Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 26/11/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai nuovi cardinali: la Chiesa impegnata per la pace nel Medio Oriente e nel mondo
  • A Vienna inaugurazione del Centro Kaiciid per il dialogo interreligioso e interculturale
  • In udienza dal Papa un gruppo di vescovi francesi in visita "ad limina"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nigeria, attentati. Il card. Onaiyekan: atti contrari ai principi fondamentali dell'umanità
  • Egitto: incontro tra Morsi e il Consiglio giudiziario supremo per far rientrae la crisi
  • Elezioni in Catalogna. Vittoria contenuta per gli indipendentisti di Artur Mas
  • Bangladesh: lavoratori chiedono sicurezza dopo l'incendio che ha fatto 112 vittime
  • Primarie centrosinistra. Antonio Baggio: Pd si è presentato come polo credibile
  • Tragedia Rossano. Mons. Marcianò: si poteva evitare, nostri treni come quelli a vapore
  • Imu per le scuole paritarie. Don Macrì: ci mette in una condizione impossibile
  • Spina bifida: lo sport come strumento quotidiano per l’autonomia
  • "Il vescovo maestro di fede": in un volume riflessione sul tema di mons. Fabio Fabene
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Gmg Rio 2013: aperti i lavori dell'incontro mondiale di preparazione
  • Colombia: prima intesa a L'Avana tra governo e Farc
  • Doha: aperta la Conferenza sui cambiamenti climatici
  • Congo: Chiesa denuncia l'indifferenza di media e comunità internazionale sul conflitto in Kivu
  • Sierra Leone: Ernest Koroma rieletto presidente
  • Siria. Il vescovo caldeo mons. Audo: il conflitto ha sfigurato Aleppo
  • Zagabria: concluso l'incontro dei vescovi europei di rito orientale
  • India: nel Karnataka 39 attacchi anticristiani nel 2012
  • Donne pakistane e cristiane, in prima linea nella difesa dei diritti delle minoranze
  • Australia: la Chiesa si oppone alla politica di detenzione dei richiedenti asilo
  • Rwanda: Lettera pastorale dei vescovi per l’Anno della Fede
  • Madagascar: detenuti condannati anche alla malnutrizione cronica
  • Messico: Chiesa dice no alla violenza dopo l'assassinio del figlio di un dirigente rurale
  • Paraguay: la Chiesa chiede giustizia per i contadini in sciopero della fame in carcere
  • Consiglio delle Chiese: 16 giorni di mobilitazione contro la violenze sulle donne
  • Svizzera: perplessità dei vescovi sull’iniziativa contro il rimborso assicurativo dell’aborto
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai nuovi cardinali: la Chiesa impegnata per la pace nel Medio Oriente e nel mondo

    ◊   La Chiesa incoraggia ogni sforzo per la pace in Medio Oriente e nel mondo. E’ quanto affermato, stamani, da Benedetto XVI nell’udienza ai nuovi cardinali con familiari e fedeli, ricevuti in Aula Paolo VI. Il Papa ha inoltre esortato i sei nuovi porporati a rafforzare l’amore per la Chiesa e ad essere testimoni forti e fiduciosi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Un incontro “semplice e familiare”: così, Benedetto XVI ha definito l’udienza ai nuovi cardinali che ha dato, tuttavia, l'occasione al Papa di levare un nuovo pressante appello per la pace in Medio Oriente. Parlando in francese al nuovo cardinale e Patriarca maronita, Béchara Boutros Raï, ha incoraggiato la presenza dei cristiani in Medio Oriente, che, ha detto, devono “potere vivere liberamente la propria fede”. Quindi, ha pronunciato un accorato appello per la pace nella regione:

    “L’Eglise encourage tout effort…”
    “La Chiesa – ha detto – incoraggia tutti gli sforzi fatti in vista della pace nel mondo e nel Medio Oriente”. Una pace, ha aggiunto, che “non sarà efficace se non si basa sull'autentico rispetto l’uno dell’altro”. Possa l’Avvento, è stata la sua invocazione, “farci riscoprire la grandezza di Cristo” venuto nel mondo “per la salvezza degli uomini e per portare pace e riconciliazione”. E un pensiero simile il Papa l’ha rivolto per la Colombia, salutando in spagnolo il nuovo cardinale, Rubén Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotà. Il Pontefice ha auspicato che la Colombia avanzi in “pace e concordia” nel cammino “della giustizia, della riconciliazione e della solidarietà":

    “The vivid colour of their robes…”
    Parlando in inglese ai neocardinali Harvey, Thottunkal, Tagle e Onaiyekan li ha quindi esortati a impegnarsi nella difesa del gregge loro affidato, fino all’effusione del sangue come indica la porpora dei loro paramenti. In italiano, il Papa ha detto poi di confidare nel sostegno dei nuovi cardinali per il suo ministero di Successore di Pietro. Infine, ha rivolto ai neoporporati parole di vivo incoraggiamento per la loro nuova missione:

    “Proseguite fiduciosi e forti nella vostra missione spirituale e apostolica, mantenendo fisso lo sguardo su Cristo e rafforzando il vostro amore per la sua Chiesa. Questo amore lo possiamo anche imparare dai Santi che sono la realizzazione più compiuta della Chiesa: essi l’hanno amata e, lasciandosi plasmare da Cristo, hanno speso totalmente la loro vita perché tutti gli uomini siano illuminati dalla luce di Cristo che splende sul volto della Chiesa".

    E sull’universalità della Chiesa e l’impegno per la riconciliazione in Colombia, ecco la riflessione del nuovo cardinale Rubén Salazar Gomez, intervistato da Alberto Goroni:

    R. – Lo importante es que realmente...
    Quello che davvero è importante è che la Chiesa sia universale e che siano rappresentate tutte le nazioni, tutti i popoli, tutte le razze, tutte le culture, come sacramento dell’unità e della pace nel mondo.

    D. – Un pensiero sulle parole del Papa, in modo particolare per la Colombia...

    R. – En Colombia estamos viviendo...
    In Colombia, stiamo vivendo un momento molto importante, quello dei colloqui di pace. Speriamo di avere presto la gioia della fine del conflitto e quindi la pace definitiva nella nostra patria.

    D. – Qual è il vostro impegno nella nuova evangelizzazione?

    R. – Hacemos todo lo que...
    Facciamo tutto quello che possiamo, perché il Vangelo giunga a tutte le nazioni, a tutti gli uomini, specialmente in Colombia, che ha bisogno della luce della verità del Vangelo.

    inizio pagina

    A Vienna inaugurazione del Centro Kaiciid per il dialogo interreligioso e interculturale

    ◊   Attesa a Vienna, per la cerimonia inaugurale, questa sera, del Centro Internazionale per il Dialogo Interreligioso e Interculturale (Kaiciid), intitolato al Re Adullah Ben Abdulaziz. Si tratta di un'organizzazione indipendente, riconosciuta dall’Onu, fondata da tre Paesi – Arabia Saudita, Austria e Spagna – cui aderisce anche la Santa Sede in qualità di "Osservatore Fondatore". Il servizio di Roberta Gisotti:

    Non è “un’istituzione propria” dell’Arabia Saudita” – ha chiarito nei giorni scorsi il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi – nonostante sia intitolata al Re di questo Stato. Nel Consiglio direttivo del Kaiciid siedono infatti personalità delle principali religioni: cristianesimo, ebraismo, islamismo, induismo e buddismo. Fra questi, l’osservatore della Santa Sede, padre Miguel Angel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, impegnato a promuovere quel “dialogo” “fondamentale” basato su “rispetto”, “mutua intesa” e collaborazione”. Il Consiglio direttivo sarà supportato da un Comitato consultivo con oltre 100 membri di altre religioni, istituzioni culturali e organizzazioni internazionali. Un mosaico di razze, culture, religioni unite in un progetto di fratellanza, libero da influenze politiche ed economiche. Una sfida non facile. L’idea venne illustrata cinque anni fa dal re saudita a Benedetto XVI, durante l’udienza del 6 novembre 2007.

    E c’è emozione oggi a Vienna per l’inaugurazione ufficiale del Centro Kaiciid, alle 19 nell’Hofburg Palace, che sarà presenziata dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, insieme con i ministri degli Esteri degli Stati fondatori e al cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

    Un clima febbrile si è respirato già da stamane durante i lavori del Simposio ospitato nell’Hotel Hilton, nell’ambito del “Kaiciid day”, con oltre 600 partecipanti chiamati da ogni angolo del mondo a confrontarsi sulle migliori esperienze messe in campo nel dialogo interreligioso e interculturale.

    inizio pagina

    In udienza dal Papa un gruppo di vescovi francesi in visita "ad limina"

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattina un gruppo di presuli della Conferenza episcopale di Francia, in visita ad Limina.


    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nel regno dell'amore che serve: Benedetto XVI celebra la messa con i porporati creati nel concistoro, e nell'udienza ai sei nuovi cardinali il Pontefice rinnova il suo appello per il Medio Oriente.

    Quando Dio sarà tutto in tutti: l'Angelus del Papa in piazza San Pietro.

    Nell'informazione internazionale, un articolo di Michele Dau dal titolo "Per una nuova stagione di sviluppo": una risposta alle teorie della decrescita economica.

    In cultura, un articolo di Giovanni Preziosi dal titolo "E a Firenze le suore spalancarono le porte agli ebrei in fuga": su indicazione dell'arcivescovo Elia Dalla Costa nei giorni dei rastrellamenti nazifascisti (autunno 1943).

    Diversità fra uomo e donna ricchezza da conservare: nell'informazione religiosa, un articolo sugli appelli di intellettuali e rappresentanti di movimenti cattolici - fra cui Maria Voce e Sylviane Agacinski - alle Settimane sociali di Francia.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Nigeria, attentati. Il card. Onaiyekan: atti contrari ai principi fondamentali dell'umanità

    ◊   Ancora violenze in Nigeria. Uomini armati hanno attaccato un’unità speciale della Polizia nella capitale Abuja. Immediata la reazione dei militari, che sono riusciti a respingere l’attacco senza provocare vittime. Probabile che dietro l’episodio ci sia la mano della setta islamica dei Boko Haram, gli stessi che ieri hanno condotto un duplice attacco con autobomba contro una chiesa protestante in una caserma, causando la morte di 11 persone. “E’ inquietante vedere chi ci deve difendere subire attentati”, ha commentato il presidente dei vescovi nigeriani, mons. Ingnatius Kaigama. E dolore per l’ennesimo attacco avvenuto di domenica contro i cristiani viene espresso anche dal neocardinale, John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, intervistato da Paolo Ondarza:

    R. – E’ molto preoccupante che ci sia ancora un gruppo di persone, in Nigeria, che continua a colpire chiese e ad uccidere gente innocente nel giorno di domenica. E’ una cosa che va contro tutti i principi fondamentali dell’umanità.

    D. – L’attacco è avvenuto all’interno di un’importante caserma. C’è chi ha ipotizzato una presenza dell’estremismo islamico all’interno dell’esercito…

    R. – Questo non deve meravigliarci. Una volta, il nostro presidente ha fatto scalpore dichiarando che anche all’interno del suo governo ci sono membri di Boko Haram. Forse non aveva usato parole giuste, ma dopo questa esternazione la gente gli ha chiesto: “Ma chi sono questi? E’ possibile che dentro il tuo governo ci siano i Boko Haram?”. Si può comprendere il senso di disagio…

    D. – Lei ha più volte tenuto molto a precisare che in Nigeria non è in atto uno scontro interreligioso. Perché allora colpire ancora una volta i cristiani?

    R. – Ma loro colpiscono non solo cristiani, e non colpiscono solo di domenica. A volte hanno colpito anche di venerdì, contro le moschee. Torno a dire che Boko Haram non rappresenta la faccia vera dell’islam nigeriano. Ho telefonato prima di questa intervista al mio amico, il sultano di Sokoto, che è il capo riconosciuto di tutti i musulmani in Nigeria, e con lui abbiamo stabilito che quando tornerò a casa studieremo come i capi religiosi possano aiutare ancora il nostro Paese. C’è chi dirà, però, che il sultano di Sokoto "is deceiving everybody", cioè non è onesto. Io so che è onesto. E’ chiaro che questi terroristi non agiscono sotto il suo controllo. Quello che penso, però, è che lui è il capo di tutti i musulmani: dunque, quei musulmani che lo riconoscono come leader potrebbero fare qualcosa di più.

    D. – Eminenza, lei si trova in Vaticano dove ha ricevuto la porpora cardinalizia da Benedetto XVI. Come vive queste giornate così importanti per la sua vita, per la sua vocazione, alla luce però anche di quello che sta accadendo nel suo Paese?

    R. – Chi ha partecipato al Concistoro, come pure ieri alla Messa di Cristo Re, non può non rendere grazie e gloria a Dio per un evento di grande grazia: una gioia santa che niente potrà cancellare, neanche le notizie brutte dal mio Paese. Alle volte, le circostanze sono buone e facilitano il nostro lavoro, ma sappiamo anche che non è sempre così: altrimenti, come mai i primi Papi sono tutti finiti martiri? Credo che noi cristiani di oggi dobbiamo non andare in giro cercando il martirio, però dobbiamo abituarci a vivere la nostra fede con gioia, pur nei contrasti. Il Santo Padre ci ha ricordato che la porpora non è per fare il grande maestro, il grande ed eminente signore, e così via. Il colore rosso che indossiamo ci ricorda il sangue dei martiri. Io non ci sono arrivato, ancora: ma alcuni dei miei fedeli sono morti, in queste circostanze. La loro morte va intesa nel contesto della testimonianza di vita cristiana, cioè del martirio.

    inizio pagina

    Egitto: incontro tra Morsi e il Consiglio giudiziario supremo per far rientrae la crisi

    ◊   Il presidente egiziano Morsi sta incontrando il Consiglio giudiziario supremo per far rientrare la crisi istituzionale, scaturita dalla decisione di accentrare più potere nelle sue mani. Il vertice arriva dopo l’assalto ieri alla sede dei Fratelli musulmani a Damanhour con un morto e più di 20 feriti. Domani, sono in programma grandi manifestazioni di piazza convocate dai Fratelli musulmani e dall’opposizione, ma le iniziative potrebbero rientrare alla luce dell’incontro di oggi. Benedetta Capelli ha intervistato Remigio Benni, collaboratore dell’Ansa Al Cairo:

    R. – E’ molto probabile che Morsi oggi debba modificare in parte le sue decisioni, i suoi provvedimenti, soprattutto quelli di carattere amministrativo. Credo, cioè, che lui tenda a preservare soprattutto la decisione con la quale si è garantito che non possano essere confermate dalla magistratura lo scioglimento dell’Assemblea costituente, che sta appunto preparando la Costituzione, e la Shura, cioè la Camera alta. Questo ha un valore politico molto, molto importante perché se l’Assemblea costituente, che è a prevalenza islamista, dovesse decidere che la sharia – cioè la legge coranica – è il riferimento principale del diritto, questo metterebbe in grave difficoltà tutto il sistema giudiziario egiziano tradizionale, che si appoggia anche sul diritto francese e sul diritto inglese. Una voce abbastanza consistente, al Cairo, è quella secondo cui Morsi – o ambienti a lui vicini – riferiscono di avere avuto notizia che il 2 dicembre ci sarebbe una decisione della Corte costituzionale per annullare il provvedimento, precedente la dichiarazione costituzionale, che Morsi ha fatto in agosto cancellando il potere dei militari, cancellando il Consiglio supermo delle forze armate e cambiando tutti i vertici delle forze armate. Quello che è certo è che nel Paese si è creata una grande tensione, una grande preoccupazione, proprio perché questi metodi abbastanza autoritari scelti da Morsi sembrano richiamare moltissimo alla memoria il sistema gestito da Mubarak, contro il quale è stata fatta la rivoluzione.

    D. – Cosa è cambiato realmente da un anno a questa parte nelle piazze egiziane? Il Paese sembra molto diviso…

    R. – Chiaramente, il tutto è abbastanza complesso. Un esempio: i movimenti di protesta erano, a un certo punto, diventati 150. Se pensiamo che alle elezioni, che hanno poi portato a questo parlamento e a Morsi – erano 55 partiti diversi – abbiamo idea di come sia frammentata la realtà egiziana e di come sia difficile unificare le istanze. E’ sicuro che c’è stata una necessità, una forte richiesta di liberarsi dai freni che il vecchio regime aveva imposto, e su questo poi i Fratelli musulmani hanno raccolto molti consensi. Il problema è capire quanto, in questo Paese, i Fratelli musulmani costituiscano una forza di movimento piuttosto che una forza di oppressione e di arretramento. Certo è che, da parte del popolo, c’è molta richiesta, sia pure confusa, non organizzata, soprattutto di miglioramento delle condizioni di vita, perché esse sono state tenute a un livello molto basso, durante il regime di Mubarak, e in questo periodo non sono migliorate perché la crisi economica sta consumando le risorse del Paese. Il costo della vita è molto alto, soprattutto per le classi più umili, meno abbienti. C’è tanta disoccupazione e c’è una grande tensione, che si sfoga proprio nelle manifestazioni di piazza.

    inizio pagina

    Elezioni in Catalogna. Vittoria contenuta per gli indipendentisti di Artur Mas

    ◊   Le elezioni di ieri in Catalogna per il rinnovo dei 135 seggi del Parlamento regionale. La vittoria è andata agli indipendentisti del presidente uscente Arturo Mas, anche se i consensi sono stati inferiori rispetto all’ultima tornata. Cresce invece l'altro schieramento separatista, l'Erc, che ha più che raddoppiato la propria rappresentanza, ottenendo 21 seggi e divenendo la terza forza politica della regione dopo i Socialisti. Storica l’affluenza alle urne, quasi il 70% degli aventi diritto, si è recato alle urne. Michela Coricelli:

    E’ stata una vittoria molto amara quella dei nazionalisti catalani di Convergencia i Uniò, la formazione del governatore regionale Artur Mas promotore di un referendum sull’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Il partito di massa ha vinto le elezioni ma la sua ambizione di trasformare questo voto in un plebiscito a favore della separazione fra Barcellona e Madrid è naufragata: Convergencia i Uniò ha perso 12 seggi parlamentari scivolando da 62 a 50 deputati, ben lontano dall’obiettivo della maggioranza assoluta, mentre il sentimento indipendentista ha premiato la sinistra radicale di Esquerra Republicana che passa da dieci a 21 deputati. Intanto i socialisti continuano a perdere voti, mentre il centro-destra guadagna un seggio. Di fronte al mediocre risultato del suo progettom il governatore catalano ha già accennato a possibili accordi per formare il prossimo governo con altri partiti.

    Per un commento sulle elezioni in Catalogna, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alfonso Botti, docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia ed esperto di questioni iberiche:

    R. – Credo, intanto, che il vento indipendentista abbia certamente subito una battuta d’arresto, perché Mas avrebbe voluto – in seguito ad una clamorosa vittoria – forzare la situazione costituzionale e istituzionale, indire un referendum che non è previsto dalla Costituzione spagnola, un referendum per i soli catalani sul diritto all’autodeterminazione. Ora, questa strada – a mio modo di vedere – s’è abbastanza complicata …

    D. – Secondo lei, è dunque del tutto chiusa la separazione tra Barcellona e Madrid?

    R. – Non è chiusa perché le posizioni indipendentiste restano forti, in Catalogna, se si considera che, complessivamente arrivano al 44 per cento del voto espresso contro un’altra quota attorno al 30 per cento di non indipendentisti. Sono, probabilmente, meno forti di quello che si sarebbero aspettati, però il problema resta aperto e credo metta un po’ in discussione l’attuale assetto dello stato delle autonomie che finora, tutto sommato, aveva funzionato abbastanza bene ma che ora incomincia a scricchiolare.

    D. – Quanto incide, secondo lei, nella svolta separatista la crisi economica mondiale?

    R. – La crisi economica ha inciso moltissimo nel socializzare le correnti indipendentiste. Non dimentichiamo quello che storicamente è successo da un secolo a questa parte: i movimenti nazionalisti cosiddetti periferici, cioè quello dei Paesi Baschi, quello della Catalogna e quello della Galizia, trovano alimento e spinta nei momenti in cui la situazione politica o economica del Paese traballa. Da questo punto di vista, essendo l’economia catalana una delle più forti nel contesto spagnolo, ha fatto sì che tra i catalani si diffondesse l’idea che finché la Catalogna resta agganciata al carro di Madrid non riesce ad uscire dalla crisi economica, mentre invece con l’indipendenza avrebbe maggiori possibilità, maggiori chance per uscire dal tunnel della crisi economica.

    D. – E’ storica l’affluenza alle urne: quasi il 70 per cento …

    R. – La partecipazione più alta da quando si vota per il Parlamento catalano, cioè dal 1980. Io credo che abbiano influito diversi fattori: innanzitutto, un clima internazionale con le vicende scozzesi e il referendum che è stato concordato con Cameron per quello che riguarda il futuro della Scozia. Poi, la vittoria elettorale di Rajoy e del Partito popolare, che è un interlocutore meno disponibile al dialogo rispetto ai socialisti o a quanto lo fosse stato Zapatero rispetto alle richieste di maggiori trasferimenti di competenze dal centro alla periferia. E poi, lo stallo del negoziato sul nuovo modello fiscale – il nuovo patto fiscale – sempre tra Madrid e la Catalogna, che non ha trovato una soluzione accolta dalle due parti.

    D. – Ma qual è la sua analisi? Che cosa succederà, adesso?

    R. – E’ stata una batosta significativa, quella che ha preso Convergència i Uniò nelle elezioni. Questo, naturalmente, non cancella d’un colpo le spinte, le rivendicazioni indipendentiste però ne attutisce, ne attenua la forza. Mas ha detto che intende continuare sul piano indipendentista, però la posizione è meno forte di prima.


    inizio pagina

    Bangladesh: lavoratori chiedono sicurezza dopo l'incendio che ha fatto 112 vittime

    ◊   Migliaia di operai hanno protesto oggi nella zona industriale di Dacca, in Bangladesh per chiedere che vengano incriminati i responsabili dell'incendio nella fabbrica di abbigliamento in cui sono rimaste uccise 112 persone lo scorso weekend. Le fiamme hanno divorato una seconda industria la scorsa notte, senza fortunanatamente provocare alcuna vittima. Episodi che portano alla luce una situazione terribile sul fronte della sicurezza sul lavoro, in un Paese che ha attratto investimenti internazionali, proprio in seguito a un abbassamento indiscriminato del costo del lavoro. Salvatore Sabatino ha chiesto un commento a Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo dell’Università degli Studi di Milano:

    R. - Purtroppo, non avviene solo in Bangladesh. In molti di questi Paesi che complessivamente stanno migliorando le loro condizioni economiche - almeno si è visto in termini aggregati - abbiamo una forte disparità interna, ma dall’altra parte abbiamo tuttora una tutela non adeguata: dei diritti delle persone in generale e dei lavoratori nello specifico. A volte, quindi, anche questa crescita è favorita da una possibilità di presentarsi con prezzi particolarmente competitivi all’estero, il cui vantaggio però è pagato da chi partecipa al processo produttivo, cioè dai lavoratori, dalle persone che non sono adeguatamente tutelate. Finché le cose vanno bene, non ci sono problemi. Ma quando c’è una difficoltà come quella del Bangladesh, queste sono le persone che sacrificano la loro vita, magari per dare a noi la possibilità di avere accesso a beni che gradiamo a prezzi particolarmente convenienti.

    inizio pagina

    Primarie centrosinistra. Antonio Baggio: Pd si è presentato come polo credibile

    ◊   Primarie del centrosinistra in Italia: saranno il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, e il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ad andare domenica prossima al ballottaggio. Bersani parla di “giornata straordinaria”, Renzi ricorda che “ora si riparte da zero a zero”. Sul significato di queste primarie, che ieri hanno visto la partecipazione di oltre 3 milioni di elettori, Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento al politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica presso Istituto Università Sophia del Movimento dei Focolari:

    R. - Il significato è molto positivo, proprio in una prospettiva di valutazione del bene del Paese: abbiamo assistito a un partito che ha dichiarato, in maniera esplicita, le proprie componenti e ha trasformato quello che poteva rimanere soltanto un dibattito interno in un dibattito pubblico. Quindi, la pubblicità del dibattito è la prima buona notizia: c’è più trasparenza. La seconda buona notizia è il tentativo di cambiare la classe dirigente. E questo è un merito soprattutto del candidato Renzi, ma anche del candidato Bersani che ha aperto a questa possibilità e mi è sembrato genuinamente contento. E questo è un fattore importante non solo per il Partito democratico, ma per tutta l’Italia. Ora, con questo non si risolvono le cose. I candidati ci hanno mostrato anche le loro differenze, i diversi progetti di alleanza. Però, abbiamo chiare le difficoltà: il Partito democratico si è presentato come un polo credibile. Certo, un polo solo non basta.

    D. - Un polo solo non basta. Qual è il futuro del Pdl sospeso tra l’iter delle primarie e il possibile ritorno in campo di Berlusconi?

    R. - Il Pdl rappresenta l’altro Polo naturale di alternativa al Pd. E noi, come cittadini, prima di dividerci sulle scelte, avremmo bisogno prima di tutto di due possibilità tra le quali scegliere. Il Polo di centrodestra, il Partito delle libertà, è molto più indietro in questa maturazione rispetto a quanto non lo sia il Partito democratico. Lo vediamo ad esempio dal numero esorbitante di candidati. La testimonianza è quella di una frammentazione che dice la vera e propria assenza di un partito.

    inizio pagina

    Tragedia Rossano. Mons. Marcianò: si poteva evitare, nostri treni come quelli a vapore

    ◊   I sindacati chiedono maggiore attenzione per la rete ferroviaria calabrese, dopo la tragedia che ha visto morire, sabato scorso, sei braccianti romeni. Per la Cisl calabrese, quanto avvenuto è anche “il simbolo amaro di uno stato di abbandono di una rete ferroviaria da terzo mondo su cui passano sempre meno treni”. E anche la Chiesa locale interviene. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Chi percorrere la linea jonica ha l’impressione di esser tornato 40 anni indietro. Si tratta di 470 chilometri, da Taranto a Reggio Calabria, principalmente a binario unico e con ampi tratti senza elettricità, percorsi da treni di bassa qualità. Sempre più sporadici poi i collegamenti con le grandi città del centro-nord Italia. Basti dire che tra Roma e Crotone, capoluogo di provincia, non c’è un collegamento diretto e il viaggiatore può essere costretto a cambiare treno anche due-tre volte. D’accordo il vescovo di Rossano-Cariati mons. Santo Marcianò:

    R. – Noi stiamo ancora con i treni a vapore… Non sono a vapore, sono a nafta: ma siamo lì. Tempi lunghissimi per percorrere brevi tratti… e ritengo che questa non sia una cosa onesta. L’Italia è un Paese che va considerato nella sua unità e l’unità non è e non deve essere solo politica, ma dev’essere anche geografica, nel senso che gli interventi non si possono pensare e programmare solo per una parte dell’Italia.

    D. – Quella tragedia in qualche modo è anche figlia dell’insicurezza dei trasporti ferroviari in quell’area?

    R. – E’ una tragedia che avrebbe potuto benissimo essere evitata. C’è un’insicurezza reale che riguarda non solo i passaggi a livello, o comunque le vie di accesso spesso non custodite, ma in generale riguarda tutti. Quindi, ripeto, è un problema da prendere in considerazione. Io mi auguro che questa tragedia risvegli le coscienze. Stiamo pensando di celebrare le esequie ovviamente secondo il rito greco-bizantino e lì mi riprometto di lanciare un grido che vuole essere soprattutto un appello, come dicevo, alle coscienze di tutti.

    D. – Ricordiamoci che le persone che sono morte sono stranieri. Ci ricordiamo di queste persone solo per i fatti negativi di cronaca, oppure quando rimangono vittime di tragedie…

    R. – Ritengo che queste persone – e il Papa lo ha sottolineato con forza il 15 gennaio scorso, in Piazza San Pietro, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato – siano persone che hanno una loro dignità. Spesso – sempre come afferma il Papa – queste persone sono considerate numeri, forza-lavoro. Non è possibile che ci si ricordi di tutto questo e si sottolinei il valore della dignità di queste persone solo quando accadono questi incidenti. Ritengo che prendere coscienza, entrare in relazione con queste realtà, che sono realtà spesso disumane – mi riferisco alle condizioni in cui spesso vivono questi nostri fratelli – credo che veramente metta in crisi coloro che debbono dare delle risposte a tali emergenze e a queste domande. E non sono solo i cittadini: è anche la comunità ecclesiale, la comunità civile. Questa è gente che viene spinta fuori dalla propria terra per cercare un’oasi di tranquillità, di pace dove poter vivere da persone civili…


    inizio pagina

    Imu per le scuole paritarie. Don Macrì: ci mette in una condizione impossibile

    ◊   Forte preoccupazione nelle scuole paritarie dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del regolamento dell’Imu del Ministero dell’Economia, secondo il quale le scuole paritarie non pagheranno l'Imu solo se l'attività è svolta a titolo gratuito o se il corrispettivo simbolico è tale da coprire solo una frazione del costo del servizio, tenuto conto dell'assenza di relazione con lo stesso. Debora Donnini ha intervistato don Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae, la Federazione che riunisce la maggior parte delle scuole cattoliche paritarie in Italia:

    R. – Questo ci mette in una condizione impossibile perché, oltre a stabilire che l’attività per essere dichiarata non commerciale debba essere svolta a titolo gratuito – ovvero come recita il regolamento "dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo di servizio" – mette altre condizioni che sono importanti, ma che di per sé erano state già definite dalla Legge 62, la cosiddetta legge sulla parità scolastica. Queste condizioni sono quelle di accogliere tutti gli alunni, senza discriminazione, compresi i portatori di handicap, di applicare una contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di avere un’adeguatezza delle strutture standard previste. Tutte queste condizioni rendono impossibile la richiesta di questo regolamento, per poter essere esenti dall’Imu. Come si fa, infatti, a gestire un’attività così complessa, come quella della scuola, con costi di gestione altissimi, senza avere un finanziamento pubblico e senza poter richiedere una retta per cercare di coprire queste voci di uscita del bilancio?

    D. – L’Agesc, l’Associazione Genitori Scuole Cattoliche, e l’Agidae, l’Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica, lanciano l’allarme sul rischio di chiusura delle scuole paritarie, a fronte di questa novità, perché tra l’altro viene sottolineato che le scuole che chiedono anche la retta più alta non sono in grado di coprire tutto il servizio offerto...

    R. – E’ un rischio non solo temuto, ma è un rischio oggettivo, perché le scuole paritarie, specialmente quelle senza finalità di lucro, come sono quelle cattoliche, hanno già dei bilanci in rosso. Ora, andare ad aggiungere a questo bilancio in rosso un’altra voce di uscita considerevole come può essere l’Imu, le mette in condizioni oggettive di chiusura e quindi di non rispondere a quel diritto fondamentale che è la libertà di scelta educativa. A questo proposito, nei giorni scorsi, precisamente il 4 ottobre, è stata approvata una risoluzione del parlamento europeo, nella quale si stabiliva in maniera chiarissima che gli Stati dell’Unione sono tenuti a riconoscere, non solo, a promuovere le scuole paritarie in quanto occasione dell’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie, e a promuoverle anche finanziariamente. Questo regolamento contraddice tutto questo, perché oltre ad una serie di vincoli già imposti dalla Legge 62, oltre a non avere nessun finanziamento pubblico, sono costrette a differenza di quelle statali, a pagare una tassa aggiuntiva, che è quella dell’Imu.

    D. – Questo, tra l’altro, comporterà problemi per il personale docente e non docente delle scuole...

    R. – Certo, se le scuole paritarie chiudono, ci saranno migliaia e migliaia di lavoratori che verranno messi sulla strada, famiglie messe allo sbando.

    D. – Secondo dati recenti, le scuole paritarie farebbero risparmiare allo Stato circa sei miliardi di euro all’anno. Quindi, alla fine, questo sarebbe un onere in più per la scuola pubblica...

    R. – La cifra è inferiore rispetto alla vera cifra, perché si riferisce solamente alle spese correnti, attribuibili al bilancio del Ministero dell’Istruzione e ai bilanci delle province e dei comuni. Non calcola altre voci di uscita, come per esempio la costruzione degli edifici, la manutenzione straordinaria e ordinaria, le strumentazioni didattiche… Se si andassero a calcolare tutte queste voci, la somma diventerebbe molto, molto più grande.

    D. – Quindi, comunque c’è un risparmio molto alto?

    R. – La scuola paritaria rende un risparmio altissimo allo Stato. Quindi, lo Stato, soprattutto in una situazione di grave difficoltà economica per il suo bilancio, avrebbe tutto l’interesse a sostenerle e a promuoverle, perché sono un investimento produttivo per il suo bilancio.


    inizio pagina

    Spina bifida: lo sport come strumento quotidiano per l’autonomia

    ◊   Presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nella sede di Santa Marinella – Centro di riabilitazione per "post acuti" – si è tenuto il convegno “Spina bifida: lo sport come strumento di autonomia; il modello ski-tour 365 giorni l’anno”. Presenti numerosi medici, infermieri, bambini e ragazzi con lesione midollare, famiglie, terapisti e allenatori per stimolare la pratica sportiva nelle persone con disabilità e per testimoniare quanto lo sport contribuisca alla conquista dell’autonomia e al miglioramento della vita quotidiana. Lucia Fiore ne ha parlato con il dottor Mario De Gennario, urologo e direttore del Reparto di Urologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù:

    R. - Lo sport rende sicuramente necessario il distacco del bambino dalla famiglia. Il bambino viene affidato al suo “trainer” sportivo, al suo allenatore, deve muoversi da casa, deve sapere come nutrirsi e deve sapere quali cose sia meglio evitare e quali cose sia consigliato fare al di fuori della protezione dei genitori. Questo significa una necessità di ricerca e di autonomia: significa incontrare difficoltà pratiche, sicuramente, ma anche superarle.

    D. – In cosa consiste il "modello ski-tour" e a chi è rivolto?

    R. – Il Centro che si è occupato e che si sta occupando di questi campi invernali per lo sci è seguito direttamente in collaborazione con la Polizia di Stato, quindi è una struttura in qualche modo protetta, che mette in condizioni di sfruttare al meglio le possibilità residue. Io ho visto filmati fantastici e abbiamo partecipato con le nostre famiglie a gare, o comunque a discese, di ragazzi non soltanto paraplegici ma addirittura tetraplegici, il che vuol dire che non muovono con autonomia gli arti superiori. Lo sci, però, sfruttando la forza di gravità, quindi l’aiuto della natura, mette sostanzialmente queste persone nelle stesse condizioni di chi invece ha un completo movimento fisico.

    D. – Quanto è importante la pratica sportiva nelle persone con disabilità e non solo?

    R. – Chi già faceva sport, superato il lutto e la depressione di non essere nelle stesse condizioni di prima per farlo, ha tutte le motivazioni per impegnarsi di nuovo al massimo. Quindi, fare sport per chiunque è già un punto di partenza fortissimo. Sono venuti a trovarmi atleti che hanno partecipato alle Paralimpiadi, che erano a livelli altissimi prima dell’incidente e che poi magari hanno cambiato sport, oppure fanno lo stesso sport in modo differente, e che sono non solo motivati, ma una guida fraterna per quelle persone che invece non avevano fatto sport a quei livelli e che lo affrontavano con maggiore timidezza. Hanno partecipato la Federazione italiana del tennistavolo, la Federazione italiana della pallacanestro, del tiro con l’arco, della vela e ci sono anche alcune Federazioni – e in questo forse, muovendo questa leva, si può aiutare molto – che cercano di inserire persone con minore abilità nei team dei cosiddetti normodotati.

    inizio pagina

    "Il vescovo maestro di fede": in un volume riflessione sul tema di mons. Fabio Fabene

    ◊   La testimonianza di un vescovo non può essere uguale a quella di un qualsiasi cristiano, perché la consacrazione ricevuta rende il vescovo un “maestro della fede”. È proprio “Il vescovo maestro della fede” si intitola il volume scritto da mons. Fabio Fabene, capo ufficio della Congregazione per i Vescovi, recentemente pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, con prefazione del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Gerhard Müller. Alessandro De Carolis haintervistato l’autore del libro:

    R. – L’ispirazione di questo libro mi è venuta subito dopo l’indizione, da parte del Papa, dell’Anno della Fede. C’è una stretta connessione tra il vescovo e la fede perché - appunto - in forza della consacrazione episcopale, il vescovo riceve i munera, cioè le funzioni che gli sono proprie, e tra queste, la prima è proprio quella di essere maestro della fede.

    D. – Paolo VI affermava che l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e lei definisce per l’appunto il vescovo, in quest’ordine, “testimone e dottore della Fede”. Dunque, anche per un vescovo è dalla testimonianza che nasce il magistero…

    R. – La definizione del vescovo come testimone e dottore della fede è una definizione data dal Concilio Vaticano II, e in particolare dalla costituzione dogmatica Lumen Gentium. Sappiamo quanto la testimonianza sia centrale nel Nuovo Testamento, nel Vangelo, una testimonianza riferita soprattutto alla Risurrezione di Cristo. È significativo, per esempio, che al momento di scegliere colui che doveva prendere il posto di Giuda nel collegio apostolico, si ritenesse necessario che fosse stato testimone della Risurrezione. Lo stesso Concilio precisa anche il contenuto della sua testimonianza episcopale, che è quello di essere “testimone della divina e cattolica verità”. La sua, quindi, è una testimonianza diversa da quella di tutti gli altri testimoni.

    D. – Per arrivare a definire la figura del vescovo e delle sue responsabilità, lei apre il suo lavoro tracciando quasi “una carta d’identità” della fede. Quali sono i segni particolari della fede?

    R. – Il libro è, potremmo dire, quasi diviso in due parti. Nella prima parte, mi pongo una domanda: che cos’è la fede? Mi sono fondato soprattutto sui documenti del Concilio Vaticano II che, è vero, non ha avuto un documento specifico sulla fede, ma tutte le sue pagine – come disse Paolo VI, in un’udienza generale del mercoledì del 1967 – parlano della fede. E la fede innanzi tutto è vista dal Concilio come dono e vocazione, comunione. La vede in rapporto con la Sacra Scrittura, e sappiamo poi quanto negli anni successivi questo rapporto si sia sviluppato fino al Sinodo sulla Parola di Dio. Si mette soprattutto in evidenza la fede e la carità: anche qui, sappiamo quanto il magistero del Papa Benedetto XVI fin dalla sua prima Enciclica unisca la professione della fede e la testimonianza dell’amore fraterno. Poi, la fede e la Speranza, la fede e la ragione, anche questa una caratteristica del Magistero del nostro attuale Santo Padre. Attraverso questo “mosaico” di concetti, a me sembra sia emersa una definizione della fede proprio alla luce del Concilio Vaticano II.

    D. – Al paragrafo in cui si parla della fede in rapporto all’attuale contesto culturale, lei afferma che la prima responsabilità del vescovo è quella di riaffermare il carattere certo della fede. Quindi si può dire che è un guanto di sfida lanciato al relativismo spesso oggi dilagante...

    R. - Questo capitolo – l’ultimo del libro – risente molto della mia esperienza maturata fin da ragazzo e dei primi anni della mia vita sacerdotale, quando nella cattedrale della mia diocesi ho sentito diversi vescovi che si sono succeduti proclamare veramente, affermare e riaffermare la fede: la cattedra episcopale era veramente diventata per noi una scuola, la scuola della fede. Questa esperienza che ho fatto negli anni è quella che noi anche oggi sentiamo nella predicazione e nel magistero del Papa Benedetto XVI, che si esprime, non solo nelle sue omelie e nei suoi documenti, ma anche in quella trilogia di volumi “Gesù di Nazareth”, il cui terzo volume, dedicato all’infanzia di Gesù, è stato pubblicato appena qualche giorno fa.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Gmg Rio 2013: aperti i lavori dell'incontro mondiale di preparazione

    ◊   Si è aperto ieri sera, con una messa nella chiesa della Madonna del Carmine, a Rio De Janeiro, l’incontro mondiale in preparazione alla Giornata mondiale della Gioventù che si svolgerà nella citta brasiliana dal 23 al 28 luglio 2013. Oltre 200 delegati di pastorale giovanile, in rappresentanza di oltre 70 Paesi, hanno partecipato alla messa presieduta dall’arcivescovo di Rio, dom Orani Joao Tempesta, con il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici, che con il Comitato organizzatore locale (Col) della Gmg, ha promosso l’iniziativa. Nell’omelia - riporta l'agenzia Sir - l’arcivescovo ha messo in evidenza come la Gmg “rientri nell’Anno della Fede e rappresenti un momento di rinnovamento della fede dei giovani così che possano diventare 'lievito nella pasta’ e quindi protagonisti nella nostra società grazie a Cristo”. Un concetto ripreso anche dal nunzio apostolico in Brasile, mons. Giovanni D’Aniello, che ha sottolineato come “i tantissimi giovani che saranno a Rio il prossimo luglio doneranno alla città e a tutto il Paese una grande testimonianza di fede gioiosa, contagiosa e, al tempo stesso, matura”. Al termine della celebrazione è stata consegnata a mons. Tempesta una lettera dei genitori della beata Chiara Luce Badano una dei tredici intercessori della Gmg di Rio. Nel testo, letto pubblicamente, i genitori auspicano che l’esempio della figlia Chiara Luce “possa contribuire a fare da modello e sprone alla vita di tanti giovani che cercano, anche in tempi così difficili, di dare un senso alla loro vita”. La lettera si chiude con l’annuncio che i genitori di Chiara Luce saranno a Rio per la Gmg. I lavori della conferenza proseguono oggi, con le relazioni di mons. Tempesta, del cardinale Rylko e con una serie di informazioni riguardanti aspetti pratici e logistici della Gmg (visti, alloggi, iscrizioni, sicurezza, pasti, luoghi della veglia e della messa finale). Domani il programma prevede alcuni interventi che riguardano il settore volontari, traduzioni, fiera vocazionale e Settimana vocazionale. La giornata di mercoledì, che precede quella della partenza, sarà riservata all’incontro con alte istituzioni comunali, regionali e nazionali, agli interventi di sintesi del cardinale Rylko e di mons. Tempesta e alla visita del santuario del Corcovado e alla preghiera con i giovani nella parrocchia di Ipanema. (R.P.)

    inizio pagina

    Colombia: prima intesa a L'Avana tra governo e Farc

    ◊   Dopo una settimana di tensioni e scambi di critiche tra il ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón, e la guerriglia, governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno annunciato ieri la loro prima intesa sul principale tema dell’agenda dei colloqui di pace ospitati all’Avana: la riforma agraria. “Nel rispetto dell’accordo generale per la conclusione del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura - riferisce l'agenzia Misna - si è convenuto di mettere in marcia il primo spazio di partecipazione del tavolo del dialogo attraverso la convocazione di un Forum denominato politica di sviluppo agrario integrale a Bogotá il 17,18 e 19 dicembre prossimi” si legge in una nota congiunta delle parti inviata ai media colombiani. Secondo il comunicato, il Forum consentirà di “ricevere apporti e proposte utili alla discussione del primo punto dell’agenda provenienti dalla partecipazione cittadina”. La nota aggiunge che i rappresentanti dell’Università nazionale e dell’Onu in Colombia saranno i relatori del dibattito, le cui conclusioni saranno portate al tavolo del dialogo l’8 gennaio 2013. Le Farc hanno anche ribadito ieri che rispetteranno il cesate-il-fuoco proclamato unilateralmente dal 20 novembre al 20 gennaio, invocando tuttavia allo stesso tempo il diritto a difendersi in caso di necessità: “Esprimiamo la nostra totale osservanza della cessazione unilaterale di azioni offensive, ma chiariamo che ci riferiamo esplicitamente ad azioni offensive contro la forza pubblica e agli atti di sabotaggio contro le infrastrutture pubbliche o private. Se la forza pubblica pretende di attaccare le nostre unità guerrigliere queste hanno il legittimo diritto alla difesa” ha detto Rubén Zamora, membro della delegazione delle Farc a Cuba. Il gruppo armato ha anche smentito fonti dell’esercito che già la scorsa settimana avevano denunciato una violazione della tregua in occasione di scontri avvenuti in una zona rurale del dipartimento sud-occidentale del Cauca il 20 novembre. Da parte sua, il governo ha confermato che l’offensiva militare non si fermerà durante il negoziato, annunciato lo scorso agosto, inaugurato ufficialmente in Norvegia – Paese garante, insieme a Cuba – il 18 ottobre e avviato in concreto il 19 novembre all’Avana. (R.P.)

    inizio pagina

    Doha: aperta la Conferenza sui cambiamenti climatici

    ◊   Si è aperta questa mattina a Doha, in Qatar, la 18 ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. All’incontro partecipano i rappresentanti di circa 190 Paesi, al fine di promuovere i difficili negoziati sulla limitazione delle emissioni di gas a effetto serra. Il nuovo consesso si apre mentre i segni del riscaldamento globale sono sempre più evidenti, secondo gli esperti e aumentano nel contempo le richieste urgenti di un intervento da parte degli ambientalisti. “Si tratta di una conferenza di vitale importanza” ha affermato il presidente della conferenza, il ministro del Qatar, Abdullah al Attiyah, aprendo i lavori. La conferenza - riporta l'agenzia Misna - proseguirà fino al 7 dicembre. I negoziatori saranno affiancati da più di 100 ministri dei diversi paesi, con l’obiettivo previsto di raggiungere un accordo che costituisca il passo successivo al processo avviato nel 1995. Tra le grandi questioni sul tavolo: un’estensione del Protocollo di Kyoto, in scadenza a fine anno, che possa costituire da cornice alle fondamenta di un nuovo accordo globale – previsto al più tardi nel 2015 – e l’assistenza finanziaria ai paesi più vulnerabili. (R.P.)

    inizio pagina

    Congo: Chiesa denuncia l'indifferenza di media e comunità internazionale sul conflitto in Kivu

    ◊   «Le rare informazioni lasciano intendere che si tratti di eventi di poca rilevanza. Ma non è così. La ferita è profonda ed è il cuore della nazione ad essere stato colpito». In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, mons. Bernard Kasanda, vescovo di Mbuji-Mayi, condanna fermamente l’attuale situazione nella Repubblica Democratica del Congo e l’incapacità della comunità internazionale di contrastare l’invasione del Nord Kivu. Il presule confida alla Fondazione pontificia che non si aspettava una così rapida escalation del conflitto, con la presa di Goma da parte dei ribelli. «Ciò non toglie che quanto accaduto negli ultimi anni, la complicità della comunità internazionale e la scelta del Ruanda come membro del Consiglio di sicurezza nonostante le accuse di violazione dell’integrità territoriale congolese, lasciassero chiaramente intuire un tale sviluppo, ossia l’invasione della parte orientale del Paese». Le immense ricchezze minerarie e i giacimenti di petrolio sono tra le principali cause d’instabilità. E il presule ritiene che «se non si deciderà di agire per fermare la loro avanzata una volta per tutte», i ribelli potrebbero arrivare fino a Bukavu, capoluogo della provincia del Kivu Sud. Secondo mons. Kasanda, le speranze di un intervento sono fiaccate tuttavia dai quattordici anni di presenza Onu, trascorsi senza alcun tipo di risultato. «Le autorità politiche e i Caschi blu hanno continuato a ripetere “state calmi, non abbiate paura e non vi succederà nulla” e ora che i ribelli hanno conquistato l’Est del Paese, non reagiscono. È incomprensibile». Visibilmente turbato dagli eventi, il vescovo rivolge un appello ai media: «La totale indifferenza nei confronti di ciò che stiamo vivendo è in parte dovuta alla cattiva informazione. Le notizie vengono filtrate e ritoccate per perseguire obiettivi precisi. Nessuno comprende la gravità di quanto sta accadendo: la dignità umana è regolarmente calpestata e i congolesi sono ripetutamente e vergognosamente umiliati». (R.P.)

    inizio pagina

    Sierra Leone: Ernest Koroma rieletto presidente

    ◊   Cortei di militanti in festa hanno attraversato Freetown dopo l’annuncio della conferma del presidente Ernest Bai Koroma alle elezioni del 17 novembre: lo dicono all'Aagenzia Misna missionari savariani in Sierra Leone dai tempi della guerra civile, riferendo di una forte partecipazione e di un confronto politico sempre pacifico. “Oggi – dice padre Pietro Lazzarini – l’atmosfera è tranquilla e, nonostante le denunce di irregolarità avanzate dal maggiore partito di opposizione, bisogna sottolineare che gli osservatori stranieri hanno giudicato il voto libero e trasparente”. Secondo i risultati annunciati sabato dalla Commissione elettorale, Koroma ha ottenuto quasi il 59% e superato così la soglia del 55% che consente l’elezione al primo turno. Il suo principale sfidante, l’ex capo di Stato Julius Maada Bio, si è fermato al 38%. Come riferito nei giorni scorsi da più fonti dell'agenzia Misna, la partecipazione è stata massiccia: secondo la Commissione, ha votato più dell’87% degli aventi diritto. In attesa della diffusione dei risultati del voto legislativo e amministrativo che si è tenuto contestualmente alle elezioni presidenziali, un elemento di incertezza è rappresentato dalle denunce di irregolarità del Sierra Leone People’s Party (Slpp) di Bio. Il partito terrà un congresso straordinario domani e potrebbe decidere un ricorso presso la Corte suprema. Nel primo discorso dopo l’annuncio dei risultati, Koroma ha detto che durante il suo secondo e ultimo mandato si concentrerà nella creazione di posti di lavoro e nella formazione dei giovani affinché possano cogliere nuove opportunità garantite dallo sviluppo dei settori agricolo, edilizio e minerario. Secondo il portale di informazione Sierra Leone Express, Koroma e il suo All People’s Party (Apc) hanno vinto anche per i progressi ottenuti nell’elettrificazione del Paese e nella sanità, in particolare con i programmi di assistenza gratuita per le donne incinte e i bambini con meno di cinque anni. Un altro elemento messo in evidenza dalla stampa di Freetown è la necessità di un nuovo atteggiamento della comunità internazionale nei confronti di un Paese conosciuto soprattutto per gli orrori del conflitto civile combattuto tra il 1991 e il 2002. “Questo voto – scrive ancora il Sierra Leone Express – ha dimostrato a tutti e soprattutto ai mezzi di informazione internazionali che è giunto il momento di vedere e descrivere il nostro Paese in modo nuovo”. (R.P.)

    inizio pagina

    Siria. Il vescovo caldeo mons. Audo: il conflitto ha sfigurato Aleppo

    ◊   Negli ultimi giorni il fragore delle armi che si percepiva anche dal centro di Aleppo sembra essersi attenuato. E nell'apparente fase di stallo si registrano con più nettezza gli effetti devastanti del conflitto sulla vita ordinaria di quella che era una tra le città più fiorenti e cosmopolite di tutto il Medio Oriente. “Qui adesso tutto appare avvolto da un senso di rovina e decadenza” racconta all'agenzia Fides mons. Antoine Audo, vescovo caldeo della metropoli. In qualità di responsabile della Caritas in Siria, mons. Audo si misura ogni giorno con le conseguenze a lungo termine del conflitto sulla quotidianità. Spiega a Fides: “Nell'area di Aleppo ci sono centinaia di migliaia di rifugiati interni, accalcati nelle scuole e in accampamenti improvvisati, come i più di 5mila che dormono all'aria aperta nei giardini della città universitaria. Ma la gente non lavora, e tutti sono diventati poveri. Anche quelli che vivono ancora nelle loro case. Le aree industriali delle periferie sono state bombardate e saccheggiate. Da settimane non si raccoglie l'immondizia, e nelle strade l'aria diventa irrespirabile”. I cinque centri Caritas della città assistono in maniera diretta 2.400 famiglie, distribuendo medicine, vestiti e beni alimentari. Nei giorni scorsi i sacerdoti e i volontari che cooperano nella rete Caritas si sono incontrati con mons. Audo per studiare i programmi in vista dell'inverno. In quella che nel 2006 si era guadagnata il titolo di “Capitale culturale del mondo islamico”, il conflitto ha aperto le porte anche ai fantasmi del freddo, della fame e delle malattie. (R.P.)

    inizio pagina

    Zagabria: concluso l'incontro dei vescovi europei di rito orientale

    ◊   Come valorizzare il contributo delle Chiese cattoliche di rito orientale in Europa, nel dialogo ecumenico ma soprattutto a fianco dei sempre più numerosi immigrati, provenienti dal sud-est europeo e fedeli delle Chiese cattoliche orientali. Il tutto nella consapevolezza che “permane una certa ignoranza nella stessa Chiesa cattolica” circa le loro tradizioni liturgiche, teologiche e culturali. Di questo hanno parlato i circa 60 partecipanti tra vescovi ed esperti che hanno partecipato, dal 22 al 25 novembre, all’incontro annuale dei vescovi cattolici orientali in Europa. L’incontro si è svolto quest’anno a Zagabria-Krizevci (Croazia), su invito del vescovo di Krizevci, mons. Nikola Kekić, e sotto il patrocinio del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Si è scelta la Croazia come luogo dell’incontro - si legge in un comunicato diffuso oggi dal Ccee e ripreso dall'agenzia Sir - perché quest’anno si celebrano i 400 anni della rinnovata unione della Chiesa greco-cattolica croata con la Sede apostolica di Roma sancita e conosciuta come unione di Marča. In un messaggio indirizzato ai partecipanti, il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha espresso il desiderio che le tradizioni delle Chiese cattoliche di rito orientale “siano più conosciute e amate dai fedeli e dal clero di tutto il mondo”. Nel corso dei lavori i vescovi hanno parlato del ruolo che le Chiese orientali possono svolgere “nel dialogo ecumenico, in particolare con le Chiese ortodosse”; di come “si esplicita oggi in Europa la sollecitudine pastorale dei vescovi di rito latino che accolgono nelle loro diocesi comunità sempre più crescenti di fedeli di rito orientale”. “Il contributo specifico alla nuova evangelizzazione delle Chiese orientali - si legge nel comunicato diffuso dal Ccee - passa anzitutto attraverso la fedeltà” ad un modello di evangelizzazione “caratterizzato da un annuncio del Vangelo improntato e nutrito da una forte spiritualità”. “Ad esso si aggiunge la testimonianza, il martirio, di tanti vescovi, sacerdoti e fedeli laici, che appare oggi come un dono di fronte alla crisi antropologica che rende spesso l’uomo moderno incapace di giustificare se stesso e l’orientamento della propria esistenza”. Sabato scorso, i partecipanti hanno incontrato in udienza privata il presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović. L’incontro del 2013 si svolgerà in Slovacchia, a Kosice, che l’anno prossimo sarà capitale europea della cultura, dal 17 al 20 ottobre, in occasione dei 1150 anni della missione dei santi Cirillo e Metodio nel Paese e su invito di mons. Milan Chautur, vescovo di Kosice. (R.P.)

    inizio pagina

    India: nel Karnataka 39 attacchi anticristiani nel 2012

    ◊   Sono 39 gli attacchi portati contro la comunità cristiana del Karnataka dall'inizio del 2012. La denuncia è del Global Council of Indian Christians (Gcic) ad AsiaNews. Gli ultimi due episodi di violenza - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono avvenuti il 23 novembre scorso, in aree diverse dello Stato. Nel distretto di Bellary, un gruppo di fondamentalisti islamici ha aggredito un pastore anglicano e tentato di distruggere chiese e istituti cristiani. In quello di Kollar, nazionalisti indù del Bajrang Dal hanno violato una cerimonia di consacrazione di una chiesa pentecostale. In entrambi i casi, spiega Sajan George, presidente del Gcic, "si è riaccesa la paura dei cristiani di restare vittime di attacchi brutali e immotivati". Nella città di Hospet (distretto di Bellary), una folla di islamici ha aggredito e pestato a sangue il pastore Lewis Mascarenhas, della Church of South India (Csi, anglicani). Il religioso aveva visitato alcuni musulmani, che l'avevano chiamato per parlare di Gesù e del cristianesimo. Poco dopo il suo arrivo, un gruppo di islamici lo ha raggiunto e picchiato. Poi, lo hanno trascinato alla stazione locale di polizia, accusandolo di praticare conversioni forzate. Gli agenti hanno fatto ricoverare il pastore all'ospedale di B.C. Acharya, ma sotto la loro custodia. Intanto, alcuni musulmani hanno attaccato chiese e istituti cristiani della città, tentando di distruggerle. Avvertita del fatto, la polizia ha dato protezione a luoghi di culto e strutture, per evitare ulteriori attacchi. Sempre il 23 novembre, 50 attivisti del gruppo ultranazionalista indù del Bajrang Dal hanno interrotto la cerimonia di consacrazione della Jesus Prayer Hall, nel villaggio di Kammasahalli (distretto di Kolar). I violenti hanno aggredito il pastore pentecostale Girish e il centinaio di fedeli presenti. Poi, hanno installato nella chiesa una statua del dio indù Ganesha, e hanno iniziato la pooja (cerimonia indù). La polizia di Mulbagal è giunta sul posto, ma invece di rimuovere la statua, ha interrogato il pastore, chiedendo di presentare i regolari documenti di proprietà. Sajan George sottolinea la regolarità con cui "questi attacchi avvengono negli Stati guidati dal Bharatiya Janata Party", partito ultranazionalista indù che sostiene i gruppi violenti che agiscono sotto l'ombrello del Sangh Parivar. Il leader del Gcic nota poi "la coincidenza temporale" tra "l'attacco perpetrato dai musulmani" e "le grandi manifestazioni organizzate dal Popular Front of India (Pfi) in diversi distretti del Karnataka". Il Pfi è una confederazione di organizzazioni musulmane del Paese, che conta circa 800mila membri. Nonostante essa si fregi di difendere i diritti umani di tutte le comunità, per Sajan George "non si possono slegare il Popular Front of India e le sue campagne dal riaccendersi delle tensioni tra le comunità". (R.P.)

    inizio pagina

    Donne pakistane e cristiane, in prima linea nella difesa dei diritti delle minoranze

    ◊   Dall'assalto estremista che ha sconvolto il villaggio cristiano di Shanti Nagar, nel 1997, ha trovato la forza per lanciare una campagna a favore dei diritti delle minoranze perseguitate. E oggi ha allargato il suo lavoro all'istruzione, in particolare quella delle donne, all'armonia e al dialogo interreligioso; un'opera preziosa, che le è valsa la nomina a membro laico della Commissione per i rapporti con i musulmani del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (Pcdi). È la storia di Romana Bashir, pakistana e cattolica, che ha deciso di dedicare la propria vita al servizio dei più deboli con lo scopo di "cambiare la mentalità e la cultura del Pakistan". Il 6 febbraio 1997 circa 60mila estremisti hanno attaccato il villaggio cristiano nella provincia del Punjab, devastando 13 chiese e incendiato centinaia di abitazioni. Gli assalitori - riferisce l'agenzia AsiaNews - provenivano da Khanewal, una roccaforte dei miliziani, e hanno lasciato al termine del loro raid oltre 2.500 persone senza casa. Le violenze hanno spinto moltissimi attivisti e semplici cittadini a battersi per i diritti delle minoranze e per la promozione del dialogo interreligioso. Assieme ad Arif Gill, la cattolica pakistana Romana Bashir è fra le personalità più autorevoli e attive nel settore fin dal 1998, un anno dopo i tragici fatti di Shanti Nagar. La donna ha fondato il suo impegno sui valori del "nazionalismo" e del "lavoro condiviso" a livello di comunità di base. Ha aderito al Christian Study Center (Csc), impegnandosi per la libertà di espressione, la giustizia, la dignità e l'uguaglianza. Nel 2009 ha guidato la sede dell'istituto a Rawalpindi, prendendo il posto dello scomparso Francis Mehboob Sada. Ancora oggi l'attivista promuove programmi e attività, incontri coi musulmani, coi tribali e con personalità della società civile al fine di sviluppare una cultura "del dialogo e dell'armonia per il bene comune". Una capitolo a parte è dedicato all'istruzione femminile, per la quale si è spesa con vigore e passione, nella speranza di "cambiare la mentalità e la cultura del Pakistan", in particolare nel rapporto con l'universo rosa. In un'intervista ad Assist News Service (Ans), Romana Bashir spiega che le donne pakistane sono "cresciute", in particolare fra le minoranze e questo è un "elemento di grande consolazione per noi". A livello politico e sociale "sono sempre più presenti" e cita gli esempi di Hina Rabbani Khar attuale ministro degli Esteri, e di Asma Jhangir, ex presidente dell'Ordine degli avvocati della Corte suprema. "La presenza è un segnale positivo - conclude l'attivista cattolica - perché sono convinte che il Paese debba cambiare e l'estremismo sradicato. È un segnale importante che dà speranza alla nazione". (R.P.)

    inizio pagina

    Australia: la Chiesa si oppone alla politica di detenzione dei richiedenti asilo

    ◊   La Commissione cattolica australiana di Giustizia Sociale (Australian Catholic Social Justice Council, Acsjc) ha espresso la propria seria preoccupazione per lo stato di detenzione cui sono sottoposti in Australia anche i bambini e le rispettive famiglie in cerca di asilo. In un comunicato inviato all’agenzia Fides, emerge il deciso disappunto del presidente dell’Acsjc, mons. Christopher Saunders, vescovo di Broome: “Il fatto che i richiedenti asilo, compresi i bambini, siano stati mandati a Manus (nel nord della Papua Nuova Guinea) costituisce un campanello di allarme. Dopo aver verificato personalmente le condizioni nei centri di detenzione australiani, e dopo aver letto i rapporti di Amnesty sulla crisi nel Nauru, siamo molto preoccupati per il loro benessere”. Mons. Saunders sottolinea: “Nessun bambino dovrebbe essere detenuto a tempo indeterminato in nessun centro. Nessuna persona dovrebbe essere detenuta a tempo indeterminato in un ambiente che sappiamo provocherà danni a lungo termine”. Il vescovo conclude: “Ci opponiamo alla politica di detenzione prolungata dei richiedenti asilo, e siamo particolarmente preoccupati per i suoi effetti sulle persone vulnerabili, in particolare i bambini. Chiediamo al governo australiano di rilasciare immediatamente tutti i bambini e le loro famiglie dai centri di detenzione per immigrati ubicati sulla terraferma e in mare aperto”. (R.P.)

    inizio pagina

    Rwanda: Lettera pastorale dei vescovi per l’Anno della Fede

    ◊   Un’esortazione a vivere una vita cristiana basata sulla vera fede: è questo, in sintesi, il contenuto della Lettera pastorale che la Conferenza episcopale del Rwanda ha diffuso in occasione dell’Anno della fede. La missiva sarà letta ufficialmente in tutte le Chiese del Paese il prossimo 2 dicembre, prima domenica di Avvento e data scelta dalle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale come Giornata di preghiera per la pace nella regione dei Grandi Laghi. Dopo un’introduzione che ricorda il perché dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per celebrare i 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, la lettera pastorale esorta i cattolici a ravvivare la propria fede, a purificarla e proclamarla, affinché i prossimi mesi “diventino una bella occasione per confermarsi nella vita cristiana attraverso una vera conversione”. Dal punto di vista strutturale, il documento dei presuli è suddiviso in tre capitoli: il primo è dedicato al significato della fede cristiana, il secondo ai problemi che contrastano la fede stessa ed il terzo alle direttive specifiche che i vescovi offrono ai cattolici per l’Anno della fede. “Per i cristiani – si legge nella lettera – la fede è una virtù teologale che ci fa credere fermamente in Dio”. Di qui, l’invito dei presuli affinché i fedeli innanzitutto approfondiscano “i dogmi di fede contenuti nel Credo che sintetizza ciò che Gesù ha rivelato attraverso la sua Chiesa” e quindi “li credano e li vivano con convinzione, poiché essi costituiscono uno dei tratti caratteristici dei cristiani cattolici”. Riguardo ai problemi che contrastano la fede, inoltre, i vescovi ne rilevano numerosi, come “l’ateismo professato da alcune persone limitate dai progressi scientifici, tecnologici ed economici; le ideologie che combattono Cristo e la Chiesa con le armi e le idee distruttive o che si oppongono alla natura umana creata ad immagine e somiglianza di Dio, la quale deve, invece, essere rispettata dal concepimento fino alla morte naturale; o, ancora, le ideologie che vogliono distruggere la famiglia basata sull’unione tra uomo e donna o che vogliono condurre ad una vita senza Dio”. Quindi, la lettera pastorale offre alcune direttive per l’Anno della fede, tra cui l’invito ad accostarsi più frequentemente ai sacramenti, a studiare meglio i documenti del Concilio Vaticano II, a vivere maggiormente la fede all’interno del matrimonio e della famiglia, a promuovere la giustizia e la pace, eliminando tutte le cause dell’odio e della violenza legate alle etnie. Infine, la Chiesa del Rwanda esorta i fedeli a fare un pellegrinaggio a Kibeho, luogo delle apparizioni della Vergine Maria. (A cura di Isabella Piro)


    inizio pagina

    Madagascar: detenuti condannati anche alla malnutrizione cronica

    ◊   Dopo il colpo di stato del 2009 l’economia del Paese è precipitata ed anche il sistema carcerario si sta rapidamente deteriorando. Nel 2008 l’Unione Europea ha stanziato 2,5 milioni di dollari alle ong impegnate a migliorare le condizioni dei centri di detenzione, ma questi fondi andranno esauriti entro la fine di quest’anno e non si sa se il Ministero della Giustizia, il cui bilancio è stato ridotto del 40% nel 2011, avrà denaro per il 2013. Tra i problemi più urgenti da fronteggiare emerge la malnutrizione cronica, alla quale sembrano “condannati” i detenuti malgasci oltre che alla pena giudiziaria. La relazione per il 2011 sui diritti umani in Madagascar, curata dal Dipartimento di Stato americano, ha evidenziato che questa piaga colpisce fino a due terzi dei detenuti di alcune carceri ed è per loro la causa di morte più comune. Nel 2008 il Ministero della Giustizia aveva pianificato un incremento delle razioni giornaliere nelle prigioni, ma i benefattori hanno congelato gli aiuti in conseguenza del colpo di Stato, e i bilanci di tutti i ministeri sono stati ridotti. Nel mese di luglio 2012, Medicins du Monde, una delle 5 Ong attive in 24 prigioni nel nord del Madagascar finanziate dall’Unione Europea, ha distribuito razioni extra di Koba - arachidi schiacciate - e manioca ai prigionieri malnutriti. Anche se i fondi per le carceri sono diminuiti, continua ad aumentare il numero dei detenuti. Le 83 prigioni del Paese erano state preventivate per accogliere 10.319 carcerati, ma in realtà ne ospitano 19.870. Il sovrappopolamento è spesso del 100%. Si possono trovare 150 persone in una cella prevista per 40. Oltre al cibo sono molto precarie le condizioni igieniche, mancano acqua e sapone per tutti i carcerati e la sfida contro i topi è costante. Secondo l’ Handicap International (Hi), nel 2012 l’80% dei detenuti sono stati abbandonati dalle rispettive famiglie, spesso perché quelle più povere non sono in grado di assisterli economicamente. Oltre 3/4 della popolazione del Paese vive con meno di 1 dollaro al giorno. L’Hi ha anche sottolineato il fatto che metà dei detenuti malgasci soffre di diverse forme di disturbi mentali. Inoltre solo il 47% sono condannati, mentre tanti trascorrono anni in attesa del giudizio. (R.P.)

    inizio pagina

    Messico: Chiesa dice no alla violenza dopo l'assassinio del figlio di un dirigente rurale

    ◊   Un gruppo di criminali ha ucciso ieri, il figlio di un noto dirigente rurale della zona, nel comune di Venustiano Carranza, nel Chiapas, in Messico. Alcuni uomini armati, con il volto coperto da passamontagna, hanno teso un agguato a Luis Angel Hidalgo, 33 anni: appena arrivato sul terreno agricolo alla periferia del capoluogo, otto proiettili lo hanno ucciso all'istante. Secondo la nota inviata all'agenzia Fides dalla stampa locale, l'atto criminale è legato alla lotta interna al mondo rurale in questa regione degli altopiani centrali del Chiapas, che vede diversi gruppi di contadini contrapporsi all'organizzazione “Emiliano Zapata - Casa del Pueblo (Oces)”, riconosciuta dallo Stato, che attualmente gestisce attività e mezzi del mondo rurale. Luis Angel Hidalgo era il figlio dell'ex leader dell’Ocez, Angel Hidalgo Espinosa, recentemente espulso dall'organizzazione con altri 48 contadini in seguito all’aggressione ad alcuni rappresentanti dell’autorità comunale, avvenuta il 25 settembre. Il vescovo della diocesi San Cristóbal de Las Casas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel, subito dopo aver appreso del grave fatto di sangue, ha chiesto ai gruppi di contadini in conflitto, quasi tutti indigeni, di non ricorrere alle armi per minacciare o battere gli avversari, né di usare qualsiasi forma di aggressione. E’ importante che i leader sappiano denunciare e lottare per i loro diritti, ma è anche necessario saper ascoltare, per conoscere i diritti degli altri gruppi e organizzazioni. Mons. Arizmendi Esquivel ha riferito alla stampa che "alcuni vogliono approfittare del prossimo cambio di governo per guadagnare spazio", e ha invitato tutti ad un dialogo per la pace. “I casi di violenza - ha detto il vescovo - creano divisioni nelle diverse comunità, come a Venustiano Carranza”. (R.P.)

    inizio pagina

    Paraguay: la Chiesa chiede giustizia per i contadini in sciopero della fame in carcere

    ◊   La chiesa del Paraguay chiede giustizia per i quindici contadini detenuti da giugno scorso accusati della sparatoria che durante uno sgombro dei “senza terra” ha provocato la morte di sei poliziotti e undici agricoltori in una tenuta del Curuguayty, nel nordest del Paese. Il comunicato della Conferenza episcopale paraguayana ha chiesto che siano chiarite le circostanze e le responsabilità dei fatti e sia fatta giustizia al più presto. Il nuovo intervento della Chiesa è dovuto al grave stato di salute dei quattro contadini arrestati che da 59 giorni stanno facendo uno sciopero della fame per essere liberati. Venerdì scorso, le autorità hanno trasferito i quattro a un ospedale nel centro del Paese e, da sabato, potranno beneficiare degli arresti domiciliari. “La Chiesa ha accompagnato spiritualmente e materialmente i contadini privati dalla loro libertà”, sottolinea la nota dell’episcopato ricordando il costante contatto con le autorità, in particolare con il Procuratore Generale, per verificare il rispetto delle procedure legali e dei diritti umani. I tragici eventi - che hanno portato alla destituzione dell’allora Presidente Lugo - sono accaduti in una proprietà contesa tra lo Stato e la famiglia di un potente imprenditore. Gli avvocati difensori dei “senza terra” sostengono che ci sono prove della presenza di franchi tiratori mentre i procuratori parlano di un’imboscata preparata e pianificata dai contadini che occupavano la proprietà. Insieme alla Chiesa, sono numerosi i gruppi e le organizzazioni per i diritti umani che seguono con attenzione la sorte dei detenuti. In questi ultimi giorni ci sono stati sit-in notturni davanti al Palazzo di Giustizia che però sono stati regolarmente sciolti dalla polizia. (A cura di Alina Tufani)

    inizio pagina

    Consiglio delle Chiese: 16 giorni di mobilitazione contro la violenze sulle donne

    ◊   “16 giorni di mobilitazione contro la violenza di genere”. È l’iniziativa promossa dal Programma Donne nella Chiesa e nella società del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc/Coe) in occasione Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che si è celebrata ieri. Fino al 10 dicembre, Chiese e associazioni della società civile nel mondo sono invitate a promuovere una serie di iniziative di sensibilizzazione sulla violenza contro le donne nelle sue varie forme: da quelle sessuali, a quelle domestiche, alle discriminazioni, al traffico di esseri umani. A questo scopo il Programma Donne nella Chiesa e nella società ha messo in rete diverso materiale di sussidio preparato in collaborazione con la Federazione mondiale degli studenti Cristiani (Wscf) e con l’Unione Cristiana delle Giovani (Young Women’s Christian Association - Ywca), uno dei più antichi e più grandi movimenti ecumenici femminili impegnato nella promozione della donna. Esso comprende studi biblici, riflessioni teologiche, video, link, preghiere , nonché varie proposte di iniziative da organizzare nel corso delle prossime due settimane. L’auspicio - spiega la responsabile del Programma Lusungo Moyo, è di “incoraggiare la promozione di politiche ‘affermative’ e la partecipazione ad azioni profetiche per porre fine alle violenze sulle donne in una prospettiva di fede”. La problematica sarà analizzata anche alla luce del tema “Dio della vita, portaci alla giustizia e alla pace” al quale sarà dedicata la 10ª assemblea generale del Consiglio mondiale delle Chiese, prevista l’anno prossimo in Corea. (L.Z.)

    inizio pagina

    Svizzera: perplessità dei vescovi sull’iniziativa contro il rimborso assicurativo dell’aborto

    ◊   “Non si tratta solo di una questione finanziaria, ma di un caso di coscienza”: così la diocesi di Coira, in Svizzera, commenta l’iniziativa popolare “Finanziare l’aborto è un affare privato”. Lanciata nel luglio 2011, l’iniziativa chiede che le compagnie assicurative sanitarie obbligatorie non coprano più le spese per gli interventi abortivi. Una dichiarazione ufficiale della Conferenza episcopale svizzera verrà diffusa a dicembre, al termine della Plenaria. Nel frattempo, però, mons. Markus Büchel, vescovo di San Gallo e presidente eletto dei vescovi, in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi al quotidiano ‘Blick’, si è detto contrario alla proposta poiché essa “colpirà soprattutto le donne in difficoltà economica”. Richiamando, poi, la dottrina della Chiesa per la quale la protezione della vita è “una questione assolutamente centrale”, il presule ha evidenziato che lo scopo finale della proposta non è “la riduzione del numero di aborti”, bensì solo lo stop al loro finanziamento. Al contrario, l’obiettivo primario della Chiesa è quello di “sostenere le donne a decidersi per la vita del figlio non ancora nato”. Sulla stessa linea anche Mons. Martin Werlen, abate di Einsiedeln: “L’iniziativa regolerebbe l’aborto nella categoria degli affari privati, cosa che non è assolutamente vera. – ha detto - Dovere della Chiesa è, invece, fare il possibile affinché le donne rinuncino all’interruzione volontaria di gravidanza”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 331

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.