontati sull’impegno che la Chiesa in Europa svolge a fianco non solo degli immigrati che arrivano ma anche degli emigrati che partono. Ne è uscita - come ha detto mons. Pierre Burcher, vescovo di Reykjavik (Islanda) - “l’icona di una Chiesa che si fa prossima con gli ultimi, i più poveri, spesso i migranti”. Di particolare attenzione sono le problematiche di Paesi europei colpiti dalla recessione economica, come il Portogallo, dove si contano 5 milioni di partenze “registrate” all’estero, a cui si devono aggiungere all’incirca 2 milioni di persone che hanno lasciato non ufficialmente il Paese. “E se negli anni Novanta - ha detto padre Francisco Sales Diniz, della Commissione episcopale per le migrazioni - il Portogallo ha accolto migranti provenienti soprattutto dai Paesi dell’area dell’ex Unione Sovietica, dal 2005 con la crisi il Portogallo è tornato a diventare Paese di emigrazione”. È stato padre Giovanni Peragine, presidente dell’Ucesm (la Confederazione dei superiori maggiori d’Europa) e missionario in Albania, a sottolineare “il problema di coloro che rimangano in patria, delle famiglie abbandonate dalle persone che emigrano alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Occorre, allora, pensare anche a un apposito servizio per chi rimane a casa e si trova in una situazione difficile e precaria”. La Spagna, ha detto padre José Luis Pinilla, direttore del segretariato della Commissione episcopale per le migrazioni, è un “Paese che sta attraversando una difficile fase di crisi economica, conta 5,5 milioni di stranieri al suo interno, pari al 14% della popolazione. Il tasso di disoccupazione degli immigrati ha raggiunto il 35%. Non ci sono fenomeni di xenofobia ma bisogna stare attenti: la recessione e la crisi stanno distruggendo le basi principali dell’integrazione espandendo i fenomeni di emarginazione con problemi anche d’illegalità”. Il movimento migratorio in Europa risente anche dei conflitti in atto nei Paesi della cosiddetta “primavera araba”. È stato il rappresentante di Malta, mons. Alfred Vella, a sottolinearlo. Malta con oltre 15.000 immigrati negli ultimi anni sopporta questa incidenza con difficoltà perché, pur trattandosi di un numero esiguo rispetto ad altre situazioni in Europa, questo dato è forte per “una piccola isola come la nostra”. “E gli arrivi che fino a qualche anno fa erano per Malta un fenomeno transitorio - ha detto - oggi sono diventati un fenomeno costante anche di fronte alla primavera araba, alla caduta di Gheddafi in Libia, alla guerra in Siria”. (R.P.)

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    I vescovi argentini: il Paese sta vivendo una delle pagine più difficili della sua storia

    ◊   I vescovi argentini, nel loro messaggio per il Natale, si dicono profondamente preoccupati per la crisi, morale, culturale ed economica che sta vivendo il Paese, una delle pagine più difficili della storia nazionale. I cittadini – affermano – “hanno bisogno di sentirsi sostenuti da una leadership che non pensa solo ai propri interessi, ma che operi in primo luogo per il bene comune”. Ricordano il “diffuso senso di angoscia” che vive la gente, in particolare per la situazione di tantissimi giovani che non studiano e non lavorano. Lanciano quindi un appello alle forze politiche affinché superino “egoismo e atteggiamenti puramente partigiani”. Dopo quasi trent'anni di democrazia – è il timore dei vescovi – “si rischia di dividere ancora una volta gli argentini in campi inconciliabili”, con il pericolo che si inibisca “la libera espressione e la partecipazione di tutti alla vita civile”. A tutto ciò si aggiunge l’aumento del traffico della droga e della criminalità con l’insicurezza che ne deriva. I presuli esortano, infine, i partiti e le forze sociali al dialogo e a operare con decisione sulla via della giustizia, “che è la virtù fondamentale della vita sociale”. (A cura di Sergio Centofanti)

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    Panama: i 500 anni della prima diocesi continentale. Il card. Ouellet incontra Ricardo Martinelli

    ◊   Il Presidente del Panama, Ricardo Martinelli, ha ricevuto ieri il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, che è in visita a Panama per partecipare all'Assemblea plenaria del Segretariato episcopale dell'America Centrale e come Inviato speciale di Papa Benedetto XVI all’apertura dell'Anno Giubilare per il 500.mo anniversario della creazione della prima diocesi del continente americano in terraferma, Santa Maria La Antigua. Nel corso dell’incontro, il Presidente ha espresso la sua soddisfazione per la visita del card. Ouellet, inoltre, secondo le informazioni diffuse dalla stampa locale, si è anche parlato del grande desiderio di tutti di avere Benedetto XVI a Panama il prossimo anno, per celebrare la chiusura dell’Anno Giubilare. La nota inviata all’agenzia Fides parla anche del pieno sostegno espresso dal Presidente per la Chiesa cattolica e per l'importante ruolo che svolge all'interno della società panamense. Il 9 settembre 2013 è prevista la conclusione delle celebrazioni per il 500° anniversario della diocesi di Santa Maria La Antigua. Durante questo anno la Chiesa ha organizzato varie attività, religiose e culturali, indirizzate all’intera società civile, con il supporto di enti dello stato e privati. Una delle prime iniziative riguarda la pubblicazione di un Dossier speciale che illustra la storia, il logo della celebrazione, l’inno, la preghiera e i personaggi coinvolti in questi 500 anni di evangelizzazione della prima diocesi continentale dell’America. (R.P.)

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    Colombia: "ottimismo" dopo il primo ciclo di colloqui di pace a Cuba

    ◊   È terminato con un’intesa sui meccanismi di partecipazione della società civile il primo ciclo di colloqui tra governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) nell’ambito dello storico processo di pace inaugurato il 19 novembre all’Avana. Le parti - riferisce l'agenzia Misna - torneranno al tavolo del dialogo il 5 dicembre, dopo aver concordato la convocazione di un Forum cittadino sul problema della terra e lo sviluppo agrario – primo punto nell’agenda del negoziato – che si terrà a Bogotá dal 17 al 19 dicembre; il Forum sarà riservato esclusivamente alla società civile e i risultati saranno portati al negoziato l’8 gennaio. Governo e Farc hanno anche deciso di aprire una pagina web – con contenuti disponibili anche in alcune lingue indigene – per promuovere una “partecipazione virtuale” alle trattative raccogliendo i contributi dei movimenti sociali. “Abbiamo proceduto come previsto” ha detto l’ex vice Humberto de la Calle, capo dei negoziatori del governo, nelle prime dichiarazioni rilasciate alla stampa dall’inizio dei colloqui. De la Calle ha auspicato che le proposte provenienti dalla società civile siano “pluraliste, rilevanti e utili al dialogo”. “Ottimismo e speranza” sono stati espressi dal numero due delle Farc, Luciano Marín Arango, alias Iván Márquez. “Vogliamo che la popolazione indichi la strada” hanno evidenziato i negoziatori delle Farc in una conferenza stampa in cui hanno peraltro valutato positivamente la presenza al tavolo del dialogo dei generali a riposo di polizia ed esercito Óscar Naranjo e Enrique Mora: “Se sono stati bravi in guerra – hanno detto riferendosi agli ufficiali – presto sapranno come tracciare il cammino della pace”. (R.P.)

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    Congo: in attesa del ritiro da Goma, violenze e saccheggi dei ribelli

    ◊   “Da quando hanno annunciato il ritiro da Goma, i ribelli stanno commettendo saccheggi su vasta scala e attacchi mirati ai danni di beni pubblici e privati. Sono molto ambiti veicoli e oggetti di valore. Alcuni hanno cominciato a lasciare la città a bordo di macchine di grossa cilindrata, fuori strada e motociclette.Varcano il confine e passano in Rwanda” dice all'agenzia Misna una fonte locale contattata nel capoluogo del Nord-Kivu ma che, in queste ore che definisce come “incerte”, preferisce rimanere anonima per motivi di sicurezza. “Per fortuna, finora i civili sono stati risparmiati da violenze e violazioni, ma gli spostamenti dei miliziani del Movimento del 23 marzo stanno suscitando panico ma anche timori su quanto potrebbe accadere nelle prossime ore” prosegue l’interlocutore stabilito al centro di Goma. Anche se la corrente elettrica è stata ripristinata da due giorni, consentendo alla popolazione di azionare le pompe per procurarsi l’acqua “non tutti i quartieri hanno accesso a questi servizi essenziali” dice ancora la fonte locale, sottolineando che in città “la vita è sospesa”: nell’ultimo periodo molti negozi, le banche e le scuole sono rimasti chiusi. “Il cibo e i beni di prima necessità scarseggiano sempre di più e in una settimana i prezzi sono aumentati del 50%, aggiungendo altra sofferenza a una popolazione già molto provata” riferisce l’interlocutore della Misna, spiegando che a causa dell’insicurezza diffusa sulle strade dell’intera regione, in particolare quelle dei vicini territori di Masisi (ovest) e Rutshuru (nord), “sono pochi i trasportatori che hanno il coraggio di circolare”. In serata è questa la situazione che prevale a Goma, poche ore dopo che il portavoce del Movimento del 23 marzo (M23), il colonnello Vianney Kazarama, ha ufficialmente annunciato che “per motivi organizzativi slitta di 24 ore il ritiro dei nostri uomini”, precisando che “comincerà in modo più significativo a partire da domani” e che sarà “progressivo” anche a Saké, località a venti chilometri dal capoluogo. Alla luce di questo annuncio, diffuso dall’emittente locale ‘Radio Okapi’, la fonte della Misna racconta che “in una settimana di occupazione l’M23 non ha ottenuto grande consenso popolare anche se tutti auspichiamo da tempo un cambiamento profondo per la nostra regione”. L’interlocutore, stabilito da anni a Goma, precisa che “purtroppo la gente di qui conosce fin troppo bene i gruppi ribelli che hanno seminato morte e desolazione a partire dal 1996 quindi è rimasta diffidente anche nei confronti dell’M23, sapendo di non poter affidare le proprie speranze a un gruppo armato in gran parte straniero”. Da Kinshasa anche il governo ha accusato la ribellione di essersi resa responsabile di una “razzia sistematica ai danni di beni pubblici e privati portati via in un paese vicino” ha dichiarato il portavoce Lambert Mende, denunciando danni all’obitorio dell’ospedale militare di Katindo e un tentativo di saccheggio alla Banca Centrale. Le accuse delle autorità congolesi sono state respinte dal responsabile militare dell’M23, Jean-Marie Runiga Lugerero, che ha invece parlato di “atti isolati di vandalismo da imputare a banditi evasi dal carcere centrale di Munzenze”. In parlamento il primo ministro Matata Ponyo, sostenuto dalla maggioranza, è riuscito ad evitare l’apertura di un dibattito sulla crisi dell’Est e ha rassicurato i deputati sull’ “efficienza delle Forze armate congolesi in corso di riorganizzazione”. Il capo del governo ha invitato politici e cittadini a “dare prova di un elevato senso di dignità e solidarietà nazionale in questi tempi di aggressione”. (R.P.)

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    Nigeria. Il vescovo di Sokoto: gli attacchi anticristiani indeboliscono lo Stato di diritto

    ◊   La mancanza di una volontà politica che faccia cessare l’impunità e imponga il rispetto della legge, la corruzione del sistema giudiziario e le interferenze destabilizzanti di Europa e Stati Uniti sono tra le cause delle persecuzioni dei cristiani in Africa. Lo afferma mons. Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto (nord della Nigeria) e Presidente della Commissione per il dialogo inter-religioso della Conferenza episcopale nigeriana, nella sua prolusione intitolata “La persecuzione dei cristiani in Africa: contesti, contenuti e opportunità”, al Convegno “I Martiri cristiani contemporanei ‘Seme della Chiesa’” tenutosi presso l’Università cattolica di Notre Dame, negli Stati Uniti. Secondo quanto riferisce il Catholic News Service of Nigeria ripreso dall'agenzia Fides, mons. Kukah ha espresso prudenza nel qualificare come persecuzioni contro i cristiani quello che sta avvenendo in Nigeria, in particolare gli attentati attribuiti alla setta islamista Boko Haram. “Personalmente ho serie riserve sul fatto che si possa classificare quello che sta accedendo in Nigeria come persecuzione contro i cristiani, per lo meno nel modo in cui questa conferenza inquadra il problema. Per di più, sembra essere troppo frettoloso attribuire il martirio alle vittime e non si rende giustizia alla teologia del martirio come la intendiamo”. Secondo mons. Kukah, gli attentati contro le chiese commessi da Boko Haram sono soprattutto una conseguenza dell’indebolimento dello Stato, più che una dimostrazione dei veri rapporti tra cristiani e musulmani in Nigeria: “Non bisogna confondere le manifestazioni visibili delle gravi mancanze di uno Stato in via di fallimento, con la sua incapacità di fermare e punire i criminali, come misura dello Stato delle relazioni tra cristiani e musulmani come spesso accade nel caso della Nigeria”. La soluzione alla crisi nigeriana, secondo mons. Kukah, passa quindi con un rafforzamento dello Stato di diritto, del potere della legge, attraverso soprattutto la lotta alla corruzione, una della cause maggiori della povertà della popolazione di un Paese ricco di risorse, che a sua volta alimenta l’estremismo religioso. (R.P.)

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    India: una chiesa in Karnataka demolita da estremisti indù

    ◊   Una chiesa cristiana evangelica è stata demolita da estremisti indù nel villaggio di Yellapura Taluk, distretto di Karwar, nello Stato indiano del Karnataka. Lo Stato è noto per la presenza di gruppi estremisti indù ostili alle minoranze cristiane. Come riferisce all'agenzia Fides la “Evagelical Fellowship of India”, la chiesa, rasa al suolo il 20 novembre, apparteneva alla denominazione “Missione di Benedizione della Gioventù”. Gli estremisti hanno distrutto la porta principale, la parete anteriore, le finestre e poi bruciato le macerie. “I danni ammontano a oltre 150mila rupie. Abbiamo presentato denuncia alla polizia ed è in corso un'indagine” ha spiegato il Pastore Srinivasam, rappresentante della missione nella zona. Prima di questo attacco, dal sapore intimidatorio, gli estremisti hanno creato problemi ai cristiani per diversi mesi. Ai fedeli della comunità è stato impedito di prendere l'acqua pubblica ed è stato loro ordinato di non battere le mani o cantare ad alta voce durante le riunioni di culto. I fedeli, per evitare violenze, hanno acconsentito e rispettato tali richieste. Ma non è bastato e i radicali hanno “alzato il tiro”, colpendo la chiesa. Secondo un recente rapporto dell’Ong “Catholic Secular Forum”, nel 2011 si sono verificati oltre 2.000 casi di attacchi verso luoghi, persone, istituzioni cristiane e il Karnataka è al vertice della lista, con oltre 1.000 attacchi sui cristiani nel 2011, una media di 3-5 attacchi ogni giorno. (R.P.)

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    Cina: l'aiuto della Caritas per i malati di Aids

    ◊   Combattere l’Aids, aiutare i malati e i contagiati dall’Aids: è un impegno permanente per l’Ufficio di prevenzione e contrasto all’Aids di Jinde Charities, l’ente caritativo cattolico cinese dell’He Bei. Secondo quanto l’agenzia Fides apprende da Faith, in vista della Giornata mondiale contro l’Aids, che si celebra domani, 1° dicembre, le suore dell’Ufficio hanno recentemente portato aiuti economici per il riscaldamento a 40 famiglie con malati o contagiati dall’Aids. Con il contributo offerto dalla “Chiesa del Buon Pastore” e dalla Fondazione San Paolo di Hong Kong, da 6 anni l’Ufficio di Jinde Charities ha potuto offrire questo aiuto ai sofferenti a causa dell’Aids. Alle fine di ottobre poi si è svolto il corso destinato alle donne contagiate dall’Aids che ha presentate le cure e le forme di prevenzione da ulteriore contagio: 20 malate e contagiate provenute da 17 villaggi hanno seguito per 10 giorni le lezioni di medici ed esperti. La suora dell’Ufficio di Jinde Charities ha invitato a “non perdere mai la fiducia e la speranza, affrontando la malattia con atteggiamento positivo”. Da anni ormai la Chiesa cattolica cinese, guidata dall’Ufficio di prevenzione e contrasto all’Aids di Jinde Charities, si dedica con ogni mezzo a combattere l’Aids nel continente. In questi anni ha creato una rete di attività con corsi (destinati a coppie sposate, fidanzati, giovani universitari, lavoratori immigrati), incontri (con enti simili, autorità, malati, operatori pastorali, volontari cattolici), manifestazioni pubbliche (nelle parrocchie, diocesi o comunità ecclesiali di base, in collaborazione con le autorità locali), insieme al coordinamento dell’opera di sostegno agli ammalati nelle cliniche specializzate. Dal 2006 fino alla fine del 2010 hanno partecipato alla formazione offerta dall’Ufficio 10.050 persone. Tra di loro c’erano 500 malati di Aids e orfani. Dal 2007 fino ad oggi, il solo Centro di Sha He dell’Ufficio di Jinde Charities ha offerto aiuto a 48 famiglie di 40 villaggi, 175 persone e 52 orfani di Aids. L’Ufficio di Jinde Charities ufficialmente è nato con una sede propria nel marzo 2006, ma le suore e i volontari cattolici avevano già iniziato la loro opera molto tempo prima. Dal 2006 al 2007 hanno intensificato il lavoro per affrontare la discriminazione sociale nei confronti dei malati di Aids, offrendo consulenza psicologica e medica, formazione e informazioni sulla prevenzione. Dal 2007 al 2008 hanno cominciato anche ad aiutare i malati a rendersi autosufficienti, sia dal punto di vista economico che morale. (R.P.)

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    India: il card. Cleemis Thottunkal sull'importanza del dialogo interreligioso

    ◊   “Per i cristiani in India il dialogo non è un fatto marginale, è parte della nostra vita”. Lo ha sottolineato il neo-cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi, intervenendo martedì sera all’inaugurazione a Roma di un ciclo di conferenze dedicato alle sfide e alle prospettive della Chiesa in India nel 21° secolo. Il ciclo, ospitato dal “Chavara Institute of Indian and Interreligious Studies” è incentrato sulla grande figura missionaria del Beato Ciriaco Elia Chavara, sacerdote keralese , fondatore della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata e beatificato da Giovanni Paolo II nel 1986. L’intervento del card. Kleemis ha posto l’accento sulle sfide, ma anche sui tanti punti di forza che fanno sperare per il futuro della Chiesa in India. Tra questi ha citato in particolare il “fulgido” esempio di Madre Teresa di Calcutta, che riuscì a fare conoscere Gesù a milioni di persone: un modello di come i cristiani possono essere presenti nel mondo, anche quando sono una piccola minoranza. “La Chiesa in India - ha quindi osservato – deve fare tanto per portare la Buona Novella alla gente” e a questo scopo il dialogo interreligioso è un canale imprescindibile. Un esempio in questo senso è il Beato Chavara che ha incarnato al meglio questa capacità di dialogare con l’altro. Un dialogo – ha puntualizzato il card. Cleemis – che non deve essere visto come una minaccia alla nostra identità cristiana: “Se siamo fedeli a noi stessi non c’è pericolo di sincretismo”. L’arcivescovo maggiore di Trivandrum ha quindi sottolineato che la piccola comunità cristiana in India “può fare la differenza”, come dimostra la significativa presenza della Chiesa in settori come la sanità, l’educazione e l’assistenza: “Siamo appena il 2,5% della popolazione, eppure siamo la seconda agenzia dopo il governo nel settore sanitario”, ha concluso. (L.Z.)

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    Nuova Zelanda: "no" dei vescovi al progetto di legge sulla ridefinizione del matrimonio

    ◊   È un documento lungo, dettagliato ed articolato in 37 punti quello che la Conferenza episcopale della Nuova Zelanda ha diffuso riguardo al progetto di legge sulla ridefinizione del matrimonio, che mira ad includere le nozze tra persone dello stesso sesso e la possibilità, per esse, di adottare figli. Partendo dalla premessa che la Chiesa è “una delle voci di una società pluralistica” e che quindi ha “il diritto di partecipare al dibattito e di essere considerata con rispetto”, i vescovi ribadiscono che difendere il matrimonio tra uomo e donna “non significa denigrare gli omosessuali”. D’altro canto, si legge nel documento, “il matrimonio non è un’invenzione della Chiesa, delle comunità di fede o dello Stato”, bensì è “un’istituzione umana basilare che deriva dalla natura stessa della persona”, ed è fondata sulla “differenza sessuale tra uomo e donna”. In questo senso, sottolinea la Chiesa neozelandese, “il matrimonio è unico ed è un’unione tra un uomo ed una donna orientata naturalmente verso la procreazione della vita. Tale unicità, dunque, richiede un nome ed una definizione che distingue il matrimonio da ogni altro tipo di relazione”. Poi, i presuli mettono in guardia da chi indica nel “diritto di scelta” il presupposto fondamentale per ridefinire il matrimonio, poiché tale diritto non presuppone alcun limite e ciò potrebbe portare a continue ridefinizioni dell’unione coniugale. Al contrario, la Chiesa di Wellington reclama il “diritto al matrimonio” riconosciuto dalla dottrina cattolica e che “nessuna legge umana può abolire”. In quest’ottica, quindi, “l’unione in matrimonio tra un uomo e una donna non è la stessa cosa di un’unione tra persone dello stesso sesso”. Di qui, il richiamo al fatto che “trattare cose diverse in modo diverso non significa discriminare”, poiché “l’uguaglianza non può essere raggiunta chiamando con lo stesso nome due cose che sono essenzialmente differenti”. Riguardo, inoltre, alla possibilità, per le coppie omosessuali, di adottare figli, i vescovi della Nuova Zelanda evidenziano come ciò implicherebbe “privare deliberatamente un bambino dell’affetto di un padre e di una madre”, affetto che, “come assicurano gli psicologi, contribuisce allo sviluppo dei figli”. Inoltre, afferma la Chiesa di Wellington, “il diritto a scegliere reclamato dagli adulti penalizza i minori che troppo spesso soffrono a causa del modo in cui i più grandi perseguono i propri interessi”. Infine, i presuli neozelandesi si appellano alla “libertà di coscienza” ed esprimono preoccupazione per il “potenziale conflitto che si verrebbe a creare, una volta approvato il progetto di legge, tra lo Stato e le istituzioni religiose”: come “gruppo legittimo di una società democratica”, la Chiesa chiede quindi “garanzie relative al fatto che sarà possibile l’insegnamento e la promozione della dottrina cattolica relativa al matrimonio, senza penalizzazioni come l’esclusione da benefici accordati ad altri enti, o l’obbligo di celebrare matrimoni gay o di fornire, attraverso le agenzie cattoliche, servizi alle coppie omosessuali, là dove questo entrasse in conflitto con il cattolicesimo”. (A cura di Isabella Piro)

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    Polonia: pellegrinaggio e sessione missiologica a Jasna Góra

    ◊   “Con gioia annunciamo la fede a tutto il mondo” è il tema della sessione missiologica e del pellegrinaggio promosso della Pontificia Unione Missionaria (Pum) della Polonia che si svolgerà domani e domenica prossima al santuario nazionale della Madonna di Czestochowa, a Jasna Góra. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides da don Jacek Gancarek, direttore delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) dell’arcidiocesi di Czestochowa, alla sessione missiologica e alla veglia di preghiera parteciperanno sacerdoti, religiosi, religiose e laici, guidati da don Tomasz Atlas, direttore nazionale delle Pom della Polonia. Durante la sessione missiologica, i partecipanti rifletteranno su diversi argomenti, come la spiritualità missionaria e l’attività missionaria, l'attuazione della nuova evangelizzazione, la missione "Ad gentes". Verrà anche ricordata la vita e l’attività missionaria della Beata Maria Teresa Ledóchowska in occasione del 150° anniversario della sua nascita. Alla sessione parteciperanno fra gli altri l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute; mons. Grzegorz Ryś, vescovo ausiliare di Cracovia e presidente del Comitato per la Nuova Evangelizzazione presso la Commissione pastorale dell'episcopato polacco; don Bogdan Michalski, segretario nazionale della Pontificia Opera per la Propagazione della Fede e della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo; padre Luca Bovio, segretario nazionale Pum. La sessione missiologica si concluderà con la preghiera per la pace e con l'atto di affidamento alla Madre di Dio. (R.P.)

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    Ungheria: il governo propone di modificare i finanziamenti alla Chiesa

    ◊   Il Governo ungherese ha proposto di incrementare i finanziamenti destinati alle organizzazioni religiose, ora pari all’1% dell’imposta personale sul reddito delle persone fisiche, portandoli allo 0,9% del bilancio statale. In Ungheria - riferisce l'agenzia Sir - ogni lavoratore dipendente o libero professionista può decidere di destinare l’1% del totale delle imposte che paga ogni anno ad alcune organizzazioni religiose. La proposta prevede che l’importo totale raccolto in questo modo sia incrementato dallo Stato fino a raggiungere lo 0,9% del bilancio nazionale, in modo tale da garantire un finanziamento stabile per le organizzazioni religiose. Se tale proposta venisse approvata dal parlamento entrerebbe in vigore il 1° gennaio del 2013. È necessario modificare il finanziamento della Chiesa per garantire che le organizzazioni religiose possano continuare a funzionare. A giustificazione della proposta si evidenzia il crescente ruolo sociale svolto dalla Chiesa e il suo contributo ai servizi sanitari. Riferendosi all’impatto dei cambi che hanno interessato il sistema tributario nel 2012, il card. Peter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest, aveva dichiarato a inizio settembre che, rispetto all’anno precedente, la Chiesa cattolica riceveva il 20% in meno dei finanziamenti derivanti dall’1% dell’imposta personale sul reddito, nonostante il numero dei contribuenti non fosse diminuito. (R.P.)

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    Premio Unesco all’arcivescovo anglicano Desmond Tutu per la promozione dei diritti umani

    ◊   Un riconoscimento significativo con una motivazione altrettanto significativa: la promozione di una cultura dei diritti umani a livello nazionale ed internazionale. Così l’arcivescovo anglicano del Sudafrica, Desmond Tutu, verrà insignito del Premio Unesco/Bilbao. La cerimonia si terrà a Parigi il prossimo 10 dicembre, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’uomo. “Scegliendo l’arcivescovo Tutu – informa l’Unesco – la giuria ha voluto attirare l’attenzione sul ruolo eccezionale che egli ha avuto nella costruzione di un nuovo Sudafrica, democratico e non razzista”. In questo senso, i giurati hanno tenuto conto del “contributo inestimabile” che l’esponente anglicano ha offerto alla ricostruzione del Paese “in quanto presidente della Commissione nazionale ‘Verità e riconciliazione’, divenuta poi modello per altre società che hanno conosciuto situazioni post-belliche”. La suddetta Commissione, creata negli anni ’90 dall’allora presidente del Sudafrica Nelson Mandela in seguito all’abolizione della segregazione razziale, fu incaricata di fare luce sui crimini politici commessi durante il periodo dell’apartheid. Conclusi i suoi lavori nel 1998, la Commissione è divenuta una delle pietre angolari della riconciliazione nazionale in Sudafrica. E non solo: il premio Unesco/Bilbao vuole riconoscere anche l’impegno dell’arcivescovo Tutu “a fianco dei giovani nella promozione della non violenza e nell’opposizione a tutte le forme di discriminazione e di ingiustizia”. Istituito nel 2008, il premio consiste in un assegno di 30mila dollari, un diploma ed una scultura di bronzo realizzata dall’artista giapponese Toshimi Ishii. (I.P.)

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    Radio Vaticana: seminario di formazione dell'Ebu su Chiesa cattolica e Santa Sede

    ◊   Si è concluso oggi alla Radio Vaticana un workshop organizzato dall’European Broadcasting Union (Ebu) per senior editors ed inviati delle emittenti radiotelevisive europee del servizio pubblico, nell’ambito di un ciclo di seminari professionali dal titolo “Off-The-Record”, dedicati alle più importanti organizzazioni internazionali, che operano ed agiscono in modo globale, in un mondo sempre più interdipendente. L’edizione romana di “Off-The-Record” ha avuto per tema “The View from the Vatican. The Catholic Church in a Globalized World” con l’obiettivo di presentare e far conoscere più da vicino la Chiesa cattolica e la Santa Sede. Le sessioni sono state dedicate al rapporto tra Santa Sede e Comunicazione (padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa); Santa Sede e Diplomazia (mons. Ettore Balestrero, della Segreteria di Stato, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati ); Chiesa e Carità (Michel Roy, presidente di Caritas Internationalis); Chiesa e Dialogo (Flaminia Giovanelli, del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace) e Chiesa e Cultura (con rappresentanti del Pontificio Consiglio per la Cultura). (R.P.)

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    Apre domani la mostra “Puer Natus. L’infanzia di Gesù nei corali miniati del Duomo di Siena”

    ◊   A Siena, apre domani al pubblico “Puer Natus. L’infanzia di Gesù nei corali miniati del Duomo di Siena”, mostra realizzata dall’Opera della Metropolitana e dedicata alle sontuose pergamene miniate tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo per la Cattedrale di Santa Maria Assunta. In prossimità del Santo Natale sarà possibile ammirare, nella Cripta sotto il Duomo e nella Libreria Piccolomini, una sorta di prezioso “Presepe” costituito dalle magnifiche miniature dedicate all’Annunciazione, alla Natività, all’Adorazione dei Magi e alla Presentazione al Tempio di Gesù. I corali presentati in mostra nella Libreria Piccolomini saranno aperti, per la prima volta, ad una carta (pagina) diversa rispetto a quella dell’esposizione permanente. In Cripta, l’infanzia di Gesù sarà illustrata, in questa occasione straordinaria, attraverso alcuni preziosi corali della fine del XIII secolo provenienti dal Museo e dall’Archivio dell’Opera del Duomo. Essi rappresentano un tassello fondamentale per la ricostruzione della storia della miniatura tra la fine del Duecento e gli inizi del Cinquecento e fanno parte di un corpus di circa trentacinque codici realizzato per la Cattedrale di Siena in due diverse serie: una risalente alla fine del Duecento, l’altra alla seconda metà del Quattrocento. Tra gli autori più rappresentativi da rilevare è la presenza del Terzo Maestro dei Corali del Duomo, attivo alla fine del XIII secolo e autore della splendida Natività riferibile a quella affrescata pochi anni prima nella Cripta; e quella di Girolamo da Cremona e Liberale da Verona che, nell’ultimo quarto del XV secolo, crearono splendide lettere miniate come quella raffigurante l’Adorazione dei Magi. Il percorso espositivo è completato da una sezione multimediale che permetterà al visitatore di “sfogliare” su touch-screen le preziose carte, ammirando nei dettagli la bellezza delle miniature. La visita nei locali della Cripta sotto il Duomo sarà accompagnata dall’ascolto di brani di canto gregoriano legati alla liturgia del Tempo di Natale. Nell’ambito della mostra verranno realizzati percorsi guidati per adulti e bambini. (S.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 335

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.