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Sommario del 28/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: annunciare con la vita che Dio è vicino a ogni uomo
  • Lotta all'Aids. Il Papa: le terapie ci sono, ma sono negate ai bambini dei Paesi poveri
  • Why Poverty? Giovanni Paolo II, voce di chi non ha voce
  • Incontro Ccee sui migranti. I cardinali Vegliò e Bozanic: immigrati nel cuore della Chiesa
  • Laurea per mons. Ladaria all'Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia
  • L'organismo caritativo Usa "Catholic Medical Mission Board" ricevuto in Vaticano per celebrare i 100 anni di fondazione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Domani all’Onu la richiesta della Palestina di aderire come Stato non membro
  • Congo: appello dei Salesiani per i 10 mila sfollati nel loro Centro di Goma
  • Legge figli naturali. Mons. Paglia: passo avanti. Belletti: no a formula su figli nati da abusi
  • Balduzzi: riorganizzare il Ssn. Esperti chiedono maggiore ricorso a fondi integrativi
  • Cei: insegnamento della religione cattolica opportunità preziosa per la scuola
  • Presentato il libro di Angelo Paoluzi “Voci di Carta”, sguardo attento sulla stampa cattolica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Gmg Rio 2013: Veglia e Messa finale si terranno a Guaratiba
  • Congo: situazione drammatica a Masisi per la presenza di diversi gruppi ribelli
  • Doha: timori e dubbi alla conferenza Onu sui cambiamenti climatici
  • Usa: tre milioni di dollari dai vescovi in favore della Chiesa in Africa
  • Centramerica: aperto l’Anno Giubilare per i 500 anni della prima diocesi in terraferma
  • Brasile: preoccupazione dei vescovi per i prossimi eventi internazionali nel Paese
  • Perù: programma di sostegno per oltre seimila bambini di strada
  • Londra. Mons. Nichols: "La cura di anziani e disabili, un test di civiltà"
  • India: nel Karnataka cristiani nel mirino di attacchi e violenze
  • Pakistan: oltre 200 musulmani sciiti incriminati per “blasfemia”
  • Celebrata a Betlemme la festa di Santa Caterina, patrona della Basilica della Natività
  • Cina: 80 suore in gara per opere caritative alla Maratona di Pechino
  • Nepal: primo censimento dalla fine della monarchia, i cristiani crescono dell'1%
  • India: concluso l’Anno della Famiglia nell’arcidiocesi di Patna
  • Ungheria: celebrazioni per il centenario dell’eparchia di Hajdúdorog
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: annunciare con la vita che Dio è vicino a ogni uomo

    ◊   Parlare di Dio al mondo significa “annunciare l’essenziale”: che Dio non è una idea astratta, ma amore che si è vicino all’uomo attraverso Gesù. Lo ha affermato Benedetto XVI durante la catechesi dell’udienza generale di questa mattina, presieduta in Aula Paolo VI. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La domanda di Benedetto XVI è semplice ma assolutamente vitale per chi ha il compito di annunciare il Vangelo: oggi come si può parlare di Dio alla gente? Alla fine della catechesi, il Papa arriva alla risposta-sintesi: bisogna far capire che Dio “non è il concorrente della nostra esistenza”, ma piuttosto il “garante” della “grandezza della persona umana”, Colui che è vicino all’uomo, lo ama, lo salva:

    “Dio non è quindi una ipotesi lontana sull’origine del mondo; non è una intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è autocomunicato fino ad incarnarsi”.

    Per dare un esempio su come sia possibile parlare di Dio, il Papa ha invitato a guardare al modo in cui lo ha fatto Gesù, durante gli anni della sua missione terrena. “Dai Vangeli – ha detto – noi vediamo come Gesù si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo”. E a loro volta, “i discepoli, che vivono con Gesù, le folle che lo incontrano, vedono la sua reazione ai problemi più disparati, vedono come parla, come si comporta”:

    “Questo stile diventa un’indicazione essenziale per noi cristiani: il nostro modo di vivere nella fede e nella carità diventa un parlare di Dio nell’oggi, perché mostra con un’esistenza vissuta in Cristo la credibilità, il realismo di quello che diciamo con le parole, che non sono solo parole, ma mostrano la realtà, la vera realtà”.

    Un altro esempio, Benedetto XVI lo desume da San Paolo:

    “Quindi la prima realtà è che Paolo non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive (...) La seconda realtà è che Paolo (…) non vuole crearsi una squadra di ammiratori, non vuole entrare nella storia come capo di una scuola di grandi conoscenze, non cerca se stesso, ma San Paolo annuncia Cristo”.

    Questi esempi, è stata la considerazione del Pontefice, indicano che “parlare di Dio vuol quindi dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo”:

    “Per questo, parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape”.

    Infine, il “luogo” di applicazione “privilegiato” di questa testimonianza: la famiglia. Assumersi la responsabilità dell’educare, avendo “sensibilità nel recepire le possibili domande religiose presenti nell’animo” dei figli, è – ha ribadito il Papa – un chiaro compito dei genitori in quella che è “la prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni”:

    “E in questo compito è importante anzitutto la vigilanza, che significa saper cogliere le occasioni favorevoli per introdurre in famiglia il discorso di fede e per far maturare una riflessione critica rispetto ai numerosi condizionamenti a cui sono sottoposti i figli. Questa attenzione dei genitori è anche sensibilità nel recepire le possibili domande religiose presenti nell’animo dei figli, a volte evidenti, a volte nascoste. Poi, la gioia: la comunicazione della fede deve sempre avere una tonalità di gioia”.

    Al termine delle catechesi nelle altre lingue, Benedetto XVI ha salutato fra gli altri i membri della Corte dei Conti italiana, nel 150.mo anniversario di fondazione, augurando all’istituzione “un proficuo servizio per il bene comune”. Quindi ai giovani, agli ammalati e ai nuovi sposi, il Papa ha indicato l’imminente tempo di Avvento come periodo particolare per “ riscoprire l’importanza della fede in Cristo”, affrontare le “sofferenze con lo sguardo rivolto al Bambino Gesù” e accrescere “il senso della presenza di Dio” nelle famiglie appena costituite.

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    Lotta all'Aids. Il Papa: le terapie ci sono, ma sono negate ai bambini dei Paesi poveri

    ◊   Un appello in favore di quanti sono colpiti dall'Aids, in particolare i bambini: lo ha lanciato stamani Benedetto XVI al termine dell’udienza generale. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il prossimo primo dicembre ricorre la Giornata Mondiale contro l’Aids, una “iniziativa delle Nazioni Unite – spiega il Papa - per richiamare l’attenzione su una malattia che ha causato milioni di morti e tragiche sofferenze umane, accentuate nelle regioni più povere del mondo, che con grande difficoltà possono accedere a farmaci efficaci”:

    “In particolare, il mio pensiero va al grande numero di bambini che ogni anno contraggono il virus dalle proprie madri, nonostante vi siano terapie per impedirlo. Incoraggio le numerose iniziative che, nell’ambito della missione ecclesiale, sono promosse per debellare questo flagello".

    Già nel libro intervista "Luce del mondo", Benedetto XVI aveva ricordato il grande impegno della Chiesa su questo fronte: in molti non sanno, infatti, che oltre il 25% delle strutture che assistono nel mondo i malati di Aids sono cattoliche. "La Chiesa fa più di tutti gli altri" – sottolinea con forza Benedetto XVI - e "come nessun altro si cura di tanti malati di Aids e in particolare di tantissimi bambini colpiti da questa malattia". Su questa scia, la Santa Sede non smette di lanciare appelli perché le case farmaceutiche abbassino i prezzi delle medicine che curano l’Aids: una patologia che nei Paesi ricchi è diventata cronica grazie all’accesso a quei farmaci che i Paesi poveri non possono permettersi.

    La Thailandia è un esempio di come un Paese in via di sviluppo sia riuscito a superare i brevetti che impediscono la produzione locale e che di conseguenza garantiscono alle case farmaceutiche il monopolio sul farmaco per decenni. Padre Giovanni Contarin, missionario camillliano, ha fondato in Thailandia, importanti centri di assistenza ai malati di Hiv/Aids, dedicandosi anche alla cura di questi malati. Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente a Bangkok padre Contarin:

    R. – Oggi abbiamo raggiunto risultati eccezionali. Abbiamo avuto un risultato ottimo nella trasmissione verticale tra madre e bambino; abbiamo avuto risultati ottimi nel contenere il numero delle infezioni – ora siamo a circa 13 mila nuove infezioni all’anno, dalle 100 mila che avevamo – inoltre, con l’uso in tutto il Paese degli antiretrovirali, ai quali tutti hanno accesso, abbiamo anche contenuto e ridotto il numero delle morti: quelli che muoiono oggi sono quelli che hanno infezioni opportunistiche gravissime o sono quelli che fanno la scelta di non curarsi.

    D. – Quindi la situazione in Thailandia, a dispetto di altre zone della stessa area geografica, è in un momento di stasi…

    R. – Sì. Anche dal punto di vista sanitario, ci troviamo meglio rispetto agli altri Paesi, perché il sistema sanitario si è evoluto e noi siamo stati parte di questa crescita per quanto riguarda il nostro settore dell’infezione da HIV.

    D. – Padre Contarin, sappiamo che in molte parti del mondo il problema per le persone è l’accesso ai farmaci essenziali, perché sono coperti da brevetti che rendono impossibile l’acquisto a basso costo. Voi avete superato questo ostacolo?

    R. – Noi abbiamo sempre lottato contro i costi e contro questi brevetti. Siamo riusciti a produrre in loco parecchi di questi farmaci e siamo riusciti a stipulare dei contratti internazionali tra governo e grandi ditte farmaceutiche. Quindi abbiamo dei farmaci essenziali buoni, a un prezzo buono, che vengono naturalmente comprati dal governo e distribuiti. In Thailandia abbiamo avuto il coraggio, come il Brasile, di cominciare una nostra produzione locale. E questo grazie anche all’unione di diversi gruppi non governativi con una industria farmaceutica governativa, capeggiata da una farmacista, una scienziata, che ha avuto molto coraggio e noi la abbiamo sostenuta.

    D. – Qual è, invece, la situazione dell’accesso ai farmaci in Africa?

    R. – In Africa ci sono diversi Paesi e diverse realtà. In generale, però, si può notare che in Africa non c’è una determinazione politica nel collaborare con chi fa produzione di medicine in loco e non c’è determinazione nel cercare di allontanare chi lavora troppo per gli interessi con le case farmaceutiche. Questi sono i due aspetti: il primo, incrementare la produzione in loco con gli strumenti che si hanno o collaborando con chi produce e con chi può portare anche macchinari e strumenti dall’estero, anche gratis; il secondo, lottare affinché non vi siano collaborazioni da parte di organizzazioni, di sistemi politici, o di leader politici, con case farmaceutiche nell’interesse delle stesse. I farmaci essenziali devono essere prodotti nei vari Paesi!

    D. – Questa determinazione lei la vede?

    R. – Attualmente non c’è. In Thailandia abbiamo dovuto lottare contro i vari ministri che volevano fare degli accordi a livello internazionale, ma che non sono riusciti a fare proprio perché noi non li abbiamo voluti. Quando ci sono sotto degli interessi, i politici fanno i loro interessi! Un’esperienza simile c’è nelle Filippine, altro Paese dove è difficile l’accesso ai farmaci. C’è una mafia di case farmaceutiche che impedisce al sistema politico e sanitario di fare produzione locale e di usare farmaci a basso prezzo. La produzione locale del farmaco e quindi il controllo sul prezzo la soluzione!

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    Why Poverty? Giovanni Paolo II, voce di chi non ha voce

    ◊   Il Papa degli ultimi, voce di chi non ha voce. Nei suoi quasi 27 anni di Pontificato e ancora prima come vescovo e sacerdote, Karol Wojtyla si è sempre schierato al fianco degli ultimi. Con i suoi gesti, i suoi viaggi, i suoi discorsi e i suoi documenti, Giovanni Paolo II ha dato vita ad un vero e proprio “Magistero per i poveri” che vi riproponiamo in questo nuovo contributo delal nostra emittente per l’iniziativa promossa dall'Unione Europea di Radiodiffusione (UER) intitolata “Why Poverty?”, speciale giornata di trasmissioni in Eurovisione dedicata al tema della povertà. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Nei volti dei poveri vedo il volto di Cristo”. Per comprendere l’impegno instancabile di Giovanni Paolo II per gli ultimi bisogna partire da qui, da questa frase, ripetuta tante volte dal Beato Wojtyla. Fin dalla gioventù, si scolpiscono nel cuore di Karol le parole del Signore, richiamate dal Vangelo di Matteo: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. A Wadowice come a Cracovia, alla Cattedra di Pietro come per le vie del mondo, che percorrerà senza sosta, il Papa va incontro ai poveri, li stringe a sé, diventa la loro voce. La voce di chi non ha voce. Questo amore per loro non è frutto di studio. E’ figlio dell’esperienza. In Polonia, ha conosciuto la miseria causata prima dall’occupazione nazista poi dal regime comunista. E’ stato operaio. Ha toccato con mano la sofferenza di padri costretti a non mangiare per sfamare i figli. Per questo, quando diventa Pontefice è assolutamente naturale per lui esprimere la propria adesione all’opzione preferenziale per i poveri. Una scelta che sottolinea con forza, parlando di fronte alla Curia Romana:

    “Colgo volentieri questa occasione per ribadire che l’impegno verso i poveri costituisce un motivo dominante della mia azione pastorale, la costante sollecitudine che accompagna il mio quotidiano servizio al popolo di Dio. Ho fatto e faccio mia tale opzione, mi identifico con essa. E sento che non potrebbe essere altrimenti, giacché questo è l’eterno messaggio del Vangelo: così ha fatto Cristo, così hanno fatto gli apostoli di Cristo, così ha fatto la Chiesa nel corso della sua storia due volte millenaria” (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 1984)

    Giovanni Paolo II, però, – ed è questa la grande novità – non si limita a parlare di povertà a Roma. Va direttamente nei luoghi dove la dignità della persona è sfigurata dalla miseria. In Messico, si commuove nell’ascoltare le parole dei campesinos, in Bolivia indossa il casco di un minatore per mostrare solidarietà a chi rischia la vita ogni giorno in miniera. In una favela di Rio de Janeiro, arriva addirittura a regalare il suo anello episcopale ad una mamma e ai suoi figli. E in Africa, il Papa si commuoverà nel vedere le conseguenze sui bambini di una povertà che non lascia scampo. Per aiutare i popoli africani piegati dalla carestia dà vita anche ad un organismo caritativo, la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel. Memorabile il suo appello a Ouagadougou, in Burkina Faso, in uno dei suoi primi viaggi apostolici internazionali:

    “Je me fais ici la voix de ceus qui n’ont pas de voix, la voix des innocents…
    Io sono qui la voce di quelli che non hanno voce: la voce degli innocenti morti perché non avevano acqua e pane; la voce dei padri e delle madri che hanno visto morire i loro figli senza capire, o che vedranno sempre nei loro figli le conseguenze della fame patita; la voce delle future generazioni le quali non devono più vivere con la terribile incombente minaccia sulla loro esistenza” (Messa a Ouagadougou, 10 maggio 1980).

    Giovanni Paolo II diventa, dunque, la voce di chi non ha voce. Una voce potente che risuona nei consessi internazionali, nelle assemblee delle Organizzazioni mondiali a partire dalle Nazioni Unite. Del resto, già nel 1979, rivolgendosi alla Conferenza della FAO, aveva esortato la comunità internazionale ad andare oltre gli “appelli ai sentimenti” e alle “ventate sporadiche e inefficaci di indignazione”:

    “Il est fini, en effet, le temps des illusions où l’on croyait…
    E’ finito il tempo della illusione in cui si credeva di risolvere automaticamente i problemi del sottosviluppo e le differenze di crescita tra i diversi Paesi esportando i modelli industriali e le ideologie dei Paesi sviluppati. E’ finito il tempo del tentativo di garantire il diritto all’alimentazione con programmi di aiuto realizzati mediante il dono delle eccedenze o con programmi di soccorso urgente solo occasionale”. (Discorso alla Fao, 12 novembre 1979)

    L’attenzione per i poveri, la denuncia dell’egoismo prima causa della povertà è una costante degli interventi magisteriali di Giovanni Paolo II. Al tema della dignità del lavoro, dell’economia centrata sulla persona dedica tre Encicliche: la Laborem Exercens, la Sollicitudo rei socialis e, dopo la fine del comunismo, la Centesimus annus nella quale mette in guardia dagli eccessi di un capitalismo che, uscito vincente dalla Guerra Fredda, rischia di schiacciare i più deboli. La sua cura per i poveri si ritrova disseminata in una miriade di documenti e messaggi. Significativo quanto il Papa scrive nel suo Messaggio per la Quaresima del 1985:

    “Quando centinaia di milioni di uomini mancano di cibo, quando milioni di bambini ne vengono irrimediabilmente segnati per il resto della vita, mentre migliaia di essi muoiono, io non posso tacere, noi non possiamo restare silenziosi o inerti”. (Messaggio per la Quaresima del 1985)

    E Karol Wojtyla non resta inerte. Nel suo infaticabile impegno in difesa degli ultimi, stabilisce una vera e propria alleanza con Madre Teresa di Calcutta. L’una cerca l’altro, la missionaria e il Papa diventano un simbolo globale, anche mediatico, della lotta alla povertà. Qualcuno parla di “Vangelo in technicolor”. E così, quando Giovanni Paolo II si reca in India, nel 1986, non può mancare la visita al “Nirmal Hriday”, la prima casa aperta a Calcutta da Madre Teresa. In questo luogo di sofferenza, ma soprattutto di speranza, il Beato Wojtyla pronuncia parole commosse:

    “Nirmal Hriday proclaims the profound dignity of every human…
    Nirmal Hriday attesta la profonda dignità di ogni essere umano. La cura amorevole che qui vediamo testimonia la certezza che il valore di un essere umano non è misurato con l’utilità dell’ingegno, con la salute o con l’infermità, con l’età, il credo o la razza. La nostra dignità umana ci viene da Dio nostro creatore, a cui immagine siamo stati creati. Nessuna privazione o sofferenza potrà mai rimuovere questa dignità, perché noi siamo sempre preziosi agli occhi del Signore” (Incontro con Madre Teresa a Calcutta, 3 febbraio 1986)

    Lungo il suo cammino in difesa degli ultimi, Karol Wojtyla trova anche compagni di viaggio inediti per un Papa. Con le rock star Bob Geldof e Bono degli U2, lancia appelli per la cancellazione o almeno la riduzione del debito dei Paesi poveri, vera scure sul destino dei popoli di un terzo del mondo. Del resto, già nel 1985, il Papa aveva chiesto il condono del debito dei Paesi in via di sviluppo in un Messaggio all’assemblea dell’ONU. Tuttavia, è con il Giubileo del 2000 che si fa più pressante l’impegno del Beato Wojtyla per la cancellazione del debito. Una richiesta contenuta anche nella Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente. All’inizio del XXI secolo, dunque, il Papa, stanco e malato, non manca di levare ancora una volta la voce a difesa di chi non ha voce:

    “Ogni uomo, ogni popolo, ha diritto a vivere dei frutti della terra. E’ uno scandalo intollerabile, all’inizio del Nuovo Millennio, che moltissime persone siano ancora ridotte alla fame e vivano in condizioni indegne dell’uomo (applausi) Non possiamo più limitarci a riflessioni accademiche: occorre rimuovere questa vergogna dall’umanità con appropriate scelte politiche ed economiche di respiro planetario” (Giubileo mondo agricolo, 11 novembre 2000)

    Serve, è l’accorato appello negli ultimi anni del suo Pontificato, una “globalizzazione della solidarietà”. Una globalizzazione per la persona fondata su un “codice etico comune”. I primi ad essere chiamati in causa su questo, è il suo avvertimento, sono i leader politici, specie delle nazioni più ricche. A loro Giovanni Paolo II si rivolge idealmente nel discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quasi un testamento e al tempo stesso una chiamata a mettere insieme le migliori energie per realizzare uno sviluppo che sia davvero per tutti:

    “The Church will continue to work with all people of good will…
    La Chiesa continuerà a operare con tutte le persone di buona volontà per garantire che in questo processo vinca l’umanità tutta e non solo un’elite prospera che controlla la scienza, la tecnologia, la comunicazione e le risorse del pianeta a detrimento della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. La Chiesa spera veramente che tutti gli elementi creativi nella società cooperino alla promozione di una globalizzazione al servizio di tutta la persona umana e di tutte le persone”. (Discorso alla Pontificia Accademia Scienze Sociali, 27 aprile 2001)

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    Incontro Ccee sui migranti. I cardinali Vegliò e Bozanic: immigrati nel cuore della Chiesa

    ◊   Gli immigrati sono protagonisti della missione della Chiesa: lo hanno evidenziato i cardinali Antonio Mario Vegliò e Josip Bozanic aprendo, ieri pomeriggio a Roma, l’Incontro dei direttori nazionali della pastorale per i migranti delle Conferenze episcopali d’Europa. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Vogliamo riflettere sulla relazione tra migrazione ed evangelizzazione”, ha spiegato il cardinale Bozanic, presidente della sezione migrazione della Commissione "Caritas in Veritate" del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Dunque, cosa comporta per la Chiesa la crescente imponenza del fenomeno migratorio? Anzitutto, ha detto il porporato, “la Chiesa deve essere luogo di accoglienza ovunque arrivano o passano delle persone e offrire a tutti la possibilità di incontrarsi con Gesù”, e anche ricercare “chi è appena arrivato”, spesso “solo e senza speranza”. “Non possiamo separare – ha sottolineato il cardinale Bozanic – l’assistenza sociale, la carità, la promozione della giustizia e l’annuncio di Cristo”. Così pure gli immigrati credenti “sono protagonisti della missione della Chiesa” e non possono limitarsi a dare al Paese che li ospita “solo la forza del proprio lavoro o la capacità intellettuale degli studio”, ma sono chiamati “a testimoniare la fede con gioia e senza paura”: sul posto del lavoro, nel quartiere, negli ambienti che frequentano, come “segno visibile” di luce della fede per la comunità locale. “Una fede nascosta finisce per spegnersi”, ha ammonito il porporato, auspicando che “le leggi e la cultura in Europa e nel mondo non siamo d’ostacolo ai credenti”.

    “Le persone in movimento” - ha aggiunto il cardinale Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale dei migranti – sono “una forza di trasformazione” avendo “il potere di cambiare le dimensioni demografiche, economiche e sociali dell’intero pianeta”. Per questo, la Chiesa deve contribuire “alla discussione pubblica su migrazione e sicurezza delle frontiere”, perché la comunità internazionale possa concordare un quadro normativo rispettoso della giustizia e della solidarietà, soprattutto, della dignità di ogni persona”, “a prescindere dal suo status giuridico, nella legalità o nella irregolarità.

    Sui temi dell'Incontro, Adriana Masotti ha intervistato padre Luis Okulik, segretario della Commissione sulle questioni sociali “Caritas in Veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), che promuove l’incontro:

    R. – E’ fuori di dubbio che la Chiesa cattolica sia sempre stata in prima linea nell’accoglienza dei migranti nelle diverse parti del mondo, ma in modo particolare in Europa, in questi ultimi anni in cui la crisi provoca migrazioni motivate da ragioni economiche. La Chiesa cattolica sicuramente ha da offrire non solo un grande sostegno, in concreto, ma soprattutto può aiutare una riflessione molto seria sulle cause, sulle modalità, sul modo di inserimento di queste popolazioni, in contesti che sono nuovi e che tante volte richiedono un grande accompagnamento.

    D. – Ma per la Chiesa, chi è il migrante?

    R. – E’ un fratello che arriva e che deve essere aiutato e accompagnato nella sua esistenza. Ci sono certamente delle difficoltà alle volte, soprattutto motivate da ragioni culturali e religiose - non possiamo dimenticare l’aumento delle migrazioni da Paesi di maggioranza musulmana - ma la Chiesa ha dimostrato sempre un grande equilibrio in questo senso, prestando un aiuto che non è definito in base al rapporto etnico o al rapporto religioso, ma partendo da una comune convinzione che chi è in necessità deve sempre essere aiutato. Se uno lo fa, lo fa proprio perché cattolico, perché convinto che questo sia il modo migliore di condividere l’esperienza che uno fa alla luce del Vangelo.

    D. – Com’è stato pensato il Convegno di questi giorni a Roma? Con quali obiettivi?

    R. – L’obiettivo principale è stato quello di riflettere seguendo le tracce del Messaggio del Santo Padre per la Giornata delle migrazioni dell’anno scorso, che metteva in stretto rapporto la preoccupazione per la nuova evangelizzazione con l’impegno in una pastorale rinnovata, in una pastorale di comunione. Da qui, è partita la riflessione che vorrebbe che in questi giorni i diversi responsabili delle migrazioni presso le singole Conferenze episcopali europee, possano far presente le prospettive di lavoro che hanno in questo momento, condividerle, e per quanto riguarda soprattutto il Ccee, poter coordinare meglio questo lavoro, offrendo magari un certo sostegno alla riflessione delle singole Conferenze episcopali.

    D. – Alla luce di quello che già esiste in ambito europeo, ci si vuole dunque confrontare e poi guardare anche al futuro?

    R. – Certamente. Si parte dall’esperienza che si fa. Il lavoro sulle migrazioni per la Chiesa cattolica è sempre stato molto organizzato, molto ben gestito e accompagnato. Quindi, si parte dalla base di qualcosa che ormai è collaudata nella pastorale della Chiesa cattolica. Da questo punto di partenza, si vorrebbe guardare alle difficoltà e alle sfide. Nell’incontro dei diversi direttori nazionali delle migrazioni, il confronto costruttivo punta a verificare le modalità con cui si possa promuovere un certo modo di collaborazione regionale o di Conferenza episcopale, perché possa essere di aiuto e sostegno al lavoro che già si sta facendo.

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    Laurea per mons. Ladaria all'Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia

    ◊   Oggi a Roma, presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, è stata conferita la Laurea honoris causa a mons. Luis Ladaria, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, e alla Sig.ra Hanna Suchocka, ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede. Tadeusz Cieslak ha chiesto a mons. Ladaria una sintesi del suo intervento per l’occasione:

    R. – E’ stato un discorso molto semplice incentrato sull’Incarnazione di Cristo, come centro della storia e come cardine della salvezza.

    D. – Cosa dire di questa Laurea honoris causa ricevuta presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia?

    R. – E’ evidente che la famiglia - Chiesa domestica - è un punto fondamentale. Se non s’inizia dalla famiglia, non si fa nulla nella società. La famiglia, dunque, è un punto assolutamente centrale per la società e per la Chiesa, perché non si possono fare separazioni. Distinzioni certo, ma non separazioni. La Chiesa si edifica nella famiglia.

    D. – Cosa può offrire la Chiesa alla società moderna su questi temi?

    R. – La Chiesa può offrire una convinzione chiara sul matrimonio e sulla famiglia, come centro e nucleo della società. Purtroppo sappiamo che oggi ci sono tanti problemi, rispetto a questi punti, e la Chiesa può offrire una certezza molto grande su questi argomenti e la offre.

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    L'organismo caritativo Usa "Catholic Medical Mission Board" ricevuto in Vaticano per celebrare i 100 anni di fondazione

    ◊   Uno scambio di doni, presso la sede del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, e la riaffermazione dell’impegno a collaborare con la Fondazione Il Buon Samaritano in modo sempre più incisivo in favore delle popolazioni altrimenti prive di terapie farmacologiche. L’incontro a Palazzo S. Paolo, appena terminato, presieduto dal capo dicastero vaticano, l'arcivescovo Zygmunt Zimowski, costituisce in effetti uno dei momenti salienti della missione di tre giorni a Roma e in Vaticano organizzata dai responsabili del "Catholic Medical Mission Board" (Cmmb), organismo caritativo statunitense con finalità missionarie in ambito sanitario che quest’anno celebra 100 anni di attività. La delegazione del Cmmb, che nella mattinata è stata anche ricevuta in udienza da Benedetto XVI, comprende, fra gli altri, il presidente, Bruce Wilkinson, ed il suo predecessore, John F. Galbraith.

    Il Cmmb è stato fondato nel 1912, a New York, dal Dott. Paluel J. Flagg e annovera, tra le proprie attività, l’invio di personale medico volontario e di strumentazioni nonché la raccolta di farmaci che, ricevuti in dono, vengono poi distribuiti alle popolazioni bisognose. La sua collaborazione con la Fondazione Il Buon Samaritano è iniziata nel 2010 ed ha già permesso di far arrivare a destinazione, grazie al coinvolgimento di Nunziature e Vescovi, numerosi container carichi di medicine essenziali, ad esempio antibiotici. I destinatari sono centri sanitari della Chiesa Cattolica operanti in aree povere e difficilmente accessibili di dieci Stati africani: Angola, Burkina Faso, Camerun, Congo Brazzaville e Congo Kinshasa, Niger, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Zimbabwe.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All'udienza generale Benedetto XVI ricorda che la fede va comunicata con la parola e la vita.

    Nell'informazione internazionale, in primo piano l'Egitto: la Corte costituzionale attacca Mursi, nuovi scontri a piazza Tahrir.

    Davvero è accaduto qualcosa di grande: in cultura, l'arcivescovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller, sugli scritti conciliari di Josef Ratzinger.

    Il nuovo anno accademico della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale: il saluto iniziale del preside, Pierangelo Sequeri, e stralci dalla lectio magistralis di Paolo Prodi.

    Rinnovamento parola chiave dell'Anno della fede: una riflessione dell'arcivescovo di Philadelphia, Charles Joseph Chaput.

    Il Vangelo tra i ghiacci: nuovi finanziamenti per le attività delle missioni di frontiera negli Stati Uniti.

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    Oggi in Primo Piano



    Domani all’Onu la richiesta della Palestina di aderire come Stato non membro

    ◊   Abu Mazen è a New York e domani mattina chiederà ufficialmente all’Assemblea generale dell’Onu di votare "sì" alla richiesta di adesione della Palestina come Stato non membro. Sarebbero 15, secondo fonti diplomatiche, i Paesi che daranno il loro appoggio. Divisa l’Europa: via libera della Francia, che si è attirata le critiche degli Stati Uniti, come pure da Spagna, Malta, Cipro e Portogallo. Germania propensa per il "no", mentre la Gran Bretagna ha annunciato che si asterrà dal voto. Il dibattito già si annuncia, dunque, molto acceso anche per il forte disaccordo espresso da Stati Uniti e, ovviamente, da Israele, per i quali si tratta di un errore che impedirà di lavorare per la futura nazione palestinese. La richiesta rallenterà davvero il percorso verso la nascita di uno Stato palestinese? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al collega Ugo Tramballi, inviato del quotidiano Il Sole 24 Ore:

    R. – Rallentare qualcosa che non esiste è difficile. Non c’è un percorso, non c’è un dialogo, non c’è un dibattito. C’è appena stata una "piccola" guerra a Gaza, dove Hamas – che è il partito che propone la lotta permanente – è uscito vincitore, mentre Fatah e l’autorità palestinese di Abu Mazen sono usciti sconfitti. E’ difficile capire di quale processo stiano parlando gli americani e gli israeliani.

    D. – L'Europa si presenta a questo appuntamento molto divisa al suo interno: questo è un segnale negativo....

    R. – E’ un segnale estremamente negativo. Il fatto che ogni Paese andrà in ordine sparso e in maniera molto divisa, è molto grave: questo contribuisce a mantenere l’opinione che c’è dell’Europa in Medio Oriente, cioè un’Europa che non conta nulla. Del resto non conta nulla nemmeno per Israele, che non ha mai considerato il Vecchio continente un interlocutore: per Israele ci sono solamente gli americani.

    D. - Si starebbe lavorando perché Abu Mazen prometta di non adire alla Corte penale internazionale contro Israele per gli insediamenti in Cisgiordania, considerati dall’Anp un ostacolo alla pace. Sarebbe, questo, un primo compromesso?

    R. – Volendo, sarebbe il compromesso necessario. Quello che sta chiedendo la Palestina è nulla, perché sta semplicemente chiedendo di passare da entità osservatrice a Paese "osservatore", ma “Paese” per modo di dire. Lo sanno tutti e lo sanno meglio di tutti i palestinesi. L’unico elemento è la capacità che diventando Paese osservatore possa poi partecipare ai lavori del Tribunale internazionale dell’Aia e quindi chiedere che Israele venga incriminato. Se questo ostacolo viene superato, non ci sono altre ragioni per non accettare la richiesta palestinese. Anche se sono convinto che, pur superando questo ostacolo, l’attuale governo israeliano, di estrema destra, si inventerà qualche altra cosa per impedire anche questo piccolo passo avanti verso la lontana indipendenza palestinese. Gli Stati Uniti dovranno stargli dietro.

    D. - Su una cosa non ci sono dubbi: anche per le Nazioni Unite si tratta di un ulteriore banco di prova per la sua tenuta…

    R. – Le Nazioni Unite sono sempre state così. Quando gli attori coinvolti sono importanti, come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, anche Israele, le Nazioni Unite non servono assolutamente a nulla: sono assemblearismo, utile per fare buone discussioni, ma fine a se stesso.

    D. – Si può fare una previsione su come andrà a finire?

    R. – L’unica previsione certa è il dato di fatto geopolitico: Gaza ha dimostrato che Israele è sempre più sola, che l’Egitto adesso esiste, certo, con tutti i suoi problemi istituzionali ancora non risolti però ormai l’Egitto c’è. Quindi, attraverso le Nazioni Unite, in maniera pacifica – non dimentichiamo che Israele ha sempre ignorato la parte pacifica della Palestina, perché la richiesta delle Nazioni Unite è una richiesta pacifica - non sono Qassam, non sono razzi, non è terrorismo – Israele non potrà più ignorare la necessità di riprendere un processo di pace.

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    Congo: appello dei Salesiani per i 10 mila sfollati nel loro Centro di Goma

    ◊   Nella Repubblica Democratica del Congo i ribelli del movimento M23 si starebbero ritirando dalla città di Goma, nell’est del Paese, che occupavano da una settimana. La svolta è avvenuta a seguito della forte pressione diplomatica degli ultimi giorni. Il governo ha accusato i ribelli di aver compiuto sistematicamente saccheggi e razzie, portando in Ruanda tutto il bottino. Massimiliano Menichetti ha raggiunto a Goma, don Piero Gavioli, direttore del Centro giovanile Don Bosco NGangi che in questi giorni sta ospitando migliaia di profughi:

    R. - Alcuni hanno visto dei camion, con dei soldati dell’M23, andare verso Nord. Molti confermano che si stanno ritirando, ma non penso che, per il momento, abbandonino completamente la città. Non sappiamo esattamente quali sono le intenzioni dell’esercito nazionale che sta ritornando verso Goma. Ci stiamo chiedendo se l’M23 abbia messo dei responsabili a capo dei vari servizi amministrativi e se questi responsabili rimarranno, o andranno via e verranno sostituiti da quelli che c’erano prima… Non è che la situazione attualmente sia del tutto chiara.

    D. - C’è il rischio di violenze in questo momento?

    R. - Non credo. Molto dipenderà dal comportamento dell’esercito congolese quando rientrerà perché ho sentito da varie parti che, purtroppo, dove ha ripreso terreno ci sono state violenze. Speriamo che qui si comporti in maniera sufficientemente disciplinata.

    D. - Il vostro centro è diventato un punto di riferimento per le persone che sono fuggite, prima dall’entroterra, poi a Goma: qual è la situazione?

    R. - Abbiamo molta gente ed aspetta notizie più precise sulla sicurezza per rientrare a casa. Ci hanno chiesto tre cose: il trasporto - che per il momento non è ancora assicurato – per andare a 30/40 km da qui; un telone perché non sono sicuri di trovare la loro casa ancora coperta da un tetto, potrebbe esser stato bruciato o potrebbero aver tolto le lamiere. Hanno chiesto anche un po’ di viveri per i primi giorni. Il Programma Alimentare Mondiale, quattro giorni fa, ha dato un po’ di aiuti alla gente e ha promesso di tornare per fornirne ancora, per un’altra settimana, una razione “secca”, come la chiamano qui.

    D. - C’è attesa o paura?

    R. - C’è attesa. Non credo che ci sia molta paura, la situazione è abbastanza tranquilla. Però, c’è attesa di una soluzione: sperano che la situazione politica globale migliori e che possano tornare a casa loro.

    D. - Avete bisogno di aiuti: come vi si può aiutare e cosa vi serve…

    R. - Qui possiamo comprare il cibo ed anche i medicinali. C’è l’Organizzazione non governativa Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) che ci sostiene in maniera particolare. Quindi, noi chiediamo che tutti gli aiuti passino attraverso un conto che il Vis ha aperto per noi.

    D. - Secondo lei, anche a livello internazionale, politico cosa servirebbe?

    R. - Sono sicuro che le ragioni fondamentali della guerra siano di carattere economico: qui la ricchezza del sottosuolo è la nostra maledizione - se così possiamo dire - perché tutti cercano di accaparrarsi le ricchezze. Ci dovrebbe essere un accordo internazionale perché le ricchezze siano sfruttate dal Paese e perché la gente di questa regione ne possa approfittare almeno un po’. Per il momento, le ricchezze sono sfruttate ed esportate altrove e ci sono tantissimi piccoli gruppi armati che ricevono armi in cambio di questo controllo. Ci dovrebbe essere quindi una soluzione globale per tutta la regione e questo lo si può fare attraverso una pressione internazionale molto forte e accordi di pace migliori di quelli che sono stati fatti quattro anni fa.

    D. - Che cosa vuole dire ai microfoni della Radio Vaticana?

    R. - Nei momenti di crisi, come al solito, la gente dà fiducia alla Chiesa. C’è molta gente che prega sia qui nel campo che fuori dal campo. Noi crediamo che un po’ con la pressione internazionale ma anche con l’aiuto della fede, l’aiuto del Signore si possa arrivare ad una soluzione migliore di quella attuale.

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    Legge figli naturali. Mons. Paglia: passo avanti. Belletti: no a formula su figli nati da abusi

    ◊   In Italia, molte reazioni hanno accompagnato dato il via libera della Camera dei Deputati ha al testo unico che equipara i diritti dei figli naturali a quelli dei figli nati all'interno del matrimonio. Sul provvedimento, Luca Collodi ha sentito mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni familiari. Ascoltiamo mons. Paglia:

    R. – Debbo sottolineare che la Chiesa, da sempre, è stata e continuerà a stare dalla parte dei figli. La Chiesa ha sempre sostenuto che anche i figli nati al di fuori del matrimonio debbono essere non solo riconosciuti, ma anche sostenuti e mantenuti. In questo senso, a me pare un passo certamente importante.

    D. – Sempre in termini generali, questa legge impegna ancor più la responsabilità della famiglia nei riguardi dei figli, naturali e non…

    R. – Sì, anche questo è importante. Di fronte al tentativo di indebolire la famiglia e di disgregarla in ogni modo, qui si va davvero controcorrente, ma nella giusta direzione, perché si riconosce la famiglia – diciamo – “allargata”, cioè intesa in tutta la sua intergenerazionalità. Questo mi pare un punto particolarmente significativo e sono lieto che si riconosca alla famiglia la sua funzione di luogo dove nascere, crescere, inserirsi e comunque accogliere. Si riconosce che, senza la famiglia, gli individui sono abbandonati a loro stessi e non è possibile pensare una famiglia “individualizzata”. Ecco perché una scelta di questo genere mi pare vada nella giusta direzione di riconoscere alla famiglia di essere la prima cellula della società, come anche – per quel che riguarda la Chiesa – la prima cellula della comunità cristiana.

    D. – Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni familiari: questa legge prevede che sarà possibile riconoscere, anche da parte del genitore, che usa violenza sui propri congiunti e parenti, i figli nati da abusi in famiglia. Su questo partano dei distinguo e delle riflessioni…

    R. – Noi stessi, come Forum, siamo andati alla Bicamerale dell’infanzia a presentare le nostre obiezioni ai senatori, agli onorevoli della Camera e ai partiti. Abbiamo cercato di far sì che, con lo strumento dello stralcio, togliendo cioè questo particolare, si potesse far passare comunque la legge. Questo è stato rifiuto ed è stato un grave errore, perché questa nuova formulazione non protegge di fatto in alcun modo i diritti dei bambini, ponendoli soprattutto di fronte al rischio di essere rimessi dentro una storia malefica e di fronte al rischio, invece, di legittimare alla genitorialità comportamenti spesso abusanti e violenti.

    D. – Sarà possibile ancora intervenire?

    R. – Torneremo alla carica, perché anche l’approvazione di una legge non significa che su un singolo punto non si possa ritrovare una nuova alleanza di persone ragionevoli. Ci ha molto confortato che questa sia stata una battaglia non da cattolici, ma da persone attente al superiore interesse del minore. Tanti osservatori laici hanno espresso con forza la loro contrarietà.

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    Balduzzi: riorganizzare il Ssn. Esperti chiedono maggiore ricorso a fondi integrativi

    ◊   Il ministro italiano della Salute, Renato Balduzzi, ribadisce che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) non sarà privatizzato. Dopo le dichiarazioni di ieri del premier Monti, che aveva parlato della necessità di altre forme di finanziamento per la sanità pubblica, oggi Balduzzi precisa che il servizio sanitario è sostenibile attraverso una riorganizzazione. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Se vogliamo mantenere i servizi sanitari attuali, bisogna ristrutturare per ottimizzare i costi. Balduzzi quindi non prevede tagli. Va ricordato infatti che dal primo gennaio del 2014, sulla base di scelte effettuate nel 2011 dal governo Berlusconi, ci saranno 2 miliardi di nuovi ticket aggiuntivi. “Personalmente – dice il ministro – penso che questo non sia sostenibile”. Una delle alternative potrebbe essere fare sempre maggiore ricorso ai fondi integrativi che già riguardano 11 milioni di italiani. Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Management dei Sistemi Sanitari alla Cattolica:

    “Si è detto ormai tantissimi anni che c’era questa necessità. Credo che adesso, guardando i dati, siamo arrivati al punto di non ritorno: è il momento di farlo, perché altrimenti i servizi che il sistema pubblico – il Servizio sanitario nazionale – sarà in grado di dare nel futuro saranno certamente inferiori rispetto a quelli forniti fino adesso”.

    I sindacati ribadiscono il netto "no" a ogni forma di privatizzazione. E’ pure vero che i vari interventi per razionalizzare la spesa pensati da Monti non hanno avuto grosso successo. Carla Collicelli, vicedirettore del Censis:

    “La nostra indagine, di poche settimane fa, ci dice che il 45% degli italiani - negli ultimi sei mesi - ha pagato di tasca propria in farmacia per ottenere il farmaco di marca: quindi, rifiutando la prescrizione del principio attivo, la prescrizione del generico. Ma se facciamo così è un modo non giusto di ‘raccattare’ risorse dalle tasche dei cittadini, mentre le manovre dovrebbero invece riguardare altri settori”.

    Anche l’annunciato rafforzamento della medicina del territorio finora è stato un buco nell’acqua. Il segretario dell'"Assocazione Giuseppe Dossetti: I Valori", Claudio Giustozzi:

    “Poteva essere una ricetta importante. Però, secondo me, bisognerebbe investire molto di più in prevenzione, perché a lungo termine noi non potremo garantire ai nostri figli e alle nuove generazioni un sistema sanitario come il nostro e quindi bisogna diminuire le patologie piuttosto che aumentarle”.

    E i medici di famiglia ribadiscono che necessitano di più strumenti, anche economici, per assistere i malati cronici.

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    Cei: insegnamento della religione cattolica opportunità preziosa per la scuola

    ◊   “L’insegnamento della religione cattolica è un’opportunità preziosa nel cammino formativo della scuola”. Lo scrive la presidenza della Conferenza episcopale italiana in Messaggio rivolto a genitori e studenti chiamati a scegliere se avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nel prossimo anno scolastico 2013-2014”. “La scuola – si legge – sarà se stessa se porterà le nuove generazioni ad appropriarsi consapevolmente e creativamente della propria tradizione”. Su questo aspetto, si sofferma, al microfono di Paolo Ondarza, don Daniele Saottini, responsabile Cei del Servizio nazionale per l’insegnamento della religione cattolica:

    R. – Penso che in un mondo attraversato da tante fatiche, da tante perplessità, da tante crisi, offrire una proposta culturale adeguata alla società di oggi, e nello stesso tempo carica di valori e di disponibilità a un confronto autentico, sia una ricchezza preziosa.

    D. - Ai genitori e agli studenti che si apprestano a decidere per il prossimo anno scolastico 2013-2014 voi dite che la scuola può essere se stessa solo se saprà trasmettere alle nuove generazioni la tradizione del Paese…

    R. - Esatto. E’ una tradizione, una ricchezza, che spesso oggi viene considerata come assolutamente marginale di fronte al fascino della novità, delle nuove possibilità. Noi, però, sappiamo che per educare un giovane è opportuno aiutarlo a capire che tutto questo anelito al futuro, che è sempre stato tipico delle giovani generazioni, si può costruire, si può realizzare a partire anche da una conoscenza dei principi di una convivenza civile, di un rispetto verso l’altro: principi che sono alla base anche di quelle ricche tradizioni che l’Italia, grazie al Cielo, ci offre.

    D. - E questo anche per aiutare i giovani a rispondere a quelle domande di senso che spesso si affacciano proprio durante il percorso scolastico…

    R. – Si ricorda che i vescovi e, attraverso di loro, gli insegnanti di religione cattolica, nell’esperienza scolastica, sono disposti e desiderano ascoltare le domande che sorgono dal cuore e dalla mente. Mi sembra bello che la scuola sia attenta ad accogliere le domande di senso che nascono dal cuore – quindi le grandi aspirazioni – e anche dalla mente, di fronte ai dubbi che qualche volta, in maniera strumentale, vengono utilizzati per contrapporci e che invece diventano occasioni preziose.

    D. - Perché l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole non nega la laicità di uno Stato?

    R. - Non solo non nega la laicità ma valorizza la laicità, per favorire un approccio più profondo e più autentico al confronto con i problemi. Statisticamente, viene anche apprezzata perché è l’unica “materia” che tutti gli anni viene sottoposta al giudizio degli studenti e delle loro famiglie e tutti gli anni riceve un’adesione superiore, su scala nazionale, al 90% delle adesioni. Quindi, vuol dire che è una materia gradita. Gli insegnanti di religione, sempre più qualificati, svolgono con passione questa disciplina e gli studenti ne sono assolutamente coinvolti. Al di là di appartenenze personali, per esempio, al di là delle questioni che emergono riguardo alla molteplicità delle etnie, delle culture presenti in Italia, statisticamente, la presenza di alunni di altre culture, di altre etnie, non influenza in maniera significativa la disponibilità dell’adesione e dell’avvalersi di questa disciplina.

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    Presentato il libro di Angelo Paoluzi “Voci di Carta”, sguardo attento sulla stampa cattolica

    ◊   Offrire una mappa sul dinamico universo della stampa cattolica nel mondo, attraverso una serie di interviste con operatori dell’informazione di vari settori e Paesi. Questo l’obiettivo del libro “Voci di Carta” di Angelo Paoluzi, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato ieri pomeriggio nella sede della nostra emittente. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il mondo della carta stampata offre un prezioso contributo e possibilità di approfondimento che altri mezzi di informazione oggi, invece, non sempre possono garantire. L’autore del libro, Angelo Paoluzi:

    “La carta stampata non muore. In Europa, la carta stampata è in crisi ma, nello stesso tempo, pullulano bollettini, piccoli giornali, riviste che durano più o meno a lungo. Alcune tra queste pubblicazioni si affermano perché trovano sempre un terreno favorevole. Il giornale ci offre un motivo di approfondimento e di ragionamento sulle informazioni date magari da radio, televisione e web. Un giornale fa memoria e storia”.

    Sono più di mille, su oltre settemila nel mondo, le pubblicazioni cattoliche indicate e censite nel libro “Voci di Carta”. Il volume nasce dall’inchiesta intitolata “Sfogliando” ed ospitata, tra il 2010 ed il 2012, all’interno della rubrica della Radio Vaticana “Allargare gli orizzonti”. Molte delle interviste con operatori dell’informazione sulle realtà dei vari Paesi sono con redattori della nostra emittente. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede e direttore generale della Radio Vaticana:

    “Si vede bene, proprio nel concreto, il senso di collaborazione e, in un certo senso, di complementarietà di questi due media. Tra la radio e la carta stampata noi abbiamo una bella esperienza di collaborazione perché spesso, per tanti Paesi, i programmi radio sono poi fonte di informazione su cui si appoggia la stampa cattolica locale”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Gmg Rio 2013: Veglia e Messa finale si terranno a Guaratiba

    ◊   “La veglia del sabato notte, 27 luglio, e la messa finale della Gmg, domenica 28 luglio, si svolgeranno nella zona di Guaratiba, situata nella parte ovest di Rio De Janeiro”. L’annuncio è stato dato questa mattina dal sindaco di Rio, Edoardo Paes, ai 200 delegati di pastorale giovanile da 75 Paesi e 40 movimenti ecclesiali, convenuti nella città brasiliana, per partecipare all’incontro preparatorio della Gmg del 23-28 luglio 2013. Si tratta - riferisce l'agenzia Sir - di un’area capace di contenere due milioni e mezzo di persone. Con la scelta di Guaratiba, che sostituisce la base aerea di Santa Cruz pensata inizialmente dal Comitato organizzatore locale, si completa il quadro dei luoghi degli eventi della Giornata. Benedetto XVI sarà accolto nella spiaggia di Copacabana il 25 luglio 2013. La spiaggia sarà anche il sito della cerimonia di accoglienza dei giovani, il 23 luglio, e della Via Crucis del 26 luglio. L‘annuncio del sindaco è stato seguito dal ringraziamento pubblico del cardinale Rylko: "Benedetto XVI segue con particolare attenzione i preparativi della Gmg cui affida grandi speranze per la Chiesa. La Gmg di Rio ha un peso particolare". All’incontro in corso a Rio è stato ricordato che a Copacabana, per tradizione, si concentrano i grandi meeting di Rio, e la gente è abituata ad accogliere due milioni di persone quindi saprà come adeguarsi anche questa volta. Copacabana, inoltre, offre anche strutture sufficienti, negozi, punti di ristoro e di sicurezza innanzitutto, per fare fronte alle esigenze dei presenti. “Guaratiba - dichiara al Sir l’arcivescovo di Rio, dom Orani J. Tempesta - è un luogo da allestire, ma non sarà un problema vista la stretta collaborazione che abbiamo con le Istituzioni municipali e federali. Sinergia fruttuosa anche per quanto riguarda la sicurezza. Rio - aggiunge l’arcivescovo - è una città tranquilla e come tutte le metropoli richiede quella prudenza e attenzione dovute. La sicurezza è molto migliorata in questi ultimi anni”. “La Gmg - conclude mons. Tempesta - sta cambiando la Chiesa in Brasile e non solo a Rio. Quest’anno nel Paese è in corso una campagna della fraternità dei giovani e anche la Chiesa locale di Rio riflette sui giovani. Ogni sforzo è condotto su questo versante per preparare al meglio la Gmg e l’incontro con il Pontefice. Non manchiamo però di volgere lo sguardo al futuro, al dopo Gmg”. (R.P.)

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    Congo: situazione drammatica a Masisi per la presenza di diversi gruppi ribelli

    ◊   “Gli abitanti di Masisi vivono tra la paura dell’arrivo imminente dei ribelli del gruppo M23 e gli effetti dei violenti attacchi di diversi altri gruppi presenti nella regione” afferma un comunicato inviato all’agenzia Fides dal Jesuit Refugee Service (Jrs) della Regione dei Grandi Laghi. Il distretto di Masisi si trova a 100 km circa da Goma, il capoluogo del Nord Kivu (est della Repubblica Democratica del Congo) occupato dal movimento dei ribelli M23 nei giorni scorsi. Secondo notizie di agenzia, gli uomini dell’M23 stanno lasciando Goma nella mattina di oggi. “Abbiamo abbandonato le nostre case senza poter portare cibo con noi. Siamo fuggiti nella foresta con un solo obiettivo in mente, la nostra sicurezza. E non abbiamo alcuna idea di quando e come torneremo a casa " ha detto un abitante di Masisi, che ha lasciato la sua casa il 25 novembre in seguito allo scoppio dei combattimenti tra l'esercito congolese e i miliziani Mai-Mai. I violenti scontri sono scoppiati a seguito del tentativo della milizia Mai-Mai, che si suppone sia alleata dell’M23, di prendere il controllo delle armi dell'esercito congolese. "Quando abbiamo sentito gli spari, abbiamo assistito alla fuga in massa della popolazione di Masisi. All'inizio molti si sono rifugiati nella parrocchia, poi hanno iniziato la fuga verso Nyabiondo. Si poteva leggere la paura nei loro occhi" ha detto un membro del Jrs di Masisi. Diversi sfollati interni hanno trovato rifugio nel vicino campo di Bukombo, dove sono ammassati negli edifici scolastici. "Non abbiamo niente da mangiare o da bere. Soprattutto le donne e i bambini sono in uno stato di shock. E non abbiamo la minima idea di quando avremo finalmente la pace. Oggi siamo fuggiti dai Mai-Mai, domani forse dall’ M23” afferma una delle persone sfollate. Nonostante il deterioramento della crisi nel Nord Kivu, il personale del Jrs nel distretto di Masisi aveva riavviato per breve tempo le proprie attività di educazione formale e informale, tra cui la costruzione di una scuola secondaria. Dopo gli ultimi episodi di violenza, il Jrs è stato però costretto a sospendere tutte le attività a Masisi. (R.P.)

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    Doha: timori e dubbi alla conferenza Onu sui cambiamenti climatici

    ◊   Riscaldamento globale, eventi "catastrofici" che rischiano di stravolgere gli equilibri del pianeta, fondi alle nazioni in via di sviluppo per promuovere la lotta ai cambiamenti climatici: sono questi e tanti altri i temi che verranno discussi nella 18ma Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, in corso da lunedì, per la prima volta in un Paese del Medio Oriente. Il summit Cop 18 a Doha in Qatar, fra i maggiori produttori al mondo di combustibili fossili (i più inquinanti), si chiuderà il 7 dicembre prossimo e coinvolge circa 17mila delegati provenienti da 194 Paesi fra leader politici, esperti del settore e rappresentanti delle Ong. A loro - riferisce l'agenzia AsiaNews - è affidato il compito di raggiungere un nuovo accordo, che dia nuovo vigore al Protocollo di Kyoto in scadenza a fine anno. Alla vigilia dei lavori sono montati i dubbi sulla effettiva capacità delle nazioni sviluppate, di onorare la promessa di distribuire 30 miliardi di dollari in aiuti ai Paesi in via di sviluppo per la tutela dell'ambiente e politiche "verdi". Un elemento di tensione fra i vari Stati e che rischia di precludere accordi futuri. Il clima di incertezza è acuito dai risultati - discordanti fra loro - di tre diversi rapporti emersi di recente, alla vigilia del summit delle Nazioni Unite. L'Istituto internazionale per l'ambiente e lo sviluppo, con base a Londra, sottolinea che Unione Europea, Stati Uniti, Giappone e gli altri Paesi sviluppati hanno stanziato 23,6 miliardi in aiuti alle nazioni povere, nel periodo 2009-2012. Non sarebbe stata quindi raggiunta la soglia di 30 miliardi, fissata in un primo momento. Una stima dell'Istituto per le risorse mondiali, sede a Washington, afferma invece che sarebbero stati distribuiti almeno 34 miliari di dollari. Un terzo rapporto, questa volta del Centro per i cambiamenti climatici alla Hsbc di Londra, valuta la cifra attorno ai 32 miliardi, ma di questi solo 25 sarebbero stati "assegnati"; l'assegnazione, peraltro, non implica che, nel concreto, i fondi siano già finiti davvero nelle mani dei beneficiari. Uno degli obiettivi già fissati dai partecipanti è di contenere, entro fine secolo, l'aumento di soli due gradi delle temperature globali. Tuttavia, anche fra i responsabili Onu dei cambiamenti climatici regna lo scetticismo e si prevede, secondo le ipotesi più realistiche, una crescita media "tra i 3 e i 5 gradi". Al momento i dati restano allarmanti: solo il 16% dell'energia mondiale proviene da fonti rinnovabili, mentre restano in vetta alla classifica delle nazioni più inquinanti Paesi come Cina, Stati Uniti, India e Russia. Ogni anno, avvertono gli esperti, solo la Cina produce più di 8mila miliardi di tonnellate di gas serra, con una crescita del 171% dal 2000 a oggi. Al secondo posto gli Stati Uniti con5mila miliardi di tonnellate, quindi l'India (2mila miliardi) e la Russia (1600 miliardi di tonnellate). I dati mostrano una volta di più l'urgenza di sottoscrivere un "nuovo trattato" che vincoli tutti gli attori mondiali alla tutela e alla conservazione dell'ambiente, a differenza di quanto è avvenuto col Protocollo di Kyoto al quale Washington non ha mai aderito. Esso dovrà essere firmato entro il 2015 ed entrare in vigore per il 2020. In caso contrario, avvertono gli esperti, le conseguenze potrebbero essere devastanti: un documento della Banca Mondiale conferma che il globo rischia "cambiamenti catastrofici" frutto dell'innalzamento dei mari, un riscaldamento eccessivo e uno squilibrio nell'ecosistema ambientale. (R.P.)

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    Usa: tre milioni di dollari dai vescovi in favore della Chiesa in Africa

    ◊   Alla loro recente plenaria autunnale a Baltimora i vescovi degli Stati Uniti hanno approvato l’erogazione di 49 nuove sovvenzioni per un valore di 1.226.500 dollari a favore della Chiesa in Africa. Sale così a 2.805.442 dollari, suddivisi in 109 finanziamenti, la somma complessiva stanziata quest’anno dallo speciale Fondo di solidarietà della Usccb per la Chiesa in Africa. Istituito qualche anno fa e gestito da un apposito sotto-comitato dei vescovi, il Fondo serve a sostenere diversi progetti nel continente. Quest’ultima tranche di finanziamenti è destinata a 16 conferenze episcopali e a quattro associazioni regionali africane. Tra i beneficiari l’Etiopia, l’Uganda e la Tanzania dove i fondi aiuteranno a finanziare iniziative legate all’Anno della Fede e alla nuova evangelizzazione. “Grazie alla straordinaria generosità dei cattolici negli Stati Uniti - spiega il presidente del sotto-comitato per la Chiesa in Africa mons. John Ricard - attraverso questo Fondo di solidarietà abbiamo l’opportunità di restituire alle parrocchie africane tutto quello che hanno dato alla nostra Chiesa con i loro sacerdoti e religiose”. Nel corso degli anni il Fondo ha finanziato l’educazione catechetica dei laici in Namibia; la formazione di assistenti pastorali per i malati in Uganda; laboratori su giustizia, pace e sviluppo nell’Africa occidentale; l’assistenza alle radio libere cattoliche in Liberia; la formazione di insegnanti cattolici in Ghana e il Centro per giovani traumatizzati dalla guerra civile “The Action of Thalita Kum” nella Repubblica del Congo, solo per menzionare alcuni dei progetti. (L.Z.)

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    Centramerica: aperto l’Anno Giubilare per i 500 anni della prima diocesi in terraferma

    ◊   Da lunedì scorso, 60 Vescovi della regione centroamericana sono riuniti a Panama per l'Assemblea generale 2012 del Segretariato dei vescovi del Centro America (Sedac). L’incontro ha come sede la casa di esercizi spirituali “Monte Alverna” della città di Panama. I vescovi provengono da Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama. Presidente uscente dell’organismo è mons. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, in attesa che i vescovi eleggano il nuovo presidente. Ad aprire l’incontro è stato l’arcivescovo di Panamá, mons. José Domingo Ulloa, in quanto Ordinario della diocesi ospitante. Oggi i vescovi parteciperanno all’apertura dell'Anno Giubilare 2012-2013 per i 500 anni della prima diocesi in terraferma del continente, Santa Maria la Antigua. L’agenda dei lavori prevede anche la celebrazione dell’Anno della Fede e lo scambio di esperienze pastorali nella regione. L'assemblea terminerà venerdì prossimo. Uno dei temi ricorrenti nei diversi incontri dei vescovi di questa regione, e che sarà affrontato anche durante questa assemblea, riguarda lo sfruttamento minerario delle risorse nei vari Paesi membri. Nel 2010, nel documento conclusivo, i vescovi avevano affermato: "alziamo le nostre voci chiedendo ai nostri parlamenti la creazione di leggi che proibiscano lo sfruttamento minerario dei metalli mediante l'uso del cianuro. Come Pastori, nel nostro lavoro missionario vogliamo intensificare la consapevolezza di tutti i fedeli, che la dimensione ecologica fa parte integrante della spiritualità cristiana". (R.P.)

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    Brasile: preoccupazione dei vescovi per i prossimi eventi internazionali nel Paese

    ◊   I membri del Consiglio per la Pastorale brasiliana (Consep), che ha il compito di monitorare l'attuazione degli orientamenti generali circa l'azione evangelizzatrice della Chiesa in Brasile, hanno dedicato l'incontro di ieri alla situazione nazionale e mondiale. La Commissione brasiliana di Giustizia e Pace (Cbjp) e alcuni consulenti esperti di politica, hanno offerto i loro contributi per l'analisi dei principali eventi economici, politici e culturali del mondo e del Paese. Tale analisi viene fatta sistematicamente in occasione delle riunioni delle Commissioni della Cnbb e dell'Assemblea generale dei vescovi, ed è sempre disponibile sul sito della Conferenza episcopale, anche se non è un documento ufficiale. Tra gli eventi di rilievo, l’attenzione è stata posta sulla Coppa del Mondo di calcio e sulle Olimpiadi, con domande specifiche sulle opere, sui rischi che questi eventi possono avere sulla popolazione e sugli utili reali che lasceranno al Paese. E’ stata analizzata la delicata situazione dello spostamento delle persone che occupano le aree ora usate per la costruzione di centri sportivi, mentre una grande preoccupazione viene dal rischio di un aumento del turismo sessuale durante questi eventi. I vescovi hanno ricevuto ulteriori dettagli sull’ultima riunione della Cnbb, cui ha partecipato il primo ministro del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, Gilberto Carvalho. La nota inviata all’agenzia Fides dalla Cnbb sull’incontro del Consep conclude sottolineando l’importanza di "riconoscere esplicitamente l'esistenza e il ruolo delle organizzazioni religiose, e di altre organizzazioni legate alle Chiese, come protagonisti di partecipazione attiva alla società per il loro potere di organizzazione, mobilitazione e autonomia nei processi di sviluppo sociale e di democrazia nel Paese". (R.P.)

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    Perù: programma di sostegno per oltre seimila bambini di strada

    ◊   Grazie al programma denominato Llachay, che ha l’obiettivo di restituire i diritti a bambini e adolescenti di strada che vivono in situazioni a rischio, 6.365 minori di tutto il Perù verranno assistiti fino al 2013. L’iniziativa governativa - riferisce l'agenzia Fides - è partita da Lima e Iquitos dove il problema è particolarmente grave. Nel 2013 il programma verrà avviato ad Arequipa, Ica, Cusco, Chincha, Abancay, Juliaca, Huánuco, Huancavelica, Pasco, Ayacucho, Moquegua e Tacna. Il governo, grazie a questa iniziativa, punta a rafforzare l’impegno dei genitori nella formazione dei rispettivi figli e offrirà contributi economici per dare la possibilità alle famiglie di avviare modeste attività che permettano loro di sopravvivere. Inoltre, nel caso in cui i piccoli non avessero dove andare dopo la scuola, sono previste case di accoglienza dove potranno fare i compiti fino a quando i genitori non rientrano dal lavoro. Llachay offrirà borse di studio sportive e formazione professionale, distribuirà kit scolastici, materiali per l’avviamento di piccole imprese, case di accoglienza, assistenza legale gratuita. (R.P.)

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    Londra. Mons. Nichols: "La cura di anziani e disabili, un test di civiltà"

    ◊   "Come ci prendiamo cura delle persone anziane e disabili” è “un test fondamentale di ogni società civile". Lo ha detto mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, nel suo discorso oggi ai deputati e ai rappresentanti delle charities cattoliche alla Camera dei Comuni riuniti per l’incontro annuale del “Caritas Social Action Network”. L‘arcivescovo - riporta l'agenzia Sir - incoraggia tutti coloro che sono coinvolti in questo "processo urgente e vitale" per affrontare l‘attuale crisi del sistema sanitario del Regno Unito. Nel suo intervento l’arcivescovo Nichols ha chiesto anche reti di sicurezza per "proteggere beni essenziali come cibo e rifugio per coloro che cadono in disgrazia", ed ha manifestato il suo plauso per quanto fanno le Charities cattoliche. E’ intervenuto anche Simon Gillespie, presidente del “Care and Support Alliance”: “l’attuale crisi nel sistema sanitario comporta oggi che gli anziani, le persone fragili e i disabili faticano a trovare e pagare le cure", anche per i bisogni di base come "lavarsi, vestirsi, l‘assunzione di farmaci o semplicemente uscire di casa". In una società - ha aggiunto - in cui si vive a lungo, “sempre più anziani e disabili” si trovano in questa condizione. Da qui un appello a "tutte le parti della società e partiti politici” perché insieme possano lottare per "quello che sta diventando una delle più grandi sfide di politica pubblica della nostra generazione". (R.P.)

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    India: nel Karnataka cristiani nel mirino di attacchi e violenze

    ◊   La comunità cristiana del Karnataka è presa di mira in modo regolare e sistematico. È l'accusa di padre S.D. Joseph, sacerdote cattolico della diocesi di Mysore, in seguito all'ennesimo attacco anticristiano avvenuto nello Stato. Con questo episodio - riferisce l'agenzia AsiaNews - salgono a 40 i casi di violenza anticristiana in Karnataka, dall'inizio del 2012. Il 25 novembre scorso un gruppo di vandali ha dato fuoco alle automobili di due cattolici, Winston Philip, di Vijayanagar, e Anand Pinto, di Mahadeswaranagar. Gli autori del gesto sono ancora a piede libero, ma secondo padre Joseph "è chiaro che gli obiettivi erano i cristiani. Le autorità devono aumentare la vigilanza e identificare i colpevoli senza ulteriori indugi". Proprio riguardo agli attacchi che continuano a colpire i cristiani del Karnataka, Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), ricorda: "L'art. 21 della Costituzione sancisce il diritto alla vita e alla libertà. In modo significativo, di recente la Corte suprema ha stabilito che il termine 'vita' non ha una connotazione solo di esistenza fisica o animale. Il diritto alla vita include il diritto a vivere con dignità umana". (R.P.)

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    Pakistan: oltre 200 musulmani sciiti incriminati per “blasfemia”

    ◊   Una denuncia ufficiale con l’incriminazione per blasfemia è stata presntata alla polizia di Multan in Punjab, a carico di 222 fedeli musulmani sciiti, dei quali 72 identificati e 150 non identificati. La denuncia è stata presentata da gruppi sunniti dopo una rissa avvenuta ieri a Multan, in seguito alla processione religiosa degli sciiti, che celebravano la “Ashura”, festività che commemora il martirio dell'Imam Hussein, nipote del profeta Maometto. Come riferito all'agenzia Fides, gli scontri sono iniziati quando alcuni militanti sunniti, dell’organizzazione estremista “Sipah-i-Sahaba”, hanno cercato di bloccare o deviare la processione dei fedeli sciiti, dicendo che una parte del percorso non era autorizzato. Esito degli scontri fra sciiti e sunniti: 10 feriti e le 222 denunce. Secondo l’accusa, gli sciiti hanno lanciato pietre contro le bandiere e striscioni dove c’era iscritto il nome del Profeta Maometto e sono dunque colpevoli di blasfemia. Leader sciiti come Fazal Shah e Ali Hussain Shah hanno negato ogni accusa, affermando che nessuno ha gettato pietre contro le bandiere, né tantomeno offeso il Profeta. Fonti locali di Fides notano che, come in molti altri casi, le accuse di blasfemia sono strumentali e colpiscono non solo le minoranze, ma anche cittadini musulmani, contribuendo a minare l’armonia sociale e religiosa. “L’abuso della legge continua a provocare discordie e ad alimentare settarismo nella società pakistana”, rimarca a Fides il prof. Mobeen Shahid, pakistano, profondo conoscitore delle questioni relative alla blasfemia. Il prof. Mobeen Shahid, docente di “Pensiero e religione islamica” nella Pontificia Università Lateranense, è autore di una ricerca, di imminente pubblicazione, dal titolo “La legge della blasfemia e il caso della Repubblica Islamica del Pakistan”, curata insieme con N. Daniel, per l'Istituto di Studi Politici S. Pio V, che verrà presentata al Parlamento Europeo e all’ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra. Secondo il prof. Mobeen, “la cancellazione delle leggi della blasfemia in Pakistan è possibile se si rispettano la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu e la Dichiarazione del Cairo dei Diritti umani dell'islam”. Per questo “serve il consenso popolare e una discussione nel Parlamento Nazionale”. Il consenso popolare è possibile solo se si dà vita a un sistema educativo, dai primi gradi fino alle università, “che rifletta e recepisca entrambe le Dichiarazioni per i diritti dell’uomo”: questo approccio renderebbe possibile un cambiamento radicale della società che, alla lunga, potrebbe avere come effetto l’abolizione delle leggi sulla blasfemia”. (R.P.)

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    Celebrata a Betlemme la festa di Santa Caterina, patrona della Basilica della Natività

    ◊   E’ un evento particolarmente atteso ogni anno l’incontro conviviale tra il Mukhtar, Yacob Amer, e il Custode di Terra Santa, fra Piebattista Pizzaballa nella festività di Santa Caterina, patrona della Basilica della Natività, a Betlemme, in Terra Santa. La tradizionale festa è iniziata sabato mattina al Convento di San Salvatore a Gerusalemme, poi un corteo di automobili, scortato dalla polizia israeliana, si è avviato lungo la strada che conduce a Betlemme, partendo da Porta Nuova. Prima sosta al Convento di Sant’Elia, “Mar Elias”, l’antico monastero bizantino dove si ricorda il luogo in cui riposò il profeta Elia, durante il suo viaggio verso il Monte Oreb, intrapreso dal Monte Carmelo per sfuggire all’ira della regina Gezabele. Qui finisce la giurisdizione parrocchiale di Gerusalemme e si entra in quella della parrocchia di Beit Jala. L’ingresso del Custode è stato accolto con gioia dal parroco, padre Ibrahim Shomali, dalle autorità civili israeliane e dall’intera comunità cristiana di Beit Jala. Soltanto tre volte l’anno, ai veicoli provenienti dai territori posti sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, è consentito varcare i confini dello Stato di Israele, superando il muro di separazione. Appena superata la tomba di Rachele, la scorta militare israeliana ha lasciato posto alla polizia palestinese, che ha scortato il padre Pizzaballa fino alla Piazza della Mangiatoia. Tanti studenti delle scuole di Terra Santa e dell’Istituto San Giuseppe e scout, vestiti con le loro uniformi variopinte, insieme alle autorità locali, al nuovo sindaco di Betlemme, Vera Baboun, aspettavano l’arrivo del Custode. Nello spazio antistante l’ingresso della Basilica della natività, fra Artemio Vitores, vicario custodiale, fra Stéphane Milovitch, guardiano del convento di Santa Caterina, seminaristi della Custodia e parrocchiani hanno accolto padre Pizzaballa. Nella Basilica il rito è iniziato con il bacio della Croce all’ingresso della Chiesa, sulle note del Te Deum. Un momento di cordiale scambio d’auguri, nel chiostro della Chiesa, ha concluso la cerimonia svolta leggermente sottotono in segno di solidarietà verso le famiglie delle vittime di Gaza. I francescani dimorano a Betlemme dal 1347 nel convento proprio accanto alla Basilica della Natività. La Chiesa dedicata alla Santa Martire Caterina, costruita nel XII secolo, è stata in seguito ampliata e modificata. (T.C.)

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    Cina: 80 suore in gara per opere caritative alla Maratona di Pechino

    ◊   80 religiose provenute da 16 province cinesi, hanno partecipato alla Maratona internazionale di Pechino gareggiando per 30 progetti caritativi. Hanno corso per gli anziani, i poveri, i bambini disabili, gli orfani e per tutte le opere caritative che la Chiesa ha affidato loro, come conferma all'agenzia Fides suor Yu Chun Jing, della Congregazione delle Anime del purgatorio di Xing Tai, che è stata una delle prime suore che ha partecipato alla Maratona fin dal 2009 e continua a correre ancora oggi, come ha confermato durante la conferenza stampa alla presenza di tutte le più importanti testate cinesi e straniere. Inoltre Jinde Charity, l’ente caritativo cattolico cinese organizzatore di “Corri per le opere caritative della Chiesa” ha anche sensibilizzato la comunità cattolica di Pechino per promuovere l’iniziativa e il sostegno ai progetti. Durante la Messa celebrata il 24 novembre nella parrocchia dell’Immacolata Concezione, i fedeli hanno raccolto 17.399 ¥ (circa 2.400 €). Il sito ufficiale della Maratona ha dedicato uno spazio al “2012 Run for Charity” con gli articoli delle suore che presentano le loro opere destinate agli anziani soli, ai malati, ai bambini disabili ed orfani. Nel 2009 erano soltanto 10 le suore di due province che hanno partecipato alla maratona per curiosità; nel 2010 si sono presentate 44 suore per 13 progetti caritativi; nel 2011, l’anno in cui è stata lanciata ufficialmente l’iniziativa “Corri per le opere caritative della Chiesa”, hanno partecipato 52 suore (insieme a 4 sacerdoti e 2 seminaristi) per 14 progetti, inoltre sette suore e un sacerdote hanno fatto tutto il percorso di 42.195 km in poco più di 5 ore (5 suore sono della stessa congregazione, le Serve dello Spirito Santo). (R.P.)

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    Nepal: primo censimento dalla fine della monarchia, i cristiani crescono dell'1%

    ◊   I cristiani nepalesi sono in crescita. In 10 anni il loro numero è passato dallo 0,4% all'1,4% su una popolazione di 26 milioni di abitanti. È quanto emerge dal recente censimento pubblicato dal governo maoista. E' il primo documento di studio sulla popolazione nepalese dalla proclamazione dello Stato laico avvenuta nel 2007. L'ultimo - riferisce l'agenzia AsiaNews - risale al 2011. A sopresa, i dati sul censo rivelano una crescita degli indù, passati dall' 80% all'81%, sebbene le stime del 2011 che vedevano la religione in calo di circa il 15%. I musulmani si mantengono sul 4,4%. I buddisti hanno subito un calo, passando dal 10,7% al 9%. Il rapporto è stato presentato ieri da Baburam Bhattarai, primo Ministro nepalese. Nel suo discorso egli ha sottolineato che nessuna religione, in particolare quella di maggioranza, deve utilizzare il censimento per rivendicare privilegi. "Il Paese è laico - ha affermato - tutti i cittadini hanno gli stessi diritti. I programmi di governo si concentrano soprattutto sulla condizione delle donne e sulle minoranze religiose ed etniche perché in passato sono state perseguitate o non hanno avuto accesso agli stessi diritti". Diversi esperti e leader religiosi hanno però criticato l'accuratezza dei dati, che sarebbero basati su informazioni troppo approssimative, soprattutto per quanto riguarda la religione di appartenenza. Cb Gahatraj, un leader cristiano protestante commenta: "Crediamo che il numero della nostra gente sia superiore a quello registrato nel rapporto. Durante le interviste molte persone convertite al cristianesimo hanno avuto paura a dichiarare la loro vera religione e sono state registrate come indù. Le autorità - aggiunge - hanno inoltre classificato sotto la denominazione indù tutte le famiglie assenti nel periodo del censimento". Uttam Narayan Malla il direttore generale del Central Bureau of Statistics (Cbs), sostiene invece che le ricerche sono precise e non vi sono ragioni per contestare i dati pubblicati. Oltre alle informazioni sulle religioni, il censimento ha rivelato altri numeri di particolare importanza. Fra questi vi è il tasso di alfabetizzazione cresciuto del 10% rispetto al 2001. Secondo il documento, la regione con la più alta percentuale di istruzione è quella di Kathmandu, dove l'83,3% della popolazione ha frequentato le scuole ed è in grado di leggere e scrivere. Il tasso più basso si riscontra invece nel distretto rurale di Rautahat (Terai). Qui solo il 41,7% ha ricevuto un'istruzione. Un altro dato è la crescita del numero dei lavoratori emigrati all'estero. In 10 anni essi sono più che raddoppiati, passando da 762mila persone nel 2001 a oltre 1,9 milioni. Il censimento ha rivelato anche la scoperta di 25 nuovi gruppi etnici e un aumento totale della popolazione pari al 14,4%. (R.P.)

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    India: concluso l’Anno della Famiglia nell’arcidiocesi di Patna

    ◊   “L’Anno della Famiglia è stato un nuovo inizio per risvegliare ed accrescere la fede nelle famiglie cristiane”: con queste parole l’arcivescovo di Patna, mons. William D’Souza, ha tracciato un bilancio dell’Anno della Famiglia, appena conclusosi. Circa 200 coppie provenienti da 24 parrocchie della regione hanno preso parte alla cerimonia di chiusura dell’evento, che si è tenuta a Mokama, presso il Santuario della Madonna della Grazia divina. “La famiglia – ha spiegato il presule – è una scuola in cui i bambini imparano la fede ed i genitori sono gli alimentatori della fede stessa”. Quindi, mons. D’Souza ha evidenziato l’importanza di ricevere i sacramenti, definiti “nutrimento della fede”. Dal suo canto, padre Jose Edavazhy, presidente della Commissione per la Famiglia dell’arcidiocesi, ha ricordato l’operato svolto nell’ambito dell’evangelizzazione e del rafforzamento vocazionale dei nuclei familiari, anche grazie alla preghiera individuale e collettiva. (I.P.)

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    Ungheria: celebrazioni per il centenario dell’eparchia di Hajdúdorog

    ◊   Quest’anno ricorre il primo centenario della fondazione dell’eparchia di Hajdúdorog in Ungheria che è stata costituita dal re Francesco Giuseppe e dal papa San Pio X nel 1912 per i cattolici ungheresi di rito bizantino del Regno di Ungheria. Dopo la prima guerra mondiale l’eparchia di Hajdúdorog è stata l’unica circoscrizione ecclesiastica dei cattolici di rito bizantino nell’Ungheria ridimensionata nel trattato di pace di Parigi. Successivamente nel 1924 è stato eretto anche l’esarcato di Miskolc. Oggi i circa 270 mila cattolici di rito bizantino di Ungheria appartengono a queste due circoscrizioni ecclesiastiche. Nell’anno del centenario, l’eparchia di Hajdúdorog organizza una serie di eventi: celebrazioni liturgiche, pellegrinaggi, eventi culturali e di carattere scientifico. L’estate scorsa un gruppo di 1500 ungheresi di rito bizantino ha già fatto un pellegrinaggio a Roma. Domani l’eparchia di Hajdúdorog, l’Accademia d’Ungheria di Roma e l’Istituto Teologico Greco-cattolico Sant’Atanasio di Nyíregyháza organizzano una Giornata culturale a Roma, nella sede dell’Accademia d’Ungheria in Via Giulia 1 (Palazzo Falconieri) che avrà diversi avvenimenti: Alle ore 15 verrà inaugurata una Mostra fotografica sul passato e presente dei cattolici di rito bizantino di Ungheria da mons. Fülöp Kocsis, vescovo di Hajdúdorog. In seguito avrà luogo un Convegno scientifico con il titolo: “La fondazione dell'Eparchia di Hajdúdorog per gli ungheresi di rito bizantino nel contesto politico dell'Impero Austro-Ungarico” (1912). Interverranno cinque studiosi dalla Germania, Austria, Romania ed Ungheria. Dopo il convegno il padre Manel Nin, rettore del Collegio Greco di Roma inaugurerà una mostra di icone, intitolata "Liturgia e Arte. Icone d'oggi dall'Ungheria". Nelle aule di esposizione del Palazzo dell’Accademia d’Ungheria verranno esposte icone di maestri ungheresi contemporanei. Questa mostra rimane aperta fino a gennaio. La Giornata si chiude alle ore 20.30 con un concerto di musica sacra bizantina del Coro Maschile Sant'Efrem. La qualità del Coro Sant’Efrem è attestata da numerosi premi vinti in festival internazionali di musica sacra. Il concerto del Coro Sant’Efrem sarà ripetuto venerdì sera, il 30 novembre alle ore 20 nella Chiesa di Sant’Atanasio in via del Babuino. (A cura di padre Tamás Véghseő)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 332

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.