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Sommario del 27/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Why Poverty? Benedetto XVI: il coraggio della fraternità per vincere la povertà nel mondo
  • Il card. Béchara Raï: l'appello del Papa per il Medio Oriente una grande iniezione di coraggio
  • Gmg, incontro preparatorio. Il card. Rylko: Rio è città simbolo dell'accoglienza
  • Il cardinale Tauran all'inaugurazione del Centro Kaiciid per il dialogo tra religioni e culture
  • Varsavia, Simposio per i 50 anni dal Concilio alla presenza del cardinale Tucci
  • 20 anni del Catechismo: le tappe della Rivelazione di Dio all'uomo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Gaza. Negoziati aperti al Cairo. Da Hamas sostegno ad Abu Mazen
  • Accordo Eurogruppo-Fmi sugli aiuti per la Grecia
  • Nigeria: Boko Haram chiede il dialogo con il governo di Abuja
  • Ilva. Clini si dice fiducioso, mons. Santoro: non lasciare soli i tarantini
  • Pena capitale: ministri della giustizia dei Paesi abolizionisti in un convegno di Sant'Egidio
  • “Medici Senza Frontiere” si racconta in una raccolta di lettere e testimonianze
  • Il cardinale Dalla Costa " Giusto tra le nazioni": salvò centinaia di ebrei dai nazisti
  • “Solo l’amore resta”: l’ultimo libro di Chiara Amirante sulla sua vita e Nuovi Orizzonti
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nunzio a Damasco: non dimenticate i siriani e pregate per loro
  • Egitto. Clima teso: rinviata la riunione tra il Patriarca Tawadros II e i capi delle Chiese cattoliche
  • Congo: i ribelli annunciano il ritiro da Goma. Grave la situazione umanitaria
  • Mali: forti divisioni tra i partiti politici di Bamako; contestata la trattativa con i gruppi armati
  • Australia: la Chiesa collabora con la Commissione d'inchiesta sulla pedofilia
  • Sud Corea-Giappone: i vescovi dei due Paesi discutono sull'energia nucleare
  • Repubblica Dominicana: la Chiesa chiede al governo un "Ministero della famiglia"
  • Messico: Campagna contro la tratta degli indigeni nello Yucatan
  • Bolivia: denutrizione e carenze igienico-sanitarie per bambini che vivono in carcere coi genitori
  • Filippine: fase di stallo per la legge sulla salute riproduttiva
  • Ora di religione: messaggio della Cei a studenti e genitori
  • Hong Kong: principi cattolici e valori cristiani nella gestione delle scuole cattoliche
  • Portogallo: giustizia sociale e dignità umana al centro della Settimana sociale
  • Scozia: vescovi preoccupati per gli episodi di violenza contro le comunità religiose
  • Gente dello spettacolo viaggiante: pellegrinaggio a Roma e incontro con il Papa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Why Poverty? Benedetto XVI: il coraggio della fraternità per vincere la povertà nel mondo

    ◊   Avere “il coraggio della fraternità” e cambiare stili di vita e modelli di sviluppo: questa la ricetta di Benedetto XVI per vincere la miseria che attanaglia tanta parte del mondo. Proposte molto concrete che il Papa ha fatto in questi anni di Pontificato e che vi proponiamo in questo primo contributo in lingua italiana della Radio Vaticana che partecipa all’iniziativa promossa dall'Unione Europea di Radiodiffusione (UER) intitolata “Why Poverty?”, speciale giornata di trasmissioni in Eurovisione dedicata al tema della povertà. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Una “rivoluzione pacifica”, non ideologica, ma spirituale, che cambi il mondo e vinca la povertà “in un’epoca nella quale l’ostilità e l’avidità sono diventate superpotenze”: è quanto auspica Benedetto XVI che invita i cristiani a non restare ai margini nella lotta per la giustizia:

    “I cristiani hanno il dovere di denunciare i mali, di testimoniare e tenere vivi i valori su cui si fonda la dignità della persona, e di promuovere quelle forme di solidarietà che favoriscono il bene comune, affinché l’umanità diventi sempre più famiglia di Dio”. (Discorso alla Fondazione Centesimus Annus, 15 ottobre 2011)

    Sul banco degli imputati, per il Papa, c’è un egoismo globalizzato che pensa solo al profitto: innanzitutto la finanza che “ha danneggiato l’economia reale” con le sue speculazioni, che fanno aumentare anche il prezzo del cibo. A capo delle imprese ci sono manager che spesso “rispondono solo alle indicazioni degli azionisti”, disinteressandosi dei lavoratori. C’è l’accaparramento delle risorse dei Paesi poveri a vantaggio di una “rivendicazione del diritto al superfluo” nelle società opulente. Ora, il giocattolo si è rotto anche in Occidente e di fronte alla crisi economica il Papa esorta a rivedere uno stile di vita che non regge più:

    “Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo”. (Omelia, 1 gennaio 2009)

    Con dati alla mano, il Papa mostra che nel mondo c’è cibo a sufficienza per tutti, mentre si continua a morire di fame. Quindi avanza una proposta concreta: il rilancio strategico dell’agricoltura “non in senso nostalgico, ma come risorsa indispensabile per il futuro”:

    “Occorre puntare, allora, in modo veramente concertato, su un nuovo equilibro tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali”. (Angelus, 14 novembre 2010)

    Il lavoro agricolo – afferma Benedetto XVI – educa alla sobrietà e alla semplicità, “ad un consumo più saggio e responsabile” e promuove “l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione della fatica nel lavoro”. E non pochi giovani hanno già scelto questa strada:

    "Anche diversi laureati tornano a dedicarsi all’impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche ad un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune”. (Angelus, 14 novembre 2010)

    Le cause del sottosviluppo – sottolinea Benedetto XVI – sono innanzitutto “nella mancanza di fraternità tra gli uomini”. La globalizzazione “ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”. Un egoismo che diventa internazionale con la questione del debito dei Paesi poveri che il Papa chiede di ridurre o cancellare “senza che questo sia condizionato a misure di aggiustamento strutturale, nefaste per le popolazioni più vulnerabili”. Ci sono poi altri appelli a favore del Sud del mondo: perché abbia “un accesso ampio e senza riserve ai mercati”; perché possa usufruire delle conoscenze tecnologiche e scientifiche in possesso dei Paesi ricchi che le proteggono “mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario”. E appelli per i Paesi industrializzati: per la riduzione del commercio delle armi, del traffico di preziose materie prime e della fuga di capitali dal Sud; perché investano nella ricerca per creare vaccini contro le malattie che colpiscono i Paesi poveri. La preoccupazione di Benedetto XVI è soprattutto per l’Africa. Ma aldilà delle istituzioni internazionali – osserva il Papa - “ogni persona e ogni famiglia può e deve fare qualcosa”, è necessario avere nel proprio piccolo “un cuore che vede” chi è nel bisogno:

    “L’umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza. La nostra fonte di speranza è nel Signore”. (Discorso alla Caritas italiana, 24 novembre 2011)

    E’ l’amore di Dio che cambia il mondo e risveglia la speranza, afferma Benedetto XVI: così, l’impegno dei cristiani per i poveri parte dalla giustizia per arrivare alla carità:

    “Lo spettacolo dell'uomo sofferente tocca il nostro cuore. Ma l'impegno caritativo ha un senso che è filantropico, certo, ma che va ben oltre la semplice filantropia. È Dio stesso che ci spinge nel nostro intimo ad alleviare la miseria. Così, in definitiva, è Lui stesso che noi portiamo nel mondo sofferente. Quanto più consapevolmente e chiaramente lo portiamo come dono, tanto più efficacemente il nostro amore cambierà il mondo e risveglierà la speranza: una speranza in questo mondo e una speranza che va al di là della morte e solo così è una vera speranza per l’uomo”. (Discorso a Cor Unum, 23 gennaio 2006)

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    Il card. Béchara Raï: l'appello del Papa per il Medio Oriente una grande iniezione di coraggio

    ◊   “La Chiesa incoraggia tutti gli sforzi fatti in vista della pace nel mondo e nel Medio Oriente”: pace che “non sarà efficace se non si basa sull'autentico rispetto l’uno dell’altro”. Con queste parole, Benedetto XVI ha levato ieri, davanti ai nuovi cardinali, un appello per le popolazioni che, dal conflitto israelo-palestinese alla Siria, stanno conoscendo una nuova stagione di instabilità e violenza. A raccogliere l’appello c’era il neo-porporato, il patriarca maronita, Béchara Boutros Raï. Helene Destombes, collega della redazione francese della Radio Vaticana, lo ha intervistato, chiedendogli come i suoi conterranei abbiano accolto la notizia della sua elevazione al cardinalato:

    R. – Tous les libanais, vraiment, chrétiens et musulmans…
    In realtà, tutti i libanesi, cristiani e musulmani, di tutte le fazioni politiche e di tutte le comunità, tutti hanno letto questo gesto del Santo Padre come un riconoscimento alla Chiesa, ma anche ai libanesi. E tutti hanno compreso di essere stati chiamati, attraverso l’onore del cardinalato, a continuare a dare insieme il loro messaggio di convivenza, ed anche a diffondere l’Esortazione apostolica “La Chiesa nel Medio Oriente – comunione e testimonianza”. Per quanto mi riguarda, con profonda emozione esprimo la mia gratitudine al Santo Padre. Allo stesso tempo, mi sento incoraggiato a continuare la mia missione nonostante tutte le sfide che ci aspettano, in Libano e in Medio Oriente. La forza mi viene non soltanto dalla grazia di Dio, ma anche dal fatto che, come ho già detto, c’è stata una lettura comune, di musulmani e cristiani. E’ per questo che torno in Libano con grande fiducia, dai miei vescovi, dai miei fedeli e dai miei compatrioti, per fare ancora di più la volontà di Dio ed mettere in opera la “tabella di marcia” compresa nell’Esortazione apostolica che il Santo Padre ci ha affidato.

    D. – Ricevendo ieri mattina lei e gli altri nuovi cardinali, insieme ai familiari e agli amici, Benedetto XVI ha lanciato un nuovo appello per la pace in Medio Oriente: nel farlo, si è rivolto direttamente a lei, in francese…

    R. – C’est vrai. Il a dit ça…
    E’ vero. Ha detto così. Noi abbiamo conservato tutti i discorsi e tutte le omelie che egli ha tenuto quando il Santo Padre è venuto in Libano. E’ veramente una tabella di marcia, quella che ci ha indicato, ed è per questo che ogni volta che lo ascoltiamo egli ci infonde coraggio, ci fa capire che non dobbiamo avere paura di fronte alle sfide e alle difficoltà che tutti conoscono. Sì, è vero: stiamo vivendo momenti molto difficili, con i conflitti che sono in corso, l’aumento dell’integralismo, la guerra, il terrorismo, le divisioni politiche… Malgrado tutto questo, però, c’è sempre la fiducia in Dio e nella Chiesa, che deve sempre rimanere messaggera di pace e di stabilità. Questo è quello che il Santo Padre ci ripete sempre. Il mio impegno – assieme a tutti i miei vescovi – è di essere all’altezza delle sue intenzioni.

    D. – Quando parla dei conflitti in Medio Oriente, pensa sicuramente alla situazione in Siria, ma anche al conflitto che c’è stato tra i militanti di Hamas e Israele. Immagino che questa situazione vi preoccupi in maniera particolare …

    R. – Sûrement. Surtout parce qu’elle a ses retombées chez nous, comme…
    Sicuramente, soprattutto perché ha delle ricadute qui da noi, sui cristiani e sulla regione intera. Noi ne siamo parte integrante: è come un sistema di vasi comunicanti. Noi siamo un’entità unica, qui in Medio Oriente, ed è per questo che di tutto quello che accade di brutto, in un Paese qualsiasi, noi subiamo le conseguenze – come pure subiamo le conseguenze del bene che accade. Siamo preoccupati per la Terra Santa, siamo preoccupati per la Siria, per l’Iraq, per l’Egitto, per il Libano perché purtroppo sta aumentando tanto il radicalismo. Noi dobbiamo portare un grande messaggio evangelico, da opporre all’integralismo e al fondamentalismo che stanno aumentando e sono sostenuti un po’ ovunque.

    D. – E’ proprio in questo contesto che lei è stato creato cardinale. E’ una responsabilità molto pesante…

    R. - C’est vrai. Nous avons fait cette lecture tous ensemble…
    E’ vero. Questa è la lettura che abbiamo fatto tutti. Ma questa responsabilità diventa più leggera, meno pesante, nel momento in cui questa è una visione comune di cristiani e musulmani.

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    Gmg, incontro preparatorio. Il card. Rylko: Rio è città simbolo dell'accoglienza

    ◊   Una “Gmg in miniatura”: è così che il cardinale Stanislaw Rylko ha definito l’incontro preparatorio del prossimo raduno mondiale dei giovani, in corso di svolgimento a Rio de Janeiro, la metropoli brasiliana che ospiterà l’evento il prossimo luglio alla presenza del Papa. Rafael Belincanta ha raggiunto telefonicamente a Rio il presidente del Pontificio Consiglio per i Laici:

    R. – Abbiamo dato inizio all’ultima tappa dei preparativi della prossima Giornata mondiale dei giovani a Rio de Janeiro, nel 2013. Questo incontro che stiamo vivendo a Rio, un incontro tra i responsabili della pastorale giovanile, è una Gmg in miniatura. Qui sono arrivati i rappresentanti delle Conferenze episcopali di 75 Paesi di tutti i continenti, di 40 associazioni e movimenti internazionali. Questo è il segno che ormai la Gmg è penetrata in maniera capillare nella vita della Chiesa, nella pastorale giovanile, e questo è un grande segno di speranza.

    D. – Mancano 238 giorni per la Gmg di Rio, adesso su cosa dobbiamo concentrarci, perché vada tutto bene?

    R. – I nostri preparativi si svolgono su due livelli: un livello organizzativo, logistico, che è molto importante naturalmente, e anche un livello spirituale, che è fondamentale, e cioè preparare i giovani ad andare a Rio per incontrare Cristo. Ed infatti il simbolo di questa città è proprio il Cristo del Corcovado con le braccia aperte, con il cuore pulsante d’amore verso tutti noi. Questa città è una città simbolo in questo senso. E’ Cristo che invita i giovani a venire all’incontro per essere la loro vita, la loro verità e la loro via.

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    Il cardinale Tauran all'inaugurazione del Centro Kaiciid per il dialogo tra religioni e culture

    ◊   “Lavorare e sostenere tutto ciò che favorisce la persona umana nelle sue aspirazioni materiali, morali e religiose”: il richiamo a tutti i credenti, lanciato dal cardinale Jean-Louis Tauran, inaugurando ieri sera a Vienna il nuovo Centro Internazionale per il Dialogo Interreligioso e Interculturale, Kaiciid, intitolato al re Abdullah Ben Abdulaziz, riconosciuto dall’Onu, quale organismo indipendente, fondato da Arabia Saudita, Austria e Spagna e al quale aderisce anche la Santa Sede in qualità di “Osservatore Fondatore”. A presenziare la cerimonia è stato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Il servizio di Roberta Gisotti:

    "Troppi leader religiosi – ha esordito Ban Ki-moon - hanno alimentato intolleranza, supportato estremismo e propagato odio.... Tuttavia sappiamo che incolpare l’altro non è una strategia politica per un Paese, un continente o un mondo sano". I leader religiosi, che “hanno un’influenza enorme” - ha aggiunto - “possono essere potenti forze per la cooperazione e la conoscenza”. Per questo, gli ha fatto eco, il cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, “siamo osservati” e tutti si aspettano dal nuovo Centro Kaiciid “onestà, apertura e credibilità”. Molti temi su cui dialogare, ha anticipato il porporato, che toccano i diritti umani fondamentali, a partire dalla libertà religiosa. La Santa Sede, - ha detto - è particolarmente attenta alla sorte delle comunità cristiane nei Paesi dove tale libertà non è adeguatamente garantita”. “Ogni essere umano è il nostro prossimo”, ha ricordato il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. In “questa notte della religione” – ha ammonito – che vede lacerati popoli e nazioni, è un messaggio che deve arrivare alle “leadership di tutte le religioni”, ai “pulpiti locali”, alle “strade di ogni città e villaggio”.

    Dunque speranze di pace e fratellanza in questo Centro Kaiciid, come hanno sottolineato mons. Camillo Ballin, vicario apostolico dell’Arabia del Nord e l'arcivescovo Policarpo, metropolita ortodosso di Spagna e Portogallo, al microfono del nostro inviato a Vienna, Christopher Altieri:

    R. – Quello che dico sempre ai nostri cristiani è di rispettare e di amare qualsiasi persona incontrano nella loro vita quotidiana. Quindi, di avere rapporti di amicizia con tutti e di conoscere il Paese in cui si trovano. Non si può amare un Paese se non lo si conosce. La speranza è che questo Centro possa portare i vari rappresentanti ad una discussione più franca, più concreta sui reali problemi e sulle possibili soluzioni.

    R. - La nostra partecipazione come ortodossi vuole sostenere questa iniziativa molto significativa, proveniente dall’Arabia Saudita. Non esiste altra alternativa al dialogo e all’avvicinamento. Da queste due realtà nasce la conoscenza e il rispetto e la parola greca “dialogo”, logos dia, sta a significare quando due persone si guardano faccia a faccia, si conoscono, si rispettano. La base, dunque, è conoscersi e rispettarsi.

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    Varsavia, Simposio per i 50 anni dal Concilio alla presenza del cardinale Tucci

    ◊   “Mezzo secolo dai Beatles, mezzo secolo dal Vaticano II”: è questo è il titolo del Simposio svoltosi ieri a Varsavia, che ha visto fra gli altri la partecipazione del cardinale Roberto Tucci e del giornalista vaticanista, Gianfranco Svidercoski. Il servizio da Varsavia del gesuita, padre Andrea Majewski:

    L’incontro è stato preceduto dalla proiezione del documentario prodotto dalla Rai, dal titolo “Il Concilio Vaticano II”. Il film, curato da Antonia Pillosio, presente a Varsavia, fa parte della serie delle puntate della serie Rai “La storia siamo noi”. Dopo la proiezione, si è sviluppato il dibattito tra i rappresentanti di tre generazioni: il testimone oculare del Vaticano II, Gianfranco Svidercoschi, figlio di quell’epoca, il teologo padre Zbigniew Kubacki, nato negli anni del Concilio, e “il nipote di quel grande evento ecclesiale”, rappresentante della giovane generazione, Misza Tomaszewski. Secondo Svidercoski, il Concilio non è cominciato con la solenne processione dei vescovi verso la Basilica di San Pietro, ma con le parole di Giovanni XXIII, rivolte alla folla la sera di quello stesso l’11 ottobre del 1962, quando il Papa incoraggiò i Romani a tornare a casa e a dare una carezza ai loro bambini. Dopo i secoli di separazione – ha affermato Svdercoschi – la Chiesa ha ricominciato di parlare la lingua comune della gente. Padre Kubacki ha notato l’apertura dei Padri conciliari all’azione dello Spirito che opera anche al di fuori della Chiesa Cattolica. Il più giovane dei partecipanti al dibattito, Misza Tomaszewski, ha contestato l’entusiasmo dei suoi interlocutori ponendo la domanda sul frutto concreto del Concilio. La Chiesa che si era autodefinita “il segno e lo strumento dell’unità di tutto il genere umano”: lo e’ davvero anche oggi, ha domandato? Né la situazione del mondo attuale, né le separazioni dentro della Chiesa lo confermano... Un ncontro dunque importante, con una discussione aperta. L’epoca dei Beatles appartiene al passato, ma l’epoca del Concilio?

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    20 anni del Catechismo: le tappe della Rivelazione di Dio all'uomo

    ◊   L’uomo capirebbe meglio se stesso se ricordasse che Dio all’inizio dei tempi lo ha invitato a stringere un’intima alleanza on Lui. Lo sostiene padre Dariusz Kowalczyk nella quinta puntata della sua rubrica dedicata ai 20 anni della pubblicazione del Catechismo, e in particolare all’esame delle pagine nelle quali si parla delle tappe della Rivelazione divina:

    Per conoscere Dio abbiamo bisogno che Dio stesso ci si riveli. E, infatti, Dio si è manifestato all’uomo. Il Catechismo, al numero 54, ci parla delle tappe della Rivelazione. Al principio Dio manifestò se stesso ai nostri progenitori invitando loro all’intima comunione (n. 54). E quell’invito non ci venne mai revocato. Nemmeno in seguito a quella catastrofe antropologica che chiamiamo peccato originale. Anche dopo la caduta dei nostri progenitori, Dio molte volte ancora ha offerto agli uomini la Sua alleanza.

    La storia di Noé è il primo testo biblico dove Dio costituisce un’alleanza con l’uomo. L’arcobaleno è il segno di quell’alleanza. «Disse Dio a Noè: “Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra” (Gn 9,17). Il Catechismo sottolinea che “L’Alleanza con Noè resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, fino alla proclamazione universale del Vangelo” (n. 59). Tale affermazione ci fa pensare a una frase misteriosa del Vangelo di Luca: “Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti” (Lc 21,24).

    L’altra alleanza è quella con Abramo. “In te saranno benedette tutte le nazioni della terra” (Gn 12,3), disse Dio ad Abramo. Il popolo che da lui discende, infatti, sarà depositario delle promesse fatte ai patriarchi, e diventerà il popolo eletto. Con quel popolo Dio costituisce l’Alleanza di Sinai, dandogli, tramite Mosè, il Decalogo: dieci parole di vita.

    Le alleanze raggiungono la loro pienezza nella persona di Gesù Cristo che “è la Parola unica, perfetta e definitiva” (CCC, 65) di Dio Padre.

    Dobbiamo dunque ricordarci che facciamo parte delle alleanze costituite da Dio con gli uomini. Così potremo più facilmente ritrovare il senso della nostra vita: nella storia di Noè, di Abramo, e soprattutto di Gesù, il Rivelatore e la Rivelazione fatta persona.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo “Cultura e ragione in difesa dell’umano”: riuniti a Roma i comitati europei di bioetica.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la protesta dell’opposizione egiziana per la svolta autoritaria.

    La navigazione della fede: in cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi su un itinerario tra razionalità pura e intuizione metafisica.

    Elia Dalla Costa, il cardinale giusto: il riconoscimento della comunità ebraica.

    Dove pende la bilancia: Carlo Bellieni sui diversi modi in cui i media parlano della fecondazione in vitro e della sterilità in aumento.

    Quel trapianto di rene da vivente che cambiò la storia della medicina: Giulia Galeotti ricorda il chirurgo statunitense Joseph Murray, morto a 93 anni.

    Il ritorno della Tavola Doria: Louis Godart, consigliere del presidente della Repubblica italiana per la conservazione del patrimonio artistico, sulla tavola cinquecentesca rientrata in Italia dopo complesse vicissitudini che nei secoli avevano portato l’opera in Giappone.

    Quello che la religione offre per la felicità di ognuno: nell’informazione religiosa, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, all’inaugurazione, a Vienna, del Centro per il dialogo tra fedi e culture (Kaiciid).

    Quella volta c’ero anch'io: nell’informazione vaticana, un articolo sul certificato filatelico esclusivo e personalizzato per sostenere il restauro del colonnato di San Pietro.

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    Oggi in Primo Piano



    Gaza. Negoziati aperti al Cairo. Da Hamas sostegno ad Abu Mazen

    ◊   Come previsto dalla tregua siglata il 21 novembre, si avviano oggi al Cairo i negoziati indiretti tra Israele e il movimento palestinese di Hamas in merito al blocco della Striscia di Gaza, quindi la questione dei valichi e del collegamento economico con la Cisgiordania. Intanto, da Hamas giungono segnali di un cambiamento sia nei rapporti con l’Iran sia nei confronti del leader Anp, Abu Mazen, a partire dall’appoggio al presidente nella richiesta all’Onu di elevare lo status della Palestina a quello di “Paese osservatore”. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Paola Carìdi, analista e autrice del libro Hamas edito dalla Feltrinelli:

    R. – L’appoggio è arrivato da Khaled Meshaal, che è ancora il numero due dell’ufficio politico di Hamas, e non è ancora arrivato da un’ala molto forte del movimento islamista palestinese e cioè quella di Gaza. E’ comunque un appoggio importante, perché sostiene Abu Mazen in una fase di estrema debolezza dell’Autorità nazionale palestinese e soprattutto del suo presidente, messi in un angolo nelle trattative per la tregua di Gaza, che si sono comunque svolte tra Israele e Hamas.

    D. – Può essere un segno di riconciliazione?

    R. – Tra Fatah e Hamas è una lunga storia di alti e bassi, di accordi firmati, riconciliazioni quasi fatte che poi si rompono. Né Fatah né Hamas hanno ancora fatto pace con la possibilità di ricominciare a far politica oltre Arafat condividendo il potere. Quello che può succedere è che la pressione regionale più che internazionale sia talmente forte da costringere Hamas e Fatah a riconciliarsi sul serio e non solamente a firmare accordi.

    D. – Qualora Abu Mazen ce la faccia all’Onu, nella sua proposta ha garantito che avrebbe riallacciato i rapporti con Fatah. Potrebbe essere questo uno spunto adatto?

    R. – Può essere un buon incentivo, ma bisogna pensare non tanto a una riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma pensare a una riconciliazione della Palestina, che è una cosa ben diversa. Della riconciliazione fa parte anche la libertà di movimento fra Gaza e Cisgiordania, che sarebbero altrimenti due entità completamente separate l’una dall’altra.

    D. – Nello stesso tempo, però, si segnala la dichiarazione sia del leader politico Meshaal di visitare la Striscia per la prima volta il prossimo 5 dicembre, in occasione del 25.mo dalla fondazione di Hamas, sia dall’altra l’invito che per la prima volta è arrivato all’Iran, proprio da parte di Hamas, a cambiare l’atteggiamento nei confronti della Siria. Come spiegarlo?

    R. – Io credo che Meshaal continui a seguire una linea, quella di presentarsi come un leader palestinese e non come un numero uno di Hamas. Questo significa un salto di qualità. Segnala anche, però, che una parte di Hamas – la parte maggioritaria – tenta di farsi sdoganare attraverso una posizione, se si vuole, più pragmatica e moderata di quanto lo sia stata prima del 2005, attraverso cioè un’alleanza con i Paesi della regione dove l’islam politico ha vinto o che sono già rappresentativi dell’islam politico. Vuol far comprendere che di questo nuovo scenario fa parte integrante. Non è un caso che il numero due di Hamas, Abu Marzouk, abbia fatto un passo ulteriore dicendo all’Iran di non appoggiare più la Siria di Bashar al-Assad.

    D. – Addirittura, ha detto che la posizione iraniana nel mondo arabo non è più popolare...

    R. – Certo, perché Hamas ha preso una decisione ben precisa. Hamas è un movimento estremamente pragmatico. Quando sono cominciate le rivoluzioni arabe ed è cominciata la sollevazione in Siria, Hamas si è trovato in una posizione di estremo disagio politico. Quelli dell’ufficio politico sono stati in bilico per mesi, salvo poi decidere di abbandonare Damasco. Con una decisione appunto estremamente pragmatica, se ne sono andati segnalando in questo modo che avevano scelto la rivoluzione e avevano rotto un’alleanza decennale, ma che era un’alleanza tattica, come è sempre stato tra Hamas ed i Paesi che l’hanno sostenuto. Ha deciso quindi di rompere quest’alleanza. A questo punto dice all’Iran: “Guardate, per noi la linea vincente è quella alla quale apparteniamo, è quella dell’islam politico, che vince nelle rivoluzioni, dunque non appoggiate più neanche voi Bashar al Assad se volete fare parte di questo nuovo scenario regionale”.


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    Accordo Eurogruppo-Fmi sugli aiuti per la Grecia

    ◊   A Bruxelles, dopo quasi tredici ore di lavori, l'Eurogruppo e il Fmi hanno raggiunto l’accordo per ridurre il debito della Grecia e sbloccare una nuova tranche di aiuti. La decisione sarà formalizzata a dicembre. Soddisfazione del presidente del Consiglio greco, Antonis Samaras. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    La Grecia plaude all’accordo tra Eurogruppo e Fondo monetario internazionale (Fmi) sui 43,7 miliardi di euro di aiuti che saranno formalizzati il 13 dicembre, dopo che i parlamenti nazionali, tra cui quello tedesco, si saranno pronunciati e dopo che “ci sarà stata una valutazione di una possibile operazione di “buyback”, ovvero di riacquisto di titoli, da parte di Atene stessa. Dopo più di dodici ore di confronto, è stato varato un mix di misure per risollevare il Paese ellenico, tra cui il taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali, una moratoria di 10 anni sui tassi dei finanziamenti concessi dal Fondo salva-Stati, un'estensione di 15 anni delle scadenze dei prestiti e uno slittamento di 10 anni per i pagamenti degli interessi. Inoltre, gli Stati rinunciano ai loro profitti sui bond greci e li verseranno direttamente ad Atene in un conto bloccato. Infine, il Fondo ha acconsentito a rivedere la soglia del debito: l'obiettivo iniziale del 120% entro il 2020 è stato portato al 124%, per poi scendere drasticamente al 110% nel 2022. Soddisfazione per la maratona notturna a Bruxelles è stata espressa dal presidente del Consiglio greco, Antonis Samaras. “Tutti i greci hanno lottato insieme per questa decisione - ha detto - domani sarà un giorno nuovo”. Lo stesso direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha sottolineato che “le iniziative varate puntano ad appoggiare il programma di riforme economiche di Atene e contribuiscono in modo sostanziale alla sostenibilità del suo debito”. Da parte sua, il presidente dell'eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha evidenziato che le misure “prevedono sforzi da parte di tutti”.

    Sulla decione di Bruxelles abbiamo raccolto il commento del collega greco, Dimitri Deliolanes:

    R. - E’ una boccata di ossigeno e va nella direzione giusta. Il paradosso è che nel 2010 è stata la Germania a voler coinvolgere il Fondo monetario internazionale negli affari dell’Eurozona e adesso è proprio Berlino a doversi scontrare con le proposte del Fmi. E questo la dice lunga sulla mancanza di un’adesione a lungo termine da parte della leadership tedesca.

    D. - La Grecia è messa nella condizione di poter sviluppare una propria economia, oppure è una mera boccata di ossigeno?

    R. – Si è allentato il "cappio" del debito e dei tassi di interesse da dover soddisfare immediatamente, prima ancora di dover immaginare di investire nello sviluppo. Però, ovviamente, né il governo greco né tantomeno i governi europei sono in grado oggi di definire una strategia programmatica. E’ stato fatto il primo passo: non c’è l’ansia di restituire il debito e i suoi interessi, ma c’è ancora da definire insieme con i partner europei, tutti quanti insieme, una vera strategia di sviluppo.

    D. - All’interno della Grecia, però, ci sono state anche delle resistenze nei confronti delle proposte di Samaras per i piani di austerità...

    R. - Ci sono state fortissime resistenze e, infatti, c’è stata la solenne promessa dello stesso premier Samaras che queste misure durissime, approvata qualche settimana fa, saranno le ultime. E adesso le perplessità riguardano se questa boccata di ossigeno esigerà delle nuove misure di austerità. Per il momento, il governo greco smentisce categoricamente questa ipotesi, ma noi sappiamo che queste cose non le annuncia il governo greco, ma la trojka (Ue, Bce, Fmi), che visita periodicamente la Grecia.

    D. - I cittadini greci sarebbero disposti ad accettare altre restrizioni?

    R. - No, assolutamente no. C’è il fortissimo rischio di una profonda destabilizzazione sociale e politica della Grecia: c’è tanta violenza, c’è tanta rabbia, c’è tanta disperazione che potrebbe esplodere. Assistiamo già a fenomeni di razzismo crescenti e abbiamo una criminalità dilagante: se dovessero comprimere ancor di più la società greca, non so quale sarebbe il futuro del Paese.

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    Nigeria: Boko Haram chiede il dialogo con il governo di Abuja

    ◊   E' di 17 morti e 30 feriti il nuovo bilancio ufficiale delle vittime dell'attentato di domenica scorsa alla chiesa cristiana di Sant'Andrea, situata all'interno di un complesso militare, nello Stato nigeriano di Kaduna. Principale sospettato dell’azione terroristica, il gruppo fondamentalista Boko Haram. E proprio dall’ala moderata del famigerato movimento, che da tempo sta seminando morte nel Paese africano, giunge oggi la proposta di aprire il dialogo con il governo di Abuja. Su questa iniziativa, Giancarlo La Vella ha intervistato Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi africani all’Università di Torino:

    R. – Il movimento nasce nel 2002 e man mano cresce e si diffonde nel Paese. Nel frattempo, ci sono stati segnali nel passato che indicano che il movimento si sia articolato e forse non è più la realtà compatta di quando è nato e contava poche centinaia di aderenti. Il portavoce di questa ala moderata che si offre per trattare con il governo, perché questa offerta abbia un significato, un valore, dovrebbe avere un peso importante all’interno di un movimento, che negli anni si è sviluppato, si è qualche volta diviso, e che effettivamente può presentare anime diverse, più o meno disposte a trattare con il governo.

    D. – E’ ammissibile che una parte sia pur moderata di Boko Haram possa proporre il dialogo quando, praticamente fino a poche ore fa, il movimento ha parlato a suon di attentati e di violenza?

    R. – In effetti, questo è un altro punto interrogativo di un movimento che nasce per contrastare nel modo più duro e radicale la civiltà occidentale e tutto ciò che questa civiltà rappresenta e che, da quando è nato, ha dimostrato una netta volontà sempre più decisa e spietata, come dimostrano le cifre delle vittime negli ultimi tre anni.

    D. - Quali sono i reali obiettivi di Boko Haram?

    R. – E’ indiscutibile l’ostilità e la volontà aggressiva di Boko Haram nei confronti dei cristiani. E’ altrettanto vero che scopo del movimento, fin da quando è nato, è ottenere che la Nigeria - che è un Paese diviso in due, perché la metà settentrionale è abitata da popolazioni prevalentemente islamiche, mentre quella meridionale da popolazioni prevalentemente cristiane e animiste - diventi veramente un Paese islamico e adotti la sharia come legge della nazione.

    D. – In questa situazione, sembra ci sia poco spazio per un intervento internazionale, sia pure a livello diplomatico…

    R. – Penso di sì perché i problemi sono interni e all’interno vanno affrontati e risolti. Il fattore decisivo per intravedere una soluzione o comunque un miglioramento della situazione in Nigeria è il consenso che Boko Haram ha all’interno del Paese. Il presidente Goodluck Jonathan, quasi un anno fa, aveva lanciato un allarme drammatico, sostenendo che il movimento ha radici, sostenitori e infiltrati in ogni settore della società e delle istituzioni, inclusi l’esercito, i servizi segreti, le forze dell’ordine, i funzionari e il mondo politico. Una visione non meno preoccupata, ma meno meno drammatica, è stata proposta in questi giorni dall’arcivescovo di Abuja, Onaiyekan, appena nominato cardinale, che invece ritiene molto limitato il consenso di questo movimento e che vede e, d’altra parte sollecita da mesi, se non da anni, nel dialogo una via d’uscita.

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    Ilva. Clini si dice fiducioso, mons. Santoro: non lasciare soli i tarantini

    ◊   Si fa sempre più tesa la situazione all’Ilva di Taranto, dove l’azienda ha deciso di chiudere lo stabilimento. In segno di solidarietà con i colleghi pugliesi i lavoratori del sito produttivo di Genova hanno bloccato un casello autostradale. Intanto il ministro dell’Ambiente, Clini, si dice fiducioso del fatto che giovedì ci possa essere un accordo, nell’incontro a Palazzo Chigi con l’azienda. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il ministro Clini afferma che non mollerà. Suo obiettivo è far applicare appieno le raccomandazioni contenute nella procedura Aia per far coincidere tutela della salute e lavoro. Ma Clini se la prende anche con la magistratura, che ieri ha arrestato sette dirigenti. Di qui la decisione dell’azienda di chiudere. Per il ministro, l’obiettivo della procura di Taranto è bloccare l'attuazione dell'Aia. Intanto, i sindacati continuano lo sciopero. Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl, aspetta un decreto del governo, giovedì:

    “Che dia forza alla autorizzazione integrata ambientale, che peraltro è stata già approvata da tutti i ministeri e da tutte le istituzioni competenti, che ovviamente vincoli l’azienda al rispetto di tutte le bonifiche e di tutti gli interventi contro l’inquinamento e contro la nocività ambientale; e, dall’altra, dia garanzia alla magistratura che questi interventi si facciano veramente, tenendo aperti gli impianti: con gli impianti chiusi, purtroppo, non si fa alcuna bonifica, perché non c’è la possibilità concreta di dare agli investimenti l’operatività e la effettività”.

    Lo stesso governo si è detto pronto a un intervento legislativo d’urgenza. La Chiesa in questo momento, come in altri, è vicina ai lavoratori. Il vescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro:

    “L’iniziativa dello Stato sia chiara. In questo momento i tarantini non possono essere lasciati da soli. L’iniziativa è proprio nelle mani dello Stato, allo Stato fa capo la magistratura, allo Stato fa capo il governo e allo Stato deve rispondere anche l’impresa”.

    Sono a rischio i posti di almeno 11 mila addetti che lavorano a Taranto e tutta l’industria siderurgica italiana.

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    Pena capitale: ministri della giustizia dei Paesi abolizionisti in un convegno di Sant'Egidio

    ◊   Ministri della giustizia e rappresentanti governativi di diversi Paesi abolizionisti, testimoni diretti e sopravvissuti ai bracci della morte si sono riuniti oggi a Roma per ribadire il no alla pena capitale in un convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, dal titolo “Per un mondo senza pena di morte”. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Attualmente, sono circa 150 i Paesi che hanno abolito la pena capitale: tra gli ultimi, la Mongolia e, negli Usa, gli Stati dell’Illinois e Connecticut. Soltanto pochi giorni fa, il 19 novembre, all’Onu è stata approvata con 110 voti favorevoli una risoluzione che chiede una moratoria della pena capitale. Si procede quindi in un a direzione che potrebbe portare alla fine di uno dei peggiori abomini di Stato. Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio:

    R. – L’abolizione della pena di morte va avanti, nel mondo. Quest’anno, per fortuna, sono state eseguite quasi mille condanne a morte in meno. Sebbene il numero delle persone uccise – 5.000 secondo i dati che abbiamo – sia terribile, tremendo, questo ci fa riflettere sul fatto che la lotta sarà lunga, avrà bisogno di pazienza e di fedeltà. Ma la Comunità di Sant’Egidio è mobilitata con tutti i suoi membri nei 73 Paesi del mondo dove si trova, per vincere questa battaglia a tutti i livelli, a livello di società civile e a livello politico, degli Stati.

    D. – La Comunità di Sant’Egidio ha sottolineato la ripresa in India delle esecuzioni: il 21 novembre scorso, è stato messo a morte uno degli attentatori di Mumbai. E si è trattato della prima esecuzione in India dal 2004. Come interpretare questo segnale?

    R. – E’ da interpretare nel senso che i rigurgiti di applicazione di questa pena, che ormai è anacronistica oltre ad essere terribile, ci sono. E quindi occorre tenere alta l’attenzione del mondo, degli Stati, anche attraverso le Nazioni Unite. Per questo c’è il Convegno, qui a Roma. Non bisogna mai abbassare la guardia, c’è troppa violenza in questo mondo e ci sono troppi sistemi di risposta che vengono concepiti, da parte dello Stato, come una vendetta. Noi dobbiamo ribadire il nostro "sì" alla vita, il nostro "viva la vita", e non "viva la morte", come invece la pena di morte dice nel mondo. Dunque, Sant’Egidio ha scoperto – lavorando in questi anni – come la pena di morte sia anche una condanna razzista, perché negli Stati Uniti vengono messe a morte sostanzialmente persone di colore, persone povere. E’ una condanna diseguale, che non tiene conto dell’uguaglianza degli uomini, perché vengono uccisi i poveri. Insomma, ci sono tanti e tanti veleni della giustizia in questa pena di morte, che realmente va abolita.

    D. – Impagliazzo, si riuscirà ad arrivare ad una moratoria universale?

    R. – Noi siamo cristiani, abbiamo fede e lo crediamo. Abbiamo grande fiducia che questa mobilitazione continui, perché ormai ha coinvolto milioni e milioni di persone. E io penso che quando si muovono i cittadini, le associazioni, le comunità, ci sono dei movimenti profondi nella storia che porteranno belle sorprese.

    Tamara Chikunova è stata una delle ospiti illustri del convegno di oggi. Il suo lavoro e quello dell’Associazione da lei fondata, "Madri contro la pena di morte e la tortura", ha portato all’abolizione della pena capitale nel suo Paese, l’Uzbekistan. Tamara, cristiana ortodossa, ha visto condannare a morte il suo unico figlio per un delitto non commesso. Era il 2000 e Dimitrij aveva 28 anni:

    R. – (parole in russo)...
    E’ stato molto difficile decidere di lottare contro la pena di morte, di restare in questa vita e lottare. Sarebbe stato molto più facile, forse, andarsene. Non è tanto perché il lavoro è tanto difficile, ma semplicemente perché nel 2000, il 10 luglio, è stato fucilato in una prigione di Tashkent, in tutto segreto, il mio unico figlio. Mio figlio è stato condannato a morte ingiustamente, accusato di un omicidio che non aveva commesso. Lui non voleva firmare la confessione e a quel punto hanno arrestato me. L’avevano torturato, l’avevano picchiato, avevano usato una maschera antigas togliendogli la possibilità di respirare. Quando ha saputo che avevano arrestato sua madre, che avevano minacciato di farle del male, ha firmato la propria condanna a morte in cambio della mia vita. Anche se abbiamo nutrito qualche speranza in una sentenza giusta, così non è stato. Chikunov Dimitrij, cittadino russo, cristiano, nato a Berlino, 28 anni: questa persona non aveva alcun valore per la società, non aveva nessuna possibilità di essere riabilitato nei luoghi di detenzione. Pertanto, veniva condannato a morte.

    D. – Tamara, ma con questo enorme dolore nel cuore come ha fatto ad andare avanti e addirittura a creare un’associazione, a impegnarsi per salvare le vite degli altri ragazzi, degli altri detenuti? Dove ha preso la forza?

    R. – (parole in russo)...
    Per i primi due anni, anche se avevo già creato la mia organizzazione e incominciato a portare alla luce alcuni casi di persone detenute in attesa di condanna a morte, ho vissuto anche una forte lotta interiore, perché il desiderio di vendicarmi personalmente su chi mi aveva tolto l’unico figlio era molto forte. Solo dopo, ho realizzato che forse avrebbe potuto essere più importante aiutare le persone che erano ancora detenute in quelle celle dei condannati a morte.

    D. – Esattamente, voi come Associazione, cosa facevate, che lavoro portavate avanti?

    R. – (parole in russo)...
    Ci sono state altre situazioni orribili. Io sono giurista, ho lavorato anche sui casi delle persone condannate a morte. A volte, non abbiamo fatto in tempo a fare annullare la sentenza che la condanna veniva eseguita. E ho dovuto informare i genitori, le madri, i padri, di queste persone, ho dovuto dirglielo io, perché il nostro Stato non ritiene opportuno svelare il segreto, perché l’esecuzione avviene in segreto. Quindi, ho dovuto io svolgere la funzione dell’"angelo della morte", guardando negli occhi le madri e rivivere ogni volta la morte di mio figlio. Non augurerei nemmeno al mio peggior nemico una missione di questo genere. Quando poi rimanevo da sola, piangevo, urlavo, dicevo: “Signore, per quale motivo devo portare questa croce? Non posso vivere ancora, non posso rimanere in vita!”. Poi, arrivava la mattina, mi alzavo e pensavo che nelle celle dei condannati a morte c’erano tanti altri giovani, ed era come se fossero tutti figli miei, che aspettavano qualcosa da me, da tutti noi. E se noi non fossimo riusciti a fare niente per loro, sarebbero morti anche loro. E’ una strada molto difficile. Ovviamente, non avrei potuto percorrerla completamente da sola: la Comunità di Sant’Egidio mi ha aiutata tantissimo, da tutti i punti di vista. Mi ha permesso di continuare a vivere in questo Paese per me terribile, che è l’Uzbekistan, e di svolgere la mia funzione sociale, di lavorare, proteggendomi e garantendomi anche l’incolumità personale, senza la quale avrebbero anche potuto farmi fuori. E’ quindi grazie a loro che sono riuscita ad andare avanti, comunque.

    Marat Rakhmanov è stato arrestato alla fine degli anni ’90, mentre era in Uzbekistan in vacanza dalla sorella. Anche lui, come Dimitrij, è stato condannato a morte per un delitto non commesso. In prigione ci è rimasto nove anni: per 13 mesi è stato rinchiuso nel braccio della morte. E’ stato rilasciato grazie al lavoro di Tamara e dell’Associazione:

    R. – (parole in russo)...
    Per costringermi a rilasciare delle dichiarazioni e ad ammettere la mia colpa, assieme a me hanno imprigionato mia sorella con il suo bambino di un anno e mezzo. Io ho dovuto quindi firmare documenti che mi accusavano in cambio della liberazione di mia sorella e di suo figlio. Nella Repubblica dell’Uzbekistan questo è considerato un metodo normale, se così si può definirlo, utilizzando questo sistema esercitano pressioni sull’accusato.

    D. – E’ stato torturato nel periodo di detenzione?

    R. – (parole in russo)...
    Nel corso dei 13 mesi di detenzione, mi hanno picchiato regolarmente: proprio botte, ma forti! Le mie mani sono state tagliate con vari strumenti; ho problemi alla schiena dopo che mi hanno picchiato tanto, e devo dire che il mio fisico mi ricorda sempre, ogni giorno, tutto quello che ho passato tanti anni fa, nel corso di questi 13 mesi. Uno volta uscito, poi, per due settimane sono stato, per così dire, in prigione a casa di Tamara, perché lei mi difendeva e mi nascondeva in modo che non mi accadesse nulla. La difesa di Tamara è stata molto buona, perché i poliziotti hanno anche tentato di entrare in casa sua pur di trovarmi.

    D. – Nel 2008 è uscito. In questi quattro anni, anche lei ha iniziato a lavorare nell’Associazione per lottare contro la pena di morte?

    R. – (parole in russo)...
    Dopo tutto quello che ho passato psicologicamente, ma anche con i problemi fisici che sono rimasti dopo le percosse, avevo bisogno di un po’ di tempo per superare questo periodo. Anche adesso, parlando con lei, ricordando tutto quello che mi è successo, magari lei non se si accorge dalla mia espressione, ma dentro di me soffro, perché è dolorosissimo perfino ricordare quello che è successo. Per lavorare in strutture di questo genere, servono persone molto forti. Io, al momento attuale, potrei solo essere testimone di quello che è successo. Ancora non sono pronto a lottare, a lavorare. Ho bisogno di un po’ di tempo, non solo per superare i problemi di carattere fisico e psicologico; ho bisogno di superare quel momento in cui vorrei scagliarmi di persona contro le persone che mi hanno accusato. Devo riuscire a raggiungere quello stato d’animo per cui il mio impegno sarà lottare contro il sistema, che accusa e ammazza le persone.

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    “Medici Senza Frontiere” si racconta in una raccolta di lettere e testimonianze

    ◊   “Noi non restiamo a guardare”: è il titolo di un volume che racconta la vita e l’impegno di “Medici Senza Frontiere” nel mondo. Il libro, edito da Feltrinelli, verrà presentato stasera a Milano ed è articolato in una quarantina di lettere scritte dagli operatori umanitari a parenti e amici. Parte del ricavato della vendita andrà a sostegno dei progetti dell’organizzazione medico-umanitaria. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Enrica Picco, operatrice di “Medici Senza Frontiere” e tra gli autori del volume:

    R. – Il progetto è quello di dare voce a tutti gli operatori umanitari di “Medici Senza Frontiere” che ogni giorno, a migliaia, lavorano sul terreno, in posti spesso lontani, remoti, da cui è difficile far uscire testimonianze. Il mezzo che si è scelto è la lettera scritta - dall’Africa, dall’Asia, dal Sud America, dai vari progetti di “Medici Senza Frontiere” - ad amici o parenti che sono rimasti a casa, per cercare di condividere con loro momenti positivi o momenti negativi, momenti difficili, che viviamo un po’ tutti i giorni nei vari luoghi e che certe volte è difficile, appunto, condividere. Con queste lettere abbiamo cercato di andare oltre a questo distacco.

    D. - Nel libro c’è anche una sua lettera. Che cosa racconta in particolare?

    R. - Io racconto la mia esperienza in Repubblica Centrafricana dove ho lavorato quasi due anni. E’ un Paese di cui si parla davvero raramente. La situazione sanitaria lì è veramente disastrosa. Io racconto di un bambino che si ammala di malaria, che è la prima causa di morte nel Paese e che è una malattia assolutamente curabile se diagnosticata e trattata in tempo. Ma il problema è che il sistema sanitario del Paese praticamente non esiste. In più, l’accesso ai pochi centri sanitari esistenti è reso ancora più difficile dal conflitto latente in quasi tutto il Paese perché lo Stato non ha praticamente il controllo del territorio. Le difficoltà sono enormi. Una mamma deve lasciare i suoi bambini a casa, deve accompagnare il suo unico figlio malato e camminare per 20 o 30 km, per arrivare in un centro dove non ci sono medicine o dove non c’è personale sanitario e quando arrivano, per la maggior parte dei casi, è troppo tardi.

    D. – Cosa spera che questo libro darà a chi lo leggerà?

    R. – Speriamo di avvicinare le persone a parti del mondo, a contesti, che sono lontanissimi dalla nostra realtà quotidiana. Speriamo di trasmettere l’emozione che proviamo ogni giorno e quindi di rendere questi contesti così lontani così diversi anche un po’ più vicini e comprensibili.

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    Il cardinale Dalla Costa " Giusto tra le nazioni": salvò centinaia di ebrei dai nazisti

    ◊   Il cardinale Elia Angelo Dalla Costa, arcivescovo di Firenze durante la Seconda guerra mondiale, e' stato riconosciuto 'Giusto fra le Nazioni' dal Museo dell'Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme per aver salvato centinaia di ebrei. Il suo nome sarà dunque impresso nella "Parete dell'Onorè" nel Giardino dei Giusti del Museo, aggiungendosi agli oltre 500 nomi italiani presenti. Ma che ricordo ne abbiamo e quali le sue azioni più importanti durante la guerra? Gabriella Ceraso lo ha chiesto all'autore di una sua biografia, Don Silvano Nistri:

    R. – Prima di tutto era un uomo la cui virtù fondamentale era la fede. Era un uomo di grande preghiera, un asceta, un uomo che viveva di Dio. Naturalmente, poi, aveva questa grande disponibilità che gli veniva dal suo coraggio interiore.

    D. – Un grande coraggio, una grande testimonianza, che diede anche quando Hitler entrò a Firenze e lui chiuse il Palazzo vescovile...

    R. – Lui chiuse il Palazzo e andò via e quello fu l’unico palazzo in Piazza del Duomo ad essere chiuso. Non accettò bandiere.

    D. – Quindi, un atto chiaro di resistenza?

    R. – Sì, una testimonianza.

    D. – Il cardinale si pronunciò poi tante volte contro le leggi razziali e anche contro la tortura, ma oggi lo Yad Vashem lo riconosce in maniera particolare per un ruolo svolto nei confronti degli ebrei. Perché questo ruolo così prezioso?

    R. – Perché fece aprire le porte dei conventi per nascondervi le persone. Nell’ottobre e novembre del ’43 ci fu subito la presa di coscienza di fronte alle tante richieste di aiuto da parte dei tanti perseguitati. Lui fece subito un comunicato sul bollettino della diocesi, dove in nome della carità evangelica e della fraterna ospitalità si riportava: “Non rendiamoci colpevoli di rifiuti amari a chi soffre pene inenarrabili”. Questo portò subito alla costituzione di un comitato ebraico-cattolico, che si può presumere abbia assistito almeno 300, 400 persone.

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    “Solo l’amore resta”: l’ultimo libro di Chiara Amirante sulla sua vita e Nuovi Orizzonti

    ◊   “Solo l’amore resta”: è il titolo dell’ultimo libro di Chiara Amirante, fondatrice del movimento “Nuovi Orizzonti”. Il volume, edito da Piemme, racconta la sua vita e il suo impegno per portare la speranza cristiana a quanti sono caduti “nell’inferno della strada” e della droga. Proprio da qui, muove l’intervista di Emanuela Campanile a Chiara Amirante:

    R. - Il passaggio dall’inferno in cui ti può portare una sostanza con cui cerchi di coprire un malessere, un vuoto, una mancanza di amore o semplicemente una dipendenza in cui sei finito, pensando di stare meglio, non è così semplice! In questi anni, però, abbiamo visto il miracolo di migliaia e migliaia di giovani, che vivevano nelle strade per i più svariati motivi, passare dalla morte alla vita e percorrere poi le stesse strade per testimoniare che da certi inferni è possibile uscire.

    D. - C’è un riavvicinamento di questi giovani alle loro famiglie d’origine?

    R. - Un riavvicinamento alle famiglie di origine c’è. Non possiamo neanche dare tutte le colpe alle famiglie, perché tanti dei ragazzi che io ho incontrato e conosciuto in strada vengono da famiglie meravigliose, da famiglie che li hanno amati, che hanno dato loro dei valori: purtroppo, però, questi ragazzi si sono lasciati un po’ abbagliare dal “sesso-droga-rock and roll”, dallo sballo e dal piacere si finisce poi in circoli di dipendenza, che sono assolutamente terribili. A volte, quindi, c’è un errore dei genitori, dovuto anche dalla vita superstressante che siamo costretti a fare e che non è certamente più a misura di famiglia, per cui il genitore non riesce a dare l’amore necessario. A volte, però, c’è il problema opposto: ci sono ragazzi che sono super viziati, che non sono abituati ad avere quei giusti “no” e che non hanno il senso di ciò che è giusto e di ciò che non è giusto, di ciò che è bene e di ciò che non è bene e questo li porta, il più delle volte, a finire in giri che non sono certo dei migliori. Ho conosciuto tanti ragazzi in strada che provenivano dai quartieri “in” di Roma, che avevano avuto di tutto di più e che poi i soldi li avevano cominciati ad usare per comprare cocaina, per sentirsi più grandi, più forti, più, più, più… Poi, però, si sono ritrovati, meno, meno meno!

    D. - In un passo del tuo libro, dove racconti la tua esperienza di vita, il tuo scoprire e il tuo riscoprire Dio anche e soprattutto nei più sofferenti, scrivi: “In quei mesi mi sono convinta che il matrimonio non soltanto non ostacolava la donazione radicale a Dio, ma anzi era una vita di santità meravigliosa e forse particolarmente urgente per questi tempi in cui Satana si è - come non mai! - scatenato contro la famiglia”….

    R. - Io sono assolutamente convinta di questo, perché siamo abituati - come cristiani - a vedere la vita di consacrazione nel celibato come una via di seria A. E il matrimonio? Sì, tutti ci sposiamo… Però ci dimentichiamo che Maria, che è stata “la” consacrata per eccellenza, è stata sposa dello Spirito Santo, ha vissuto in uno stato che è quello matrimoniale e Dio ha voluto ricordarci l’altezza, la grandezza, la sacralità di questa chiamata! Oggi come oggi la famiglia è veramente attaccata sotto tutti i punti di vista: laddove viene minata la famiglia, viene minata la cellula base della società. La famiglia è assolutamente sotto attacco: siamo nella società dell’apparire, del narcisismo, dell’egocentrismo, del consumismo e siamo quindi sempre più incapaci di amare! L’usa e getta continua ad inquinare le relazioni e questo mina assolutamente la base della famiglia. Devo dire che quando ci sono delle famiglie, in cui sia il marito che la moglie si impegnano in un cammino di donazione non solo verso i propri figli, ma anche verso gli altri, sono capaci di fare cose fantastiche. I nostri ragazzi accolti nelle comunità, laddove trovano delle famiglie che, in qualche modo, gli fanno da mamma e da papà, hanno delle guarigioni interiori che non erano riusciti ad avere in dieci anni di psicanalisi.

    D. - Perché hai scritto questo libro, come dice Andrea Bocelli nella prefazione, “senza pudori”?

    R. - L’ho scritto fondamentalmente per due motivi. Il primo: quando scopri qualcosa di grande, che riempie la tua vita di senso e di significato e soprattutto quando scopri una gioia capace di resistere alle prove più terribili della vita, così come mi è capitato di sperimentare, senti il bisogno di condividere questo dono e di condividerlo soprattutto con chi queste gioie e questa pienezza l’ha persa. L’altro motivo è consegnare tutte le lacrime del popolo della notte, raccolte in questi anni, con la certezza che, appunto, solo l’amore resta e che l’amore può dischiudere nuovi orizzonti a chi è nell’inferno!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nunzio a Damasco: non dimenticate i siriani e pregate per loro

    ◊   "Le violenze in Siria rischiano di diventare un conflitto dimenticato. All'inizio i morti facevano notizia. Ora le vittime aumentano di giorno in giorno, si parla anche di centinaia di uccisi, ma nessuno dice nulla, è ormai una routine. Come tutte le guerre anche per quella siriana ci sarà l'oblio". Con questa drammatica confessione mons. Mario Zenari, nunzio vaticano in Siria, descrive all'agenzia AsiaNews il dramma della popolazione di Damasco, l'ultima città in ordine di tempo ad essere entrata ufficialmente in guerra. "A causa dell'embargo - spiega - è difficile far giungere aiuti umanitari, ma nell'imminente periodo di Avvento invito tutti a pregare per la Siria, a dedicare un momento della giornata alle sofferenze di questa gente. Non lasciamo che il dolore patito dai siriani venga dimenticato". Il prelato racconta che dagli inizi di novembre "la situazione umanitaria è un inferno, che ha coinvolto anche la capitale, trasformatasi in una città blindata". Il dramma è acuto soprattutto nei quartieri periferici: Darayya, Qudssaya, Irbin. Qui si combatte giorno e notte, le bombe hanno polverizzato anche le poche case rimaste in piedi. "Diversi miei impiegati - afferma mons. Zenari - vivono ormai nella sede della nunziatura, perché non possono rientrare nelle loro case, altri non hanno più un tetto e passano la notte negli scantinati, o in rifugi di fortuna. Le parrocchie si sono trasformate in dormitori. I conventi tentano di offrire a tutti ospitalità, anche in giardino". "Ma ora - continua il nunzio - con l'arrivo dell'inverno gli sfollati rischiano di morire di stenti e di freddo. Ogni giorno ricevo telefonate da parte di religiosi e sacerdoti che mi chiedono: cosa possiamo fare per questa gente? La Chiesa ha messo ogni suo spazio a disposizione, dalle stanze degli uffici, ai magazzini agli stessi luoghi di culto. Tuttavia senza aiuti esterni e l'ipotesi di un cessate il fuoco anche tali sforzi rischiano di essere una piccola goccia nel mare". Mons. Zenari confessa che la domanda più ricorrente fra i siriani è: "Quanto durerà questa guerra?". Dagli ultimi tentativi in giugno di Kofi Annan per un cessate il fuoco, il conflitto non è un più un'emergenza temporanea; esso si è trasformato in una realtà quotidiana che appare senza fine. "Questa precarietà - sottolinea il nunzio - uccide la speranza di tornare alla normalità, che si somma al dolore per i propri cari uccisi". Tornato di recente da un viaggio in Italia, il prelato ha assistito in poco tempo al peggioramento della guerra: "Ora la popolazione versa in condizioni ancora più drammatiche di qualche mese fa. Al dolore per i bombardamenti, le vendette fra gruppi politici e religiosi, si è aggiunta anche la criminalità locale, che non sta con nessuno. Nel Paese, vi sono centinaia di rapimenti che falcidiano le famiglie, non solo quelle ricche, ma ormai anche quelle più povere. Questi delinquenti per loro stessa ammissione non sostengono nessuna fazione politica o militare. Essi sfruttano il clima di instabilità per fare i propri interessi. I media purtroppo non ne parlano, ma molte famiglie, anche qui a Damasco sono toccate da questa piaga, che ha reso ancora più dolorosa la loro vita". Mons. Zenari spiega che vi sono due tipi di sequestro. Il primo è politico e serve ai gruppi dei due schieramenti per chiedere la liberazione di prigionieri. Il secondo è invece a sfondo di riscatto. Quest'ultimo è molto diffuso e costringe la popolazione a fare anche delle collette pubbliche per liberare i propri cari, che spesso rischiano comunque di essere uccisi nell'indifferenza generale. Il nunzio racconta che la Chiesa è attiva anche in questo campo e in tutte le parrocchie dove avvengono questi casi sono stati creati dei comitati per mediare con i rapitori. "Essa - afferma - è l'unica vera istituzione rimasta integra nel Paese, dove qualsiasi organo statale e privato si sta sfaldando. Tutti si rivolgono a lei: cristiani, musulmani, alauiti e sunniti. Ecclesiastici, sacerdoti, religiosi e religiose tentano spesso a rischio della vita di portare riconciliazione e perdono anche dove sembra impossibile". Secondo il prelato, bisogna evitare che questa guerra cada nell'oblio. L'Occidente ha il dovere di informarsi, di cercare di comprendere questa situazione, anche se i media e i governi sono inclini a facili risposte. (R.P.)

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    Egitto. Clima teso: rinviata la riunione tra il Patriarca Tawadros II e i capi delle Chiese cattoliche

    ◊   L'incontro annunciato del nuovo Patriarca copto ortodosso Tawadros II con una qualificata delegazione delle Chiese cattoliche egiziane – che avrebbe fornito anche l'occasione per concordare una posizione comune davanti all'emergenza attraversata dal Paese - è stato rimandato al prossimo 11 dicembre. A giustificare il rinvio è proprio la tensione che si respira in tutto l'Egitto e soprattutto nella capitale, dopo che i decreti costituzionali con cui il Presidente Morsi ha ampliato i propri poteri, hanno scatenato contestazioni anche violente contro il governo e le sedi dei Fratelli Musulmani. “In questa situazione - spiega all'agenzia Fides il vescovo di Assiut, Kirillos William, vicario patriarcale dei copti cattolici – si è pensato che non fosse prudente esporre a rischi una riunione di rappresentanti qualificati delle Chiese cristiane”. All'incontro avrebbero preso parte diversi vescovi cattolici, insieme a rappresentanti autorevoli del laicato. Il Patriarca Tawadros, dal monastero di Anba Bishoy in cui risiede, ha annullato anche un incontro in agenda con alcuni membri della sezione spirituale dei Fratelli Musulmani. Oggi a piazza Tahrir è in programma il presidio dei partiti e delle forze sociali che accusano il Presidente Morsi di avere ormai imboccato la via della svolta autoritaria. Secondo gli organizzatori, nel luogo-simbolo della rivoluzione egiziana confluiranno un milione di manifestanti. I Fratelli Musulmani hanno annullato una contemporanea mobilitazione indetta a sostegno del governo, motivandola come scelta responsabile volta a disinnescare possibili incidenti. “Ma alcuni osservatori - aggiunge a Fides il vescovo Kirillos - cominciano a parlare del rischio di guerra civile. Se la tensione politica e sociale non si raffredda, le cose potrebbero degenerare. Nelle sedi dei Fratelli Musulmani assaltate negli ultimi giorni, sarebbero state trovate anche armi e munizioni”. Sabato scorso, a motivo dello stato di emergenza, Tawadros aveva annullato all'ultimo momento anche la sua prima visita patriarcale ad Alessandria. In quel caso, come spiega all'agenzia Fides il vescovo cattolico latino Adel Zaki, vicario apostolico di Alessandria d'Egitto, a motivare il rinvio della trasferta non c'erano solo ragioni di sicurezza: “L'ingresso del Patriarca nella nostra città non può che essere una grande manifestazione di gioia popolare, con canti e musica e tanta allegria. In un momento come questo, i cristiani avrebbero dato l'impressione di vivere fuori dal mondo in cui vivono tutti. Come insegna San Paolo, occorre soffrire con coloro che soffrono e gioire con coloro che gioiscono”. (R.P.)

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    Congo: i ribelli annunciano il ritiro da Goma. Grave la situazione umanitaria

    ◊   I ribelli dell’M23 hanno annunciato di accettare di lasciare Goma, il capoluogo del Nord Kivu, ad est della Repubblica Democratica del Congo, da loro conquistato la settimana scorsa. I ribelli sembrano aver ceduto alle pressioni internazionali e alla minaccia di una controffensiva dell’esercito congolese. La situazione rimane però ancora incerta, soprattutto sul piano umanitario. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), ci sono a Goma e dintorni 12 campi che accolgono 140.000 sfollati interni. Le condizioni di queste persone rimangono precarie e in uno stato di forte insicurezza. Nel Centro Don Bosco, uno dei 12 campi di accoglienza, il numero degli sfollati ha raggiunto il limite. Un’altra struttura, quella di Kanyaruchinya, che accoglieva 60.000 persone, è stata evacuata a seguito dei combattimenti dei giorni scorsi tra l’esercito congolese (Fardc) e l’M23. Il 25 novembre sono stati segnalati nuovi sfollamenti a Lushebere, nel territorio di Masisi, a seguito di scontri tra le Fardc e un gruppo Mai-Mai (un nome che indica una serie di gruppi di autodifesa molti dei quali sono degenerati in forme di guerriglia e di banditismo). Sono segnalate violenze contro i civili, compresi saccheggi di case e negozi. Le attività di assistenza comunque continuano: distribuzione di cibo, installazione di 3 generatori per permettere il funzionamento delle pompe per l’acqua potabile (al fine di scongiurare la diffusione del colera), avviamento di un programma di assistenza medica e psicologica alle vittime di violenza sessuale. Rimane però la preoccupazione per gli ordigni inesplosi, che rappresentano un serio pericolo per la popolazione civile e gli stessi operatori umanitari. (R.P.)

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    Mali: forti divisioni tra i partiti politici di Bamako; contestata la trattativa con i gruppi armati

    ◊   Forti divisioni politiche a Bamako mentre il nord del Mali rimane sotto il controllo dei gruppi islamisti. Come riferisce all’agenzia Fides don Edmond Dembele, Segretario della Conferenza episcopale del Mali, le divisioni partitiche hanno costretto a posticipare la grande concertazione nazionale inizialmente prevista dal 26 al 28 novembre. L’incontro si terrà dall’11 al 13 dicembre. “La concertazione - spiega a Fides don Dembele - vedrà la partecipazione dei delegati dei raggruppamenti partitici e dei rappresentanti della società civile per discutere sul proseguimento del periodo di transizione in vista delle nuove elezioni. I diversi attori politici non hanno però ancora raggiunto un’intesa sul contenuto di questo incontro, e in effetti alcuni partiti avevano deciso di non parteciparvi. Il Capo dello Stato ha così deciso di posticiparlo, nella speranza di trovare una soluzione consensuale”. Anche la trattativa avviata da Burkina Faso (il cui Presidente è stato incaricato della mediazione nella crisi maliana dalla Cedeao, la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale) e Algeria con il Movimento di Liberazione dell’Azawad (Mnla) e con Ansar al Dine non ha l’unanimità tra le forze politiche di Bamako. Riferisce don Dembele: “Alcuni raggruppamenti di partiti e gruppi della società civile sono contrari al negoziato in particolare con l’Mnla perché affermano che questo movimento ha scatenato la guerra. Più in generale, chi è contro il negoziato afferma che non si può trattare con dei terroristi che hanno ucciso militari e civili maliani, che si tratti di appartenenti al laico Mnla o all’islamista Ansar al Dine. D’altro canto - continua don Dembele - altri partiti, pur non negando che Mnla e Ansar al Dine abbiano danneggiato il Mali, riconoscono che si tratta di gruppi formati da maliani con i quali occorre trattare. Sul piano umanitario poi la situazione è peggiorata” afferma il segretario della Conferenza episcopale. “Nella regione di Mopti, alla frontiera tra il nord Mali occupato dai gruppi armati, e il sud, ogni settimana continuano ad arrivare sfollati in fuga. Solo in questa zona il loro numero ha raggiunto oltre i 40mila. Queste persone si trovano in condizioni precarie in primo luogo per la scarsità di alimenti e di acqua potabile”. “Gli abitanti del nord vivono sotto la pressione degli islamisti che applicano la Sharia in modo assillante a iniziare dagli abiti per gli uomini e dal velo per le donne. Queste imposizioni sono mal sopportate da buona parte della popolazione” conclude don Dembele. (R.P.)

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    Australia: la Chiesa collabora con la Commissione d'inchiesta sulla pedofilia

    ◊   Sì all’abolizione della prescrizione per i reati di pedofilia e all’introduzione dell’obbligo di denuncia anche per gli esponenti del clero. I vescovi australiani sono nettamente favorevoli a un giro di vite legislativo che permetta di garantire alla giustizia chi si macchia di questo odioso crimine. Lo ha ribadito il presidente della Conferenza episcopale australiana, mons. Denis Hart, arcivescovo di Melbourne, in un comunicato diffuso alla vigilia dell’apertura oggi dell’Assemblea plenaria dei vescovi. La riunione sarà dedicata proprio allo studio delle azioni da intraprendere nella Chiesa australiana per aiutare il lavoro della Royal Commission, la Commissione d’inchiesta nazionale istituita dal Governo federale per fare luce sul fenomeno della pedofilia nel Paese. ”Non ci deve essere alcun ostacolo che impedisca alla nostra società di affrontare questo problema”, ha dichiarato l’arcivescovo di Melbourne. “Il male degli abusi sessuali è così grave e orribile che l’unico modo per dare pace alle vittime è di portare alla giustizia i colpevoli”. Mons. Hart ha ribadito inoltre il parere favorevole espresso due settimane fa dai vescovi alla Royal Commission: “Sarà un momento di verità”, ha detto. E della necessità di “affrontare la verità”, come riferisce il sito cattolico australiano Cathnews.com, parla anche una relazione presentata alla Commissione parlamentare di inchiesta dello Stato di Victoria dalla Chiesa locale. Nella relazione si richiede di estendere l’obbligo della denuncia anche al personale religioso, “con l’eccezione delle informazioni raccolte durante il sacramento della confessione”. Intanto, un sondaggio indica come la netta maggioranza dei cattolici australiani sia favorevole a che venga fatta chiarezza su tutti i casi di pedofilia, anche nella Chiesa. Anche il Sinodo anglicano in Australia, attraverso il suo segretario generale Martin Dreviskowskim, citato dal “Sydney Morning Herald”, si è espresso a favore dell’abolizione della prescrizione per i reati di pedofilia. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Sud Corea-Giappone: i vescovi dei due Paesi discutono sull'energia nucleare

    ◊   Il 18° incontro di scambio dei vescovi coreani e giapponesi si è tenuto a Gyeongju city, nell'arcidiocesi di Daegu in Corea, sul tema della eliminazione graduale delle centrali nucleari ("Nuclear Power Phase-out"). Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale della Corea (Cbck), insieme a mons. Peter Kang U-il, vescovo di Cheju, presidente della Cbck, e all’arcivescovo di Osaka, mons. Leo Jun Ikenaga, presidente della Conferenza episcopale del Giappone (Cbcj), hanno partecipato a questo incontro circa 40 tra vescovi e sacerdoti. Il primo giorno di lavoro, don Thomas Seigel Michael (del Nanzan University Institute for Social Ethics) ha tenuto una conferenza sul tema "Considerazioni teologiche sulle centrali nucleari". Il relatore ha sottolineato la necessità di sviluppare progetti di energia sostenibile, come l'energia eolica e l'energia solare, in modo di ridurre la nostra dipendenza dall'energia nucleare. Don Paul Park Hong-pyo, sacerdote della diocesi di Wonju e rappresentante del Comitato che è contrario alla costruzione della centrale nucleare di Samcheok, ha evidenziato che i residenti vogliono vivere in un ambiente pulito e tranquillo, e il nucleare quindi è una questione che interessa la vita stessa, non solo la politica. Il 14 novembre i vescovi hanno visitato la centrale nucleare di Wolsung a Gyeongju, dove hanno ascoltato una spiegazione circa il funzionamento e la gestione della centrale nucleare. Dopo la visita, i vescovi hanno concelebrato la Santa Messa nella chiesa di Yangnam. Nella sua omelia, mons. Thaddeus Cho Hwan-kil, arcivescovo di Daegu, ha sottolineato che dovremmo lottare per la riduzione graduale del nucleare, al fine di salvaguardare l'integrità del creato e la vita pacifica della terra che Dio ha dato all'umanità. L'ultimo giorno i vescovi hanno discusso in gruppi e poi in seduta plenaria. La prossima riunione è prevista per il 12-14 novembre 2013, in Giappone. (R.P.)

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    Repubblica Dominicana: la Chiesa chiede al governo un "Ministero della famiglia"

    ◊   La Conferenza episcopale dominicana (Ced) e la Commissione nazionale della Pastorale per la Famiglia hanno chiesto al governo dominicano di istituire il "Ministero della Famiglia", che gestisca tutte le istituzioni competenti per l'attuazione delle politiche pubbliche che riguardano questa parte vitale e fondamentale della società. La proposta è contenuta in un documento firmato dal Cardinale Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo, che è stato letto durante la Concelebrazione presieduta dal cardinale al termine della marcia "Un passo per la mia famiglia". La marcia si è svolta domenica scorsa a Santo Domingo, con la partecipazione di migliaia di persone, in occasione del mese della famiglia, e vi hanno partecipato anche la Vicepresidente Margarita Cedeño de Fernández, e la prima donna della Repubblica, Cándida Montilla de Medina. Dopo aver ribadito che “la famiglia deve essere protagonista principale delle politiche pubbliche dello Stato”, i vescovi dominicani e la popolazione cattolica suggeriscono che i Ministeri delle donne e dei giovani, il Consiglio nazionale dei bambini (Conami) e quello per i disabili (Conadis), come l'Istituto di protezione degli anziani e il sistema di protezione dei bambini e degli adolescenti, tra gli altri servizi del settore pubblico, siano raggruppati in una nuova istituzione che si potrebbe chiamare “Ministero della Famiglia”. La nota inviata all'Agenzia Fides sottolinea le parole del cardinale: "Come Chiesa noi ci impegniamo a vivere come vere famiglie e a far conoscere i grandi e insostituibili valori della famiglia cristiana”. (R.P.)

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    Messico: Campagna contro la tratta degli indigeni nello Yucatan

    ◊   Con un energico e urgente appello a combattere quella che viene definita una “nuova schiavitù”, la Commissione per i Diritti Umani dello stato dello Yucatan e la Commissione Nazionale per i Diritti Umani, hanno lanciato una Campagna contro la tratta delle persone di lingua indigena, soprattutto donne, che verrà tradotta in 10 lingue madri. L’iniziativa rientra nel quadro della recente celebrazione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della violenza contro le Donne. Il fenomeno della tratta ha la sua origine in fattori economici, come la povertà e la disoccupazione, e sociali, come la violenza verso le donne, l’analfabetismo, le dipendenze e la discriminazione, tutte problematiche vincolate alle comunità indigene locali. Secondo le statistiche, nel Paese la tratta di esseri umani è la terza attività illecita che produce più risorse nel mondo, dopo il narcotraffico e la vendita di armi. In Messico un’alta percentuale di donne, bambini, migranti privi di documenti, e indigeni, sono le fasce più predisposte a cadere nelle reti del traffico illegale. Il Programma contro la tratta ha come obiettivo generale quello di stabilire azioni per prevenire e combattere il crimine, dare protezione e assistenza alle vittime. Allo stesso tempo promuove l’adozione, la conoscenza e l’applicazione di leggi adeguate che consentano di combattere contro questo crimine e di rispettare i diritti umani delle vittime. Per fronteggiarlo è fondamentale la collaborazione tra le istituzioni federali, locali e la società civile. (R.P.)

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    Bolivia: denutrizione e carenze igienico-sanitarie per bambini che vivono in carcere coi genitori

    ◊   La Bolivia è uno dei pochi paesi dove i detenuti possono vivere nelle celle con i rispettivi figli. Si tratta di una situazione irregolare che, oltre ad essere pericolosa per l’integrità dei bambini, li sottopone a carenze sanitarie, educative e alimentari che penalizzano il loro normale sviluppo. Infatti - riferisce l'agenzia Fides - oltre a dover convivere con i delinquenti, in un ambiente pregno di violenza, dove molte volte vige la legge del più forte, la maggior parte dei figli dei detenuti riesce a mangiare appena una volta al giorno. Non esiste un fondo destinato a coprire le loro necessità alimentari, e se i genitori non producono un reddito, devono accontentarsi degli avanzi. Inoltre i piccoli devono aspettare almeno due settimane per potersi lavare, manca assistenza medica qualificata, e molti di loro dormono sotto i lettini dei genitori o in angoli attrezzati alla meglio per lo scopo. Non esistono spazi per la ricreazione o materiale scolastico per farli studiare. Centinaia di bambini sono così condannati a vivere tra la violenza, proiettati verso un futuro di sofferenza aggravato anche dalla denutrizione che, nei piccoli con meno di 5 anni, causa danni irreversibili, ritardo nella crescita fisica e mentale. (R.P.)

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    Filippine: fase di stallo per la legge sulla salute riproduttiva

    ◊   La legge sulla Salute Riproduttiva (Reproductive Health Bill – Rh) nelle Filippine è in fase di stallo. Dopo la chiusura della fase dibattimentale, lo scorso mese di agosto, la discussione degli emendamenti al provvedimento, oggetto di un lungo braccio di ferro tra la Chiesa e le forze politiche del Paese, si è arenata alla Camera Bassa del Congresso a causa della ripetuta mancanza del numero legale. Secondo mons. Ramon Arguelles, ex vice-presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, la continua assenza di tanti parlamentari è dovuta alla loro contrarietà alla legge. ”Non vogliono votare contro la vita”, ha affermato l’arcivescovo di Lipa che ha esortato i fedeli filippini “a usare il voto cattolico” per scegliere candidati pro-vita alle prossime elezioni parlamentari e locali nel maggio 2013: “Dobbiamo usare il nostro voto per dimostrare cosa è un vero cattolico”, ha detto. Invece di stanziare fondi per la Rh Bill, ha aggiunto il presule, il Governo filippino dovrebbe pensare ad investire più soldi nel settore educativo e per creare nuovi posti di lavoro per i filippini. Il dibattito attorno alla Legge sulla Salute Riproduttiva, che promuove un programma di pianificazione familiare, sponsorizzando la diffusione degli anticoncezionali anche nelle scuole e incoraggiando la sterilizzazione volontaria, va avanti ormai da una decina di anni. Il testo attuale è approdato al Congresso più di un anno fa. In diverse occasioni i presuli delle Filippine hanno dichiarato che le politiche di controllo delle nascite previste dal provvedimento non sono il metodo migliore per lottare contro la povertà, le cui cause si riscontrano non in una ipotetica sovrappopolazione, come sostengono i suoi promotori, bensì in alcune scelte errate in materia di sviluppo, nella mancata programmazione di coerenti politiche economiche e nella diffusa corruzione della pubblica amministrazione che impediscono il riscatto sociale dei più poveri. (L.Z.)

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    Ora di religione: messaggio della Cei a studenti e genitori

    ◊   “Cari genitori, studenti e docenti, ci rivolgiamo a voi consapevoli che l’insegnamento della religione cattolica (Irc) è un’opportunità preziosa nel cammino formativo, dalla scuola dell’infanzia fino ai differenti percorsi del secondo ciclo e della formazione professionale, perché siamo convinti che si può trarre vera ampiezza e ricchezza culturale ed educativa da una corretta visione del patrimonio cristiano-cattolico e del suo peculiare contributo al cammino dell’umanità”. Lo scrive la presidenza della Conferenza episcopale italiana nel Messaggio diffuso oggi “in vista della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2013-2014”. Il testo si rivolge a studenti e genitori ricordando che “nelle prossime settimane sarete chiamati a esprimervi sulla scelta di avvalervi dell’Insegnamento della religione cattolica. L’appuntamento si colloca in un tempo di crisi che investe la vita di tutti. Anche la scuola e i contesti educativi - prosegue il Messaggio -, come la famiglia e la comunità ecclesiale, sono immersi nella medesima congiuntura. Noi vescovi italiani, insieme e sotto la guida di Benedetto XVI, animati dallo Spirito Santo che abita e vivifica ogni tempo, vogliamo ribadire con convinzione che la 'speranza non delude’ (Rm 5,5)”. Dopo aver notato che “essere attenti al mondo giovanile” non “è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società”, i vescovi aggiungono: “Vogliamo anzitutto ascoltare le domande che vi sorgono dal cuore e dalla mente e insieme con voi operare per il bene di tutti. Lo abbiamo fatto nel redigere le nuove indicazioni per l’Irc nella scuola dell’infanzia, del primo e del secondo ciclo, con l’impegno di sostenere una scuola a servizio della persona”. Tale impegno - prosegue il Messaggio - deriva dalla convinzione che “la scuola sarà se stessa se porterà le nuove generazioni ad appropriarsi consapevolmente e creativamente della propria tradizione. L’Irc, oggi come in passato, aiuterà la scuola nel suo compito formativo e culturale facendo emergere, 'negli’ e 'dagli’ alunni, gli interrogativi radicali sulla vita, sul rapporto tra l’uomo e la donna, sulla nascita, sul lavoro, sulla sofferenza, sulla morte, sull’amore, su tutto ciò che è proprio della condizione umana”. La presidenza Cei ricorda che “l’Irc a scuola è in grado di accompagnare lo sviluppo di un progetto di vita, ispirato dalle grandi domande di senso e aperto alla ricerca della verità e alla felicità, perché si misura con l’esperienza religiosa nella sua forma cristiana propria della cultura del nostro Paese”. (R.P.)

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    Hong Kong: principi cattolici e valori cristiani nella gestione delle scuole cattoliche

    ◊   Seguire con fermezza i principi cattolici e i valori cristiani nella gestione scolastica: è l’esortazione che viene dal 36° Incontro annuale del Catholic Religious Schools Council rivolto ai presidi delle scuole cattoliche, svoltosi ad Hong Kong sul tema “Prospettive dell’Educazione ad Hong Kong”. Secondo quanto riferito dal Kung Kao Po (bollettino settimanale della diocesi di Hong Kong ripreso dall'agenzia Fides), più di 120 tra presidi, dirigenti scolastici, superiori degli istituti religiosi impegnati nell’educazione, oltre alla delegata del vescovo per gli Affari dell’Educazione Cattolica e al responsabile dell’educazione della Caritas, hanno preso parte dell’Incontro. La delegata del vescovo, suor Huang, ha sottolineato il senso di responsabilità e lo spirito di servizio necessari per seguire fedelmente i principi cattolici, citando le parole di Gesù: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 41-42). Inoltre, ha sottolineato l’importanza dell’educazione integrale, fisica e spirituale, perché siano a servizio dell’evangelizzazione. Durante l’incontro è stato anche eletto il nuovo Consiglio direttivo. Il Catholic Religious Schools Council è posto sotto la guida del delegato del vescovo per gli Affari dell’Educazione Cattolica, della Commissione dell’Educazione Cattolica, della Commissione per lo Sviluppo dell’Educazione Cattolica. (R.P.)

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    Portogallo: giustizia sociale e dignità umana al centro della Settimana sociale

    ◊   “Trovare segni e iniziative di speranza che contrastino la crisi attuale, proponendo una condivisione più efficace delle risorse, una giustizia fiscale equa ed una valutazione accurata dei servizi pubblici”: sono queste le necessità che la Chiesa portoghese mette in luce, al termine della Settimana Sociale 2012, conclusasi domenica a Porto. Nel documento finale diffuso in chiusura dei lavori, il vescovo di Porto, mons. Manuel Clemente, ricorda che “prima di uno Stato sociale, deve esserci una società solidale che lo preceda e lo alimenti”. Non solo: la Chiesa lusofona ribadisce che “lo Stato sociale deve essere discusso e pensato non per le emergenze finanziarie, ma per soddisfare le esigenze di coesione economica e sociale, di giustizia e di dignità umana”. Richiamando quindi la necessità di trovare risposte che permettano “un coordinamento efficace tra lo Stato e le iniziative di solidarietà”, il documento suggerisce che lo Stato sociale si basi su determinati criteri: “la protezione di tutti i cittadini, l’equilibrio tra la libertà d’impresa e la pari considerazione di tutti, la comprensione della destinazione universale dei beni della Terra, la dignità del lavoro e la promozione dell’occupazione, la giustizia distributiva tra i gruppi sociali, la sussidiarietà e la partecipazione di tutti”. Di qui, la sottolineatura della “responsabilità della famiglia e della comunità, soprattutto di fronte alle sfide dello sviluppo e della solitudine” ed il bisogno di “considerare principi di etica pubblica che pongano la dignità della persona umana al centro della vita politica, sociale ed economica”, secondo il binomio giustizia-carità e rispettando l’opzione preferenziale per i poveri. In questo contesto, conclude il documento, “i cristiani sono chiamati a vivere la carità nella verità”, impegnandosi nella giustizia ed approfondendo la dottrina sociale della Chiesa. (I.P.)

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    Scozia: vescovi preoccupati per gli episodi di violenza contro le comunità religiose

    ◊   La Chiesa cattolica in Scozia è preoccupata dagli episodi di violenza che coinvolgono le comunità religiose, in particolare quella cattolica. Si tratta di un fenomeno persistente da alcuni anni e che è stato riconfermato da un rapporto del Governo dal quale è emerso che tra il 2011 e il 2012 sono stati 509 gli attacchi di natura religiosa nei confronti dei cattolici, con una percentuale del 58% sul totale. In generale le azioni contro le comunità religiose sono aumentate del 26%. Si tratta di casi che vanno dalle “semplici” offese fino a veri e propri atti di violenza fisica che si verificano spesso nel contesto di dispute tra opposte tifoserie di squadre di calcio. Commentando il rapporto, il presidente dell’episcopato scozzese, mons. Philip Tartaglia, ha affermato che la comunità cattolica scozzese non è sufficientemente tutelata e ha esortato le autorità a intervenire per garantire maggiore protezione. Il problema, ha specificato il nuovo arcivescovo di Glasgow citato dall’Osservatore Romano, si sta manifestando “come una vera e propria cultura anticattolica”. Il clima di violenza anticattolico riguarda solo in piccola parte il mondo calcistico , dove è notoria la rivalità tra i due storici club di Glasgow: il Celtic (cattolico) e i Rangers (protestante). Il direttore dello Scottish Catholic Media Office, Peter Kearney, ha ricordato recentemente che i casi che coinvolgono il calcio rappresentano solo il 15% del totale degli episodi di violenza settaria. (L.Z.)

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    Gente dello spettacolo viaggiante: pellegrinaggio a Roma e incontro con il Papa

    ◊   “L’incontro di Benedetto XVI con la gente dello spettacolo viaggiante, dopo l’udienza con i rom e i sinti dello scorso anno, costituisce un secondo importante evento con il quale la Chiesa riconosce come importanti nel cammino della nuova evangelizzazione le persone che spesso vivono ai margini, perché continuamente in cammino, di città in città, di piazza in piazza”. Così mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, parla del pellegrinaggio, nell’Anno della fede, della gente dello spettacolo viaggiante (circensi, fieranti, artisti di strada, bande musicali e gruppi folcloristici, madonnari) che si svolgerà a Roma il 30 novembre e 1 dicembre su iniziativa del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti insieme a Migrantes e Vicariato di Roma. Il programma delle due giornate - riferisce l'agenzia Sir - prevede, venerdì pomeriggio, una liturgia eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del citato Pontificio Consiglio, e animata da corali e gruppi bandistici; in serata festa, spettacolo e musica in alcune piazze di Roma. Sabato corteo da Castel S. Angelo e udienza con Benedetto XVI nell’Aula Paolo VI. In piazza S. Pietro, per l’occasione, saranno allestiti - per la prima volta - uno chapiteau, una giostra di cavalli storica, una torretta dei burattini, simboli del mondo dello spettacolo viaggiante. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 332

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.