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Sommario del 29/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI su Twitter. Padre Spadaro: le nuove tecnologie al servizio del Vangelo
  • Messaggio del Papa per il centenario dell'indipendenza dell'Albania
  • Why Poverty? Paolo VI e il grido dei poveri, "i preferiti del regno di Dio"
  • Nomina
  • Due francobolli per il restauro del Colonnato di San Pietro
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Guerra in Siria. Mons. Zenari: cento morti al giorno, ma non fanno notizia
  • Onu, voto sulla Palestina: da entità a Stato, no degli Usa, sì della Russia, Ue divisa
  • Egitto: sì ai principi della Sharia nella nuova Costituzione
  • Elezioni in Somaliland: prosegue il processo di avvicinamento alla comunità internazionale
  • Mons. Fisichella: gli immigrati in Europa una ricchezza per la nuova evangelizzazione
  • Diagnosi preimpianto. Il governo presenta ricorso all'Ue. Soddisfatto il Movimento per la Vita
  • Istat: meno matrimoni in Italia. Blangiardo: sostenere giovani e famiglia
  • Diocesi di Milano. Il card. Scola apre la "fase 2" del Fondo Famiglia e Lavoro
  • Rapporto Censis: aumentano gli occupati nelle cooperative
  • Tromba d'aria travolge lo stabilimento Ilva. Il cappellano: la Chiesa vicino a chi soffre
  • Nei cinema italiani, il film d'animazione "Le 5 leggende"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: terrore attentati per i cristiani di Jaramana
  • 10.ma Plenaria dei vescovi asiatici: rilancio per la vita e la missione della Chiesa
  • Rio 2013. Il cardinale Rylko: "La Gmg non un fuoco di paglia ma semina che porta frutto"
  • India: Premio Madre Teresa a due donne bersaglio dei talebani
  • L’impegno della Chiesa per combattere l’Aids nelle regioni più povere
  • Congo. Ribelli ancora a Goma: cresce l'insicurezza
  • America Latina: in calo i poveri ma 66 miloni di persone vivono nella miseria
  • Tibet: un’altra auto-immolazione. Gli studenti scendono in piazza contro Pechino
  • Genova: il card. Bagnasco e Paul Bhatti ricordano i "martiri del Pakistan"
  • Pakistan: a Faisalabad cristiane e musulmane in piazza contro la violenza domestica
  • India: 12 condanne per le violenze anticristiane in Orissa, ma “resta ancora molto da fare”
  • Sudan. Mons. Gassis: “La Chiesa faro di speranza per i civili dei Monti Nuba
  • Bolivia: la Chiesa nella commissione governo-indigeni sul progetto stradale Tipnis
  • Kenya: la Chiesa sottolinea l’importanza dei nuovi media per l’evangelizzazione
  • Mauritius: pubblicazione speciale per l’Anno della fede
  • Austria: da Betlemme la luce della pace in viaggio per l'Europa
  • Pena di morte: al Colosseo "Cities for life" per la totale abolizione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI su Twitter. Padre Spadaro: le nuove tecnologie al servizio del Vangelo

    ◊   Tra pochi giorni Benedetto XVI sarà presente su Twitter, uno dei social-network più utilizzati al mondo. Il nuovo account del Papa verrà presentato ufficialmente lunedì prossimo, 3 dicembre, nella Sala Stampa vaticana. Sul significato di questa iniziativa, Fabio Colagrande ha intervistato il direttore della rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, esperto di nuove tecnologie e comunicazione digitale:

    R. - Direi che oggi, secondo la logica della comunicazione, i messaggi di senso, e conseguentemente i messaggi religiosi, non possono essere semplicemente trasmessi, ma devono essere condivisi. Dunque, i messaggi di senso passano anche attraverso i social-network, quali Facebook, Twitter e tanti altri, che ormai stanno diventando dei veri e propri luoghi di senso. Cioè luoghi di riflessione, considerazione e condivisione di valori, idee, momenti di vita. Infatti nei social-network le persone condividono la vita, i desideri migliori, e anche quelli peggiori, le domande, le risposte. E tanti leader religiosi sono già su Twitter. Quindi, direi che è normale che il Papa abbia un “account” che faccia riferimento a lui. Direi quasi che, in fondo, il 3 dicembre 2012, si connette idealmente al 12 febbraio 1931, quando Pio XI lanciava il suo primo messaggio via radio, attraverso la Radio Vaticana. Quindi ritengo che la presenza del Papa su Twitter sia una presenza normale: cioè corretta, adeguata al modo in cui oggi l’uomo comunica.

    D. - Quali sono i vantaggi della presenza di Benedetto XVI, e della sua parola, in questo luogo di comunicazione?

    R. - Già Pio XI parlava di una tecnologia messa al servizio delle relazioni e non della mera propaganda. E, di fatto, i social-network vivono di una logica di condivisione, di una diffusione del messaggio all’interno di relazioni. Infatti, sappiamo bene come un messaggio presente su Twitter possa essere, come si dice, “ritwittato”, cioè comunicato ad altri amici o possa essere anche commentato. Quindi, direi che questo è il vantaggio della presenza di Benedetto XVI su Twitter: la possibilità di condividere, più a largo raggio, il messaggio evangelico.

    D. - Non c'è il rischio di un'adesione fatta da parte della Chiesa solo per essere 'presenti', quasi per adeguarsi a una moda?

    R. - Direi di no e anzi questo è l’approccio più sbagliato alla comprensione della presenza del Papa su Twitter. Non è l’adeguarsi all’ultima novità del momento. E’, al contrario, una delle conseguenze ovvie del modo in cui la Chiesa negli ultimi decenni, almeno da Pio XI, ha inteso il suo rapporto con la comunicazione. Bisogna anche ricordare che, nel suo Messaggio per la 46.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Papa notava che sono da considerare con interesse le varie forme di siti e applicazioni – parlava proprio di “reti sociali” – che possono aiutare l’uomo di oggi a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, di meditazione, di condivisione della Parola di Dio. E’ chiaro che questo significa una presenza del cristiano su internet assolutamente specifica, quindi non “per moda” o per il fatto che l’uomo oggi vive anche in rete.

    D. - 140 caratteri non sono pochi per esprimere un'idea o una riflessione spirituale? Non c'è il rischio di ridurre la fede in slogan?

    R. - Proprio nel Messaggio che citavo prima, scritto dal Papa per la Giornata delle Comunicazioni sociali, la più recente, Benedetto XVI, pur senza citare Twitter, scrive che nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico - e qui il riferimento mi sembra evidente - si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità. Questa, quindi, è la chiave giusta di lettura, di interpretazione: coltivare la propria interiorità. Grazie a questo è possibile esprimere dei messaggi essenziali, detti con parole precise, che richiedono un certo lavoro sul linguaggio, direi quasi un lavoro poetico, per coniugare sapienza e precisione. Questa è la strada maestra per cui l’espressione sintetica non va a detrimento della profondità o della lentezza dell’assimilazione. Ma, direi, quasi al contrario favorisce l’aggancio per una meditazione più affilata e densa. Lo dimostra il grande successo dei versi, della poesia su Twitter. Nella nostra vita frenetica si avverte l’esigenza di avere qualcosa di affilato e di sapiente che sia in grado di spaccare la quotidianità frenetica e mettere un piccolo seme, un elemento di riflessione e meditazione.

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    Messaggio del Papa per il centenario dell'indipendenza dell'Albania

    ◊   In un messaggio al presidente della Repubblica di Albania, Bujar Nishani, per il centenario dell’indipendenza del Paese, proclamata il 28 novembre 1912, il Papa esprime i suoi più cordiali auguri al popolo albanese. Tramite l’arcivescovo di Bar, mons. Zef Gashi, Benedetto XVI assicura le sue preghiere per l’impegno del governo albanese nel rafforzare pace, giustiza e prosperità per la nazione.

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    Why Poverty? Paolo VI e il grido dei poveri, "i preferiti del regno di Dio"

    ◊   Il Servo di Dio Paolo VI è stato il primo Papa a visitare i 5 continenti, facendosi interprete del “grido dei poveri”. La sua attenzione agli ultimi, che chiamò “i preferiti del regno di Dio”, è espressa in numerosi gesti di vicinanza. Ripercorriamo i passaggi principali del pontificato di Papa Montini dedicati alla povertà, come nuovo contributo della nostra emittente per l’iniziativa promossa dall'Unione Europea di Radiodiffusione (UER) intitolata “Why Poverty?”, speciale giornata di trasmissioni in Eurovisione dedicata a questo tema. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Povertà, carità e giustizia sociale. E’ su queste linee che Paolo VI indica la prospettiva di un’azione forte e incisiva per poter cambiare le sorti di un mondo che, negli anni ’70, era scosso da tensioni sociali e si apriva ad ideologie utopistiche. Il 261.mo Successore di Pietro, bresciano di Concesio, invita a volgere lo sguardo a Cristo ed a trovare nel Vangelo l’autentica risposta ai problemi dell’umanità, primo fra tutti la povertà:

    “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et Spes, 7 dicembre 1965)

    In questo incipit della Costituzione conciliare “Gaudium et Spes” era indicato l’impegno della Chiesa e soprattutto del Vicario di Cristo, che ormai aveva traghettato il Concilio Vaticano II verso la conclusione. Qualche tempo prima, l’intervento di Papa Montini alle Nazioni Unite: “davanti a quel vasto areopago – scrisse Paolo VI - ci facemmo l'avvocato dei popoli poveri”:

    “Nous faisons notre aussi la voix des pauvres…
    E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli considerano le Nazioni Unite come il palladio della concordia e della pace; Noi osiamo, col Nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perché questo momento è grande anche per voi”. (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965)

    Dunque, la Chiesa al fianco dei poveri perché in loro – ricorda il Papa - c’è Gesù:

    “Nos meminemus in vulto …
    Noi ricordiamo come nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo… Il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”. (Ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965)

    Il Concilio Vaticano II formula apertamente l’auspicio che venga creato un organismo capace di “promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni”. Proprio per rispondere a questo desiderio Paolo VI istituisce, con un Motu Proprio pubblicato il 6 gennaio del 1967, la Pontificia Commissione “Justitia et Pax”. Anni prima erano iniziati i suoi viaggi apostolici: è stato il primo Papa ad usare l’aereo; in India regala la sua automobile a Madre Teresa di Calcutta per aiutarla nelle sue opere di bene a favore dei poveri. Un segno della sua perenne attenzione per i più bisognosi che lo aveva spinto a rinunciare alla tiara e offrirla perché se ne ricavasse una somma da destinare a loro. In ogni viaggio ha voluto sempre incontrare i poveri: indimenticabile l’abbraccio di Paolo VI ai campesinos colombiani, “in loro – dice al suo ritorno – c’era il riflesso dell’amore del Signore sulla povertà”:

    “Sois – vosotros – un signos, una imagen, un misterio de la presencia …Voi siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo…E tutta la tradizione della Chiesa riconosce nei poveri il sacramento di Cristo, non certo identico alla realtà dell’Eucaristia, ma in perfetta corrispondenza analogica e mistica con essa. Del resto Gesù stesso ce lo ha detto in una solenne pagina del suo Vangelo, dove Egli proclama che ogni uomo che soffre, ogni affamato, ogni infermo, ogni disgraziato, ogni bisognoso di compassione e di aiuto, è Lui, come se Lui stesso fosse quell’infelice, secondo la misteriosa e potente sociologia evangelica, secondo l’umanesimo di Cristo”. (Messa Bogotà, 23 agosto 1968)

    Il Papa mette in luce le drammatiche differenze tra i poveri ed i ricchi. Molti passaggi della sua Enciclica, “Populorum Porgressio”, pubblicata nel 1967, un anno prima del viaggio in America Latina, richiama questa iniquità. Un testo che anche oggi resta di grandissima attualità, in cui ricorda che la pace passa per lo sviluppo e che la miseria è fonte di instabilità e violenza:
    “Mentre un’oligarchia gode, in certe regioni, di una civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera e dispersa, è ‘privata pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità, e spesso anche costretta a condizioni di vita e di lavoro indegne della persona umana’”. (Populorum Progressio)

    Una denuncia, ma anche “un messaggio alla Chiesa e al mondo per la giustizia e la pace”:

    “E vuole portare speranze buone e legittime ai popoli in via di sviluppo e suscitare in coloro che hanno possibilità di mezzi culturali ed economici la generosità e la solidarietà verso queste popolazioni più bisognose”. (Regina Coeli, 2 aprile 1967)

    Paolo VI indica quindi un problema, ma anche la sua soluzione: lo sviluppo dei popoli appunto. Un mondo dove “il povero Lazzaro possa sedersi al banchetto del ricco”. E’ alla Caritas italiana che ricorda l’importanza dell’impegno, ma anche il “dovere della carità”, “che – dice - se è sincera, scende necessariamente a gesti concreti di comunione con chi è in stato di bisogno” .
    Dentro il suo tempo, Paolo VI, con la chiarezza del suo pensiero, si sottrae a una tendenza di quegli anni: essere, sì, a favore della povertà o meglio dei poveri, dei proletari, degli indigenti, ma contro i possidenti, i ricchi ed i capitalisti. “La povertà – afferma rivolgendosi ai francescani – è la filosofia del Vangelo: cercate prima il Regno di Dio”:

    “Voi conoscete che la povertà evangelica significa innanzitutto la collocazione del proprio pensiero sulla vita non in questa terra, non nelle sue ricchezze e nelle sue risorse, nelle sue soddisfazioni, nei suoi piaceri; non in ciò ch’essa è e ch’essa ci può esibire, non nel suo regno della terra, ma nel «Regno dei Cieli». (Discorso ai Francescani secolari, 19 maggio 1971)

    Un pontificato lungo 15 anni, nel quale Paolo VI prende su di sé la sofferenza del suo tempo, animato sempre dall’amore per l’uomo che lo rende instancabile nelle iniziative a favore della giustizia e del progresso. “La Chiesa – sottolinea il Papa - è l’alleata per vocazione nativa dell’umanità indigente e paziente, perché la salvezza di tutti è la sua missione”:

    “La Chiesa, amando e soffrendo insieme con gli affamati di pane e di giustizia, trova in qualche modo in se stessa la prodigiosa virtù di Gesù, che moltiplicò i pani per la folla e svelò la dignità d’ogni vivente per misero e piccolo che questi fosse. E trova le parole gravi e talvolta minacciose, anche se sempre materne, per i ricchi e per i potenti, quando l’indifferenza, l’egoismo, la prepotenza fanno loro dimenticare la fondamentale eguaglianza e l’universale fratellanza degli uomini, e consentono loro di confiscare a proprio esclusivo profitto i beni della terra, specialmente se questi sono frutto dell’altrui sudore e dell’altrui sacrificio”. (Omelia 80.mo anniversario Rerum novarum, 16 maggio 1971)

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    Nomina

    ◊   In Ucraina, il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare della Diocesi di Kamyanets-Podilskyi il Reverendo Padre Radoslaw Zmitrowicz, Omi, Superiore della Delegazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata in Ucraina, assegnandogli la sede titolare vescovile di Gissaria.

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    Due francobolli per il restauro del Colonnato di San Pietro

    ◊   Nei giorni scorsi, l’Ufficio filatelico e numismatico del Governatorato della Città del Vaticano ha emesso un certificato filatelico di partecipazione al restauro del Colonnato di Piazza San Pietro in Vaticano. Tale certificato consiste in un foglietto, a validità postale, che include due francobolli da 10 euro ciascuno, per un costo totale di 20 euro. Sull’importanza di questa inedita iniziativa, Luca Collodi ha intervistato il direttore dell'Ufficio filatelico e numismatico vaticano, Mauro Olivieri:

    R. – Tecnicamente è un foglietto filatelico che contiene due francobolli che hanno validità postale, quindi possono essere usati per affrancatura. La particolarità, in questo caso, è che per la prima volta noi abbiamo realizzato un prodotto che non è immediatamente stampato dalla stamperia e venduto ai collezionisti o a chiunque lo voglia acquistare, ma viene eseguita una personalizzazione: cioè, la persona che fisicamente vuole comprare per sé o regalare a qualcuno uno di questi certificati può farci scrivere sul certificato, in caratteri goticheggianti, il suo nome o quello di una persona alla quale intende regalare o portare questo ricordo. Il ricavato della vendita dell’iniziativa verrà impiegato dall’autorità del Governatorato esclusivamente e totalmente per il restauro del Colonnato. Quindi, ognuno di noi, che sia un fedele, che sia semplicemente un amante dell’arte, può partecipare a restaurare questa opera straordinaria.

    D. – Si tratta di due foglietti che sono già stati emessi, quindi sono in commercio, dal costo ognuno di 20 euro…

    R. – Sì. Questi prodotti sono acquistabili presso i punti vendita dell’ufficio filatelico e in particolare abbiamo allestito un punto all’interno dell’UPT, dell’Ufficio pellegrini e turisti, quindi al Braccio di Carlo Magno - guardando la Basilica di San Pietro sulla sinistra - dove tutti possono accedere, anche senza fare il percorso in Basilica. Si può entrare direttamente e recarsi all’Ufficio pellegrini e turisti dove c’è uno sportello dell’Ufficio filatelico con una stampante e impiegati dell’ufficio che stanno lì tutto il giorno con l’orario dalle 8.30 alle 19.00 circa e vendono al pubblico che lo richiede questo certificato. Ringraziamo già fin d’ora tutti quelli che aderiranno a questa iniziativa. Il riscontro è molto positivo. D’accordo con i superiori e con i responsabili del restauro dei Musei Vaticani, noi speriamo di poter essere in grado di mettere da qualche parte una piccola targa, un piccolo ricordo dello sforzo che il mondo della filatelia ha fatto per il restauro del Colonnato.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Quell’ateo del mio vicino: in prima pagina, José Maria Gil Tamayo sul Papa e la questione di Dio nel mondo di oggi.

    Un nuovo patto per l’Europa: in rilievo, nell’informazione internazionale, l’appello lanciato dal presidente della Commissione Ue, Durao Barroso.

    Storia della nascita di una parola: in cultura, uno dei più noti teologi protestanti tedeschi, Christoph Markschies, presidente della Camera teologica della Chiesa evangelica in Germania, sulla genesi del termine che indica la Chiesa apostolica romana.

    La donna nuova che fiorì nella melma nazista: Cristiana Dobner sul diario di Etty Hillesum - finalmente uscito in edizione integrale - uccisa ad Auschwitz il 30 novembre 1943.

    Tra realtà e pregiudizio: Cristian Martini Grimaldi sulle relazioni umane dentro e fuori dalla rete.

    Liberi di giocare: Gaetano Vallini recensisce “Black star. Nati sotto una stella nera”, il film di Francesco Castellani sulla “nazionale” di calcio dei rifugiati.

    Gli Stati Uniti in aiuto dell’Africa: nell’informazione religiosa, la tradizionale campagna di solidarietà promossa dai vescovi.

    Evangelizzazione in atto: nell’informazione vaticana, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, a Rio de Janeiro per l’incontro internazionale in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù.

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    Oggi in Primo Piano



    Guerra in Siria. Mons. Zenari: cento morti al giorno, ma non fanno notizia

    ◊   Nuova giornata di violenza in Siria e a farne le spese sono i bambini. Cinque piccoli sono stati uccisi in un bombardamento aereo su un quartiere di Aleppo. L'azione ha provocato la morte anche di altre 10 persone. A riferirlo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani con sede a Londra. Solo ieri erano state più di 50 le vittime di due autobombe esplose a Damasco. Ma del conflitto siriano si parla sempre di meno: è quanto afferma mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, al microfono di Benedetta Capelli:

    R. – Ogni giorno le cronache parlano di circa 100 o più morti. Purtroppo ci si assuefa a vedere queste cifre e ci si accorge di questo conflitto quando, come è accaduto ieri, sono scoppiate due autobombe e hanno fatto strage. Non dobbiamo, però, dimenticare la situazione di più di un milione e mezzo di sfollati – un numero in aumento - che vivono lontani dalle proprie abitazioni, che hanno visto distrutte e hanno dovuto abbandonare e ora vivono in una situazione di estrema precarietà. Purtroppo, questo con il tempo rischia di non fare più notizia.

    D. – Lei ha parlato delle tante difficoltà della popolazione siriana. La Chiesa, in questo momento, quale contributo sta dando?

    R. – Il contributo è dato dalla nostra presenza. Tante persone si dedicano a questa gente in necessità e la loro presenza vuol dire moltissimo, alle volte più di quello che può offrire: più del cibo, più del vestito. Essere presenti è un aiuto straordinario. Stiamo avvicinandoci alla preparazione del Natale e qui, purtroppo, non abbiamo bisogno di preparare il presepio perché abbiamo sotto gli occhi un presepio vivente: bambini che nascono in situazioni di emergenza, fuori dalle proprie case, in luoghi di rifugio, bambini che nascono nelle tende, che nascono al freddo, senza case riscaldate, nella penuria di cibo, nella penuria di vestiti. Questo presepio, quest’anno più dell’anno scorso, è reale e scuote profondamente i sentimenti. Il Signore nasce ancora in queste condizioni, da queste parti, in questo clima freddo perché anche qui si sente molto il freddo.

    D. – In molti si chiedono quanto durerà questa guerra...

    R. – Purtroppo è una domanda che ci si pone e alla quale è difficile rispondere. Si sarebbe tentati di dire qualcosa di negativo perché i segni che stanno davanti agli occhi non fanno pensare ad una fine immediata, ad una fine di riconciliazione e di pace, come tutti desidereremmo e per la quale preghiamo. Purtroppo i segni sotto gli occhi sono abbastanza inquietanti. Dobbiamo, però, fare affidamento a questo messaggio che ci viene dal Natale e dalla presenza di Dio con noi.

    D. – Al dolore per i bombardamenti, le vendette fra gruppi rivali, adesso si sta aggiungendo una nuova emergenza che è quella della criminalità locale...

    R. – E’ una piaga che è cominciata da qualche tempo a questa parte e soprattutto con lo sfaldamento della pubblica sicurezza e con l’ingresso nel Paese di armi. C’è la piaga, ad esempio, dei sequestri a scopo politico in vista dello scambio di persone ma è più diffusa la piaga del sequestro a scopo di denaro. Alle volte le famiglie toccate da questo dramma del sequestro di persona, che sta toccando in vari villaggi diverse famiglie, si rivolgono ai propri pastori.

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    Onu, voto sulla Palestina: da entità a Stato, no degli Usa, sì della Russia, Ue divisa

    ◊   Il voto all'Onu sulla Palestina “non cambierà alcunché sul terreno”. E’ quanto ha affermato il premier israeliano Netanyahu sul voto previsto oggi al Palazzo di Vetro di New York. Il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, chiederà all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di elevare la Palestina da semplice “entità” a “Stato osservatore non membro” dell'organizzazione internazionale. Il servizio di Fausta Speranza:

    Netanyahu parla di mano comunque “tesa verso la pace'', ma spiega di votare contro la risoluzione perché non contiene un riconoscimento di Israele come Stato o provvedimenti di sicurezza per Israele. E ribadisce: non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese ma anzi la allontanerà. Contrari a questo passo per la Palestina anche gli Stati Uniti: a Washington spiegano che uno Stato palestinese può nascere solo dal negoziato tra le parti e dal conseguente accordo di pace e sostengono che la risoluzione può essere controproducente. La Russia, invece, assicura il sostegno affermando che è una questione di principio. L’Europa non è compatta: la Germania ha scelto solo oggi l’astensione, parlando di decisione difficile. Non voterà neanche la Gran Bretagna, mentre la Francia, l'Italia e la Spagna si schierano per il sì. Il leader dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, ha passato la vigilia del voto a New York, incontrando diversi interlocutori. Sembra abbia i voti a favore di almeno i due terzi dei 193 Stati membri: si dicono per il sì gran parte dei Paesi africani, degli asiatici, i Paesi emergenti, oltre a quelli musulmani.

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    Egitto: sì ai principi della Sharia nella nuova Costituzione

    ◊   L'Assemblea costituente egiziana sta votando la nuova Costituzione, che dovrà poi essere approvata con un referendum popolare; oggi è arrivato il sì all'unanimità all'articolo 2, che fa riferimento ai "principi della sharia", la legge islamica, come base per le leggi nel Paese. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    L'Assemblea costituente egiziana ha detto sì ai "principi della sharia", la legge islamica, come base per le leggi nel Paese. Una radicalizzazione che era stata, già nei giorni scorsi, paventata dai liberali, dai rappresentanti dalla sinistra laica e da quelli delle Chiese d’Egitto. Tutti avevano abbandonato l’Assemblea, parlando di “tirannia” di Morsi. Al voto della nuova Carta costituzionale si è arrivati in accelerazione, con un iter che in un primo momento prevedeva 2 mesi di tempo per varare il testo. La bozza, presentata alcune settimane fa ai mezzi di comunicazione, parlava dell'adozione di un sistema semi-presidenziale, simile a quello francese, e di un decentramento territoriale. Ieri lo stesso presidente, cercando di far scendere la tensione, aveva definito temporanei i poteri accentrati nelle sue mani. Il nodo verrà sciolto, comunque, stasera quando Morsi parlerà alla Nazione: al centro del suo intervento il controverso decreto emanato la scorsa settimana, le ragioni per le quali è stato emanato e le sue conseguenze. Inevitabile, a questo punto, anche un riferimento alla Sharia. Resta il fatto che l’Egitto è oggi un Paese paralizzato dal punto di vista politico, istituzionale e soprattutto economico, con forti ripercussioni sui due settori trainanti: il turismo e l’industria tessile. In questa situazione, diventa necessario sostenere le finanze del Paese in un’altra maniera, come sottolinea l’analista di economia internazionale Francesco Carlà:

    “Ricorrere al debito e agli aiuti finanziari internazionali, anche per l’Egitto, in questo momento sembra la giusta soluzione; mi riferisco ad un prestito del Fondo Monetario Internazionale, che è però subordinato all’accettazione di tutta una serie di condizioni che, nel caso dell’Egitto – a differenza della Grecia, ad esempio – sono oltre che di natura economica, anche di natura istituzionale, politica. Quello che si richiede, in questo momento è la stabilizzazione. Di certo, all’interno del Fondo Monetario Internazionale, gli Stati Uniti fanno la parte del leone ed hanno tutto l’interesse di aiutare Il Cairo, per avere una piattaforma importante nel mondo arabo”.

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    Elezioni in Somaliland: prosegue il processo di avvicinamento alla comunità internazionale

    ◊   Elezioni ieri nello Stato del Somaliland, nel Corno d’Africa. Il Paese, autoproclamatosi indipendente nel 1991, e non ancora riconosciuto, ha affrontato la tornata elettorale quale ulteriore passo avanti nel processo di avvicinamento alla comunità internazionale. Sette i partiti in lizza: le tre formazioni più votate parteciperanno alle consultazioni generali per i prossimi dieci anni. Sul significato di queste consultazioni, Giancarlo La Vella ha intervistato l’avvocato Pierfrancesco Meneghini, del gruppo dei 55 osservatori internazionali al voto:

    R. – Dal punto di vista interno, sono un tassello nel processo di democratizzazione, lenta, ma certa. Queste elezioni fanno seguito a quelle del 1999, del 2002, del 2010, sia presidenziali, sia parlamentari. Dal punto di vista esterno, per il fatto di non essere ancora uno Stato riconosciuto, è un momento importante per certificare di fronte alla comunità internazionale la natura democratica del Paese e l’esistenza di uno Stato con istituzioni stabili. E questo è anche il senso della presenza di osservatori internazionali.

    D. – Quali ostacoli ci sono ancora al pieno riconoscimento di un Paese come il Somaliland, considerando che sul territorio della Somalia ci sono – praticamente – almeno tre Stati: oltre al Somaliland, il Puntland e la Somalia stessa?

    R. – Sono di vario ordine. Uno di carattere geopolitico, per cui non si devono modificare confini post-coloniali. Ma, naturalmente, poi ci sono anche ragioni di natura politica: il Somaliland è collocato nell’ambito del Corno d’Africa, nel quale il problema più grave è quello della Somalia centro-meridionale, con capitale Mogadiscio, rispetto alla quale la politica internazionale sta muovendo un percorso di stabilizzazione e sembra – con tutti i dubbi di un processo in corso – che stia pensando ad una sorta di struttura federale per l’intero Corno d’Africa, eccezion fatta per la Somalia di Gibuti, che poi è una sorta di quarta Somalia …

    D. – Quali forze si sono espresse in questa tornata elettorale?

    R. – A queste elezioni amministrative regionali hanno partecipato sette partiti. I primi tre partiti che risulteranno dalle urne saranno anche gli unici tre partiti a poter candidare propri esponenti per le elezioni – vuoi parlamentari, vuoi presidenziali – per i prossimi dieci anni. Infatti, la Costituzione del Somaliland, per evitare la frammentazione politica – tenuto conto delle basi claniche e tribali che ci sono – vuole ridurre a tre i partiti costituzionali che si confronteranno per i prossimi dieci anni per la guida del Paese.

    D. – Anche qui c’è un confronto tra partiti laici, islamici e di altra ispirazione?

    R. – No, non c’è una forte differenziazione ideologica, quindi non è un problema tra fautori maggiori o minori di una posizione – per esempio – antioccidentale in chiave di panislamismo. Tutti questi processi, anche per questi tre partiti, si incrociano con la base, che ha una sua importanza notevole, ripeto, di carattere clanico-tribale.

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    Mons. Fisichella: gli immigrati in Europa una ricchezza per la nuova evangelizzazione

    ◊   L’immigrazione un fenomeno “antico quanto l’uomo”, che interpella positivamente la Chiesa: lo hanno ricordato mons. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione e mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, nell’ambito dell’Incontro dei direttori nazionali della pastorale dei migranti delle Conferenza episcopali d’Europa, che si concluso oggi a Roma. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Da quando esiste”, l’uomo “ha sempre migrato. E i problemi non sono mai mancati”, ha premesso l’arcivescovo Fisichella, indicando tre aspetti di una storia che si ripete. Come nel passato, anche oggi tanti sacerdoti “hanno lasciato le loro case per seguire tanti immigrati in diversi Paesi europei”. Milioni di cristiani dall’Est europeo, dall’America Latina e dalle Filippine, in maggioranza cattolici, sono giunti in questi decenni in Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. “Una ricchezza – ha sottolineato il presule – per la nuova evangelizzazione”, a fronte di una società oggi “spesso impietosa” che “tende ad inghiottire in un vortice di indifferenza i nuovi immigrati, impedendo loro di conservare la fede e le loro tradizioni”. “Non può essere cosi”, ha ammonito mons. Fisichella, invitando le comunità cristiane ad “essere aperte ed accoglienti”, anche verso le masse di immigrati di altre religioni. “Nel rispetto dovuto a tutti e nella prudenza delle situazioni”, - ha indicato - “i nuovi evangelizzatori non possono esimersi dall’incontrare anche quanti non condividono la fede cristiana”. E “se l’annuncio a volte non sarà recepito ciò non significa che non si possano trovare condivisioni di valori per la promozione della vita, della sua dignità e della salvaguardia del Creato”.

    “In Europa la nuova evangelizzazione non può prescindere da oltre 35 milioni di persone arrivate da altri Paesi, tra i quali almeno 8 milioni di cattolici”, ha aggiunto mons. Perego, chiedendo particolare attenzione alle “nuove fragilità e povertà” “in tempo di crisi economica”. "Precarietà" e "irregolarità lavorativa" - ha sottolineato - chiedono in Italia di regolamentare i flussi migratori, “una prospettiva nuova, che chiede anche un cambiamento legislativo, ma soprattutto chiede la consapevolezza che non possono esistere situazioni riconosciute di illegalità e di sfruttamento lavorativo, limbi dove non è riconosciuta la cittadinanza e la tutela, dove si alimentano mafie e corruzione, sfruttamento a danno del sistema Paese, oltre che degli stessi immigrati”. Sul piano dei diritti, mons. Perego ha ribadito l’importanza di garantire i ricongiungimenti familiari, di tutelare 8 mila minori che arrivano in Italia ogni anno senza famiglia e di accostare le coppie miste, sempre più numerose, che all’80% non sono unite da alcuna celebrazione religiosa o civile. Tra le problematiche più urgenti, mons. Perego ha indicato: la prostituzione di 50 mila donne di 60 nazionalità; l’aumento di disturbi psichici, specie tra adolescenti e donne; gli aborti tra le immigrate (40 mila su un totale 120 mila); la crescita dell’abbandono scolastico dei bambini; gli stranieri morti tragicamente in Italia, che non vengono rimpatriati per mancanza di risorse, e sono sepolti in fosse comuni nei grandi cimiteri”.

    Uno dei temi forti sviluppati nell'incontro è stato quella della "pastorale di comunione per una rinnovata evangelizzazione". Tema su cui si sofferma padre Fabio Baggio, direttore del Simi, Scalabrini International Migration Institute, intervistato da Adriana Masotti:

    R. - Pastorale di comunione, innanzitutto, è un termine che ormai è entrato nel nostro linguaggio quotidiano, soprattutto a livello di teologia pastorale: nelle riflessioni di tante persone, in tanti Paesi, in particolare anche nella nostra Europa cattolica, dove molte Chiese locali si interrogano sui fenomeni che riguardano la comunione. Una comunione che è all’interno della Chiesa e che viene, in molte occasioni, anche sfidata da situazioni concrete di divisioni o da situazioni semplicemente di nuovi arrivati che bussano alla porta. Tra questi, ovviamente, ci sono anche i migranti.

    D. – Comunione intesa come fraternità, come unità…

    R. - Esattamente. Una fraternità che è molto di più di quella che la rivoluzione francese voleva proporci; una fraternità che ci viene come monito e richiamo “Ut Unum Sint” – “affinché siano uno” - direttamente dal nostro fondatore: Cristo che ci richiama, appunto, a vivere come una sola cosa, una sola persona e mette come modello “come Io ed il Padre siamo uno”. In questa unità fondamentale, che rispetta la diversità, ma che vive una profonda comunione - anzi, si riscopre realizzata nella comunione della diversità - troviamo il modello a cui ispirarci come cristiani e vivere anche le nostre relazioni inter ecclesiali.

    D. - In che modo, allora, si declina questa pastorale di comunione nell’ambito del fenomeno migratorio?

    R. - Se noi puntiamo ad un discorso di comunione nella diversità, riconoscendo che il nostro modello è un modello trinitario, una comunione nella diversità proprio per definizione - tre persone ed una sola natura, in cui nessuna delle tre persone mai si perde, ma vive riaffermata nell’amore e nella propria diversità – questo ci spinge a vivere l’incontro con l’altro e con il diverso come una realizzazione di questa comunione. Nell’altro, troviamo l’altro con la “A” maiuscola, cioè Dio presente nel fratello e nella sorella diversi, migranti che bussano alla nostra porta.

    D. - Ci sono già alcune linee, alcuni orientamenti concreti con cui, appunto, realizzare questa visione…

    R. - In questo momento siamo alla ricerca di una riflessione teologica che ci guidi e ci porti poi a dare dei contenuti a quelle azioni che, da sempre, la Chiesa ha intravisto come azioni di comunione: la ricerca dell’altro, la ricerca del diverso, la ricerca di Dio presente nell’altro, l’accoglienza. Un’accoglienza che va oltre i confini, che si realizza non solamente con quelli che direttamente bussano alla porta, ma con le loro famiglie, con le loro comunità che rimangono in patria. Una fraternità che si trasforma poi in solidarietà, ben conoscendo le ragioni per le quali queste persone si muovono: siano essi rifugiati, profughi, migranti per ragioni economiche. Questa solidarietà che si spinge oltre le frontiere e diventa transnazionale, in questo senso, e che diventa un bellissimo gesto di comunione interecclesiale, oltre le frontiere; alla ricerca proprio di questa collaborazione, per la crescita del Regno di Dio in tutto il mondo.

    D. - Nel suo intervento all’incontro, il card. Vegliò ha raccomandato un approccio realistico al fenomeno migratorio…

    R. - Sono perfettamente d’accordo con il cardinale. Penso che abbia indovinato una delle piste più importanti per la riflessione: riguarda proprio un’apertura che deve essere sempre conscia di quello che si offre e non deve mai promettere più di quello che può offrire. Un’accoglienza sempre generosa, sempre molto più in là di quelli che possono essere i calcoli economicistici di quello che io posso offrire. Però, anche nella generosità c’è una responsabilità fondamentale, che ci fa vivere in un mondo reale che è ancora marcato - e non lo possiamo trasformare in questo momento - dalle frontiere degli Stati-nazione, ma che al tempo stesso, sulla base del messaggio cristiano, deve essere sempre promotore di un’accoglienza responsabile, che sa quello che può regalare, quello che può donare e offrire agli altri e che ricerca sempre il bene altrui. Ad esempio, a livello di parrocchia e di diocesi, io punterei innanzitutto su un discorso di con-cittadinanza, partendo proprio da un periodo di presenza sul territorio, una cittadinanza che è fatta di diritti e di doveri. Per cui, chiunque passa per questo territorio, chiunque risiede per un tempo in questo territorio, diventa cittadino di diritto di questa parrocchia, cioè la comunità si struttura proprio come una comunità accogliente, nei confronti di chi arriva. A quel punto, ovviamente, non basta rimanere chiusi nelle sagrestie, bisogna andare incontro a chi, molte volte, non parla la lingua e invitare a partecipare, offrire gli spazi adeguati, che possano al tempo stesso salvare e far crescere le diversità, nella costruzione di questa comunione di cui parlavamo.

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    Diagnosi preimpianto. Il governo presenta ricorso all'Ue. Soddisfatto il Movimento per la Vita

    ◊   E’ acceso il dibattito in Italia dopo che il governo, ieri sera, allo scadere del termine previsto, ha presentato ricorso alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo contro la sentenza che bocciava la Legge 40 in merito alla diagnosi preimpianto degli embrioni. Il servizio di Paolo Ondarza:

    L’atteso ricorso del governo alla Grande Camera alla fine è arrivato. Il caso ha origine lo scorso agosto quando la Corte Europea di Strasburgo, in merito ad una coppia, portatrice sana di fibrosi cistica, che chiedeva di accedere alla diagnosi preimpianto, aveva rilevato un’incoerenza tra la legge italiana che consente l’aborto a chi ha malattie genetiche e la Legge 40 che vieta la diagnosi preimpianto finalizzata a prevenire la nascita di figli malati. In gioco – si legge in una nota di Palazzo Chigi che motiva il ricorso - c’è la salvaguardia dell'integrità e della validità del sistema giudiziario nazionale”. Soddisfatto il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini che solo una settimana fa ai nostri microfoni aveva sollecitato un intervento del governo:

    R. – Sono molto soddisfatto. Il ricorso è fatto bene e noi cercheremo di appoggiarlo. Temevo molto. Esitazioni debbono esserci state, perché il ricorso è stato presentato l’ultimo giorno. Faremo in modo che questo processo, che non sarà comunque semplice, perché conosco l’ambiente europeo, abbia l’esito che speriamo.

    D. – La Corte europea aveva bocciato la Legge 40, definendola incoerente. La decisione del governo italiano di presentare appello alla Grande Camera, si fonda sulla necessità di salvaguardare la validità e l’integrità del sistema giudiziario nazionale...

    R. – La Corte europea può valutare se ci sia stata violazione dei diritti dell’uomo, come sanciti nei trattati internazionali, ma non può giudicare la coerenza di una legge interna dello Stato. In altri termini, la Corte non poteva dire “se c’è una legge che consente l’aborto a coppie portatrici sane di fibrosi cistica, allora dobbiamo ammettere anche la diagnosi genetica preimpianto”. Infine, vi è la cattiva interpretazione della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza e cioè che la legge italiana sull’aborto ammetterebbe l’aborto eugenetico. Lo Stato italiano sostiene che non è ammesso e quindi la sentenza di primo grado si fonda su un errore di fatto.

    D. – Per voi, chiaramente, oltre a questo aspetto giuridico, il ricorso è importante, perché in sostanza blocca la legittimazione da parte della Corte Ue della diagnosi preimpianto...

    R. – Naturalmente, bisogna sostenere la parte sostanziale, e cioè proprio il fatto che la diagnosi genetica preimpianto è lesiva della vita umana in modo gravissimo!

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    Istat: meno matrimoni in Italia. Blangiardo: sostenere giovani e famiglia

    ◊   Fanno riflettere i dati diffusi ieri dall’Istat sulla diminuzione dei matrimoni in Italia. Si tratta di una tendenza in atto da 20 anni, ma negli ultimi 4 la variazione media annua è stata di -4,5% a fronte del -1,2% precedente. Aumentano invece le coppie di fatto che nel 2011 sono 972mila a fronte di circa mezzo milione nel 2007. Le nozze poi sono sempre più tardive: l’età media del matrimonio degli uomini è di 34 anni; delle donne di 31. Oltre ad una crisi di valori, a pesare è anche la crisi economica. Su questo aspetto, Debora Donnini ha sentito Giancarlo Blangiardo, professore di demografia all’Università di Milano Bicocca:

    R. – La difficoltà da parte delle giovani coppie nel riuscire a realizzare ciò che serve per poter dar corso a una vita istituzionalizzata, in questi momenti, è certamente più forte. Mentre, tutto sommato, l’unione di fatto è più flessibile e quindi forse viene accettata come meno rischiosa viste le situazioni del sistema economico, occupazionale e quant’altro, che caratterizzano il nostro tempo. Credo che questa sia una delle grandi spiegazioni che fa capire come i 246mila matrimoni del 2008 sono diventati quasi 205mila nel 2011: il numero è calato quasi di un quinto nell’arco di tre, quattro anni. Questo andamento congiunturale si instaura su una tendenza di fondo che è quella di maggiori difficoltà nell’impegnarsi per tutta la vita in modo stabile e duraturo. Anche se io credo che alla fine prevalga il sistema dei valori tradizionali, che alla fine vincerà, però, certamente, questo lascia un attimo la scelta in sospeso e naturalmente ritarda l’ingresso nel matrimonio da parte dei giovani.

    D. – Questo poi ritarda anche il fatto di aver figli?

    R. – Assolutamente. E’ chiaro che più si sposta in avanti l’avvio del ciclo di vita familiare e meno è il tempo che poi si può dedicare, anche in termini biologici e fisiologici, alla riproduzione. Se una donna si sposa mediamente intorno ai 30 anni, ma spesso molto più tardi, e ha figli non più tardi all’incirca di una quarantina di anni, evidentemente, lo spazio riproduttivo è di 7, 8, 9 anni, massimo, entro il quale c’è il primo figlio, qualche volta il secondo, quasi mai il terzo.

    D. - L’Italia è anche penalizzata dal fatto che non ha praticamente, o molto poco, politiche che sostengano la famiglia…

    R. – Assolutamente sì, ma soprattutto non ha politiche che sostengano la formazione e lo sviluppo della famiglia, per cui, di fatto, le difficoltà sono che i giovani faticano a trovare la casa, il lavoro e quindi, a fare la scelta verso il matrimonio, verso la vita famigliare, la vita di coppia. Credo che questi giovani si potrebbero aiutare in vario modo. Un classico sono i discorsi abitativi ma non solo, perché se si aiuta l’avvio della famiglia si ha la possibilità di rispondere anche ad altri numerosi problemi. E’ uscito qualche giorno fa il discorso dell’invecchiamento e della sanità… Se vogliamo arginare l’invecchiamento della popolazione, è inutile illudersi, la soluzione inevitabile è agire sul fronte giovanile, sul fronte famigliare, e sulla nascita di nuovi individui che in qualche modo compensano l’invecchiamento progressivo.

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    Diocesi di Milano. Il card. Scola apre la "fase 2" del Fondo Famiglia e Lavoro

    ◊   Stamani, a Milano, il cardinale Angelo Scola ha presentato la seconda fase del Fondo Famiglia e Lavoro della diocesi ambrosiana. Durante l’incontro, sono state illustrate le nuove modalità di aiuto e sostegno a beneficio di chi ha perso il lavoro, i principi e le regole di funzionamento della “seconda fase” del Fondo. Da Milano, Fabio Brenna:

    La crisi continua a mordere e il Fondo Famiglia e Lavoro della diocesi di Milano si trasforma e apre la fase due. Si riparte dai quasi 12 milioni e mezzo di euro distribuiti dal Natale 2008, quando il cardinale Tettamanzi lanciò l’iniziativa che avrebbe dovuto terminare il 31 dicembre prossimo. 8500 le famiglie aiutate, mille sono le domande ancora pendenti. Il cardinale Angelo Scola ha deciso di dare vita alla fase due, offrendo un milione di euro proveniente dai fondi dell’8 per mille e aggiungendo un altro milione raccolto fra i fedeli. Cambiano i criteri per l’assegnazione degli aiuti. In prima istanza i fondi diventeranno iniziative di microcredito; poi si punterà al sostegno delle imprese e a iniziative mirate di formazione per la ricollocazione professionale. Soltanto in ultima battuta si passerà ai prestiti a "fondo perduto". Per dare ossigeno a questa seconda vita del Fondo viene lanciata la campagna denominata “Ricominciare si può”, destinata ad una rinnovata raccolta fondi non solo in ambito ecclesiale ma stimolando una solidarietà più estesa, visto che la crisi è una realtà che riguarda potenzialmente tutti.

    "La crisi che stiamo attraversando non è solo economica e finanziaria - ha avvertito il cardinale Scola, presentando l’iniziativa - ogni soluzione tecnica non potrà essere efficace se non riconosce che è in atto una mutazione della società e dell'uomo". Il Rotary Club Brianza Nord si occuperà invece della vendita di oggetti di varia natura donati da benefattori. Il cardinale Scola ha voluto contribuire donando alcuni regali e oggetti ricevuti quando era Patriarca di Venezia. Finora al Fondo erano arrivate circa 9500 richieste di aiuto; 8500 delle quali sono state soddisfatte con un’erogazione media di circa 1500 euro. La domande sono state gestite dalla rete Caritas e Acli coinvolgendo circa 700 volontari.

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    Rapporto Censis: aumentano gli occupati nelle cooperative

    ◊   Le cooperative riescono a contrastare la crisi. Secondo il rapporto Censis, presentato oggi, queste aziende hanno visto aumentare i posti di lavoro del 2.8 per cento nei primi nove mesi dell’anno. C’è preoccupazione però per il 2013. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Nel 2012, le cooperative dimostrano di andare controtendenza. Ad oggi vi lavorano più di 1 milione e 300 mila persone. E la crescita dei posti di lavoro fatta registrare quest’anno non è un fuoco di paglia. Tra il 2007 e il 2011, a fronte di un calo dell'1,2% dell'occupazione complessiva e del 2,3% nelle imprese, gli addetti nelle cooperative sono aumentati dell'8%. I problemi però non mancano: troppa burocrazia e ritardi nei pagamenti, anche se il governo ha preso l'impegno di saldare le fatture della pubblica amministrazione entro 30 giorni. Il presidente dell'Alleanza delle cooperative, Luigi Marino:

    “Abbiamo fatto una grande battaglia. Il governo Monti ha compreso, ha legiferato e lo ha fatto nel maggio di quest’anno: noi siamo ancora qui ad aspettare il primo euro che derivi da questa nuova normativa e da questa nuova legislazione”.

    Circa 80 mila le coop presenti in Italia. Sono attive principalmente nell’assistenza sociale e nella sanità. Il 2013 comunque non sarà facile. Il presidente di Legacoop, Giuliano Poletti:

    “C’è una situazione che vede una buona reazione del mondo cooperativo, con risultati importanti anche sul piano occupazionale negli anni passati, ma guardando avanti il tema di una crisi che perdurerà è un elemento di seria preoccupazione”.

    La sfida del futuro è crescere nelle dimensioni. Infatti, tra le 300 cooperative più grandi del mondo solo 18 sono italiane.

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    Tromba d'aria travolge lo stabilimento Ilva. Il cappellano: la Chiesa vicino a chi soffre

    ◊   Una violenta tromba d’aria ha travolto, ieri, lo stabilimento dell’Ilva di Taranto: disperso un operaio che lavorava su una gru trascinata in mare dal vento. 38 i feriti, gravi i danni strutturali. A causa di questa sciagura Fim, Fiom e Uilm hanno annullato la manifestazione prevista oggi a Roma confermando però lo sciopero di 8 ore di tutto il gruppo. Intanto, il governo prepara un decreto per consentire all'azienda di riprendere l'attività. Paolo Ondarza:

    Il decreto legge allo studio del governo e che già domani potrebbe essere presentato dal Consiglio dei ministri ricorda che l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 26 ottobre scorso ha effetto per 2 anni quindi l’attività dell’Ilva può continuare. Oggi pomeriggio, a Palazzo Chigi vertice tra governo e azienda. Intanto, ieri alla Camera il ministro Clini ha espresso la sua contrarietà alla chiusura perché - ha detto - lasciare senza reddito 20mila famiglie significa assumersi responsabilità non stimabili sul piano sociale, favorire la concorrenza e peggiorare la situazione ambientale. Clini ha chiarito che l’allarme nello stabilimento colpito, ieri mattina, da un fulmine e da una tromba d’aria è rientrato, ma sono gravi i danni strutturali: danneggiata una ciminiera, crollati alcuni capannoni e la torre del faro. Bruciati inoltre in un incendio alcuni reparti dell’area. Angoscia per l’operaio disperso viene espressa dal presidente Ilva, Ferrante, che parla di “giornata drammatica” pensando anche ai lavoratori rimasti feriti.

    In merito alla vicenda Ilva, ieri, è intervenuto anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che ha auspicato un intervento veloce ed equo, attento alla salute di tutti e al mantenimento del lavoro per migliaia di famiglie. Sulla situazione e l'impegno della Chiesa, Paolo Ondarza ha sentito il cappellano dello stabilimento padre Nicola Preziuso:

    R. – Si respira nell’aria il dramma simile a quello sperimentato da tutte quelle popolazioni che vengono abbattute da veri e propri terremoti: se questi giovani lavoratori - lei immagini che sono circa 20 mila con un’età media di 32 anni - dai prossimi mesi non hanno più lo stipendio, sarà un’emergenza!

    D. – Qual è lo stato d’animo della gente alla vigilia del decreto legge allo studio del governo che sembra aprire spiragli di speranza?

    R. – Il fatto che per la prima volta si siano messi in gioco il presidente della Repubblica e Monti, certamente ha calmato molto gli animi: ha posto un argine allo sconforto, sicuramente. Poi, la tromba d’aria di ieri ha fatto il caos … Qualcuno dice: meno male che non erano presenti 5 mila operai in ferie forzate …

    D. – Di fronte a questo dramma, la Chiesa non manca di manifestare la propria vicinanza …

    R. – Significa molto. Non ci si può lasciare andare e non possiamo neanche rimanere a guardare. E allora, stiamo cercando di seminare germi di speranza che hanno sempre la dimensione del granellino di senape. Non è che la Chiesa si possa sostituire alle istituzioni o possa dare risposte su vasta scala, perché questo è compito della politica. In curia vescovile, attorno al nostro arcivescovo, abbiamo firmato un protocollo d’intesa, abbiamo già iniziato a compiere un’opera concreta, di bonifica in un’area che si chiama Cimino Manganecchia di Taranto, che è altamente inquinata. Sono aree di cui ci siamo fatti carico – come diocesi – guidati dal Cnr, guidati dall’università e da nuove tecniche di bonifica che riguardano la piantumazione di pioppi … E' un segno di speranza, forse una piccola cosa. Stiamo parlando di mezzo ettaro di terreno dove sono all'opera volontari, lavoratori dell’Ilva, pre-pensionati, scout e altre associazioni sia religiose sia laiche. Questo piccolo gesto è un granellino di senape, ma ci indica la direzione. Ecco, ciò che stiamo facendo come Chiesa.

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    Nei cinema italiani, il film d'animazione "Le 5 leggende"

    ◊   Da oggi sugli schermi italiani “Le 5 Leggende”, un meraviglioso film di animazione in cui i personaggi più famosi delle nostre tradizioni popolari si alleano per difendere i bambini di tutto il mondo e i loro sogni contro un terribile nemico: la paura. Il servizio di Luca Pellegrini:

    (audio clip)
    Babbo Natale: Il nostro compito è proteggere tutti i bambini del mondo; ora dobbiamo affrontare la minaccia più grande.
    Pitch, l’Uomo Nero: Che sogno adorabile... qual è la cosa più potente? E' la paura.
    Babbo Natale: Ci serve il tuo aiuto.

    Le parole di Babbo Natale sono piene di preoccupazione: lui ha il compito di proteggere in tutti i bambini del mondo la meraviglia, i desideri e i sogni. E’ uno dei Guardiani, una vera leggenda, insieme a Dentolina, che mette sotto il cuscino un soldo quando si perde il primo dente da latte, Calmoniglio, il Coniglietto che a Pasqua nasconde le uova nei giardini, Sandy, l’omino muto che lascia una scia di polvere d’oro dietro di sé e aiuta a addormentarsi nella pace. Chi deve portare il suo aiuto alla squadra è Jack Frost: ghiaccia tutto e crea la neve, è un monello, ma dall'animo grande e generoso. Diventerà anche lui una leggenda e un guardiano. Si sono ritrovati, i cinque, perché l'Uomo Nero, ossia Pitch, l’angelo caduto della tradizione, torna bellicoso per governare, come nei secoli bui, con l'arma più terribile: la paura, che spegne la gioia, che spegne la speranza. “Bei tempi per me - esclama - quando ero potente, ma poi si scelse di rimpiazzare la mia paura con la meraviglia e la luce”. Insomma, vorrebbe che i genitori, quando ci si sveglia impauriti nel cuore della notte, non potessero più dire: “E’ stato solo un brutto sogno”. Qui inizia la battaglia, nell'ultima, fantasmagorica avventura animata, Le 5 Leggende, in cui la ricchezza del mondo delle fiabe e dei racconti popolari, con la più classica delle battaglie tra bene e male, oscurità e luce, si trasforma in un vortice continuo di meraviglia. Nelle tredici storie della serie “Guardians of Childhood” di William Joyce, di cui solo cinque già pubblicate, e che hanno ispirato il film, l’autore prende a man bassa dal folklore più profondo che si è addensato attorno ai cinque personaggi, trasformandoli in una felicissima squadra di simpatici supereroi con qualche tocco di umorismo, perché sono talvolta impacciati e hanno anche qualche punto debole. La sceneggiatura di David Lindsay-Abaire e la regia di Peter Ramsey, esaltata da uno spettacolare 3D, offrono grande divertimento per tutta la famiglia, la storia è accattivante, i personaggi sono al centro di situazioni sempre nuove e a loro si affiancano un piccolo gruppetto di coraggiosi bambini che vogliono salvare le loro fiabe, la forza dei loro sogni, e che avranno una parte determinante per la vittoria sul buio. Perché, in fondo, basta scavare nel nostro cuore per vincere il male.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: terrore attentati per i cristiani di Jaramana

    ◊   Tra le vittime dell'attentato perpetrato ieri mattina nel sobborgo damasceno di Jaramana ci sono 8 cristiani, greco-cattolici e greco-ortodossi. Lo conferma all'agenzia Fides padre Nicolas Haddad, del monastero greco cattolico di San Germano, appartenente alla Società missionaria di San Paolo. La strage, realizzata con due auto-bomba fatte esplodere di prima mattina, ha causato la morte di più di 50 persone, in maggioranza musulmani e drusi. “Tra di loro” racconta padre Nicolas “c'erano molti giovani e molti studenti. L'attentato era stato preparato per uccidere più gente possibile: quando è esplosa la prima auto-bomba, la gente si è avvicinata, e solo allora è esplosa la seconda. Tra i più di 100 feriti, i cristiani sono almeno 10”. Il sobborgo di Jaramana – a differenza di altre aree della periferia di Damasco – non era stato colpito dalla repressione del regime. Nel quartiere erano stati organizzati dei comitati cittadini con l'intento di preservare la zona dal conflitto tra gruppi ribelli e esercito governativo. Jaramana è nota per la consistente presenza di comunità cristiane e druse. Molti profughi cristiani provenienti da Homs e da altre zone sconvolte dalla guerra civile vi avevano trovato rifugio. L'attentato – la cui tecnica è la stessa di quelli rivendicati da al Qaida in Iraq – è stato attribuito dalle fonti ufficiali a gruppi non identificati di “terroristi”, termine con cui il governo indica i gruppi dell'insurrezione armata. Le voci dell'opposizione presentano invece il massacro come un'operazione dell'intelligence siriana, insistendo sul fatto che l'area di Jaramana è fortemente infiltrata dagli apparati di sicurezza governativi. “In ogni caso, e chiunque siano i mandanti, se l'obiettivo era quello di terrorizzare i cristiani, ci stanno riuscendo” spiega all'agenzia Fides padre Romualdo Fernandez, rettore del santuario damasceno dedicato alla Conversione di San Paolo: “ La metà dei maestri delle nostre scuole ieri non sono venuti a scuola. Questa strage, dopo quella di Bab Tuma di un mese fa, ha diffuso un panico terribile. Dopo l'Iraq, anche la Siria si sta svuotando dei cristiani. Danno tutti i soldi che hanno per arrivare in Libano, e da lì fuggire via dal Medio Oriente. Mentre le potenze straniere e la comunità internazionale soffiano sul fuoco, invece di costringere le parti a trattare una soluzione del conflitto che ponga fine a questo massacro”. (R.P.)

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    10.ma Plenaria dei vescovi asiatici: rilancio per la vita e la missione della Chiesa

    ◊   “Un’occasione per rilanciare la vita e la missione della Chiesa in Asia e per stabilire nuovi orientamenti per il futuro”: così mons. Pierre Nguyên Van Kham, vescovo ausiliare di Saigon, spiega l’importanza della decima Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze episcopali d’Asia (Fabc), in programma in Vietnam, a Xuân Lôc, dal 10 al 16 dicembre prossimi. In un’intervista pubblicata da Eglise d’Asie, il presule ricorda che si tratta della prima volta che il Vietnam ospita una riunione della Fabc: “In passato – spiega – non c’erano le condizioni necessarie per accogliere un simile evento”. Oggi, invece, la situazione è cambiata, “sia per quanto riguarda le infrastrutture materiali sia in termini di personale”. Quanto ai temi che verranno approfonditi durante i lavori, mons. Nguyên Van Kham evidenza che “l’Assemblea coincide con il 40.mo anniversario di fondazione della Fabc” e quindi le linee-guida della plenaria saranno le seguenti: “Il primo giorno, si guarderà al passato e si renderà grazie a Dio per i risultati ottenuti; il secondo giorno si discerneranno i segni dei tempi, chiedendo al Signore il dono della saggezza; il terzo giorno si mediterà sulla fede nell’ambito dell’attuale situazione pastorale, cercando la giusta direzione spirituale; il quarto giorno si affronteranno le sfide pastorali a cui si dovrà rispondere con coraggio e generosità; il quinto giorno sarà la volta di un rinnovato impegno nella missione della Chiesa in Asia. Infine, l’ultimo giorno si celebrerà il 40.mo anniversario della Fabc”. Rispondendo, poi, ad una domanda sui frutti che tale Plenaria potrà portare alla Chiesa in Vietnam, il vescovo ausiliare di Saigon precisa: “L’elemento più importante è la comunione che tale Assemblea manifesta: non bisogna dimenticare, infatti, che quarant’anni fa, quando la Fabc fu fondata sotto il pontificato di Paolo VI, due vescovi vietnamiti erano presenti a questo storico avvenimento”. Questo significa, continua il presule, che “la Chiesa del Vietnam è parte integrante della Federazione sin dalle sue origini”. Ed oggi, il fatto che il Paese possa accogliere la Plenaria “è un segno concreto della comunione nella Chiesa”. Tale comunione, continua il presule, è quanto mai importante in un continente come l’Asia in cui “i cristiani vivono insieme a persone che appartengono a religioni diverse” e “i cattolici sono una minoranza in molti Paesi”. Inoltre, evidenzia mons. Nguyên Van Kham, “la Chiesa oggi si trova di fronte a tendenze come la laicizzazione e la globalizzazione. Per questo, lo scambio di riflessioni, esperienze ed iniziative tra Paesi diversi è una cosa necessaria ed utile”. In quest’ottica, il presule conclude l’intervista chiedendo ai fedeli di pregare per la decima Assemblea della Fabc, con l’auspicio che essa rappresenti “l’occasione per rafforzare la comunione della Chiesa e promuovere un nuovo dinamismo per l’annuncio del Vangelo in Asia”. Inizialmente prevista dal 19 al 25 novembre, la Plenaria è stata posticipata a dicembre a causa del Concistoro ordinario pubblico tenuto da Benedetto XVI il 24 novembre scorso, durante il quale sono stati creati sei nuovi cardinali. Tra loro, anche due asiatici: l’arcivescovo di Manila, Luis Tagle, e l’arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi in India, Baselios Cleemis Thottunkal. (A cura di Isabella Piro)

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    Rio 2013. Il cardinale Rylko: "La Gmg non un fuoco di paglia ma semina che porta frutto"

    ◊   “La Gmg non è un fuoco di paglia di qualche giorno ma una lunga semina che porta frutti nella vita dei giovani. Non sprechiamo, quindi, il dono immenso che ci viene dato dalla Gmg. Viviamo questa Giornata e questo tempo di preparazione con gioia ed entusiasmo, nonostante le difficoltà e le domande che non hanno trovato risposta esatta. Non lasciamoci privare di questa componente importante che è la gioia che risveglia il coraggio di affrontare sfide sempre nuove e per portare i giovani a Cristo e Cristo ai giovani”. È la raccomandazione che il presidente del Pontificio Consiglio per i laici, cardinale Stanislaw Rylko, ha lasciato ai 200 delegati della pastorale giovanile di 200 Paesi e 40 movimenti, che ieri a Rio De Janeiro, hanno chiuso l’incontro preparatorio in vista della Gmg del luglio 2013. Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha ricordato l’insegnamento di Benedetto XVI per il quale le Gmg sono “una nuova evangelizzazione in atto. L’evangelizzazione è il cuore pulsante di ogni Gmg. La fiducia in Dio e il coraggio, la consapevolezza che dalle piccole cose ne possono nascere di grandi” per il cardinale sono le basi principali di ogni sforzo evangelizzatore. Ai delegati il presidente del Pontificio Consiglio ha chiesto di guardare alla Gmg come “un particolare tempo di grazia. Importante è l’organizzazione ma lo è ancor di più il sapere accogliere il dono che arriva dall’Alto. Viviamo questa ultima tappa per Rio con grande senso di responsabilità per non sprecare il dono immenso che ci viene dato”. Nel chiudere l’assemblea il cardinale ha invitato a diffondere il messaggio del Papa per la Gmg e a non dimenticare tutti quei giovani che non potranno recarsi a Rio ma che hanno diritto a partecipare almeno in modo spirituale a questo evento. L’uso delle nuove tecnologie e di internet, come affermato da Benedetto XVI nel suo messaggio ai giovani, saranno di particolare utilità. (R.P.)

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    India: Premio Madre Teresa a due donne bersaglio dei talebani

    ◊   Il V Premio internazionale per la giustizia sociale 2012 in memoria di Madre Teresa di Calcutta va a Sima Samar, ex vice-presidente afghana, e Mala Yousufzai, la giovane pakistana di 15 anni diventata bersaglio degli attacchi dei talebani per il suo impegno in difesa dei diritti delle donne. La ragazza - riferisce l'agenzia AsiaNews - è ancora convalescente in un ospedale di Birmingham (Gran Bretagna) dopo le terribili ferite causate da un attacco di un estremista islamico, che il 9 ottobre scorso le ha sparato alla testa. Abraham Mathai, presidente dell'Harmony Foundation - fondazione che organizza l'evento, celebrato ieri - dichiara che le due donne sono state premiate soprattutto per il loro coraggio, che le ha condotte a rischiare la vita per il loro ideale. Sima Samar ha ricevuto il premio per il suo lavoro nel campo dei diritti umani femminili e per i programmi di educazione ed emancipazione delle donne. Fuggita in Pakistan dopo la salita al potere dei talebani, la Samar ha lavorato oltre 20 anni per far conoscere al mondo il dramma delle donne afghane. Dopo la caduta del regime dei mullah, essa è divenuta la più importante figura femminile del Paese. A tutt'oggi è responsabile dell'Afghan Indipendent Human Rights Commision (Aihrc). All'adolescente Malala Yousufzai è stata invece consegnata una speciale onorificenza della giuria per il coraggio e la determinazione nella lotta contro la discriminazione delle ragazze pakistane della valle dello Swat, vittime della sharia imposta dai talebani. Dalla Gran Bretagna, il padre di Malala, Ziauddin Yousufzai, ha inviato una toccante lettera a nome della figlia, nella quale ringrazia la Harmnoy Foundation per il premio ricevuto. "Questa onorificenza - scrive l'uomo - significa molto per la nostra famiglia, soprattutto in questo momento di dolore. L'aver scelto Malala ci aiuta a sostenere ancora di più il lavoro di nostra figlia che ha lottato e fatto sentire la sua voce per difendere i diritti delle sue coetanee". Uno speciale premio nazionale è stato consegnato a: Nayyar Kuldeep scrittore indiano, famoso per il suo contributo ai dialoghi di pace fra India e Pakistan; Vinay Shetty, medico e grande promotore della donazione di sangue; Flavia Agnes, avvocato, conosciuto in tutto il Paese per il suo lavoro contro la violenza domestica delle donne; Sanjeev Bhatt, ufficiale di polizia del Gujarat, impegnato nel dialogo fra le varie comunità religiose ed etniche; il Coro Shillong Camera, che promuove l'integrazione fra nella società indiana attaverso la musuca; la Pandita Ramabai Mukti Mission scelta per i risultati raggiunti nel campo dell'educazione e dell'emancipazione delle donne. L'Harmony Foundation è stata creata nell'ottobre del 2005 da Abraham Mathai per diffondere un'idea di pace e dialogo e aiuti alle comunità senza distinzione di religione, casta, credo, genere o etnia. Nel 2007 la fondazione ha istituito il Premio internazionale per la giustizia sociale dedicato alla figura di Madre Teresa di Calcutta. (R.P.)

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    L’impegno della Chiesa per combattere l’Aids nelle regioni più povere

    ◊   Il prossimo 1° dicembre ricorre la Giornata Mondiale contro l’Aids, malattia che continua a causare milioni di morti soprattutto nelle regioni più povere del mondo, di cui ha parlato anche il Santo Padre al termine dell’udienza generale di mercoledì scorso. Da sempre la Chiesa ha mostrato grande impegno su questo fronte: oltre il 25% delle strutture che nel mondo assistono i malati di Aids sono cattoliche. Tra le iniziative più salienti per questa celebrazione, l’incontro in Vaticano tra i responsabili del Catholic Medical Mission Board (Cmmb), organismo caritativo statunitense con finalità missionarie in ambito sanitario, che quest’anno celebra 100 anni di attività, e la Fondazione “Il Buon Samaritano”, creata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il Cmmb è stato fondato nel 1912, a New York, e annovera, tra le proprie attività, l’invio di personale medico volontario e di strumentazioni nonché la raccolta di farmaci che, ricevuti in dono, vengono poi distribuiti alle popolazioni bisognose. La sua collaborazione con la Fondazione “Il Buon Samaritano” è iniziata nel 2010 ed ha già permesso di far arrivare a destinazione, grazie al coinvolgimento di nunziature e vescovi, numerosi container carichi di medicine essenziali, ad esempio antibiotici. I destinatari sono Centri sanitari della Chiesa cattolica operanti in aree povere e difficilmente accessibili di dieci stati africani: Angola, Burkina Faso, Camerun, Congo Brazzaville e Congo Kinshasa, Niger, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Zimbabwe. (R.P.)

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    Congo. Ribelli ancora a Goma: cresce l'insicurezza

    ◊   “I ribelli del Movimento del 23 Marzo sono ancora a Goma, ma rispetto ai giorni scorsi le condizioni di sicurezza sono in netto peggioramento. Abbiamo avuto notizie di saccheggi compiuti nel corso della notte, di violenze su civili e di persone uccise solo perché avevano tentato di opporsi”: è questo il racconto che giunge all'agenzia Misna da una fonte raggiunta nel capoluogo del Nord Kivu – nell’est della Repubblica Democratica del Congo – e che per motivi di sicurezza vuole restare anonima. Secondo le dichiarazioni fatte dal capo militare dell’M23, Sultani Makenga, i ribelli dovrebbero ritirarsi entro domani: il condizionale è però ancora d’obbligo e l’ultimatum dato dai Paesi dei Grandi Laghi per allontanarsi dalla città è già scaduto alla mezzanotte di lunedì. Fonti della Misna sentite ieri avevano riferito di alcuni camion carichi di uomini e di mezzi che avevano preso la strada per Rutshuru; ciononostante Goma resta ancora sotto pieno controllo dell’M23 e tra la popolazione cresce il timore di un’eventuale controffensiva delle forze armate congolesi (Fardc) e di nuovi combattimenti, questa volta in città. In attesa degli sviluppi sul campo, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ieri ha esteso fino al 1° febbraio 2014 le sanzioni già imposte su tutti i gruppi ribelli congolesi. Il Consiglio ha inoltre chiesto all’M23 e alle altre formazioni armate “di cessare immediatamente ogni forma di violenza e qualunque altra attività destabilizzante”; ha inoltre chiesto l’interruzione di qualunque tipo di sostegno esterno finora garantito all’M23 da alcuni Paesi. Da una settimana, Goma è sotto controllo dell’M23 riuscito ad entrare dopo aver messo in fuga l’esercito. Dopo aver minacciato di avanzare fino a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, i ribelli si sono arrestati lungo la linea di Sake, una ventina di chilometri a sud di Goma e sono stati coinvolti in negoziati mediati dai Paesi dei Grandi Laghi. Un piano messo a punto a Kampala prevede il loro ritiro ma invita anche il governo di Kinshasa ad ascoltare “le legittime rivendicazioni” dell’M23. Una nuova riunione dei paesi dei Grandi Laghi è stata convocata per domani: in questa occasione i capi di stato maggiore degli eserciti dei Paesi membri “verificheranno il rispetto degli accordi di smilitarizzazione dentro e attorno a Goma”. (R.P.)

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    America Latina: in calo i poveri ma 66 miloni di persone vivono nella miseria

    ◊   L’America Latina e i Caraibi chiuderanno il 2012 con 167 milioni di abitanti ancora costretti a vivere in condizioni di povertà – un milione in meno del 2011 – pari al 28% della sua popolazione totale: lo indica l’ultimo rapporto della Commissione economica regionale dell’Onu (Cepal), da cui emerge che il numero delle persone che versano in stato di estrema povertà rimane lo stesso dell’anno precedente, 66 milioni. L’indice di povertà - riporta l'agenzia Misna - mantiene quindi la sua tendenza al ribasso, ma con un ritmo minore di quello osservato negli ultimi anni, grazie a positive proiezioni di crescita e a un’inflazione moderata per il 2012. Come per gli anni precedenti, l’aumento medio del salario dei lavoratori nelle famiglie meno abbienti stato il fattore più incisivo nella riduzione della povertà; in minor grado hanno contribuito anche le politiche volte alla redistribuzione delle risorse da parte dello Stato (sussidi, sgravi fiscali). “Gli attuali indici di povertà e indigenza sono i più bassi osservati negli ultimi 30 anni e questa è una buona notizia, ma siamo ancora di fronte a livelli inaccettabili in molti Paesi” ha osservato la segretaria esecutiva della Cepal, Alicia Bárcena. “La sfida – ha aggiunto – è creare posti di lavoro di qualità nell’ambito di un modello di sviluppo orientato all’uguaglianza e alla sostenibilità ambientale”. (R.P.)

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    Tibet: un’altra auto-immolazione. Gli studenti scendono in piazza contro Pechino

    ◊   Un uomo di 31 anni, sposato e con due figli piccoli, si è dato fuoco questa mattina nella parte orientale del Tibet per protestare contro l'occupazione cinese della regione e chiedere il ritorno in patria del Dalai Lama. Una fonte del Phayul conferma l'auto-immolazione, che porta il numero totale dei suicidi a 89. Nel frattempo, la popolazione scende in piazza contro il pugno di ferro adottato dalle autorità. L'ennesima tragedia - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuta davanti agli uffici governativi della regione di Luchu. Tsering Tashi lascia la moglie Choekyong Tso e i figli Dorjee Kyi (7 anni) e Kalsang Dolma (3). Si tratta della terza auto-immolazione in 10 giorni in questa regione e la 27ma nel solo mese di novembre. Secondo diversi analisti, l'atteggiamento di Pechino spinge alla disperazione la popolazione locale: invece di ascoltarne le richieste, infatti, il regime ha ordinato una nuova stretta contro ogni forma di autonomia locale. L'esasperazione dei tibetani è confermata anche dall'aumento delle proteste pubbliche contro le politiche cinesi. Lo scorso 26 novembre, migliaia di studenti di una scuola di medicina nella provincia tibetana del Qinghai si sono ribellati contro un questionario politico e le classi di "educazione patriottica" imposti dal regime cinese agli studenti tibetani. La polizia è intervenuta per bloccare le manifestazioni: con i gas hanno disperso gli studenti chiusi nella scuola e hanno iniziato a bastonarli. Le vittime sono circa 20, di cui 4 in gravi condizioni. La protesta è esplosa nella Prefettura autonoma di Tsolho dopo che le autorità hanno imposto alla scuola una sessione di studio sulla "cricca separatista del Dalai Lama". Subito dopo, i funzionari inviati hanno consegnato dei questionari da compilare in cui erano presenti domande come "Qual è la natura delle auto-immolazioni?" e "Quali sono le conseguenze delle dimostrazioni illegali?". Pechino accusa il leader del buddismo tibetano di fomentare proteste e auto-immolazioni per "creare il panico" nella regione. Le manifestazioni del Qinghai sono una spia d'allarme dell'insofferenza della popolazione nei confronti del regime comunista. Nel 2008, un'enorme manifestazione di massa guidata dai monaci buddisti ha scatenato gli scontri peggiori mai verificatisi in Tibet dal 1989, anno in cui l'allora Segretario comunista locale Hu Jintao - poi divenuto il leader della nazione - diede l'ordine di reprimere nel sangue le proteste. (R.P.)

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    Genova: il card. Bagnasco e Paul Bhatti ricordano i "martiri del Pakistan"

    ◊   “Noi occidentali, noi Europei, abbiamo bisogno di riscoprire una fede 'senza se e senza ma’, abbiamo bisogno di riscoprire la fede come cosa seria, non come fosse un ornamento, un soprammobile della vita”. Così l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che ha concluso ieri sera il primo appuntamento di questo anno pastorale del ciclo “Cattedrale aperta”. Presente Paul Bhatti, ministro per l’Armonia nazionale del Pakistan, che ha parlato del tema “Il martirio dei cristiani oggi”, portando come testimonianza la vita e l’opera del fratello Shahbaz Bhatti, il politico cristiano che, dopo aver speso la sua vita in difesa delle minoranze religiose del suo Paese, fu ucciso il 2 marzo 2011 in un terribile attentato. Ricordando il martirio di Shahbaz - riferisce l'agenzia Sir - il porporato ha aggiunto: “Abbiamo bisogno di questi esempi che ci dicono che la vita, vissuta veramente con Cristo, trasforma il nostro modo di essere e di stare nel mondo, il nostro rapporto con i deboli e i poveri, la giustizia e la pace, il dialogo, la fedeltà, i nostri doveri. Anche l’economia, la finanza, la politica, la vita civile, tutto viene trasformato se alla radice c’è la volontà, la decisione di stare con Gesù”. Dal canto suo Paul Bhatti ha affermato che “La vera strada del paradiso passa dal Pakistan per aiutare i nostri fratelli più deboli ed emarginati”. Di fronte alle minacce ricevute dai fondamentalisti che ne avevano decretato la condanna a morte, Shahbat soleva ripetere: “Vivo per Gesù Cristo e per lui voglio morire”. E a quanti gli chiedevano di lasciare il Paese, Shahbaz rispondeva che “un pastore deve pascere le sue pecore”. Paul ha parlato anche della legge contro la blasfemia in vigore nel suo Paese ricordando come, a causa di questa legge, “molti cristiani vengono accusati ingiustamente” e che questa legge viene spesso utilizzata per attaccare i cristiani per motivi personali od economici. Un caso, tra tutti, quello di Rimsha Masih, la bambina cristiana disabile di 14 anni accusata di blasfemia perché “alcuni fanatici volevano allontanare la piccola dal luogo dove aveva sempre vissuto”. Paul ha poi ricordato l’impegno di suo fratello “per instaurare in Pakistan un dialogo tra tutte le religioni con l’auspicio che tutte le religioni possano convivere insieme”. (R.P.)

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    Pakistan: a Faisalabad cristiane e musulmane in piazza contro la violenza domestica

    ◊   Una nuova legge contro la violenza domestica e un norma che punisca gli abusi sull'universo femminile compiuto dalla macchina dello Stato e dai suoi funzionari, che vanno perseguiti senza sconti o remore. È quanto hanno chiesto centinaia di persone - fra donne e uomini, cristiani e musulmani - scesi in piazza ieri a Faisalabad (nel Punjab), per una marcia pacifica di sensibilizzazione sul tema, intitolata "Proteggi le donne dalla violenza". Alla guida del corteo - riferisce l'agenzia AsiaNews - vi era la parlamentare pakistana Khalida Mansoor; la manifestazione è frutto del lavoro congiunto di personalità islamo-cristiane ed è stata promossa dai gruppi pro-diritti umani Association of Women for Awareness and Motivation (Awam) and Peace and Human Development (Phd Foundation). Intervenuto nel corso della manifestazione, il segretario esecutivo Awam Naseem Anthony sottolinea che "vi è una generale e diffusa accettazione nella società, di una tipologia di violenza basata sulla diversità di genere". E per questo essa non viene considerata "un crimine", quanto piuttosto "parte integrante della nostra cultura [pakistana] e del destino delle donne" nel Paese. Ad acuire i problemi e dietro a tutte le vicende di abusi e attacchi, sottolinea l'attivista, subentrano fattori quali "povertà, un sistema conservatore, la dipendenza della donna dall'uomo e l'estremismo religioso". Gli fa eco il direttore di Phd Foundation, Suneel Malik, che punta il dito contro forze in teoria preposte "alla diesa dei cittadini", ma che in molti casi sono "esse stesse coinvolte in episodi di violenza di genere, nelle prigioni o nei centri di accoglienza". A questo si aggiunge il senso diffuso di "impunità", che perpetra "le disuguaglianze verso donne e bambine". Interpellata da AsiaNews Shazia George, attivista cristiana, ricorda invece il dramma delle "sterilizzazioni forzate di donne con disabilità", che definisce senza mezzi termini un "atto ignobile". Al problema si unisce la questione della "violenza domestica", contro la quale il governo deve emanare norme ad hoc. Opinioni condivise dall'attivista musulmana Mehwish Anam, della rete Arada, che auspica uno "sforzo collettivo" di media, educatori, leader religiosi e famiglie, per "creare una società aliena dai discriminazioni di genere e dalla violenza". Al contrario, conclude la donna, sarebbe auspicabile un approccio "coeso e strategico" da parte del governo e della società civile. (R.P.)

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    India: 12 condanne per le violenze anticristiane in Orissa, ma “resta ancora molto da fare”

    ◊   Un tribunale di primo grado dell’Orissa ha condannato a sei anni di carcere 12 persone colpevoli di violenza contro le comunità cristiane, durante la campagna di violenza indiscriminata avvenuta nel distretto di Kandhamal (in Orissa), nel 2008. “E’ un primo passo verso la giustizia. La gente sta ancora soffrendo, è innegabile, ma questa sentenza è un segnale per la legalità, contro l’impunità” commenta all’agenzia Fides mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar. “Molto resta ancora da fare per assicurare una piena giustizia. Le vittime stanno ancora aspettando un adeguato risarcimento. D’altro canto posso confermare che i cristiani di Kandhamal, dove mi sono recato nei giorni scorsi, hanno perdonato totalmente i loro aguzzini. E, pur nelle difficoltà, nei disagi e nella povertà del presente, vivono la fede nella gioia” aggiunge l’arcivescovo. Secondo informazioni locali giunte a Fides, il giudice ha inflitto anche una multa di 5.000 rupie per reati come incendio doloso e saccheggi nel villaggio di Jarkinaju, vicino a Raikia. Il tribunale ha ordinato che il mancato pagamento della sanzione si tradurrà in un ulteriore anno in prigione. Altre dieci persone accusate sono state assolte per mancanza di prove. Fonti locali di Fides ricordano che, nella stragrande maggioranza dei casi relativi alla violenza del 2008, i perpetratori non sono stati catturati o, se processati, sono stati assolti, anche in molti casi di omicidio. Gli attivisti per i diritti umani continuano a denunciare carenze significative nell’applicazione della giustizia. John Dayal, attivista cattolico e membro della Commissione Federale per le minoranze, conferma a Fides che “nonostante questa sentenza, l’andamento dei processi nei tribunali dell’Orissa non ispira molta fiducia: molti assassini sono ancora in libertà, e un membro dell'Assemblea legislativa è in libertà anche se condannato, perché i giudici sembrano pensare che è troppo importante per essere incarcerato”. In una nota inviata a Fides, l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” saluta la sentenza come “un passo avanti”, ma sollecita l'amministrazione dell’Orissa a “lottare contro l'impunità, per assicurare lo stato di diritto, fondamento essenziale per la pace”. La violenza contro i cristiani scoppiò nel distretto di Kandhamal nel mese di agosto 2008, dopo l'assassinio del leader indù Swami Lakshmananda Saraswati, compiuto da ribelli maoisti. Per vendetta gli estremisti indù diedero la caccia ai cristiani, ingiustamente accusati dell’omicidio. E’ stata la peggiore ondata di violenza anticristiana nella storia dell'India post indipendenza, causando 90 morti e 56.000 sfollati. (R.P.)

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    Sudan. Mons. Gassis: “La Chiesa faro di speranza per i civili dei Monti Nuba

    ◊   “I bombardamenti sono giornalieri e quello che mi rattrista di più è che tutti sembrano essersi dimenticati di noi, delle popolazioni dei Monti Nuba. Almeno ricordateci nella preghiera dei fedeli delle Messe domenicali!”. È il grido di dolere affidato all’agenzia Fides da mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, nel cui territorio ricadono i Monti Nuba, nel Sud Kordofan, Stato del Sudan dove da tempo è in corso una guerra tra il governo di Khartoum e l’Spla-Nord (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord). “Le prime vittime di questa guerra sono i civili, specie donne, bambini e anziani” afferma il vescovo. “Proprio l’altro ieri è stata bombardata la chiesa di Heban, che grazie al cielo ha riportato danni limitati. Nel solo mese di novembre, che non è ancora finito, l’aviazione di Khartoum ha lanciato 330 bombe, che hanno provocato 36 morti, in maggioranza donne e bambini, e 22 feriti. Solo in questo mese sono state distrutte 30 abitazioni e 92 coltivazioni”. “Nessuna organizzazione umanitaria è presente sui Monti Nubi” lamenta mons. Gassis. “La Chiesa è l’unica presenza di speranza per queste popolazioni, con le nostre suore e 4 medici e chirurghi (2 americani, un tedesco ed un inglese). L’unica struttura medica nella zona è l’ospedale da me fondato, che da 80 degenti per i quali era costruito ne accoglie ora ben 500. Non possiamo costruire una nuova corsia perché abbiamo dovuto rimpatriare i lavoratori keniani e non abbiamo cemento”. “I miei sacerdoti percorrono le piste che portano dai Monti Nubi alla nostra struttura che abbiamo creato nel Sud Sudan a Yida nello Stato di Unity, per prendere le provviste e i medicinali. Il viaggio dura 8 ore all’andata ed 8 al ritorno, sotto la minaccia dei bombardieri sudanesi. Solo grazie al coraggio di una suora della Misericordia australiana, di origine italiana, che è tornata appositamente, è ancora aperta la nostra scuola di formazione e quella primaria". Mons. Gassis è appena tornato da un tour intorno al mondo per perorare la causa delle popolazioni dei Monti Nuba. “Sono stato in Irlanda, dove ho incontrato il Presidente e il suo predecessore, a Londra (dove sono stato ascoltato dalla Camera dei Comuni e da quella dei Lord, dalla Conferenza episcopale e sono stato intervistato dalla Bbc), e poi a Bruxelles, Parigi, Berlino, Washington, New York, Oslo, in Lussemburgo e infine a Ginevra, dove sono stato ascoltato dalla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu". “A tutti ho chiesto che la comunità internazionale imponga al regime di Khartoum di fermare i bombardamenti sui civili, e permetta di aprire corridori aerei e terrestri per portare cibo e medicinali alle popolazioni stremate” conclude mons. Gassis. (R.P.)

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    Bolivia: la Chiesa nella commissione governo-indigeni sul progetto stradale Tipnis

    ◊   28nov12 - A dicembre, una commissione interistituzionale, integrata da membri della Chiesa Cattolica, dell’Assemblea Permanente dei Diritti Umani e dell’Ufficio del Difensore civico, farà ingresso nel Territorio Indigena e Parco Nazionale Isidoro Sècure (Tipnis) per valutare i progressi nella trattativa tra il Governo e gli abitanti della regione, dopo le proteste contro un progetto di sviluppo che potrebbe avere gravis ripercussioni socio-economiche e ambientali. La riserva del Tipnis è infatti minacciata dalla costruzione di un’arteria stradale che dovrebbe collegare la regione di Chapare alla frontiere con il Brasile. Il governo boliviano è decisamente favorevole all’iniziativa che a suo dire darà impulso al commercio tra i dipartimenti di Cochabamba e Beni, attualmente mal collegati. Il progetto, firmato nel 2009 dal presidente Morales e dall’ex presidente Lula da Silva, è invece fortemente contestato dalle popolazioni indigene, non solo perche la strada distruggerà i loro territori, ma anche per i danni ambientali provocati dalle esplorazioni dei giacimenti petroliferi e dallo sfruttamento delle risorse acquifere. Non meno grave la minaccia di un’estensione delle piantagioni illegali di coca della regione del Chapare, il cui traffico sarà facilitato dalla strada. Nel 2010, la popolazione del Tipnis era riuscita ad ottenere la sospensione di un anno del progetto, ma poi hanno prevalso i forti interessi delle lobby nazionali e internazionali. La Chiesa boliviana è stata sempre attenta alle richieste degli abitanti della regione esortando le autorità ad ascoltare le loro posizioni e a guardare al bene comune. La notizia della costituzione della commissione e dell’imminente visita è stata comunicata dalla Confederazione dei Popoli Indigeni dell’Oriente boliviano, senza specificare la data della verifica che completerà un rapporto richiesto dagli organismi internazionali che hanno accolto le denunce. La riservatezza della missione serve, secondo i dirigenti indigeni, a evitare che funzionari governativi ostacolino gli spostamenti e le visite alle diverse comunità. L’obiettivo della commissione sarà di verificare direttamente l’opinione delle comunità locali sul progetto. Il Governo ha informato infatti che 57 delle 69 comunità che abitano nel Tipnis sono state consultate e hanno dato un parere positivo, un risultato non del tutto riconosciuto dai dirigenti e associazioni indigene.(A cura di Alina Tufani)

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    Kenya: la Chiesa sottolinea l’importanza dei nuovi media per l’evangelizzazione

    ◊   Evangelizzare anche attraverso i nuovi media: è questa l’esortazione che mons. Emmanuel Barbara, vescovo di Malindi, in Kenya, ha lanciato ai comunicatori sociali. Nei giorni scorsi, il presule è intervenuto al primo seminario sulla comunicazione svoltosi nella diocesi e che ha visto la presenza di operatori del settore provenienti da Malindi e Mombasa. “I mass media hanno trasformato il mondo in un villaggio globale – ha detto mons. Barbara – Ciò ha dato vita ad uno stare insieme che è in qualche modo reale e questo può essere molto utile per la diffusione della Parola di Dio”. Di qui, l’invito del presule ad “usare tutte le risorse possibili offerte dai mezzi di comunicazione sociale per promuovere il Vangelo”, poiché “ogni mass media può contribuire a raggiungere le famiglie senza spostarsi fisicamente e ciò rendere molto più facile l’evangelizzazione”. Il vescovo di Malindi ha quindi ricordato che “la sfida principale, per i comunicatori, è quella di essere presenti nei nuovi media, e di riuscire a creare un dialogo di pace gli uni con gli altri, in nome della verità”. Infine, mons. Barbara ha concluso il suo intervento sottolineando che “anche il Santo Padre è presente sui social network”, il che indica “la necessità di abbracciare nuove piattaforme della comunicazione”. Presente su Facebook dal maggio 2009 con l’account Pope2you, gestito dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali, prossimamente Benedetto XVI entrerà anche nel mondo di Twitter. L’evento sarà presentato lunedì prossimo nella Sala Stampa vaticana. (I.P.)

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    Mauritius: pubblicazione speciale per l’Anno della fede

    ◊   Un libretto piccolo nel formato, ma grande nel contenuto: è quello realizzato dalla diocesi di Port-Louis, nelle Isole Mauritius, in occasione dell’Anno della fede, indetto da Benedetto per celebrare il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II ed in corso fino al 24 novembre 2013. Il volumetto – come spiega mons. Maurice Piat, vescovo locale – vuole offrire ai fedeli “diverse proposte di formazione cristiana” per aiutare le persone “a riprendere o a continuare il cammino della fede”. E non solo: il presule evidenzia che “l’Anno della fede potrebbe essere l’occasione per trovare il tempo di ascoltare coloro che hanno già beneficiato di tale cammino e che possono testimoniare quali frutti esso abbia portato nella loro vita”. Anche perché, sottolinea mons. Piat, “la fede fiorisce in un’atmosfera di ascolto e condivisione; al contrario si inaridisce se predomina uno spirito di critica sterile o di competizione”. Ma il libretto si rivolge anche ai preti, aggiunge il vescovo di Port-Louis, perché li può aiutare nella “pianificazione di una pastorale che miri alla crescita della fede nella comunità”, tanto più che “l’Anno della fede è l’occasione per ricordare questo aspetto essenziale del ministero sacerdotale”. In questo modo, conclude il presule, “lavorando alla crescita della fede, ci avvicineremo a Cristo che ci riunirà in un solo corpo, donando nuovo dinamismo alla missione della Chiesa”. Suddiviso in sei parti, il libretto indica innanzitutto quei percorsi che contribuiscono a “risvegliare la fede in coloro che sono rimasti per lungo tempo lontani dalla Chiesa”; seguono poi indicazioni per “coltivare la fede” nei battezzati non praticanti; quindi, spazio alla “condivisione della fede”, con suggerimenti specifici per “iniziare i cristiani alla missione”. Le ultime due sezioni, infine, sono dedicate alla “fede nella vita” - ovvero a “movimenti e comunità che vivono la fede nella realtà della vita quotidiana” – e alla “fede nell’azione”, ossia a quei gruppi che si dedicano soprattutto “al servizio dei poveri ed all’impegno per la giustizia sociale”. (I.P.)

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    Austria: da Betlemme la luce della pace in viaggio per l'Europa

    ◊   Nonostante la situazione di tensione in Medio Oriente, la Luce della pace di Betlemme è stata accesa anche quest’anno: nei giorni scorsi, nella grotta della Natività Khader Ballut, un bambino di una famiglia arabo-cristiana ha acceso la lampada che porterà la luce della pace in Austria e in Europa. Secondo l’agenzia di stampa cattolica austriaca Kathpress ripresa dal Sir, il viaggio della Luce della pace, organizzato da 13 anni dall’emittente dell’Austria Superiore Orf-Oberösterreich, era stato annullato per via dei conflitti tra Israele e Hamas. Con la tregua, aver scelto Khader per accendere la Luce di Betlemme è “un segnale consapevole di speranza nella pace nel mezzo della situazione di tensione in Medio Oriente”, si legge in un comunicato dell’Orf. Günther Hartle, direttore del progetto, ha ricevuto la lampada accesa e ieri sera, tornato a Linz, in Austria, l’ha consegnata a un bambino austriaco. In situazioni normali, la lampada viene accesa in Terra Santa da un bambino austriaco, scelto per il suo impegno sociale, che la porta in Austria: quest’anno si è proceduto diversamente per motivi di sicurezza. Il 15 dicembre a Vienna, durante una cerimonia ecumenica, la Luce della pace di Betlemme verrà distribuita a circa 20 gruppi scout europei e portata in circa 30 Paesi europei. (R.P.)

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    Pena di morte: al Colosseo "Cities for life" per la totale abolizione

    ◊   Roma e il Colosseo come luogo centrale e simbolico di una campagna mondiale per abolire la pena di morte: è l’evento promosso per questa sera dalla Comunità di Sant’Egidio, col titolo “Cities for life”, che vedrà nell’arco di 24 ore il collegamento con Roma da parte di 1.600 città del mondo. Questa giornata internazionale è stata avviata dieci anni fa dalla città di Roma con la Comunità di Sant’Egidio ed è sostenuta dalla “Coalizione mondiale contro la pena di morte”. L’accensione speciale del Colosseo, luogo scelto come “Testimonial della vita”, celebra quest’anno l’abolizione della pena di morte in Connecticut: il quinto stato americano ad abolire la pena capitale negli Stati Uniti negli ultimi cinque anni (2007, New Jersey - 2008, New Mexico - 2010, New York - 2011, Illinois - 2012, Connecticut). La serata al Colosseo (ore 19) vedrà la presenza di “testimonial” quali Shujaa Graham e Fernando Bermudez, condannati innocenti per omicidi mai commessi negli Usa, del fondatore della Coalizione del Texas contro la pena di morte, David Atwood, di Tamara Chikunova, fondatrice delle Madri contro la pena di morte cui si deve gran parte del successo nell’abolizione della pena capitale in molti Paesi dell’Asia centrale. Saranno presenti anche ministri, politici, uomini di cultura, attivisti per la vita. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 334

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

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